Affrontiamo con serietà i negoziati sul clima

Affrontiamo con serietà i negoziati sul clima
Articolo del presidente Mikhail Gorbaciov, pubblicato dall’International Herald Tribune - New
York Times
, in vista del vertice mondiale di Cancun
Ho passato l’intero mese di agosto a Mosca. Coloro che si sono trovati nella capitale russa in
quel periodo non dimenticheranno mai la quantità di fumo presente anche nelle regioni limitrofe
e proveniente dagli incendi che hanno soffocato la città per settimane.
Mosca sembrava immersa in una realtà alternativa. Persone, piante, animali - tutto portava
l’impronta della sofferenza, della frustrazione e della paura.
Fino a poco tempo fa, molte persone in Russia, inclusi i membri dell’elite politica, parlavano in
termini scettici del riscaldamento globale, con sdegno verso i dati scientifici. Oggi il loro numero
si è ridotto.
Certamente di anomalie climatiche se ne sono verificate diverse quest’anno. Colate di fango in
Cina, siccità senza precedenti in Australia, inondazioni in Pakistan e in Europa Centrale; la lista
va avanti. Il 2010 potrebbe essere l’anno più caldo che si sia mai registrato. La notizia di un
enorme pezzo di ghiaccio, grande due volte le dimensioni di Parigi, che si sta staccando da un
ghiacciaio in Groenlandia è giunta in Agosto come simbolo minaccioso del riscaldamento
globale.
Ancora, paradossalmente, nonostante il crescente e chiaro pericolo rappresentato dal
cambiamento climatico, il ritmo delle negoziazioni e delle azioni per contrastarlo ha subito un
rallentamento. La società, nel frattempo, è delusa dall’incapacità dei governi di affrontare il
problema in maniera efficace. Ciò potrebbe avvicinarci pericolosamente al disimpegno pubblico
e all’apatia.
Che cos’è accaduto? Perché tutte queste ricadute nell’anno che ha seguito la tanto attesa
Conferenza sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite a Copenaghen?
Le ragioni risiedono nel fallimento della leadership politica e nella mancanza di volontà di coloro
che si sono piegati ai poteri forti, così come nell’incapacità dei governi di raggiungere dei
compromessi tra gli interessi spesso divergenti degli attori politici ed economici.
1/3
Affrontiamo con serietà i negoziati sul clima
La conferenza di Copenaghen non è stata all’altezza delle aspettative. La considerevole
divisione tra nazioni sviluppate e nazioni in via di sviluppo ha ostacolato il principale e
ambizioso obiettivo di un accordo climatico globale.
Invece di analizzare le ragioni che sono alla radice di questo fallimento in tutta la loro
complessità e incoraggiare la ricerca di soluzioni realistiche e costruttive, i media si sono
affrettati a definire la conferenza un completo fallimento.
Il “Climategate”, uno scandalo ben architettato che ha riportato fuori contesto le citazioni prese
da e-mail di scienziati del clima e una campagna per screditare il Pannel Intergovernativo sui
Cambiamenti Climatici hanno a loro volta contribuito a fuorviare l’opinione pubblica.
Le lobby aziendali che organizzano campagne negazioniste del cambiamento climatico sono
generosamente finanziate mentre la spesa che supporta queste azioni è di sette a uno. Tra i
risultati, l’Agenzia Internazionale per l’Energia stima che 500 miliardi di dollari all’anno di
finanziamenti vanno al settore fossile dell’industria energetica. In verità, il Gruppo economico
dei 20 ha annunciato recentemente l’eliminazione graduale di questi finanziamenti – ma “a
medio termine.”
Tutti sembrano comprendere che il problema del clima non può essere ignorato. Le
negoziazioni su come combattere il cambiamento climatico continuano. Dopo l’ultimo ciclo di
incontri in Cina, il processo delle Nazioni Unite proseguirà a Cancan, in Messico, tra poche
settimane. Tuttavia, i partecipanti sembrano più preoccupati per il calo delle aspettative sul
raggiungimento di risultati tangibili. Politici ed esperti si sono fermati alle questioni tecniche e si
vocifera che vogliano accontentarsi di un minimo denominatore comune o anche di riformattare
il processo, con la speranza che la comunità finanziaria possa saltar fuori con qualche
soluzione tecnocratica al cambiamento climatico.
Questa non è la strada per andare avanti. Sebbene il business – con la sua capacità di adattare
le nuove tecnologie traendone profitto – potrebbe di certo giocare un ruolo cardine nella
transizione a un’economia low carbon, sarebbe ingenuo aspettarsi che si metta alla guida del
processo stesso.
La comunità finanziaria cercherà sempre il proprio interesse e i profitti a breve termine. Quanto
alla teoria secondo la quale il “libero mercato” risolverà ogni problema, pochi la ritengono
convincente dopo che i suoi sostenitori hanno portato l’economia mondiale sull’orlo del disastro.
Allo stesso modo sono inaccettabili le teorie secondo cui la lotta al caos climatico andrebbe
lasciata soprattutto alle nazioni più “avanzate”. Questo non solo contravverrebbe al ruolo delle
Nazioni Unite, ma rischierebbe di ingrandire il gap tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo.
Chiaramente, nel momento in cui la Cina accresce il proprio potere economico deve farsi carico
di una responsabilità maggiore verso l’ambiente. Dobbiamo persuaderli che è nel loro interesse
farlo. Per di più, abbiamo bisogno di un forte e significativo sforzo nel creare incentivi affinchè
adottino tecnologie energicamente efficienti e alimentate con energia di fonte alternativa, così
come nell’incoraggiare coloro che sono pronti a trasferire tali tecnologie ai paesi emergenti. Gli
2/3
Affrontiamo con serietà i negoziati sul clima
accordi su tutti questi temi possono essere raggiunti solo con fatica, nel contesto di un processo
multilaterale sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Cancun offre un’altra possibilità di rinvigorire il
processo.
Nonostante il fatto che il 2010 è stato per lo più un anno deludente per coloro che chiedono
un’azione urgente per salvare il nostro pianeta, non possiamo lasciarci andare a ipotesi di
fallimento o pessimismo. C’è un numero sufficiente di persone all’interno della società civile che
non si arrende con disfattismo e che è pronta ad agire per fare in modo che i governi ci
ascoltino. L’istinto globale di auto-conservazione deve spingere i leader mondiali a riprendere
seriamente le negoziazioni con obiettivi ambiziosi.
3 NOV 2010 – Fonte: International Herald Tribune
3/3