Kantor e la sua produzione artistico pittorica

Storia del Teatro e dello Spettacolo
Kantor e la sua
produzione artistico
pittorica
Nel segno degli Ambalaze e della Pauvreté
Sabrina Picchiàmi
18/06/2013
Introduzione: Kantor Uomo vs Kantor Artista
L’artista Kantor nasce con Kantor stesso, tanto è forte e sviluppata in lui
l’esigenza di tradurre in “opera” la sua vita, i suoi pensieri ed esperienze
come anche le riflessioni sull’esistenza stessa dell’uomo e del mondo.
La traccia della sua vita intercorre affiancando la traccia stessa del suo mezzo
espressivo, sia esso un pennello oppure un Objet trouvèe, come sarà anche per
il suo teatro: risultato di un lungo percorso di vita con un approccio del tutto
originale nel contesto europeo. La trasformazione e lo sviluppo della sua
espressività segue di pari passo la sua biografia e parlare delle sue opere e
della sua produzione artistico-pittorica equivale ad un viaggio, un cammino
dove possiamo incontrare il suo essere artista poliedrico quanto il suo essere
uomo. E’ quindi un avventurarsi nella sua mente che attraverso la
produzione artistica ci fa conoscere anche l’Uomo Kantor.
In questa mia analisi intendo soffermarmi su alcuni momenti della
produzione artistica di Kantor in particolare; momenti che ritengo essere
importanti e determinanti per la conoscenza approfondita del suo teatro, nel
quale sfoceranno le sue riflessioni di carattere artistico antecedenti la messa in
scena della sua prima opera teatrale del 1975, La classe morta, e cioè Gli
Imballaggi.
Evoluzione artistica
Kantor molto spesso ha scoperto autonomamente un determinato sistema di
creazione artistica, anticipando anche delle tendenze successive. Possiamo
fare questa ipotesi per quanto riguarda gli Ambalaze, gli imballaggi, che non
devono ridursi all’idea che abbiamo di certa Arte Povera; lo stesso vale anche
per le opere pittoriche degli anni 50’ di Kantor che potrebbero essere
ricondotte a opere Post-Cubiste e Surrealiste, correnti che hanno influenzato i
primi anni della sua produzione artistica ma che Kantor ha saputo rielaborare
inserendole nel proprio mondo, in modo del tutto originale.
L’Arte Povera, termine coniato da Germano Celant per desinare le opere di
un gruppo di artisti prevalentemente torinesi ( Merz, Zorio, Anselmo, Boetti)
1
i quali attorno al ’66 misero a punto una serie di opere e di operazioni basate
sull’uso di materiali “poveri” (brandelli di stoffa, legno, gesso, paglia, terra,
ecc.) per poi confluire nelle correnti concettuali coeve.1 Questa arte, in realtà,
non ha nulla di povero, soltanto la scelta dei materiali è povera, ma in realtà è
un genere d’arte elitario, legato al concettualismo per gallerie importanti,
musei e un pubblico raffinato.
Per Kantor è l’esattamente l’opposto. Il concetto di povertà è alla base della
sua visione artistica, per lui l’Objet trouvèe è qualcosa di appartenente alla
dimensione povera di alcuni momenti della sua esistenza e del suo popolo,
dove la sopravvivenza era legata a quel poco che si riusciva a trovare, una
povertà vissuta a causa delle ridotte possibilità economiche del periodo
storico: due invasioni, persecuzioni, guerre. Kantor abbraccia un lungo
periodo travagliato per la Polonia e la sua opera ne risente, ritroviamo le
tracce nel suo percorso artistico e gli Imballaggi ne sono, secondo me,
l’emblema.
“Per lui la ricerca di materiali “Poveri” (es. Bisacce, ombrelli, i sacchi impastati di vernice e
colla) corrispondeva ad una effettiva condizione di miseria economica della Polonia di
allora e delle risorse di cui l’artista poteva avvalersi”2.
Una riflessione a questo proposito va fatta pensando all’ambiente scarno e
volutamente desolato della Classe Morta e di Wielopole Wielopole, per rendersi
conto come la sua situazione esistenziale corrisponda ai suoi ricordi infantili.
Secondo Dorfles è un errore considerare gli “imballaggi”, e in genere i collages
“poveri” di quegli anni, come analoghi agli Objets Trouvées di Duchamp
oppure ai tanti oggetti assurdi elevati a dignità artistica dal primo Dada;
mentre, all’opposto, Bablet, nell’introduzione al Teatro della morte, ribadisce
il legame stretto con lo stesso Duchamp:
“Kantor è ossessionato dalle relazioni fra l’arte e la vita, fra l’arte la realtà e l’oggetto […]
Ma l’annessione della realtà, la “cattura” dell’oggetto, non sono solo il senso della ricerca
artistica. Kantor toglie all’oggetto di cui si impadronisce il suo significato originale, la sua
funzione d’uso, il suo simbolismo, per ridurlo alla neutralità della sua concreta autonomia
[…] La ricerca di Kantor si affianca così a quella di Duchamp: ricordiamoci la Fontana-
1
2
Dorfles G., Ultime tendenze nell’arte d’oggi, Dall’Informale al Neo-oggettuale, Feltrinelli, 2008
Kantor Tadeusz, La mia Opera Il mio viaggio, Federico Motta Editore.
2
orinatoio del 1917, il prodotto fabbricato scelto e del tutto ribaltato rispetto al significato
primitivo, ricordiamoci dei ready-made.” 3
A questo proposito Kantor, durante il ciclo di lezioni che tenne nella scuola
Paolo Grassi di Milano, afferma di quanto sia stata importante, determinante
la scoperta di Duchamp del 1916, quando:
“Compare l’oggetto STRAPPATO dalla REALTA’ della VITA, PRIVATO della sua
FUNZIONE VITALE CHE COPRIVA LA SUA ESSENZA, LA SUA OGGETTUALITA’.
Ciò avvenne nel 1916. Lo fece Marcel Duchamp. Egli spogliò l’oggetto di ogni senso
estetico. Lo chiamò: L’OBJET Prêt. Un oggetto puro. Si potrebbe dire: ASTRATTO!”4
E’ molto importante soffermarsi su quelle che sono le radici profonde alla
base della sua produzione artistica, perché possiamo capirne i riferimenti,
l’evoluzione e il suo Modus Operandi del tutto originale, che sfiora quasi tutte
le tendenze artistiche del 900, costruendoci un percorso di vita. Dall’analisi
delle opere artistiche di Kantor, secondo me, troviamo un Uomo che vive la
realtà, cioè le vicende storiche-sociali del suo popolo attraverso una
sensibilità derivata da una sofferenza e tristezza quasi illuminante e presente,
come a voler ribadire, con la forza delle sue opere, che < ci siamo anche noi >
nella storia, nel mondo, < ne siamo parte > e ne prende atto, attraverso ciò
che più gli è congeniale e che lo circonda, tenendo presente anche le nuove
tendenze, che in altri paesi dettavano la moda e i costumi, mentre nel suo
paese, martoriato, aiutavano a vivere, anzi sopravvivere. Kantor stesso dice
che per lui, l’incontro con gli Objet Trouvée:
“non era come a Zurigo, dove si faceva anche un po’ di estetismo, al Cabaret Voltaire, e
come certo avveniva durante la I° guerra mondiale tra i liquori e i fumi del famoso caffè
zurighese..”5
E’ qui la differenza con i movimenti artistici del periodo, una differenza
sostanziale, secondo me, nelle opere di Kantor sia negli Imballaggi, nei
manichini di Wielopole, o nelle croci oppure nelle pseudo-macchine mortuarie,
dove la <vera> morte è sempre in agguato, dove sempre veniva esorcizzata,
ma Mai dimenticata. Ed è da questo suo mondo, dal suo vivere nasce il
concetto base della concezione di Kantor ossia la scelta di oggetti di Rango
Kantor Tadeusz, Il Teatro della Morte, materiali raccolti e presentati da Denis Bablet, Ubulibri, pagg.25-26
Kantor T., Scuola elementare di teatro, Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi, Ubulibri, pag.15
5 Kantor T., La mia opera, il mio viaggio
3
4
3
Inferiore. Importante comprenderlo per avventurarsi nel suo viaggio,
attraverso la vita e comprenderlo. Si può dire, quindi, che per Kantor La
Povertà, la Pauvreté sia per molto tempo e forse definitivamente il soggetto
della sua arte.
In pittura tra il 1954-1959, Kantor inizia il suo approccio all’Arte Informale,
che diventerà poi materico agli inizi degli anni ’60, per rendersi conto di
questo passaggio fondamentale del suo percorso, possiamo prendere in
considerazione :
Materia:




107. Peinture, 1959
108. Peinture, 1962
Dipinto in Svezia, 1961. Terra: rocce e sassi. Cielo: Arcigno.
Amburgo : Peinture 1961
Siamo agli inizi degli anni 60’ e Kantor approda al teatro informale ed è con
l’informale che viene sancito l’obiettivo di un opera d’arte che prescinda del
tutto dalla necessità di attenersi a degli schemi strutturali e che invece
consiste nel puro esistere e manifestarsi degli elementi che lo compongono.
Come diretta conseguenza si avrà che il gesto o un comportamento sottratti al
loro ambito possano essere elevati a dignità estetica. Questo rappresenta un
momento determinante del percorso di pittore e uomo di teatro in quanto fa
emergere il concetto di Materia, come entità di per sé significante. La Materia è
si il denso strato di colori sul quadro, le tele bruciate e le plastiche ritorte ( in
questo periodo Kantor guarda a Burri) ma è anche, in un’accezione più
estesa, l’insieme di oggetti, di stati fisici, di intenzioni, di configurazioni dello
spazio fisico che concorrono a formare < l’impasto fisico primario della
realtà >, così scrive Kantor a riguardo:
“Una materia non governata dalle leggi della costruzione
Costantemente mutevole e fluida,
inconoscibile con qualsivoglia mezzo razionale,
che rende ogni sforzo, teso a darle una forma solida,
ridicolo, inutile e senza risultato,
4
che costituisce piuttosto una manifestazione
accessibile solamente alla forza di distruzione
del capriccio e dell’azzardo.6”
La trasposizione di questo concetto, sulla scena teatrale, lo troviamo nella
messa in scena che Cricot 2 realizza nel 1961, una pièce di S.I. Witkiewicz,
Una tranquilla dimora di campagna7, dove il contatto con la Materia dava al
gesto e alla decisione umana una nuova definizione.
Dalla Materia all’Oggetto all’Imballaggio!
Il gesto, per Kantor, diventava un rituale simbolico. Sentiva avvicinarsi come
una sorta di minaccia verso i valori più profondi dello spirito umano che
occorre difendere, secondo lui, dalla distruzione, dal tempo, dalle primitive
sentenze del potere, da ottuse inquisizioni ufficiali, prendendo una decisione:
Imballare! Conservare!
“E’ proprio questa CARATTERISTICA PROFONDAMENTE UMANA DISTINGUERA’
LA MIA OPERA dalle altre affini; affinità solo apparente, perché quelle non erano che
operazioni puramente estetiche o comuni, volgari plagi”. 8
Secondo Kantor l’Uomo nasconde anche a se stesso alcuni aspetti della sua
natura, che non vuole Mostrare a nessun costo perché Mostrare significa
sempre Diminuire, Indebolire. L’uomo nasconde tutto ciò che è l’essenza
profonda della sua vita, la forza che la fa durare, il suo passato, che è sempre
la cosa più cara, il ricordo dei suoi affetti, il suo Dio. L’Imballare, il
nascondere quindi è un voler custodire, anche nella Morte, il corpo viene
nascosto in bare e sepolcri. In questo istinto originario è contenuto un
concetto puro di “interno”. Invisibile, minacciato dal mondo esterno, ostile.
Dove la parola EMBALLAGE assume una risonanza ancora più profonda,
come uno stato d’incantesimo che si ritrova anche nel passato più remoto e a
questo proposito Kantor aggiunge:
“…come se una MANO avesse vergato fin dall’inizio il Libro delle Sorti della mia vita. E io
non facessi altro che sfogliarne, una via l’altra, le pagine: Emballage-1944- di Ulisse, l’eroe
omerico, feci un qualcosa di avviluppato-imballato-nei suoi miseri cenci…”9
Questo in sintesi è il concetto espresso nel Manifesto di Kantor del 1963:
Ivi, p. 57
Questa messinscena verrà ripresa, con certi cambiamenti, nel 1966 a Baden-Baden, nello spettacolo
intitolato L’Armadio.
8 Kantor T. La mia vita, la mia Opera.
9 Kantor T. La mia Vita, la mia Opera
6
7
5
“Imballaggio: il fenomeno in questione oscilla tra l’ETERNITA’ e la PATTUMIERA.
Diventiamo testimoni di una clownerie particolare che scherza con il pathos e con il
pietoso disfacimento […] che diventa un rito!10
Nel descriverci questa operazione, che Kantor definisce Rituale, ci vengono
sottolineate alcune tappe fondamentali: Il Piegamento, L’allacciamento e
l’Incollaggio. Vengono sottolineate le sue possibilità emozionali, così
descritte: la Speranza, il Presentimento, le Tentazioni, il gusto dell’ignoto e
del segreto; aggiunge che quando si vuole trasmettere qualcosa di molto
importante ed essenziale, qualcosa di proprio, quando si vuole salvare
qualcosa ed assicurarsi che duri nel tempo e quando si vuol nascondere
qualcosa profondamente. Questi i presupposti, i fini ed i pensieri che hanno
ispirato Kantor nel suo proceder verso questa nuova dimensione artistica e se
vogliamo spirituale. Da questo suo preservare, nascondere verrà l’ispirazione
e il conseguente approdo allo Happening11. Ed è per questo che tutta la serie
degli Ambalaze (attorno agli anni ’60 -’68) costituisce quasi un percorso della
vita Kantoriana verso quello che sarà il teatro della Classe Morta, di
Wielopole-Wielopole, di Crepino gli artisti.
In alcuni di questi imballaggi predomina:
 IL Colore
 La ricerca di effetti materici ( Emballage Pictural del ’66, “Le soleil timbré”
del ’67)
 In altri la decisa volontà di assumere elementi industriali entro la
matrice del dipinto ( “Torby przemyslowe” 1964)
 In altri ancora l’ammissione, entro il collage, di figure prese in prestito
da altre opere d’arte ( Velazquez ’65; Goya)
 Oppure usando la collaborazione del pubblico (“Signez s’il-vous-plaît
’65)
Tra quelli più significativi di un connubio intenso e patetico tra dato
autobiografico ed espressione artistica:
 “Portretmatki”
Ivi, pag. 15
Happening (accadimento): una forma artistica basata sulla estemporaneità dell’azione, spesso gestuale, o
legata ad interventi sulle cose, e accompagnata da azioni di tipo teatrali, mimico, pittorico, musicale (
Kaprov, Pistoletto, Pajk)
10
11
6
 “Autoportret”, dove l’elemento personale riesce a trasformarsi in opera
universalizzata.
Gli Imballaggi, quindi, sono proceduti ed intervallati da alcuni Cicli, così
definiti da Kantor, che ne pongono le premesse , come:
 gli Atràpy ( burattini) Uomini Posticci, ’61, “Ludzieatrapy” ’61. Questi
burattini umani, ricorrenti in molti disegni e dipinti dove figure umane
contorte, già divenute relitti appaiono appese alle grucce come vecchi
abiti smessi.
 Ciclo Zero, zero come niente dove tutto è appeso ad un filo.
 Ciclo degli Ombrelli, il più originale, scrive Dorfles:
“Nessuno, credo, prima aveva visto nel modesto e sgangherato parapioggia, queste
caratteristiche insieme umane, vegetali, animalesche.”12
Ombrello, qui, imbevuto di colla e spiaccicato sulla tela colorata, è insieme un
dipinto affascinate per i suoi colori acidi e grezzi, ma è anche L’Emblema
della vita recisa, d’un destino spento d’un volo stroncato dalla Morte; dove
Kantor è riuscito a conferire dignità artistica ad un oggetto mai utilizzato
come modello e credo che in questa sua scelta sta, appunto, la sua poesia
intima e personale, dove ritroviamo principi già visti ma basilari come la
Pauvrété. Per questo il ciclo degli Ambalaze costituisce quasi il percorso della
vita di Kantor verso quello che sarà il suo Teatro.
Quindi possiamo estrapolare dal suo percorso artistico-pittorico quelli che
sono alcuni dei riferimenti di base del suo futuro teatro, che possiamo così
riassumere:
1944→ Il teatro Indipendente. L’OGGETTO:
“Era il 1944, anno in cui estrassi, dalla realtà vivente, un OGGETTO e gli attribuii il rango
di Opera d’Arte, La RUOTA INFANGATA di un carro di campagna e una vecchia asse di
steccato. L’Oggetto aveva una caratteristica, la stessa che avevo io: il marchio della
povertà! Niente a che fare con l’Estetica!”13
1957→ ATTORI
12
13
Kantor T. La mia vita il mio viaggio, introduzione di Dorfles G.
Ivi, pag 110
7
1962 → SACCHETTI
1963 → IMBALLAGGI
“Sui quadri collocavo e immobilizzavo lettere, plichi con gli indirizzi degli amici a cui non
sarebbero mai giunti”14
1965→ la POSTA e Primo Happenig-cricotage a Varsavia, con il gruppo di
srtisti legati alla Galleria Foksal
1967 → La Lettera, “happening-cricotage”.Dall’ufficio postale di Varsavia parti
un corteo con Uomini VIVI e pacchetti, valigie, sacchi industriali.
IMPACCHETTAMENTO DI UOMINI VIVI, Varsavia e Basilea.
1968→Happening Omaggio a Maria Jarema alla Galleria Krzysztofory.
1969→ Il Teatro impossibile e 1971→ Imballaggi concettuali
1972-73-74→ Tournée importanti in tutta Europa con il Cricot 2
1975→ Grande mostra retrospettiva al Museo d’arte di Lodz ( Gli Imballaggi
1960-1975).
Crea, con il Cricot 2, a Cracovia, La Classe Morta e pubblica il Manifesto
Il Teatro della Morte ( Varsavia, Galleria Foksal).
Mi sembra importante concludere questo saggio ricordando, con le parole di
Kantor stesso del 1963, la descrizione, il nesso tra il SUO Teatro e i SUOI
Imballaggi:
“Siamo nel 1956. A Cracovia nasce un teatro sperimentale, il Cricot 2. Cercavo delle
disposizioni che fossero artificiali, cioè che avessero delle possibilità di autonomia. Sulla
scena, camminare è senza dubbio ciò che c’è di più naturale. Naturale fino alla noia. Mi
succedeva di non vedere sulle tavole del palcoscenico nient’altro che gambe. Senza alcuna
espressione. Importa eliminare, “cancellare” alcune parti di un oggetto, renderle invisibili,
permettere solamente che le si supponga, le si indovini. Gli antichi maestri conoscevano
perfettamente questo principio. Tutta la scena fu dunque ricoperta da una specie di sacco
nero, enorme. Tutti gli attori si trovarono dentro il sacco, insieme a un certo numero di
comparse. Spuntavano da piccole aperture, ed erano visibili all’esterno solo la testa e le
14
Ivi, pag. 122
8
mani degli attori, e una quantità di mani di comparse. Le teste talvolta allontanavano le
une dalle altre, talvolta si avvicinavano. Quanto alle mani, si agitavano e “vivevano” vite
proprie e totalmente autonome. … In un’altra pièce gli attori non si vedevano del tutto.
Rimanevano imprigionati nel sacco. La fodera di un tale imballaggio, talvolta ondeggiante,
altre volte tesa, trasmetteva con forza delle suggestioni enormemente accresciute dai
conflitti sviluppatesi all’interno, e sapeva renderli nelle sfumature più sottili”15.
Questa è l’essenza della sua arte, sia essa pittorica, artistica che teatrale, lui
stesso sosteneva che bisognava sopprimere tra le arti le frontiere rigide
consacrate dalla tradizione e che il loro attraversamento non solo è
autorizzato ma, in molti casi, salutare.
BIBLIOGRAFIA
Dorfles G., Ultime tendenze nell’arte oggi, Feltrinelli, Milano 2008
Dorfless G., Vattese A., Novecento e oltre, in Storia dell’Arte, Vol.4, Atlas,
Bergamo 2009
Gedda L., a cura di, Kantor Protagonismo registico e spazio memoriale, Titivillus,
Corazzano (PI), 2007
Kantor T. La mia Opera, Il mio Viaggio, Federico Motta Editore.
Kantor T. Il Teatro della morte, Ubulibri, Milano 1977
Kantor T. Scuola elementare di teatro, da Lezioni Milanesi, N° 1, Ubulibri.
Palazzi R., Kantor La materia e l’anima, Titivillus, Corazzano (PI) 2010
15
Kantor T., Il teatro della Morte, Ubulibri 1977, pag.74
9