Ricantare la celebre opera di Mozart a cappella, con i rumori e le

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Ricantare la celebre opera di Mozart a cappella, con i rumori e le pernacchie che fanno i bambini e
un'espressione imperturbabile sul volto. E' l'ultima trovata de I Sacchi di Sabbia, la compagnia
tosconapoletana che riporta nei capolavori della lirica un po' di sana trivialità. In un impeccabile
completo scuro, una figura maschile, magra, dai tratti daliniani, accoglie il pubblico in silenzio, al
centro d’una scena spoglia. Unici arredi, uno schermo sul fondo e, qualche passo più avanti, un doppio
gradino di legno. Impettito, l’uomo in completo scuro reca con sé una borsa a tracolla, in compunta
attesa che il pubblico prenda posto e cessi l’ordinario brusio precedente le performance teatrali. Buio.
Una voce fuori scena, femminile e neutra, fornisce una scarna sinossi del Don Giovanni, citando
situazioni e snodi del capolavoro di Mozart (e Da Ponte): alle parole diffuse dalle casse corrispondono i
movimenti secchi e ben portati dell’uomo, sorta di stewart aeronautico. L’espressione imperturbabile,
rapportata ai gesti e alle frasi in sottofondo, genera risate ora timide, ora più sonore, ora deflagranti:
terminata l’esposizione della trama, o argomento che dir si voglia, si può dunque iniziare.
Entrano sei figure: i due maschi prendono il posto più in fondo; di fronte a loro, le due coppie di
ragazze, disposte su altrettanti gradini. Tutti vestiti da scolaretti, camicina bianca, calzoni al ginocchio
scuri o gonna d’uguale stoffa e lunghezza, reminiscenze quasi deamicisiane (ma a quei tempi le classi
erano separate), tocco rétro che sorprende e diverte la sala. Giulia Solano, la prima in basso alla sinistra
del pubblico, caccia un minuto flautino per dare il la e, armata di bacchetta da direzione orchestrale,
batte il tempo.
Le sei gole si aprono. Concerto. Sconcerto. I figuranti biancovestiti intonano un coro d’onomatopee,
inciampi vocali, stridii nasali fusi in una plastica sonora da lasciar interdetti. Per il primo minuto buono
il pubblico è basito: "È lui o non è lui?", viene da chiedersi e la risposta - appena l’orecchio s’adusa alle
impennate virtuosistiche della partitura del Wolfango- non può che essere affermativa. L’Ouverture si
snoda, flessuosa, innervata di modulazioni che, non rinunciando all’umorismo sottotraccia del suo
magistrale autore, lasciano comunque presagire la cupezza tragica della vicenda: e questi cantano come
sei adulti che una felicissima regressione infantile ha ricondotto nel ventre molle e accogliente della
lallazione. Il pubblico capisce, sente, si sintonizza sulla frequenza di questo spiazzante dissoluto punito
e le risate giungono puntuali come temporali monsonici: prima scrosci timidi, cui seguono ondate
d’irrefrenabile orgasmo comico.
E sia chiaro: l’adattamento a sei voci (che spesso sono tre, accoppiate) è gustoso, nient’affatto
dilettantesco; rispettoso, anzi, di taluni incastri metrici e melodici, al punto da non evidenziare le
inevitabili mancanze rispetto a un’esecuzione orchestrale. Merito anche delle facce. Sì, delle facce:
affilate, serie, secchioncelle, quelle in prima fila (con la già citata Solano, una meravigliosa Giulia
Gallo), più morbide Arianna Benvenuti e Maria Paciosi, semplicemente irresistibili Matteo Pizzanelli e
Federico Polacci. L’uno, tenorile e aereo, mimica sottile e tempi comici nei rapidi cenni del volto,
l’altro serafico, placido, baritonale, dotato d’una grazia paradossale e felice nelle ciglia spioventi: un
perfetto Perozzi-Philippe Noiret nell’indimenticabile esecuzione madrigalista di Amici miei – atto
secondo.
Esaurito il prologo sinfonico, ecco che lo schermo riporta le parole del dramma musicale, cui
s’accoppiano in un felice matrimonio d’amore, i versi e versacci dei nostri cantanti rumoristici. È un
Don Giovanni pulsante, vivo, strappato a certi (non sempre) barbosi consessi lirici. E vien da urlare:
"Questo è Mozart! (e Da Ponte)", ricreato nella sua spinta inguinale, nel suo spiritaccio malizioso, nella
corrosiva potenza di un estro incontenibile. Ma non solo: c’è Zappa in questa performance che è teatro,
lirica, musica, lo Zappa di certe direzioni orchestrali, lo Zappa di certi boleri raveliani, rispettati
profondamente, eppure smontati dall’interno come i giocattoli dai bambini curiosi.
l rischio è - sarebbe - la lunghezza, ché un gioco (e non uno scherzo) simile ha un tempo endemico:
Giovanni Guerrieri cesella però ottimamente una riduzione che niente tralascia pur snellendo il tutto.
Le altre trovate sono gag, sempre ben portate, a mo’ di variazioni sul tema, secondo un’ottica musicale
ancor più carsica e indovinata.
S’arriva in fondo ricreati, nell’umore e nei muscoli, felici che una compagnia quale i Sacchi di Sabbia
resti sempre in grado di stupirci, di evitare le strade battute e che dimostri ancora, se ve ne fosse
bisogno, che la fedeltà massima a un’opera d’arte si esprime soltanto in una miracolosa e necessaria
reinvenzione.
Igor Vazzaz, Il Giudizio Universale, 12 luglio 2010
Segue il Don Giovanni di W. A. Mozart, progetto de I Sacchi di Sabbia sull’opera del genio di
Salisburgo, in scena per la malsana idea di Giovanni Guerrieri. Malsana perché io mi domando come
abbia fatto a pensarci, quale percorso della mente conduce a ripensare una partitura di musica e libretto
per un sestetto armonico che ne interpreta la storia e insieme lo spirito, con straordinaria aderenza alla
lucentezza argentina della musica mozartiana. Ne nasce uno spettacolo divertente e dinamico, il cui
corpo immaginifico passa attraverso la voce ed è festante, stimola le estremità del coinvolgimento, ma
senza perdere nell’opportuna sobrietà espressiva. In tutta sincerità una riflessione: questo lavoro è
frutto di una suggestione intellettuale, di sicuro, anche perché la sala che io vedo senza dubbio non
straborda di melomani o esperti di librettisti di fine ‘700; la gestazione dell’opera è dunque di stimolo
concettuale, ma la foce del fiume arriva al mare largo del teatro popolare, perché il pubblico apprezza e
applaude allo sfinimento un coro vocale interprete di un’opera non certo destinata a quel che si pensa
solitamente del pubblico moderno, che crediamo del tutto asservito ai canoni televisivi di ascolto e
reazione, e lo fa per puro godimento intellettuale. Popolare – lo dico anche a me come a tanti che
pontificano sul teatro contemporaneo – non vuol dire ignorante.
Simone Nebbia, Teatro e Critica, 12 settembre 2010
Un Don Giovanni versione mugugnante - Short Theater, la rassegna a cura di Fabrizio Arcuri, si è trasferita
dall' India alla Pelanda e ne ha conquistato ordine e snellezza. Tra i tanti appuntamenti quello con
Sacchi di sabbia, un gruppo diretto da Giovanni Guerrieri. Guerrieri è un tipo strano, lo si direbbe un
sopravvissuto degli anni Settanta, barba e capelli sempre più lunghi. È giovanissimo e vanta una
concezione familistica non solo del teatro ma anche della vita personale, fa coincidere l' una con l' altro
- come si vede nel suo spettacolo di maggior successo, quello dedicato a Sandokan. Prerogativa
stilistica sua è di prendere un testo classico e appenderlo per i piedi ai ganci dell' ironia o, per meglio
dire, della sua voglia di divertirsi. Lo fa usando sempre lo stesso sistema, appunto rendendo familiare
ciò che può essere lontano, riducendo le proporzioni, rendendo domestico l' inaccessibile. Con il «Don
Giovanni» di Mozart lo fa in due modi. Lo spettacolo (troppo lungo, dura cinquanta ripetitivi minuti) si
intitola «Don Giovanni di W.A. Mozart» e ha un sottotitolo che è un programma: «Ein Musikalischer
Spass zu Don Giovanni». Quella parola, spass, è già uno spasso che preannuncia quello che verrà. Nel
primo tempo (o modo) lo stesso regista si presenta da solo in scena e in cinque minuti riassume l' opera
che vedremo con piccoli, esilaranti gesti: come fosse un muto che si rivolge a un pubblico di sordi, che
tuttavia ridono. Il secondo tempo (o modo) è la sostanza dello spettacolo. Su una pedana a tre scalini
salgono sei attori, quattro femmine e due maschi. Indossano divise da collegiali, bianche e nere, con
calzoni corti, gonne lunghe, calzettoni. Non recitano, non cantano. Ma mentre su una tenda alle loro
spalle scorre il libretto di Lorenzo Da Ponte, i sei all' unisono costruiscono una nuova partitura
mugugnante. Essa vuole riprodurre i rumori degli strumenti, addentrandosi in una versione
«pionieristica» dell' opera. Le «tragicomiche espressioni facciali» dei sei giovani interpreti, così seriosi,
sono obiettivamente divertenti. Si tratta della consueta ironia di Guerrieri, d' uno sberleffo, ma anche,
per quella sua grazia, d' una prova di devozione.
Cordelli Franco, Corriere della Sera, 15 settembre 2010
Quello che state per vedere ora è un piccolo gioiello. Vedrete una sintesi del Don Giovanni: il
sottotitolo che viene messo è “Ein musikalischer Spass”, uno scherzo musicale, un titolo di Mozart per
un lavoro scritto esattamente mentre Mozart scriveva il Don Giovanni, nel 1787, anch'esso in re
maggiore. Uno scherzo in cui Mozart rappresentava i musicanti del villaggio con tutte le stonature, le
approssimazioni, la mancanza, per così dire, di civiltà musicale che poteva essere rappresentata da un
gruppo, da un sestetto di Dorf Musikanten, musicanti di villaggio. Questo titolo è stato ripreso dalla
compagnia I Sacchi di Sabbia, di cui ho qui davanti il regista Giovanni Guerrieri, che ha ricostruito per
sei voci sole -che sono voci di attori si badi bene, non di musicisti- la partitura del Don Giovanni,
attraverso degli estratti. Ne risulta una specie di selezione, che vi dà il percorso dell' intera opera in
modo straordinariamente efficace, ma soprattutto straordinariamente ironico. Attraverso queste note,
che sono le note di Mozart, affidate appunto non ai professionisti della musica, ma ai professionisti del
teatro, che le rivivono dall'interno, con un privilegio accordato ad un elemento in particolare,
reinventato in questo caso, ma anche tutto sommato fedelissimo, che è proprio il contrappunto, perchè
sono sei voci in perfetto contrappunto, voi avete in qualche modo un estratto, o meglio ancora,
l'essenza giocosa sul Don Giovanni. L'operazione non vuole essere un prendere in giro il Don
Giovanni, ma piuttosto un atto affettuoso, un atto d'amore verso questo simbolo stesso della perfezione
del teatro e della musica unite in un connubio irripetibile, da parte di chi la musica la vive con amore,
ma non con quell'incubo quotidiano di chi la musica la fa da professionista. Ed il teatrante, con il suo
amore verso l'oggetto musicale, che è anche oggetto di teatro, ha quindi ha tutto il diritto di potersene
appropriare e creare questa piccola riscrittura che vi assicuro è divertentissima, perchè attraverso un
gioco fatto, in certi casi, anche di rumori, fotografa in modo indelebile i caratteri dei personaggi
dell'opera che poi sono, come abbiamo detto fino ad ora, i caratteri dell'umanità. Dentro ogni spettacolo
di teatro altro non c'è se non noi che ci vediamo allo specchio attraverso quelle defomazioni che
l'autore allo specchio ha voluto dare.
Alberto Batisti, conferenza al teatro del giglio di Lucca, ottobre 2010
È una delizia il Don Giovanni di W. A. Mozart che la Compagnia I Sacchi di Sabbia ha presentato al
teatro Godetti per l’affastellatissimo Festival Prospettiva 2. La creazione di Giovanni Guerrieri (che
non è mio parente) offre allo spettatore un’esecuzione del capolavoro mozartiano che più pazzesca ed
esilarante non potrebbe essere.
In scena arrivano 6 cantori. Come scolari, si dispongono a coppia, allineati e coperti. E che fanno?
Cantano? Ci mancherebbe. Il sestetto non è formato da tenori, baritoni, soprani. I sei sono attori a tutti
gli effetti che però, fra i loro talenti e prerogative, coltivano anche il canto. Il canto a cappella, ossia
quella specialissima esecuzione con la quale le voci riproducono anche il suono degli strumenti. È
perciò strumentale il “Don Giovanni” dei Sacchi di sabbia: una esecuzione sommaria, per nuclei, per
situazioni. L’opera c’è tutta, anche se in forma episodica. Ci sono Don Giovanni, Leporello, Donna
Anna, il Commendatore, c’è il famoso catalogo di conquiste amorose, c’è la cena spaventosa col
convitato di pietra e c’è con un effetto speciale che non si accetterebbe neanche dal teatro delle
marionette, l’inferno che, tra fiamme e fumo, si spalanca e ghermisce il dissoluto.
L’azione è tutta racchiusa nei dialoghi di Da ponte. Li vediamo scorrere sullo schermo alle spalle del
sestetto e ci fanno da bussola nel racconto indipendentemente dai 6 che sembrano andare serafici per la
loro strada con miagolii di violino, pe-pe-pe di trombe, booo-booo di bassotuba. Per emettere i loro
suoni, per trasformarsi in orchestra, i 6 sono costretti a storcere la bocca, a gonfiare le gote, a stringere
le labbra a cul di gallina. Insomma, la soavità mozartiana nasce da una serie illimitata di boccacce e di
contortimenti facciali, che dal sublime offrono il lato trash, volgare, buffonesco, patologico. C’è un
momento in cui uno dei coristi sembra cogliere l’assurdo nel quale nuota e si chiede: perché devo
continuare a fare booo-booo? Ma perché questo è il teatro, bellezza.
Osvaldo guerrieri, la stampa, 10 novembre 2010
Dopo aver pregato gli spettatori di spegnere i cellulari, la voce registrata racconta la trama del Don
Giovanni di Mozart mentre un spilungone commenta ogni passaggio coi gesti che farebbe uno stewart
per indicare le uscite di sicurezza dell'aereo o le maschere d'ossigeno. Dopo di che entrano in scena
quattro bambinacce con due loro compagni, tutti in divisa da collegiali, e si mettono a bofonchiare,
pernacchiare, abbaiare, miagolare ogni nota dell'ouverture. Lo strampalato coro a cappella è
intonatissimo, si diverte perfino a enfatizzare le pause fingendo d'incepparsi, sgangherando bocche e
strabuzzando gli occhi. L'effetto è davvero irresistibile, specie quando poi attacca con le arie e i
recitativi, illustrati dalle didascalie del libretto su uno schermo. Se ne sentono di tutti i colori, con le sei
facce da matti da legare che strappano al pubblico risate continue e non fanno certo rimpiangere la
mancanza di rappresentazione. Sono pochi e misuratissimi gli effetti teatrali, una estemporanea palla da
tennis che cade da una tasca bloccando l'esecuzione, le pile accese sotto i volti nella scena del cimitero
mentre si sentono battere i denti dal terrore, un vetro smerigliato dietro cui canta il Commendatore nel
finale. Quanto a vocalità, i sei riescono a spaziare dagli stridii altissimi dei violini e dei flauti fino alle
più cupe sonorità degli ottoni, perennemente impeccabili e beffardi. Folgorante l'evocazione di Donna
Elvira con un abbaiare da cagnetta furibonda. Di certo è il Don Giovanni più strano e imprevedibile che
si possa vedere. Il merito di questo spettacolo di straordinario divertimento (dura cinquanta minuti) va
alla compagnia toscana I Sacchi di Sabbia. Li abbiamo visti al Teatro Crt di Milano (erano già stati
ospiti del Teatro Stabile di Torino) ma meritano di essere inseguiti nella loro tournée di febbraio: 11 a
Spello, 12 Palaia (Pisa), 25 Vicenza, 26 Mira (Padova). Poi a Bologna il 20 giugno. Ci sarebbe tuttavia
da augurarsi una loro presenza in un festival mozartiano!
Stefano Jacini, Il giornale della Musica, gennaio 2011
Capriccio per “boccacce e rumorini”. Peccato non sia una partitura scritta: sarebbe piaciuta ai futuristi
la rivisitazione del mozartiano Don Giovanni fatta da I Sacchi di sabbia/Compagnia Sandro Lombardi
che sta girando nel circuito di prosa; senza aver ancora trovato un piccolo teatro d’opera (basterebbe il
foyer, in realtà) disposto ad ospitare questo ghiotto e comico estratto tascabile. Non parodia. Lo
spettacolo, pardon il “progetto” di Giovanni Guerrieri, Giulia Solano e Giulia Gallo, è una sorta di
gioco-provocazione al cubo. I sei giovani attori, non cantanti d’’impostazione vocale né musicalmente
istruiti (tranne una che fa capire al pubblico di essere il direttore), cantano la traslitterazione rumoristica
del Don Giovanni, esibendo per un’ora pubblicamente quelle lallazioni e sillabismi che sono
tipicamente private: poroppopò, lalalà, zazazazazzà e via dicendo. Ovvero, ci sono sei cantanti senza
voce intonata che recitano alcuni celebri numeri di Don Giovanni: con lazzi, occhiatacce, stralunamenti
di bocca, brevi siparietti – in stile cinema muto e Gavioli (quello della Linea) – in cui dialogano in
silenzio con i testi dapontiani (o ciò che ne resta) proiettati a mo’ di fumetto-didascalia sulla parete a
fianco al doppio gradino su cui i 6 sono appollaiati in formazione stretta e uniforme da collegiali (o da
jodleristi?) Ovvero, c’è un goliardico gruppo madrigalistico a sei voci a “ cappella” che canta
strumentalmente Don Giovanni: evoca un’immaginaria colonna sonora, interpreta-storpia parole e
musica (Donna Elvira che miagola-guaisce-abbaia le note di Mozart contro Leporello è un’idea
interpretativa strepitosa, ma non è l’unico episodio in cui la comicità musicale pura chiosa il senso
dello spartito), evoca recitativi, arie, strappate orchestrali, gesti e rumori di scena non sempre edificanti.
E senza perdere tempo fa capire al pubblico non operitstico di che razza di capolavoro si parla. Don
Giovanni, anzi “Ein musikalischer Spass zu Don Giovanni”, è insieme atto d’amore, bignamino e
gioco. E gli spettatori capiscono benissimo l’uno e l’altro (la selezione comprende sinfonia, I scena e
alcune arie celebri e assieme, e ricostruisce un’esauriente compressa dell’intera storia, “ingluviamento”
infernale e morale inclusi), ammirando la precisione degli attacchi, il ritmo, la durata e il numero giusto
delle gag, l’abilità “esecutiva” e di coreografia facciale dei sei. Se non ci credete, su Youtube c’è un
promo: rende l’idea. Ma se passa nelle vicinanze non perdetevelo e spargete la voce. E non arrivate in
ritardo: lo Spass è preludiato da una fulminea gag 8se lo sapessero a Zelig) in cui, sulla voce fuori
campo che riassume-comprime la vicenda dell’opera con timbro e sintassi da hostess, un tizio
allampanato e peynetiano, “illustra” mimando le fasi della vicenda dongiovannesca con la segnaletica
gestuale, e alcuni oggetti ben noti a chi viaggia in aereo, di un’improbabile assistente di volo.
Angelo Foletto, Classic, marzo 2011
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