1 Cinematica del corpo rigido Vediamo come si muove un sistema rigido. Per prima cosa elimiamo dalla nostra analisi il caso "degenere" in cui tutti i punti del sistema siano allineati (o ci siano solo due punti). Consideriamo quindi un sistema di punti collegati tra loro in modo da mantenere invariate le loro mutue distanze e che contenga almeno tre punti non allineati P1 , P2 , P3 . A un tale sistema è possibile associare una terna cartesiana S = (O, i, j, k) in modo tale che ogni punto del sistema abbia coordinate (x, y, z)T costanti nel riferimanto S; chiameremo "solidale" una tale terna. Un modo per costruire questo riferimento può essere il seguente: Poniamo O = P1 , i = vers(P2 − P1 ) j = vers(i ∧ (P3 − P1 )) e infine k = j ∧ i. Si osservi che, una volta associata una terna solidale, il numero di punti di cui è composto il sistema non ha più importanza: ogni punto viene ora collocato nello spazio una volta che siano note le sue coordinate nella terna solidale (che sono costanti) e la posizione nello spazio della terna stessa. Questo ha per fondamentale conseguenza il fatto che la cinematica dei sistemi rigidi discreti e continui è descritta dalle stesse equazioni. In altre parole il moto di un sistema rigido nello spazio è equivalente al moto di una terna di riferimento. Ovviamente possiamo parlare di "moto" solo in presenza di un "osservatore", ovvero di un sistema di riferimento che consideriamo convenzionalemente come "fisso" e che indicheremo con Σ = (Ω, u, v, w). Chiameremo (ξ, η, ζ)T le coordinate di un punto nel sistema di riferimento Σ. Poiché i punti che partecipano al moto rigido hanno coordinate (x, y, z)T costanti nel sistema di riferimento solidale, ci basta conoscere la posizione del sistema S rispetto al sistema Σ per localizzare ogni punto del sistema rigido in moto. Abbiamo quindi ridotto il problema del moto rigido al moto relativo di due sistemi di riferimento nello spazio euclideo tridimensionale, ovvero ad ogni istante situare la terna mobile S rispetto alla terna fissa Σ. A sua volta questo problema si scompone naturalmente nella localizzazione dell’origine della terna mobile rispetto alla terna fissa, e all’orientazione dei versori della terna mobile rispetto ai versori della terna fissa. Dovremo quindi conoscere le tre coordinate in Σ, (ξO , ηO , ζO )T (funzioni del tempo), dell’origine O della terna S e le nove componenti dei versori (i, j, k) rispetto ai versori (u, v, w). Le nove componenti dei versori sono però “vincolate” dalla ortonormalità del sistema di riferimento, ovvero dalle equazioni i · i = 1, j · j = 1, k · k = 1, i · j = 0, j · k = 0, k · i = 0. (1) Com’è noto dal corso di geometria le mutue orientazioni dei versori di due riferimenti ortonormali sono parametrizzate dalle matrici ortogonali, ovvero da quelle matrici 3×3 che soddisfano alla condizione: AAT = I. (2) Poiché stiamo studiando moti continui dello spazio, possiammo escludere le matrici a determinante negativo (che rappresentano un moto rigido più un ribaltamento specu1 lare) e limitarci alle matrici a determinante uguale a 1. Abbiamo quindi una parametrizzazione delle posizione di un sistema rigido S, relativamente a un altro sistema rigido Σ, tramite una coppia formata dal vettore O − Ω = (ξO , ηO , ζO )T e dalla matrice A ξˆ1 A = η̂1 ζ̂1 ξˆ2 η̂2 ζ̂2 ξˆ3 η̂3 ζ̂3 (3) dove con (ξˆ1 , η̂1 , ζ̂1 )T si sono indicate le componenti di i nel sistema di riferimento Σ (e similmente per j e k). Siano (x, y, z)T le coordinate di un punto P qualsiasi solidale con il sistema di riferimento S e (ξ, η, ζ)T le corrispondenti coordinate nel riferimento Σ; con la nostra rappresentazione avremo quindi ξ ξO ξˆ1 ξˆ2 ξˆ3 x η = ηO + η̂1 η̂2 η̂3 y . (4) z ζO ζ ζ̂1 ζ̂2 ζ̂3 La (4) può ora essere derivata per otterene la formula fondamentale del moto rigido, ovvero la relazione che lega tra loro le velocità (in un sistema “fisso” dato) dei differenti punti di un sistema rigido. Nella (4) ci sono tre termimi che dipendono dal tempo: le coordinate dei punti P e O nel sistema di riferimento fisso e le componenti della matrice A. Deriviamo ora la (4). ξ ξ ξˆ ξˆ2 ξˆ3 x d d O d 1 η = ηO + η̂1 η̂2 η̂3 y . (5) dt dt dt ζ ζO z ζ̂1 ζ̂2 ζ̂3 La derivata a primo membro è la velocità del punto P, così come la giudica Σ, e ugualmente la derivata di (ξO , ηO , ζO )T è la velocità in Σ del punto O. Possiamo ora riscrivere la relazione (5) inserendo tra la derivata della matrice A e il vettore (x, y, z)T la matrice identità scritta nella forma AT A e abbiamo µ ¶ ξ ξ x d d O dA T η = ηO + A A y . (6) dt dt dt ζ ζO z x Il termine A y è il vettore di R3 delle coordinate del vettore geometrico P − O z espresse nel sistema di riferimento Σ. Osserviamo inoltre che se si sceglie un punto diverso da O come ¢ del riferimento solidale (mantenedo però gli stessi versori ¡ origine T che compare nella formula non cambia. Possiamo quindi A i, j, k) la matrice dA dt dire che la distribuzione di velocità di tutti i punti di un sistema rigido si ¡ottiene ¢dalla formula (6) quando si conosca la velocità di un punto solidale e la matrice dA AT . Se ¡ dA T ¢dt avessimo fatto una diversa scelta del sistema di versori, la matrice dt A si sarebbe 2 modificata con le consuete formule di cambiamento di coordinate tra sistemi di riferimento ortonormali. Osserviamo infine una caratteristica fondamentale della matrice dA dt . Derivando la relazione (2) si ha µ ¶T dA T dAT dA T dA A +A = A +A = 0. (7) dt dt dt dt Ricordando che AB T = (BAT )T , possiamo riscrivere la (7) come dA T dA T A = −( A) , dt dt ovvero la matrice dA T A è una matrice antisimmetrica. Indichiamola con dt 0 −ω3 ω2 ω3 0 −ω1 −ω2 ω1 0 e riscriviamo la (6) come ξ˙ ξ˙O 0 η̇ = η̇O + ω3 −ω2 ζ̇ ζ̇O −ω3 0 ω1 ω2 ξP −ω1 ηP , 0 ζP (8) (9) (10) dove abbiamo indicato con (ξP , ηP , ζP )T le componenti in Σ del vettore P − O. Se indroduciamo un vettore ω di componenti (ω1 , ω2 , ω3 )T , è immediato verificare che il risultato del prodotto tra la matrice antisimmetrica e il vettore (ξP , ηP , ζP )T nella (10) ha le stesse componenti del prodotto vettoriale ω ∧ (P − O). Possiamo quindi riscrivere la (10) nella notazione “vettoriale” Ṗ = Ȯ + ω ∧ (P − O) (11) detta formula fondamentale del moto rigido. Il vettore ω è detto velocità angolare. Nota: La (11) non è una relazione vettoriale nel senso che essa mantiene la sua forma solo per cambiamenti di coordinate ortogonali (cioè se solo se si passa da un sistema ortonormale a un altro sempre ortonormale); questo perché sia la definizione di ω sia quella di prodotto vettoriale fanno intervenire la struttura metrica dello spazio euclideo. Spesso si usa l’espressione “pseudovettoriale” per riferirsi a relazioni che si conservano solo per trasformazioni ortogonali. La comparsa del vettore (o “pseudovettore”) ω ha un che di artificioso. Tuttavia il suo significato cinematico può essere reso più chiaro. Per semplificare la trattazione limitiamoci a moti in cui un punto del rigido (che faremo coincidere con O) resti fisso. In questo caso il moto rigido si riduce a una famiglia a un parametro di trasformazioni rigide (parametrizzate dal tempo) dello spazio euclideo tridimensionale, con un punto fisso. Se, come abbiamo fatto sopra, fissiamo due sistemi di riferimento S e Σ, avremo ancora una matrice ortogonale A(t) 3 dipendente dal tempo, che ci fornisce le coordinate in Σ in funzioni delle coordinate (costanti) dei punti del rigido nel sistema solidale S. Consideriamo per iniziare il caso in cui il moto rigido sia una “rotazione uniforme” attorno a un asse fisso (per fissare le idee facciamolo coincidere con l’asse delle ζ nel sistema fisso e con l’asse delle z nel sistema solidale). In questo moto tutti i punti che giacciono sull’asse delle z sono fermi mentre gli altri punti descrivono delle circonferenze con centro sull’asse delle z e su piani a esso perpendicolari. Questa rotazione è uniforme se si descrivono angoli uguali in tempi uguali (nota che tutti i punti descrivono lo stesso angolo!): il rapporto tra l’angolo percorso (con segno) e il tempo impiegato è ciò che si dice “velocità angolare”: la matrice A(t) associata a questo moto rigido ha la forma cos(ωt) sin(ωt) 0 A(t) = − sin(ωt) cos(ωt) 0 0 0 1 dove ω è ora il rapporto (costante) che abbiamo chiamato velocità angolare. Se fissiamo un valore qualsiasi del tempo la trasformazione che porta il sistema dalla sua configurazione iniziale a quella occupata al tempo fissato si dice una “rotazione finita”. È immediato verificare che il vettore velocità angolare associato al nostro moto dalla costruzione che ci ha portato alla (11) è dato da (0, 0, ω), ovvero ha per direzione l’asse di rotazione per modulo il rapporto tra angolo percorso e tempo di percorrenza e per verso quello delle z crescenti o decrescenti a seconda che la rotazione avvenga concordemente o non con l’orientazione degli assi (ovvero “portando l’asse positivo delle x su quello delle y o viceversa”). La generalizzazione al caso di una rotazione non uniforme è un semplice richiamo della definizione di derivata! Le rotazioni però non esauricono tutti i possibili moti rigidi. Tuttavia se fissiamo un intervallo tempo e andiamo a vedere in quale configurazione si trova al tempo t un sistema rigido S che all’istante 0 coincideva con il sistema fisso Σ abbiamo il seguente risultato, noto come teorema di Eulero: Teorema: Ogni trasformazione rigida dello spazio euclideo tridimensionale è una rotazione finita attorno a un opportuno asse. Questo significa che, qualunque sia stato il moto rigido effettivamente svolto per assumere la configurazione finale, una intera retta di punti solidali è tornata ad occupare la posizione che occupava inizialmente. La differenza con una rotazione è che, mentre nella rotazione i punti dell’asse stanno fermi durante tutto il moto, nel caso generale i punti che a un istante fissato occupano la loro posizione iniziale possono essersi mossi nell’intervallo di tempo compreso. Inoltre, poiché quanto detto vale per un tempo qualsiasi, ad ogni istante del moto c’è una retta solidale di punti che occupano la loro posiazione iniziale. Ancora la differenza con la rotazione sta nel fatto che questa retta non ha giacitura costante, ovvero varia sia nel sistema fisso che in quello mobile (in altre parole: i punti (solidali) che sono tornati nella loro posizione iniziale al tempo t1 non sono gli stessi che tornano al tempo t2 , e di conseguenza è anche diversa la posizione di questa retta nel sistema fisso). Se prendiamo il limite a un dato istante di questi assi di rotazione abbiamo la direzione definita dal vettore velocità angolare che compare nella (11). 4 La dimostrazione del teorema di Eulero si può fare per via puramente geometrica ma risulta particolarme facile se torniamo alla nostra descrizione “algebrica” in termine della matrice di trasformazione A(t). Poiché lavoriamo a un tempo t fissato indichiamo la matrice di trasformazione A(t) semplicemente con A. Da un punto di vista algebrico il fatto che ci siano dei punti lasciati fermi dalla trasforazione associata alla matrice A significa che la matrice A ha un autovettore associato all’autovalore 1 (dobbiamo infatti poter risovere l’equazione Au = u). Ci basta quindi dimostrare che A ha il numero reale 1 per autovalore. Ma A è una matrice 3 × 3, quindi ha sicuramente un autovalore reale. Inoltre, poichè la matrice è ortogonale, la lunghezza di un autovettore associato all’autovalore reale deve essere preservata. Quindi l’autovalore reale deve essere uguale a 1 oppure a −1. Infine ricordiamo che la matrice A ha determinante positivo. Abbiamo quindi tre possibilità: • tutti e tre gli autovalori sono uguali a 1 • due autovalori sono uguali a −1 e il terzo è 1 • o infine (è il caso generico) gli altri due autovalori sono complessi coniugati e quindi hanno prodotto positivo, e di conseguenza è positivo (= 1) l’autovalore reale. 5 1.1 Angoli di Eulero Consideriamo ora il caso di un moto rigido con un punto che resta fisso nello spazio durante il moto del sistema. Un tale moto prende il nome di precessione. Senza perdere di generalità possiamo fissare le origini dei due riferimenti Σ e S coincidenti con il punto fisso. Avremo quindi O ≡ Ω e Ȯ ≡ 0. Vogliamo per prima cosa descrivere la posizione del sistema S rispetto a Σ tramite tre parametri opportuni. Fissiamo quindi una posizione mutua di S e Σ e supponiamo che, in questa configurazione, i due assi ζ e z non siano coincidenti. Indichiamo con θ l’angolo che l’asse delle z forma con l’asse delle ζ, contato a partire dall’asse ζ (quindi θ ∈ (0, π), vedremo in seguito che si devono escludere i casi estremi in cui gli assi coincidono). Inoltre osserviamo che i due piani z = 0 e ζ = 0 si intersecano lungo una retta, che chiamiamo linea dei nodi. Sia n il versore di questa retta, orientato in modo che la terna (non ortognale) (w, k, n) sia positivamente orientata (i.e. (w ∧ k) · n > 0 ). Indichiamo ora con ψ l’angolo (sul piano ζ = 0) tra la linea dei nodi orientata da n e l’asse delle ξ, contato a partire da quest’ultimo; abbiamo quindi ψ ∈ [0, 2π). Infine poniamo φ l’angolo, sul piano z = 0, tra la linea del nodi e l’asse delle x, a partire da quest’ultimo; ancora abbiamo φ ∈ [0, 2π). ζ z θ y η O ψ ξ n ϕ x Figure 1: Angoli di Eulero E’ abbastanza facile rendersi conto che con questi angoli, noti come angoli di Eulero, si possono rappresentare tutte le configuarazioni che S può assumere rispetto a Σ ad eccezione di quelle dove gli assi z e ζ coincidono. Per verificare questa asserzione dobbiamo far vedere che è possibile esprimere, in maniera univoca, la matrice che permette di passare dalla configuzione S ≡ Σ alla configuazione individuata dai tre angoli, in funzione degli angoli stessi; alternativamente possiamo costruire la matrice inversa delle trasformazioni che “riportano” S a coincidere con Σ. 6 Il versore k dell’asse delle z può essere espresso tramite gli angoi di Eulero. Infatti la componente di k lungo w è data da cos θ, mentre la sua proiezione sul piano ζ è perpedicolare alla linea dei nodi (che è perpendicolare sia a k che alla direzione di proiezione w). Poiché la linea dei nodi è data da n = cos ψ u + sin ψ v, ne segue che k = sin θ cos ψ u + sin θ sin ψ v + cos θ w. Vogliamo ora riportare S su Σ tramite la rotazione attorno a k di un angolo −φ seguita da una rotazione attorno a w di un angolo −ψ e infine da una rotazione attorna alla linea dei nodi (che ora coincide con l’asse delle ξ) di un angolo −θ. 1.2 Appendice Mostriamo che una trasformazione rigida dello spazio euclideo deve essere affine, ovvero deve avere la forma F (X) = X0 + A(X − X0 ) (12) dove A è una trasformazione lineare ortogonale e X0 un punto fissato dello spazio. Ricordiamo che per trasformazione rigida si intende una qualsiasi applicazione F dello spazio euclideo in sé tale che d(F (X), F (Y )) = d(X, Y ) ∀X, Y (13) p dove d(X, Y ) = (X − Y ) · (X − Y ) indica la distanza tra i punti X e Y . Osserviamiamo per prima cosa che (13) è vera se e solo se si ha (F (X) − F (Y )) · (F (X) − F (Y )) = (X − Y ) · (X − Y ) ∀X, Y (14) Dalla relazione (14) è abbastanza semplice far vedere che se F ha la forma (12), ovvero se è affine, allora A ∈ SO(n). Resta da verificare che la F è affine. Scegliamo un punto O dello spazio, poniamo X0 = F (O) e indichiamo con lettere minuscole i vettori x = X − O. Dalla (14) abbiamo che (F (x) − X0 ) · (F (x) − X0 ) = x · x ∀x (15) quindi l’applicazione g(x) = F (x) − X0 soddisfa la condizione g(x) · g(x) = x · x ∀x (16) g(x) − g(y) = F (x) − F (y) ∀x, y (17) (g(x) − g(y))2 = (x − y)2 ∀x, y (18) e e quindi Dalle (16) e (18) segue che g(x) · g(y) = x · y ∀x, y 7 (19) Fissiamo ora tre vettori ortonormali u, v, w; dalla (19) segue che il vettore g(αu) è ortogonale sia a g(v) che a g(w) e quindi deve essere g(αu) = βg(u), e inoltre |β| = 1. Prendiamo ora un qualsiasi vettore x e siano α, β e γ le componenti di g(x) nella base (g(u), g(v), g(w)), i.e. sia g(x) = αg(u) + βg(v) + γg(w). Resta da far vedere che α, β e γ sono le componenti di x nella base (u, v, w). Ma questo segue immediatamente dal fatto che x · u = g(x) · g(u) = α, e analogamente per v e w. 2 La dinamica 2.1 Le equazioni cardinali Consideriamo un sistema di punti materiali (Pi , mi ) per ogni punto scriviamo le equazioni di moto mi ai = Fi , i = 1, . . . , N . (20) Nel secondo membro di ognuna delle (20) scomponiamo la risultante delle forze applicate al punto Pi nella somma delle forze interne e delle forze esterne. Si intende per forza interna una qualsiasi forza applicata a Pi la cui reazione sia applicata ad un altro punto Pj ancora appartenente al sistema. Le forze esterne saranno tutte quelle la cui reazione si applica a punti non apparteneti al sistema. Possiamo quindi riscrivere la (20) come N X mi ai = FE + Fij , i = 1, . . . , N , (21) i j=1 FE i la risultante di tutte le forze esterne applicate a Pi e dove abbiamo indicato con abbiamo scomposto le forze interne a seconda del punto di applicazione della reazione, indicando con Fij la forza applicata a Pi con reazione applicata a Pj . Sommiano ora le (21) sull’indice i N X i=1 mi ai = N X FE i + i=1 N X Fij . (22) i,j=1 Nel totale del sistema M = PNprimo membro è facile riconoscere il prodotto della massa 1 m per l’accelerazione a del centro di massa definito da i 0 i=1 M (P0 − O) = N X mi (Pi − O) . (23) i=1 PN E Il termine FE = poiché il i=1 Fi è detto risultante delle forze esterne. Infine, PN principio di azione e reazione ci assicura che Fij = −Fji , il termine i,j=1 Fij è nullo. Otteniamo quindi la prima equazione cardinale M a0 = FE , (24) 1 Affinché la definizione sia ben posta occorre mostrare che P non dipende dal punto O scelto nella (23): 0 verificarlo! 8 che possiamo leggere: il centro di massa di un sistema meccanico si muove come un punto materiale, avente per massa la massa totale del sistema, sotto l’azione della risultante delle forze esterne. Moltiplichiamo ora ognuna delle (21) vettorialmente per Pi − O dove O è un punto arbitrariamente scelto, e sommiamole sull’indice i. N X mi (Pi − O) ∧ ai = i=1 N X (Pi − O) ∧ FE i + i=1 N X (Pi − O) ∧ Fij . (25) i,j=1 L’ultimo termine può essere riscritto N X N X (Pi −O)∧Fij = i,j=1 (Pi −Pj )∧Fij + i,j=1 N X (Pj −O)∧Fij = − i,j=1 N X (Pj −O)∧Fji i,j=1 (26) PN dove i,j=1 (Pi − Pj ) ∧ Fij = 0 in quanto la forza Fij ha (Pi − Pj ) per retta di azione. Poiché la prima e l’ultima sommatoria differiscono solo per una ridefinizione PN degli indici, quindi sono uguali, otteniamo che i,j=1 (Pi − O) ∧ Fij = 0, cioè le forze interne si cancellano anche nell’equazione (25). Sempre con riferimento al punto O scelto nell’equazione (25), introduciamo le quantità vettoriali momento angolare L(O) rispetto al punto O e momento risultante delle forze esterne ME (O) rispetto al punto O, definite da L(O) = N X ME (O) = mi (Pi − O) ∧ vi , i=1 N X (Pi − O) ∧ FE i . (27) i=1 Derivando il momento angolare rispetto al tempo otteniamo L̇(O) = N X mi (Pi − O) ∧ ai + i=1 N X mi v(O) ∧ vi (28) i=1 dove v(O) è la velocità del punto O. Possiamo quindi scrivere la (28) nella forma L̇(O) = N X mi (Pi − O) ∧ ai + v(O) ∧ M v0 (29) i=1 Possiamo quindi riscrivere la (25) nella forma L̇(O) = ME (O) + v(O) ∧ M v0 (30) detta seconda equazione cardinale. Si osservi che l’ultimo termine può essere reso nullo scegliendo un punto O che si muove con velocità parallela alla velocità del centro di massa (in particolare le scelte più comuni sono O fisso, quindi v(O) = 0, oppure O ≡ PO coincidente con il centro di massa stesso, v(O) = v0 ). Le equazioni cardinali formano quindi un sistema di 6 equazioni scalari, sempre soddisfatte dal moto del sistema. Questo implica che, in generale, le equazioni cardinali 9 non sono sufficienti per determinare il moto (e sicuramente non lo sono se il sistema ha più di 6 gradi di libertà) e possono anche non essere indipendenti tra loro (se il sistema ha meno di 6 gradi libertà, sicuramente alcune delle 6 equazioni scalari dipenderanno dalle altre). L’importanza delle equazioni cardinali è dovuta al fatto che per i sistemi rigidi esse sono sufficienti per la determinazione del moto. Infatti per un sistema rigido libero (cioè non soggetto ad altri vincoli oltre ai vincoli di rigidità) le equazioni cardinali sono equivalenti all’equazione simbolica della dinamica. Nel caso che altri vincoli (lisci) siano presenti, una parte delle equazioni cardinali determina il moto del sistema mentre le restanti equazioni servono a determinare il momento e la risultante delle forze vincolari. 2.2 Deduzione delle equazioni cardinali dall’equazione simbolica La sufficienza delle equazioni cardinale per la determinazione del moto di un sistema rigido è immediata conseguenza dell’equivalenza di queste equazioni con l’equazione simbolica della dinamica. Consideriamo prima il caso di un rigido “libero”, ovvero di un sistema rigido a cui non siano stati imposti altri vincoli. Ricordiamo l’equazione simobolica N X (mi ai − Fi ) · δPi = 0 (31) i=1 e l’espressione dello spostamento virtuale δPi = δP0 + δΩ ∧ (Pi − P0 ) , (32) dove P0 è il centro di massa del sistema e δP0 e δΩ sono vettori arbitrari. Sostituendo (32) nella (31) otteniamo N X (mi ai − Fi ) · δP0 + i=1 N X (mi ai − Fi ) · (δΩ ∧ (Pi − P0 )) = 0 (33) i=1 Per l’arbitrarietà dei vettori δP0 e δΩ, entrambe le somme devono essere nulle. Dal primo addendo otteniamo immediatamente la prima equazione cardinale, mentre per ottenere la seconda cardinale basta scambiare i termini del prodotto misto (mi ai − Fi ) · (δΩ ∧ (Pi − P0 )) = δΩ · (Pi − P0 ) ∧ (mi ai − Fi ) = 0 . 3 Calcolo delle quantità meccanica per un sistema rigido Calcoliamo ora il momento angolare L(O) per un sistema rigido, L(O) = N X i=1 mi (Pi − O) ∧ v(O) + N X mi (Pi − O) ∧ (ω ∧ (Pi − O)) . (34) i=1 Il primo addendo di (34) può sempre essere reso nullo con un opportuna scelta dl punto O: si può prendere per O il punto fisso se il rigido sta compindo un moto di 10 precessione (cioè un moto con almeno un punto fisso), oppure scegliere O = PO che annula il contributo della somma in quasiasi tipo di moto. Il secondo termine della somma è una funzione lineare delle componenti della velocità angolare ω, quindi potrà essere rappresentato in un sistema di riferimento (ortonormale) centrato in O tramite il prodotto σ(O)ω, dove σ(O) è una opportuna matrice. Per calcolarla torniamo alla rappresentazione matriciale del prodotto vettore ω ∧ (Pi − O), questa volta però trasformando in matrice il vettore Pi − O. Otteniamo N X 0 mi zi i=1 −yi N X mi (Pi − O) ∧ (ω ∧ (Pi − O)) = i=1 −zi 0 xi yi 0 −xi −zi 0 yi zi 0 −xi −yi ω1 xi ω2 0 ω3 (35) (nel secondo prodotto abbiamo scambiato i fattori e di conseguenza cambiato segno alla matrice), dove (xi , yi , zi )T sono le coordinate di Pi e (ω1 , ω2 , ω3 ) le componenti di ω nel sistema di riferimento. Svolgendo prodotto delle due matrici in (35), moltipliando per mi e sommando, otteniamo infine l’espressione cercata per la matrice N N N X X X 2 2 mi (yi + zi ) −mi xi yi −mi xi zi i=1 i=1 i=1 N N N X X X σ(O) = (36) −mi xi yi mi (zi2 + x2i ) −mi yi zi i=1 i=1 i=1 X N N N X X −mi xi zi −mi yi zi mi (x2i + yi2 ) i=1 i=1 i=1 Possiamo ora riscrivere le equazioni di moto usando l’espressione della derivata di L(O) tramite la matrice σ(O), L̇(O) = σ(O)ω̇ + ω ∧ σ(O)ω (37) che abbiamo calcolato utilizzando la formula di Poisson (conviene in effetti esprimere le quantità che entrano nella matrice σ(O) sempre in un sistema solidale, dove sono costanti). Possiamo quindi scrivere la seconda equazione cardinale come σ(O)ω̇ + ω ∧ σ(O)ω = ME (O) 4 (38) Significato dei termini di σ La matrice σ(O) è detta tensore di inerzia. Poiché σ(O) è una matrice simmetrica, esiste un sistema di riferimento ortogonale in cui la matrice è diagonale; gli assi di questo sistema sono detti assi principali di inerzia. Per indagare sul significato meccanico degli assi principali e dei termini extra diagonali presenti in σ(O) quando la si riferisca a un sistema diverso da quelli degli assi principali, prendiamo in considerazioni alcuni moti rigidi particolari. 11 4.1 Rotazioni Consideriamo un moto di rotazione attorno ad un asse fisso. Prendiamo O appartenente all’asse di rotazione in modo da poter applicare la forma ridotta della seconda equazione cardinale sviluppata nella sezione precedente. Un moto di rotazione è un moto rigido con ulteriori vincoli rispetto ai vincoli di rigidità. Matematicamente questi vincoli possono essere espressi, p.e., fissando le tre coordinate di due dei punti solidali apparteneti entrambi all’asse di rotazione. In questo modo si sono però imposti solo 5 nuovi vincoli, in quanto le coordinate dei due punti erano già legate tra loro dal vincolo di rigidità. Quindi un rigido che compie un moto di rotazione ha un solo grado di libertà. Nella formula che ci fornisce gli spostamenti virtuali abbiamo δO = 0 e δΩ = δϕ k, dove δϕ è un numero arbitrario e k è il versore dell’asse di rotazione: δP = δϕ k ∧ (Pi − O) . (39) Inserendo (39) nella definizione di lavoro virtuale delle reazioni, otteniamo la caratterizzazione di una rotazioni “liscia” (ovvero dove i vincoli che costringono il rigido a girare sull’asse di rotazione “non si oppongono al moto di rotazione stesso”): ÃN ! N X X Ri · δϕ k ∧ (Pi − O) = (Pi − O) ∧ Ri · k δϕ = 0 (40) i=1 i=1 Poiché PN sappiamo già che i vincoli di rigidità danno contributo nullo alla somma i=1 (Pi − O) ∧ Ri , le rotazioni senza attrito sono carattrizzate dal fatto che le reazioni vincolari hanno momento risultante, calcolato rispetto a un qualsiasi punto dell’asse, che ha componente nulla lungo l’asse di rotazione. Supponaimo ora che il moto del sistema sia di rotazione con velocità angolare ϕ̇ k. La seconda equazione cardinale diventa: ϕ̈ σ(O)k + ϕ̇2 k ∧ σ(O)k = ME (O) (41) che possiamo proiettare sui tre assi di un riferimento solidali (con l’asse delle z coincidente con quello di rotazione) I23 ϕ̇2 −I13 ϕ̇2 I33 ϕ̈ = ME (O) · i = ME (O) · j = ME (O) · k (42) (43) (44) La (44) ha la stessa struttura dell’equazione di Newton per un punto materiale, dove ora al posto della massa del punto compare l’elemento I33 della matrice. Questi elementi diagonali sono detti momenti di inerzia in quanto misurano l’inerzia che un corpo rigido presenta alle variazioni della velocità angolare in rotazioni attorno al relativo asse. Ovviamente il fatto che l’asse di rotazione sia anche un asse coordinato non deve avere rilevanza meccanica: se avessimo scelto come asse di rotazione un altro qualsiasi asse uscente da O, di versore u, avremmo ottenuto per l’angolo di rotazione ϕ l’equazione Iu ϕ̈ = ME (O) · u 12 dove la quantità Iu , detta momento di inerzia rispetto all’asse è data da Iu = u · σ(O)u , (45) e è uguale a Iu = N X mi d2i i=1 dove di è la distanza del punto Pi dalla retta passante per O e diretta come u. L’equazione (44) è sufficiente per determinare il moto, una volta nota la sola componente ME (O) · k del momento delle forze esterne lungo l’asse di moto. Se i vincoli sono lisci, la componente del momento lungo l’asse è univocamente determinata dalla forze direttamente applicate, e quindi coincide con l’equazione di Lagrange per la coordinata lagrangiana ϕ, ed è quindi sufficiente per la determinazione completa del moto. Nelle equazioni (42) e (43) quindi il primo membro è, una volta integrata l’equazione di moto, un ternime noto, al pari del contributo delle forze esterne al momento ME (O). Quindi le due equazioni possono essere usate per determinare il momento delle reazioni vincolari. Nel caso che l’asse di rotazione sia un asse principale di inerzia, ovvero si abbia σ(O)k = λk, i primi membri delle (42) e (43) si annullano (I13 = I23 = 0), e le equazioni si riducono a dire che le rezioni vincolari devono fornire un momento avente componente nel piano ortogonale all’asse di moto opposta a quella delle forze direttamente applicate. In particolare, queste equazioni ci dicono che se il momento delle forze esterne (sia direttamente applicate che le reazioni vincolari) è nullo (in questo caso diremo che il moto è una precessione per inerzia) è possibile avere un moto di rotazione se e solo se l’asse di rotazione è un asse principale di inerzia. 13