1 Sociologia dei processi culturali Prof. Sassatelli MODULO 1 Il problema dell'ordine sociale e la nascita della sociologia Le domande sociologiche … ... prevedono una contestualizzazione storica e culturale dei fenomeni. Si passa da domande del tipo "Chi siamo noi?" a domande del tipo "Come siamo diventati ciò che siamo ora, in questa cultura?". La sociologia è quindi da porsi in relazione al COSTRUTTIVISMO, ovvero all'idea che il mondo sia il prodotto di una costruzione umana piuttosto che il frutto di un ordine naturale o divino: NOZIONE WEBERIANA DI DISINCANTO In tale costruzione vengono ad essere individuate alcune dimensioni o regolarità importanti (livello TEORICO SOCIALE): a) Diverse POSIZIONI SOCIALI (Classe: la posizione occupata nelle relazioni di produzione, in relazione alla proprietà dei mezzi di produzione. Status: la posizione occupata nel sistema di riconoscimenti e onori in vigore in una certa cultura. Genere: gli attributi e le chances offerte alle persone in base al loro sesso) b) Diverse VARIABILI CULTURALI (Valori: insieme di atteggiamenti relativi a come il mondo è e deve essere. Categorie: l'insieme delle definizioni che orientano le nostre percezioni della situazione. Simboli: associazioni con le quali alludiamo a significati e a valori che ci permettono di orientarci al mondo) Queste dimensioni dell'organizzazione sociale possono essere studiate dando più enfasi alla struttura sociale, alla riproduzione dell'ordine e a processi storici di lungo periodo (SOCIOLOGIA MACRO), oppure all'azione individuale, alla rielaborazione dei significati e all'interazione (SOCIOLOGIA MICRO). 2 La contestualizzazione operata dalla sociologia produce una FORMA DI CONOSCENZA che può venire a sua volta concepita in vari modi (livello EPISTEMOLOGICO) a) come la ricerca di leggi sociologiche (APPROCCI POSITIVISTI) b) come il tentativo comprendere i significati che i soggetti attribuiscono alle proprie pratiche (APPROCCI INTERPRETATIVI) La conoscenza sociologica secondo gli approcci interpretativi si ispira tipicamente alla nozione di Verstehen (comprensione). Viene sottolineata la continuità del sapere scientifico con i modi del conoscere quotidiano. Si sostiene inoltre che il conoscere si dia sempre a partire da una particolare posizione, e che anzi, è proprio la finitezza del punto di vista che ci permette di cominciare a conoscere il mondo che ci circonda (PROSPETTIVISMO). Tuttavia, il punto di vista adottato non deve rimanere scontato: il sociologo deve applicare al proprio punto di vista, alla propria posizione teorica la stessa metodica capacità di analisi che applica al mondo sociale (RIFLESSIVITA'). La sociologia comprendente cerca quindi di studiare la vita vissuta, con la consapevolezza che "la vita vissuta ... assomiglia ad un tappeto in cui ciascuno dei suoi molti fili è visibile solo per brevi tratti, mentre la sua parte restante scorre nel rovescio, connettendo in un continuum le parti visibili ... (la sociologia) invece, estrae completamente il singolo filo, lo rende visibile come se non conoscesse nessuna interruzione, e in questo modo realizza una continuità, ma non un modello" (Simmel 1917). 3 Una mappa delle diverse prospettive sociologiche MACRO POSITIV. MICRO FUNZIONALISMO (Durkheim) MATERIALISMO STORICO (Marx) INTERPRETAZ. SOCIOLOGIA STORICA COMPRENDENTE (Weber, Elias) GENEALOGIA (Foucault) INTERAZIONISMO (Simmel, Goffman) ETNOMETODOLOGIA (Garfinkel) 4 Il disincanto del mondo. Differenziazione e razionalizzazione, individualizzazione e stratificazione (cfr. Bagnasco) Il processo di SECOLARIZZAZIONE (la religione si ritira dalla vita pubblica e viene confinata nel privato) si accompagna ad una divisione funzionale delle sfere sociali. Nascono gli stati nazionali moderni (enti monopolizzatori della violenza legittima) e si sviluppa una moderna sfera economica (basato sullo scambio monetario). Tutto questo viene a caratterizzare ciò che, nelle scienze sociali, viene tipicamente definito come "modernità". La modernità più che tracciare i confini di un periodo storico preciso indica - idealtipicamente - alcuni processi e caratteristiche delle società post-tradizionali. Due aspetti spiccano sugli altri: a) La razionalizzazione, ovvero il prevalere di forme di pensiero e organizzazione efficientiste, che mirano perfezionare i mezzi per il conseguimento di fini dati mediante una suddivisione analitica e minuziosamente calcolata dei compiti. Ciò porta ad un enfasi sulla calcolabilità, la prevedibilità, la strumentalità, il formalismo, ecc. b) L' individualizzazione, ovvero l'incentivazione della peculiarità di ciascun individuo espressa nella pressoché unica combinazione di ruoli e preferenze che ciascun attore sociale assomma in sé, e lo sviluppo della nozione di individuo come entità separata, originale, e peculiare, da cui partono (e devono partire) le scelte e i valori - sino all'avvento di una vera e propria religione dell'individuo. Questi due processi si accompagnano alla: c) differenziazione funzionale (per capire la società contemporanea dobbiamo comprendere la divisione del lavoro sociale, cfr. Durkheim; l’intersecazione delle cerchie sociali, cfr. Simmel) e alla continua rilevanza della stratificazione sociale (esiste una struttura di posizioni sociali relativamente stabile che consente accessi differenziati alle istituzioni universalistiche della modernità, p.es. il mercato, cfr. Marx; Weber) e alla mobilità sociale (forme organizzate di passaggio da una posizione sociale all’altra, p.es. attraverso l’educazione di massa). 5 SEMINARIO E MODULO 1 Lo sviluppo delle scienze sociali Da HOBBES (1588-1679) a DURKHEIM (1858-1917) si ha il passaggio da una teoria contrattualista che considera l'ordine sociale come il prodotto di un contratto tra individui (presociali e liberi); ad una teoria sociologica che pensa che l'essere umano sia sempre sociale, sempre in qualche modo 'formato' dal mondo sociale in cui vive, e che ogni società, compresa quelle in cui il diritto si è ampiamente sviluppato, si organizza in base a valori condivisi. Con il contrattualismo Hobbesiano emerge l'idea che l'ordine sociale sia il frutto di un contratto tra esseri umani, e non un dato immutabile che risponde al disegno divino. Viene quindi rovesciata l'impostazione tomistica per cui il mondo è lo specchio della volontà divina. Durkheim rovescia a sua volta il modello hobbesiano. Il contratto sociale cioè non emerge dall'assenza del sociale (stato di natura) bensì esistono condizioni sociali che rendono il contratto una soluzione valida e pensabile. Il contratto sociale (o meglio i rituali e i valori) vengono ad essere posti all'origine del modello. Durkheim vuole anche criticare le impostazioni liberiste-evoluzioniste alla Spencer. L'ordine sociale è un fatto sociale, ma non è spontaneo: produce "apparati coercitivi" e un diritto che servono a conservarlo. Il diritto regola in modo "positivo" (mediante un feed-back sui valori, i rituali e la struttura) il sociale. Quattro modelli di ordine sociale San Tommaso ORDINE DIVINO E SOCIALE Hobbes STATO DI NATURA CONTRATTO SOCIALE ORDINE SOCIALE Spencer DIV. LAVORO SOLID. SPONTANEA Durkheim DIV. LAVORO VALORI DIRITTO Secondo Durkheim esistono quindi dei valori condivisi anche nelle società altamente differenziate, frammentate individualistiche e commerciali della modernità. Si tratta però di una forma particolare di solidarietà, definita ORGANICA in opposizione alla solidarietà MECCANICA delle società pre-moderne o segmentarie. 6 Hobbes – Leviatano (1651) 1. Gli uomini sono uguali per natura La natura ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che … la differenza tra uomo e uomo non è mai così considerevole al punto che un uomo possa da ciò rivendicare per sé un beneficio cui un altro non possa pretendere tanto quanto lui 2. Dall’uguaglianza alla diffidenza Da questa uguaglianza di capacità nasce un’uguaglianza nella speranza di raggiungere i propri fini. Se due uomini desiderano la stessa cosa di cui non possono fruire entrambi, nasce il conflitto 3. Dalla diffidenza alla guerra Troviamo nella natura umana 3 cause principali di conflitto: - la rivalità (attacco, conflitto per trarre vantaggio) - la diffidenza (difesa, conflitto per la propria sicurezza) - l’orgoglio (rispetto, conflitto per la propria reputazione) Quando gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione (Stato civile), essi si trovano in guerra. Herbert Spencer • “Con il declino del militarismo e l’ascesa dell’industrialismo sia il potere sia la portata dell’autorità diminuiscono e la libertà d’azione individuale aumenta; la relazione del contratto diventa generale-universale” (Spencer) • Società industriale: l’armonia sociale deriva dalla divisione del lavoro, e la forma normale dello scambio è il contratto • Cooperazione che si produce automaticamente: Solidarietà industriale spontanea (meccanica) • Basta che ogni individuo si consacri ad una funzione specifica per trovarsi automaticamente solidale con gli altri, non servono apparati coercitivi • La solidarietà sociale non sarebbe quindi altro che l’accordo spontaneo degli interessi individuali, del quale i contratti costituirebbero l’espressione naturale • La società non sarebbe che il luogo in cui si mettono in relazione gli individui che intendono scambiare i prodotti del loro lavoro, senza che nessuna azione propriamente sociale intervenga a regolare tale scambio 7 Spencer vs Durkheim È proprio questo il carattere della società moderna? 1) la sfera dell’attività sociale diminuisce sempre più a favore di quella dell’individuo? Se il diritto repressivo perde terreno, il diritto restituivo si accresce. Se l’intervento sociale non ha più l’effetto di imporre a tutti certe pratiche uniformi, esso serve più di un tempo a definire e a regolare i rapporti specifici delle differenti funzioni sociali. È diverso, non minore! 2) è vero che le relazioni contrattuali tra gli individui aumentano. Ma fanno altrettanto le relazioni non contrattuali! DIRITTO PRIVATO • ES: matrimonio e adozione: quanto più ci si avvicina ai tipi sociali più elevati, tanto più queste operazioni giuridiche perdono il loro carattere propriamente contrattuale • Il contratto non è autosufficiente, è possibile solo in virtù di una regolamentazione del contratto di origine sociale: il diritto contrattuale determina le conseguenze giuridiche dei nostri atti, prevedendo ciò che non possiamo prevedere individualmente. • Dal momento in cui abbiamo compiuto un primo atto di cooperazione, siamo impegnati, e l’azione regolatrice della società si esercita su di noi. Spencer la definisce negativa (poiché il contratto esiste solo nello scambio) DIRITTO AMMINISTRATIVO • Insieme delle regole che determinano le funzioni dell’organo centrale e degli organi subordinati e i loro rapporti • Stabilire le funzioni specifiche e la loro cooperazione • Spencer: tipo militare tipo industriale: l’apparato regolatore diminuisce progressivamente, le funzioni dello stato sarebbero destinate a ridursi alla sola amministrazione della giustizia e della guerra • In realtà, diritto amministrativo tanto più sviluppato quanto più elevato è il tipo di società: 8 oggi, una molteplicità di funzioni concentrate nella mani dello stato (educazione, salute, trasporti, …) • Da segmenti isolati a organi in reciproca dipendenza • Dal momento che le funzioni sociali diventano più numeroso e complesse, è necessario che l’organo che serve loro da substrato si sviluppi, come il corpo di regole giuridiche che le determinano. • Ciò che fa sì che l’organo di governo sia più o meno considerevole, non è il fatto che i popoli siano più o meno pacifici: esso aumenta nella misura in cui le società, in seguito al progresso della divisione del lavoro, comprendono un maggiore numero di organi differenti più intimamente connessi. Durkheim • La vita sociale deriva da una duplice fonte: - l’uniformità delle coscienze: l’individuo non ha una forte individualità propria, è socializzato perché si con-fonde con i suoi simili dentro uno stesso tipo collettivo - la divisione del lavoro sociale: l’individuo ha un profilo e un’attività personali che lo distinguono dagli altri, è socializzato perché la propria definizione dipende da questa distinzione dentro la società • Esistono regole giuridiche e morali che determinano la natura e i rapporti delle funzioni divise “Anche dove la società riposa completamente sulla divisione del lavoro, essa non si risolve perciò in una miriade di atomi contrapposti, tra i quali non possono stabilirsi che contatti esterni e passeggeri; ma i suoi membri sono unti da vincoli che si estendono ben al di là dei brevi momenti in cui avviene lo scambio. Ognuna delle funzioni che esercitano è sempre dipendente dalle altre, e forma con esse un sistema solidale. C’è soprattutto un organo nei confronti del quale il nostro stato di dipendenza aumenta sempre più: lo Stato. I punti in cui siamo in contatto con esso si moltiplicano, al pari delle occasioni nelle quali esso ha l’incarico di richiamarci al sentimento della solidarietà comune.” (Durkheim) 9 Stato, mercato e razionalizzazione: capitalismo come modo di produzione Karl Marx, 1818-1881 (Il capitale, Grundrisse) * Materialismo storico (di derivazione hegeliana, lotta di classe come motore della storia) * Forze di produzione e lavoro (struttura e sovrastruttura) * Capitalismo di prima accumulazione: non contratto bensì espropriazione e violenza * Scetticismo nei confronti della Dichiarazione dei Diritti Dell'uomo (ideologia) La teoria del valore e l'usurpazione capitalista Le merci hanno un valore di scambio (o commerciale) che è il prodotto di una situazione di dominio da parte del sistema produttivo. Il valore di scambio include cioè sia il valore d'uso delle merci che il loro plusvalore. Il valore d'uso di una merce è il suo vero valore, "condizionato dalle proprietà fisiche della merce ... non esiste se non in relazione a queste". Il valore degli oggetti deriva cioè dalla loro relazione materiale con il corpo degli individui, ed è attraverso la produttività umana (attraverso la proprietà del proprio corpo e i suoi sforzi mediante il lavoro) che questo valore può venire aumentato (teoria del valore-lavoro). Nel sistema di produzione capitalistico (dove vi è una separazione dei fattori di produzione, per cui alcuni hanno solo la forza lavoro ed altri - pochi - hanno il monopolio dei mezzi di produzione) i prezzi delle merci però sono relativi non alla quantità di lavoro concreta che viene usata per produrle, ma ad un tempo di lavoro astratto, quello necessario per produrre tali merci data la particolare struttura economica. E' il lavoro definito dalle "condizioni di produzione normali in una data società e dalle normali capacità e intensità di lavoro prevalenti in tale società" che viene calcolato per stabilire il valore commerciale di ogni merce. Nelle condizioni di produzione capitalistiche, dove la forza lavoro è diventata una merce e vi è un surplus di forza lavoro (e quindi un suo deprezzamento), ciò lascia spazio per una porzione di denaro (plusvalore) che permette un'ulteriore concentrazione del capitale. La forma capitalistica di sfruttamento è tale che la vera causa del valore viene mistificata. I prezzi appaiono come il valore naturale delle merci quando essi sono invece l'espressione di relazioni sociali sottostanti, le quali esprimo rapporti di forza consolidati (p. es. il plusvalore va a solo vantaggio di chi detiene i mezzi di produzione). Ciò produce una tendenza alla svalutazione del lavoro: "maggiore la produttività del lavoro, minore il tempo di lavoro richiesto per produrre un articolo, minore la massa di lavoro cristallizzata in quell'articolo, e minore il suo valore". La teoria del valore di Marx si basa su una epistemologia sensista (gli oggetti non solo offrono uno spunto per la valutazione ma sono anche la sua causa sensibile, gli oggetti vengono cioè prima dei soggetti e il valore è generato da loro stessi) per scardinare un sistema sociale di valutazione (mercato) che si sarebbe allontanato dalla natura delle cose. Il primato assegnato al lavoro umano come fondazione universale e oggettiva del valore apre lo spazio teorico per la nozione di alienazione. Postulando una certa nozione di ciò che è e dovrebbe essere una persona, la teoria del valore-lavoro permette di sostenere che le persone nel sistema capitalistico sono 10 alienate dalla propria umanità (cioè il lavoro creativo). Il capitalismo produce anomalie della personalità poiché viene distorta la naturale relazione con gli oggetti in quanto dotati di valore d'uso e frutto della propria creatività. Ciò spinge a pensare che esista un valore d'uso al di fuori del processo storico e culturale. Un ipotetico valore d'uso naturale e puramente strumentale assume quindi il carattere di uno slogan rivoluzionario. Alienazione L'alienazione - quella condizione in cui l'esternalizzazione (o oggettivazione) delle proprie capacità non è seguita dalla loro appropriazione - viene condannata come prodotto tipico del sistema capitalistico. Tale condanna si fonda su un'indicazione normativa di cosa sia proprio della specie umana e di come gli uomini possano realizzarsi. Solo ciò che è "essenzialmente proprio" agli esseri umani può essere tolto alle persone, e questo quid essenziale corrisponderebbe, secondo Marx, a un ideale di "fraterna auto-realizzazione" attraverso la propria creatività . Feticismo delle merci Poiché in un sistema capitalistico gli esseri umani sono alienati da frutti del loro lavoro, essi non possono rendersi conto che le merci incorporano una certa quantità di lavoro, e che i loro prezzi sono il frutto di un calcolo astratto del tempo di lavoro. Il valore di mercato non è altro che una relazione tra persone, e tuttavia "è una relazione che viene nascosta dietro le cose". Le merci allora diventano feticci, sembrano avere una vita propria, sono lontani, staccati dai soggetti, quasi magici, sono solo l'ombra delle relazioni sociali di cui sono espressione. Bisogni indotti Perchè il capitalismo possa funzionare i bisogni delle persone devono conformarsi alle richieste del sistema produttivo. La capacità di consumo dei singoli non può essere una barriera per lo sviluppo del capitalismo e quindi occorre manipolare i bisogni per farli crescere (Cfr. Mandeville, Hume, Smith: immaginazione, status symbol). Il sistema capitalista quindi implica una "esplorazione di tutta la natura per poter scoprire nuove utili qualità nelle cose, prodotti da climi e terre diversi" .... "la coltivazione di tutte le qualità dell'essere umano sociale, produzione di questo in una forma tanto ricca quanto più possibile rispetto ai bisogni, ricca in qualità e relazioni - essendo questo la più totale e universale forma di prodotto sociale, perchè per ottenere gratificazione in molti modi diversi, egli deve essere capace di molti piaceri e quindi coltivato ad un altissimo livello - è allo stesso modo una condizione di produzione fondata sul capitale" Nascita del capitalismo La concentrazione del capitale nelle mani di pochi e l'accumulazione originaria (così come si è verificata in Inghilterra) è frutto dell'espropriazione della popolazione rurale e della sua espulsione dalle terre. Ciò "gettò sul mercato del lavoro una massa di proletari eslege". Lo stato (in mano ai nobili) prima tentò di resistere a questi sviluppi, poi "borghesizzandosi", li assecondò promulgando leggi che incentivavano l'espropriazione e sanzionavano chiunque non trovasse lavoro. Anche la riforma protestante ebbe un ruolo strettamente economico: le terre dei monasteri cattolici sono messe all'asta. 11 • • XV SEC. (Inghilterra): La maggior parte della popolazione consiste di liberi contadini autonomi • FINE XV SEC. - INIZIO XVI SEC.: - Il potere regio scioglie i seguiti feudali - I signori feudali scacciano i contadini dalle loro terre e usurpano le terre comuni [aumento del prezzo della lana trasformazione dei campi in pascoli da pecore] • • • XVI SEC.: Riforma protestante e colossali furti di beni ecclesiastici La Chiesa cattolica fino ad allora era stata proprietaria feudale di gran parte del suolo inglese “La proprietà ecclesiastica costituiva il baluardo religioso dell’antico ordinamento della proprietà fondiaria, e caduta la proprietà ecclesiastica, neppur questo ordinamento si poté più sostenere” (Marx, p. 786) • • XVIII SEC.: usurpazione della proprietà comune da azione individuale violenta diventa mezzo legale di rapina delle terre del popolo (decreti di espropriazione delle terre del popolo da parte dei landlords col pretesto della recinzione) • • Clearing of cottages: eliminazione degli spazi per le abitazioni degli oeratori agricoli Clearing of estates: parziale estromissione dei piccolo fittavoli dalle grandi proprietà [Agricoltori pecore cacciagione (Es.: Altopiano scozzese)] scompaiono i contadini indipendenti e le proprietà comunali dei coltivatori si getta sul mercato del lavoro una massa enorme di proletari eslege LEGISLAZIONE CONTRO GLI ESPROPRIATI E LEGGI PER L’ABBASSAMENTO DEI SALARI • XVI SEC.: incapacità di assorbimento e adattamento dei neo-proletari legislazioni sanguinarie contro il vagabondaggio • XV SEC.: padroni e operai socialmente vicini, subordinazione del lavoro al capitale solo formale • XVI SEC.: situazione degli operai molto peggiore. Aumento del salario, ma aumento del prezzo delle merci e deprezzamento del denaro in realtà: calo del salario 12 “La borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere dello Stato, e ne fa uso, per regolare il salario, cioè per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuole produrre plusvalore, per prolungare la giornata lavorativa e per mantenere l’operaio stesso a un grado normale di dipendenza. È questo un momento essenziale della cosiddetta accumulazione originaria” (Marx, p. 801) GENESI DEL CAPITALISTA INDUSTRIALE “La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e il saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia delle pelli nere, sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica. È questo un altro momento fondamentale dell’accumulazione originaria” (Marx, p. 813) • Sistema coloniale (Spagna, Portogallo, Olanda, Francia, Inghilterra) - Violenza brutale nel trattamento degli aborigeni - Es: Compagnia inglese delle Indie Orientali: dominio politico nelle Indie Orientali, monopolio esclusivo del commercio del tè, dei commerci con la Cina, dei trasporti delle merci in Europa • Nascita delle grandi banche “nazionali”: società di speculatori provati in grado di anticipare denaro ai governi Accumularsi del debito pubblico TENDENZA STORICA DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA 1- ESPROPRIAZIONE DEI LAVORATORI IMMEDIATI Dissoluzione della proprietà provata fondata sul lavoro personale [Proprietà privata = libertà: lavoratore libero proprietario provato delle proprie condizioni di lavoro] 2- trasformazione dei mezzi di produzione individuali e dispersi in mezzi di produzione socialmente concentrati 13 3- PROCESSO DI TRANSFORMAZIONE: proprietà privata acquistata col proprio lavoro proprietà privata capitalistica fondata sullo sfruttamento (spesso con metodi violenti) del lavoro altrui Lavoratori proletari Condizioni di lavoro capitale 4- ESPROPRIAZIONE DI MOLTI CAPITALISTI DA PARTE DI POCHI Sempre meno magnati del capitale Sempre più masse di poveri Crescita della ribellione della classe operaia 5• • • ESPROPRIAZIONE DEI LAVORATORI INDIPENDENTI ESPROPRIAZIONE DEI CAPITALISTI ESPROPRIAZIONE DEGLI ESPROPRIATORI da parte della massa del popolo ... Eppure ... perchè alcune persone hanno voluto fare tutto questo? Come definivano/giustificavano i propri interessi? Le pre-condizioni culturali del capitalismo Max Weber, 1864-1920 (L'etica protestante e lo spirito del capitalismo; Economia e Società) * sociologia storica comprendente * agire sociale dotato di senso (non solo strutture sociali ma anche il significato dell'azione per i soggetti; questi hanno la capacità non solo di calcolare e individuare il miglior mezzo per soddisfare alcuni fini - razionalità strumentale - ma anche la capacità e la necessita di sentire che i propri fini sono giusti) * tipologia del potere/legittimità (soprattutto analisi della burocrazia) * sociologia delle religioni (ascesi come lavoro su se stessi; elezione) Capitalismo e protestantesimo ascetico (1904) "non conclusione della ricerca, ma lavoro preparatorio" L'idea calvinista della vocazione viene studiata come la pre-condizione morale, intellettuale e culturale dell'organizzazione economica capitalista. Lotta contro un uso irrazionale della proprietà, contro il possesso sterile, e promozione della moralità del profitto razionale, produttivo (insieme ai comforts, alle decencies ma non alle luxuries). 14 Vocazione (Calling\Beruf) Etica del lavoro "ciò che la morale veramente condanna è l'adagiarsi nel possesso, il godimento della ricchezza con la sua conseguenza di ozio e concupiscenza, e soprattutto con la conseguenza di deviare dal faticoso cammino verso la vita 'santa'" ... "l'eterna quiete dei santi sta nell'aldilà, mentre, sulla terra per accertarsi del proprio stato di grazia, l'uomo deve 'compiere le opere di colui che lo ha inviato, finché è giorno'" ... "perdere tempo è di tutti i peccati, il primo e quello per principio più grave" . Lavoro come mezzo acetico, ma anche come "lo scopo stesso della vita che è prescritto da Dio"; vocazione che ciascuno deve riconoscere attivamente, lavorando Sublimazione etica e politica della specializzazione moderna: R.Baxter: "il lavoratore professionale compirà il suo lavoro con ordine, mentre un altro è vittima di una eterna confusione, e le sue occupazioni non conoscono né luogo né tempo, perciò una stabile professione (calling) è la cosa migliore per ciascuno" Schema provvidenziale: "Poiché consente l'abilità del lavoratore, la specializzazione delle professioni porta all'elevazione quantitativa e qualitativa della prestazione lavorativa, e così giova al bene comune, che si identifica con il benessere del maggior numero possibile degli individui" Quindi la "formazione di capitale" è stata "condizionata dalla coazione ascetica al risparmio" . L'etica del lavoro però produsse effetti che non erano contemplati nel suo originale spirito. Preminenza della sfera economica sul sacro utilitarismo. L'etica del lavoro richiede la razionalizzazione del proprio lavoro, del tempo, di se stessi: la volontaria sottomissione del corpo a routines rigidamente codificate, la negazione dei piaceri immediati". L'ascesi "combatte con autentica violenza soprattutto una cosa: il godimento spensierato dell'esistenza e dei piaceri che può offrire ... (per i quaccheri, ad esempio) lo sport doveva servire a uno scopo razionale, quello della ricreazione necessaria per la buona forma fisica. Invece come mezzo per sfogare in modo disinvolto impulsi incontrollati gli era sospetto gli era sospetto, e come è ovvio, veniva senz'altro condannato, nella misura in cui diventasse puro divertimento, o persino destasse l'ambizione competitiva" 15 Max Weber - L’etica protestante e lo spirito del capitalismo • ASCESI - SPIRITO CAPITALISTICO Individuare nessi che collegano le rappresentazioni religiose fondamentali del protestantesimo ascetico con le massime della vita economica quotidiana • Calvinismo Puritanesimo inglese idea di BERUF (PROFESSIONE come conseguenza di una VOCAZIONE) • Adam Smith: apoteosi della divisione del lavoro: Specializzazione delle professioni elevazione delle prestazioni aumento del benessere comune • Lutero: dovere di accontentarsi della sorte ormai assegnata da Dio • Puritanesimo: accento su carattere metodico, ordinato, della professione “Dio non pretende il lavoro in sé, ma il lavoro professionale razionale” Utilità di una professione: • criteri etici • criteri di bene comune • criteri economici (profitto economico privato “suggerito” da Dio) Sviluppo della borghesia inglese: • la concezione puritana di Beruf, professione come conseguenza di una vocazione, e l’esigenza di una condotta ascetica della vita, influenza direttamente lo sviluppo di uno stile di vita capitalistico • Lotta contro il godimento spensierato dei piaceri dell’esistenza (sia aristocratica che neoborghese) • ES.: sport – attività artistiche culturali – abbigliamento (istintuale, inutile, ostentato) “L’ascesi protestante intramondana agì violentemente contro il godimento spensierato del possesso, restrinse il consumo, soprattutto il consumo di lusso. Invece ebbe l’effetto psicologico di liberare l’attività lucrativa dalle inibizioni dell’etica tradizionalistica, spezzò le catene che avvincevano la ricerca del guadagno, in quanto non solo la legalizzò, ma ritenne fosse voluta direttamente da Dio.” (Weber, p. 229-230) • Ricerca della ricchezza come frutto del lavoro professionale metodico, indefesso, mezzo ascetico supremo, che dimostra l’autenticità della fede dell’individuo 16 SPIRITO DEL CAPITALISMO: FORMAZIONE DEL CAPITALE CONDIZIONATA DALLA COAZIONE ASCETICA AL RISPARMIO • Nella misura in cui si estese il potere della concezione puritana dell’esistenza, essa giovò alla tendenza a una condotta della vita borghese, economicamente razionale Nascita dell’“homo economicus” moderno, caratterizzato da un ethos professionale specificatamente borghese: • Con la coscienza di godere pienamente e visibilmente della grazia di Dio, l’imprenditore borghese poteva e doveva perseguire i suoi interessi lucrativi a condizione di mantenersi entro i limiti della correttezza formale, di vivere in una maniera eticamente ineccepibile, e di non fare un uso scandaloso delle proprie ricchezze. • Teoria della produttività dei bassi salari: convinzione che Dio gradisca moltissimo il lavoro coscienzioso anche se compensato da bassi salari • Beruf applicata sia all’imprenditore borghese che all’operaio “Uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno, e non solo di questo, ma della civiltà moderna – l’esistenza razionale condotta sulla base dell’idea di Beruf – è nato dallo spirito dell’ascesi cristiana.” (Weber, p. 238) • NB: interpretazione causale della civiltà e della storia unilateralmente “materialista” vs unilateralmente “spiritualistica” • “Entrambe sono ugualmente possibili” 17 Lo sviluppo della burocrazia La razionalizzazione e il disciplinamento del soggetto sono stati facilitati dallo sviluppo dell'apparato burocratico Analisi tipologica del potere (o ordine socio-politico) 3 TIPI DI POTERE LEGITTIMO Tradizionale Carismatico (statu nascendi) Razionale (o legale-burocratico) Tradizionale …Legittimità fondata su antichi (esistenti da sempre) ordinamenti di potere REVERENZA ; SIGNORE PERSONALE; SUDDITI Carismatico … Legittimità fondata su una qualità straordinaria in origine magica che viene attribuita a una persona DEDIZIONE; PROFETA; SEGUACI Burocratico …Legittimità fondata sulla legalità degli ordinamenti COMPETENZA; DIRITTO; CITTADINI Carismatico VS Razionale non prevedibile vs prevedibile non calcolabile vs calcolabile rituali vs disciplina "il contenuto della disciplina non è altro che l'esecuzione esatta, continuamente razionalizzata, metodicamente allenata dell'ordine ricevuto; in cui tutto il potenziale critico personale è incondizionatamente sospeso e l'attore è totalmente volto a portare a termine il comando ... questa condotta è uniforme ..." personale vs impersonale "al posto dell'estasi, dell'entusiasmo spirituale o della devozione nei confronti di un capo come persona, del culto dell'onore, o dell'esercizio di qualche abilità personale come arte , la disciplina sostituisce l'abitudine a competenze di routine. Nella misura in cui la disciplina fa appello a motivazioni ferme di carattere 'etico', essa presuppone un 'senso del dovere' ... la devozione è impersonale, è la devozione a una causa comune" 18 casuale somma delle forze vs ottimizzazione della somma delle forze " fattori imponderabili, irrazionali , 'emotivi' vengono calcolati razionalmente ... razionalmente sfrutta entusiasmo e devozione" duce vs generale "la disciplina militare è il modello ideale per la moderna fabbrica capitalista ... la disciplina organizzativa nella fabbrica è basata su una base completamente razionale. Con l'aiuto di appropriati mezzi di misura, la più alta profittabilità di ciascun lavoratore viene calcolata proprio come quella dei ogni altro mezzo materiale di produzione" individui vs funzioni "l'apparato psico-fisico dell'uomo viene ad essere adattato alle domande del mondo esterno, agli attrezzi, alle macchine, in breve, ad una 'funzione' individuale" misticismo vs macchina "l'apparato psico-fisico (dell'individuo) viene sincronizzato con un nuovo ritmo mediante una metodica specializzazione di muscoli che funzionano separatamente, e una economia ottimale delle forze ha luogo" discepoli vs burocrazia caratteristiche dell'apparato amministrativo BUROCRATICO: 1) FUNZIONARI; 2) DOVERI DI UFFICIO; 3) GERARCHIE; 4) COMPETENZE; 5) QUALIFICAZIONE SPECIALIZZATA; 6) STIPENDIO; 7) PROFESSIONE; 8) CARRIERA; 9) SEPARAZIONE MEZZI AMMINISTRATIVI ... Ma quali sono i rapporti tra forma del potere politico e vita quotidiana? I guerrieri, i cortigiani e i mercanti Norbert Elias, 1897-1990 (Il processo di civilizzazione, La società degli individui) * critica del pensiero dicotomico (natura/cultura; individuo/società) * enfasi sulla natura processuale delle forme sociali * integrazione micro/macro nell'analisi del processo di civilizzazione come legato allo sviluppo di un ente monopolizzatore della violenza legittima e, allo stesso tempo, di un nuovo tipo di soggetto dotato di maggiore auto-controllo * teoria della violenza Ne Il processo di civilizzazione Elias propone una Grande sintesi dello sviluppo culturale moderno dei paesi nord-occidentali focalizzato sulla "civilizzazione" degli individui come 19 soggetti incorporati: "Come e perchè l'affettività del comportamento e dell'esperienza umana, il controllo delle emozioni da parte di freni esterni e interni, e quindi la struttura di tutte le forme umane di espressione, vengono alterati in una particolare direzione?" Integrazione tra aspetti micro (vergogna, imbarazzo, buone maniere, dimostrazione del rispetto e delle emozioni, presentazione di sé, ecc.) e macro (organizzazione politica; stato come ente monopolizzatore della violenza legittima). I cambiamenti a livello del controllo politico, sviluppati in base al meccanismo della monopolizzazione, hanno dato luogo allo stato moderno, e allo stesso tempo hanno reso gli individui meno soggetti alla violenza arbitraria e hanno permesso lo sviluppo della differenziazione funzionale. Tutto ciò a sua volta è scaturito in un cambiamento della personalità, poiché il tipo di paure che giocano una parte decisiva nella vita delle persone cambiano (rischi cerimoniali): Primato del politico (Elias; Weber) sull'economico (Adam Smith) "Ogni tipo di monopolizzazione 'economica' di qualsiasi genere è legata direttamente o indirettamente ad un'altra senza la quale non potrebbe esistere: quella dell'esercizio fisico della violenza e dei relativi strumenti" Dalla società dei GUERRIERI (mediante meccanismi di monopolizzazione) alla società di CORTE (mediante meccanismi di trickle-down e conflitto) alla società dei MERCANTI (intensificazione del conflitto con gli strati borghesi, imitazione e autonomizzazione). 1) Le paure fondamentali si legano all'esclusione sociale, all'incapacità di controllare e comprendere le lunghissime catene di interdipendenza tra le persone, alla difficoltà di interpretare le azioni e le intenzioni degli altri La differenziazione funzionale implica una più stretta cooperazione meno carica di emozioni: "man mano che le serie di azioni e il numero di persone da cui l'individuo dipende vengono ad aumentare, l'abitudine di prevedere il corso delle proprie azioni lungo catene strategie sempre più lunghe aumenta" 2) Psicologizzazione e razionalizzazione del modo di porsi, e cioè una mutua identificazione e una osservazione costante (di se stessi e degli altri): "un auto-controllo sempre vigile e una osservazione degli altri perpetua sono tra i prerequisiti elementari della preservazione della propria posizione sociale" 3) I controlli esterni sono tradotti in auto-controllo (cfr. Foucault). La soglia della vergogna e del disgusto si innalza non solo in pubblico ma anche in privato: le maniere della tavola, la specializzazione delle stanze nelle case, il comportamento in pubblico, ecc. 4) Non si tratta semplicemente un auto-controllo più stringente, bensì un modello di autocontrollo che è allo stesso tempo più onnicomprensivo e più complesso. Nello spazio "sociale pacificato" l'auto-controllo è allo stesso tempo "più moderato" e "ineluttabile", più "spassionato" e "differenziato". Creazione di spazi di controllato de-controllo delle emozioni, p. es. gli sports: gli sport moderni sono visti come momenti di "eccitamento piacevole", in cui si possono rilassare i controlli negativi sul corpo e possiamo sviluppare forme di controllo positivo: nelle nostre società prive di eccitazione "non lasciamo spazio alla diretta eccitazione del corpo", intesa some "eccitazione spontanea ed elementare", quindi la "funzione compensatoria dell'eccitazione tipica del gioco" cresce e diventa più importante. 20 .... Si può spiegare la modernità come frutto di un processo imitativo delle corti da parte delle masse? Non ci sono forse stati altri fattori, come la diffusione del mercato e l'urbanizzazione? Le merci, il denaro e la cultura urbana Georg Simmel, 1858-1918 (Filosofia del denaro, Sociologia) * critica della filosofia della storia (ovvero di quegli approcci che - come nelle visioni Marxiste pensano di poter individuare un processo storico lineare e necessario legato allo svolgersi di pochi fattori fondamentali, e conseguentemente pensano di poter predire la particolare direzione che la storia prenderà) * interazione (Wechselwirkung, let. azione reciproca; come luogo centrale di osservazione sociologica, p.es. osservazione delle forme di interazione tra individui nella modernità così come esse vengono a connotarsi durante gli scambi commerciali a mezzo del denaro) e come principio metafisico, cfr. idea che tutto sia in interazione con tutto, tanto che non si possono individuare cause prime). * costruzione dell'identità individuale * sociologia del denaro e della modernità Possiamo vedere le osservazioni di Simmel come un modo di proseguire il racconto di Elias sino al '900 oppure come un'interpretazione che lega la differenziazione funzionale al mercato e all'economia monetaria anziché allo stato. Secondo Simmel il soggetto si costituisce mediante il rapporto con le cose, con gli altri e con le rappresentazioni della società. A modalità diverse di rapporto con le cose corrispondono differenti "tipi" di soggetto. Con l'affermarsi dell'economia monetaria il soggetto passa da una situazione in cui le sue azioni e scelte di vita sono determinate dagli oggetti che possiede ad una condizione di "potenzialità assoluta". Grazie alla diffusione del denaro il soggetto si svincola dai rigidi legami strutturali con le cose che "opprimono la persona con vincoli che la determinano univocamente, ma nello stesso tempo le offrono sostegno e contenuto". In un'economia monetaria sviluppata il soggetto non ha modo di fondersi con le cose: tutti gli oggetti rimangono nelle sue mani solo per un tempo limitato e comunque incombe su di loro una tensione alla conversione in denaro. Ciò fornisce al soggetto una certa libertà, ma si tratta di una libertà "priva di qualsiasi direttiva, di qualsiasi contenuto determinante e determinato e, pertanto, in grado di aprire la strada a quella vacuità e a quella incostanza che dà ad ogni impulso casuale, stravagante o seducente la possibilità di espandersi senza incontrare resistenza" (tensione tra libertà negativa e libertà positiva). Un "profondo, nostalgico desiderio di conferire alle cose una nuova significatività" diviene dominante e con esso una costante inquietudine: la "speranza del soddisfacimento raggiunto 21 svanisce nel momento successivo al raggiungimento stesso". La propensione per il "nuovo" non solo in quanto tale, ma anche in quanto transitorio corrisponde al "tempo impaziente" della vita moderna che implica, non solo "il desiderio di un rapido cambiamento dei contenuti della vita, ma anche la potenza del fascino formale del confine". I processi di crescente offerta e rapida circolazione delle merci, di globalizzazione e declassificazione culturale minacciano la leggibilità dei beni usati come indici di status e rendono le logiche socio-culturali di differenziazione tramite i beni più sfocate. L'intensificarsi dei fenomeni di moda è il prodotto di una simile situazione. In quanto effimera e destinata a svanire, la moda soddisfa l'ansia di continuo rinnovamento, permette di concepire questo rinnovamento come illimitato, diffondendo la percezione che "ciò che è assolutamente innaturale può esistere perlomeno nella forma della moda" stessa. Essa ci permette di "avvicinarci alle cose ponendoci ad una certa distanza da esse", è una forma culturale che bene esprime la grande "libertà negativa" del soggetto moderno e la correlativa ricerca di fonti di identificazione e orientamento. Questi fenomeni forniscono all'individuo un ancoraggio provvisorio ed un "velo", ci liberiamo dall'"assoluta responsabilità" su noi stessi, possiamo esprimerci in modo indiretto, senza dovere cioè "stare in equilibrio sulla linea sottile della mera individualità". La giustapposizione di stili differenti ripropone poi, nuovamente, uno spazio per la soggettività, configura una dimensione in cui gli oggetti "ricevono un nuovo centro che non si trova in nessuno di loro preso per sé", ma coincide con la combinazione unitaria operata dal soggetto stesso. Il denaro media il rapporto tra uomini e cose "crea una distanza tra persone e proprietà", e quindi tra persone e persone. Tuttavia "(q)uando lamentiamo la separazione e l'alienazione provocate dal traffico monetario non si deve perciò in alcun modo dimenticare quanto segue: mediante la necessità di essere convertito per ottenere in cambio valori concreti e definitivi, il denaro crea un legame estremamente forte tra i membri della stessa cerchia economica". La cultura moderna sfocia in due direzioni "apparentemente opposte". "Da un lato verso il livellamento, l'appiattimento, la formazione di cerchie sociali sempre più ampie"; dall'altro "verso l'elaborazione delle istanze più individuali, verso l'indipendenza della persona e l'autonomia della sua formazione". Però: 1) insoddisfazione (mancanza di senso: qualità delle cose) 2) soffocamento dei fini da parte dei mezzi 3) costituzione del soggetto moderno mediante i beni si configura come un processo attivo ma, se l'obiettivo è un'identità stabile nel tempo, inconcludente. L'eteronomia del soggetto moderno è dunque rintracciabile nel fatto che esso è spinto ad autocostruirsi. Se siamo eteronomi, lo siamo non perché "viviamo il ritmo degli oggetti" (Baudrillard), ma perché, essendocene liberati, siamo costretti a vivere giorno per giorno, in sfere ed ambiti diversi, un "nostro" ritmo. La modernità è un fenomeno ambivalente: "non libera l'uomo dal suo proprio essere, bensì lo obbliga al compito di produrre se stesso" (cfr. Foucault) 22 ... esistono istituzioni particolari che facilitano la razionalizzazione del soggetto moderno? Disciplina, sovranità e apparato punitivo Michel Foucault 1926-1984 (Sorvegliare e punire, Storia della sessualità) * genealogia (una sorta di storia del presente, in cui le fonti storiche vengono selezionate in base al tentativo di spiegare un problema rilevante per noi, e poi integrate per mezzo di un paradigma critico e teorico forte) * analisi del potere come qualcosa che va oltre la coercizione e la repressione: definizione del potere moderno come 'bio-potere' ovvero un potere produttivo che stimola la vita (in forme normativamente prescritte) che lavora attraverso i soggetti anziché su di loro * critica dell'ipotesi repressiva freudiana * nozione di soggettività Lo sviluppo di alcune istituzioni moderne come la prigione, la scuola, la caserma, l'ospedale viene connesso all'emergere di una razionalità politica particolare. Queste istituzioni funzionano da laboratori per creare i principi della società moderna. Bio-potere: è un modello di razionalità politica (cfr. Weber legittimazione politica, tipo di potere). Corrisponde al sovrano che deve governare la vita anziché detenere semplicemente il potere di toglierla. Il potere dello stato moderno è grande nella misura in cui stimola la vita dei suoi cittadini, nella misura in cui fa sì che la vita dei cittadini cresca in forme normative prestabilite. P. es. controllo delle nascite, eugenetica, welfare, ecc. "Si deve parlare di bio-politica quanto vogliamo designare ciò che fa entrare la vita e i suoi meccanismi nel campo degli ostacoli espliciti e che rende il rapporto potere\sapere un attore della trasformazione della vita umana. L'uomo moderno è un animale nella cui politica la sua propria vita come essere vivente viene messa in discussione". Questa forma di razionalità politica si è andata sviluppando soprattutto a partire dal XVII secolo in due direzioni: 1) interesse per la specie umana Alcune categorie scientifiche - popolazione, specie rimpiazzano le categorie giuridiche come oggetto di attenzione politica. Sviluppo delle moderne scienze umane, che sono cresciute a partire dalla teoria politica con intenti pratici "la verità è una forma di potere" 2) interesse per il corpo umano Non come mezzo di riproduzione umana, ma come oggetto da manipolare. Corpi docili/corpi utili: "parallelo incremento di utilità e docilità" La prigione e la microfisica del potere 23 La prigione come una istituzione educativa, basata sulla seclusione e il disciplinamento del corpo, mirata a controllare e trasformare gli individui mediante una sorveglianza dettagliata e continua delle loro pratiche quotidiane (cfr. monasteri, ascetismo in Weber) 1) Segna uno scarto rispetto al passato: una differente nozione ... della sovranità: potere di togliere la vita o di governare la vita ... della soggettività: sudditi con identità ascrittive, cittadini liberi ... della pena: retributiva o educazionale ... di come applicare la punizione praticamente: spettacolare o seclusa ... del ruolo del corpo individuale nella punizione: come fine o come mezzo per raggiungere l'anima 2) E' organizzata in base al principio dell'internalizzazione della sorveglianza esterna (cfr. Elias) Panotticismo (Bentham): "il principale effetto del panottico è quello di produrre nel prigioniero uno stato cosciente di visibilità che assicura l'automatico funzionamento del potere. Per rendere la sorveglianza permanente nei suoi effetti anche se essa è discontinua nella sua azione ... (così che) i prigionieri si trovano intrappolati in una meccanismo di potere che essi stessi sostengono". Ciò avviene attraverso una particolare organizzazione dello spazio, del tempo, della proprietà, delle relazioni interpersonali 3) Le identità vengono costruite e ricostruite attraverso la disciplina del corpo. Ciò e vero in molte istituzione moderne, quali l'esercito o la fabbrica. Cfr. l'idea che si diventi soldati mediante un addestramento militare (il soldato come il prodotto finale di un processo di disciplinamento) rimpiazza l'idea medievale del soldato come qualcuno con alcune specifiche e immutabili caratteristiche fisiche (spalle larghe, forza, etc.) Il disciplinamento nelle istituzioni disciplinari come prigione, caserma, fabbrica corpi docili\corpi utili: "diverse dall'ascetismo e dalle discipline di tipo monastico che hanno la funzione di assicurare delle rinunzie piuttosto che delle maggiorazioni di utilità" 1) L'arte delle ripartizioni (ubicazioni funzionali; ranghi ed esami) 2) Il controllo dell'attività (utilizzazione esaustiva del tempo) 3) L'organizzazione delle genesi (carriere) 4) La composizione delle forze Le discipline possono anche avere un carattere positivo per chi vi ci si sottopone (Bell sulla 24 santa anoressia; Foucault e l'auto-disciplina sessuale della borghesia vittoriana come strumento di vittoria sociale, Elias e i cortigiani cortesi, ecc.) ... Cosa avviene concretamente nelle istituzioni totali? Istituzioni totali e stigmatizzazione Erving Goffman, 1922-1982 (Asylums, Stigma) * interazione (soprattutto aspetti cerimoniali) * processi di stigmatizzazione * linguaggio del corpo * frame (cornice di significato) "total institution" (p. es l'ospedale psichiatrico) 1) si prende cura dell'intera vita di chi vi è ricoverato 2) compulsiva (non si può uscire semplicemente perchè lo si vuole, lo si sceglie) 3) separata dal resto del mondo sociale e altamente specifica 4) mirata a cambiare l'identità di chi vi è ricoverato e/o a fornirgli capacità che essi non possono giudicare nel merito mediante alcune regole d'interazione particolari: trattamento cerimoniale (spogliare dell'identità esterna; spersonalizzazione; degradazione) organizzazione (routines rigide; rigidità dei ruoli) percorsi normativi (re-identificazione) L'istituzione totale non come una metafora della modernità ma come un luogo che rovescia il normale trattamento cerimoniale dei singoli per risocializzarli Normale e patologico (Foucault, Goffman) Secondo Goffman la normalità non è una qualità assoluta bensì un attributo relazionale: normali sono "quelli che non si allontanano in modo negativo dalle aspettative tipiche di una situazione sociale". Chi è normale lo è sempre "rispetto a" qualcuno che viene definito come suo opposto. Stigmatizzazione La stigmatizzazione come caso particolare di questa fondamentale classificazione sociale: "il 25 termine stigma verrà usato per riferirci ad un attributo che risulta fortemente discreditante, anche se ciò che andrebbe usato è un linguaggio fatto di relazioni non di attributi" 3 tipi di stigma: corpo, carattere, tribali Le dinamiche della normalità interazione ........ aspettative actual identity ........ virtual social identity self ....... self-demand Conseguenze teoriche di tale definizioni: 1) nessuno è assolutamente normale 2) "gli atteggiamenti che noi normali abbiamo verso una persona con uno stigma ... sono noti perché si tratta di risposte che l'azione sociale benevola è volta ad alleggerire ... Per definizione, tendiamo a pensare che una persona con uno stigma non sia propriamente umana. Sulla base di questo pregiudizio noi esercitiamo molteplici discriminazioni così che, più o meno volutamente, riduciamo le sue possibilità di vita." 3) "gli individui stigmatizzati sembrano possedere le stesse credenze (beliefs) rispetto all'identità che abbiamo noi (così detti "normali"); questo è un fatto centrale ... gli standards che (colui che viene stigmatizzato) ha incorporato dalla più ampia società lo rendono sensibile a ciò che gli altri vedono come le sue mancanze, fanno sì che egli, anche solo per pochi momenti, finisca per essere d'accordo sul fatto che è davvero manchevole rispetto a ciò che dovrebbe essere" (cfr. Garfinkel in Agnese) I contatti con i "normali" sono una fonte di insicurezza : "anxious unachored interaction" perché rompono l'ordine spontaneo dell'interazione, il taken-for-granted: ... in che categoria si è messi? quale categoria è meglio? ... la gestione delle impressioni diventa un punto centrale di attenzione ... invasione della sfera del privato ... tracotanza o eccessiva umiltà Il tratto somatico o caratteriale che mobilizza la stigmatizzazione prende il sopravvento, diventa più importante di tutto il resto, e induce anche alla produzione di una serie di associazioni che Goffman chiama "stigma ideology". Queste includono anche attributi positivi che però contribuiscono a segnare il soggetto stigmatizzato come diverso. La "stigma ideology" serve a spiegare a noi stessi e a chi è stigmatizzato "le ragioni della sua inferiorità e a definirne la pericolosità ... Tendiamo ad imputare un'ampia gamma di imperfezioni in base ad una sola originale imperfezione, e allo stesso tempo, tentiamo ad imputare alcuni attributi desiderabili, spesso di tipo sovra-naturale come il 'sesto senso' o la 'sensibilità'" 26 "Coping" tentativi di correzione diretta (cambiare il proprio naso, cognome, ecc.) correzione indiretta rompere la realtà sociale ( "utilizzare una interpretazione non-convenzionale della natura della propria identità sociale") mobilizzazione Goffman – Il rituale dell’interazione (1967) • Sacralità dell’individuo nel mondo urbano e secolare, manifestata e confermata da atti simbolici (da Durkheim: significato simbolico delle attività sociali funzionale alla solidarietà e all’ordine sociale) • L’ambiente più adatto per apprendere qualcosa sulle norme della buona condotta personale è il luogo in cui sono state recluse delle persone proprio per la loro evidente incapacità di comportarsi secondo queste norme universali (infrazione regole di routine socialmente condivise) (ospedale psichiatrico) • Norma di comportamento: guida per l’azione che si adegua ad un modello socio-culturale • Norme dirette (obblighi) o indirette (aspettative) • Quando una persona si trova impegnata a sostenere una regola, tende anche a farsi una particolare immagine di sè stessa alla quale si sente in qualche modo legato. • Un atto che sia soggetto a una regola di comportamento è quindi una comunicazione, poiché rappresenta un modo in cui vengono confermate le identità personali: sia l’identità della persone per cui la regola è un obbligo, sia l’identità della persona per cui è un’aspettativa. • Quando una regola viene violata, sia l’attore che il destinatario corrono il rischio di essere screditati • Le regole trasformano sia l’azione che l’inazione in espressione: comunicazione significativa 27 • Vari tipi di distinzioni: regola formale - informale regola simmetrica - asimmetrica REGOLA SOSTANZIALE - REGOLA CERIMONIALE • Regola sostanziale: determina la condotta nei riguardi di questioni considerate significative per se stesse, prescindendo da ciò che l’osservanza o l’infrazione alla regola esprime sul sé delle persone interessate - Es: non rubare - Codice: Legge, Morale o Etica • Regola cerimoniale: guida il comportamento in questioni in cui il significato è considerato per se stesso secondario o addirittura nullo. L’importanza primaria sta nel fatto di fungere da mezzo convenzionale con il quale una persona esprime il proprio carattere o il proprio giudizio sugli altri partecipanti alla comunicazione. - Codice: “Etichetta” - Ma NB: esempi di valore sostanziale di atti cerimoniali 1. LA DEFERENZA • • • • • Apprezzamento che una persona mostra nei riguardi di un’altra persona mediante rituali interpersonali (di discrezione e/o di presentazione) Osservabile in quei piccoli atti che punteggiano le relazioni sociali: saluti, complimenti, scuse L’apprezzamento espresso da un atto di deferenza indica che l’attore possiede ufficialmente un sentimento di riguardo verso il destinatario o la sua categoria sociale (Es.: Logica militare) Nel senso comune, la deferenza è concepita come sottomissione ad un’autorità In realtà, deferenza non è timore reverenziale Rituali di discrezione Forme di deferenza che inducono l’attore a tenersi a distanza cerimoniale dal destinatario e non violare la sua “sfera ideale”, non “passare i limiti” • Legame discrezione – proprietà: Es.: corpo, nome proprio 28 Rituali di presentazione Es.: saluti, inviti, complimenti, piccoli favori • • Discrezione ciò che non si deve fare Presentazione ciò che si deve fare Le relazioni sociali implicano una dialettica costante tra rituali di presentazione e di discrezione “La personalità umana è una cosa sacra, non si osa calpestarla o violarne i limiti, tuttavia il bene maggiore sta nella comunione con gli altri” (Durkheim) 2. IL CONTEGNO • Elementi del comportamento cerimoniale dell’individuo tipicamente manifestati mediante l’atteggiamento, il modo di vestire o di muoversi, che comunicano agli altri presenti che è una persona con certe qualità desiderabili o indesiderabili Buon contegno / cattivo contegno Es. da ospedale psichiatrico (profanazioni cerimoniali, mancanza di rispetto) • Rapporto complementare tra deferenza e contegno: il modo in cui esprimo deferenza ad un’altra persona indica anche se il mio contegno è buono uguale importanza nella costruzione del proprio sé • NB: differenze interculturali / intergeneri • ISTITUZIONALIZZAZIONE delle pratiche di deferenza e contegno (bassi costi) • NORME CERIMONIALI COSTRUZIONE DEL SÈ Il sé è, in parte, un oggetto cerimoniale, qualcosa di sacro che deve essere trattato e presentato con attenzione rituale (tenendo un contegno corretto con gli altri, e trattato dagli altri con la dovuta referenza) 29 • SACRALITÀ DELL’INDIVIDUO “Ci siamo sbarazzati di molti dei, ma l’individuo stesso rimane ostinatamente una divinità di notevole importanza. Si comporta con una certa dignità e a lui sono dovuti molti piccoli omaggi. È’ geloso del culto che gli è dovuto e tuttavia, se avvicinato nel modo giusto, è pronto a perdonare coloro che lo hanno offeso … non è necessario l’intervento di intermediari; ognuno di questi dei è in grado di celebrare l’ufficio divino come sacerdote di se stesso” (Goffman) “Coloro che sono i meno preparati a proiettare un sé sostenibile sono posti in un ambiente in cui è praticamente impossibile farlo” (Goffman) Goffman – Stigma e identità sociale (1963) • STIGMA (da antica Grecia): segni fisici che vengono associati agli aspetti insoliti e criticabili della condizione morale di chi li ha (persona “segnata”: schiavo, traditore) • IDENTITÀ SOCIALE: quando ci troviamo di fronte ad un estraneo è probabile che il suo aspetto immediato ci consenta di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene e quali sono i suoi attributi Categorie sociali e attributi “naturali” sono in realtà forti costruzioni sociali • IDENTITÀ SOCIALE VIRTUALE vs IDENTITÀ SOCIALE ATTUALIZZATA • Attributo STIGMA: frattura tra queste due identità, diversità non desiderata (attributo come marchio infamante o mancanza di attributo, limitazione, handicap che produce discredito) • STEREOTIPO / DISCRIMINAZIONE: ideologia atta a spiegare la presunta inferiorità • 3 tipi di stigma: 1) DEFORMAZIONI FISICHE 2) ASPETTI CRITICABILI DEL CARATTERE 3) STIGMI “TRIBALI” (etnia, nazione, religione) • Individuo NORMALE: non si discosta da aspettative “normale” sempre “in relazione a” • VISIBILITÀ: 30 SCREDITATO • Problema dell’ACCETTAZIONE Situazione sociale di “contatti misti” • REAZIONE DELLO STIGMATIZZATO • Tentativi diretti Es.: chirurgia plastica, corsi per balbuzienti • Tentativi indiretti: cercare di appropriarsi di attività tipiche dei “normali” Es.: zoppo che impara a nuotare, cieco che impara a sciare • Tendenza all’isolamento e alla vittimizzazione: imbarazzato, sospettoso, confuso, depresso, ansioso • Interazione ansiosa, ma abitudine potenziale miglioramento nel corso del tempo SCREDITABILE • IL PROBLEMA NON È CONTROLLARE LA TENSIONE, MA CONTROLLARE L’INFORMAZIONE SOCIALE concretizzata dalla persona e trasmessa attraverso simboli • Simboli di status: Es.: anello, gradi nell’esercito • Simboli di stigma: segni che attraggono l’attenzione verso discrepanze Es.: cicatrici polsi, chiazze avambraccio congeniti? duraturi? Es.: colore pelle, sfregio, rasatura 31 La costruzione sociale dell'identità Marcel Mauss "La categorie della persona" Individuo/personaggio/persona Geoge H. Mead "Mind, Self and Society" Immedesimazione/riconoscimento/Io-me Simmel: identità e cerchie sociali Durkheim: individualismo e coscienza collettiva Norbert Elias "La società degli individui" Interdipendenza/psicologizzazione/governo del corpo Goffman: la costruzione cerimoniale dell'identità Garfinkel: l'identità come un performativo Michel Foucault "Tecniche del sé" Soggettività/giochi di verità/tecniche del sé L'individuo razionale, autonomo, fondante dell'umanesimo viene progressivamente indicato come il prodotto di un processo sociale (post-umanesimo) Per questo gli autori post-strutturalisti come Foucault preferiscono parlare di soggettività (soggetto = sottoposto/autore) piuttosto che di identità (che fa riferimento a continuità, coincidenza tra momenti diversi; costituita mediante una dialettica uguaglianza/differenza). 32 Differenziazione funzionale, libertà e individualità (Simmel) Le tre dimensioni dell’identità in Simmel 1) Soggetto-oggetto denaro e cultura materiale 2) Identificazione-distinzione la moda, le sette segrete 3) Individuo-società modernità = individualizzazione-differenziazione "La comune appartenenza locale e fisiologica, determinata dal terminus a quo è stata ... sostituita nella maniera più radicale dalla sintesi in base al punto di vista dello scopo, dell'interesse oggettivo intrinseco o, se si vuole, individuale ... Già presso certi popoli primitivi .... si può osservare come le organizzazioni centralistiche a fini bellici distruggano l'organizzazione del gruppo parentale" Differenziazione/astrazione di termina ad quem che svincola i soggetti da appartenenze esclusive e onnicomprensive fondate su rapporti contingenti di contiguità spazio-temporale o biologica Criteri della differenziazione: 1) volontari (economici, bellici, politici in senso più ampio e più stretto) 2) sentimentali (religiosi) 3) commisti di entrambi gli elementi (familiari) 4) intellettuali IDENTITA'' MODERNA COME SOMMA DI RUOLI INDIVIDUALIZZAZIONE "Il numero delle diverse cerchie in cui l'individuo si trova è ... uno dei criteri di misurazione della cultura ... La partecipazione di volta in volta ad ognuna di esse lascia ancora un ampio gioco all'individualità; ma, quanto più numerose esse diventano, tanto più improbabile sarà che altre persone ancora presentino la medesima combinazione di gruppi cioè che queste numerose cerchie si intersechino ancora in un punto" "la differenziazione e l'individualizzazione allentano il legame con i più vicini per istituirne in cambio uno nuovo - reale e ideale - con i più lontani" INDIVIDUO E SOCIETA': L'individuo è costituito socialmente, come il punto nodale di una rete 33 di interazioni sociali; allo stesso tempo la società non è un dato che si contrappone agli individui bensì la somma delle loro interazioni e una serie di rappresentazioni che scaturiscono da tali relazioni. Individuo e società si implicano e si fondano vicendevolmente; attenzione ai processi ma senza teleologia nè linearità (cfr. critica di Elias alle teorie dell'homo clausus). "Dopo che la sintesi del soggettivo ha generato l'oggettivo, la sintesi dell'oggettivo produce a sua volta un nuovo e più elevato elemento soggettivo" LIBERTA'' E DETERMINAZIONE: La libertà del soggetto non è fondata ontologicamente, il soggetto è libero nella misura in cui è formato come tale dalle relazioni sociali a cui contribuisce. Ambivalenza come chiave interpretativa della modernità e dell'identità moderna: a) libertà positiva\libertà negativa; scelta\anomia ... b) gli individui possono forse saltare da un ruolo all'altro, eppure essi lottano per presentare se stessi come soggetti dalla traiettoria leggibile, soggetti quindi responsabili ed in certa misura prevedibili NUOVE "determinatezze" per la "personalità morale": unità e scissione; scelta e responsabilità La religione dell'individuo (Durkheim) Divisione del lavoro sociale e uniformità delle coscienze: un minimo comune denominatore per le società altamente differenziate "anche dove la società riposa completamente sulla divisione del lavoro essa non si risolve in una miriade di atomi giustapposti, tra i quali non possono stabilirsi che contatti esterni e passeggeri; ma i suoi membri sono uniti da vincoli che si estendono ben al di là dei brevi momenti in cui avviene lo scambio. Ognuna delle funzioni che esercitano è sempre dipendente dalle altre, e forma con esse un sistema solidale: dalla natura del compito scelto derivano quindi doveri permanenti" La società è sempre morale: "... la natura di queste due moralità (comunità delle credenze vs cooperazione) è differente: quella che deriva dall'uniformità è forte soltanto se l'individuo non lo è ... L'altra invece si sviluppa a misura che si rafforza la personalità individuale" La coscienza collettiva nelle società ad alta differenziazione funzionale (e quindi alta individualizzazione) non è scomparsa bensì si è trasformata. Essa è sempre di più una serie di "modi di pensare e di sentire estremamente generali e indeterminati, che lasciano uno spazio crescente alle differenze individuali". La divisione del lavoro moderna ha dato luogo ad una moralità imperniata sulla religione dell'individuo e su un insieme di valori come la libertà, la razionalità e la tolleranza. 34 La religione si è "ritirata" dalla vita sociale solo per lasciare spazio ad una nuova religione: "man mano che altre credenze ed altre pratiche diventano meno religiose in natura, l'individuo diventa l'oggetto di una forma di religione. Così noi abbiamo nella dignità della persona un credo che ha già le sue superstizioni" La nuova moralità può dunque essere legata all'illuminismo (universalismo umanista; individualismo razionale): dobbiamo rispettare l'individuo in quanto tale per l'umanità che esso contine, umanità che a sua volta corrisponde all'autonomia individuale, alla sua capacità di essere individuo (cfr. Beruf in Weber) Ne L'individualismo e gli intellettuali Durkheim contrappone individualismo e utilitarismo La "glorificazione dell'io non dell'individuo in particolare ... simpatia per tutto ciò che è uomo, una pietà più ampia per tutti i dolori ... una più grande sete di giustizia ... impersonale e anonimo" è diverso da "egoismo utilitario di Spencer" "Questa persona umana la cui definizione è come la pietra di paragone con cui si discute del bene e del male, è considerata come sacra nel senso rituale del nome; essa ha qualcosa della trascendente maestà che le Chiese di ogni tempo conferiscono ai loro dei; essa e concepita come investita di una proprietà misteriosa che isola le cose sante, le sottrae ai contatti volgari e le ritira dalla circolazione comune ... Una simile morale non è dunque una disciplina igienica o una saggia economia dell'esistenza: è una religione in cui l'uomo è, contemporaneamente, il fedele e Dio" Religione: valori condivisi da tutta la popolazione, posti a fondamento della coesione sociale, indisponibili, inafferrabili "Il culto dell'individuo ha per principale dogma l'autonomia della ragione e per principale rito il libero esame" Sociologicamente fondato (individualizzazione) e necessario: "è il solo sistema di credenze che possa assicurare l'unità morale del paese" Però ci sono tensioni interne: 1) "idea della persona umana sfumata diversamente a seconda della diversità dei temperamenti nazionali" 2) "la religione dell'individuo non può dunque lasciarsi dileggiare senza resistenza, sotto 35 pena di perdere il proprio credito" Analisi dell'evoluzione del diritto come modo di osservare i valori centrali dei una società: penale e retributivo La punizione "è la conseguenza del crimine ed esprime il modo in cui questo ha colpito la coscienza collettiva" (cioè i sentimenti condivisi) Punizione e crimine in due modelli di società SOLIDARIETA' MECCANICA SOLIDARIETA' ORGANICA Punizione indiscriminata incontrollata sanguinaria intensa violenta specifica metodica dosata mitigata limitazione della libertà Crimine criminalità religiosa "conto la collettività, sia materiale che ideale" criminalità umana "contro gli individui" Non si può dire che un atto si scontra con la coscienza collettiva perchè e criminale, bensì che è criminale perchè si scontra con la coscienza collettiva (prius del sociale) Sebbene la sua forma vari, le fondamenta della punizione rimangono le stesse (funzione) TUTTI I CRIMINI HANNO LA STESSA NATURA: CRIMINE E' QUALCOSA CHE MINACCIA LA COSCIENZA COLLETTIVA, E LA PUNIZIONE E'UNA FORMA DI DIFESA MEDIANTE LA QUALE LA COSCIENZA COLLETTIVA RAFFORZA SE STESSA, E L'ORDINE MORALE VIENE RISTABILITO MEDIANTE VARIE FORME DI INDIGNAZIONE/DENUNCIA PUBBLICA "Il crimine avvicina le sensibilità oneste e le rafforza. Dobbiamo solo pensare a cosa succede in un piccolo villaggio quando uno scandalo morale è appena avvenuto ..." La nostra sensibilità moderna vorrebbe credere che la funzione primaria della punizione sia la rieducazione o la deterrenza. Ma essa rimane qualcosa di più vicino alla vendetta (anche se ora è razionalizzata, regolata, misurata, etc.) "vendicare la dignità umana, offesa nel nella persona della vittima, violandola nella persona di 36 colui che ha commesso l'offesa". Necessaria contraddizione della società moderna: la prigione è diventata la tipica forma di punizione ma non soddisfa le ambizioni morali della nuova coscienza collettiva L'identità come un performativo (Garfinkel) "Agnes" (1959) controlli sociali sulla variazione di status + variazioni temporanee e giocose di ciò che la persona "in fondo" è davvero = esiste una "verità di fondo", una "total identity". p.es. sesso (maschio/femmina; eterossessualità; stabilità attraverso il tempo e lo spazio) "passing" mostra il "routinized charater" di queste "background relevances" e quali sono le strategie disponibili per ottenere lo status di "femmina naturale" "Rituali di Degradazione" (1954) Viene considerato un particolare passaggio di status (degradazione) che avviene in particolari istituzioni (corte di tribunale), secondo modalità rituali (condivisione pubblica di regole e simboli) Durkheim: gli elementi rituali, di indignazione morale, di vendetta purificatoria sono ancora, nella nostra società "garantista" parte della pena. Garfinkel parte dall'idea che anche nelle nostre formali procedure forensi vi sia un "quid" non piccolo di denuncia morale, e si proceda alla degradazione morale dell'accusato Degradazione: “Communicative work directed to transforming the individual total identity into an identity of inferior status within the group” … non solo la persona come ruolo (i.e. commercialista) ma la persona in quanto tale, come soggetto morale, responsabile di se stesso di fronte alla comunità • Cerimonia di degradazione di status = comunicazione in cui l’identità totale di un attore è trasformata in qualcosa considerato come inferiore nello schema locale dei tipi sociali • Identità totale = tipo motivazionale, non si riferisce al comportamento ma ai fondamenti, ai principi, alle motivazioni del comportamento • Individui costituiti come oggetti sociali “totalmente identificati” = identificati per mezzo delle “ragioni” ultime dei loro comportamenti, socialmente tipizzati 37 • Indignazione morale come sentimento sociale • Ogni sentimento sociale ha il suo paradigma comportamentale Es.: Vergogna “coprirsi il volto in segno di vergogna” • Indignazione morale denuncia pubblica “non è quello che sembra ma un’altra persona” “ora mi rendo conto che era diverso fin dall’inizio” Distruzione rituale della persona denunciata Rinforzamento della solidarietà di gruppo • La denuncia pubblica provoca una trasformazione di essenza sostituendo un nuovo schema motivazionale Condizioni per una denuncia felice: 1) accusato e fatto "idealizzati", "fuori dall'ordinario", "unici" 2) sottolineatura della "volontà", "minimizzazione del caso" 3) testimone che mostra l'anormalità dell'accusato e la normalità di caratteristiche opposte 4) chi denuncia non come una persona privata, bensì come rappresentante di istanze pubbliche; la denuncia effettuata nel nome della "dignità di valori sovra-personali"; diritto di parlarne nel nome di valori pubblici e attivo fautore di tali valori; un "esterno" cioè "obiettivo" Il processo negli ordinamenti moderni come rituale di degradazione procedure formali RAZIONALIZZAZIONE + indignazione morale RITUALE ... ritratto stereotipico dell'accusato e dell'accusatore … può rendere il processo in sé una “pena” Garfinkel contrasta le cerimonie di degradazione contemporanee (istituzionalizzate, razionalizzate, professionalizzate) con i rituali tribali (senza "degraders" professionali; interessi immediati, ecc.). Così facendo comincia a parlare di "tattiche" disponibili all'accusato. Le condizioni di una degradazione felice ci dicono non solo "how to construct an effective denouciation, but also how to render denounciation useless" Margine di manovra dei singoli ... relazioni micro (la situazione all'interno del tribunale) e macro (le identità stabilizzate nel tempo, p.es. habitus; le relazioni sociali ..) 38 In conclusione possiamo dire che nella nostra società esistono molteplici nozioni di identità, p.es. identità totale: legata all'idea che esista un nocciolo vero, sacro del soggetto; associata alla volontà individuale, allo schema dei motivi di fondo di un soggetto, alla sua responsabilità identità biografica: è legata alla capacità/necessità di presentarci come soggetti unitari, come controllori dei nostri diversi ruoli sociali, come organizzatori del nostro passato e del nostro futuro identità locale: è legate alle particolari aspettative di ruolo o di interazione nelle diverse istituzioni, p.es. a lezione un buon studente prende appunti, ascolta, etc. sé multiplo: è sia una nozione sociologica, ovvero l'idea che ci siano molti sé, tanti quanti sono le identità locali o i ruoli di una persona, sia un'esperienza che è ormai parte della vita quotidiana (cfr. Pirandello e tutta la letteratura del '900). Si riflette costantemente sulla molteplicità del sé perché essa è sia condizione per l'emersione di un sé unico come organizzatore dei propri ruoli e delle proprie preferenze sia una minaccia alla coerenza di questo sé. 39 MODULO 2 CULTURA … COLTIVAZIONE E CULTO 16/19sec. miglioramento dell'individuo, della sua mente e delle sue maniere miglioramento della società (civilizzazione vs barbarie) ROMANTICISMO, SPIRITUALITA', CULTURE NAZIONALI (POPOLARI) … nell' uso corrente tende ad essere opposta a ciò che è materiale, tecnologico e strutturale, e tende ad essere vista come un insieme ordinato o strutturato di credenze, simboli, segni e discorsi, p.es. costumi nazionali (p.es. gestire i biglietti da visita); attività/beni elitari o forme di intrattenimento di massa; variazioni locali di significati simbolici. … in sociologia si pone spesso l'enfasi sulla relativa autonomia della cultura, ovvero sul fatto che essa non può essere spiegata semplicemente facendo riferimento a forze economiche, politiche o sociali sottostanti. Si tende a sottolineare che la cultura (sia come "fatto sociale" che come nozione) ha una PROBLEMATIZZAZIONE In relazione alle nozioni di … NATURA (frames primari, cfr. Goffman) SOCIETA’ (relazione vs rappresentazione) COS' E’ LA CULTURA? ... è il solco in cui ci è più facile cadere nel nostro orientarci al mondo ed a noi stessi ... "cultura" anche come un campo in cui si confrontano "programmi monolitici e dominanti e le loro molte alternative sovversive". Occorre comunque tenere in considerazione la dimensione processuale dell'azione sociale e quindi la "capacità degli individui di prendere le distanze dai modelli, schemi e paradigmi consolidati di pensiero e azione" (Victor Turner). 40 SWIDLER: CULTURA COME “CASSETTA DEGLI ATTREZZI” “Talk of love”: diverse retoriche sull’amore si mescolano nel modo in cui noi rendiamo conto delle nostre emozioni e relazioni: romantica vs mondana Discorso pubblico OGGI: diverse retoriche in conflitto tra loro Liberale – fondato sul disincanto del mondo e l’umanesimo illuminato Postmodernista – fondato sulla caduta delle grandi narrazioni e il pastiche culturale Fondamentalista – fondato sul primato della religione e la sua pervasività sociale 41 Cultura e suoi significati Williams, 1976 1) lo sviluppo intellettuale, estetico e spirituale di un individuo, gruppo o società (Kultur, nella tradizione tedesca) 2) una varietà di attività e prodotti artistici (sinonimo con "le arti) Matthew Arnold Individuazione della cultura “alta” che può educare le masse, la ricerca della perfezione in campo artistico Max Weber La scienza non risponde alle domande sul senso della vita, solo l’arte, la religion, la Kultur può DISCIPLINE UMANISTICHE: EQUAZIONE TRA CULTURA E ARTI Postulati: a) alcune culture o opere culturali sono migliori di altre – atteggiamento estetico-morale; b) la cultura si oppone alle norme prevalenti di una civiltà, cultura e società sono spesso in opposizione; c)la cultura è fragile e va attivamente preservata/incentivata; d)ha un’aura di sacralità e ineffabilità ) 3) un intero sistema di vita, attività, credenze e abitudini di un popolo o società Taylor (1871) “La cultura o civiltà, presa nel suo più ampio significato etnografico, è quell’insieme complesso che include il saper, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società” Berger (1969) La cultura è “la totalità dei prodotti dell’uomo” SCIENZE SOCIALI: EQUAZIONE TRA CULTURA E FORME DI VITA DEI POPOLI a) relativismo culturale; b) armonia/congruenza tra cultura e società (cfr. funzionalismo e marxismo); c) persistenza e durata della cultura; d) la cultura può essere studiata empiricamente come ogni altro oggetto: è un oggetto di analisi sociologica e non un dato sacro 42 Livelli di analisi (Peterson) FATTUALE norme: il modo con cui la gente si comporta in una data società valori: ciò a cui essi tendono MORALE credenze: il modo in cui essi pensano che il mondo funzioni COGNITIVO simboli espressivi: rappresentazioni delle norme, valori, credenze ESPRESSIVO Uno schema per lo studio della cultura (Griswold) DIAMANTE CULTURALE MONDO SOCIALE CREATORI CULTURALI RICEVITORI CULTURALI OGGETTI CULTURALI 43 COME FARE RICERCA IN SOCIOLOGIA DELLA CULTURA? "La metodologia può sempre essere soltanto un'autoriflessione sui mezzi che hanno trovato conferma nella prassi, e l'acquisizione di una loro esplicita consapevolezza non è presupposto di un lavoro fecondo più di quanto la conoscenza dell'anatomia sia presupposto di una corretta andatura. Ed infatti come colui che volesse di continuo controllare il proprio modo di camminare in base a conoscenze anatomiche, sarebbe in pericolo di inciampare, così la stessa cosa potrebbe capitare allo studioso di professione nel tentativo di determinare dal di fuori i fini del proprio lavoro sulla base di considerazioni metodologiche". Con questa frase Max Weber, nel suo Il metodo delle scienze storico-sociali, illustra due questioni centrali per la metodologia sociale, ovvero per le modalità di attuazione di una ricerca sociologica. La prima questione riguarda il rapporto tra metodo e teoria. Weber rileva la necessità che gli obiettivi della ricerca siano sviluppati indipendentemente dalle modalità di attuazione della ricerca stessa; al contrario sarebbero proprio queste ultime a dover esser scelte in conseguenza dei primi. Corollario di tale proposizione è il fatto che l'adozione di una metodologia piuttosto che un'altra - o anche solo la scelta di una tecnica di raccolta dati o di una procedura di analisi - implica l'assunzione di ipotesi non neutre dal punto di vista teorico, e che al limite possono rivelarsi in contrasto con l'approccio teorico prescelto. Neppure l'osservazione rigorosa di dettami metodologici, dunque, mette al riparo il ricercatore dalla necessità di riflessione teorica né lo esonera dalla presa di coscienza delle modalità secondo le quali tale riflessione teorica agisce sui risultati di ricerca ottenibili. Si giunge così alla seconda questione che riguarda più specificamente lo status della metodologia. Essa non è una "rete di sicurezza" sulla quale modellare a priori i nostri lavori empirici. Queste osservazioni sono particolarmente importanti per la sociologia della cultura contemporanea, che ha bisogno non solo di rigore metodologico ma anche di immaginazione e flessibilità per poter adeguare i propri mezzi di ricerca agli oggetti sempre nuovi con cui essa deve fare i conti. Approcci e tecniche Ricerca sul campo e osservazione partecipante Interviste (in profondità, semi-strutturate, ecc.) Analisi dei documenti (analisi del discorso, analisi visuale) Survey o indagine campionaria 44 Un classica ricerca etnografica sugli esclusi: Asylums di E. Goffman Per descrivere il proprio approccio metodologico Goffman ha utilizzato i termini “ricerca naturalistica” e “micro-analisi” indicando così il tentativo di comprendere i meccanismi della vita sociale a partire dalle – e dando credito alle - pratiche ed esperienze dei soggetti entro i loro specifici contesti di azione e interazione. Questo tipo di approccio si oppone ai “tradizionali disegni di ricerca” che partono da un’ipotesi astratta, ne discutono i limiti e poi verificano quante correlazioni tra variabili si conformano o meno ad essa: “mediante questi metodi – scrive Goffman - non sono stati scoperti campi di studio naturalistico. Non sono emersi concetti che hanno riordinato la nostra visione dell’attività sociale. Non si è accumulata comprensione del comportamento ordinario; al contrario si è generata distanza”. Certo Goffman è consapevole dei limiti intrinseci di un simile approccio. Fornendo alcuni dettagli del lavoro sul campo condotto per Asylums (dove spiega di aver ottenuto formale consenso dalla direzione e di aver condotto l’osservazione in qualità di “assistente al corso di ginnastica”, passando “il giorno con i pazienti, evitando di intrattenere rapporti sociali con lo staff” e “precisando, quando mi veniva richiesto, di essere uno studioso della vita di comunità”) Goffman sostiene di essere partito dall’idea che “qualsiasi gruppo di persone - detenuti, primitivi, piloti, o pazienti - sviluppino una vita personale che diventa ricca di significato, razionale e normale, quando ci si avvicini ad essa, e che un buon modo di apprendere qualcosa su questi mondi potesse essere partecipare al ciclo di vita quotidiana cui gli internati sono soggetti”. Per fare questo, l’etnografo deve entrare nel gruppo senza mai farne parte: “non lasciarsi coinvolgere, neppure apparentemente” e allo stesso tempo accettare che “se si vuole descrivere fedelmente la situazione del paziente non si può essere obiettivi … il modo di vedere il mondo da parte di un gruppo, funziona a sostegno di coloro che ne fanno parte, offrendo una definizione autogiustificante della loro situazione, e la possibilità di giudicare a una certa distanza quelli che non appartengono al gruppo”. In una breve riflessione sul fieldwork (lavoro di campo) Goffman fa più volte riferimento all’etnografo come ad una “spia”, quasi a sostenere l’inevitabilità e il peso di questo ruolo. La “spia” non sta comoda. Lo sguardo etnografico affiora innanzi tutto dall’immersione del ricercatore in una esperienza di sradicamento, stacco, azzeramento delle proprie pretese ed abitudini. Per vedere le cose in modo nuovo o individuare nuovi oggetti di ricerca dobbiamo lasciare le nostre identità e tuffarci nel reale, ma dobbiamo farlo, tenendo sullo sfondo, in un gioco di confini e di frames che è appunto un po’ quello delle spie, i nostri obiettivi fondamentali, che sono di ordine conoscitivo. Goffman definisce tutto questo, senza mezzi termini, “auto-disciplina”: noi stessi ci facciamo strumento usando e dosando tutto di noi stessi, intelletto e corpo, ragione e sentimenti.. 45 La più classica analisi culturale dei documenti: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di M. Weber Weber parte dalla nozione di agire sociale dotato di senso (non solo strutture sociali ma anche il significato dell'azione per i soggetti; questi hanno la capacità non solo di calcolare e individuare il miglior mezzo per soddisfare alcuni fini - razionalità strumentale - ma anche la capacità e la necessita di sentire che i propri fini sono giusti). Nel suo saggio su Capitalismo e protestantesimo ascetico, l'idea calvinista della vocazione viene studiata come la pre-condizione morale, intellettuale e culturale dell'organizzazione economica capitalista. Vi è dunque una lotta contro un uso irrazionale della proprietà, contro il possesso sterile, e una promozione della moralità del profitto razionale, produttivo (insieme ai comforts, alle decencies ma non alle luxuries). L'etica del lavoro richiede la razionalizzazione del proprio lavoro, del tempo, di se stessi: la volontaria sottomissione del corpo a routines rigidamente codificate, la negazione dei piaceri immediati". L'ascesi intramondana "combatte con autentica violenza soprattutto una cosa: il godimento spensierato dell'esistenza e dei piaceri che può offrire ... (per i quaccheri, ad esempio) lo sport doveva servire a uno scopo razionale, quello della ricreazione necessaria per la buona forma fisica. Invece come mezzo per sfogare in modo disinvolto impulsi incontrollati gli era sospetto gli era sospetto, e come è ovvio, veniva senz'altro condannato, nella misura in cui diventasse puro divertimento, o persino destasse l'ambizione competitiva ". Quindi la "formazione di capitale" necessaria allo sviluppo dell'attuale sistema economico è stata "condizionata dalla coazione ascetica al risparmio". L'etica del lavoro però produsse effetti che non erano contemplati nel suo originale spirito. Si ha così una progressiva preminenza della sfera economica sul sacro sino ad arrivare a forme estreme di utilitarismo. 46 Il significato culturale PERCHE’ SONO IMPORTANTI I SIGNIFICATI? ANTROPOLOGIA FILOSOFICA (GEHLEN): LA CULTURA FINISCE L’ESSERE UMANO CHE DEVE IMPARARE A VIVERE: LA CULTURA E’ LO SPECIFICO DELLA SPECIE UMANA, PROTEGGE DAL CAOS, FORNISCE ORDINE, LIBERTA’ DI FARE Significati semplici (SEGNI corrispondenza biunivoca con un solo referente: Es. algebra) complessi (SIMBOLI corrispondenza con più referenti, evocazione di significati contesi, ambigui) IDEALISMO TEDESCO: LA CATEGORIA INTELLETTUALE PRECEDE LA REALTA’ FENOMENICA, MATERIALE; LO SPIRITO DEL MONDO AVANZA VERSO IL SUO COMPIMENTO MEDIANTE UN PROCESSO DIALETTICO (KANT, HEGEL) TEORIE DEL RIFLESSO: LA CULTURA RIFLETTE IL MONDO SOCIALE STRUTTURA-SOVRASTRUTTURA (MARX) MUSICA POPULAR COME PRODOTTO COMMERCIALE PSEUDOINDIVIDUALIZZATO (ADORNO) DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO: CHI SONO I PERSONAGGI FAMOSI (LOWENTHAL) FUNZIONALISMO LE SOCIETA’ UMANE PER CONSERVARSI ESPRIMO B ISOGNO CONCRETI (SOCIALIZZAZIONE, LATENZA) E LE ISTITUZIONI SOCIALI (FAMIGLIA, STATO, ECC.) NASCONO PER SODDISFARE QUESTI B ISOGNI. OGNI LIVELLO SOCIALE E’ ARMONICO RISPETTO AGLI ALTRI, RIFLETTENDO UN ORDINE (PARSONS) 47 TEORIE CULTURALISTE: IL MONDO SOCIALE RIFLETTE LA CULTURA LE OPPORTUNITA’ ECONOMICHE VENGONO VISTE IN BASE AD UN’ETICA ECONOMICA CHE E’ DI ORGINE RELIGOSA (WEBER) “sono gli interessi (materiali e ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l’agire dell’uomo. Ma le ‘concezioni del mondo’, create dalle ‘idee’, hanno spesso determinato – come chi aziona uno scambio ferroviario – i binari lungo i quali la dinamica degli interessi ha mosso tale attività” (Weber Sociologia delle religioni, 352) 48 DIREZIONI CAUSALI: DIAMANTE CULTURALE MONDO SOCIALE CREATORI CULTURALI Marx Funzionalismo Weber Interazionismo OGGETTI CULTURALI RICEVITORI CULTURALI 49 Le subculture e la nozione di sottocultura Formulata esplicitamente in seno alla Scuola di Chicago negli anni ’40 la nozione di ‘sottocultura’ ha ispirato un importante filone di studi. L’americano Milton Gordon nel suo The Concept of the Sub-culture and its Application (1947) è il primo a riflettere esplicitamente su questa nozione, mettendo in luce che essa consente di cogliere sotto-sistemi di organizzazione sociale relativamente chiusi e coesi che erano stati precedentemente studiati mediante le nozioni di ‘classe’ o ‘gruppo etnico’, riuscendo così a mettere a fuoco forme di segmentazione che non passano dalle più tradizionali variabili demografiche e che anzi le tagliano formando nuove entità sociali che hanno un forte impatto sui propri membri. Soprattutto, la nozione, sembrava mettere l’accento sulla forma di vita dei membri dei gruppi sub-culturali, consentendo un approccio olistico, in grado di apprezzare questi mondi sociali e culturali ‘dall’interno’. Che cos’è una sottocultura? La nozione di sottocultura non è certo meno ‘spugnosa’ di quella di cultura - per usare un termine che Gerth e Mills (1954) applicano a quest’ultima. Il termine subcultura è rimasto per molti versi impreciso e poco chiaro (Fine e Kleinman 1979). Nonostante questo, con l’ausilio della nozione di sottocultura, si sono studiati fenomeni diversi: le sottoculture giovanili (soprattutto intorno ad alcuni generi musicali), quelle devianti o marginali (soprattutto maschili – dai jazzisti, ai senza tetto), quelle legate all’identità sessuale e di etnia (omossessuali, travestiti, gli afroamericani), o alcune culture di consumo e del tempo libero (dai surfisti ai bickers), o alcune sotto-culture politiche (in Italia quella cattolica e quella comunista), sino alle sottoculture mediatiche o persino virtuali (dalle comunità di fans musicali o di generi letterari, ai gruppi di discussione online). Come si può facilmente dedurre le sottoculture sono diverse per dimensioni, specificità o separatezza, esclusività dell’appartenenza, stabilità e dinamiche evolutive nel corso del tempo, cfr. Clarke 1974). Anche se le definizioni di sottocultura hanno teso nel tempo ad essere diverse – si è passati per esempio da una definizione tipicamente ecologica-interazionista della scuola di Chicago, ad una prevalentemente semioticaopposizionale della scuola di Birmigham - vi è nel complesso un considerevole grado di continuità tra di loro anche e soprattutto in opposizione ad altre entità collettive. Conviene quindi chiedersi – come fanno Gelder e Thornton nella loro introduzione agli studi sulle sottoculture 1997 - cosa distingue una ‘sottocultura’ da una ‘comunità’? Dalla ‘massa’, il ‘pubblico’, la ‘società’ o la ‘cultura’? Si tratta di domande che, a loro volta, non hanno trovato una risposta univoca e definitiva, ma che ci consentono di mettere a fuoco come la sociologia possa studiare gli attori sociali, non come individui, bensì come membri di un gruppo e come le forme simboliche e culturali siano cruciali per i gruppi sociali. La ‘comunità’ tende a suggerire una popolazione più permanente, spesso allineata al vicinato, di cui la famiglia è l’elemento chiave laddove le ‘sottoculture’ sono vieppiù state studiate come entità relativamente transienti, e formate da individui svincolati dalla famiglia. Il tasso di organicità che è stato attribuito delle sottoculture si è infatti via via diluito nel corso degli anni, soprattutto nel contesto di società sempre più fluide, differenziate, pluralistiche e segnate dai media – tanto che negli anni settanta John Irwing ha mostrato come il termine fosse ormai utilizzato per definire stili di vita e mondi sociali che non sono fissi né specifici di un particolare 50 gruppo sociale. La comunità inoltre è vista come parte integrante del sociale, le ‘sottoculture’ sono state considerate spesso come gruppi dal carattere ‘opposizionale’, in grado di portare disordine (ed innovazione) nella tranquillità del vicinato. E’ questo indubbiamente il caso delle ‘sottoculture giovanili’ che sono state studiate essenzialmente come foriere di forme simboliche (stili, consumi, musica) in parte definite in opposizione alla cultura parentale. Già un autore che scriveva nella tradizione di Chicago come Albert Cohen (1955) nel suo Delinquent Boys: The Culture of the Gang, ha sostenuto che le sottoculture hanno un importante ruolo di innovazione culturale: esse consentono a soggetti che condividono una condizione di difficoltà di aggiustamento alle pressioni conformiste della cultura dominante di esplorare, e infine creare e proporre, nuovi orientamenti culturali. Soprattutto coloro che si trovano ad avere problemi di status, avendo difficoltà ad ottenere rispetto sociale, possono gravitare gli uni verso gli altri e stabilire nuove norme culturali e criteri di status, sorretti e convalidati dall’esistenza del gruppo. Le sottoculture quindi nascerebbero in risposta a un problema di integrazione o di status sociale che alcune persone si trovano a condividere, laddove esse possano effettivamente instaurare meccanismi di interazione. In altri termini secondo Albert Cohen, quando attori sociali coinvolti in attività devianti hanno l’opportunità di interagire gli uni con gli altri hanno la possibilità di sviluppare una cultura che si costituisce intorno ai problemi che sorgono dalle differenze tra la loro definizione di quello che fanno e la definizione sostenuta dagli altri membri della società, ed è proprio perché queste culture operano dentro - e in chiave distintiva rispetto - alla cultura dominante che esse vengono denominate sottoculture. Così, il grado di distinzione dagli standards culturali, diventa un principio di classificazione interno alla sottocultura stessa. Becker, nel suo studio sui musicisti Jazz, ha mostrato che i musicisti tendevano a classificare se stessi in base al grado di condiscendenza che mostravano nei confronti degli ‘esterni’ (squares), con un continuum che andava dal musicista di jazz estremo a quello commerciale. Tutti i musicisti studiati da Becker si trovavano comunque a negoziare tra il desiderio di auto-esprimersi in accordo con i principi del sotto-gruppo di musicisti e il riconoscimento delle pressioni esterne vieppiù di tipo commerciale (tema questo che verrà ripreso da Bourdieu ne Le regole dell’arte, dove l’arte figura come mondo economico rovesciato). Come vedremo, la scuola di Birmingham in particolare ha sottolineato il potenziale opposizionale delle sottoculture, soprattutto quelle giovanili. Con il termine ‘sottocultura’ si definisce infatti oggi per lo più una varietà di gruppi sociali che vengono percepiti come ‘devianti’ e ‘opposizionali’ rispetto agli ideali normativi delle comunità adulte. Come entità informale (il reclutamento avviene per scelta o per forza, come accade nelle sottoculture della prigione) e sotterranea, spesso priva di potere, la sottocultura si differenzia anche dal ‘pubblico’ – concepito come un insieme razionale di individui (formalmente reclutati nel gruppo mediante procedure burocratizzate – p.es. cittadinanza) cui è riconosciuto il potere di esprimere la propria opinione mediante canali democratici ufficialmente predisposti. La nozione di sottocultura si differenzia anche da un concetto che nel pensiero sociale e politico spesso si oppone a quello di pubblico, ovvero quello di ‘massa’ - intesa come agglomerato indifferenziato e passivo di persone, prodotto di fenomeni di standardizzazione e omogeneizzazione guidati dai mass media. I suoi membri sono infatti concepiti come attivi e capaci di differenziarsi, sia internamente che rispetto al resto del mondo sociale. E’ questa l’origine del termine nella tradizione di Chicago, da cui la tradizione di studi sulle sottoculture si sviluppò con lo scopo di 51 mostrare la straordinaria varietà del comportamento umano nelle città americane – pensiamo per esempio al saggio di Park sulla città (1915): per quanto scritto prima che il termine ‘sottocultura’ fosse coniato, Park si propone di studiare come diversi gruppi sociali si disponessero nello spazio urbano, fornendo una mappa dei loro modi di conflitto e integrazione, segregazione e relazione, dei loro stili di vita e vocazioni professionali, una tradizione che proseguirà nel secondo dopoguerra in America con una quantità di studi su particolari gruppi sottoculturali (p.es. i già citati Becker sui musicisti Jazz; Albert Cohen sulle gang delinquenziali). Per la sua attenzione alla segmentazione interna della cultura moderna ed urbana, la Scuola di Chicago può essere considerata come una tradizione di studi che si oppone, almeno in parte, alla tradizione della scuola di Francoforte - che nel corso della seconda guerra mondiale ritroviamo alla Columbia University e che si concentrava sui processi di omogeneizzazione e razionalizzazione della società di massa. Questi due interessi trovano un momento di importante intersezione nei lavori sulle sottoculture della scuola di Birmingham (negli anni ‘70). Uno dei principali obiettivi d’analisi di questa Scuola è proprio il rapporto tra sottoculture e mezzi di comunicazione di massa e cultura commerciale. Influenzata da autori di stampo marxista come Raymond Williams, E.P. Thompson e Richard Hoggart, la scuola di Birmingham (con la quale si designano autori che lavorano a partire dalla metà degli anni sessanta al Centre for Contemporary Cultural Studies dell’Università di Birmingham) ha segnato in modo importante gli studi sulle sottoculture contemporanei. A differenza della scuola di Chicago, attenta a una varietà di attività sottoculturali spesso di natura ‘deviante’, la scuola di Birmingham si è rivolta in particolare, e in modo quasi esclusivo, alla categoria dei ‘giovani’. Le analisi dei ricercatori della scuola di Birmingham si sono indirizzate soprattutto alle forme simboliche messe in campo dalle sottoculture giovanili del secondo dopoguerra, ed in particolare le forme spettacolari (vestiti, musica, oggetti, passatempi) diffuse tra i giovani di classe lavoratrice (mods, teds, skinheads, punks, ecc.). Il look di questi giovani è stato interpretato in relazione ad ampie strutture culturali: come scrivono Clark, Hall et als: le sottoculture giovanili si inserirebbero nella dialettica tra la cultura ‘parentale’ (tipicamente di classe lavoratrice) e cultura ‘dominante’ (o egemonica) mediante una ‘doppia articolazione’ che le vede appoggiarsi e distinguersi ora dall’una ora dall’altra nel tentativo (mediante negoziazione, lotta e resistenza) di trovare una propria forma espressiva. Le pratiche sottoculturali giovanili vengono concepite non come forme di alienazione e auto-segregazione ma come forme di produzione dell’identità, le sottoculture stesse appaiono modi di mediare creativamente tra la cultura parentale connotata in base alla classe e il sempre più intrigante mondo della cultura di massa commerciale (per alcuni studi sulle versioni italiane di queste sottoculture cfr. Caioli, Tabboni et als. 1986; Rinaldini 1997). La tradizione di Birmingham riflette un importante sviluppo sociale: proprio dal secondo dopoguerra sono diventati visibili alcuni importanti fenomeni trans-nazionali, come quello delle culture giovanili che si sono consolidate attorno ad alcuni consumi. Si tratta di consumi che, lussi fino a qualche decennio prima, diventano fenomeni di massa soprattutto a partire dagli anni sessanta, basti pensare all’ascolto musicale di dischi e cassette (con la grande diffusione del rock, cfr. Cohen 1972) o ai trasporti privati (p. es. la mitica Vespa; cfr. Arvidsson 2002; Hedbige 1979). Le condivisione di alcuni stili di consumo tra i giovani, sia pur modulata in base al genere e all’estrazione sociale, è stata promossa tra l’altro dalla mobilità geografica, dallo sviluppo di un 52 sistema dei media sempre più globale, e dalla motorizzazione di massa che ha consentito ai giovani uno spazio di autonomia e la possibilità di uscire, anche fisicamente, dai confini del villaggio o del quartiere. Negli anni sessanta, le così dette bedroom cultures degli adolescenti e dei giovani inglesi diventano così sempre più una realtà anche in altri paesi europei, sebbene quasi solo nelle classi medie: nelle loro camere da letto i giovani hanno uno spazio dove possono esprimersi e lo fanno essenzialmente come consumatori. Anche in Italia, i giovani del primo boom economico hanno assunto un carattere di forte visibilità simbolica (cfr. Piccone Stella). Le sottoculture giovanili in effetti ci aiutano a mettere in evidenza che la stratificazione per età è sia di natura culturale (perché la categoria stessa dei giovani è un costrutto culturale) sia abbia effetti culturali (Saraceno, ed. 2001) e sia il carattere culturale dei suoi effetti. L’essere coetanei, dal canto suo, vuole dire molto di più che avere raggiunto uno sviluppo fisico analogo; vuole dire avere la possibilità di condividere esperienze, cultura, simboli, e partecipare, spesso da una posizione analoga, alla loro formazione. Lo stesso fenomeno del susseguirsi di diverse generazioni è sì presente in tutte le società, ma in ciascuna tende ad essere connotato in modo particolare: l'appartenenza ad una generazione, con la sua cultura e la sua peculiarità, appare assai più significativa a chi vive nelle odierne società occidentali, che non a chi vive in società assai più stabili culturalmente come quelle tradizionali o tribali. Secondo la tradizione di Birmingham, la cifra delle sotto-culture giovanili degli anni sessanta e settanta è la ‘resistenza’ simbolica. I membri delle sottoculture giovanili per esempio possono utilizzare i beni in modo sovversivo, come aiuti per esplorare modi alternativi di vedere se stessi, modi che sono contrari o esterni alle definizioni culturali dominanti. Come scrivono Stuart Hall e Tom Jefferson (1976: 56) nel loro studio sulle sottoculture giovanili Resistance through rituals, i beni possono essere “appropriati” da un gruppo e resi “omologhi” ai loro problemi, alle loro esigenze, alla loro immagine di sé. Gran parte della cultura giovanile, anche nelle sue forme più radicali, ruota intorno al consumo. Le sotto-culture giovanili in particolare sono “culture del consumo vistoso, anche quando, come nel caso degli skinheads e dei punks, certi tipi di consumo sono vistosamente rifiutati”; è attraverso i “particolari rituali del consumo che la sottocultura allo stesso tempo rivela i suoi “segreti” e comunica i suoi significati proibiti”, è “proprio il modo in cui le merci vengono usate da una sottocultura che la separa dalle formazioni culturali più ortodosse” (Hedbige 1979: 102-03). Anche nella cultura dei motorbike boys studiata da Paul Willis (1978) i beni venivano caricati di valenze distintive e costitutive del gruppo: il rock’n’roll classico da Elvis Presley a Buddy Holly era una “scelta deliberata” volta a fornire ai membri anche e soprattutto un appiglio per veicolare una maschilità aggressiva, che apprezza la capacità di rispondere anche fisicamente ad un mondo duro e ostile. Gli stili di consumo dei motorbike boys dimostrerebbero così il potere “profano” dei gruppi subordinati e marginali “di prendere e fare propri, di selezionare e sviluppare creativamente alcuni artefatti per esprimere i propri significati” (ibidem: 166). Ma se le sottoculture appaiono come capaci di resistere alla cultura di massa commerciale, in ultima analisi l’immagini offerta dagli studi della scuola di Birmingham è quella di una resistenza che tende a riprodurre le distinzioni di classe, e quindi di una resistenza culturale non consequenziale sul piano sociale. Studiando i quartieri operai di Londra, Phil Cohen per esempio considera le sottoculture giovanili un modo per rimpiazzare un perduto senso di comunità e risolvere la crisi di classe laddove le comunità di classe lavoratrice erano in declino 53 e non riuscivano più ad offrire supporti d’identità ai nuovi membri. In quest’ottica, nonostante l’uso opposizionale delle merci, rimanendo per lo più relegate nella sfera del tempo libero le sottoculture giovanili nel loro complesso avrebbero un ruolo essenzialmente conservatore. Nel loro seminale Resistance throught rituals (1975) John Clarke, Stuart Hall, Tony Jefferson and Brian Roberts tendono a dare una visione meno pessimista delle sottoculture. In particolare, riprendendo la nozione gramsciana di egemonia, e mettendo a fuoco la resistenza culturale offerta dalle pratiche sottoculturali, hanno ispirato numerosi studi più recenti che a loro volta hanno sottolineato che le merci possono essere non solo luoghi per la riproduzione dell’egemonia culturale (Scuola di Francoforte) ma anche importanti occasioni di resistenza popolare, fungendo da catalizzatore, oltre che da veicolo d'espressione, di domande innovatrici e contro-culturali. I cultural studies britannici (di cui la Scuola di Birmingham è stato momento fondativi) sottolineano oggi che le merci e le loro immagini sono non solo polisemiche (hanno cioè molti significati) ma anche multi-accentate (possono essere lette e articolate con accenti diversi). Proprio per questo le merci possono essere messe al servizio di domande tutt'altro che omogenee e certo non meramente funzionali alla riproduzione della struttura di dominio. La questione della resistenza rimane comunque fortemente dibattuta. Negli stessi studi classici della scuola di Birmingham troviamo accezioni diverse e tutt’altro che ottimiste. A differenza di molti dei primi esponenti della scuola di Birmingham Paul Willis ha condotto lavori di carattere etnografico. Il suo classico studio Learning to Labour (1977) considera come le strutture delle differenze di classe vengano riprodotte anche attraverso le sottoculture giovanili, laddove i giovani di classe operaia resistono alle pressioni educative a scuola riuscendo così a trovare un proprio posto distintivo (per differenza e devianza) nel mondo scolastico, ma riproducendo una struttura di classe che li vede relegati a svolgere mansioni manuali una volta entrati nel mercato del lavoro. Per Willis le risorse e capacità che possono derivare dall’appartenenza ad una sottocultura specie se di classe operaia (subcultural empowerment) sono letteralmente ‘senza futuro’, rimangono intrappolate nella sottocultura stessa, ed anzi finiscono per essere funzionali alla riproduzione delle gerarchie sociali e persino culturali dominanti. Anche Simon Frith (Sociologia del Rock, 1980) sottolinea che poiché molte delle sottoculture sono sottoculture del tempo libero codificate in base alla nozione di ‘divertimento’, la loro portata sovversiva è limitata. Come vedremo, Dick Hedbige nel suo studio sulle sottoculture afro-caraibiche in Inghilterra, sul Punk, e sui Mods (1988; 1986), porta alle estreme conseguenze il ragionamento di Jefferson, Hall et als., sottolineando il fatto che le sottoculture sono forze creative – prendendo a questo scopo a prestito il concetto di bricolage elaborato di Levi-Strauss, come modalità di adattamento al mondo in cui gli oggetti e le forme simboliche vengono utilizzate in modi diversi da quelli per cui sono state pensate e costruite, modi che le spiazzano dai loro normali contesti d’uso. Hedbige considera i Punks come bricouleurs par excellence, capaci di usare lo spiazzamento del bricolage come una forma di rifiuto o resistenza – e corre così il rischio è di celebrare la cultura Punk, vista come omogenea e compatta, mistificandone le diverse valenze e significati. La sottocultura Punk non è infatti indicata solo come una ‘soluzione dell’immaginario’ per una posizione di svantaggio sociale, è anche vista come ‘il segno di una identità proibita’, che lavora come contro-egemonia e difesa di uno spazio culturale autonomo. Eppure, anche la visione eroica delle sottoculture tratteggiata da Hedbige si scontra, questa volta non con la riproduzione delle differenze di classe dominanti, bensì contro la cultura di consumo. Anche per Hedbige, la resistenza sottoculturale è insomma un fuoco di paglia, prontamente 54 limitato: nuovi usi e significati sottoculturali sono forse sovversivi allo stato nascente, ma tendono, non appena si stabilizzano, ad essere incorporati dalla cultura commerciale, perdendo il loro carattere sovversivo. All’interno di molte sottoculture poi il rapporto tra piacere e disciplina, resistenza e assoggettamento è tutt’altro che semplice. Influenzate dalla teoria poststrutturaliste, i lavori sulle sottoculture riconoscono spesso questo tratto, ma spesso finiscono per esagerare vuoi la docilità dei corpi vuoi la resistenza. I corpi possono partecipare a regimi disciplinari non perché sono docili, ma perché sono attivi, e attivamente cercano piaceri, cercano esperienze, cercano trasformazioni. Queste trasformazioni non sono però necessariamente né resistenti né dal contenuto politico. Si possono trovare degli esempi particolarmente sorprendenti di questo nelle sottoculture della sessualità sadomasochista, in cui le persone si sottomettono a corsetti, catene, piercing e marchiature, si fanno legare, indossano tutta una serie di indumenti di gomma e cuoio che li stringono in morse ben dolorose, e lo fanno tutte volontariamente, provando anzi piacere, come Valerie Steele racconta in Fetish [1996]. Le palestre di body-building a Los Angeles studiate dall’etnografo Alan Klein [1993] presentano, ad esempio, un’intera sottocultura di uomini soggetti ad un duro regime fatto di esercizi, diete e droghe. Dopo anni di assoggettamento a questo regime, nei corpi di questi uomini sono scolpite le forme maschili ideali cercate nei concorsi di body-building. La corporeità incarnata dai body-builders è sia sovversiva (corpi eccessivi), sia riproduce esagerandola una idea dominante di forza maschile. Lo studio di Lowe (1995) sul body building al femminile peraltro mostra che anche in questo caso accanto alla sovversione di genere (corpi femminili che si assomigliano a quelli maschili per muscolarità) vi è una riproduzione di genere (le donne in competizione si truccano, usano costumi femmili, etc.) . La nozione di resistenza viene poi fortemente ridimensionate se le sotto-culture prese in esame non sono quelle giovanili spettacolari, ma quelle dei ghetti poveri o dei senza tetto. Se la sociologia culturale contemporanea ha sottolineato che un atteggiamento “onnivoro” fatto di fessibilità, trasferibilità e onnicomprensività – e non esclusione – caratterizza oggi le competenze culturali dei gruppi favoriti (Peterson; Di Maggio; Warde), molte delle competenze sottoculturali sono non trasferibili, localizzate, e poco flessibili, sia pur complesse. In forte contrasto con gli stili onnivori dei gruppi favoriti una delle tipiche manifestazioni di deprivazione degli abitanti dei ghetti è che, nonostante essi spesso creino una propria sottocultura originale e possano comprendere e negoziare il complesso sistema di significati in cui vivono, le loro competenze culturali non sono trasferibili all’esterno (Wilson 1987, The truly disadvantaged; cfr. anche Snow and Anderson 1993). Se continuamo a passare in rassegna i concetti rispetto ai quali possiamo leggere in controluce la nozione di sotto-cultura, arriviamo alle nozione di ‘cultura’ e ‘società’ che ci permettono di mettere a fuoco il prefisso ‘sotto’ con il quale vengono qualificate le sottoculture. Il prefisso ‘sotto’ (o sub) che ascrive uno status più basso o secondario all’entità che qualifica, ci fornice un indizio importante di uno dei fondamentali assunti che sottendono a questa tradizione di analisi: i gruppi sociali che vengono analizzati con il termine sottocultura sono visti come sub-ordinati, sub-alterni o sott-erranei. In effetti con il termine sottocultura si sono identificati gruppi devianti (dalle sottoculture criminali alle culture omossessuali) all’interno dei quali spesso i soggetti trovano forme di identificazione forte (a volte indicata come esclusiva) che offrono un riparo dai processi di stigmatizzazione che altrimenti li definiscono. Con tale termine si sono anche identificati gruppi in posizione subordinata nelle gerarchie sociali, in quanto portatori di 55 differenze sociali di classe, genere, etnia, ed età – cogliendo così le peculiarità per esempio della cultura afroamericana, quella delle classi lavoratrici o dei poveri (i senza tetto per esempio) e analizzando come i membri di queste sottoculture possano lavorare insieme per modificare la propria situazione di svantaggio. Nel complesso quindi, a differenza della ‘società’ – una astrazione macro-sociologica difficile da studiare con metodi naturalistici – le sottoculture indicano spesso legami forti e basati su frequenti interazioni, prestandosi così ad essere studiate mediante metodi etnografici, a volte presi in prestito dalla tradizione antropologica. D’altro canto, ciò che caratterizza la definizione di sottocultura rispetto al più generale ‘cultura’ è proprio il fatto che i membri delle sottoculture sono costretti in qualche modo a relazionarsi (subire o godere) con la propria consapevolezza di diversità e alterità (cfr. Becker più sopra). Questo non implica che vi sia sempre un’opposizione ai generi e alle forme culturali che vengono considerate mainstream – vi può anche essere una messa in discussione della nozione di mainstream stessa. E’ questo il caso delle sotto-culture Dance studiate da Sarah Thornton (1995). Anche in esse c’è spazio per l’opposizione al mainstream, questa volta però a partire da una problematizzazione della nozione tradizionale e dominante di autenticità – che richiedeva il concerto dal vivo e l’autorialità – e proponendo una nuova forma di autenticità che si allarga ai fruitori ed abbraccia l’esperienza stessa del ballare o dello “sballare” in discoteca o nei raves. Più in generale, gli studi sulle sottoculture hanno teso spesso a superare una netta distinzione tra cultura e società. Prima della svolta culturale la sociologia aveva messo a fuoco la cultura come un’entità discreta e separata, subordinata alle più fondamentali questioni di carattere sociale (studiando quindi solo alcuni oggetti culturali chiaramente definiti come tali: l’arte o i media); d’altro canto la tradizione letteraria ed estetica ha teso anch’essa a concentrarsi su questi prodotti culturali, isolandoli dal contesto sociale procedendo spesso ad analisi formali o lasciando il contesto sociale in penombra. Per quanto oscillino spesso tra approcci sociologici-etnografici (alla Chigago) o letterari-semiotici (una parte della scuola di Birmingham, p.es. Hedbige), gli studi sulle sottoculture hanno dovuto fare i conti sia con aspetti sociali (appartenenza di classe, devianza) sia con aspetti culturali (trattando spesso prodotti e forme simboliche ordinarie) mostrando che la cultura, intesa come insieme di credenze e valori non può essere separata dall’azione e dall’organizzazione sociale. Negli studi sulle sottoculture rimane una tensione tra gli approcci di tipo sociologico-etnografico (p. es. Moore The Lads in Action, una etnografia delle sottoculture skinhead in Australia o il citato Willis Learning to Labour) e di tipo letterariosemiotico (il citato Hebdige, Hiding in the light, sulle forme simboliche della sottocultura Punk). La distinzione è sia teorica che metodologica. La tradizione propriamente sociologica ha prestato maggiore attenzione a questioni di organizzazione e interazione, quella semiotica e di studi culturali ai simboli e ai significati; la prima si è avvalsa soprattutto di fieldwork etnografico; la seconda di analisi testuali delle forme simboliche sottoculturali (vestiti, musica). Gli studi sulle sottoculture oggi sono arrivati a mostrare una presa di distanza critica dai primi lavori della scuola di Chicago e della Scuola di Birmingham. Come suggerito, nel loro complesso gli studi sulle sottoculture hanno mostrato una predilezione per il contro-culturale, il deviante, l’outsider: questo non è stato solo un vantaggio (poiché si è potuto fare emergere un mondo altrimenti poco visibile), ma anche un limite (poiché esistono sottoculture d’elite che più raramente vengono studiate come tali, ma vedi la tradizione di studi sulle sub-culture 56 professionali ). Più in generale sia la tradizione di Chicago che la Scuola di Birmingham sono state criticate perché a) hanno teso a dare una immagine troppo coesa delle sottoculture, non considerando le posizioni e gerarchie interne; b) hanno assunto che i membri delle sottoculture fossero totalmente calati nella parte, impegnati esclusivamente nella sottocultura; c) hanno enfatizzato la “devianza” o “diversità” o “sovversione” del particolare codice sottoculturale, trascurando la conformità che i membri delle sottoculture potevano dimostrare rispetto ad una varietà di altri modi di vivere e valori (cfr. Stanley Cohen Folk Devils and Moral Panics, 1972; Michael Clarke On the Concept of Subculture, 1974). La nozione di sottocultura veniva inoltre spesso concepita come a) coincidente con un’intera popolazione di individui definiti in termini strutturali (categoria sociale: classe, età oppure collettività: le gang) invece che dipendente da un insieme di credenze e pratiche relativamente autonome da tali strutture; b) le sottoculture appaiono non solo omogenee ma anche statiche e chiuse: la sottocultura viene rappresenta spesso come composta da orientamenti normativi, tanto che diventa difficile considerare la diffusione e il mutamento degli orientamenti culturali (cfr. G.A: Fine e S. Kleinman Rethinking subculture, 1979). Fine e Kleinman opponevano alla reificazione delle sottoculture come sistemi di valori coerenti ed autoevidenti riferibili a porzioni della popolazione facilmente identificabili e proponevano una lettura interazionista che dava maggiore spazio alle relazioni strategiche tra attori subculturali, alla negoziazione dei confini della subcultura, e dei significati al suo interno oltre che alla sua ‘prsentazione’ verso l’esterno. Con le cautele introdotte da queste critiche la nozione di sottocultura può inserirsi a pieno titolo nella nuova sociologia culturale che pone enfasi sul fatto che la cultura è fatta di simboli e schemi cognitivi ed affettivi piuttosto che valori e che come tali sono polisemici e devono essere interpretati (Kane 1997; Griswold 1994). Nella sociologia della cultura più recente, l’assunto del consenso generalizzato è stato sostituito da un esame del ruolo svolto dalla cultura nel conflitto sociale e nella produzione delle disuguaglianze (Lamont e Fournier 1992) e si sono condotte analisi sulla natura frammentaria, a volte contradditoria, dei sistemi simbolici (Sewell 1999). La cultura non è più una sfera stabile di norme e valori (parsons) ma una serbatoio o repertorio mutevole, stratificato, da realizzare mediante azione e interpretazione soggettiva di pratiche e discorsi, frames e regole affettive (Swidler, Di Maggio, Sewell, Alexander, Boltanski, Szatzky, etc). Questa definizione di cultura colora di sé le ricerche più recenti sulle sottoculture. Le sottoculture – giovanili o meno - non sono chiaramente omogenee: in effetti molti degli studi classici si sono occupati dell’universo maschile, tralasciando la posizione delle donne nelle sottoculture e/o le sottoculture ‘femminili’ (ma per ricerche che vanno in direzione diversa, vedi il classico lavoro di Cressey sulle ‘taxi-dancers, le donne che ballavano per denaro con gli uomini nelle sale da ballo americane tra le due guerre, o i lavori di McRobbie negli anni 70 che hanno evidenziato il ruolo delle ragazze nelle sottoculture giovanili e oggi il sempre crescente numero di lavori che si occupano di sottoculture come quelle del travestitismo (Garber, 1992; Ekins 1997) che mettono in discussione, mediante pratiche iper-imitative, le distinzioni di genere). In questo senso, Stanley Cohen ha invitato gli studiosi di sottoculture a smontare l’immagine sociale delle sottoculture stesse a non concepirle come una risposta data all’unisono a ‘problemi’ davvero condivisi da tutti i partecipanti, bensì entità complesse, internamente differenziate, e variamente connesse alla realtà esterna, inclusa la mediazione dei media nella loro rappresentazione pubblica. In generale vi è oggi consenso sul fatto che le sottoculture non 57 vadano ipostatizzate e trattate come statiche e rigide entità antropologiche dai confini stabili e chiari. Sarah Thornton in un importante lavoro (1997) sulle cultura dei raves e dei clubs britannici ha così messo a fuoco la stratificazione interna delle sottoculture considerando le micro-politiche interne e mettendo a punto la nozione di ‘capitale sotto-culturale’ (che viene fatta derivare da P. Bourdieu e dalla sua teoria del rapporto tra posizioni, capitale e campo che vede i conflitti simbolici tra membri con capitali – culturali ed economici - diversi concorrere a stabilizzare un campo). Studiando le sottoculture dei surfisti e dei motociclisti, Jon Stratton (1992) ha mostrato che ciò che viene indicato con il termine sottocultura può essere più durevole, auto-riferito e auto-generantesi di quanto non fossero le sottoculture giovanili inglesi del secondo dopoguerra, in parte perché alcune sottoculture tagliano le classi trasversalmente e non sono legate ad un contesto geografico-culturale così specifico. Le culture dei surfisti e dei motociclisti non possono esser altresì concepite in termini di ‘resistenza’ alla cultura commerciale, in effetti realizzano ambizioni di consumo precise, sorrette magari da miti potenti – ‘il mito del tempo libero’ nel primo caso, quello ‘americano’ nel secondo - declinati magari un senso alternativo. Né si può sostenere che queste culture verranno ‘incorporate’ nella cultura commerciale, poiché sono sin dall’inizio e a tutti gli effetti culture del consumo. Nel complesso, nelle ricerche più recenti la nozione di ‘resistenza’ che era stata cruciale per la scuola di Birmingham viene o rifiutata o qualificata: le attività sottoculturali vengono considerate molto più come attività che configgono e cooperano sin dall’inizio con il mercato, come attività che resistono ad alcune forme di potere appoggiandosi ad altre, come attività internamente complesse e a loro volta fonte di distinzione e differenziazione interna. La scuola di Birmingham, soprattutto nelle sue derive semiotiche è stata criticata perché l’analisi degli stili “spettacolari” (cfr. soprattutto Hedbige) è stata effettuata sulla base di un modello di analisi testuale che trascura cosa effettivamente facessero i membri delle sottoculture, e persino quali significati essi effettivamente attribuissero al proprio stile. Anche nel lavoro di Jeffeson, Hall et als. Resistance through rituals, l’approccio metodologico parte dalle forme simboliche - il ‘look’, gli stili – per inferire le relazioni (di classe e generazione) che vi sottostanno. Oggi molti autori (anche all’interno dei cultural studies in generale che sono in larga misura fioriti a parte dagli studi sulle subculture) invocano la necessità di rovesciare questa impostazione metodologica: per molti occorre cioè partire analizzando le relazioni e interazioni sociali di particolari gruppi ed arrivare a considerare i loro stili e prodotti culturali (Grey). Una parte della letteratura contemporanea quindi incoraggia il ritorno a studi etnografici sul modello di quelli della scuola di Chicago (magari arricchiti dall’analisi testuale) o di Paul Willis, con l’obiettivo tra l’altro di non privilegiare gli stili spettacolari ma di considerare come concretamente si stabilizzino network di relazioni e linguaggi simbolici anche molto ordinari. L’ottica etnografica è vista anche come possibile antidoto ad una visione che isola la sottocultura, la eleva come resistenza, per farla poi precipitare come incorporazione. Vi è oggi maggiore consapevolezza degli indissolubili legami che esistono tra sottoculture e cultura di massa. In effetti la dicotomia tra sottoculture e pubblico o massa indifferenziata che spesso si trova, per quanto inespressa, al cuore della teoria sottoculturale non solo opacizza la sottocultura al suo interno e rende i suoi confini più rigidi e delineati di quanto non sia in realtà, ma anche rappresenta il ‘resto’ della società (pubblico o massa appunto) come compatto, integrato, conformista, facile preda di ondate di ‘panico morale’: eppure proprio così come la sottocultura è diversificata allo stesso modo la 58 ‘società’ risponde in modo diverso alle sottoculture (diverse). Più attenzione va inoltre data ai margini della sottocultura, a come essa si diffonde tra altri gruppi sociali, a come essa viene vissuta (o dimenticata) dai membri in sfere sociali diverse da quelle del tempo libero. Infine, globalizzazione e nuovi media hanno aperto nuove strate anche per lo sviluppo e le forme delle sottoculture. Se, come accennato, già Stanley Cohen nel suo Folk Devils and Moral Panics (1972) considerava il modo in cui i media creano le immagini delle sottoculture ‘spettacolari e devianti’ e come queste rappresentazioni siano vissute e ricevute nella vita quotidiana (creando panico morale, come forme di divertimento o con sentimenti nostalgici) oggi diventa importante considerare anche sottoculture mediatiche (media subcultures) come quelle dei fans. A questo proposito il lavoro di Jenkins sui fan di Star Treck (1992) è già diventato un piccolo classico. Jenkins mostra che i fan di Star Treck sentono un forte senso di affinità in parte perché si ritrovano a raduni, in parte perché si connetto mediante un ‘network intertestuale che si compone di programmi, films, libri, fumetti ed altri materiali simbolici’ veicolati dal mercato. Le possibilità di comunicazione in Internet hanno ulteriormente ampliato lo spettro delle sottoculture: non solo perché vi è una sotto-cultura di Internet che ha trovato il proprio modo di esprimersi (con maniere e stilemi ben precisi: dagli emoticons alle regole non scritte per l’interazione in chat), ma anche perché ha amplificato le possibilità di comunicazione diretta orientate in base ad un interesse specifico, svincolandole dalla vicinanza geografica, mettendo quindi in contatto fans e amatori di tutto il mondo (Bassett 1995; Slater 1998). Anche sulla base di questi sviluppi autori come Grossberg (1984) e Straw (1991) hanno proposto le nozioni rispettivamente di ‘alleanza affettiva’ e di ‘scena’ per indicare quei legami sottoculturali potremmo dire ‘deboli’ o ‘dispersi’ che si instaurano tra persone che amano uno stesso genere musicale, condividono l’ascolto di dischi, la frequentazione di siti, la lettura di riviste, ecc. Ovviamente, se la questione dei confini della sottocultura appariva problematica per i tradizionali studi sulle culture devianti o giovanili, probabilmente meno coese di quanto non fossero fatte apparire, in queste sottoculture squisitamente mediatiche e di consumo, l’appartenenza è indicata immediatamente come labile e diluita: si tratta di sottoculture che appaiono disancorate, sradicate, in un costante stato di flusso, difficilmente delineabili nei loro contorni – eppure, ciò nonostante – esistenti nella continua messa al lavoro di forme simboliche attraverso le quali negoziare identità, differenza e appartenenza. Nella misura in cui l’interazione (mediata) e la produzione di forme simboliche specifiche sta anche in questo caso alla base del consolidarsi di province di significato importanti e riconoscibili come tali, la nozione di sottocultura, pur con tutta la sua carica di problematicità, può ancora svolgere un ruolo importante. Se utilizzata come concetto strumento piuttosto che come risposta feticizzata essa può offrire una prospettiva d’analisi utile per smontare la cultura globale e mediatica contemporanea, distinguendo dinamiche del riconoscimento e della differenza forse ordinarie ma non per questo secondarie. 59 Produzione e consumo culturale Gli oggetti culturali - dalle varie forme d’arte, agli spettacoli, agli oggetti di uso comune – non sono semplicemente prodotti “naturali” di qualche contesto sociale, né semplicemente dei prodotti collettivi (alla Durkheim); al contrario sono prodotti sociali, creati e distribuiti, ricevuti ed utilizzati da una pluralità di persone e organizzazioni secondo modalità culturali specifiche e spesso altamente differenziate. Nelle società occidentali contemporanee, l’industria culturale e mediatica ha avuto un intenso sviluppo che è stato al centro dell’attenzione prevalentemente critica di una parte importante della sociologia del novecento. In particolare, nel primissimo secondo dopoguerra, la scuola di Francoforte ha analizzato gli effetti sociali e culturali dello sviluppo dell’“industria culturale” - concependo quest’ultima come un sistema a sé stante funzionalmente destinato alla produzione e al trasferimento di significati al mondo della vita quotidiana I francofortesi stigmatizzano la nascita di una cultura di massa in cui sfumano le differenze tra alta e bassa cultura. Nel loro celebre lavoro La dialettica dell’illuminismo, Max Horkheimer e Theodor Adorno (1947) sostengono che mentre la prima si riduce alla seconda, le arti e le altre "manifestazioni dello spirito" si adeguano alla logica forse civilizzatrice ma omologante del mercato. I prodotti dell’industria culturale avrebbero cioè due caratteristiche fondamentali: sarebbero da un lato “omogenei”, sempre uguali sotto un’apparenza di varietà, e dall’altro “prevedibili”. Riprendendo anche l’idea weberiana secondo cui la società moderna è caratterizzata dal progressivo affermarsi della razionalità strumentale in base alla quale tutto può essere soppesato e trattato come un oggetto calcolabile incluse le persone e i loro bisogni, Horkheimer e Adorno sostengono che il mondo culturale è sempre più “amministrato” e che le persone non vengono più considerate in quanto tali ma come elementi funzionali al sistema. In questa ottica gli imperativi produttivi orientano e determinano le pratiche di ricezione e consumo dei soggetti. Inoltre, per poter attirare il pubblico più vasto possibile, le forme simboliche dell’industria culturale sono sempre più orientate ad un minimo comune denominatore semplice e conformista. Così, chi inizia a vedere un film può immaginarsi abbastanza presto come andrà a finire e chi ascolta musica “leggera” abitualmente sa bene cosa aspettarsi dopo le prime note e può persino sentirsi gratificato quando scopre di aver avuto ragione. Nel suo celebre saggio sulla musica popular o “leggera” Adorno (1941) sostiene che la musica prodotta dell’industria culturale è standardizzata, promuove un ascolto passivo e opera come un “cemento sociale” capace di riprodurre le forme di potere dominanti. La musica, prodotta come merce per essere venduta ad un pubblico più vasto possibile e quindi indifferenziato, perde le sue qualità artistiche, diviene un prodotto commerciale non autentico e pre-digerito che promuove passività ed escapismo mascherando il proprio carattere pseudo-individualizzato. La sociologia della ricezione in quest’ottica si riduce ad una critica della fruizione mediatica, che vede i significati tratti dai prodotti culturali di massa come determinati dal processo produttivo. Il pubblico è omogeneo, passivo e a-critico. L’accentuazione della passività del pubblico, visto come un’entità omogenea e sradicata dal contesto sociale, trova il proprio apice negli anni settanta nella teorizzazione post-modernista (Baudrillard; Jameson). Baudrillard arriverà alla conclusione il pubblico si ritrova impotente nei confronti dell’industria culturale: rimane così solo un mondo di “segni auto-referenziali” fondato sulla ricorrente generazione di differenze simulate, una “iperrealtà”, che si colloca al di là della distinzione tra reale e immaginario (Baudrillard 1981). I 60 media ed il vertiginoso moltiplicarsi delle merci sono dunque i veicoli attraverso cui si crea un mondo simulato e iperreale nel quale l'individuo non è più un attore sociale, un soggetto che agisce operando distinzioni simboliche e attribuendo senso alle proprie azioni, un fruitore di messaggi e prodotti culturali, ma uno spettatore passivo e anomico, un mero ricettore di sensazioni, anzi a fronte del quadro, insieme omogeneo e sfuggente, tratteggiato dai messaggi mediatici, il pubblico non è solo passivo ma anche sempre più apatico e indifferente. Il pessimismo post-modernista, così come la visione monolitica dell’industria culturale offerta dalla scuola di Francoforte sono stati ampiamente criticati, anche se l’idea di industria culturale rimane importante nella ricerca sociale contemporanea (Hesmondhalgh 2002). Tra i modelli più utilizzati troviamo quello di Paul Hirsh (1972) sul “sistema della produzione culturale” che mette l’accento sulla differenziazione interna al sistema di produzione culturale, sul legame delle industrie produttive vere e proprie (editori, case discografiche, di produzione cinematografica) sia con i “creativi” (gli autori, gli artisti) che con il “pubblico”, grazie al lavoro di importanti gatekeepers o gestori di confini (i talent scouts da un parte, e gli intermediari culturali o mediali dall’altra - dai disk-jockey ai recensori di libri). L’industria culturale si avvale nel complesso di due circuiti di feed-back: quello che viene dai media (recensioni per esempio) e quello che viene dalle vendite (del prodotto culturale specifico o del merchandising ad esso connesso). Hirsch ha messo a punto questo modello per studiare i prodotti culturali di massa (dischi, libri, film) che condividono alcune caratteristiche, innanzi tutto l’incertezza della domanda, in secondo luogo l’uso di tecnologie relativamente economiche, in terzo luogo l’eccedenza di aspiranti creatori culturali. L’industria si trova proprio in questo caso a dover regolare e confezionare l’innovazione culturale, e quindi a trasformare la creatività in prodotti prevedibili. Questo modello ha il merito di sottolineare la complessità interna al sistema di produzione, i diversi orientamenti ed interessi che la compongono, le molte mediazioni tra produzione e ricezione, e non da ultimo, il ruolo attivo della ricezione stessa. Altri studi recenti sulla produzione della cultura si sono mossi essenzialmente in questa direzione considerando l’interattività che esiste tra pubblici e industrie culturali (cfr. Crane, Di Maggio, Griswold, Peterson). Diversi studi hanno poi messo in luce l’esistenza di mercati paralleli e coesistenti – p.es. Greenfeld (1989) ha mostrano che in Israele esistono due mondi dell’arte paralleli, quella concettuale ed astratta (alimentata da burocrati ed intellettuali facoltosi che acquistano per i musei) e quella dell’arte figurativa (alimentato dalla borghesia ricca e dalle gallerie che la riforniscono). Il modello di Hirsh assegna uno spazio maggiore al pubblico e un ruolo più attivo alla ricezione, anche se non indaga espressamente il processo di ricezione. Proprio la sociologia della ricezione, ha invece avuto grande impulso negli ultimi tre decenni. Molti autori hanno infatti sottolineato che non è possibile capire né la cultura contemporanea né i mezzi di comunicazione moderna senza mettere a fuoco gli usi e le gratificazioni, o più in generale, il processo di ricezione situato, frammentato, diseguale – dei messaggi e dei prodotti culturali (p.es. Crane 1992; Moores 1998; Morley l999). La sociologia della ricezione contemporanea parte dall’idea che la ricezione di un oggetto culturale, i significati che i pubblici traggono da essi, non sono fermamente e necessariamente inscritti nell’oggetto stesso (approccio testuale/semiotico strutturale). In effetti, nonostante tutte le strategie messe in campo dalla maggior aziende che operano nel sistema dell’industria culturale, vi sono forti margini di incertezza: gli editori non sanno produrre solo best-sellers. Il successo finale (in termini di vendite e di influenza culturale) di un prodotto culturale dipende dal suo pubblico, dai ricevitori culturali che ne ricavano determinati significati. 61 Certo il significato di un oggetto culturale può essere – e di fatto è – inizialmente suggerito dall’industria culturale, ma i riceventi hanno per certi versi l’ultima parola – e questa parola viene a sua volta espressa sulla base di esperienze condivise e sociali. Il significato degli oggetti culturali non è infatti nemmeno interamente soggetto ai capricci individuali. Gli attributi delle persone, le loro posizioni nella struttura sociale per esempio, condizionano sia i loro gusti, sia le loro interpretazioni. Per questo la sociologia contemporanea parla di “pubblici” e non di “pubblico”: perché questo plurale sottolinea in realtà che il pubblico è composto di molti gruppi tra loro diversi dal punto di vista dei media e dei generi che preferiscono o per la loro specifica posizione culturale e sociale che fornisce loro diverse ottiche interpretative (Moores 1993). In particolare, muovendo da prospettive diverse, numerosi autori hanno recentemente sottolineato che è necessario superare la concezione monolitica del potere che caratterizza le tesi della teoria critica francofortese e, soprattutto, concepire la ricezione come una pratica attiva, creativa e persino sovversiva. E’ sicuramente vero che esiste una notevole sproporzione tra le risorse investite dalle industrie culturali per controllare il mercato e quelle investite dai singoli consumatori di messaggi e prodotti culturali. Tuttavia, i pubblici sono "armati" di una serie di pratiche consuetudinarie per la gestione dell'ignoto che permettono loro di opporsi, forse non con pieno successo, ma almeno attivamente alle strategie dei produttori. Anzi, per dirla con lo storico e teorico sociale Michel de Certeau (1984), i lettori di libri, andando alla deriva nelle pagine, dovendosi arrangiar con quel che c’è, trovano il modo di utilizzare i testi in modi personali, a volte sovversivi. Radicalizzando l’idea di Umberto Eco’s che considera il leggere come una “coproduzione” e una “cooperazione interpretative” tra lettore e scrittore (1967) e con l’enfasi di Stanley Fish [1980] che iscrive il lettore all’intern di “comunità interpretative” che orientano la produzione di significato, De Certeau si oppone alla semiotica strutturale di Barthes che considerava le pratiche di lettura come l’attualizzazione da parte del lettore dei significati intesi dal testo. Più in generale, i pubblici, muovendosi come dei bricoleurs negli interstizi lasciati a loro disposizione dalla cultura di consumo, “assimilano” i beni, non necessariamente nel senso che essi diventano simili a ciò che consumano, ma anche nel senso che li rendono rende simili a se stesso, appropriano e riappropriano i prodotti, e per fare questo usano spesso delle “tattiche” dei “modi ingegnosi con cui i deboli usano i forti, e quindi forniscono una dimensione politica alle pratiche quotidiane” (Ibidem: trad. it. 166 e 14). Anche se siamo lontanissimi dal modello del pubblico o del consumatore sovrano, le pratiche di ricezione possono configurarsi come forme, ancorché inconsapevoli, di resistenza. Non sempre però le pratiche di ricezione vanno nella direzione della resistenza. Smussando l’idea di resistenza, nel suo saggio encoding/decoding Stuart Hall (1980) ha proposto considerare il processo di ricezione come un processo di decodifica che può prendere essenzialmente tre direzioni: la decodifica dominante (che si attua secondo le intenzioni dell’emittente in base a una cultura egemonica di dominio consensuale espressa dalla codifica dei media, il contenuto dell’interpretazione è quindi omologo alla codifica egemonica che riproduce il punto di vista di una ristretta elite dominante); la decodifica negoziale (che si ha quando si accetta il quadro di riferimento generale proposto dai media, ma lo si modifica in alcuni suoi particolari a seconda delle proprie esigenze, gusti e conoscenze pregresse); la decodifica oppositiva (dove pur avendo compreso il testo mediale la decodifica si compie mediante codici opposti a quelli dell’emittente, sovvertendone i significati in modo deliberato). E’ soprattutto quest’ultimo tipo di decodifica – che può essere tipico di alcune sotto-culture giovanili studiate dalla scuola di Birmingham – che si configura come una 62 vera produzione di significati, un consumo produttivo, grazie al quale vengono veicolate nuove forme simboliche. I pubblici sono definiti da gusti e da schemi cognitivi differenti. Il ruolo dei gusti e il loro rapporto con la struttura sociale è stato messo in luce p. es. da Pierre Bourdieu, che ne La distinction (1979) ha tracciato una mappa dei rapporti tra capitale economico, capitale culturale e gusti mostrando che nella Francia del secondo dopoguerra le differenze di gusto (nella musica e nella cucina per esempio) erano riportabili a posizioni sociali differenti: realizzandosi in specifici stili di consumo riproducevano distinzioni gerarchiche consolidate. Per esempio, in chiara opposizione alle classi subordinate dotate di scarso capitale culturale ed economico, le frazioni dominate della classe dominante (ovvero coloro che hanno un alto capitale culturale e un discreto capitale economico) preferivano Le monde ad un quotidiano popolare, la cucina cinese anziché i picnic, andare a festival di musica d’avanguardia anziché ascoltare la musica leggera tradizionale, la pop-art di Warhol anziché il virtuosismo degli impressionisti. Più in generale, lo studioso francese riporta l'"estetica kantiana", tipicamente caratterizzata da una contemplazione distanziata e formale che privilegia la mente e trascende l'immediatezza dell'esperienza e del corpo alla prospettiva o habitus dei raggruppamenti sociali superiori e la contrappone all'"estetica della cultura popolare" che, con la sua preferenza per l'immediatezza, il piacere, la sensualità ed il concreto, è invece tipica dei raggruppamenti inferiori. La validità generale dell’analisi della segmentazione del pubblico condotta da Bourdieu è stata criticata da nuove ricerche empiriche che hanno tentato di saggiarne la robustezza (Bennett et alii 1999; Lamont 1992). In particolare, comparando gli orientamenti nei confronti del consumo e del denaro della classe media americana e di quella francese, Michèle Lamont (1992) ha sostenuto che Bourdieu dimentica l’importanza delle diverse tradizioni nazionali nel fornire ed organizzare un repertorio culturale: i confini culturali che sono tracciati sulla base dell’educazione, del cosmopolitismo, della raffinatezza sono assai più deboli e meno definiti negli Stati Uniti che in Francia. E non si tratta di una semplice variazione sullo stesso tema: se negli Stati Uniti l’egualitarismo culturale rafforza l’anti-intellettualismo e favorisce una cultura più aperta, in Francia il basso livello di mobilità geografica limita gli atteggiamenti materialisti. La ricerca di Lamont contraddice l’immagine gerarchica del gusto offerta da Bourdieu. Come abbiamo visto, Bourdieu assume che la differenziazione dei gusti e la possibilità di segnare le differenze dei consumi porti inevitabilmente alla gerarchizzazione di queste stesse differenze, e questo perché parte dall’idea che i significati vengono strutturati gli uni in relazione agli altri all’interno di campi finiti, stabili e tendenzialmente coerenti. Lamont sottolinea invece che le società contemporanee sono dinamiche, che i diversi campi di potere, incluso quelli del gusto e delle preferenze di consumo sono aperti e instabili, e soprattutto si intersecano in modi sempre più complessi con altri campi, non da ultimo quello delle comunicazioni di massa, rendendo le distinzioni culturali assai più instabili, sfumate e sfaccettate. Molti oggetti culturali oggi - dai programmi televisivi più popolari ai romanzi polizieschi per esempio – attraversano i confini di classe, genere, etnia. Per questo Gans (1974) ha proposto di denominare i pubblici di qualunque oggetto culturale “culture del gusto” (taste cultures) senza presumere nulla sulle loro caratteristiche sociali o demografiche. In realtà, se può essere utile partire dalla condivisione di un consumo culturale (basti pensare all’importante ruolo delle sottoculture dei fans per alcuni generi popolari come la fantascienza, cfr. Jenkins), una grande quantità di ricerche confermano la realtà della stratificazione del gusto, ma evidenziano anche la 63 sua specificità culturale, il suo non essere direttamente e unicamente connessa alla posizione di classe, e in generale il suo complicarsi e diluirsi: Oggi, l’analisi del gusto dovrebbe dunque partire anche dalla pressione per la convivenza di molti gusti "adeguati" e dalla difficoltà di stabilire definitivamente le connotazioni del "buon" gusto in quanto tale. Gli studi sul consumatore onnivoro inaugurati da Richard Peterson mostrano, per esempio, che, per beni diversi come il cibo o la musica, si stanno sviluppando strategie di consumo che anziché realizzarsi in un solo genere, stile o gusto si realizzano nella mescolanza di forme e prodotti diversi, nella varietà, nella diversità dei generi (Peterson 1992; Peterson e Kern 1996; van Eijck 2000; Warde et alii 1999). Lo stile onnivoro dà valore alla varietà in quanto tale, riconducendo la raffinatezza e la sofisticazione culturale all’esperienza della maggior varietà possibile di cose. Questa strategia fornisce innanzi tutto la possibilità di scegliere tra le diverse merci sul mercato laddove l’infinitesimale differenziazione delle opzioni rende particolarmente difficile formulare degli stili esteticamente coerenti. Essa inoltre consente di “tenersi al passo” con il numero più ampio possibile di gruppi sociali, accrescendo così le proprie chances di essere riconosciuti come persone esteticamente competenti e di buon gusto. In questa situazione le classi lavoratrici sono svantaggiate culturalmente non perché siano escluse dalla cultura “alta”, ma perché le loro pratiche di consumo culturale sono, nel complesso, assai più ristrette come hanno rilevato alcune recente ricerche (Bennett et alii 1999). Questi studi mostrano molto bene l’ambivalenza della ricezione in termini di gerarchie culturali: se l’apertura alla varietà apre anche spazi niente affatto scontati di tolleranza e scambio culturale, il controllo della varietà funziona come una strategia di formazione del capitale simbolico che può riprodurre le differenze sociali. In effetti, Bernard Lahire proprio nel caso della Francia [2004], ha mostrato che gli individui più eclettici mantengono in larga misura un senso di gerarchie nelle loro pratiche così diverse mediante una forma di distinzione riflessiva. Consumano ogni tipo di oggetto culturale, ma discriminano con chi, dove e come consumare diversi oggetti culturali: in particolare tendono a preferire i generi ‘alti’ per le situazioni pubbliche e a lasciare i generi ‘popolari’ per il privato. Fessibilità, trasferibilità e onnicomprensività – e non esclusione – caratterizza oggi le competenze culturali dei gruppi favoriti. In forte contrasto con questo una delle tipiche manifestazioni di deprivazione degli abitanti dei ghetti è che, nonostante essi spesso creino una propria sottocultura originale e possano comprendere e negoziare il complesso sistema di significati in cui vivono, le loro competenze culturali non sono trasferibili all’esterno (Wilson 1987, The truly disadvantaged). Non solo i gusti e le culture del gusto (più o meno svincolate da altre determinanti sociali) strutturano la ricezione. Come ricorda Griswold (2005) un postulato di base dell’approccio sociologico alla ricezione proposto da Zerubavel nei suo lavoro sui Social Mindscapes (1997) è che tra la mente astratta (il cervello delle neuro-scienze) e la mente individuale (della psicoanalisi) vi sia una “mente sociale” ovvero una prospettiva cognitiva di gruppo formata dalla comunicazione interpersonale che “evidenzia la nostra diversità cognitiva in quanto membri di diverse comunità di pensiero”. Come membri di categorie sociali e gruppi specifici prestiamo attenzione ad alcuni significati e non ad altri, ci emozioniamo rispetto ad alcuni contenuti simbolici e non ad altri: p.es. siamo più o meno attenti per esempio alla discriminazione di genere, ai pregiudizi religiosi, alle differenze di etnia e leggiamo i prodotti culturali sulla base di queste griglie di rilevanza. Questa nozione traduce in chiave sociologica l’idea proposta dal critico letterario tedesco Hans Robert Jauss (1987): secondo Jauss quando un lettore prende in mano un libro non si relazione con esso come se fosse un recipiente vuoto che attende di essere riempito dal suo contento, ma colloca tale 64 contenuto in un “orizzonte di aspettative” plasmato dalla sua precedente esperienza letteraria, culturale e sociale. Un lettore interpreta un testo sulla base di come questo si adatta alle sue aspettative o le mette in discussione, e costruendo il significato del testo egli finisce per modificare il suo proprio orizzonte di aspettative in un processo in continuo divenire. Griswold (1987) ha ripreso a sua volta questa impostazione per mostrare che in tre nazioni diversi, pubblici simili, leggevano lo stesso testo in modo diverso: The Castle of My skin di George Lamming veniva letto o come una storia sulle trasformazioni dell’identità (india occidentale); o come una storia sul diventare adulti (Inghilterra) o come una storia sui conflitti di razza (USA). Liebes e Katz (1990) hanno studiato diversi pubblici televisivi della Sit Com americana Dallas, in Israele e America. La loro ricerca ha evidenziato che gli ebrei di origine marocchina emigrati in Israele interpretavano Dallas come un’opera sui legami famigliari, e sulle difficoltà della vita famigliare; gli emigrati dalla Russia la vedevano come una dura e puntuale critica del capitalismo; gli ebrei nati in Israele così come il gruppo di controllo a Los Angeles tendevano a vedere Dallas con occhi molto meno ‘moralistici’, come un semplice spettacolo d’intrattenimento che non rifletteva una realtà sociale. La sociologia della ricezione contemporanea parte oggi spesso non solo dall’idea che i riceventi culturali sono forti e i significati iscritti nei prodotti culturali deboli (o da portare a termine), rovesciando così l’impostazione della scuola critica (che considera pubblici deboli e oggetti culturali forti anche se determinati nei loro significati dall’industria culturale). Parte anche dall’idea che il significato che i soggetti derivano da un testo o prodotto culturale e il modo in cui esso viene effettivamente fruito e consumato sono co-estensivi, ed assegna quindi particolare importanza ai contesti di fruizione (con le loro relazioni sociali e differenze di potere). Lo studio etnografico dei modi di utilizzare, per esempio, la televisione è diventato centrali negli studi sul pubblico televisivo perché ci si è resi conto dei limiti di quegli approcci semiotici che, riproponendo una forma di determinismo testuale, si concentravano sull’analisi formale del contenuto dei programmi per immaginare come venivano interpretati dai consumatori (Lull 1990, Morley 1995; Moores 1993; Ang 1998). Nel suo vasto studio etnografico (circa 300 nuclei famigliari studiati mediante osservazione partecipante) sulle pratiche di fruizione televisiva negli Stati Uniti James Lull (1990) ha elaborato una tipologia degli usi sociali della televisione che rende conto delle dinamiche internazionali e rituali che hanno luogo nel corso della visione di programmi televisivi: vi sono usi strutturali e usi relazionali. Gli usi strutturali riguardano quegli usi della televisione che regolano e modellano l’ambiente dell’interazione, si suddividono in ambientali (la televisione viene considerata un rumore di fondo che fa compagnia mentre si fanno altri lavori) e regolativi (la televisione struttura l’ordine della giornata, p.es. mangiar ad una certa ora per poi vedere un film o seguire il telegiornale). Gli usi relazionali riguardano gli usi della televisione nel definire la rete di interazioni sociali: ve ne sarebbero quattro: facilitazione della comunicazione, appartenenza esclusione; apprendimento sociale, competenza/dominanza. Nel complesso i ricettori possono mettere in campo diverse modalità di fruizione: una visione focalizzata (focused viewing) dove la fruizione è l’attività primaria e l’attenzione si concentra completamente sui contenuti mediali; un monitoraggio (monitoring) dove alla fruizione si alternano e si sovrappongono altre attività (p.es. mangiare); una visione passatempo (idling) dove l’investimento nella fruizione e minimo e l’attenzione è discontinua. E’chiaro che da questo approprio etnografico emerge che il consumo dei media implica qualcosa di più e di diverso da singoli spettatori che forniscono particolari interpretazioni di programmi specifici. Come ha sottolineato David Morley (1995), “guardare la Tv” è una “frase fatta” che nasconde quanto articolata e contestuale sia la pratica dell’ascolto 65 televisivo: essa va compresa non tanto come una serie di atti interpretativi compiuti da un soggetto quanto come una forma di consumo domestica, in cui contesto domestico è “costitutivo” del significato dei programmi televisivi. E’ questo contesto che rende non solo possibile ma anche necessario il processo di de-codificazione, e allo stesso tempo, lo guida – rendendolo più o meno focalizzato, attivo, sovversivo, ecc. Certo, “guardare la tv” è un’attività articolata, per nulla unidimensionale: non ha cioè “un significato o una significatività equivalente in ogni momento e per tutti”, può essere guardata in modi diversi a seconda del momento della giornata, delle specifiche relazioni famigliari, ecc. (Morley 1995: 13; cfr. anche Silverstone 1994). Nelle famiglie londinesi intervistate da Morley, però si delineavano chiaramente due modi diversi di guardare la tv: uno femminile ed uno maschile. Le responsabilità domestiche ma anche e soprattutto la percezione che le donne hanno del proprio ruolo rispetto al benessere famigliare facevano sì che raramente esse guardassero la televisione, incluso i loro programmi preferiti, in totale concentrazione. Il modo di consumare la televisione in casa finisce così per rafforzare la percezione che per le donne, anche per quelle che lavorano fuori casa, la casa sia ancora un luogo di lavoro, mentre per gli uomini sia essenzialmente un luogo di riposo e di stacco dalle responsabilità lavorative. Del resto anche altre pratiche culturali femminili vanno messe sullo sfondo della struttura di genere del lavoro domestico. Un recente studio sulle riviste femminili ha mostrato che la loro principale attrattiva non risiede affatto nei significati veicolati ma nel modo in cui vengono lette: si tratta innanzi tutto di una lettura “facile” non tanto e non solo perché leggera, ma soprattutto perché il suo formato “in pillole” fa si che possa essere “facilmente abbandonata e ripresa” durante i compiti di gestione domestica che spettano tipicamente alle donne (Hermes 1995). Gli studi sui periodi maschili (Jackson et als 2001; Boni 2002) e femminili del resto si sta molto sviluppando anche perché ci si è accorti che questi periodici sono importanti per strutturare le identità di genere, proponendo visioni della maschilità e della femminilità che spesso contengono elementi contradditori e capaci da dare luogo a processi riflessivi di stabilizzazione dell’identità. Per esempio uno studio di David Gauntlett (2002) che utilizza interviste effettuate tramite Internet sulla lettura dei periodici per gay e lesbiche mostra che essi hanno un ruolo non univoco nella costruzione delle identità omossessuali: vi sarebbero almeno tre posizioni nella ricezione, da un lato alcuni intervistati sottolineano che queste riviste possono aiutare una persona a sentirsi a proprio agio con la propria sessualità facendoli sentire parte di una comunità queer più vasta, dall’altro altri intervistati non si identificano con l’identità presentata nelle riviste ma ritengono che esse diano loro qualcosa a cui reagire, infine sono numerosi coloro che ritengono che l’identità omossessuale appare in questi periodici come poco fluida e flessibile, imbrigliata in uno schema fisso e compromessa con immagini troppo stereotipiche. In linea generale, la sociologia della ricezione si è concentrata soprattutto sull’ascolto televisivo e sulla lettura di libri. Uno dei dati più interessanti emersi dalle ricerche sul consumo dei media è che non sempre questi antagonisti gli uni rispetto agli altri. L’utilizzo di televisione in particolare non appare concorrenziale all’uso di altri mezzi più marginali (radio, riviste, cfr. p.es. in Italia Menduni, Boni), tradizionali (libri, cfr. p.es. in Italia Livolsi) o di ultima generazione (internet, cfr. in Italia p.es. Roversi). Al contrario, generalmente i forti consumatori di un mezzo tendono ad essere anche forti consumatori di un altro mezzo anche se questo è più vero per i giovani e i gruppi sociali favoriti, mentre esistono delle facie (anziani, di bassa estrazione sociale) che vedono solo la televisione (Frank e Greenberg; Crane). In ogni caso, tra tutti i mezzi, la televisione attrae oggi l’audience più vasta, e la quasi totalità delle case nei paesi sviluppati possiede una televisione: 66 anche per un mezzo così di massa ovviamente l’audience si segmenta in termini quantitativi le donne vedono più TV degli uomini, i vecchi più dei giovani (Crane 1995). L’audience (così come viene ad esempio misurata dall’audietel) è però una costruzione discorsiva – istituzionale o accademica - che non coglie la pluralità delle audiences effettive, fatte di persone che fruiscono, in una varietà di modalità situate dei programmi televisivi (Ang Cercasi audience disperatamente, 1998). Ma questo dato generale certo non basta a smontare la teoria critica che stigmatizza la televisione come fonte di omogeneizzazione culturale e isolamento sociale. Entrando nel dettaglio numerosi studi contemporanei sulla ricezione hanno mostrato che i significati derivati dalla ricezione di alcuni programmi televisivi, inclusi programmi globali e di massa come le Sit com americane, può variare enormemente attraverso le culture (Liebes e Katz) e persino essere un’occasione per confrontarsi proprio con la critica della società di massa. Gran parte di pubblici oggi conosce molto bene la critica alla società di massa e ha la necessità di fare i conti con essa, come mostrato da Ien Ang (1985) in un ormai classico studio sul pubblico di Dallas, una celebre sit-com statunitense degli anni settanta. Consapevoli della retorica elitaria che stigmatizzava le loro preferenze, gli spettatori studiati da Ang sentivano di doversi giustificare, scegliendo o una retorica “populista” (sostenendo cioè che il piacere dato dal programma era equivalente a piaceri più raffinati), o più spesso atteggiamenti “ironici” (sostenendo di seguire il programma come una commedia e non un melodramma) e “consapevoli” (affermando di riconoscerne sia i pericoli che il senso). Per quanto diversificati in base a genere e capitale culturale, nel complesso gli spettatori studiati da Ang si sono mostrati inoltre capacissimi di operare delle distinzioni che permettono loro di “divertirsi” pur mantenendo un “senso di realtà”: anche se a livello connotativo (e quindi in relazione alla capacità di lasciarsi coinvolgere emotivamente) ritengono le situazioni presentate nelle soaps “riconoscibili”, a livello denotativo le considerano chiaramente assurde. Appropriazione di significati, capacità di ritagliarsi uno spazio proprio di genuino godimento però non hanno sempre esiti contro-egemonici. Uno studio più recente sulle giovani donne americane fans della sit com Beverly Hills (McKinley 1997) ha mostrato che pur appropriandosi culturalmente del programma, pur riconoscendosi in esso, pur ritagliandosi uno spazio personale nel proprio tempo per seguire il programma, le giovani donne derivano significati che tendono a riprodurre istanze egemoniche e nozioni dominanti relative alla femminilità. Altri studi sulla ricezione televisiva hanno mostrato che ‘guardare la tv’ è un’attività che può essere usata sia per isolarsi, sia per stare con gli altri. Anzi, i programmi spesso offrono lo spunto e i contenuti per sviluppare delle conversazioni, sia all’interno sia all’esterno della famiglia. Soprattutto alcune trasmissioni particolarmente fortunate e di grande presa popolare, come le soaps o le sit-com generano una sorta di linguaggio comune che può essere speso nella vita quotidiana e consente anche a persone estranee tra loro di riconoscersi come fans (Ang 1985; Cantor and Pingree 1983). In generale, i gruppi di fans organizzati sono un’istanza estrema e particolare della possibilità di creare un linguaggio comune a partire dalla ricezione di un prodotto culturale di massa. In Texual Poachers, un importante studio sugli appassionati di alcuni generi letterari popolari, in particolare la fantascienza, Henry Jenkins (1992) ha illustrato l’inadeguatezza di quell’immagine strereotipica che dipinge i fans come soggetti deboli, passivi ed etero-diretti.. I fans interpellati da Jenkins in effetti leggevano e rileggevano i loro testi preferiti, sviluppando capacità propriamente “critiche” (diventando, per esempio, sempre più attenti al “come succedono le cose” piuttosto che a “cosa succede”) e facendo emergere dei gruppi anche fortemente coesi. In quest’ottica, la cultura dei fans è innanzi tutto una cultura di comunicazione e circolazione dei 67 significati. I fans di un genere letterario, in particolare, tendono a sviluppare delle vere e proprie comunità in cui sviluppano accese discussioni che consentono loro di prolungare l’esperienza del testo ben oltre la sua iniziale lettura: gruppi di fans organizzati possono allora essere considerati una “istituzione per la critica”, uno “spazio semi-strutturato dove interpretazioni competitive di testi comuni sono proposte, diventano oggetto di dibattito e negoziazione, e dove i lettori si interrogano sulla natura dei mass media e sulla loro relazione con essi” (Jenkins 1992: 86). Tra le pratiche di ricezione più studiate troviamo la lettura – pratica che tra l’altro, come suggerito, ha offerto il modello ad autori diversi come De Certeau, Jauss ed Eco per sottolineare il ruolo produttivo o co-produttivo dei pubblici. Anche in questo caso le comunità interpretative e le distinzioni sociali che le delineano hanno un ruolo importante. Anche le lettrici di romanzi rosa studiate da Janice Radway (1987) nel suo fondamentale studio Reading the Romance, si configuravano come una “comunità interpretativa” facente capo ad una particolare libreria, che fungeva da stimolo e da luogo di confronto. Le donne studiate da Radway descrivevano il leggere come un “regalo speciale” che potevano concedersi di tanto in tanto. Anche in questo caso, per comprendere le loro esperienze di consumo, Radway ha dovuto considerare la forte asimmetria di genere che ancora caratterizza la famiglia occidentale. Se gli uomini vengono sostenuti emotivamente dalle donne, le donne devono più spesso trovare da sole la capacità di rilassarsi e rinfrancarsi: la lettura dei romanzi rosa contribuisce in modo importante alla riproduzione emotiva di molte di loro, offrendo una “temporaneo ma letterale diniego” delle richieste cui si sottopongono per essere mogli e madri amorevoli, offrendo piaceri forse “vicari”, ma indubbiamente “reali”. E’ proprio nella “differenza” dalla vita ordinaria che sta il significato della lettura: trovare tempo per sé, in un momento in cui la casa è tranquilla, in una particolare stanza, non è solo “un distacco rilassante dalle tensioni della vita quotidiana”, ma crea anche “un tempo o uno spazio in cui una donna può essere interamente per conto proprio, preoccupata solo dei propri desideri, bisogni e piaceri” (Ibidem: 61). Certo, a ben guardare, è difficile stabilire una volta per tutte se simili piaceri siano effettivi strumenti di liberazione e cambiamento sociale o se invece riproducano le strutture della disuguaglianza di genere. Ciò non di meno, le pratiche di lettura al femminile e soprattutto i gruppi di lettura femminili offrono la possibilità di innestare uno spazio per la creazione di una coscienza pubblica proprio nel cuore della sfera domestica, e di converso, di dare risonanza pubblica a questioni private. Questo in parte quanto rilevato da Elizabeth Long (2003) nel suo studio sui reading groups femminili di Huston in Texas, dalla fine della Guerra Civile ad oggi (più in generale sui book clubs e i gruppi di lettura, cfr. Hartley 2001). Nell’ottocento questi gruppi di donne bianche furono in grado di catalizzare una serie di pratiche organizzative, letterarie e di mutuo soccorso che diedero loro la necessaria fiducia per immaginare se stesse in modo nuovo, trasformando un iniziale movimento letterario in un movimento per la riforma sociale, coinvolto tra l’altro nel movimento per il diritto al voto alle donne. Pur rimanendo connotati in base a marcati confini di razza e classe, anche gli odierni gruppi di lettura studiati da Long con metodo etnografico, sembrano incoraggiare le donne che li animano a mettere in questione l’ordine sociale: per queste donne i libri diventano il linguaggio attraverso cui narrare le proprie esperienze e tentare di trascenderle. In un recente lavoro Griswold et als (2005) Nel complesso, enfatizzando il ruolo creativo dei pubblici, e concependo i riceventi come a loro volta produttori culturali, la teoria della ricezione può certo finire per negare ogni autonomia agli oggetti culturali. Si può così arrivare ad assumere che non vi siano distinzioni tra oggetti diversi, non solo di tipo estetico-morale (oggetti migliori o peggiori, più artistici o meno – come vuole 68 invece la filosofia estetica o la critica letteraria) ma anche in qualche modo storico-sociale: il rischio è quello di vedere solo persone diverse che fanno esperienza di oggetti culturali in modo diverso, con il significato che perde il suo contenuto sociale. Gli studi sociologici sulle culture della ricezione che si sono sviluppati a partire soprattutto dagli anni settanta (con la messa in discussione della distinzione tra cultura alta e cultura bassa, cfr. Gans 1974 e con la presa di coscienza che i confini tra alto e basso sono storicamente determinati e culturalmente variabili – e quindi con una critica dell’ideologia del “significato giusto” che ispira molto testualismo semiotico tradizionalista) hanno tentato di evitare tale rischio mettendo a fuoco la dimensione dell’interazione, della comunità interpretativa, dell’identità sociale. Il pubblico attivo è stato a sua volta concepito in due modi: a) come un decodificatore di significati non elitari che le elites non considerano; b) come un produttore di significati sovversivi – cfr. la tradizione dei cultural studies britannici per esempio (cfr. Griswold 2005). Nel primo modo sono stati studiati alcuni prodotti popular e della cultura di massa per considerarne quei significati che restavano nascosti ai gruppi favoriti e agli accademici: i settori del pubblico meno favoriti, o marginali, sono capaci di decodificare significati che risultano soddisfacenti alla luce della loro esperienza sociale. Lo studio di Radway sulle pratiche di lettura dei romanzi rosa ne è un esempio, così come lo studio di Modleski (1984) Loving with a Vengance nel quale viene messo in risalto il tema della vendetta nei romanzi rosa – l’eroina arriva sul punto di morire o abbandona l’eroe facendolo soffrire sino al suo ritorno – e ipotizzò che questo soggetto rappresentasse la fantasia collettiva delle donne che desideravano ma spesso non potevano reagire nei confronti dei loro oppressori. Nel secondo modo di rivalutazione della cultural popular il ricevitore produce significati propri in opposizione a quelli delle èlites. John Fiske (1989) nel suo Understanding Popular Culture ha sviluppato l’idea del bricolage, e ha sostenuto che come da un supermercato i pubblici portano a casa merci standardizzate ma poi le cucinano a modo loro, secondo usi che trasformano totalmente. Fiske ha così studiato le reazioni del pubblico ad un gioco televisivo The newlywed Game nel quale le coppie guadagnano punti se riescono a dare risposte giuste a domande sui gusti dell’altro. I vincitori materiali del gioco erano coppie armoniche, ma i vincitori morali – le coppie che il pubblico preferiva – erano formate da soggetti in disaccordo. Fiske vide questo come un caso di produzione sovversiva di significati culturali: le regole del gioco premiavano l’armonia matrimoniale in condizioni di generale autorità patriarcale, mentre il pubblico parteggiava per i ribelli. Questa seconda accezione viene sempre più spesso messa sotto accusa, perché tende a romanticizzare l’audience. In un recente lavoro critico Roscoe et als (1995) hanno messo in discussione l’immagine del pubblico “attivo”, “sociale” e “critico” che sta alla base della nuova sociologia della ricezione. Roscoe e als. invitano anche a non dare per scontata la natura “sociale” della ricezione, a considerare che con sociale si possono intendere diverse dimensioni: gusti, e schemi cognitivi, differenze sociali e culturali, ma anche contesti specifici di uso e ricezione, che rendono la ricezione un processo almeno in parte contingente e difficilmente teorizzabile nella sua funzione complessiva. Utilizzando diversi dati empirici Roscoe et als avvertono che il fruitore di messaggi mediatici è attivo entro certi limiti, imposti dallo stesso testo del quale avviene la fruizione. L’attività dei riceventi è innanzi tutto limitata dagli effetti agenda (ovvero il fatto che i media non ci dicono che opinione avere, ma ci dicono su quali oggetti avere una opinione, strutturano cioè le maglie delle nostre rilevanze). I media, e la televisione in particolare, insomma impongono un’agenda al pubblico, all’interno della quale vengono messi in evidenza alcuni argomenti all’ordine del giorno (basti pensare agli studi sul panico morale, o sugli effetti delle paure alimentari). Roscoe et als. sottolineano inoltre che la criticità del pubblico (il suo 69 potere semiotico di produrre significati) non implica che tale capacità venga declinata in senso sovversivo o opposizionale, né tanto meno che una lettura che recupera significati marginali o che sovverte i significati dominanti rappresenti davvero un atto politico in grado di ridefinire i codici dominanti in chiave antagonistica. La criticità insomma non è sempre resistenza, l’attività è limitata: non tenere presente questo significa paradossalmente dimenticare alcuni dei significati che i riceventi traggono dai testi o considerare che le gratificazioni dei soggetti debbano sempre essere in qualche modo sovversive: esistono insomma pubblici che traggono piacere da decodifiche dominanti (Hall).