modulo 1 - Dipartimento studi Sociali e Politici

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Sociologia dei processi culturali
Prof. Sassatelli
MODULO 1
Il problema dell'ordine sociale e la nascita della sociologia
Le domande sociologiche …
... prevedono una contestualizzazione storica e culturale dei fenomeni. Si passa
da domande del tipo "Chi siamo noi?" a domande del tipo "Come siamo
diventati ciò che siamo ora, in questa cultura?".
La sociologia è quindi da porsi in relazione al COSTRUTTIVISMO, ovvero all'idea che il mondo
sia il prodotto di una costruzione umana piuttosto che il frutto di un ordine naturale o divino:
NOZIONE WEBERIANA DI DISINCANTO
In tale costruzione vengono ad essere individuate alcune dimensioni o regolarità importanti
(livello TEORICO SOCIALE):
a) Diverse POSIZIONI SOCIALI (Classe: la posizione occupata nelle relazioni di produzione, in
relazione alla proprietà dei mezzi di produzione. Status: la posizione occupata nel sistema di
riconoscimenti e onori in vigore in una certa cultura. Genere: gli attributi e le chances offerte alle
persone in base al loro sesso)
b) Diverse VARIABILI CULTURALI (Valori: insieme di atteggiamenti relativi a come il mondo
è e deve essere. Categorie: l'insieme delle definizioni che orientano le nostre percezioni della
situazione. Simboli: associazioni con le quali alludiamo a significati e a valori che ci permettono
di orientarci al mondo)
Queste dimensioni dell'organizzazione sociale possono essere studiate dando più enfasi alla
struttura sociale, alla riproduzione dell'ordine e a processi storici di lungo periodo
(SOCIOLOGIA MACRO), oppure all'azione individuale, alla rielaborazione dei significati e
all'interazione (SOCIOLOGIA MICRO).
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La contestualizzazione operata dalla sociologia produce una FORMA DI CONOSCENZA che
può venire a sua volta concepita in vari modi
(livello EPISTEMOLOGICO)
a) come la ricerca di leggi sociologiche
(APPROCCI POSITIVISTI)
b) come il tentativo comprendere i significati che i soggetti attribuiscono alle proprie
pratiche
(APPROCCI INTERPRETATIVI)
La conoscenza sociologica secondo gli approcci interpretativi si ispira tipicamente alla nozione
di Verstehen (comprensione). Viene sottolineata la continuità del sapere scientifico con i modi
del conoscere quotidiano. Si sostiene inoltre che il conoscere si dia sempre a partire da una
particolare posizione, e che anzi, è proprio la finitezza del punto di vista che ci permette di
cominciare a conoscere il mondo che ci circonda (PROSPETTIVISMO). Tuttavia, il punto di
vista adottato non deve rimanere scontato: il sociologo deve applicare al proprio punto di vista,
alla propria posizione teorica la stessa metodica capacità di analisi che applica al mondo sociale
(RIFLESSIVITA').
La sociologia comprendente cerca quindi di studiare la vita vissuta, con la consapevolezza che
"la vita vissuta ... assomiglia ad un tappeto in cui ciascuno dei suoi molti fili è visibile solo per
brevi tratti, mentre la sua parte restante scorre nel rovescio, connettendo in un continuum le parti
visibili ... (la sociologia) invece, estrae completamente il singolo filo, lo rende visibile come se
non conoscesse nessuna interruzione, e in questo modo realizza una continuità, ma non un
modello" (Simmel 1917).
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Una mappa delle diverse prospettive sociologiche
MACRO
POSITIV.
MICRO
FUNZIONALISMO
(Durkheim)
MATERIALISMO STORICO
(Marx)
INTERPRETAZ.
SOCIOLOGIA STORICA
COMPRENDENTE
(Weber, Elias)
GENEALOGIA
(Foucault)
INTERAZIONISMO
(Simmel, Goffman)
ETNOMETODOLOGIA
(Garfinkel)
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Il disincanto del mondo.
Differenziazione e razionalizzazione, individualizzazione e stratificazione (cfr. Bagnasco)
Il processo di SECOLARIZZAZIONE (la religione si ritira dalla vita pubblica e viene confinata
nel privato) si accompagna ad una divisione funzionale delle sfere sociali. Nascono gli stati
nazionali moderni (enti monopolizzatori della violenza legittima) e si sviluppa una moderna sfera
economica (basato sullo scambio monetario). Tutto questo viene a caratterizzare ciò che, nelle
scienze sociali, viene tipicamente definito come "modernità". La modernità più che tracciare i
confini di un periodo storico preciso indica - idealtipicamente - alcuni processi e caratteristiche
delle società post-tradizionali. Due aspetti spiccano sugli altri:
a) La razionalizzazione, ovvero il prevalere di forme di pensiero e organizzazione efficientiste,
che mirano perfezionare i mezzi per il conseguimento di fini dati mediante una
suddivisione analitica e minuziosamente calcolata dei compiti. Ciò porta ad un enfasi
sulla calcolabilità, la prevedibilità, la strumentalità, il formalismo, ecc.
b) L' individualizzazione, ovvero l'incentivazione della peculiarità di ciascun individuo espressa
nella pressoché unica combinazione di ruoli e preferenze che ciascun attore sociale
assomma in sé, e lo sviluppo della nozione di individuo come entità separata, originale, e
peculiare, da cui partono (e devono partire) le scelte e i valori - sino all'avvento di una
vera e propria religione dell'individuo.
Questi due processi si accompagnano alla:
c) differenziazione funzionale (per capire la società contemporanea dobbiamo comprendere la
divisione del lavoro sociale, cfr. Durkheim; l’intersecazione delle cerchie sociali, cfr. Simmel)
e alla continua rilevanza della stratificazione sociale (esiste una struttura di posizioni sociali
relativamente stabile che consente accessi differenziati alle istituzioni universalistiche della
modernità, p.es. il mercato, cfr. Marx; Weber) e alla mobilità sociale (forme organizzate di
passaggio da una posizione sociale all’altra, p.es. attraverso l’educazione di massa).
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SEMINARIO E MODULO 1
Lo sviluppo delle scienze sociali
Da HOBBES (1588-1679) a DURKHEIM (1858-1917) si ha il passaggio da una teoria
contrattualista che considera l'ordine sociale come il prodotto di un contratto tra individui (presociali e liberi); ad una teoria sociologica che pensa che l'essere umano sia sempre sociale,
sempre in qualche modo 'formato' dal mondo sociale in cui vive, e che ogni società, compresa
quelle in cui il diritto si è ampiamente sviluppato, si organizza in base a valori condivisi.
Con il contrattualismo Hobbesiano emerge l'idea che l'ordine sociale sia il frutto di un contratto
tra esseri umani, e non un dato immutabile che risponde al disegno divino. Viene quindi
rovesciata l'impostazione tomistica per cui il mondo è lo specchio della volontà divina.
Durkheim rovescia a sua volta il modello hobbesiano. Il contratto sociale cioè non emerge
dall'assenza del sociale (stato di natura) bensì esistono condizioni sociali che rendono il contratto
una soluzione valida e pensabile. Il contratto sociale (o meglio i rituali e i valori) vengono ad
essere posti all'origine del modello.
Durkheim vuole anche criticare le impostazioni liberiste-evoluzioniste alla Spencer. L'ordine
sociale è un fatto sociale, ma non è spontaneo: produce "apparati coercitivi" e un diritto che
servono a conservarlo. Il diritto regola in modo "positivo" (mediante un feed-back sui valori, i
rituali e la struttura) il sociale.
Quattro modelli di ordine sociale
San Tommaso
ORDINE
DIVINO E
SOCIALE
Hobbes
STATO DI NATURA
CONTRATTO SOCIALE
ORDINE SOCIALE
Spencer
DIV. LAVORO
SOLID. SPONTANEA
Durkheim
DIV. LAVORO
VALORI
DIRITTO
Secondo Durkheim esistono quindi dei valori condivisi anche nelle società altamente
differenziate, frammentate individualistiche e commerciali della modernità. Si tratta però di una
forma particolare di solidarietà, definita ORGANICA in opposizione alla solidarietà
MECCANICA delle società pre-moderne o segmentarie.
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Hobbes – Leviatano (1651)
1. Gli uomini sono uguali per natura
La natura ha fatto gli uomini così uguali nelle facoltà del corpo e della mente che … la differenza
tra uomo e uomo non è mai così considerevole al punto che un uomo possa da ciò rivendicare per
sé un beneficio cui un altro non possa pretendere tanto quanto lui
2. Dall’uguaglianza alla diffidenza
Da questa uguaglianza di capacità nasce un’uguaglianza nella speranza di raggiungere i propri
fini. Se due uomini desiderano la stessa cosa di cui non possono fruire entrambi, nasce il
conflitto
3. Dalla diffidenza alla guerra
Troviamo nella natura umana 3 cause principali di conflitto:
- la rivalità (attacco, conflitto per trarre vantaggio)
- la diffidenza (difesa, conflitto per la propria sicurezza)
- l’orgoglio (rispetto, conflitto per la propria reputazione)
Quando gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione (Stato civile),
essi si trovano in guerra.
Herbert Spencer
•
“Con il declino del militarismo e l’ascesa dell’industrialismo sia il potere sia la portata
dell’autorità diminuiscono e la libertà d’azione individuale aumenta; la relazione del
contratto diventa generale-universale” (Spencer)
•
Società industriale: l’armonia sociale deriva dalla divisione del lavoro, e la forma
normale dello scambio è il contratto
•
Cooperazione che si produce automaticamente:
Solidarietà industriale spontanea (meccanica)
•
Basta che ogni individuo si consacri ad una funzione specifica per trovarsi
automaticamente solidale con gli altri, non servono apparati coercitivi
•
La solidarietà sociale non sarebbe quindi altro che l’accordo spontaneo degli interessi
individuali, del quale i contratti costituirebbero l’espressione naturale
•
La società non sarebbe che il luogo in cui si mettono in relazione gli individui che
intendono scambiare i prodotti del loro lavoro, senza che nessuna azione propriamente
sociale intervenga a regolare tale scambio
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Spencer vs Durkheim
È proprio questo il carattere della società moderna?
1) la sfera dell’attività sociale diminuisce sempre più a favore di quella dell’individuo?
Se il diritto repressivo perde terreno, il diritto restituivo si accresce. Se l’intervento sociale non
ha più l’effetto di imporre a tutti certe pratiche uniformi, esso serve più di un tempo a definire e a
regolare i rapporti specifici delle differenti funzioni sociali. È diverso, non minore!
2) è vero che le relazioni contrattuali tra gli individui aumentano. Ma fanno altrettanto le
relazioni non contrattuali!
DIRITTO PRIVATO
•
ES: matrimonio e adozione: quanto più ci si avvicina ai tipi sociali più elevati, tanto più
queste operazioni giuridiche perdono il loro carattere propriamente contrattuale
•
Il contratto non è autosufficiente, è possibile solo in virtù di una regolamentazione del
contratto di origine sociale: il diritto contrattuale determina le conseguenze giuridiche dei
nostri atti, prevedendo ciò che non possiamo prevedere individualmente.
•
Dal momento in cui abbiamo compiuto un primo atto di cooperazione, siamo impegnati, e
l’azione regolatrice della società si esercita su di noi.
Spencer la definisce negativa (poiché il contratto esiste solo nello scambio)
DIRITTO AMMINISTRATIVO
•
Insieme delle regole che determinano le funzioni dell’organo centrale e degli organi
subordinati e i loro rapporti
•
Stabilire le funzioni specifiche e la loro cooperazione
•
Spencer: tipo militare tipo industriale: l’apparato regolatore diminuisce
progressivamente, le funzioni dello stato sarebbero destinate a ridursi alla sola
amministrazione della giustizia e della guerra
•
In realtà, diritto amministrativo tanto più sviluppato quanto più elevato è il tipo di società:
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oggi, una molteplicità di funzioni concentrate nella mani dello stato (educazione, salute,
trasporti, …)
•
Da segmenti isolati a organi in reciproca dipendenza
•
Dal momento che le funzioni sociali diventano più numeroso e complesse, è necessario
che l’organo che serve loro da substrato si sviluppi, come il corpo di regole giuridiche che
le determinano.
•
Ciò che fa sì che l’organo di governo sia più o meno considerevole, non è il fatto che i
popoli siano più o meno pacifici: esso aumenta nella misura in cui le società, in seguito al
progresso della divisione del lavoro, comprendono un maggiore numero di organi
differenti più intimamente connessi.
Durkheim
•
La vita sociale deriva da una duplice fonte:
- l’uniformità delle coscienze: l’individuo non ha una forte individualità propria, è socializzato
perché si con-fonde con i suoi simili dentro uno stesso tipo collettivo
- la divisione del lavoro sociale: l’individuo ha un profilo e un’attività personali che lo
distinguono dagli altri, è socializzato perché la propria definizione dipende da questa distinzione
dentro la società
•
Esistono regole giuridiche e morali che determinano la natura e i rapporti delle funzioni
divise
“Anche dove la società riposa completamente sulla divisione del lavoro, essa non si risolve
perciò in una miriade di atomi contrapposti, tra i quali non possono stabilirsi che contatti esterni
e passeggeri; ma i suoi membri sono unti da vincoli che si estendono ben al di là dei brevi
momenti in cui avviene lo scambio. Ognuna delle funzioni che esercitano è sempre dipendente
dalle altre, e forma con esse un sistema solidale.
C’è soprattutto un organo nei confronti del quale il nostro stato di dipendenza aumenta sempre
più: lo Stato. I punti in cui siamo in contatto con esso si moltiplicano, al pari delle occasioni nelle
quali esso ha l’incarico di richiamarci al sentimento della solidarietà comune.” (Durkheim)
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Stato, mercato e razionalizzazione: capitalismo come modo di produzione
Karl Marx, 1818-1881 (Il capitale, Grundrisse)
* Materialismo storico (di derivazione hegeliana, lotta di classe come motore della storia)
* Forze di produzione e lavoro (struttura e sovrastruttura)
* Capitalismo di prima accumulazione: non contratto bensì espropriazione e violenza
* Scetticismo nei confronti della Dichiarazione dei Diritti Dell'uomo (ideologia)
La teoria del valore e l'usurpazione capitalista
Le merci hanno un valore di scambio (o commerciale) che è il prodotto di una situazione di
dominio da parte del sistema produttivo. Il valore di scambio include cioè sia il valore d'uso delle
merci che il loro plusvalore. Il valore d'uso di una merce è il suo vero valore, "condizionato dalle
proprietà fisiche della merce ... non esiste se non in relazione a queste". Il valore degli oggetti
deriva cioè dalla loro relazione materiale con il corpo degli individui, ed è attraverso la
produttività umana (attraverso la proprietà del proprio corpo e i suoi sforzi mediante il lavoro)
che questo valore può venire aumentato (teoria del valore-lavoro). Nel sistema di produzione
capitalistico (dove vi è una separazione dei fattori di produzione, per cui alcuni hanno solo la
forza lavoro ed altri - pochi - hanno il monopolio dei mezzi di produzione) i prezzi delle merci
però sono relativi non alla quantità di lavoro concreta che viene usata per produrle, ma ad un
tempo di lavoro astratto, quello necessario per produrre tali merci data la particolare struttura
economica. E' il lavoro definito dalle "condizioni di produzione normali in una data società e
dalle normali capacità e intensità di lavoro prevalenti in tale società" che viene calcolato per
stabilire il valore commerciale di ogni merce. Nelle condizioni di produzione capitalistiche, dove
la forza lavoro è diventata una merce e vi è un surplus di forza lavoro (e quindi un suo
deprezzamento), ciò lascia spazio per una porzione di denaro (plusvalore) che permette
un'ulteriore concentrazione del capitale. La forma capitalistica di sfruttamento è tale che la vera
causa del valore viene mistificata. I prezzi appaiono come il valore naturale delle merci quando
essi sono invece l'espressione di relazioni sociali sottostanti, le quali esprimo rapporti di forza
consolidati (p. es. il plusvalore va a solo vantaggio di chi detiene i mezzi di produzione). Ciò
produce una tendenza alla svalutazione del lavoro: "maggiore la produttività del lavoro, minore il
tempo di lavoro richiesto per produrre un articolo, minore la massa di lavoro cristallizzata in
quell'articolo, e minore il suo valore".
La teoria del valore di Marx si basa su una epistemologia sensista (gli oggetti non solo offrono
uno spunto per la valutazione ma sono anche la sua causa sensibile, gli oggetti vengono cioè
prima dei soggetti e il valore è generato da loro stessi) per scardinare un sistema sociale di
valutazione (mercato) che si sarebbe allontanato dalla natura delle cose. Il primato assegnato al
lavoro umano come fondazione universale e oggettiva del valore apre lo spazio teorico per la
nozione di alienazione. Postulando una certa nozione di ciò che è e dovrebbe essere una persona,
la teoria del valore-lavoro permette di sostenere che le persone nel sistema capitalistico sono
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alienate dalla propria umanità (cioè il lavoro creativo). Il capitalismo produce anomalie della
personalità poiché viene distorta la naturale relazione con gli oggetti in quanto dotati di valore
d'uso e frutto della propria creatività. Ciò spinge a pensare che esista un valore d'uso al di fuori
del processo storico e culturale. Un ipotetico valore d'uso naturale e puramente strumentale
assume quindi il carattere di uno slogan rivoluzionario.
Alienazione
L'alienazione - quella condizione in cui l'esternalizzazione (o oggettivazione) delle proprie
capacità non è seguita dalla loro appropriazione - viene condannata come prodotto tipico del
sistema capitalistico. Tale condanna si fonda su un'indicazione normativa di cosa sia proprio
della specie umana e di come gli uomini possano realizzarsi. Solo ciò che è "essenzialmente
proprio" agli esseri umani può essere tolto alle persone, e questo quid essenziale
corrisponderebbe, secondo Marx, a un ideale di "fraterna auto-realizzazione" attraverso la propria
creatività .
Feticismo delle merci
Poiché in un sistema capitalistico gli esseri umani sono alienati da frutti del loro lavoro, essi non
possono rendersi conto che le merci incorporano una certa quantità di lavoro, e che i loro prezzi
sono il frutto di un calcolo astratto del tempo di lavoro. Il valore di mercato non è altro che una
relazione tra persone, e tuttavia "è una relazione che viene nascosta dietro le cose". Le merci
allora diventano feticci, sembrano avere una vita propria, sono lontani, staccati dai soggetti, quasi
magici, sono solo l'ombra delle relazioni sociali di cui sono espressione.
Bisogni indotti
Perchè il capitalismo possa funzionare i bisogni delle persone devono conformarsi alle richieste
del sistema produttivo. La capacità di consumo dei singoli non può essere una barriera per lo
sviluppo del capitalismo e quindi occorre manipolare i bisogni per farli crescere (Cfr.
Mandeville, Hume, Smith: immaginazione, status symbol). Il sistema capitalista quindi implica
una "esplorazione di tutta la natura per poter scoprire nuove utili qualità nelle cose, prodotti da
climi e terre diversi" .... "la coltivazione di tutte le qualità dell'essere umano sociale, produzione
di questo in una forma tanto ricca quanto più possibile rispetto ai bisogni, ricca in qualità e
relazioni - essendo questo la più totale e universale forma di prodotto sociale, perchè per ottenere
gratificazione in molti modi diversi, egli deve essere capace di molti piaceri e quindi coltivato ad
un altissimo livello - è allo stesso modo una condizione di produzione fondata sul capitale"
Nascita del capitalismo
La concentrazione del capitale nelle mani di pochi e l'accumulazione originaria (così come si è
verificata in Inghilterra) è frutto dell'espropriazione della popolazione rurale e della sua
espulsione dalle terre. Ciò "gettò sul mercato del lavoro una massa di proletari eslege". Lo stato
(in mano ai nobili) prima tentò di resistere a questi sviluppi, poi "borghesizzandosi", li assecondò
promulgando leggi che incentivavano l'espropriazione e sanzionavano chiunque non trovasse
lavoro. Anche la riforma protestante ebbe un ruolo strettamente economico: le terre dei monasteri
cattolici sono messe all'asta.
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•
•
XV SEC. (Inghilterra):
La maggior parte della popolazione consiste di liberi contadini autonomi
•
FINE XV SEC. - INIZIO XVI SEC.:
- Il potere regio scioglie i seguiti feudali
- I signori feudali scacciano i contadini dalle loro terre e usurpano le terre comuni
[aumento del prezzo della lana trasformazione dei campi in pascoli da pecore]
•
•
•
XVI SEC.:
Riforma protestante e colossali furti di beni ecclesiastici
La Chiesa cattolica fino ad allora era stata proprietaria feudale di gran parte del suolo
inglese
“La proprietà ecclesiastica costituiva il baluardo religioso dell’antico ordinamento
della proprietà fondiaria, e caduta la proprietà ecclesiastica, neppur questo
ordinamento si poté più sostenere” (Marx, p. 786)
•
•
XVIII SEC.:
usurpazione della proprietà comune da azione individuale violenta diventa mezzo legale
di rapina delle terre del popolo (decreti di espropriazione delle terre del popolo da parte
dei landlords col pretesto della recinzione)
•
•
Clearing of cottages: eliminazione degli spazi per le abitazioni degli oeratori agricoli
Clearing of estates: parziale estromissione dei piccolo fittavoli dalle grandi proprietà
[Agricoltori pecore cacciagione (Es.: Altopiano scozzese)]
scompaiono i contadini indipendenti e le proprietà comunali dei coltivatori
si getta sul mercato del lavoro una massa enorme di proletari eslege
LEGISLAZIONE CONTRO GLI ESPROPRIATI E LEGGI PER L’ABBASSAMENTO
DEI SALARI
•
XVI SEC.: incapacità di assorbimento e adattamento dei neo-proletari
legislazioni sanguinarie contro il vagabondaggio
•
XV SEC.: padroni e operai socialmente vicini, subordinazione del lavoro al capitale solo
formale
•
XVI SEC.: situazione degli operai molto peggiore. Aumento del salario, ma aumento del
prezzo delle merci e deprezzamento del denaro
in realtà: calo del salario
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“La borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere dello Stato, e ne fa uso, per regolare il
salario, cioè per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuole produrre plusvalore, per
prolungare la giornata lavorativa e per mantenere l’operaio stesso a un grado normale di
dipendenza.
È questo un momento essenziale della cosiddetta accumulazione originaria” (Marx, p. 801)
GENESI DEL CAPITALISTA INDUSTRIALE
“La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù
della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e il saccheggio delle
Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia delle pelli nere, sono i segni
che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica.
È questo un altro momento fondamentale dell’accumulazione originaria” (Marx, p. 813)
•
Sistema coloniale (Spagna, Portogallo, Olanda, Francia, Inghilterra)
- Violenza brutale nel trattamento degli aborigeni
- Es: Compagnia inglese delle Indie Orientali:
dominio politico nelle Indie Orientali,
monopolio esclusivo del commercio del tè, dei commerci con la Cina,
dei trasporti delle merci in Europa
•
Nascita delle grandi banche “nazionali”: società di speculatori provati in grado di
anticipare denaro ai governi Accumularsi del debito pubblico
TENDENZA STORICA DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA
1- ESPROPRIAZIONE DEI LAVORATORI IMMEDIATI
Dissoluzione della proprietà provata fondata sul lavoro personale
[Proprietà privata = libertà: lavoratore libero proprietario provato delle proprie condizioni di
lavoro]
2- trasformazione dei mezzi di produzione individuali e dispersi in mezzi di produzione
socialmente concentrati
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3- PROCESSO DI TRANSFORMAZIONE:
proprietà privata acquistata col proprio lavoro proprietà privata capitalistica fondata sullo
sfruttamento (spesso con metodi violenti) del lavoro altrui
Lavoratori proletari
Condizioni di lavoro capitale
4- ESPROPRIAZIONE DI MOLTI CAPITALISTI DA PARTE DI POCHI
Sempre meno magnati del capitale Sempre più masse di poveri Crescita della ribellione
della classe operaia
5•
•
•
ESPROPRIAZIONE DEI LAVORATORI INDIPENDENTI
ESPROPRIAZIONE DEI CAPITALISTI
ESPROPRIAZIONE DEGLI ESPROPRIATORI da parte della massa del popolo
... Eppure ... perchè alcune persone hanno voluto fare tutto questo? Come
definivano/giustificavano i propri interessi?
Le pre-condizioni culturali del capitalismo
Max Weber, 1864-1920 (L'etica protestante e lo spirito del capitalismo; Economia e Società)
* sociologia storica comprendente
* agire sociale dotato di senso (non solo strutture sociali ma anche il significato dell'azione per i
soggetti; questi hanno la capacità non solo di calcolare e individuare il miglior mezzo per
soddisfare alcuni fini - razionalità strumentale - ma anche la capacità e la necessita di sentire che
i propri fini sono giusti)
* tipologia del potere/legittimità (soprattutto analisi della burocrazia)
* sociologia delle religioni (ascesi come lavoro su se stessi; elezione)
Capitalismo e protestantesimo ascetico (1904)
"non conclusione della ricerca, ma lavoro preparatorio"
L'idea calvinista della vocazione viene studiata come la pre-condizione morale, intellettuale e
culturale dell'organizzazione economica capitalista. Lotta contro un uso irrazionale della
proprietà, contro il possesso sterile, e promozione della moralità del profitto razionale, produttivo
(insieme ai comforts, alle decencies ma non alle luxuries).
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Vocazione (Calling\Beruf) Etica del lavoro
"ciò che la morale veramente condanna è l'adagiarsi nel possesso, il godimento della ricchezza
con la sua conseguenza di ozio e concupiscenza, e soprattutto con la conseguenza di deviare dal
faticoso cammino verso la vita 'santa'" ... "l'eterna quiete dei santi sta nell'aldilà, mentre, sulla
terra per accertarsi del proprio stato di grazia, l'uomo deve 'compiere le opere di colui che lo ha
inviato, finché è giorno'" ... "perdere tempo è di tutti i peccati, il primo e quello per principio più
grave" .
Lavoro come mezzo acetico, ma anche come "lo scopo stesso della vita che è prescritto da Dio";
vocazione che ciascuno deve riconoscere attivamente, lavorando
Sublimazione etica e politica della specializzazione moderna: R.Baxter: "il lavoratore
professionale compirà il suo lavoro con ordine, mentre un altro è vittima di una eterna
confusione, e le sue occupazioni non conoscono né luogo né tempo, perciò una stabile
professione (calling) è la cosa migliore per ciascuno"
Schema provvidenziale: "Poiché consente l'abilità del lavoratore, la specializzazione delle
professioni porta all'elevazione quantitativa e qualitativa della prestazione lavorativa, e così
giova al bene comune, che si identifica con il benessere del maggior numero possibile degli
individui"
Quindi la "formazione di capitale" è stata "condizionata dalla coazione ascetica al risparmio" .
L'etica del lavoro però produsse effetti che non erano contemplati nel suo originale spirito.
Preminenza della sfera economica sul sacro utilitarismo.
L'etica del lavoro richiede la razionalizzazione del proprio lavoro, del tempo, di se stessi: la
volontaria sottomissione del corpo a routines rigidamente codificate, la negazione dei piaceri
immediati". L'ascesi "combatte con autentica violenza soprattutto una cosa: il godimento
spensierato dell'esistenza e dei piaceri che può offrire ... (per i quaccheri, ad esempio) lo sport
doveva servire a uno scopo razionale, quello della ricreazione necessaria per la buona forma
fisica. Invece come mezzo per sfogare in modo disinvolto impulsi incontrollati gli era sospetto
gli era sospetto, e come è ovvio, veniva senz'altro condannato, nella misura in cui diventasse
puro divertimento, o persino destasse l'ambizione competitiva"
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Max Weber - L’etica protestante e lo spirito del capitalismo
•
ASCESI - SPIRITO CAPITALISTICO
Individuare nessi che collegano le rappresentazioni religiose fondamentali del
protestantesimo ascetico con le massime della vita economica quotidiana
•
Calvinismo Puritanesimo inglese idea di
BERUF (PROFESSIONE come conseguenza di una VOCAZIONE)
•
Adam Smith: apoteosi della divisione del lavoro:
Specializzazione delle professioni elevazione delle prestazioni aumento del
benessere comune
•
Lutero: dovere di accontentarsi della sorte ormai assegnata da Dio
•
Puritanesimo: accento su carattere metodico, ordinato, della professione
“Dio non pretende il lavoro in sé, ma il lavoro professionale razionale”
Utilità di una professione:
• criteri etici
• criteri di bene comune
• criteri economici (profitto economico privato “suggerito” da Dio)
Sviluppo della borghesia inglese:
• la concezione puritana di Beruf, professione come conseguenza di una vocazione, e
l’esigenza di una condotta ascetica della vita, influenza direttamente lo sviluppo di uno
stile di vita capitalistico
•
Lotta contro il godimento spensierato dei piaceri dell’esistenza (sia aristocratica che neoborghese)
•
ES.: sport – attività artistiche culturali – abbigliamento (istintuale, inutile, ostentato)
“L’ascesi protestante intramondana agì violentemente contro il godimento spensierato del
possesso, restrinse il consumo, soprattutto il consumo di lusso. Invece ebbe l’effetto psicologico
di liberare l’attività lucrativa dalle inibizioni dell’etica tradizionalistica, spezzò le catene che
avvincevano la ricerca del guadagno, in quanto non solo la legalizzò, ma ritenne fosse voluta
direttamente da Dio.” (Weber, p. 229-230)
•
Ricerca della ricchezza come frutto del lavoro professionale metodico, indefesso, mezzo
ascetico supremo, che dimostra l’autenticità della fede dell’individuo
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SPIRITO DEL CAPITALISMO:
FORMAZIONE DEL CAPITALE CONDIZIONATA DALLA COAZIONE ASCETICA
AL RISPARMIO
•
Nella misura in cui si estese il potere della concezione puritana dell’esistenza, essa giovò
alla tendenza a una condotta della vita borghese, economicamente razionale
Nascita dell’“homo economicus” moderno, caratterizzato da un ethos professionale
specificatamente borghese:
•
Con la coscienza di godere pienamente e visibilmente della grazia di Dio, l’imprenditore
borghese poteva e doveva perseguire i suoi interessi lucrativi a condizione di mantenersi
entro i limiti della correttezza formale, di vivere in una maniera eticamente ineccepibile, e
di non fare un uso scandaloso delle proprie ricchezze.
•
Teoria della produttività dei bassi salari: convinzione che Dio gradisca moltissimo il
lavoro coscienzioso anche se compensato da bassi salari
•
Beruf applicata sia all’imprenditore borghese che all’operaio
“Uno degli elementi costitutivi dello spirito capitalistico moderno, e non solo di questo, ma della
civiltà moderna – l’esistenza razionale condotta sulla base dell’idea di Beruf – è nato dallo spirito
dell’ascesi cristiana.” (Weber, p. 238)
•
NB: interpretazione causale della civiltà e della storia
unilateralmente “materialista” vs unilateralmente “spiritualistica”
•
“Entrambe sono ugualmente possibili”
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Lo sviluppo della burocrazia
La razionalizzazione e il disciplinamento del soggetto sono stati facilitati dallo sviluppo
dell'apparato burocratico
Analisi tipologica del potere (o ordine socio-politico)
3 TIPI DI POTERE LEGITTIMO
Tradizionale
Carismatico (statu nascendi)
Razionale (o legale-burocratico)
Tradizionale …Legittimità fondata su antichi (esistenti da sempre) ordinamenti di potere
REVERENZA ; SIGNORE PERSONALE; SUDDITI
Carismatico … Legittimità fondata su una qualità straordinaria in origine magica che
viene attribuita a una persona
DEDIZIONE; PROFETA; SEGUACI
Burocratico …Legittimità fondata sulla legalità degli ordinamenti
COMPETENZA; DIRITTO; CITTADINI
Carismatico VS Razionale
non prevedibile vs prevedibile
non calcolabile vs calcolabile
rituali vs disciplina
"il contenuto della disciplina non è altro che l'esecuzione esatta, continuamente razionalizzata,
metodicamente allenata dell'ordine ricevuto; in cui tutto il potenziale critico personale è
incondizionatamente sospeso e l'attore è totalmente volto a portare a termine il comando ...
questa condotta è uniforme ..."
personale vs impersonale
"al posto dell'estasi, dell'entusiasmo spirituale o della devozione nei confronti di un capo come
persona, del culto dell'onore, o dell'esercizio di qualche abilità personale come arte , la disciplina
sostituisce l'abitudine a competenze di routine. Nella misura in cui la disciplina fa appello a
motivazioni ferme di carattere 'etico', essa presuppone un 'senso del dovere' ... la devozione è
impersonale, è la devozione a una causa comune"
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casuale somma delle forze vs ottimizzazione della somma delle forze
" fattori imponderabili, irrazionali , 'emotivi' vengono calcolati razionalmente ... razionalmente
sfrutta entusiasmo e devozione"
duce vs generale
"la disciplina militare è il modello ideale per la moderna fabbrica capitalista ... la disciplina
organizzativa nella fabbrica è basata su una base completamente razionale. Con l'aiuto di
appropriati mezzi di misura, la più alta profittabilità di ciascun lavoratore viene calcolata proprio
come quella dei ogni altro mezzo materiale di produzione"
individui vs funzioni
"l'apparato psico-fisico dell'uomo viene ad essere adattato alle domande del mondo esterno, agli
attrezzi, alle macchine, in breve, ad una 'funzione' individuale"
misticismo vs macchina
"l'apparato psico-fisico (dell'individuo) viene sincronizzato con un nuovo ritmo mediante una
metodica specializzazione di muscoli che funzionano separatamente, e una economia ottimale
delle forze ha luogo"
discepoli vs burocrazia
caratteristiche dell'apparato amministrativo BUROCRATICO:
1) FUNZIONARI; 2) DOVERI DI UFFICIO; 3) GERARCHIE; 4) COMPETENZE; 5)
QUALIFICAZIONE SPECIALIZZATA; 6) STIPENDIO; 7) PROFESSIONE; 8) CARRIERA;
9) SEPARAZIONE MEZZI AMMINISTRATIVI
... Ma quali sono i rapporti tra forma del potere politico e vita quotidiana?
I guerrieri, i cortigiani e i mercanti
Norbert Elias, 1897-1990 (Il processo di civilizzazione, La società degli individui)
* critica del pensiero dicotomico (natura/cultura; individuo/società)
* enfasi sulla natura processuale delle forme sociali
* integrazione micro/macro nell'analisi del processo di civilizzazione come legato allo sviluppo
di un ente monopolizzatore della violenza legittima e, allo stesso tempo, di un nuovo tipo
di soggetto dotato di maggiore auto-controllo
* teoria della violenza
Ne Il processo di civilizzazione Elias propone una Grande sintesi dello sviluppo culturale
moderno dei paesi nord-occidentali focalizzato sulla "civilizzazione" degli individui come
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soggetti incorporati: "Come e perchè l'affettività del comportamento e dell'esperienza umana, il
controllo delle emozioni da parte di freni esterni e interni, e quindi la struttura di tutte le forme
umane di espressione, vengono alterati in una particolare direzione?"
Integrazione tra aspetti micro (vergogna, imbarazzo, buone maniere, dimostrazione del
rispetto e delle emozioni, presentazione di sé, ecc.) e macro (organizzazione politica; stato come
ente monopolizzatore della violenza legittima). I cambiamenti a livello del controllo politico,
sviluppati in base al meccanismo della monopolizzazione, hanno dato luogo allo stato moderno,
e allo stesso tempo hanno reso gli individui meno soggetti alla violenza arbitraria e hanno
permesso lo sviluppo della differenziazione funzionale. Tutto ciò a sua volta è scaturito in un
cambiamento della personalità, poiché il tipo di paure che giocano una parte decisiva nella vita
delle persone cambiano (rischi cerimoniali):
Primato del politico (Elias; Weber) sull'economico (Adam Smith) "Ogni tipo di
monopolizzazione 'economica' di qualsiasi genere è legata direttamente o indirettamente ad
un'altra senza la quale non potrebbe esistere: quella dell'esercizio fisico della violenza e dei
relativi strumenti"
Dalla società dei GUERRIERI (mediante meccanismi di monopolizzazione) alla società di
CORTE (mediante meccanismi di trickle-down e conflitto) alla società dei MERCANTI
(intensificazione del conflitto con gli strati borghesi, imitazione e autonomizzazione).
1) Le paure fondamentali si legano all'esclusione sociale, all'incapacità di controllare e
comprendere le lunghissime catene di interdipendenza tra le persone, alla difficoltà di
interpretare le azioni e le intenzioni degli altri
La differenziazione funzionale implica una più stretta cooperazione meno carica di emozioni:
"man mano che le serie di azioni e il numero di persone da cui l'individuo dipende
vengono ad aumentare, l'abitudine di prevedere il corso delle proprie azioni lungo catene
strategie sempre più lunghe aumenta"
2) Psicologizzazione e razionalizzazione del modo di porsi, e cioè una mutua identificazione e
una osservazione costante (di se stessi e degli altri): "un auto-controllo sempre vigile e
una osservazione degli altri perpetua sono tra i prerequisiti elementari della preservazione
della propria posizione sociale"
3) I controlli esterni sono tradotti in auto-controllo (cfr. Foucault). La soglia della vergogna e del
disgusto si innalza non solo in pubblico ma anche in privato: le maniere della tavola, la
specializzazione delle stanze nelle case, il comportamento in pubblico, ecc.
4) Non si tratta semplicemente un auto-controllo più stringente, bensì un modello di autocontrollo che è allo stesso tempo più onnicomprensivo e più complesso. Nello spazio
"sociale pacificato" l'auto-controllo è allo stesso tempo "più moderato" e "ineluttabile",
più "spassionato" e "differenziato". Creazione di spazi di controllato de-controllo delle
emozioni, p. es. gli sports: gli sport moderni sono visti come momenti di "eccitamento
piacevole", in cui si possono rilassare i controlli negativi sul corpo e possiamo sviluppare
forme di controllo positivo: nelle nostre società prive di eccitazione "non lasciamo spazio
alla diretta eccitazione del corpo", intesa some "eccitazione spontanea ed elementare",
quindi la "funzione compensatoria dell'eccitazione tipica del gioco" cresce e diventa più
importante.
20
.... Si può spiegare la modernità come frutto di un processo imitativo delle corti da parte delle
masse? Non ci sono forse stati altri fattori, come la diffusione del mercato e l'urbanizzazione?
Le merci, il denaro e la cultura urbana
Georg Simmel, 1858-1918 (Filosofia del denaro, Sociologia)
* critica della filosofia della storia (ovvero di quegli approcci che - come nelle visioni Marxiste pensano di poter individuare un processo storico lineare e necessario legato allo svolgersi
di pochi fattori fondamentali, e conseguentemente pensano di poter predire la particolare
direzione che la storia prenderà)
* interazione (Wechselwirkung, let. azione reciproca; come luogo centrale di osservazione
sociologica, p.es. osservazione delle forme di interazione tra individui nella modernità
così come esse vengono a connotarsi durante gli scambi commerciali a mezzo del denaro)
e come principio metafisico, cfr. idea che tutto sia in interazione con tutto, tanto che non
si possono individuare cause prime).
* costruzione dell'identità individuale
* sociologia del denaro e della modernità
Possiamo vedere le osservazioni di Simmel come un modo di proseguire il racconto di Elias sino
al '900 oppure come un'interpretazione che lega la differenziazione funzionale al mercato e
all'economia monetaria anziché allo stato. Secondo Simmel il soggetto si costituisce mediante il
rapporto con le cose, con gli altri e con le rappresentazioni della società. A modalità diverse di
rapporto con le cose corrispondono differenti "tipi" di soggetto. Con l'affermarsi dell'economia
monetaria il soggetto passa da una situazione in cui le sue azioni e scelte di vita sono determinate
dagli oggetti che possiede ad una condizione di "potenzialità assoluta". Grazie alla diffusione del
denaro il soggetto si svincola dai rigidi legami strutturali con le cose che "opprimono la persona
con vincoli che la determinano univocamente, ma nello stesso tempo le offrono sostegno e
contenuto". In un'economia monetaria sviluppata il soggetto non ha modo di fondersi con le cose:
tutti gli oggetti rimangono nelle sue mani solo per un tempo limitato e comunque incombe su di
loro una tensione alla conversione in denaro. Ciò fornisce al soggetto una certa libertà, ma si
tratta di una libertà "priva di qualsiasi direttiva, di qualsiasi contenuto determinante e
determinato e, pertanto, in grado di aprire la strada a quella vacuità e a quella incostanza che dà
ad ogni impulso casuale, stravagante o seducente la possibilità di espandersi senza incontrare
resistenza" (tensione tra libertà negativa e libertà positiva).
Un "profondo, nostalgico desiderio di conferire alle cose una nuova significatività" diviene
dominante e con esso una costante inquietudine: la "speranza del soddisfacimento raggiunto
21
svanisce nel momento successivo al raggiungimento stesso". La propensione per il "nuovo" non
solo in quanto tale, ma anche in quanto transitorio corrisponde al "tempo impaziente" della vita
moderna che implica, non solo "il desiderio di un rapido cambiamento dei contenuti della vita,
ma anche la potenza del fascino formale del confine".
I processi di crescente offerta e rapida circolazione delle merci, di globalizzazione e
declassificazione culturale minacciano la leggibilità dei beni usati come indici di status e rendono
le logiche socio-culturali di differenziazione tramite i beni più sfocate.
L'intensificarsi dei fenomeni di moda è il prodotto di una simile situazione. In quanto effimera e
destinata a svanire, la moda soddisfa l'ansia di continuo rinnovamento, permette di concepire
questo rinnovamento come illimitato, diffondendo la percezione che "ciò che è assolutamente
innaturale può esistere perlomeno nella forma della moda" stessa. Essa ci permette di
"avvicinarci alle cose ponendoci ad una certa distanza da esse", è una forma culturale che bene
esprime la grande "libertà negativa" del soggetto moderno e la correlativa ricerca di fonti di
identificazione e orientamento. Questi fenomeni forniscono all'individuo un ancoraggio
provvisorio ed un "velo", ci liberiamo dall'"assoluta responsabilità" su noi stessi, possiamo
esprimerci in modo indiretto, senza dovere cioè "stare in equilibrio sulla linea sottile della mera
individualità". La giustapposizione di stili differenti ripropone poi, nuovamente, uno spazio per
la soggettività, configura una dimensione in cui gli oggetti "ricevono un nuovo centro che non si
trova in nessuno di loro preso per sé", ma coincide con la combinazione unitaria operata dal
soggetto stesso.
Il denaro media il rapporto tra uomini e cose "crea una distanza tra persone e proprietà", e quindi
tra persone e persone. Tuttavia "(q)uando lamentiamo la separazione e l'alienazione provocate
dal traffico monetario non si deve perciò in alcun modo dimenticare quanto segue: mediante la
necessità di essere convertito per ottenere in cambio valori concreti e definitivi, il denaro crea un
legame estremamente forte tra i membri della stessa cerchia economica". La cultura moderna
sfocia in due direzioni "apparentemente opposte". "Da un lato verso il livellamento,
l'appiattimento, la formazione di cerchie sociali sempre più ampie"; dall'altro "verso
l'elaborazione delle istanze più individuali, verso l'indipendenza della persona e l'autonomia della
sua formazione".
Però: 1) insoddisfazione (mancanza di senso: qualità delle cose)
2) soffocamento dei fini da parte dei mezzi
3) costituzione del soggetto moderno mediante i beni si configura come un processo
attivo ma, se l'obiettivo è un'identità stabile nel tempo, inconcludente. L'eteronomia del
soggetto moderno è dunque rintracciabile nel fatto che esso è spinto ad autocostruirsi. Se
siamo eteronomi, lo siamo non perché "viviamo il ritmo degli oggetti" (Baudrillard), ma
perché, essendocene liberati, siamo costretti a vivere giorno per giorno, in sfere ed ambiti
diversi, un "nostro" ritmo. La modernità è un fenomeno ambivalente: "non libera l'uomo
dal suo proprio essere, bensì lo obbliga al compito di produrre se stesso" (cfr. Foucault)
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... esistono istituzioni particolari che facilitano la razionalizzazione del soggetto moderno?
Disciplina, sovranità e apparato punitivo
Michel Foucault 1926-1984 (Sorvegliare e punire, Storia della sessualità)
* genealogia (una sorta di storia del presente, in cui le fonti storiche vengono selezionate in base
al tentativo di spiegare un problema rilevante per noi, e poi integrate per mezzo di un paradigma
critico e teorico forte)
* analisi del potere come qualcosa che va oltre la coercizione e la repressione: definizione del
potere moderno come 'bio-potere' ovvero un potere produttivo che stimola la vita (in
forme normativamente prescritte) che lavora attraverso i soggetti anziché su di loro
* critica dell'ipotesi repressiva freudiana
* nozione di soggettività
Lo sviluppo di alcune istituzioni moderne come la prigione, la scuola, la caserma, l'ospedale
viene connesso all'emergere di una razionalità politica particolare. Queste istituzioni funzionano
da laboratori per creare i principi della società moderna.
Bio-potere: è un modello di razionalità politica (cfr. Weber legittimazione politica, tipo di
potere). Corrisponde al sovrano che deve governare la vita anziché detenere semplicemente il
potere di toglierla. Il potere dello stato moderno è grande nella misura in cui stimola la vita dei
suoi cittadini, nella misura in cui fa sì che la vita dei cittadini cresca in forme normative
prestabilite. P. es. controllo delle nascite, eugenetica, welfare, ecc.
"Si deve parlare di bio-politica quanto vogliamo designare ciò che fa entrare la vita e i suoi
meccanismi nel campo degli ostacoli espliciti e che rende il rapporto potere\sapere un attore della
trasformazione della vita umana. L'uomo moderno è un animale nella cui politica la sua propria
vita come essere vivente viene messa in discussione".
Questa forma di razionalità politica si è andata sviluppando soprattutto a partire dal XVII secolo
in due direzioni:
1) interesse per la specie umana Alcune categorie scientifiche - popolazione, specie rimpiazzano le categorie giuridiche come oggetto di attenzione politica. Sviluppo delle moderne
scienze umane, che sono cresciute a partire dalla teoria politica con intenti pratici "la verità è una
forma di potere"
2) interesse per il corpo umano Non come mezzo di riproduzione umana, ma come oggetto da
manipolare. Corpi docili/corpi utili: "parallelo incremento di utilità e docilità"
La prigione e la microfisica del potere
23
La prigione come una istituzione educativa, basata sulla seclusione e il disciplinamento del
corpo, mirata a controllare e trasformare gli individui mediante una sorveglianza dettagliata e
continua delle loro pratiche quotidiane (cfr. monasteri, ascetismo in Weber)
1) Segna uno scarto rispetto al passato: una differente nozione
... della sovranità: potere di togliere la vita o di governare la vita
... della soggettività: sudditi con identità ascrittive, cittadini liberi
... della pena: retributiva o educazionale
... di come applicare la punizione praticamente: spettacolare o seclusa
... del ruolo del corpo individuale nella punizione: come fine o come mezzo per raggiungere
l'anima
2) E' organizzata in base al principio dell'internalizzazione della sorveglianza esterna (cfr. Elias)
Panotticismo (Bentham): "il principale effetto del panottico è quello di produrre nel prigioniero
uno stato cosciente di visibilità che assicura l'automatico funzionamento del potere. Per rendere
la sorveglianza permanente nei suoi effetti anche se essa è discontinua nella sua azione ... (così
che) i prigionieri si trovano intrappolati in una meccanismo di potere che essi stessi sostengono".
Ciò avviene attraverso una particolare organizzazione dello spazio, del tempo, della proprietà,
delle relazioni interpersonali
3) Le identità vengono costruite e ricostruite attraverso la disciplina del corpo. Ciò e vero in
molte istituzione moderne, quali l'esercito o la fabbrica. Cfr. l'idea che si diventi soldati mediante
un addestramento militare (il soldato come il prodotto finale di un processo di disciplinamento)
rimpiazza l'idea medievale del soldato come qualcuno con alcune specifiche e immutabili
caratteristiche fisiche (spalle larghe, forza, etc.)
Il disciplinamento nelle istituzioni disciplinari come prigione, caserma, fabbrica
corpi docili\corpi utili: "diverse dall'ascetismo e dalle discipline di tipo monastico che hanno la
funzione di assicurare delle rinunzie piuttosto che delle maggiorazioni di utilità"
1) L'arte delle ripartizioni (ubicazioni funzionali; ranghi ed esami)
2) Il controllo dell'attività (utilizzazione esaustiva del tempo)
3) L'organizzazione delle genesi (carriere)
4) La composizione delle forze
Le discipline possono anche avere un carattere positivo per chi vi ci si sottopone (Bell sulla
24
santa anoressia; Foucault e l'auto-disciplina sessuale della borghesia vittoriana come strumento di
vittoria sociale, Elias e i cortigiani cortesi, ecc.)
... Cosa avviene concretamente nelle istituzioni totali?
Istituzioni totali e stigmatizzazione
Erving Goffman, 1922-1982 (Asylums, Stigma)
* interazione (soprattutto aspetti cerimoniali)
* processi di stigmatizzazione
* linguaggio del corpo
* frame (cornice di significato)
"total institution" (p. es l'ospedale psichiatrico)
1) si prende cura dell'intera vita di chi vi è ricoverato
2) compulsiva (non si può uscire semplicemente perchè lo si vuole, lo si sceglie)
3) separata dal resto del mondo sociale e altamente specifica
4) mirata a cambiare l'identità di chi vi è ricoverato e/o a fornirgli capacità che essi non possono
giudicare nel merito
mediante alcune regole d'interazione particolari:
trattamento cerimoniale (spogliare dell'identità esterna; spersonalizzazione; degradazione)
organizzazione (routines rigide; rigidità dei ruoli)
percorsi normativi (re-identificazione)
L'istituzione totale non come una metafora della modernità ma come un luogo che rovescia il
normale trattamento cerimoniale dei singoli per risocializzarli
Normale e patologico (Foucault, Goffman)
Secondo Goffman la normalità non è una qualità assoluta bensì un attributo relazionale: normali
sono "quelli che non si allontanano in modo negativo dalle aspettative tipiche di una situazione
sociale". Chi è normale lo è sempre "rispetto a" qualcuno che viene definito come suo opposto.
Stigmatizzazione
La stigmatizzazione come caso particolare di questa fondamentale classificazione sociale: "il
25
termine stigma verrà usato per riferirci ad un attributo che risulta fortemente discreditante, anche
se ciò che andrebbe usato è un linguaggio fatto di relazioni non di attributi"
3 tipi di stigma: corpo, carattere, tribali
Le dinamiche della normalità
interazione
........
aspettative
actual identity
........
virtual social identity
self
.......
self-demand
Conseguenze teoriche di tale definizioni:
1) nessuno è assolutamente normale
2) "gli atteggiamenti che noi normali abbiamo verso una persona con uno stigma ... sono noti
perché si tratta di risposte che l'azione sociale benevola è volta ad alleggerire ... Per definizione,
tendiamo a pensare che una persona con uno stigma non sia propriamente umana. Sulla base di
questo pregiudizio noi esercitiamo molteplici discriminazioni così che, più o meno volutamente,
riduciamo le sue possibilità di vita."
3) "gli individui stigmatizzati sembrano possedere le stesse credenze (beliefs) rispetto all'identità
che abbiamo noi (così detti "normali"); questo è un fatto centrale ... gli standards che (colui che
viene stigmatizzato) ha incorporato dalla più ampia società lo rendono sensibile a ciò che gli altri
vedono come le sue mancanze, fanno sì che egli, anche solo per pochi momenti, finisca per
essere d'accordo sul fatto che è davvero manchevole rispetto a ciò che dovrebbe essere" (cfr.
Garfinkel in Agnese)
I contatti con i "normali" sono una fonte di insicurezza : "anxious unachored interaction" perché
rompono l'ordine spontaneo dell'interazione, il taken-for-granted:
... in che categoria si è messi? quale categoria è meglio?
... la gestione delle impressioni diventa un punto centrale di attenzione
... invasione della sfera del privato
... tracotanza o eccessiva umiltà
Il tratto somatico o caratteriale che mobilizza la stigmatizzazione prende il sopravvento, diventa
più importante di tutto il resto, e induce anche alla produzione di una serie di associazioni che
Goffman chiama "stigma ideology". Queste includono anche attributi positivi che però
contribuiscono a segnare il soggetto stigmatizzato come diverso. La "stigma ideology" serve a
spiegare a noi stessi e a chi è stigmatizzato "le ragioni della sua inferiorità e a definirne la
pericolosità ... Tendiamo ad imputare un'ampia gamma di imperfezioni in base ad una sola
originale imperfezione, e allo stesso tempo, tentiamo ad imputare alcuni attributi desiderabili,
spesso di tipo sovra-naturale come il 'sesto senso' o la 'sensibilità'"
26
"Coping"
tentativi di correzione diretta (cambiare il proprio naso, cognome, ecc.)
correzione indiretta
rompere la realtà sociale ( "utilizzare una interpretazione non-convenzionale della natura della
propria identità sociale")
mobilizzazione
Goffman – Il rituale dell’interazione (1967)
•
Sacralità dell’individuo nel mondo urbano e secolare, manifestata e confermata da atti
simbolici
(da Durkheim: significato simbolico delle attività sociali funzionale alla solidarietà e
all’ordine sociale)
•
L’ambiente più adatto per apprendere qualcosa sulle norme della buona condotta
personale è il luogo in cui sono state recluse delle persone proprio per la loro evidente
incapacità di comportarsi secondo queste norme universali (infrazione regole di routine
socialmente condivise)
(ospedale psichiatrico)
•
Norma di comportamento: guida per l’azione che si adegua ad un modello socio-culturale
•
Norme dirette (obblighi) o indirette (aspettative)
•
Quando una persona si trova impegnata a sostenere una regola, tende anche a farsi una
particolare immagine di sè stessa alla quale si sente in qualche modo legato.
•
Un atto che sia soggetto a una regola di comportamento è quindi una comunicazione,
poiché rappresenta un modo in cui vengono confermate le identità personali: sia l’identità
della persone per cui la regola è un obbligo, sia l’identità della persona per cui è
un’aspettativa.
•
Quando una regola viene violata, sia l’attore che il destinatario corrono il rischio di essere
screditati
•
Le regole trasformano sia l’azione che l’inazione in espressione: comunicazione
significativa
27
•
Vari tipi di distinzioni:
regola formale - informale
regola simmetrica - asimmetrica
REGOLA SOSTANZIALE - REGOLA CERIMONIALE
•
Regola sostanziale: determina la condotta nei riguardi di questioni considerate
significative per se stesse, prescindendo da ciò che l’osservanza o l’infrazione alla regola
esprime sul sé delle persone interessate
- Es: non rubare
- Codice: Legge, Morale o Etica
•
Regola cerimoniale: guida il comportamento in questioni in cui il significato è
considerato per se stesso secondario o addirittura nullo. L’importanza primaria sta nel
fatto di fungere da mezzo convenzionale con il quale una persona esprime il proprio
carattere o il proprio giudizio sugli altri partecipanti alla comunicazione.
- Codice: “Etichetta”
- Ma NB: esempi di valore sostanziale di atti cerimoniali
1. LA DEFERENZA
•
•
•
•
•
Apprezzamento che una persona mostra nei riguardi di un’altra persona mediante rituali
interpersonali (di discrezione e/o di presentazione)
Osservabile in quei piccoli atti che punteggiano le relazioni sociali: saluti, complimenti,
scuse
L’apprezzamento espresso da un atto di deferenza indica che l’attore possiede
ufficialmente un sentimento di riguardo verso il destinatario o la sua categoria sociale
(Es.: Logica militare)
Nel senso comune, la deferenza è concepita come sottomissione ad un’autorità
In realtà, deferenza non è timore reverenziale
Rituali di discrezione
Forme di deferenza che inducono l’attore a tenersi a distanza cerimoniale dal destinatario e non
violare la sua “sfera ideale”, non “passare i limiti”
•
Legame discrezione – proprietà: Es.: corpo, nome proprio
28
Rituali di presentazione
Es.: saluti, inviti, complimenti, piccoli favori
•
•
Discrezione ciò che non si deve fare
Presentazione ciò che si deve fare
Le relazioni sociali implicano una dialettica costante tra rituali di presentazione e di
discrezione
“La personalità umana è una cosa sacra, non si osa calpestarla o violarne i limiti, tuttavia il bene
maggiore sta nella comunione con gli altri” (Durkheim)
2. IL CONTEGNO
•
Elementi del comportamento cerimoniale dell’individuo tipicamente manifestati mediante
l’atteggiamento, il modo di vestire o di muoversi, che comunicano agli altri presenti che è
una persona con certe qualità desiderabili o indesiderabili
Buon contegno / cattivo contegno
Es. da ospedale psichiatrico
(profanazioni cerimoniali, mancanza di rispetto)
•
Rapporto complementare tra deferenza e contegno:
il modo in cui esprimo deferenza ad un’altra persona indica anche se il mio contegno è
buono
uguale importanza nella costruzione del proprio sé
•
NB: differenze interculturali / intergeneri
•
ISTITUZIONALIZZAZIONE delle pratiche di deferenza e contegno
(bassi costi)
•
NORME CERIMONIALI  COSTRUZIONE DEL SÈ
Il sé è, in parte, un oggetto cerimoniale, qualcosa di sacro che deve essere trattato e
presentato con attenzione rituale (tenendo un contegno corretto con gli altri, e trattato dagli
altri con la dovuta referenza)
29
•
SACRALITÀ DELL’INDIVIDUO
“Ci siamo sbarazzati di molti dei, ma l’individuo stesso rimane ostinatamente una divinità di
notevole importanza. Si comporta con una certa dignità e a lui sono dovuti molti piccoli omaggi.
È’ geloso del culto che gli è dovuto e tuttavia, se avvicinato nel modo giusto, è pronto a
perdonare coloro che lo hanno offeso … non è necessario l’intervento di intermediari; ognuno di
questi dei è in grado di celebrare l’ufficio divino come sacerdote di se stesso” (Goffman)
“Coloro che sono i meno preparati a proiettare un sé sostenibile sono posti in un ambiente in cui
è praticamente impossibile farlo” (Goffman)
Goffman – Stigma e identità sociale (1963)
•
STIGMA (da antica Grecia): segni fisici che vengono associati agli aspetti insoliti e
criticabili della condizione morale di chi li ha (persona “segnata”: schiavo, traditore)
•
IDENTITÀ SOCIALE: quando ci troviamo di fronte ad un estraneo è probabile che il
suo aspetto immediato ci consenta di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene e
quali sono i suoi attributi
Categorie sociali e attributi “naturali” sono in realtà forti costruzioni sociali
•
IDENTITÀ SOCIALE VIRTUALE vs
IDENTITÀ SOCIALE ATTUALIZZATA
•
Attributo STIGMA: frattura tra queste due identità, diversità non desiderata
(attributo come marchio infamante o mancanza di attributo, limitazione, handicap che
produce discredito)
•
STEREOTIPO / DISCRIMINAZIONE: ideologia atta a spiegare la presunta inferiorità
•
3 tipi di stigma:
1) DEFORMAZIONI FISICHE
2) ASPETTI CRITICABILI DEL CARATTERE
3) STIGMI “TRIBALI” (etnia, nazione, religione)
•
Individuo NORMALE:
non si discosta da aspettative
“normale” sempre “in relazione a”
•
VISIBILITÀ:
30
SCREDITATO
•
Problema dell’ACCETTAZIONE
Situazione sociale di “contatti misti”
•
REAZIONE DELLO STIGMATIZZATO
•
Tentativi diretti
Es.: chirurgia plastica, corsi per balbuzienti
•
Tentativi indiretti: cercare di appropriarsi di attività tipiche dei “normali”
Es.: zoppo che impara a nuotare, cieco che impara a sciare
•
Tendenza all’isolamento e alla vittimizzazione:
imbarazzato, sospettoso, confuso, depresso, ansioso
•
Interazione ansiosa, ma abitudine potenziale miglioramento nel corso del tempo
SCREDITABILE
•
IL PROBLEMA NON È CONTROLLARE LA TENSIONE, MA CONTROLLARE
L’INFORMAZIONE SOCIALE concretizzata dalla persona e trasmessa attraverso
simboli
•
Simboli di status: Es.: anello, gradi nell’esercito
•
Simboli di stigma: segni che attraggono l’attenzione verso discrepanze
Es.: cicatrici polsi, chiazze avambraccio
congeniti? duraturi?
Es.: colore pelle, sfregio, rasatura
31
La costruzione sociale dell'identità
Marcel Mauss "La categorie della persona"
Individuo/personaggio/persona
Geoge H. Mead "Mind, Self and Society"
Immedesimazione/riconoscimento/Io-me
Simmel: identità e cerchie sociali
Durkheim: individualismo e coscienza collettiva
Norbert Elias "La società degli individui"
Interdipendenza/psicologizzazione/governo del corpo
Goffman: la costruzione cerimoniale dell'identità
Garfinkel: l'identità come un performativo
Michel Foucault "Tecniche del sé"
Soggettività/giochi di verità/tecniche del sé
L'individuo razionale, autonomo, fondante dell'umanesimo viene progressivamente indicato
come il prodotto di un processo sociale (post-umanesimo)
Per questo gli autori post-strutturalisti come Foucault preferiscono parlare di soggettività
(soggetto = sottoposto/autore) piuttosto che di identità (che fa riferimento a continuità,
coincidenza tra momenti diversi; costituita mediante una dialettica uguaglianza/differenza).
32
Differenziazione funzionale, libertà e individualità (Simmel)
Le tre dimensioni dell’identità in Simmel
1) Soggetto-oggetto
denaro e cultura materiale
2) Identificazione-distinzione
la moda, le sette segrete
3) Individuo-società
modernità = individualizzazione-differenziazione
"La comune appartenenza locale e fisiologica, determinata dal terminus a quo è stata ... sostituita
nella maniera più radicale dalla sintesi in base al punto di vista dello scopo, dell'interesse
oggettivo intrinseco o, se si vuole, individuale ... Già presso certi popoli primitivi .... si può
osservare come le organizzazioni centralistiche a fini bellici distruggano l'organizzazione del
gruppo parentale"
Differenziazione/astrazione di termina ad quem che svincola i soggetti da appartenenze esclusive
e onnicomprensive fondate su rapporti contingenti di contiguità spazio-temporale o biologica
Criteri della differenziazione:
1) volontari (economici, bellici, politici in senso più ampio e più stretto)
2) sentimentali (religiosi)
3) commisti di entrambi gli elementi (familiari)
4) intellettuali
IDENTITA'' MODERNA COME SOMMA DI RUOLI INDIVIDUALIZZAZIONE
"Il numero delle diverse cerchie in cui l'individuo si trova è ... uno dei criteri di misurazione della
cultura ... La partecipazione di volta in volta ad ognuna di esse lascia ancora un ampio gioco
all'individualità; ma, quanto più numerose esse diventano, tanto più improbabile sarà che altre
persone ancora presentino la medesima combinazione di gruppi cioè che queste numerose
cerchie si intersechino ancora in un punto"
"la differenziazione e l'individualizzazione allentano il legame con i più vicini per istituirne in
cambio uno nuovo - reale e ideale - con i più lontani"
INDIVIDUO E SOCIETA': L'individuo è costituito socialmente, come il punto nodale di una rete
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di interazioni sociali; allo stesso tempo la società non è un dato che si contrappone agli individui
bensì la somma delle loro interazioni e una serie di rappresentazioni che scaturiscono da tali
relazioni. Individuo e società si implicano e si fondano vicendevolmente; attenzione ai processi
ma senza teleologia nè linearità (cfr. critica di Elias alle teorie dell'homo clausus).
"Dopo che la sintesi del soggettivo ha generato l'oggettivo, la sintesi dell'oggettivo produce a sua
volta un nuovo e più elevato elemento soggettivo"
LIBERTA'' E DETERMINAZIONE: La libertà del soggetto non è fondata ontologicamente, il
soggetto è libero nella misura in cui è formato come tale dalle relazioni sociali a cui contribuisce.
Ambivalenza come chiave interpretativa della modernità e dell'identità moderna:
a) libertà positiva\libertà negativa; scelta\anomia ...
b) gli individui possono forse saltare da un ruolo all'altro, eppure essi lottano per
presentare se stessi come soggetti dalla traiettoria leggibile, soggetti quindi responsabili
ed in certa misura prevedibili
NUOVE "determinatezze" per la "personalità morale": unità e scissione; scelta e responsabilità
La religione dell'individuo (Durkheim)
Divisione del lavoro sociale e uniformità delle coscienze: un minimo comune denominatore per
le società altamente differenziate
"anche dove la società riposa completamente sulla divisione del lavoro essa non si risolve in una
miriade di atomi giustapposti, tra i quali non possono stabilirsi che contatti esterni e passeggeri;
ma i suoi membri sono uniti da vincoli che si estendono ben al di là dei brevi momenti in cui
avviene lo scambio. Ognuna delle funzioni che esercitano è sempre dipendente dalle altre, e
forma con esse un sistema solidale: dalla natura del compito scelto derivano quindi doveri
permanenti"
La società è sempre morale: "... la natura di queste due moralità (comunità delle credenze vs
cooperazione) è differente: quella che deriva dall'uniformità è forte soltanto se l'individuo non
lo è ... L'altra invece si sviluppa a misura che si rafforza la personalità individuale"
La coscienza collettiva nelle società ad alta differenziazione funzionale (e quindi alta
individualizzazione) non è scomparsa bensì si è trasformata. Essa è sempre di più una serie di
"modi di pensare e di sentire estremamente generali e indeterminati, che lasciano uno spazio
crescente alle differenze individuali". La divisione del lavoro moderna ha dato luogo ad una
moralità imperniata sulla religione dell'individuo e su un insieme di valori come la libertà, la
razionalità e la tolleranza.
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La religione si è "ritirata" dalla vita sociale solo per lasciare spazio ad una nuova religione: "man
mano che altre credenze ed altre pratiche diventano meno religiose in natura, l'individuo diventa
l'oggetto di una forma di religione. Così noi abbiamo nella dignità della persona un credo che ha
già le sue superstizioni"
La nuova moralità può dunque essere legata all'illuminismo (universalismo umanista;
individualismo razionale): dobbiamo rispettare l'individuo in quanto tale per l'umanità che esso
contine, umanità che a sua volta corrisponde all'autonomia individuale, alla sua capacità di essere
individuo (cfr. Beruf in Weber)
Ne L'individualismo e gli intellettuali Durkheim contrappone individualismo e utilitarismo
La "glorificazione dell'io
non dell'individuo in
particolare ... simpatia per
tutto ciò che è uomo, una
pietà più ampia per tutti
i dolori ... una più grande
sete di giustizia ...
impersonale e anonimo" è diverso da "egoismo utilitario di Spencer"
"Questa persona umana la cui definizione è come la pietra di paragone con cui si discute del
bene e del male, è considerata come sacra nel senso rituale del nome; essa ha qualcosa della
trascendente maestà che le Chiese di ogni tempo conferiscono ai loro dei; essa e concepita come
investita di una proprietà misteriosa che isola le cose sante, le sottrae ai contatti volgari e le ritira
dalla circolazione comune ... Una simile morale non è dunque una disciplina igienica o una
saggia economia dell'esistenza: è una religione in cui l'uomo è, contemporaneamente, il fedele e
Dio"
Religione: valori condivisi da tutta la popolazione, posti a fondamento della coesione sociale,
indisponibili, inafferrabili
"Il culto dell'individuo ha per principale dogma l'autonomia della ragione e per principale rito il
libero esame"
Sociologicamente fondato (individualizzazione) e necessario: "è il solo sistema di credenze che
possa assicurare l'unità morale del paese"
Però ci sono tensioni interne:
1) "idea della persona umana sfumata diversamente a seconda della diversità dei
temperamenti nazionali"
2) "la religione dell'individuo non può dunque lasciarsi dileggiare senza resistenza, sotto
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pena di perdere il proprio credito"
Analisi dell'evoluzione del diritto come modo di osservare i valori centrali dei una società:
penale e retributivo
La punizione "è la conseguenza del crimine ed esprime il modo in cui questo ha colpito la
coscienza collettiva" (cioè i sentimenti condivisi)
Punizione e crimine in due modelli di società
SOLIDARIETA' MECCANICA
SOLIDARIETA' ORGANICA
Punizione
indiscriminata
incontrollata
sanguinaria
intensa
violenta
specifica
metodica
dosata
mitigata
limitazione della libertà
Crimine
criminalità religiosa
"conto la collettività,
sia materiale che ideale"
criminalità umana
"contro gli individui"
Non si può dire che un atto si scontra con la coscienza collettiva perchè e criminale, bensì che è
criminale perchè si scontra con la coscienza collettiva (prius del sociale)
Sebbene la sua forma vari, le fondamenta della punizione rimangono le stesse (funzione)
TUTTI I CRIMINI HANNO LA STESSA NATURA: CRIMINE E' QUALCOSA CHE
MINACCIA LA COSCIENZA COLLETTIVA, E LA PUNIZIONE E'UNA FORMA DI DIFESA
MEDIANTE LA QUALE LA COSCIENZA COLLETTIVA RAFFORZA SE STESSA, E
L'ORDINE MORALE VIENE RISTABILITO MEDIANTE VARIE FORME DI
INDIGNAZIONE/DENUNCIA PUBBLICA
"Il crimine avvicina le sensibilità oneste e le rafforza. Dobbiamo solo pensare a cosa succede in
un piccolo villaggio quando uno scandalo morale è appena avvenuto ..."
La nostra sensibilità moderna vorrebbe credere che la funzione primaria della punizione sia la
rieducazione o la deterrenza. Ma essa rimane qualcosa di più vicino alla vendetta (anche se ora è
razionalizzata, regolata, misurata, etc.)
"vendicare la dignità umana, offesa nel nella persona della vittima, violandola nella persona di
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colui che ha commesso l'offesa". Necessaria contraddizione della società moderna: la prigione è
diventata la tipica forma di punizione ma non soddisfa le ambizioni morali della nuova coscienza
collettiva
L'identità come un performativo (Garfinkel)
"Agnes" (1959)
controlli sociali sulla variazione di status + variazioni temporanee e giocose di ciò che la persona
"in fondo" è davvero = esiste una "verità di fondo", una "total identity".
p.es. sesso (maschio/femmina; eterossessualità; stabilità attraverso il tempo e lo spazio)
"passing" mostra il "routinized charater" di queste "background relevances" e quali sono le
strategie disponibili per ottenere lo status di "femmina naturale"
"Rituali di Degradazione" (1954)
Viene considerato un particolare passaggio di status (degradazione) che avviene in particolari
istituzioni (corte di tribunale), secondo modalità rituali (condivisione pubblica di regole e
simboli)
Durkheim: gli elementi rituali, di indignazione morale, di vendetta purificatoria sono ancora,
nella nostra società "garantista" parte della pena. Garfinkel parte dall'idea che anche nelle nostre
formali procedure forensi vi sia un "quid" non piccolo di denuncia morale, e si proceda alla
degradazione morale dell'accusato
Degradazione: “Communicative work directed to transforming the individual total identity into
an identity of inferior status within the group” … non solo la persona come ruolo (i.e.
commercialista) ma la persona in quanto tale, come soggetto morale, responsabile di se stesso di
fronte alla comunità
•
Cerimonia di degradazione di status = comunicazione in cui l’identità totale di un
attore è trasformata in qualcosa considerato come inferiore nello schema locale dei tipi
sociali
•
Identità totale = tipo motivazionale, non si riferisce al comportamento ma ai fondamenti,
ai principi, alle motivazioni del comportamento
•
Individui costituiti come oggetti sociali “totalmente identificati” = identificati per mezzo
delle “ragioni” ultime dei loro comportamenti, socialmente tipizzati
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•
Indignazione morale come sentimento sociale
•
Ogni sentimento sociale ha il suo paradigma comportamentale
Es.: Vergogna “coprirsi il volto in segno di vergogna”
•
Indignazione morale denuncia pubblica
“non è quello che sembra ma un’altra persona”
“ora mi rendo conto che era diverso fin dall’inizio”
Distruzione rituale della persona denunciata
Rinforzamento della solidarietà di gruppo
•
La denuncia pubblica provoca una trasformazione di essenza sostituendo un nuovo
schema motivazionale
Condizioni per una denuncia felice:
1) accusato e fatto "idealizzati", "fuori dall'ordinario", "unici"
2) sottolineatura della "volontà", "minimizzazione del caso"
3) testimone che mostra l'anormalità dell'accusato e la normalità di caratteristiche opposte
4) chi denuncia non come una persona privata, bensì come rappresentante di istanze pubbliche; la
denuncia effettuata nel nome della "dignità di valori sovra-personali"; diritto di parlarne nel
nome di valori pubblici e attivo fautore di tali valori; un "esterno" cioè "obiettivo"
Il processo negli ordinamenti moderni come rituale di degradazione
procedure formali
RAZIONALIZZAZIONE
+
indignazione morale
RITUALE
... ritratto stereotipico dell'accusato e dell'accusatore … può rendere il processo in sé una “pena”
Garfinkel contrasta le cerimonie di degradazione contemporanee (istituzionalizzate,
razionalizzate, professionalizzate) con i rituali tribali (senza "degraders" professionali; interessi
immediati, ecc.). Così facendo comincia a parlare di "tattiche" disponibili all'accusato. Le
condizioni di una degradazione felice ci dicono non solo "how to construct an effective
denouciation, but also how to render denounciation useless"
Margine di manovra dei singoli ... relazioni micro (la situazione all'interno del tribunale) e macro
(le identità stabilizzate nel tempo, p.es. habitus; le relazioni sociali ..)
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In conclusione possiamo dire che nella nostra società esistono molteplici nozioni di identità, p.es.
identità totale: legata all'idea che esista un nocciolo vero, sacro del soggetto; associata alla
volontà individuale, allo schema dei motivi di fondo di un soggetto, alla sua responsabilità
identità biografica: è legata alla capacità/necessità di presentarci come soggetti unitari, come
controllori dei nostri diversi ruoli sociali, come organizzatori del nostro passato e del nostro
futuro
identità locale: è legate alle particolari aspettative di ruolo o di interazione nelle diverse
istituzioni, p.es. a lezione un buon studente prende appunti, ascolta, etc.
sé multiplo: è sia una nozione sociologica, ovvero l'idea che ci siano molti sé, tanti quanti sono
le identità locali o i ruoli di una persona, sia un'esperienza che è ormai parte della vita quotidiana
(cfr. Pirandello e tutta la letteratura del '900). Si riflette costantemente sulla molteplicità del sé
perché essa è sia condizione per l'emersione di un sé unico come organizzatore dei propri ruoli e
delle proprie preferenze sia una minaccia alla coerenza di questo sé.
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MODULO 2
CULTURA … COLTIVAZIONE E CULTO
16/19sec.
miglioramento dell'individuo, della sua mente e delle sue maniere
miglioramento della società (civilizzazione vs barbarie)
ROMANTICISMO, SPIRITUALITA', CULTURE NAZIONALI (POPOLARI)
… nell' uso corrente
tende ad essere opposta a ciò che è materiale, tecnologico e strutturale, e tende ad essere vista
come un insieme ordinato o strutturato di credenze, simboli, segni e discorsi, p.es. costumi
nazionali (p.es. gestire i biglietti da visita); attività/beni elitari o forme di intrattenimento di
massa; variazioni locali di significati simbolici.
… in sociologia
si pone spesso l'enfasi sulla relativa autonomia della cultura, ovvero sul fatto che essa non può
essere spiegata semplicemente facendo riferimento a forze economiche, politiche o sociali
sottostanti. Si tende a sottolineare che la cultura (sia come "fatto sociale" che come nozione) ha
una
PROBLEMATIZZAZIONE
In relazione alle nozioni di …
NATURA
(frames primari, cfr. Goffman)
SOCIETA’ (relazione vs rappresentazione)
COS' E’ LA CULTURA? ... è il solco in cui ci è più facile cadere nel nostro orientarci al
mondo ed a noi stessi ... "cultura" anche come un campo in cui si confrontano "programmi
monolitici e dominanti e le loro molte alternative sovversive". Occorre comunque tenere in
considerazione la dimensione processuale dell'azione sociale e quindi la "capacità degli individui
di prendere le distanze dai modelli, schemi e paradigmi consolidati di pensiero e azione"
(Victor Turner).
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SWIDLER: CULTURA COME “CASSETTA DEGLI ATTREZZI”
“Talk of love”: diverse retoriche sull’amore si mescolano nel modo in cui noi rendiamo conto
delle nostre emozioni e relazioni: romantica vs mondana
Discorso pubblico OGGI: diverse retoriche in conflitto tra loro
Liberale – fondato sul disincanto del mondo e l’umanesimo illuminato
Postmodernista – fondato sulla caduta delle grandi narrazioni e il pastiche culturale
Fondamentalista – fondato sul primato della religione e la sua pervasività sociale
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Cultura e suoi significati
Williams, 1976
1) lo sviluppo intellettuale, estetico e spirituale di un individuo, gruppo o società
(Kultur, nella tradizione tedesca)
2) una varietà di attività e prodotti artistici (sinonimo con "le arti)
Matthew Arnold Individuazione della cultura “alta” che può educare le masse, la ricerca
della perfezione in campo artistico
Max Weber La scienza non risponde alle domande sul senso della vita, solo l’arte, la
religion, la Kultur può
DISCIPLINE UMANISTICHE: EQUAZIONE TRA CULTURA E ARTI
Postulati: a) alcune culture o opere culturali sono migliori di altre – atteggiamento
estetico-morale; b) la cultura si oppone alle norme prevalenti di una civiltà, cultura e
società sono spesso in opposizione; c)la cultura è fragile e va attivamente
preservata/incentivata; d)ha un’aura di sacralità e ineffabilità )
3) un intero sistema di vita, attività, credenze e abitudini di un popolo o società
Taylor (1871) “La cultura o civiltà, presa nel suo più ampio significato etnografico, è
quell’insieme complesso che include il saper, le credenze, l’arte, la morale,
il diritto, il costume e ogni altra competenza e abitudine
acquisita dall’uomo in quanto membro della società”
Berger (1969) La cultura è “la totalità dei prodotti dell’uomo”
SCIENZE SOCIALI: EQUAZIONE TRA CULTURA E FORME DI VITA DEI POPOLI
a) relativismo culturale;
b) armonia/congruenza tra cultura e società (cfr. funzionalismo e marxismo);
c) persistenza e durata della cultura;
d) la cultura può essere studiata empiricamente come ogni altro oggetto: è un oggetto di
analisi sociologica e non un dato sacro
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Livelli di analisi (Peterson)
FATTUALE
norme: il modo con cui la gente si comporta in una data società
valori: ciò a cui essi tendono
MORALE
credenze: il modo in cui essi pensano che il mondo funzioni
COGNITIVO
simboli espressivi: rappresentazioni delle norme, valori, credenze ESPRESSIVO
Uno schema per lo studio della cultura (Griswold)
DIAMANTE CULTURALE
MONDO SOCIALE
CREATORI CULTURALI
RICEVITORI CULTURALI
OGGETTI CULTURALI
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COME FARE RICERCA IN SOCIOLOGIA DELLA CULTURA?
"La metodologia può sempre essere soltanto un'autoriflessione sui mezzi che hanno trovato
conferma nella prassi, e l'acquisizione di una loro esplicita consapevolezza non è presupposto di
un lavoro fecondo più di quanto la conoscenza dell'anatomia sia presupposto di una corretta
andatura. Ed infatti come colui che volesse di continuo controllare il proprio modo di camminare
in base a conoscenze anatomiche, sarebbe in pericolo di inciampare, così la stessa cosa potrebbe
capitare allo studioso di professione nel tentativo di determinare dal di fuori i fini del proprio
lavoro sulla base di considerazioni metodologiche". Con questa frase Max Weber, nel suo Il
metodo delle scienze storico-sociali, illustra due questioni centrali per la metodologia sociale,
ovvero per le modalità di attuazione di una ricerca sociologica. La prima questione riguarda il
rapporto tra metodo e teoria. Weber rileva la necessità che gli obiettivi della ricerca siano
sviluppati indipendentemente dalle modalità di attuazione della ricerca stessa; al contrario
sarebbero proprio queste ultime a dover esser scelte in conseguenza dei primi. Corollario di tale
proposizione è il fatto che l'adozione di una metodologia piuttosto che un'altra - o anche solo la
scelta di una tecnica di raccolta dati o di una procedura di analisi - implica l'assunzione di ipotesi
non neutre dal punto di vista teorico, e che al limite possono rivelarsi in contrasto con l'approccio
teorico prescelto. Neppure l'osservazione rigorosa di dettami metodologici, dunque, mette al
riparo il ricercatore dalla necessità di riflessione teorica né lo esonera dalla presa di coscienza
delle modalità secondo le quali tale riflessione teorica agisce sui risultati di ricerca ottenibili. Si
giunge così alla seconda questione che riguarda più specificamente lo status della metodologia.
Essa non è una "rete di sicurezza" sulla quale modellare a priori i nostri lavori empirici. Queste
osservazioni sono particolarmente importanti per la sociologia della cultura contemporanea, che
ha bisogno non solo di rigore metodologico ma anche di immaginazione e flessibilità per poter
adeguare i propri mezzi di ricerca agli oggetti sempre nuovi con cui essa deve fare i conti.
Approcci e tecniche
Ricerca sul campo e osservazione partecipante
Interviste (in profondità, semi-strutturate, ecc.)
Analisi dei documenti (analisi del discorso, analisi visuale)
Survey o indagine campionaria
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Un classica ricerca etnografica sugli esclusi: Asylums di E. Goffman
Per descrivere il proprio approccio metodologico Goffman ha utilizzato i termini “ricerca
naturalistica” e “micro-analisi” indicando così il tentativo di comprendere i meccanismi della vita
sociale a partire dalle – e dando credito alle - pratiche ed esperienze dei soggetti entro i loro
specifici contesti di azione e interazione. Questo tipo di approccio si oppone ai “tradizionali
disegni di ricerca” che partono da un’ipotesi astratta, ne discutono i limiti e poi verificano quante
correlazioni tra variabili si conformano o meno ad essa: “mediante questi metodi – scrive
Goffman - non sono stati scoperti campi di studio naturalistico. Non sono emersi concetti che
hanno riordinato la nostra visione dell’attività sociale. Non si è accumulata comprensione del
comportamento ordinario; al contrario si è generata distanza”. Certo Goffman è consapevole dei
limiti intrinseci di un simile approccio. Fornendo alcuni dettagli del lavoro sul campo condotto
per Asylums (dove spiega di aver ottenuto formale consenso dalla direzione e di aver condotto
l’osservazione in qualità di “assistente al corso di ginnastica”, passando “il giorno con i pazienti,
evitando di intrattenere rapporti sociali con lo staff” e “precisando, quando mi veniva richiesto,
di essere uno studioso della vita di comunità”) Goffman sostiene di essere partito dall’idea che
“qualsiasi gruppo di persone - detenuti, primitivi, piloti, o pazienti - sviluppino una vita
personale che diventa ricca di significato, razionale e normale, quando ci si avvicini ad essa, e
che un buon modo di apprendere qualcosa su questi mondi potesse essere partecipare al ciclo di
vita quotidiana cui gli internati sono soggetti”. Per fare questo, l’etnografo deve entrare nel
gruppo senza mai farne parte: “non lasciarsi coinvolgere, neppure apparentemente” e allo stesso
tempo accettare che “se si vuole descrivere fedelmente la situazione del paziente non si può
essere obiettivi … il modo di vedere il mondo da parte di un gruppo, funziona a sostegno di
coloro che ne fanno parte, offrendo una definizione autogiustificante della loro situazione, e la
possibilità di giudicare a una certa distanza quelli che non appartengono al gruppo”. In una breve
riflessione sul fieldwork (lavoro di campo) Goffman fa più volte riferimento all’etnografo come
ad una “spia”, quasi a sostenere l’inevitabilità e il peso di questo ruolo. La “spia” non sta
comoda. Lo sguardo etnografico affiora innanzi tutto dall’immersione del ricercatore in una
esperienza di sradicamento, stacco, azzeramento delle proprie pretese ed abitudini. Per vedere le
cose in modo nuovo o individuare nuovi oggetti di ricerca dobbiamo lasciare le nostre identità e
tuffarci nel reale, ma dobbiamo farlo, tenendo sullo sfondo, in un gioco di confini e di frames che
è appunto un po’ quello delle spie, i nostri obiettivi fondamentali, che sono di ordine conoscitivo.
Goffman definisce tutto questo, senza mezzi termini, “auto-disciplina”: noi stessi ci facciamo
strumento usando e dosando tutto di noi stessi, intelletto e corpo, ragione e sentimenti..
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La più classica analisi culturale dei documenti: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo
di M. Weber
Weber parte dalla nozione di agire sociale dotato di senso (non solo strutture sociali ma anche il
significato dell'azione per i soggetti; questi hanno la capacità non solo di calcolare e individuare
il miglior mezzo per soddisfare alcuni fini - razionalità strumentale - ma anche la capacità e la
necessita di sentire che i propri fini sono giusti). Nel suo saggio su Capitalismo e protestantesimo
ascetico, l'idea calvinista della vocazione viene studiata come la pre-condizione morale,
intellettuale e culturale dell'organizzazione economica capitalista. Vi è dunque una lotta contro
un uso irrazionale della proprietà, contro il possesso sterile, e una promozione della moralità del
profitto razionale, produttivo (insieme ai comforts, alle decencies ma non alle luxuries). L'etica
del lavoro richiede la razionalizzazione del proprio lavoro, del tempo, di se stessi: la volontaria
sottomissione del corpo a routines rigidamente codificate, la negazione dei piaceri immediati".
L'ascesi intramondana "combatte con autentica violenza soprattutto una cosa: il godimento
spensierato dell'esistenza e dei piaceri che può offrire ... (per i quaccheri, ad esempio) lo sport
doveva servire a uno scopo razionale, quello della ricreazione necessaria per la buona forma
fisica. Invece come mezzo per sfogare in modo disinvolto impulsi incontrollati gli era sospetto
gli era sospetto, e come è ovvio, veniva senz'altro condannato, nella misura in cui diventasse
puro divertimento, o persino destasse l'ambizione competitiva ". Quindi la "formazione di
capitale" necessaria allo sviluppo dell'attuale sistema economico è stata "condizionata dalla
coazione ascetica al risparmio". L'etica del lavoro però produsse effetti che non erano
contemplati nel suo originale spirito. Si ha così una progressiva preminenza della sfera
economica sul sacro sino ad arrivare a forme estreme di utilitarismo.
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Il significato culturale
PERCHE’ SONO IMPORTANTI I SIGNIFICATI?
ANTROPOLOGIA FILOSOFICA (GEHLEN): LA CULTURA FINISCE L’ESSERE
UMANO CHE DEVE IMPARARE A VIVERE: LA CULTURA E’ LO SPECIFICO DELLA
SPECIE UMANA, PROTEGGE DAL CAOS, FORNISCE ORDINE, LIBERTA’ DI FARE
Significati
semplici (SEGNI corrispondenza biunivoca con un solo referente: Es. algebra)
complessi (SIMBOLI corrispondenza con più referenti, evocazione di significati contesi,
ambigui)
IDEALISMO TEDESCO: LA CATEGORIA INTELLETTUALE PRECEDE LA REALTA’
FENOMENICA, MATERIALE; LO SPIRITO DEL MONDO AVANZA VERSO IL SUO
COMPIMENTO MEDIANTE UN PROCESSO DIALETTICO (KANT, HEGEL)
TEORIE DEL RIFLESSO: LA CULTURA RIFLETTE IL MONDO SOCIALE
STRUTTURA-SOVRASTRUTTURA
(MARX)
MUSICA POPULAR COME PRODOTTO COMMERCIALE PSEUDOINDIVIDUALIZZATO
(ADORNO)
DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO: CHI SONO I PERSONAGGI FAMOSI
(LOWENTHAL)
FUNZIONALISMO
LE SOCIETA’ UMANE PER CONSERVARSI ESPRIMO B ISOGNO CONCRETI
(SOCIALIZZAZIONE, LATENZA) E LE ISTITUZIONI SOCIALI (FAMIGLIA, STATO,
ECC.) NASCONO PER SODDISFARE QUESTI B ISOGNI. OGNI LIVELLO SOCIALE E’
ARMONICO RISPETTO AGLI ALTRI, RIFLETTENDO UN ORDINE
(PARSONS)
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TEORIE CULTURALISTE: IL MONDO SOCIALE RIFLETTE LA CULTURA
LE OPPORTUNITA’ ECONOMICHE VENGONO VISTE IN BASE AD UN’ETICA
ECONOMICA CHE E’ DI ORGINE RELIGOSA
(WEBER)
“sono gli interessi (materiali e ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l’agire dell’uomo.
Ma le ‘concezioni del mondo’, create dalle ‘idee’, hanno spesso determinato – come chi aziona uno
scambio ferroviario – i binari lungo i quali la dinamica degli interessi ha mosso tale attività”
(Weber Sociologia delle religioni, 352)
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DIREZIONI CAUSALI: DIAMANTE CULTURALE
MONDO SOCIALE
CREATORI
CULTURALI
Marx
Funzionalismo
Weber
Interazionismo
OGGETTI CULTURALI
RICEVITORI
CULTURALI
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Le subculture e la nozione di sottocultura
Formulata esplicitamente in seno alla Scuola di Chicago negli anni ’40 la nozione di ‘sottocultura’ ha ispirato un importante filone di studi. L’americano Milton Gordon nel suo The
Concept of the Sub-culture and its Application (1947) è il primo a riflettere esplicitamente su
questa nozione, mettendo in luce che essa consente di cogliere sotto-sistemi di organizzazione
sociale relativamente chiusi e coesi che erano stati precedentemente studiati mediante le nozioni
di ‘classe’ o ‘gruppo etnico’, riuscendo così a mettere a fuoco forme di segmentazione che non
passano dalle più tradizionali variabili demografiche e che anzi le tagliano formando nuove entità
sociali che hanno un forte impatto sui propri membri. Soprattutto, la nozione, sembrava mettere
l’accento sulla forma di vita dei membri dei gruppi sub-culturali, consentendo un approccio
olistico, in grado di apprezzare questi mondi sociali e culturali ‘dall’interno’.
Che cos’è una sottocultura? La nozione di sottocultura non è certo meno ‘spugnosa’ di quella di
cultura - per usare un termine che Gerth e Mills (1954) applicano a quest’ultima. Il termine
subcultura è rimasto per molti versi impreciso e poco chiaro (Fine e Kleinman 1979). Nonostante
questo, con l’ausilio della nozione di sottocultura, si sono studiati fenomeni diversi: le sottoculture giovanili (soprattutto intorno ad alcuni generi musicali), quelle devianti o marginali
(soprattutto maschili – dai jazzisti, ai senza tetto), quelle legate all’identità sessuale e di etnia
(omossessuali, travestiti, gli afroamericani), o alcune culture di consumo e del tempo libero (dai
surfisti ai bickers), o alcune sotto-culture politiche (in Italia quella cattolica e quella comunista),
sino alle sottoculture mediatiche o persino virtuali (dalle comunità di fans musicali o di generi
letterari, ai gruppi di discussione online). Come si può facilmente dedurre le sottoculture sono
diverse per dimensioni, specificità o separatezza, esclusività dell’appartenenza, stabilità e
dinamiche evolutive nel corso del tempo, cfr. Clarke 1974). Anche se le definizioni di sottocultura hanno teso nel tempo ad essere diverse – si è passati per esempio da una definizione
tipicamente ecologica-interazionista della scuola di Chicago, ad una prevalentemente semioticaopposizionale della scuola di Birmigham - vi è nel complesso un considerevole grado di
continuità tra di loro anche e soprattutto in opposizione ad altre entità collettive. Conviene quindi
chiedersi – come fanno Gelder e Thornton nella loro introduzione agli studi sulle sottoculture
1997 - cosa distingue una ‘sottocultura’ da una ‘comunità’? Dalla ‘massa’, il ‘pubblico’, la
‘società’ o la ‘cultura’? Si tratta di domande che, a loro volta, non hanno trovato una risposta
univoca e definitiva, ma che ci consentono di mettere a fuoco come la sociologia possa studiare
gli attori sociali, non come individui, bensì come membri di un gruppo e come le forme
simboliche e culturali siano cruciali per i gruppi sociali.
La ‘comunità’ tende a suggerire una popolazione più permanente, spesso allineata al vicinato, di
cui la famiglia è l’elemento chiave laddove le ‘sottoculture’ sono vieppiù state studiate come
entità relativamente transienti, e formate da individui svincolati dalla famiglia. Il tasso di
organicità che è stato attribuito delle sottoculture si è infatti via via diluito nel corso degli anni,
soprattutto nel contesto di società sempre più fluide, differenziate, pluralistiche e segnate dai
media – tanto che negli anni settanta John Irwing ha mostrato come il termine fosse ormai
utilizzato per definire stili di vita e mondi sociali che non sono fissi né specifici di un particolare
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gruppo sociale. La comunità inoltre è vista come parte integrante del sociale, le ‘sottoculture’
sono state considerate spesso come gruppi dal carattere ‘opposizionale’, in grado di portare
disordine (ed innovazione) nella tranquillità del vicinato. E’ questo indubbiamente il caso delle
‘sottoculture giovanili’ che sono state studiate essenzialmente come foriere di forme simboliche
(stili, consumi, musica) in parte definite in opposizione alla cultura parentale. Già un autore che
scriveva nella tradizione di Chicago come Albert Cohen (1955) nel suo Delinquent Boys: The
Culture of the Gang, ha sostenuto che le sottoculture hanno un importante ruolo di innovazione
culturale: esse consentono a soggetti che condividono una condizione di difficoltà di
aggiustamento alle pressioni conformiste della cultura dominante di esplorare, e infine creare e
proporre, nuovi orientamenti culturali. Soprattutto coloro che si trovano ad avere problemi di
status, avendo difficoltà ad ottenere rispetto sociale, possono gravitare gli uni verso gli altri e
stabilire nuove norme culturali e criteri di status, sorretti e convalidati dall’esistenza del gruppo.
Le sottoculture quindi nascerebbero in risposta a un problema di integrazione o di status sociale
che alcune persone si trovano a condividere, laddove esse possano effettivamente instaurare
meccanismi di interazione. In altri termini secondo Albert Cohen, quando attori sociali coinvolti
in attività devianti hanno l’opportunità di interagire gli uni con gli altri hanno la possibilità di
sviluppare una cultura che si costituisce intorno ai problemi che sorgono dalle differenze tra la
loro definizione di quello che fanno e la definizione sostenuta dagli altri membri della società, ed
è proprio perché queste culture operano dentro - e in chiave distintiva rispetto - alla cultura
dominante che esse vengono denominate sottoculture. Così, il grado di distinzione dagli
standards culturali, diventa un principio di classificazione interno alla sottocultura stessa.
Becker, nel suo studio sui musicisti Jazz, ha mostrato che i musicisti tendevano a classificare se
stessi in base al grado di condiscendenza che mostravano nei confronti degli ‘esterni’ (squares),
con un continuum che andava dal musicista di jazz estremo a quello commerciale. Tutti i
musicisti studiati da Becker si trovavano comunque a negoziare tra il desiderio di auto-esprimersi
in accordo con i principi del sotto-gruppo di musicisti e il riconoscimento delle pressioni esterne
vieppiù di tipo commerciale (tema questo che verrà ripreso da Bourdieu ne Le regole dell’arte,
dove l’arte figura come mondo economico rovesciato). Come vedremo, la scuola di Birmingham
in particolare ha sottolineato il potenziale opposizionale delle sottoculture, soprattutto quelle
giovanili.
Con il termine ‘sottocultura’ si definisce infatti oggi per lo più una varietà di gruppi sociali che
vengono percepiti come ‘devianti’ e ‘opposizionali’ rispetto agli ideali normativi delle comunità
adulte. Come entità informale (il reclutamento avviene per scelta o per forza, come accade nelle
sottoculture della prigione) e sotterranea, spesso priva di potere, la sottocultura si differenzia
anche dal ‘pubblico’ – concepito come un insieme razionale di individui (formalmente reclutati
nel gruppo mediante procedure burocratizzate – p.es. cittadinanza) cui è riconosciuto il potere di
esprimere la propria opinione mediante canali democratici ufficialmente predisposti. La nozione
di sottocultura si differenzia anche da un concetto che nel pensiero sociale e politico spesso si
oppone a quello di pubblico, ovvero quello di ‘massa’ - intesa come agglomerato indifferenziato
e passivo di persone, prodotto di fenomeni di standardizzazione e omogeneizzazione guidati dai
mass media. I suoi membri sono infatti concepiti come attivi e capaci di differenziarsi, sia
internamente che rispetto al resto del mondo sociale. E’ questa l’origine del termine nella
tradizione di Chicago, da cui la tradizione di studi sulle sottoculture si sviluppò con lo scopo di
51
mostrare la straordinaria varietà del comportamento umano nelle città americane – pensiamo per
esempio al saggio di Park sulla città (1915): per quanto scritto prima che il termine ‘sottocultura’
fosse coniato, Park si propone di studiare come diversi gruppi sociali si disponessero nello spazio
urbano, fornendo una mappa dei loro modi di conflitto e integrazione, segregazione e relazione,
dei loro stili di vita e vocazioni professionali, una tradizione che proseguirà nel secondo
dopoguerra in America con una quantità di studi su particolari gruppi sottoculturali (p.es. i già
citati Becker sui musicisti Jazz; Albert Cohen sulle gang delinquenziali).
Per la sua attenzione alla segmentazione interna della cultura moderna ed urbana, la Scuola di
Chicago può essere considerata come una tradizione di studi che si oppone, almeno in parte, alla
tradizione della scuola di Francoforte - che nel corso della seconda guerra mondiale ritroviamo
alla Columbia University e che si concentrava sui processi di omogeneizzazione e
razionalizzazione della società di massa. Questi due interessi trovano un momento di importante
intersezione nei lavori sulle sottoculture della scuola di Birmingham (negli anni ‘70). Uno dei
principali obiettivi d’analisi di questa Scuola è proprio il rapporto tra sottoculture e mezzi di
comunicazione di massa e cultura commerciale. Influenzata da autori di stampo marxista come
Raymond Williams, E.P. Thompson e Richard Hoggart, la scuola di Birmingham (con la quale si
designano autori che lavorano a partire dalla metà degli anni sessanta al Centre for Contemporary
Cultural Studies dell’Università di Birmingham) ha segnato in modo importante gli studi sulle
sottoculture contemporanei. A differenza della scuola di Chicago, attenta a una varietà di attività
sottoculturali spesso di natura ‘deviante’, la scuola di Birmingham si è rivolta in particolare, e in
modo quasi esclusivo, alla categoria dei ‘giovani’. Le analisi dei ricercatori della scuola di
Birmingham si sono indirizzate soprattutto alle forme simboliche messe in campo dalle
sottoculture giovanili del secondo dopoguerra, ed in particolare le forme spettacolari (vestiti,
musica, oggetti, passatempi) diffuse tra i giovani di classe lavoratrice (mods, teds, skinheads,
punks, ecc.). Il look di questi giovani è stato interpretato in relazione ad ampie strutture culturali:
come scrivono Clark, Hall et als: le sottoculture giovanili si inserirebbero nella dialettica tra la
cultura ‘parentale’ (tipicamente di classe lavoratrice) e cultura ‘dominante’ (o egemonica)
mediante una ‘doppia articolazione’ che le vede appoggiarsi e distinguersi ora dall’una ora
dall’altra nel tentativo (mediante negoziazione, lotta e resistenza) di trovare una propria forma
espressiva. Le pratiche sottoculturali giovanili vengono concepite non come forme di alienazione
e auto-segregazione ma come forme di produzione dell’identità, le sottoculture stesse appaiono
modi di mediare creativamente tra la cultura parentale connotata in base alla classe e il sempre
più intrigante mondo della cultura di massa commerciale (per alcuni studi sulle versioni italiane
di queste sottoculture cfr. Caioli, Tabboni et als. 1986; Rinaldini 1997).
La tradizione di Birmingham riflette un importante sviluppo sociale: proprio dal secondo dopoguerra sono diventati visibili alcuni importanti fenomeni trans-nazionali, come quello delle
culture giovanili che si sono consolidate attorno ad alcuni consumi. Si tratta di consumi che, lussi
fino a qualche decennio prima, diventano fenomeni di massa soprattutto a partire dagli anni
sessanta, basti pensare all’ascolto musicale di dischi e cassette (con la grande diffusione del rock,
cfr. Cohen 1972) o ai trasporti privati (p. es. la mitica Vespa; cfr. Arvidsson 2002; Hedbige
1979). Le condivisione di alcuni stili di consumo tra i giovani, sia pur modulata in base al genere
e all’estrazione sociale, è stata promossa tra l’altro dalla mobilità geografica, dallo sviluppo di un
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sistema dei media sempre più globale, e dalla motorizzazione di massa che ha consentito ai
giovani uno spazio di autonomia e la possibilità di uscire, anche fisicamente, dai confini del
villaggio o del quartiere. Negli anni sessanta, le così dette bedroom cultures degli adolescenti e
dei giovani inglesi diventano così sempre più una realtà anche in altri paesi europei, sebbene
quasi solo nelle classi medie: nelle loro camere da letto i giovani hanno uno spazio dove possono
esprimersi e lo fanno essenzialmente come consumatori. Anche in Italia, i giovani del primo
boom economico hanno assunto un carattere di forte visibilità simbolica (cfr. Piccone Stella).
Le sottoculture giovanili in effetti ci aiutano a mettere in evidenza che la stratificazione per età è
sia di natura culturale (perché la categoria stessa dei giovani è un costrutto culturale) sia abbia
effetti culturali (Saraceno, ed. 2001) e sia il carattere culturale dei suoi effetti. L’essere coetanei,
dal canto suo, vuole dire molto di più che avere raggiunto uno sviluppo fisico analogo; vuole dire
avere la possibilità di condividere esperienze, cultura, simboli, e partecipare, spesso da una
posizione analoga, alla loro formazione. Lo stesso fenomeno del susseguirsi di diverse
generazioni è sì presente in tutte le società, ma in ciascuna tende ad essere connotato in modo
particolare: l'appartenenza ad una generazione, con la sua cultura e la sua peculiarità, appare assai
più significativa a chi vive nelle odierne società occidentali, che non a chi vive in società assai
più stabili culturalmente come quelle tradizionali o tribali.
Secondo la tradizione di Birmingham, la cifra delle sotto-culture giovanili degli anni sessanta e
settanta è la ‘resistenza’ simbolica. I membri delle sottoculture giovanili per esempio possono
utilizzare i beni in modo sovversivo, come aiuti per esplorare modi alternativi di vedere se stessi,
modi che sono contrari o esterni alle definizioni culturali dominanti. Come scrivono Stuart Hall e
Tom Jefferson (1976: 56) nel loro studio sulle sottoculture giovanili Resistance through rituals, i
beni possono essere “appropriati” da un gruppo e resi “omologhi” ai loro problemi, alle loro
esigenze, alla loro immagine di sé. Gran parte della cultura giovanile, anche nelle sue forme più
radicali, ruota intorno al consumo. Le sotto-culture giovanili in particolare sono “culture del
consumo vistoso, anche quando, come nel caso degli skinheads e dei punks, certi tipi di consumo
sono vistosamente rifiutati”; è attraverso i “particolari rituali del consumo che la sottocultura allo
stesso tempo rivela i suoi “segreti” e comunica i suoi significati proibiti”, è “proprio il modo in
cui le merci vengono usate da una sottocultura che la separa dalle formazioni culturali più
ortodosse” (Hedbige 1979: 102-03). Anche nella cultura dei motorbike boys studiata da Paul
Willis (1978) i beni venivano caricati di valenze distintive e costitutive del gruppo: il rock’n’roll
classico da Elvis Presley a Buddy Holly era una “scelta deliberata” volta a fornire ai membri
anche e soprattutto un appiglio per veicolare una maschilità aggressiva, che apprezza la capacità
di rispondere anche fisicamente ad un mondo duro e ostile. Gli stili di consumo dei motorbike
boys dimostrerebbero così il potere “profano” dei gruppi subordinati e marginali “di prendere e
fare propri, di selezionare e sviluppare creativamente alcuni artefatti per esprimere i propri
significati” (ibidem: 166). Ma se le sottoculture appaiono come capaci di resistere alla cultura di
massa commerciale, in ultima analisi l’immagini offerta dagli studi della scuola di Birmingham è
quella di una resistenza che tende a riprodurre le distinzioni di classe, e quindi di una resistenza
culturale non consequenziale sul piano sociale. Studiando i quartieri operai di Londra, Phil
Cohen per esempio considera le sottoculture giovanili un modo per rimpiazzare un perduto senso
di comunità e risolvere la crisi di classe laddove le comunità di classe lavoratrice erano in declino
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e non riuscivano più ad offrire supporti d’identità ai nuovi membri. In quest’ottica, nonostante
l’uso opposizionale delle merci, rimanendo per lo più relegate nella sfera del tempo libero le
sottoculture giovanili nel loro complesso avrebbero un ruolo essenzialmente conservatore. Nel
loro seminale Resistance throught rituals (1975) John Clarke, Stuart Hall, Tony Jefferson and
Brian Roberts tendono a dare una visione meno pessimista delle sottoculture. In particolare,
riprendendo la nozione gramsciana di egemonia, e mettendo a fuoco la resistenza culturale
offerta dalle pratiche sottoculturali, hanno ispirato numerosi studi più recenti che a loro volta
hanno sottolineato che le merci possono essere non solo luoghi per la riproduzione dell’egemonia
culturale (Scuola di Francoforte) ma anche importanti occasioni di resistenza popolare, fungendo
da catalizzatore, oltre che da veicolo d'espressione, di domande innovatrici e contro-culturali. I
cultural studies britannici (di cui la Scuola di Birmingham è stato momento fondativi)
sottolineano oggi che le merci e le loro immagini sono non solo polisemiche (hanno cioè molti
significati) ma anche multi-accentate (possono essere lette e articolate con accenti diversi).
Proprio per questo le merci possono essere messe al servizio di domande tutt'altro che omogenee
e certo non meramente funzionali alla riproduzione della struttura di dominio.
La questione della resistenza rimane comunque fortemente dibattuta. Negli stessi studi classici
della scuola di Birmingham troviamo accezioni diverse e tutt’altro che ottimiste. A differenza di
molti dei primi esponenti della scuola di Birmingham Paul Willis ha condotto lavori di carattere
etnografico. Il suo classico studio Learning to Labour (1977) considera come le strutture delle
differenze di classe vengano riprodotte anche attraverso le sottoculture giovanili, laddove i
giovani di classe operaia resistono alle pressioni educative a scuola riuscendo così a trovare un
proprio posto distintivo (per differenza e devianza) nel mondo scolastico, ma riproducendo una
struttura di classe che li vede relegati a svolgere mansioni manuali una volta entrati nel mercato
del lavoro. Per Willis le risorse e capacità che possono derivare dall’appartenenza ad una
sottocultura specie se di classe operaia (subcultural empowerment) sono letteralmente ‘senza
futuro’, rimangono intrappolate nella sottocultura stessa, ed anzi finiscono per essere funzionali
alla riproduzione delle gerarchie sociali e persino culturali dominanti. Anche Simon Frith
(Sociologia del Rock, 1980) sottolinea che poiché molte delle sottoculture sono sottoculture del
tempo libero codificate in base alla nozione di ‘divertimento’, la loro portata sovversiva è
limitata. Come vedremo, Dick Hedbige nel suo studio sulle sottoculture afro-caraibiche in
Inghilterra, sul Punk, e sui Mods (1988; 1986), porta alle estreme conseguenze il ragionamento di
Jefferson, Hall et als., sottolineando il fatto che le sottoculture sono forze creative – prendendo a
questo scopo a prestito il concetto di bricolage elaborato di Levi-Strauss, come modalità di
adattamento al mondo in cui gli oggetti e le forme simboliche vengono utilizzate in modi diversi
da quelli per cui sono state pensate e costruite, modi che le spiazzano dai loro normali contesti
d’uso. Hedbige considera i Punks come bricouleurs par excellence, capaci di usare lo
spiazzamento del bricolage come una forma di rifiuto o resistenza – e corre così il rischio è di
celebrare la cultura Punk, vista come omogenea e compatta, mistificandone le diverse valenze e
significati. La sottocultura Punk non è infatti indicata solo come una ‘soluzione
dell’immaginario’ per una posizione di svantaggio sociale, è anche vista come ‘il segno di una
identità proibita’, che lavora come contro-egemonia e difesa di uno spazio culturale autonomo.
Eppure, anche la visione eroica delle sottoculture tratteggiata da Hedbige si scontra, questa volta
non con la riproduzione delle differenze di classe dominanti, bensì contro la cultura di consumo.
Anche per Hedbige, la resistenza sottoculturale è insomma un fuoco di paglia, prontamente
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limitato: nuovi usi e significati sottoculturali sono forse sovversivi allo stato nascente, ma
tendono, non appena si stabilizzano, ad essere incorporati dalla cultura commerciale, perdendo il
loro carattere sovversivo. All’interno di molte sottoculture poi il rapporto tra piacere e disciplina,
resistenza e assoggettamento è tutt’altro che semplice. Influenzate dalla teoria poststrutturaliste, i
lavori sulle sottoculture riconoscono spesso questo tratto, ma spesso finiscono per esagerare vuoi
la docilità dei corpi vuoi la resistenza. I corpi possono partecipare a regimi disciplinari non
perché sono docili, ma perché sono attivi, e attivamente cercano piaceri, cercano esperienze,
cercano trasformazioni. Queste trasformazioni non sono però necessariamente né resistenti né dal
contenuto politico. Si possono trovare degli esempi particolarmente sorprendenti di questo nelle
sottoculture della sessualità sadomasochista, in cui le persone si sottomettono a corsetti, catene,
piercing e marchiature, si fanno legare, indossano tutta una serie di indumenti di gomma e cuoio
che li stringono in morse ben dolorose, e lo fanno tutte volontariamente, provando anzi piacere,
come Valerie Steele racconta in Fetish [1996]. Le palestre di body-building a Los Angeles
studiate dall’etnografo Alan Klein [1993] presentano, ad esempio, un’intera sottocultura di
uomini soggetti ad un duro regime fatto di esercizi, diete e droghe. Dopo anni di assoggettamento
a questo regime, nei corpi di questi uomini sono scolpite le forme maschili ideali cercate nei
concorsi di body-building. La corporeità incarnata dai body-builders è sia sovversiva (corpi
eccessivi), sia riproduce esagerandola una idea dominante di forza maschile. Lo studio di Lowe
(1995) sul body building al femminile peraltro mostra che anche in questo caso accanto alla
sovversione di genere (corpi femminili che si assomigliano a quelli maschili per muscolarità) vi è
una riproduzione di genere (le donne in competizione si truccano, usano costumi femmili, etc.) .
La nozione di resistenza viene poi fortemente ridimensionate se le sotto-culture prese in esame
non sono quelle giovanili spettacolari, ma quelle dei ghetti poveri o dei senza tetto. Se la
sociologia culturale contemporanea ha sottolineato che un atteggiamento “onnivoro” fatto di
fessibilità, trasferibilità e onnicomprensività – e non esclusione – caratterizza oggi le competenze
culturali dei gruppi favoriti (Peterson; Di Maggio; Warde), molte delle competenze sottoculturali
sono non trasferibili, localizzate, e poco flessibili, sia pur complesse. In forte contrasto con gli
stili onnivori dei gruppi favoriti una delle tipiche manifestazioni di deprivazione degli abitanti
dei ghetti è che, nonostante essi spesso creino una propria sottocultura originale e possano
comprendere e negoziare il complesso sistema di significati in cui vivono, le loro competenze
culturali non sono trasferibili all’esterno (Wilson 1987, The truly disadvantaged; cfr. anche
Snow and Anderson 1993).
Se continuamo a passare in rassegna i concetti rispetto ai quali possiamo leggere in controluce la
nozione di sotto-cultura, arriviamo alle nozione di ‘cultura’ e ‘società’ che ci permettono di
mettere a fuoco il prefisso ‘sotto’ con il quale vengono qualificate le sottoculture. Il prefisso
‘sotto’ (o sub) che ascrive uno status più basso o secondario all’entità che qualifica, ci fornice un
indizio importante di uno dei fondamentali assunti che sottendono a questa tradizione di analisi: i
gruppi sociali che vengono analizzati con il termine sottocultura sono visti come sub-ordinati,
sub-alterni o sott-erranei. In effetti con il termine sottocultura si sono identificati gruppi devianti
(dalle sottoculture criminali alle culture omossessuali) all’interno dei quali spesso i soggetti
trovano forme di identificazione forte (a volte indicata come esclusiva) che offrono un riparo dai
processi di stigmatizzazione che altrimenti li definiscono. Con tale termine si sono anche
identificati gruppi in posizione subordinata nelle gerarchie sociali, in quanto portatori di
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differenze sociali di classe, genere, etnia, ed età – cogliendo così le peculiarità per esempio della
cultura afroamericana, quella delle classi lavoratrici o dei poveri (i senza tetto per esempio) e
analizzando come i membri di queste sottoculture possano lavorare insieme per modificare la
propria situazione di svantaggio.
Nel complesso quindi, a differenza della ‘società’ – una astrazione macro-sociologica difficile da
studiare con metodi naturalistici – le sottoculture indicano spesso legami forti e basati su
frequenti interazioni, prestandosi così ad essere studiate mediante metodi etnografici, a volte
presi in prestito dalla tradizione antropologica. D’altro canto, ciò che caratterizza la definizione
di sottocultura rispetto al più generale ‘cultura’ è proprio il fatto che i membri delle sottoculture
sono costretti in qualche modo a relazionarsi (subire o godere) con la propria consapevolezza di
diversità e alterità (cfr. Becker più sopra). Questo non implica che vi sia sempre un’opposizione
ai generi e alle forme culturali che vengono considerate mainstream – vi può anche essere una
messa in discussione della nozione di mainstream stessa. E’ questo il caso delle sotto-culture
Dance studiate da Sarah Thornton (1995). Anche in esse c’è spazio per l’opposizione al
mainstream, questa volta però a partire da una problematizzazione della nozione tradizionale e
dominante di autenticità – che richiedeva il concerto dal vivo e l’autorialità – e proponendo una
nuova forma di autenticità che si allarga ai fruitori ed abbraccia l’esperienza stessa del ballare o
dello “sballare” in discoteca o nei raves.
Più in generale, gli studi sulle sottoculture hanno teso spesso a superare una netta distinzione tra
cultura e società. Prima della svolta culturale la sociologia aveva messo a fuoco la cultura come
un’entità discreta e separata, subordinata alle più fondamentali questioni di carattere sociale
(studiando quindi solo alcuni oggetti culturali chiaramente definiti come tali: l’arte o i media);
d’altro canto la tradizione letteraria ed estetica ha teso anch’essa a concentrarsi su questi prodotti
culturali, isolandoli dal contesto sociale procedendo spesso ad analisi formali o lasciando il
contesto sociale in penombra. Per quanto oscillino spesso tra approcci sociologici-etnografici
(alla Chigago) o letterari-semiotici (una parte della scuola di Birmingham, p.es. Hedbige), gli
studi sulle sottoculture hanno dovuto fare i conti sia con aspetti sociali (appartenenza di classe,
devianza) sia con aspetti culturali (trattando spesso prodotti e forme simboliche ordinarie)
mostrando che la cultura, intesa come insieme di credenze e valori non può essere separata
dall’azione e dall’organizzazione sociale. Negli studi sulle sottoculture rimane una tensione tra
gli approcci di tipo sociologico-etnografico (p. es. Moore The Lads in Action, una etnografia
delle sottoculture skinhead in Australia o il citato Willis Learning to Labour) e di tipo letterariosemiotico (il citato Hebdige, Hiding in the light, sulle forme simboliche della sottocultura Punk).
La distinzione è sia teorica che metodologica. La tradizione propriamente sociologica ha prestato
maggiore attenzione a questioni di organizzazione e interazione, quella semiotica e di studi
culturali ai simboli e ai significati; la prima si è avvalsa soprattutto di fieldwork etnografico; la
seconda di analisi testuali delle forme simboliche sottoculturali (vestiti, musica).
Gli studi sulle sottoculture oggi sono arrivati a mostrare una presa di distanza critica dai primi
lavori della scuola di Chicago e della Scuola di Birmingham. Come suggerito, nel loro complesso
gli studi sulle sottoculture hanno mostrato una predilezione per il contro-culturale, il deviante,
l’outsider: questo non è stato solo un vantaggio (poiché si è potuto fare emergere un mondo
altrimenti poco visibile), ma anche un limite (poiché esistono sottoculture d’elite che più
raramente vengono studiate come tali, ma vedi la tradizione di studi sulle sub-culture
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professionali ). Più in generale sia la tradizione di Chicago che la Scuola di Birmingham sono
state criticate perché a) hanno teso a dare una immagine troppo coesa delle sottoculture, non
considerando le posizioni e gerarchie interne; b) hanno assunto che i membri delle sottoculture
fossero totalmente calati nella parte, impegnati esclusivamente nella sottocultura; c) hanno
enfatizzato la “devianza” o “diversità” o “sovversione” del particolare codice sottoculturale,
trascurando la conformità che i membri delle sottoculture potevano dimostrare rispetto ad una
varietà di altri modi di vivere e valori (cfr. Stanley Cohen Folk Devils and Moral Panics, 1972;
Michael Clarke On the Concept of Subculture, 1974). La nozione di sottocultura veniva inoltre
spesso concepita come a) coincidente con un’intera popolazione di individui definiti in termini
strutturali (categoria sociale: classe, età oppure collettività: le gang) invece che dipendente da un
insieme di credenze e pratiche relativamente autonome da tali strutture; b) le sottoculture
appaiono non solo omogenee ma anche statiche e chiuse: la sottocultura viene rappresenta spesso
come composta da orientamenti normativi, tanto che diventa difficile considerare la diffusione e
il mutamento degli orientamenti culturali (cfr. G.A: Fine e S. Kleinman Rethinking subculture,
1979). Fine e Kleinman opponevano alla reificazione delle sottoculture come sistemi di valori
coerenti ed autoevidenti riferibili a porzioni della popolazione facilmente identificabili e
proponevano una lettura interazionista che dava maggiore spazio alle relazioni strategiche tra
attori subculturali, alla negoziazione dei confini della subcultura, e dei significati al suo interno
oltre che alla sua ‘prsentazione’ verso l’esterno. Con le cautele introdotte da queste critiche la
nozione di sottocultura può inserirsi a pieno titolo nella nuova sociologia culturale che pone
enfasi sul fatto che la cultura è fatta di simboli e schemi cognitivi ed affettivi piuttosto che valori
e che come tali sono polisemici e devono essere interpretati (Kane 1997; Griswold 1994). Nella
sociologia della cultura più recente, l’assunto del consenso generalizzato è stato sostituito da un
esame del ruolo svolto dalla cultura nel conflitto sociale e nella produzione delle disuguaglianze
(Lamont e Fournier 1992) e si sono condotte analisi sulla natura frammentaria, a volte
contradditoria, dei sistemi simbolici (Sewell 1999). La cultura non è più una sfera stabile di
norme e valori (parsons) ma una serbatoio o repertorio mutevole, stratificato, da realizzare
mediante azione e interpretazione soggettiva di pratiche e discorsi, frames e regole affettive
(Swidler, Di Maggio, Sewell, Alexander, Boltanski, Szatzky, etc). Questa definizione di cultura
colora di sé le ricerche più recenti sulle sottoculture.
Le sottoculture – giovanili o meno - non sono chiaramente omogenee: in effetti molti degli studi
classici si sono occupati dell’universo maschile, tralasciando la posizione delle donne nelle
sottoculture e/o le sottoculture ‘femminili’ (ma per ricerche che vanno in direzione diversa, vedi
il classico lavoro di Cressey sulle ‘taxi-dancers, le donne che ballavano per denaro con gli
uomini nelle sale da ballo americane tra le due guerre, o i lavori di McRobbie negli anni 70 che
hanno evidenziato il ruolo delle ragazze nelle sottoculture giovanili e oggi il sempre crescente
numero di lavori che si occupano di sottoculture come quelle del travestitismo (Garber, 1992;
Ekins 1997) che mettono in discussione, mediante pratiche iper-imitative, le distinzioni di
genere). In questo senso, Stanley Cohen ha invitato gli studiosi di sottoculture a smontare
l’immagine sociale delle sottoculture stesse a non concepirle come una risposta data all’unisono
a ‘problemi’ davvero condivisi da tutti i partecipanti, bensì entità complesse, internamente
differenziate, e variamente connesse alla realtà esterna, inclusa la mediazione dei media nella
loro rappresentazione pubblica. In generale vi è oggi consenso sul fatto che le sottoculture non
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vadano ipostatizzate e trattate come statiche e rigide entità antropologiche dai confini stabili e
chiari. Sarah Thornton in un importante lavoro (1997) sulle cultura dei raves e dei clubs
britannici ha così messo a fuoco la stratificazione interna delle sottoculture considerando le
micro-politiche interne e mettendo a punto la nozione di ‘capitale sotto-culturale’ (che viene fatta
derivare da P. Bourdieu e dalla sua teoria del rapporto tra posizioni, capitale e campo che vede i
conflitti simbolici tra membri con capitali – culturali ed economici - diversi concorrere a
stabilizzare un campo). Studiando le sottoculture dei surfisti e dei motociclisti, Jon Stratton
(1992) ha mostrato che ciò che viene indicato con il termine sottocultura può essere più durevole,
auto-riferito e auto-generantesi di quanto non fossero le sottoculture giovanili inglesi del secondo
dopoguerra, in parte perché alcune sottoculture tagliano le classi trasversalmente e non sono
legate ad un contesto geografico-culturale così specifico. Le culture dei surfisti e dei motociclisti
non possono esser altresì concepite in termini di ‘resistenza’ alla cultura commerciale, in effetti
realizzano ambizioni di consumo precise, sorrette magari da miti potenti – ‘il mito del tempo
libero’ nel primo caso, quello ‘americano’ nel secondo - declinati magari un senso alternativo.
Né si può sostenere che queste culture verranno ‘incorporate’ nella cultura commerciale, poiché
sono sin dall’inizio e a tutti gli effetti culture del consumo. Nel complesso, nelle ricerche più
recenti la nozione di ‘resistenza’ che era stata cruciale per la scuola di Birmingham viene o
rifiutata o qualificata: le attività sottoculturali vengono considerate molto più come attività che
configgono e cooperano sin dall’inizio con il mercato, come attività che resistono ad alcune
forme di potere appoggiandosi ad altre, come attività internamente complesse e a loro volta fonte
di distinzione e differenziazione interna.
La scuola di Birmingham, soprattutto nelle sue derive semiotiche è stata criticata perché l’analisi
degli stili “spettacolari” (cfr. soprattutto Hedbige) è stata effettuata sulla base di un modello di
analisi testuale che trascura cosa effettivamente facessero i membri delle sottoculture, e persino
quali significati essi effettivamente attribuissero al proprio stile. Anche nel lavoro di Jeffeson,
Hall et als. Resistance through rituals, l’approccio metodologico parte dalle forme simboliche - il
‘look’, gli stili – per inferire le relazioni (di classe e generazione) che vi sottostanno. Oggi molti
autori (anche all’interno dei cultural studies in generale che sono in larga misura fioriti a parte
dagli studi sulle subculture) invocano la necessità di rovesciare questa impostazione
metodologica: per molti occorre cioè partire analizzando le relazioni e interazioni sociali di
particolari gruppi ed arrivare a considerare i loro stili e prodotti culturali (Grey). Una parte della
letteratura contemporanea quindi incoraggia il ritorno a studi etnografici sul modello di quelli
della scuola di Chicago (magari arricchiti dall’analisi testuale) o di Paul Willis, con l’obiettivo
tra l’altro di non privilegiare gli stili spettacolari ma di considerare come concretamente si
stabilizzino network di relazioni e linguaggi simbolici anche molto ordinari. L’ottica etnografica
è vista anche come possibile antidoto ad una visione che isola la sottocultura, la eleva come
resistenza, per farla poi precipitare come incorporazione. Vi è oggi maggiore consapevolezza
degli indissolubili legami che esistono tra sottoculture e cultura di massa. In effetti la dicotomia
tra sottoculture e pubblico o massa indifferenziata che spesso si trova, per quanto inespressa, al
cuore della teoria sottoculturale non solo opacizza la sottocultura al suo interno e rende i suoi
confini più rigidi e delineati di quanto non sia in realtà, ma anche rappresenta il ‘resto’ della
società (pubblico o massa appunto) come compatto, integrato, conformista, facile preda di ondate
di ‘panico morale’: eppure proprio così come la sottocultura è diversificata allo stesso modo la
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‘società’ risponde in modo diverso alle sottoculture (diverse). Più attenzione va inoltre data ai
margini della sottocultura, a come essa si diffonde tra altri gruppi sociali, a come essa viene
vissuta (o dimenticata) dai membri in sfere sociali diverse da quelle del tempo libero. Infine,
globalizzazione e nuovi media hanno aperto nuove strate anche per lo sviluppo e le forme delle
sottoculture.
Se, come accennato, già Stanley Cohen nel suo Folk Devils and Moral Panics (1972)
considerava il modo in cui i media creano le immagini delle sottoculture ‘spettacolari e devianti’
e come queste rappresentazioni siano vissute e ricevute nella vita quotidiana (creando panico
morale, come forme di divertimento o con sentimenti nostalgici) oggi diventa importante
considerare anche sottoculture mediatiche (media subcultures) come quelle dei fans. A questo
proposito il lavoro di Jenkins sui fan di Star Treck (1992) è già diventato un piccolo classico.
Jenkins mostra che i fan di Star Treck sentono un forte senso di affinità in parte perché si
ritrovano a raduni, in parte perché si connetto mediante un ‘network intertestuale che si compone
di programmi, films, libri, fumetti ed altri materiali simbolici’ veicolati dal mercato. Le
possibilità di comunicazione in Internet hanno ulteriormente ampliato lo spettro delle
sottoculture: non solo perché vi è una sotto-cultura di Internet che ha trovato il proprio modo di
esprimersi (con maniere e stilemi ben precisi: dagli emoticons alle regole non scritte per
l’interazione in chat), ma anche perché ha amplificato le possibilità di comunicazione diretta
orientate in base ad un interesse specifico, svincolandole dalla vicinanza geografica, mettendo
quindi in contatto fans e amatori di tutto il mondo (Bassett 1995; Slater 1998). Anche sulla base
di questi sviluppi autori come Grossberg (1984) e Straw (1991) hanno proposto le nozioni
rispettivamente di ‘alleanza affettiva’ e di ‘scena’ per indicare quei legami sottoculturali
potremmo dire ‘deboli’ o ‘dispersi’ che si instaurano tra persone che amano uno stesso genere
musicale, condividono l’ascolto di dischi, la frequentazione di siti, la lettura di riviste, ecc.
Ovviamente, se la questione dei confini della sottocultura appariva problematica per i tradizionali
studi sulle culture devianti o giovanili, probabilmente meno coese di quanto non fossero fatte
apparire, in queste sottoculture squisitamente mediatiche e di consumo, l’appartenenza è indicata
immediatamente come labile e diluita: si tratta di sottoculture che appaiono disancorate,
sradicate, in un costante stato di flusso, difficilmente delineabili nei loro contorni – eppure, ciò
nonostante – esistenti nella continua messa al lavoro di forme simboliche attraverso le quali
negoziare identità, differenza e appartenenza. Nella misura in cui l’interazione (mediata) e la
produzione di forme simboliche specifiche sta anche in questo caso alla base del consolidarsi di
province di significato importanti e riconoscibili come tali, la nozione di sottocultura, pur con
tutta la sua carica di problematicità, può ancora svolgere un ruolo importante. Se utilizzata come
concetto strumento piuttosto che come risposta feticizzata essa può offrire una prospettiva
d’analisi utile per smontare la cultura globale e mediatica contemporanea, distinguendo
dinamiche del riconoscimento e della differenza forse ordinarie ma non per questo secondarie.
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Produzione e consumo culturale
Gli oggetti culturali - dalle varie forme d’arte, agli spettacoli, agli oggetti di uso comune – non
sono semplicemente prodotti “naturali” di qualche contesto sociale, né semplicemente dei
prodotti collettivi (alla Durkheim); al contrario sono prodotti sociali, creati e distribuiti, ricevuti
ed utilizzati da una pluralità di persone e organizzazioni secondo modalità culturali specifiche e
spesso altamente differenziate. Nelle società occidentali contemporanee, l’industria culturale e
mediatica ha avuto un intenso sviluppo che è stato al centro dell’attenzione prevalentemente
critica di una parte importante della sociologia del novecento. In particolare, nel primissimo
secondo dopoguerra, la scuola di Francoforte ha analizzato gli effetti sociali e culturali dello
sviluppo dell’“industria culturale” - concependo quest’ultima come un sistema a sé stante funzionalmente destinato alla produzione e al trasferimento di significati al mondo della vita
quotidiana I francofortesi stigmatizzano la nascita di una cultura di massa in cui sfumano le
differenze tra alta e bassa cultura. Nel loro celebre lavoro La dialettica dell’illuminismo, Max
Horkheimer e Theodor Adorno (1947) sostengono che mentre la prima si riduce alla seconda, le
arti e le altre "manifestazioni dello spirito" si adeguano alla logica forse civilizzatrice ma
omologante del mercato. I prodotti dell’industria culturale avrebbero cioè due caratteristiche
fondamentali: sarebbero da un lato “omogenei”, sempre uguali sotto un’apparenza di varietà, e
dall’altro “prevedibili”. Riprendendo anche l’idea weberiana secondo cui la società moderna è
caratterizzata dal progressivo affermarsi della razionalità strumentale in base alla quale tutto può
essere soppesato e trattato come un oggetto calcolabile incluse le persone e i loro bisogni,
Horkheimer e Adorno sostengono che il mondo culturale è sempre più “amministrato” e che le
persone non vengono più considerate in quanto tali ma come elementi funzionali al sistema. In
questa ottica gli imperativi produttivi orientano e determinano le pratiche di ricezione e consumo
dei soggetti. Inoltre, per poter attirare il pubblico più vasto possibile, le forme simboliche
dell’industria culturale sono sempre più orientate ad un minimo comune denominatore semplice
e conformista. Così, chi inizia a vedere un film può immaginarsi abbastanza presto come andrà a
finire e chi ascolta musica “leggera” abitualmente sa bene cosa aspettarsi dopo le prime note e
può persino sentirsi gratificato quando scopre di aver avuto ragione. Nel suo celebre saggio sulla
musica popular o “leggera” Adorno (1941) sostiene che la musica prodotta dell’industria
culturale è standardizzata, promuove un ascolto passivo e opera come un “cemento sociale”
capace di riprodurre le forme di potere dominanti. La musica, prodotta come merce per essere
venduta ad un pubblico più vasto possibile e quindi indifferenziato, perde le sue qualità
artistiche, diviene un prodotto commerciale non autentico e pre-digerito che promuove passività
ed escapismo mascherando il proprio carattere pseudo-individualizzato. La sociologia della
ricezione in quest’ottica si riduce ad una critica della fruizione mediatica, che vede i significati
tratti dai prodotti culturali di massa come determinati dal processo produttivo. Il pubblico è
omogeneo, passivo e a-critico. L’accentuazione della passività del pubblico, visto come un’entità
omogenea e sradicata dal contesto sociale, trova il proprio apice negli anni settanta nella
teorizzazione post-modernista (Baudrillard; Jameson). Baudrillard arriverà alla conclusione il
pubblico si ritrova impotente nei confronti dell’industria culturale: rimane così solo un mondo di
“segni auto-referenziali” fondato sulla ricorrente generazione di differenze simulate, una
“iperrealtà”, che si colloca al di là della distinzione tra reale e immaginario (Baudrillard 1981). I
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media ed il vertiginoso moltiplicarsi delle merci sono dunque i veicoli attraverso cui si crea un
mondo simulato e iperreale nel quale l'individuo non è più un attore sociale, un soggetto che
agisce operando distinzioni simboliche e attribuendo senso alle proprie azioni, un fruitore di
messaggi e prodotti culturali, ma uno spettatore passivo e anomico, un mero ricettore di
sensazioni, anzi a fronte del quadro, insieme omogeneo e sfuggente, tratteggiato dai messaggi
mediatici, il pubblico non è solo passivo ma anche sempre più apatico e indifferente.
Il pessimismo post-modernista, così come la visione monolitica dell’industria culturale offerta
dalla scuola di Francoforte sono stati ampiamente criticati, anche se l’idea di industria culturale
rimane importante nella ricerca sociale contemporanea (Hesmondhalgh 2002). Tra i modelli più
utilizzati troviamo quello di Paul Hirsh (1972) sul “sistema della produzione culturale” che mette
l’accento sulla differenziazione interna al sistema di produzione culturale, sul legame delle
industrie produttive vere e proprie (editori, case discografiche, di produzione cinematografica)
sia con i “creativi” (gli autori, gli artisti) che con il “pubblico”, grazie al lavoro di importanti
gatekeepers o gestori di confini (i talent scouts da un parte, e gli intermediari culturali o mediali
dall’altra - dai disk-jockey ai recensori di libri). L’industria culturale si avvale nel complesso di
due circuiti di feed-back: quello che viene dai media (recensioni per esempio) e quello che viene
dalle vendite (del prodotto culturale specifico o del merchandising ad esso connesso). Hirsch ha
messo a punto questo modello per studiare i prodotti culturali di massa (dischi, libri, film) che
condividono alcune caratteristiche, innanzi tutto l’incertezza della domanda, in secondo luogo
l’uso di tecnologie relativamente economiche, in terzo luogo l’eccedenza di aspiranti creatori
culturali. L’industria si trova proprio in questo caso a dover regolare e confezionare
l’innovazione culturale, e quindi a trasformare la creatività in prodotti prevedibili. Questo
modello ha il merito di sottolineare la complessità interna al sistema di produzione, i diversi
orientamenti ed interessi che la compongono, le molte mediazioni tra produzione e ricezione, e
non da ultimo, il ruolo attivo della ricezione stessa. Altri studi recenti sulla produzione della
cultura si sono mossi essenzialmente in questa direzione considerando l’interattività che esiste tra
pubblici e industrie culturali (cfr. Crane, Di Maggio, Griswold, Peterson). Diversi studi hanno
poi messo in luce l’esistenza di mercati paralleli e coesistenti – p.es. Greenfeld (1989) ha
mostrano che in Israele esistono due mondi dell’arte paralleli, quella concettuale ed astratta
(alimentata da burocrati ed intellettuali facoltosi che acquistano per i musei) e quella dell’arte
figurativa (alimentato dalla borghesia ricca e dalle gallerie che la riforniscono).
Il modello di Hirsh assegna uno spazio maggiore al pubblico e un ruolo più attivo alla ricezione,
anche se non indaga espressamente il processo di ricezione. Proprio la sociologia della ricezione,
ha invece avuto grande impulso negli ultimi tre decenni. Molti autori hanno infatti sottolineato
che non è possibile capire né la cultura contemporanea né i mezzi di comunicazione moderna
senza mettere a fuoco gli usi e le gratificazioni, o più in generale, il processo di ricezione situato, frammentato, diseguale – dei messaggi e dei prodotti culturali (p.es. Crane 1992; Moores
1998; Morley l999). La sociologia della ricezione contemporanea parte dall’idea che la ricezione
di un oggetto culturale, i significati che i pubblici traggono da essi, non sono fermamente e
necessariamente inscritti nell’oggetto stesso (approccio testuale/semiotico strutturale). In effetti,
nonostante tutte le strategie messe in campo dalla maggior aziende che operano nel sistema
dell’industria culturale, vi sono forti margini di incertezza: gli editori non sanno produrre solo
best-sellers. Il successo finale (in termini di vendite e di influenza culturale) di un prodotto
culturale dipende dal suo pubblico, dai ricevitori culturali che ne ricavano determinati significati.
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Certo il significato di un oggetto culturale può essere – e di fatto è – inizialmente suggerito
dall’industria culturale, ma i riceventi hanno per certi versi l’ultima parola – e questa parola
viene a sua volta espressa sulla base di esperienze condivise e sociali. Il significato degli oggetti
culturali non è infatti nemmeno interamente soggetto ai capricci individuali. Gli attributi delle
persone, le loro posizioni nella struttura sociale per esempio, condizionano sia i loro gusti, sia le
loro interpretazioni. Per questo la sociologia contemporanea parla di “pubblici” e non di
“pubblico”: perché questo plurale sottolinea in realtà che il pubblico è composto di molti gruppi
tra loro diversi dal punto di vista dei media e dei generi che preferiscono o per la loro specifica
posizione culturale e sociale che fornisce loro diverse ottiche interpretative (Moores 1993).
In particolare, muovendo da prospettive diverse, numerosi autori hanno recentemente
sottolineato che è necessario superare la concezione monolitica del potere che caratterizza le tesi
della teoria critica francofortese e, soprattutto, concepire la ricezione come una pratica attiva,
creativa e persino sovversiva. E’ sicuramente vero che esiste una notevole sproporzione tra le
risorse investite dalle industrie culturali per controllare il mercato e quelle investite dai singoli
consumatori di messaggi e prodotti culturali. Tuttavia, i pubblici sono "armati" di una serie di
pratiche consuetudinarie per la gestione dell'ignoto che permettono loro di opporsi, forse non con
pieno successo, ma almeno attivamente alle strategie dei produttori. Anzi, per dirla con lo storico
e teorico sociale Michel de Certeau (1984), i lettori di libri, andando alla deriva nelle pagine,
dovendosi arrangiar con quel che c’è, trovano il modo di utilizzare i testi in modi personali, a
volte sovversivi. Radicalizzando l’idea di Umberto Eco’s che considera il leggere come una “coproduzione” e una “cooperazione interpretative” tra lettore e scrittore (1967) e con l’enfasi di
Stanley Fish [1980] che iscrive il lettore all’intern di “comunità interpretative” che orientano la
produzione di significato, De Certeau si oppone alla semiotica strutturale di Barthes che
considerava le pratiche di lettura come l’attualizzazione da parte del lettore dei significati intesi
dal testo. Più in generale, i pubblici, muovendosi come dei bricoleurs negli interstizi lasciati a
loro disposizione dalla cultura di consumo, “assimilano” i beni, non necessariamente nel senso
che essi diventano simili a ciò che consumano, ma anche nel senso che li rendono rende simili a
se stesso, appropriano e riappropriano i prodotti, e per fare questo usano spesso delle “tattiche”
dei “modi ingegnosi con cui i deboli usano i forti, e quindi forniscono una dimensione politica
alle pratiche quotidiane” (Ibidem: trad. it. 166 e 14). Anche se siamo lontanissimi dal modello
del pubblico o del consumatore sovrano, le pratiche di ricezione possono configurarsi come
forme, ancorché inconsapevoli, di resistenza. Non sempre però le pratiche di ricezione vanno
nella direzione della resistenza. Smussando l’idea di resistenza, nel suo saggio
encoding/decoding Stuart Hall (1980) ha proposto considerare il processo di ricezione come un
processo di decodifica che può prendere essenzialmente tre direzioni: la decodifica dominante
(che si attua secondo le intenzioni dell’emittente in base a una cultura egemonica di dominio
consensuale espressa dalla codifica dei media, il contenuto dell’interpretazione è quindi omologo
alla codifica egemonica che riproduce il punto di vista di una ristretta elite dominante); la
decodifica negoziale (che si ha quando si accetta il quadro di riferimento generale proposto dai
media, ma lo si modifica in alcuni suoi particolari a seconda delle proprie esigenze, gusti e
conoscenze pregresse); la decodifica oppositiva (dove pur avendo compreso il testo mediale la
decodifica si compie mediante codici opposti a quelli dell’emittente, sovvertendone i significati
in modo deliberato). E’ soprattutto quest’ultimo tipo di decodifica – che può essere tipico di
alcune sotto-culture giovanili studiate dalla scuola di Birmingham – che si configura come una
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vera produzione di significati, un consumo produttivo, grazie al quale vengono veicolate nuove
forme simboliche.
I pubblici sono definiti da gusti e da schemi cognitivi differenti. Il ruolo dei gusti e il loro
rapporto con la struttura sociale è stato messo in luce p. es. da Pierre Bourdieu, che ne La
distinction (1979) ha tracciato una mappa dei rapporti tra capitale economico, capitale culturale
e gusti mostrando che nella Francia del secondo dopoguerra le differenze di gusto (nella musica e
nella cucina per esempio) erano riportabili a posizioni sociali differenti: realizzandosi in specifici
stili di consumo riproducevano distinzioni gerarchiche consolidate. Per esempio, in chiara
opposizione alle classi subordinate dotate di scarso capitale culturale ed economico, le frazioni
dominate della classe dominante (ovvero coloro che hanno un alto capitale culturale e un discreto
capitale economico) preferivano Le monde ad un quotidiano popolare, la cucina cinese anziché i
picnic, andare a festival di musica d’avanguardia anziché ascoltare la musica leggera
tradizionale, la pop-art di Warhol anziché il virtuosismo degli impressionisti. Più in generale, lo
studioso francese riporta l'"estetica kantiana", tipicamente caratterizzata da una contemplazione
distanziata e formale che privilegia la mente e trascende l'immediatezza dell'esperienza e del
corpo alla prospettiva o habitus dei raggruppamenti sociali superiori e la contrappone all'"estetica
della cultura popolare" che, con la sua preferenza per l'immediatezza, il piacere, la sensualità ed
il concreto, è invece tipica dei raggruppamenti inferiori. La validità generale dell’analisi della
segmentazione del pubblico condotta da Bourdieu è stata criticata da nuove ricerche empiriche
che hanno tentato di saggiarne la robustezza (Bennett et alii 1999; Lamont 1992). In particolare,
comparando gli orientamenti nei confronti del consumo e del denaro della classe media
americana e di quella francese, Michèle Lamont (1992) ha sostenuto che Bourdieu dimentica
l’importanza delle diverse tradizioni nazionali nel fornire ed organizzare un repertorio culturale: i
confini culturali che sono tracciati sulla base dell’educazione, del cosmopolitismo, della
raffinatezza sono assai più deboli e meno definiti negli Stati Uniti che in Francia. E non si tratta
di una semplice variazione sullo stesso tema: se negli Stati Uniti l’egualitarismo culturale
rafforza l’anti-intellettualismo e favorisce una cultura più aperta, in Francia il basso livello di
mobilità geografica limita gli atteggiamenti materialisti. La ricerca di Lamont contraddice
l’immagine gerarchica del gusto offerta da Bourdieu. Come abbiamo visto, Bourdieu assume che
la differenziazione dei gusti e la possibilità di segnare le differenze dei consumi porti
inevitabilmente alla gerarchizzazione di queste stesse differenze, e questo perché parte dall’idea
che i significati vengono strutturati gli uni in relazione agli altri all’interno di campi finiti, stabili
e tendenzialmente coerenti. Lamont sottolinea invece che le società contemporanee sono
dinamiche, che i diversi campi di potere, incluso quelli del gusto e delle preferenze di consumo
sono aperti e instabili, e soprattutto si intersecano in modi sempre più complessi con altri campi,
non da ultimo quello delle comunicazioni di massa, rendendo le distinzioni culturali assai più
instabili, sfumate e sfaccettate.
Molti oggetti culturali oggi - dai programmi televisivi più popolari ai romanzi polizieschi per
esempio – attraversano i confini di classe, genere, etnia. Per questo Gans (1974) ha proposto di
denominare i pubblici di qualunque oggetto culturale “culture del gusto” (taste cultures) senza
presumere nulla sulle loro caratteristiche sociali o demografiche. In realtà, se può essere utile
partire dalla condivisione di un consumo culturale (basti pensare all’importante ruolo delle
sottoculture dei fans per alcuni generi popolari come la fantascienza, cfr. Jenkins), una grande
quantità di ricerche confermano la realtà della stratificazione del gusto, ma evidenziano anche la
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sua specificità culturale, il suo non essere direttamente e unicamente connessa alla posizione di
classe, e in generale il suo complicarsi e diluirsi: Oggi, l’analisi del gusto dovrebbe dunque partire
anche dalla pressione per la convivenza di molti gusti "adeguati" e dalla difficoltà di stabilire
definitivamente le connotazioni del "buon" gusto in quanto tale. Gli studi sul consumatore onnivoro
inaugurati da Richard Peterson mostrano, per esempio, che, per beni diversi come il cibo o la
musica, si stanno sviluppando strategie di consumo che anziché realizzarsi in un solo genere, stile o
gusto si realizzano nella mescolanza di forme e prodotti diversi, nella varietà, nella diversità dei
generi (Peterson 1992; Peterson e Kern 1996; van Eijck 2000; Warde et alii 1999). Lo stile
onnivoro dà valore alla varietà in quanto tale, riconducendo la raffinatezza e la sofisticazione
culturale all’esperienza della maggior varietà possibile di cose. Questa strategia fornisce innanzi
tutto la possibilità di scegliere tra le diverse merci sul mercato laddove l’infinitesimale
differenziazione delle opzioni rende particolarmente difficile formulare degli stili esteticamente
coerenti. Essa inoltre consente di “tenersi al passo” con il numero più ampio possibile di gruppi
sociali, accrescendo così le proprie chances di essere riconosciuti come persone esteticamente
competenti e di buon gusto. In questa situazione le classi lavoratrici sono svantaggiate
culturalmente non perché siano escluse dalla cultura “alta”, ma perché le loro pratiche di consumo
culturale sono, nel complesso, assai più ristrette come hanno rilevato alcune recente ricerche
(Bennett et alii 1999). Questi studi mostrano molto bene l’ambivalenza della ricezione in termini di
gerarchie culturali: se l’apertura alla varietà apre anche spazi niente affatto scontati di tolleranza e
scambio culturale, il controllo della varietà funziona come una strategia di formazione del capitale
simbolico che può riprodurre le differenze sociali. In effetti, Bernard Lahire proprio nel caso della
Francia [2004], ha mostrato che gli individui più eclettici mantengono in larga misura un senso di
gerarchie nelle loro pratiche così diverse mediante una forma di distinzione riflessiva. Consumano
ogni tipo di oggetto culturale, ma discriminano con chi, dove e come consumare diversi oggetti
culturali: in particolare tendono a preferire i generi ‘alti’ per le situazioni pubbliche e a lasciare i
generi ‘popolari’ per il privato. Fessibilità, trasferibilità e onnicomprensività – e non esclusione –
caratterizza oggi le competenze culturali dei gruppi favoriti. In forte contrasto con questo una delle
tipiche manifestazioni di deprivazione degli abitanti dei ghetti è che, nonostante essi spesso creino
una propria sottocultura originale e possano comprendere e negoziare il complesso sistema di
significati in cui vivono, le loro competenze culturali non sono trasferibili all’esterno (Wilson 1987,
The truly disadvantaged).
Non solo i gusti e le culture del gusto (più o meno svincolate da altre determinanti sociali)
strutturano la ricezione. Come ricorda Griswold (2005) un postulato di base dell’approccio
sociologico alla ricezione proposto da Zerubavel nei suo lavoro sui Social Mindscapes (1997) è
che tra la mente astratta (il cervello delle neuro-scienze) e la mente individuale (della psicoanalisi)
vi sia una “mente sociale” ovvero una prospettiva cognitiva di gruppo formata dalla comunicazione
interpersonale che “evidenzia la nostra diversità cognitiva in quanto membri di diverse comunità di
pensiero”. Come membri di categorie sociali e gruppi specifici prestiamo attenzione ad alcuni
significati e non ad altri, ci emozioniamo rispetto ad alcuni contenuti simbolici e non ad altri: p.es.
siamo più o meno attenti per esempio alla discriminazione di genere, ai pregiudizi religiosi, alle
differenze di etnia e leggiamo i prodotti culturali sulla base di queste griglie di rilevanza. Questa
nozione traduce in chiave sociologica l’idea proposta dal critico letterario tedesco Hans Robert
Jauss (1987): secondo Jauss quando un lettore prende in mano un libro non si relazione con esso
come se fosse un recipiente vuoto che attende di essere riempito dal suo contento, ma colloca tale
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contenuto in un “orizzonte di aspettative” plasmato dalla sua precedente esperienza letteraria,
culturale e sociale. Un lettore interpreta un testo sulla base di come questo si adatta alle sue
aspettative o le mette in discussione, e costruendo il significato del testo egli finisce per modificare
il suo proprio orizzonte di aspettative in un processo in continuo divenire. Griswold (1987) ha
ripreso a sua volta questa impostazione per mostrare che in tre nazioni diversi, pubblici simili,
leggevano lo stesso testo in modo diverso: The Castle of My skin di George Lamming veniva letto o
come una storia sulle trasformazioni dell’identità (india occidentale); o come una storia sul
diventare adulti (Inghilterra) o come una storia sui conflitti di razza (USA). Liebes e Katz (1990)
hanno studiato diversi pubblici televisivi della Sit Com americana Dallas, in Israele e America. La
loro ricerca ha evidenziato che gli ebrei di origine marocchina emigrati in Israele interpretavano
Dallas come un’opera sui legami famigliari, e sulle difficoltà della vita famigliare; gli emigrati
dalla Russia la vedevano come una dura e puntuale critica del capitalismo; gli ebrei nati in Israele
così come il gruppo di controllo a Los Angeles tendevano a vedere Dallas con occhi molto meno
‘moralistici’, come un semplice spettacolo d’intrattenimento che non rifletteva una realtà sociale.
La sociologia della ricezione contemporanea parte oggi spesso non solo dall’idea che i riceventi
culturali sono forti e i significati iscritti nei prodotti culturali deboli (o da portare a termine),
rovesciando così l’impostazione della scuola critica (che considera pubblici deboli e oggetti
culturali forti anche se determinati nei loro significati dall’industria culturale). Parte anche dall’idea
che il significato che i soggetti derivano da un testo o prodotto culturale e il modo in cui esso viene
effettivamente fruito e consumato sono co-estensivi, ed assegna quindi particolare importanza ai
contesti di fruizione (con le loro relazioni sociali e differenze di potere). Lo studio etnografico dei
modi di utilizzare, per esempio, la televisione è diventato centrali negli studi sul pubblico televisivo
perché ci si è resi conto dei limiti di quegli approcci semiotici che, riproponendo una forma di
determinismo testuale, si concentravano sull’analisi formale del contenuto dei programmi per
immaginare come venivano interpretati dai consumatori (Lull 1990, Morley 1995; Moores 1993;
Ang 1998). Nel suo vasto studio etnografico (circa 300 nuclei famigliari studiati mediante
osservazione partecipante) sulle pratiche di fruizione televisiva negli Stati Uniti James Lull (1990)
ha elaborato una tipologia degli usi sociali della televisione che rende conto delle dinamiche
internazionali e rituali che hanno luogo nel corso della visione di programmi televisivi: vi sono usi
strutturali e usi relazionali. Gli usi strutturali riguardano quegli usi della televisione che regolano e
modellano l’ambiente dell’interazione, si suddividono in ambientali (la televisione viene
considerata un rumore di fondo che fa compagnia mentre si fanno altri lavori) e regolativi (la
televisione struttura l’ordine della giornata, p.es. mangiar ad una certa ora per poi vedere un film o
seguire il telegiornale). Gli usi relazionali riguardano gli usi della televisione nel definire la rete di
interazioni sociali: ve ne sarebbero quattro: facilitazione della comunicazione, appartenenza
esclusione; apprendimento sociale, competenza/dominanza. Nel complesso i ricettori possono
mettere in campo diverse modalità di fruizione: una visione focalizzata (focused viewing) dove la
fruizione è l’attività primaria e l’attenzione si concentra completamente sui contenuti mediali; un
monitoraggio (monitoring) dove alla fruizione si alternano e si sovrappongono altre attività (p.es.
mangiare); una visione passatempo (idling) dove l’investimento nella fruizione e minimo e
l’attenzione è discontinua. E’chiaro che da questo approprio etnografico emerge che il consumo dei
media implica qualcosa di più e di diverso da singoli spettatori che forniscono particolari
interpretazioni di programmi specifici. Come ha sottolineato David Morley (1995), “guardare la
Tv” è una “frase fatta” che nasconde quanto articolata e contestuale sia la pratica dell’ascolto
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televisivo: essa va compresa non tanto come una serie di atti interpretativi compiuti da un soggetto
quanto come una forma di consumo domestica, in cui contesto domestico è “costitutivo” del
significato dei programmi televisivi. E’ questo contesto che rende non solo possibile ma anche
necessario il processo di de-codificazione, e allo stesso tempo, lo guida – rendendolo più o meno
focalizzato, attivo, sovversivo, ecc. Certo, “guardare la tv” è un’attività articolata, per nulla unidimensionale: non ha cioè “un significato o una significatività equivalente in ogni momento e per
tutti”, può essere guardata in modi diversi a seconda del momento della giornata, delle specifiche
relazioni famigliari, ecc. (Morley 1995: 13; cfr. anche Silverstone 1994). Nelle famiglie londinesi
intervistate da Morley, però si delineavano chiaramente due modi diversi di guardare la tv: uno
femminile ed uno maschile. Le responsabilità domestiche ma anche e soprattutto la percezione che
le donne hanno del proprio ruolo rispetto al benessere famigliare facevano sì che raramente esse
guardassero la televisione, incluso i loro programmi preferiti, in totale concentrazione. Il modo di
consumare la televisione in casa finisce così per rafforzare la percezione che per le donne, anche per
quelle che lavorano fuori casa, la casa sia ancora un luogo di lavoro, mentre per gli uomini sia
essenzialmente un luogo di riposo e di stacco dalle responsabilità lavorative.
Del resto anche altre pratiche culturali femminili vanno messe sullo sfondo della struttura di genere
del lavoro domestico. Un recente studio sulle riviste femminili ha mostrato che la loro principale
attrattiva non risiede affatto nei significati veicolati ma nel modo in cui vengono lette: si tratta
innanzi tutto di una lettura “facile” non tanto e non solo perché leggera, ma soprattutto perché il suo
formato “in pillole” fa si che possa essere “facilmente abbandonata e ripresa” durante i compiti di
gestione domestica che spettano tipicamente alle donne (Hermes 1995). Gli studi sui periodi
maschili (Jackson et als 2001; Boni 2002) e femminili del resto si sta molto sviluppando anche
perché ci si è accorti che questi periodici sono importanti per strutturare le identità di genere,
proponendo visioni della maschilità e della femminilità che spesso contengono elementi
contradditori e capaci da dare luogo a processi riflessivi di stabilizzazione dell’identità. Per esempio
uno studio di David Gauntlett (2002) che utilizza interviste effettuate tramite Internet sulla lettura
dei periodici per gay e lesbiche mostra che essi hanno un ruolo non univoco nella costruzione delle
identità omossessuali: vi sarebbero almeno tre posizioni nella ricezione, da un lato alcuni
intervistati sottolineano che queste riviste possono aiutare una persona a sentirsi a proprio agio con
la propria sessualità facendoli sentire parte di una comunità queer più vasta, dall’altro altri
intervistati non si identificano con l’identità presentata nelle riviste ma ritengono che esse diano
loro qualcosa a cui reagire, infine sono numerosi coloro che ritengono che l’identità omossessuale
appare in questi periodici come poco fluida e flessibile, imbrigliata in uno schema fisso e
compromessa con immagini troppo stereotipiche.
In linea generale, la sociologia della ricezione si è concentrata soprattutto sull’ascolto televisivo e
sulla lettura di libri. Uno dei dati più interessanti emersi dalle ricerche sul consumo dei media è che
non sempre questi antagonisti gli uni rispetto agli altri. L’utilizzo di televisione in particolare non
appare concorrenziale all’uso di altri mezzi più marginali (radio, riviste, cfr. p.es. in Italia Menduni,
Boni), tradizionali (libri, cfr. p.es. in Italia Livolsi) o di ultima generazione (internet, cfr. in Italia
p.es. Roversi). Al contrario, generalmente i forti consumatori di un mezzo tendono ad essere anche
forti consumatori di un altro mezzo anche se questo è più vero per i giovani e i gruppi sociali
favoriti, mentre esistono delle facie (anziani, di bassa estrazione sociale) che vedono solo la
televisione (Frank e Greenberg; Crane). In ogni caso, tra tutti i mezzi, la televisione attrae oggi
l’audience più vasta, e la quasi totalità delle case nei paesi sviluppati possiede una televisione:
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anche per un mezzo così di massa ovviamente l’audience si segmenta in termini quantitativi le
donne vedono più TV degli uomini, i vecchi più dei giovani (Crane 1995). L’audience (così come
viene ad esempio misurata dall’audietel) è però una costruzione discorsiva – istituzionale o
accademica - che non coglie la pluralità delle audiences effettive, fatte di persone che fruiscono, in
una varietà di modalità situate dei programmi televisivi (Ang Cercasi audience disperatamente,
1998). Ma questo dato generale certo non basta a smontare la teoria critica che stigmatizza la
televisione come fonte di omogeneizzazione culturale e isolamento sociale. Entrando nel dettaglio
numerosi studi contemporanei sulla ricezione hanno mostrato che i significati derivati dalla
ricezione di alcuni programmi televisivi, inclusi programmi globali e di massa come le Sit com
americane, può variare enormemente attraverso le culture (Liebes e Katz) e persino essere
un’occasione per confrontarsi proprio con la critica della società di massa. Gran parte di pubblici
oggi conosce molto bene la critica alla società di massa e ha la necessità di fare i conti con essa,
come mostrato da Ien Ang (1985) in un ormai classico studio sul pubblico di Dallas, una celebre
sit-com statunitense degli anni settanta. Consapevoli della retorica elitaria che stigmatizzava le loro
preferenze, gli spettatori studiati da Ang sentivano di doversi giustificare, scegliendo o una retorica
“populista” (sostenendo cioè che il piacere dato dal programma era equivalente a piaceri più
raffinati), o più spesso atteggiamenti “ironici” (sostenendo di seguire il programma come una
commedia e non un melodramma) e “consapevoli” (affermando di riconoscerne sia i pericoli che il
senso). Per quanto diversificati in base a genere e capitale culturale, nel complesso gli spettatori
studiati da Ang si sono mostrati inoltre capacissimi di operare delle distinzioni che permettono loro
di “divertirsi” pur mantenendo un “senso di realtà”: anche se a livello connotativo (e quindi in
relazione alla capacità di lasciarsi coinvolgere emotivamente) ritengono le situazioni presentate
nelle soaps “riconoscibili”, a livello denotativo le considerano chiaramente assurde.
Appropriazione di significati, capacità di ritagliarsi uno spazio proprio di genuino godimento però
non hanno sempre esiti contro-egemonici. Uno studio più recente sulle giovani donne americane
fans della sit com Beverly Hills (McKinley 1997) ha mostrato che pur appropriandosi culturalmente
del programma, pur riconoscendosi in esso, pur ritagliandosi uno spazio personale nel proprio
tempo per seguire il programma, le giovani donne derivano significati che tendono a riprodurre
istanze egemoniche e nozioni dominanti relative alla femminilità.
Altri studi sulla ricezione televisiva hanno mostrato che ‘guardare la tv’ è un’attività che può essere
usata sia per isolarsi, sia per stare con gli altri. Anzi, i programmi spesso offrono lo spunto e i
contenuti per sviluppare delle conversazioni, sia all’interno sia all’esterno della famiglia.
Soprattutto alcune trasmissioni particolarmente fortunate e di grande presa popolare, come le soaps
o le sit-com generano una sorta di linguaggio comune che può essere speso nella vita quotidiana e
consente anche a persone estranee tra loro di riconoscersi come fans (Ang 1985; Cantor and
Pingree 1983). In generale, i gruppi di fans organizzati sono un’istanza estrema e particolare della
possibilità di creare un linguaggio comune a partire dalla ricezione di un prodotto culturale di
massa. In Texual Poachers, un importante studio sugli appassionati di alcuni generi letterari
popolari, in particolare la fantascienza, Henry Jenkins (1992) ha illustrato l’inadeguatezza di
quell’immagine strereotipica che dipinge i fans come soggetti deboli, passivi ed etero-diretti.. I fans
interpellati da Jenkins in effetti leggevano e rileggevano i loro testi preferiti, sviluppando capacità
propriamente “critiche” (diventando, per esempio, sempre più attenti al “come succedono le cose”
piuttosto che a “cosa succede”) e facendo emergere dei gruppi anche fortemente coesi. In
quest’ottica, la cultura dei fans è innanzi tutto una cultura di comunicazione e circolazione dei
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significati. I fans di un genere letterario, in particolare, tendono a sviluppare delle vere e proprie
comunità in cui sviluppano accese discussioni che consentono loro di prolungare l’esperienza del
testo ben oltre la sua iniziale lettura: gruppi di fans organizzati possono allora essere considerati una
“istituzione per la critica”, uno “spazio semi-strutturato dove interpretazioni competitive di testi
comuni sono proposte, diventano oggetto di dibattito e negoziazione, e dove i lettori si interrogano
sulla natura dei mass media e sulla loro relazione con essi” (Jenkins 1992: 86).
Tra le pratiche di ricezione più studiate troviamo la lettura – pratica che tra l’altro, come suggerito,
ha offerto il modello ad autori diversi come De Certeau, Jauss ed Eco per sottolineare il ruolo
produttivo o co-produttivo dei pubblici. Anche in questo caso le comunità interpretative e le
distinzioni sociali che le delineano hanno un ruolo importante. Anche le lettrici di romanzi rosa
studiate da Janice Radway (1987) nel suo fondamentale studio Reading the Romance, si
configuravano come una “comunità interpretativa” facente capo ad una particolare libreria, che
fungeva da stimolo e da luogo di confronto. Le donne studiate da Radway descrivevano il leggere
come un “regalo speciale” che potevano concedersi di tanto in tanto. Anche in questo caso, per
comprendere le loro esperienze di consumo, Radway ha dovuto considerare la forte asimmetria di
genere che ancora caratterizza la famiglia occidentale. Se gli uomini vengono sostenuti
emotivamente dalle donne, le donne devono più spesso trovare da sole la capacità di rilassarsi e
rinfrancarsi: la lettura dei romanzi rosa contribuisce in modo importante alla riproduzione emotiva
di molte di loro, offrendo una “temporaneo ma letterale diniego” delle richieste cui si sottopongono
per essere mogli e madri amorevoli, offrendo piaceri forse “vicari”, ma indubbiamente “reali”. E’
proprio nella “differenza” dalla vita ordinaria che sta il significato della lettura: trovare tempo per
sé, in un momento in cui la casa è tranquilla, in una particolare stanza, non è solo “un distacco
rilassante dalle tensioni della vita quotidiana”, ma crea anche “un tempo o uno spazio in cui una
donna può essere interamente per conto proprio, preoccupata solo dei propri desideri, bisogni e
piaceri” (Ibidem: 61). Certo, a ben guardare, è difficile stabilire una volta per tutte se simili piaceri
siano effettivi strumenti di liberazione e cambiamento sociale o se invece riproducano le strutture
della disuguaglianza di genere. Ciò non di meno, le pratiche di lettura al femminile e soprattutto i
gruppi di lettura femminili offrono la possibilità di innestare uno spazio per la creazione di una
coscienza pubblica proprio nel cuore della sfera domestica, e di converso, di dare risonanza
pubblica a questioni private. Questo in parte quanto rilevato da Elizabeth Long (2003) nel suo
studio sui reading groups femminili di Huston in Texas, dalla fine della Guerra Civile ad oggi (più
in generale sui book clubs e i gruppi di lettura, cfr. Hartley 2001). Nell’ottocento questi gruppi di
donne bianche furono in grado di catalizzare una serie di pratiche organizzative, letterarie e di
mutuo soccorso che diedero loro la necessaria fiducia per immaginare se stesse in modo nuovo,
trasformando un iniziale movimento letterario in un movimento per la riforma sociale, coinvolto tra
l’altro nel movimento per il diritto al voto alle donne. Pur rimanendo connotati in base a marcati
confini di razza e classe, anche gli odierni gruppi di lettura studiati da Long con metodo
etnografico, sembrano incoraggiare le donne che li animano a mettere in questione l’ordine sociale:
per queste donne i libri diventano il linguaggio attraverso cui narrare le proprie esperienze e tentare
di trascenderle. In un recente lavoro Griswold et als (2005)
Nel complesso, enfatizzando il ruolo creativo dei pubblici, e concependo i riceventi come a loro
volta produttori culturali, la teoria della ricezione può certo finire per negare ogni autonomia agli
oggetti culturali. Si può così arrivare ad assumere che non vi siano distinzioni tra oggetti diversi,
non solo di tipo estetico-morale (oggetti migliori o peggiori, più artistici o meno – come vuole
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invece la filosofia estetica o la critica letteraria) ma anche in qualche modo storico-sociale: il rischio
è quello di vedere solo persone diverse che fanno esperienza di oggetti culturali in modo diverso,
con il significato che perde il suo contenuto sociale. Gli studi sociologici sulle culture della
ricezione che si sono sviluppati a partire soprattutto dagli anni settanta (con la messa in discussione
della distinzione tra cultura alta e cultura bassa, cfr. Gans 1974 e con la presa di coscienza che i
confini tra alto e basso sono storicamente determinati e culturalmente variabili – e quindi con una
critica dell’ideologia del “significato giusto” che ispira molto testualismo semiotico tradizionalista)
hanno tentato di evitare tale rischio mettendo a fuoco la dimensione dell’interazione, della comunità
interpretativa, dell’identità sociale. Il pubblico attivo è stato a sua volta concepito in due modi: a)
come un decodificatore di significati non elitari che le elites non considerano; b) come un
produttore di significati sovversivi – cfr. la tradizione dei cultural studies britannici per esempio
(cfr. Griswold 2005). Nel primo modo sono stati studiati alcuni prodotti popular e della cultura di
massa per considerarne quei significati che restavano nascosti ai gruppi favoriti e agli accademici: i
settori del pubblico meno favoriti, o marginali, sono capaci di decodificare significati che risultano
soddisfacenti alla luce della loro esperienza sociale. Lo studio di Radway sulle pratiche di lettura
dei romanzi rosa ne è un esempio, così come lo studio di Modleski (1984) Loving with a Vengance
nel quale viene messo in risalto il tema della vendetta nei romanzi rosa – l’eroina arriva sul punto di
morire o abbandona l’eroe facendolo soffrire sino al suo ritorno – e ipotizzò che questo soggetto
rappresentasse la fantasia collettiva delle donne che desideravano ma spesso non potevano reagire
nei confronti dei loro oppressori. Nel secondo modo di rivalutazione della cultural popular il
ricevitore produce significati propri in opposizione a quelli delle èlites. John Fiske (1989) nel suo
Understanding Popular Culture ha sviluppato l’idea del bricolage, e ha sostenuto che come da un
supermercato i pubblici portano a casa merci standardizzate ma poi le cucinano a modo loro,
secondo usi che trasformano totalmente. Fiske ha così studiato le reazioni del pubblico ad un gioco
televisivo The newlywed Game nel quale le coppie guadagnano punti se riescono a dare risposte
giuste a domande sui gusti dell’altro. I vincitori materiali del gioco erano coppie armoniche, ma i
vincitori morali – le coppie che il pubblico preferiva – erano formate da soggetti in disaccordo.
Fiske vide questo come un caso di produzione sovversiva di significati culturali: le regole del gioco
premiavano l’armonia matrimoniale in condizioni di generale autorità patriarcale, mentre il
pubblico parteggiava per i ribelli. Questa seconda accezione viene sempre più spesso messa sotto
accusa, perché tende a romanticizzare l’audience. In un recente lavoro critico Roscoe et als (1995)
hanno messo in discussione l’immagine del pubblico “attivo”, “sociale” e “critico” che sta alla base
della nuova sociologia della ricezione. Roscoe e als. invitano anche a non dare per scontata la
natura “sociale” della ricezione, a considerare che con sociale si possono intendere diverse
dimensioni: gusti, e schemi cognitivi, differenze sociali e culturali, ma anche contesti specifici di
uso e ricezione, che rendono la ricezione un processo almeno in parte contingente e difficilmente
teorizzabile nella sua funzione complessiva. Utilizzando diversi dati empirici Roscoe et als
avvertono che il fruitore di messaggi mediatici è attivo entro certi limiti, imposti dallo stesso testo
del quale avviene la fruizione. L’attività dei riceventi è innanzi tutto limitata dagli effetti agenda
(ovvero il fatto che i media non ci dicono che opinione avere, ma ci dicono su quali oggetti avere
una opinione, strutturano cioè le maglie delle nostre rilevanze). I media, e la televisione in
particolare, insomma impongono un’agenda al pubblico, all’interno della quale vengono messi in
evidenza alcuni argomenti all’ordine del giorno (basti pensare agli studi sul panico morale, o sugli
effetti delle paure alimentari). Roscoe et als. sottolineano inoltre che la criticità del pubblico (il suo
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potere semiotico di produrre significati) non implica che tale capacità venga declinata in senso
sovversivo o opposizionale, né tanto meno che una lettura che recupera significati marginali o che
sovverte i significati dominanti rappresenti davvero un atto politico in grado di ridefinire i codici
dominanti in chiave antagonistica. La criticità insomma non è sempre resistenza, l’attività è
limitata: non tenere presente questo significa paradossalmente dimenticare alcuni dei significati che
i riceventi traggono dai testi o considerare che le gratificazioni dei soggetti debbano sempre essere
in qualche modo sovversive: esistono insomma pubblici che traggono piacere da decodifiche
dominanti (Hall).
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