Ecologia umana. Umano, post-umano, transumano.

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Ecologia umana. Umano, post-umano, transumano.
Michelangelo Peláez1
Le catastrofi naturali, dovute in parte a barbarie umana, i danni irreparabili al paesaggio
causati da scempi edilizi, la scomparsa di specie vegetali e animali a motivo di gravi
alterazioni dell’ecosistema come conseguenza di insostenibili sviluppi della tecnica, gli
stessi danni alla salute umana da attribuire a dissennati comportamenti dell’uomo stesso
hanno fatto sì che si sia diffusa l’idea che la scienza ecologica costituisca una dura
requisitoria contro l’agire umano fino a diventare una potente denuncia
dell’antropologia ebraico-cristiana che pone l’uomo al centro della creazione. La frase
della Genesi (2, 15): «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden,
perché lo coltivasse e lo custodisse», viene considerata da un ecologismo radicale
(«antiumanesimo verde») l’origine di tutti i misfatti causati a una natura che tale
ecologismo neopagano rende sacra e intangibile dopo averla destituita della sua vera
identità di natura creata.
La frequenza con cui si presentano questioni e problemi ecologici mette ogni giorno in
prima pagina una pubblicistica non sempre illuminata da una corretta visione del
rapporto uomo-ambiente. Tali questioni e problemi hanno bisogno di essere trattati con i
metodi delle scienze umane; non basta spiegarli semplicemente con i metodi delle
scienze naturali. I problemi che l’ecologia studia sono tutti collegati all’agire dell’uomo.
La questione ecologica si pone con l’apparizione dell’homo sapiens, il quale, non
essendo vincolato a una nicchia ecologica, rie-sce a vivere in ogni ambiente
modificandolo con il suo lavoro. L’uomo, a differenza delle altre specie viventi, è in un
certo modo indipendente da un determinato ambiente e perciò liberamente aperto al
mondo. Se l’uomo può essere responsabile di gravi danni all’ambiente, è altresì vero
che allo stesso tempo è l’unico capace di trovarne soluzioni e per imparare, anche dai
suoi errori, a essere il buon custode della creazione.
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Articolo pubblicato in Studi Cattolici n. 643.
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Sorge dunque un problema squisitamente etico. Come deve regolarsi l’uomo nei suoi
rapporti con l’ambiente per svolgere bene il suo compito di custodire e coltivare il
creato? L’ecologia è dunque una scienza umana profondamente etica, in grado di
definire la collocazione dell’essere umano nel mondo. Scienza dunque normativa, non
limitatamente descrittiva di fenomeni naturali e meno ancora assoggettata a una visione
strettamente economicistica della realtà.
Antropologia ed etica, scienze inseparabili, sono dunque le discipline alla base
dell’ecologia che, per quanto avente per oggetto conoscenze fisico-chimiche, biomediche, storiche, economico-sociali, non può essere altro che ecologia umana alle
prese con sempre più numerose sfide teoriche e pratiche: specificità dell’uomo, il suo
abitare la Terra insieme agli altri esseri viventi e in particolare le relazioni con i suoi
simili, il suo rapporto con la tecnica, strumento privilegiato per custodire la «casa» in
cui abita, ma pure in grado di causare vere stragi ecologiche.
Luca Valera, docente di Etica ed Ecologia umana nell’Università Campus Biomedico di
Roma, nel libro Ecologia umana. Le sfide etiche del rapporto uomo/ambiente (Aracne,
Roma 2013, pp. 274, euro 16) scioglie, con profondità e chiarezza, i nodi dello studio
dei rapporti uomo/ambiente che molteplici impostazioni ideologiche dell’ecologia
hanno reso pieno di contraddizioni. All’interno di una prospettiva filosofica realista, del
senso comune, vengono poste le basi per affrontare questioni come quelle legate al
carattere li-mi-ta-to/illimitato delle risorse naturali, alla surrogabilità di quelle esauribili,
alla necessità di commisurare i consumi per proteggere lo status armonicamente
ordinato della natura da consegnare alle generazioni future.
L’essere umano, pur facendo parte della natura, ha una sua specificità che lo distingue
chiaramente dagli altri esseri viventi. Dotato di libertà, ha la capacità di migliorare o di
rovinare l’ambiente in cui vive. La natura non è sacra né intangibile, ma non è materia
arbitrariamente plasmabile. È dotata di un finalismo che ubbidisce a leggi, da noi
conosciute mediante le conoscenze scientifiche, che ci permettono di curare l’ambiente
in cui viviamo come si cura la propria «casa». Sono queste le premesse filosofiche da
cui prende avvio l’Autore per definire un’ecologia dell’uomo fatta dall’uomo, non senza
prima aver fatto nel capitolo I («Ai confini tra scienza e filosofia: l’ecologia») una
disamina critica delle principali concezioni sorte nella storia, ancora breve, dell’ecologia.
Sono numerosi gli orientamenti ecologici che offrono una visione dell’uomo e della
natura a partire da conoscenze scientifiche prevalentemente evoluzionistiche, le quali
dissolvono il concetto di uomo nell’ambiente e attribuiscono a tutte le specie viventi un
uguale diritto a vivere e realizzarsi, poiché non esisterebbe tra loro alcun ordine
gerarchico. È significativo, però, che si faccia costante riferimento a concetti propri
degli esseri umani per descrivere realtà che umane non sono (antropomorfizzazione
dell’ecosistema). Si tratta spesso di un’ecologia militante con tanto di manifesti
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operativi in ogni settore della vita individuale e sociale da tradurre in decisioni politiche,
come per esempio quella di programmare sostanziali diminuzioni della popolazione
umana.
Vi sono altresì movimenti particolarmente impegnati nella salvaguardia della natura,
alcuni di essi dominati dall’ideologia femminista che rivendica una forte affinità tra
donna e natura. L’ecofemminismo non si esaurisce in una forma sociologica di
attivismo politico, ha alle sue spalle una complessa ideologia fondata su una presunta
originaria connessione tra la Madre Terra e la donna. La nostra esistenza dipenderebbe
da un ambiente sano tanto quanto la nostra esistenza è una volta dipesa dalla madre. Se
l’immagine della madre è pervasa da un aura di bontà, al contrario la figura del figlio,
mosso da un comportamento egoistico e utilitaristico, è l’incarnazione di
un’irriconoscente disobbedienza per cui occorrerebbe annichilire la logica del dominio
che incarna l’essere umano di genere maschile.
Tra le differenti concezioni ecologiche sono prevalenti quelle a sfondo etico. Alcune
fanno gravitare l’intera moralità attorno agli esseri umani (antropocentrismo), altre,
invece, estendono i confini della morale ad altri esseri viventi, se non addirittura a tutta
la natura (biocentrismo, etica della Terra). Particolarmente forte è la pressione per
riconoscere come soggetto etico, se non tutti gli esseri viventi, ogni essere senziente,
umano e non umano, in grado di provare piacere e dolore perché in grado di esprimere
una preferenza. Ci sarebbero, secondo questa concezione, esseri umani non senzienti e
animali invece senzienti. «Le creature senzienti», afferma P. Singer, il più noto
rappresentante di questa concezione, «hanno bisogni e desideri, preferiscono alcune
condizioni ad altre».
Molte di queste impostazioni dell’ecologia considerano l’uomo un semplice prodotto
storico di leggi evolutive, perciò «antiquato» (G. Anders). Non ci sarebbe che attendersi
una genìa post-umana più evoluta, facendo tappa nel trans-umano. Categorie e concetti
come anima, corpo, ragione, coscienza, persona, finalità o vengono definitivamente
cancellati o subiscono deformazioni che rendono incomprensibile che cosa vogliano
dire, fino a essere sostituiti con altri concetti sottili e leggeri come complessità,
emergenza. Per esempio il concetto di natura è inteso come un «tutto-indistinto-che-sievolve». I termini «essere umano» e «persona» potranno essere designati in futuro come
entità completamente differenti da ciò che oggi significano, fino a poter scomparire con
il trionfo del cyborg o dell’animale.
A ragione Valera denuncia come gran parte dei queste concezioni dell’ecologia si
fondino su una antropologia che sfrutta l’usura di parole e concetti per decostruirli,
svuotarli cioè del loro significato originario e utilizzarli in maniera strumentale. Il postumanesimo «si rivela come la fine delle differenze, delle nostre categorie di pensiero, e,
pertanto, di un possibile linguaggio antropologicamente codificato». Essere
transumanati significa accettare che la specie umana, corruttibile e limitata, ha infinite
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potenzialità che la tecnologia può realizzare dando luogo a radicali cambiamenti morali
nel mondo della cultura e della vita quotidiana alla ricerca di un uomo biologicamente
perfetto. Si tratta di un’indefinita evoluzione «autodiretta» di un essere umano
contaminato da una tecnica che modifica il suo corpo.
Solo l’essere umano, dotato di razionalità giudicante, è in grado di riconoscere, non
arbitrariamente, il bene negli altri esseri. Pertanto, in questa ottica, afferma Valera,
l’uomo, sebbene talvolta possa ritenere la natura come strumentale ai propri fini, sa
riconoscere al medesimo tempo il suo proprio valore e pertanto si ritiene responsabile
del suo sviluppo e della sua fioritura. Non è quindi giustificabile, sarebbe
antropocentrismo da condannare decisamente, l’attribuire all’essere umano un dominio
assoluto sulla natura per trasformarla utilitaristicamente in merci così da ottenere ritorni
e guadagni immediati.
Una corretta impostazione di tutte le questioni e i problemi ecologici presuppone
fondamentalmente riconoscere la normatività morale dei caratteri che accomunano tutti
gli uomini. Valera non ignora la tendenza oggi molto diffusa, per un verso, a innalzare
l’animale al livello dell’uomo e, per altro verso, a considerare acquisita la riduzione
dell’uomo ad animale; perciò, significativamente, mette come titolo dell’importante
capitolo II: «Negare e naturalizzare l’uomo».
Il quesito fondamentale, cui deve rispondere oggi un’ecologia u­ma­na, nei confronti di
altri paradigmi, è quello dell’effettiva utilizzabilità del termine «persona». L’Autore
ricorre al concetto di persona rielaborato da Romano Guardini, che qualifica
immediatamente l’essere umano come dotato di ragione, autonomia e libertà, ma anche
allo stesso tempo di irripetibilità, responsabilità, spiritualità e dipendenza dall’altro e
dall’Altro. La libertà permette all’uomo di diventare sé stesso, attuando tutte le
potenzialità della propria natura di essere spirituale, e non semplicemente biologico.
L’uomo, infatti, si distanzia in qualche modo, mediante la cultura e la tecnica, dai dati
naturali.
Tutti gli esseri umani sono persone, al di là delle funzioni che possono svolgere, e tutte
le persone sono esseri umani. La parola «essere umano» rimanda a un piano biologico
per individuare la specie di appartenenza, la parola «persona», invece, ha un profilo
squisitamente etico-filosofico. Non basta essere creature senzienti che preferiscono
alcune condizioni ambientali ad altre per poter essere capaci di compiere, per esempio,
quelle operazioni che consentono di svincolarsi da una nicchia ecologica, operazioni che
invece sono proprie della natura umana, ben distinta da quella degli altri esseri viventi,
sia pure senzienti. Si è persone in quanto discendenti da esseri umani, anche se disabili e
quindi limitati nello svolgimento di alcune funzioni propriamente umane.
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È improponibile un’ecologia, anche se qualificata da alcuni come «umana», che abbia
per oggetto esclusivo quanto è intorno all’uomo (la Gaia Terra, i vegetali, gli animali
non umani), attribuendo all’ambiente «vita», «coscienza» e dignità indipendenti
dall’essere umano, il quale sarebbe ridotto a un organismo che semplicemente
interagisce con altri organismi. L’unico essere capace di intraprendere un discorso
sull’ambiente e di agire intenzionalmente su di esso è l’uomo. Non basta conoscere
quali siano e come si svolgano le relazioni tra tutti gli elementi che costituiscono
l’ecosistema, poiché, dato che l’uomo ne fa parte in maniera specificatamente umana,
bisognerà studiare il come dei suoi liberi comportamenti per poter stabilire, a partire da
beni razionalmente riconosciuti, quale debba essere il posto dell’uomo nel mondo e
quali norme garantiscano lo sviluppo armonioso del cosmo.
Nel terzo e ultimo capitolo, l’Autore espone i fondamenti di un’ecologia umana
richiamandosi, in parte, ad alcune note categorie heideggeriane. L’uomo non s’installa
semplicemente in un ambiente. L’uomo esiste come uomo in quanto abita un luogo.
L’abitare proprio dell’uomo «è già sempre un soggiornare presso le cose» (Heidegger),
trasformandole nella sua dimora. L’uomo trascende la natura, abita la totalità del mondo.
«Il tratto fondamentale dell’abitare è l’aver cura. [...] I mortali abitano in quanto salvano
la terra» (Heidegger), non la padroneggiano.
Proprio perché l’uomo abita nel cosmo, egli ha il compito di curare l’ecosistema, cioè
una rete complessa di relazioni con altri esseri umani e non umani, viventi e non viventi.
L’etica che postula un’ecologia umana non è né antropocentrica né biocentrica, ignora
la contrapposizione tra uomo e natura. L’uomo non si trova incapsulato nella natura, ma
anzi deve prendersene cura. L’etica stabilisce un rapporto ottimale dell’uomo con il
mondo, il modo, cioè, migliore di abitare nel mondo, e di conseguenza di salvarlo e
portarlo a compimento. Le gravi devastazioni ecologiche sono da attribuire a una
distorta presa di coscienza del modo di abitare dell’uomo.
L’essere umano, mediante la tecnica, non soccombe alle condizioni biologicoambientali, conscio allo stesso tempo di non poter vivere integralmente fuori da esse.
Occorre, tuttavia, tener conto che la tecnica non si limita a soddisfare bisogni, ne crea
pervasivamente dei nuovi, a tal punto che l’uomo può diventare non più il suo artefice,
bensì finire per servirla con gravi danni all’armonia del cosmo. Un’ecologia umana
prescrive, perciò, limiti ai nostri desideri in modo che l’essere umano non lasci a briglie
sciolte lo sviluppo della tecnica.
Ogni presunta minaccia della tecnica è semplicemente una minaccia dell’uomo a sé
stesso, non è tanto quindi la tecnica a dover essere disciplinata, ma è sempre e soltanto
l’agire dell’uomo ad aver bisogno di essere guidato da norme morali. Un’ecologia
umana non considera la tecnica il nemico da neutralizzare, bensì lo strumento su cui
l’uomo può contare per mantenere l’armonia del creato.
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È sempre l’uomo a riconoscere l’ordine che regna nel cosmo e quindi le relazioni
gerarchiche presenti nelle cose create. Se si riconosce che l’essere umano ha come
facoltà propria una capacità superiore agli altri esseri viventi, si dovrà anche
valorizzarlo in quanto tale, e, allo stesso tempo, esigere da lui molto di più. Il dramma
ecologico contemporaneo non è soltanto un antropocentrismo senza norme. Per Valera
il vero dramma si svolge quando l’essere umano non vuole riconoscersi, o non è più
capace di farlo, con estrema consapevolezza e umiltà, il principale attore capace di
coltivare il mondo accompagnandolo al suo compimento secondo il disegno divino. Dio
creatore ha dato all’uomo un potere «con-creativo» dotandolo di un intelletto in grado di
conoscere e di sviluppare tutte le potenzialità della propria natura mediante l’acquisto di
virtù che rafforzano le sue inclinazioni naturali e, mediante la scienza e la tecnica, le
potenzialità della natura cosmica.
Sono le virtù a rendere ordinato il potere che la scienza e la tecnica mettono al servizio
dell’uomo. Un’ecologia umana non ricorre ad argomenti catastrofici in modo di incutere
paura e così imporre comportamenti che restano per i più incomprensibili, bensì
propone una persuasiva pedagogia di atti ecologici che, diventando virtù, perfezionano
prima di tutto l’essere umano e lo rendono custode dei suoi simili e del mondo in cui
vive. Bene fa Valera a spiegare, sulla scia di Aristotele e di Tommaso d’Aquino,
l’antropologia e l’etica delle virtù applicate ai rapporti dell’uomo con il suo ambiente e
a descrivere i contenuti ecologici delle virtù morali: prudenza, giustizia, fortezza e
temperanza.
Nelle pagine conclusive, «L’uomo con l’uomo. Un’antropologia relazionale per
un’ecologia umana», si presenta a grandi linee il modo umano di intendere un’ecologia
come una «scienza della casa» che non auto-censura l’uomo, bensì corrisponde a un suo
particolare modo di abitare il mondo. L’abitare umano implica un custodire, un coltivare,
un costruire e un accogliere, perché l’uomo non può vivere da solo. L’essere umano non
può dimenticare che la casa in cui vive non è sua, ne ha, di generazione in generazione,
solo il possesso. Egli dipende da questa casa, il cosmo, senza il quale non potrebbe
esistere. Da qui nasce l’esigenza della custodia, come modalità responsabile di vivere il
rapporto con tutto ciò che è altro dall’uomo e che da sempre lo precede. La casa è luogo
di relazioni, di apertura all’altra persona, e poi agli altri esseri viventi e non viventi, di
cui non solo ci si serve per poter vivere.
Siamo davanti a uno studio teoretico, come afferma l’Autore, di «pulizia semantica»,
reso necessario dalle distorsioni e dalle superficialità e rimozioni che ha subìto il
linguaggio nella nostra cultura post-metafisica. Opportuni e densi intermezzi filosofici
svelano il vero significato e l’attualità di parole come natura, persona, sostanza,
accidente, relazione, ordine, strumento tecnico, valore, virtù, ovviamente ecologia e
molte altre, che aiutano a comprendere la razionalità delle posizioni assunte e a
evidenziare la mancanza di ogni fondamento anche logico di teorie e luoghi comuni di
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molta pubblicistica ecologica vittima di una visione parziale e distorta dell’essere
umano che facilmente diventa anti-umana.
Michelangelo Peláez
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