STUDI cASSIRERIANI

annuncio pubblicitario
 

Direttori
Riccardo D B
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Nicola G
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Comitato scientifico
Maurizio C
Università degli Studi di Salerno
Giuseppe D’A
Università degli Studi di Foggia
Rosario D
ISPF–CNR Napoli
Maurizio M
Università degli Studi della Basilicata
Christian M
Humboldt Universität zu Berlin
Renato P
Università degli Studi di Milano
Nicola R
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
 
Tra Ottocento e Novecento si verifica una serie di straordinarie trasformazioni nelle sintassi filosofiche. A partire dall’“eresia” marxista,
passando per l’“ultimativa” ridefinizione nietzschiana, la filosofia
cerca nuovi orizzonti e nuovi ambiti di interesse. La filosofia neocriticista in tutte le sue varianti, declinazioni ed evoluzioni, rappresenta,
da questo punto di vista, una delle risposte più ricche di significato e
di ulteriori sviluppi per la filosofia continentale, entrata in una profonda crisi epistemologica e, più generalmente, di “senso”. La collana
“Krínein” vuole allora provare a indagare questo spazio culturale,
senza particolari limitazioni e senza negarsi interferenze e diacronie
storico–concettuali. Tutto ciò, fondando la propria principale risorsa,
oltre che sull’interesse specifico degli Autori trattati, il più delle volte
con traduzioni inedite in italiano, sul lavoro intenso e pregnante di
una schiera di giovani ricercatori.
Questo volume è parzialmente finanziato da fondi di ricerca dipartimentali anno 
e anno  – Dipartimento di Studi umanistici – Università degli Studi di Napoli
“Federico II” e da «NapoliFilosofica».
Paul Natorp
La teoria cartesiana della conoscenza
Uno studio per la preistoria del criticismo
Traduzione italiana e cura di
Alessandro De Cesaris
Prefazione di
Riccardo Dottori
Copyright © MMXVI
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: maggio 
Indice

Prefazione. La filosofia critica
di Riccardo Dottori

Introduzione
di Alessandro De Cesaris

Nota del traduttore
La teoria cartesiana della conoscenza

Prefazione

I. La fondazione cartesiana di una scienza dell’intelligenza
umana, sviluppata a partire dalle Regulae ad directionem ingenii

II. Il principio del dubbio e la fondazione gnoseologica del « cogito
ergo sum »

III. Il criterio della percezione chiara e distinta e la sua fondazione sulla veridicità di Dio

IV. La dimostrazione della realtà dell’esperienza. La distinzione
dell’anima dal corpo e la realtà del mondo corporeo

V. La rappresentazione cartesiana del sistema della natura

VI. Lo sviluppo della visione meccanicista della natura nell’epoca moderna fino a Descartes e Hobbes

Appendice. Il giudizio di J. Baumann su Descartes nell’opera Le
dottrine dello spazio, del tempo e della matematica nella
filosofia moderna (I, –)

Prefazione
La filosofia critica
R D
La traduzione di questo testo, che può ben dirsi uno dei primi e
più significativi scritti di Natorp, è certamente importante non solo
per la diffusione del suo pensiero in Italia, ma per l’importanza che
esso riveste all’interno dello sviluppo del Neokantismo e per il ruolo
che esso ha avuto nella critica che il giovane Heidegger rivolge a
Husserl nelle prime lezioni tenute a Friburgo: anzitutto la Lezione
del semestre di guerra del , L’idea della filosofia e il problema della
Weltanschauung, la successiva Lezione del semestre estivo del ,
Fenomenologia e filosofia trascendentale dei valori, quindi la lezione del
–, Interpretazione fenomenologica di Aristotele. Introduzione alla
ricerca fenomenologica, e infine la Lezione a Marburgo nel –,
Introduzione alla ricerca fenomenologica (Einführung in di phänomenologische Forschung), ove la critica a Husserl si fa radicale. Questa Lezione
inizia infatti con un primo capitolo sul concetto di phainomenon e di
logos in Aristotele, per passare poi alla fenomenologia contemporanea che, così come è stata sviluppata da Husserl, è una riduzione di
un vero metodo fenomenologico tramite il concetto di coscienza,
e della certezza della coscienza come fondamento inconcusso della
verità. Parallelamente a questo abbiamo il cosiddetto Natorp–Bericht,
Rapporto a Natorp, che porta il titolo: Relazione sulla situazione ermeneutica. Questo scritto rimanda naturalmente alla Lezione dell’anno precedente: Ermeneutica della fatticità, in cui viene fissato già il
programma del passaggio della Fenomenologia in Ermeneutica, e
Aristotele viene indicato, assieme ad Agostino, Kierkegaard e Lutero, tra coloro che avevano già aperto la via dell’ermeneutica. Il
Natorp–Bericht, ritrovato nelle carte di Georg Misch dopo che per
anni era stato dato per scomparso, è uno scritto importante, perché
vi ritroviamo una magistrale interpretazione di Aristotele in chiave
anti–husserliana, con la differenziazione dei tre tipi di sapere, il sape

Riccardo Dottori
re puramente teoretico (la episteme che contempla l’essere in quanto
essere nella sua pura presenza), il sapere tecnico, ovvero il sapere come
si fanno le cose, e infine il sapere che appartiene all’agire, il sapere
pratico. Questo scritto viene molto apprezzato da Natorp, tra l’altro
autore del libro su Platone, e conoscitore della filosofia antica, e gli
vale la chiamata a Marburgo.
Il motivo per cui Heidegger si rivolse a Natorp sta, oltre la opportunità della carriera accademica, senz’altro anche nel fatto che la
saldatura da lui operata tra il pensiero di Cartesio e quello di Kant,
operata dal libro di Natorp, costituiva quella filosofia che distruggeva
la metafisica classica, ma per sostituirla con una filosofia della coscienza, in cui questa prendeva il posto dell’antico concetto della sostanza
e diveniva la soggettità del Soggetto assoluto. Per lo stesso motivo
Husserl si rivolge non solo a Kant e al principio del trascendentale
ma essenzialmente anche a Cartesio e al principio del Cogito per trovare quella certezza di sé assolutamente pura, base della epoché, della
astrazione da tutti i fenomeni del mondo esterno per guadagnarne
tramite le sue idee il principio della realtà oggettiva dei fenomeni. E
questo è anche il motivo opposto per cui Heidegger sente la necessità di coinvolgere Cartesio nella sua critica a Husserl, nello stesso
anno in cui Husserl scriveva le sue Meditazioni cartesiane, così come
Aristotele; ma non si tratta con quest’ultimo di una semplice affermazione di realismo contro l’idealismo, né la semplice esistenza, il
sum cogitans dell’ego, né la realtà esterna delle cose ci dicono alcunché
sul loro autentico essere. Bisogna cercare il senso dello ego sum, che
deve portare con sé, nell’esperienza vissuta il senso della vita. Per
questo bisogna ritornare all’Etica di Aristotele, alla mistica di Lutero
al senso dell’esistenza nel senso kierkegaardiano dell’esistere.
Natorp dunque, con quest’opera sulla filosofia critica di Descartes
e Kant, che egli tenta in ogni modo di ridurre a un pensiero unitario, era l‘avversario diretto di Heidegger, che non aveva mancato
di criticarlo apertamente nella sua lezione del semestre di guerra
del . Ma egli lo aveva presentato anche come colui che aveva
giustamente già criticato il metodo fenomenologico così come era
stato impostato da Husserl, anzi come l’unico che avesse fatto fino ad
allora una critica scientificamente significativa alla fenomenologia,
alla quale Husserl non aveva ancora saputo rispondere. Se infatti il
metodo fenomenologico si basa sulla riflessione nella corrente delle
nostre esperienze vissute per descriverle, il proposito è giusto, poiché
le esperienze vissute sono esse stesse atti coscienti; questa riflessio-
Prefazione

ne sul vissuto però fissa e separa chimicamente gli atti intenzionali
dell’esperienza e li rende oggetti teoretici, li sussume sotto concetti
universali e li sottopone ad astrazione e mediazione, oggettivandoli.
Così si perde però descrizione del loro stato immediato, e l’immediatezza del fenomeno della esperienza vissuta va perduto nella legge
dell’esperienza, divenendo un oggetto, un qualcosa che è soggetto
ad una legge nell’unità della coscienza. Questa molteplicità degli
oggetti può secondo Natorp essere di nuovo portata all’unità della
coscienza tramite l’azione del soggetto, ma questo metodo della soggettività appare a questo punto posteriore e subordinato al metodo
della oggettivazione della riflessione, che procede alla ricostruzione
dell’unità.
La costruzione dell’unità degli oggetti dell’esperienza tramite la
loro complessione è perciò sempre una ricostruzione di una unità
oggettiva che la precede, e il problema è trovare (o fondare) l’unità di
entrambi i movimenti della oggettivazione della soggettivizzazione,
che deve valere sia per la coscienza estetica, come per la logica, per
l’etica, e per quella religiosa, e di cui la filosofia è la conclusione e
la completezza scientifica. Questa unità della coscienza che costituisce tramite l’unità della legge la stessa unità della molteplicità degli
oggetti dell’esperienza è l’equazione fondamentale della coscienza
che Kant ha pensato nel modo più rigoroso, e che Natorp ha ricondotto alla Idea di Platone e alla sua funzione dello unificare (syllabein
eis hen); essa è anche il termine ultimo, infinito, in cui le due vie
dell’oggettività e della soggettività si incontrano e sono identiche;
esso è il concreto originario (das Urkonkrete) come infinito intensivo.
Queste affermazioni che Heidegger prende nella Psicologia universale
secondo il metodo critico del tardo Natorp, pubblicata nel , quindi
 anni dopo la presente opera, ripetono fondamentalmente ciò che
in questa era già stato sviluppato e servono a lui per la sua critica a
Husserl.
Heidegger critica naturalmente anche queste conseguenze a cui
Natorp ha portato, nella sua critica a Husserl, la Filosofia critica,
bollando tutto ciò come hegelismo, come un panlogismo, in cui
è impossibile ritrovare la misura secondo la quale procedere alla
ricostruzione, tramite analisi, di ciò che era la complessione o complessità originaria; per di più, anche se questo sviluppo fosse possibile,
questo concreto ultimo non sarebbe più quella immediatezza originaria che Husserl cercava e non era in grado di spiegare e comprendere,
ma sarebbe di nuovo mediazione, così come è in Hegel. Così anche

Riccardo Dottori
Natorp finisce nella idea della mathesis universalis, come Leibniz e in
fondo anche lo Hegel della Scienza della logica: non in una psicologia
concreta, ma in una logica della psicologia, o in una psico–logica,
mentre la psiche di cui trattiamo non ci presenta mai quella assoluta
conformità a leggi che secondo Natorp è invece insita nella possibilità
dell’esperienza. Heidegger sostiene perciò che egli non è riuscito
a darci un metodo, quello che egli intende per metodo autentico e
che dovrebbe essere il metodo della autentica fenomenologia, che
non è un sapere che cosa, ma un sapere come si può procedere nella
autentica descrizione dei fenomeni della vita, sempre in divenire e
mai conclusi.
La verità è che, come ha sempre detto Gadamer, il Neo–kantianismo non è in realtà un ritorno a Kant, ma un ritorno a Fichte: questa
unità di oggettività e soggettività, di costruzione e ricostruzione, di
unità originaria della coscienza che costituisce l’unità dell’esperienza,
come unità analitica e unità sintetica, è garantita dal Porre dell’Io che
si contrappone il Non–Io e lo riconduce sotto le proprie leggi, nella
progressiva determinazione dell’esperienza che è l’autodeterminazione infinita dell’assoluto, e della vita stessa. Questa determinazione
reciproca come autodeterminazione dell’Io tramite il Non–Io è la
praktische Geschichte des menschlichen Geistes, la storia pragmatica dello
spirito umano, che ci vien esposta nella Dottrina della scienza, e il cui
fine ultimo è il principio della ragion pratica, dell’esperienza morale come fondamento e garanzia della stessa conoscenza teoretica,
nell’unità della vita. Non per nulla Natorp ricorre a Descartes come
autentico fondatore della filosofia critica, prima di Kant, e vede in Dio
la garanzia della certezza della conoscenza e del superamento del
dubbio non come un deus ex machina, ma come il principio del vero
in quanto principio oggettivo della unitarietà dell’esperienza del soggetto, del cogito. Heidegger, alla fine di questo stesso capitolo, in cui
porta avanti per conto proprio la spiegazione fenomenologica della
sfera del vissuto e ne ricerca il metodo, ci dice che il metodo vero di
ogni fenomenologia consiste fondamentalmente nella comprensione
empatica della vita, nella Lebenssympathie, che è lo stesso habitus fenomenologico, cioè l’attenta presa di coscienza del nostro vissuto, il
continuo vivere in questa coscienza che è il crescente potenziamento
della vita, che possiede in sé la motivazione della conoscenza.
Gadamer, che ha vissuto in quegli anni a Marburgo e ha visto
Heidegger e Natorp passeggiare insieme per la città, parlando e
discutendo, ci raccontava che in questo colloquio si vedevano due
Prefazione

persone, il piccolo Heidegger, e il Natorp che era quasi un nano,
unite da una profonda comprensione reciproca, da un profondo
rispetto ed affetto, ispirando in tutti coloro che li incontravano tanta
Lebenssympathie.
Purtroppo questo idillio durò poco; Natorp morì nel , quando
Heidegger aveva appena terminato la sua prima lezione a Marburgo.
Introduzione
A D C
Paul Natorp si abilitò all’insegnamento nel , un anno dopo essersi trasferito presso l’Università di Marburgo, dove studiava sotto la
guida di Hermann Cohen . Al tempo era un giovane ventisettenne,
approdato nello Hessen dopo aver cambiato più volte città, studi e
interessi. La sua Habilitationsschrift, che sarebbe stata pubblicata l’anno successivo, rappresenta senz’altro il punto d’avvio di un percorso
di ricerca il quale — pur mantenendo intatta la varietà di interessi
del giovane Natorp, che spaziano dalla musica alla pedagogia, dalla
politica alle scienze esatte — si svilupperà coerentemente a partire
dagli assunti teorici del maestro Cohen, conservandone le domande
fondamentali pur nel divergere delle soluzioni e delle scelte teoriche .
In questo senso, un primo interesse dell’opera consiste certamente
nell’essere al tempo stesso una testimonianza capitale del nucleo
teorico intorno al quale si svilupperà l’intera opera natorpiana, e un
testo capace di rappresentare nei suoi tratti essenziali l’impostazione
storico–teorica del neokantismo marburghese.
Proprio nel nesso tra sforzo storiografico e lavoro teorico risiede
la peculiarità del testo, in questo fedele allo spirito della “riscoperta”
del criticismo ad opera di Cohen. In prima battuta, infatti, lo scritto
natorpiano è uno studio storiografico sul pensiero di Descartes. Molti
sono i suoi meriti da questo punto di vista: la rinnovata attenzione al
testo delle Regole, al tempo considerato come un immaturo sforzo
giovanile ; lo sforzo di una lettura sistematica dell’opera cartesiana;
l’analisi comparativa dei contributi di Descartes, dei suoi predecessori
e dei suoi contemporanei in rapporto all’evoluzione del pensiero
. Per una più dettagliata esposizione della biografia di Natorp si veda M. F, Il
giovane Cassirer e la scuola di Marburgo, FrancoAngeli, Milano , pp. –.
. Ivi, p. .
. Lo stesso Natorp lo riconosce nel discutere le posizioni di J. Baumann. Cfr. P. N,
“L’evoluzione di Descartes dalle Regole alle Meditazioni”, trad. it. di R. De Biase, in Archivio di
Storia della Cultura, Anno XIX — , pp. – (in particolare p. ).


Alessandro De Cesaris
scientifico moderno. Soprattutto, il lavoro di Natorp determinerà la
centralità della figura di Descartes nei futuri progetti storiografici
dei maggiori esponenti della scuola di Marburgo, influenzando il
suo stesso maestro e avviando un percorso che sarebbe culminato
nella monumentale ricerca cassireriana sulla storia del problema
della conoscenza nell’età moderna . Lo stesso Martin Heidegger
d’altronde, che di Natorp fu allievo e poi collega, avrebbe trovato
nell’interpretazione natorpiana di Descartes un punto di riferimento
decisivo .
In seconda battuta, tuttavia, l’analisi che Natorp fa del pensiero
cartesiano introduce a una serie di questioni che non solo possono essere riconosciute come le domande centrali del dibattito neokantiano
dell’epoca, ma che sono enfatizzate nel proprio carattere di questioni originarie della filosofia in quanto tale. Su tutte, la questione del
rapporto tra pensiero scientifico e pensiero filosofico, e del rapporto
tra teoria della conoscenza e metafisica, sono certamente le due che
vengono poste nel modo più esplicito e deciso.
In questa breve introduzione, piuttosto che offrire una esposizione del contenuto dell’opera — operazione dalla quale, d’altronde,
non ci si potrà esimere che in parte — sarebbe forse utile soffermarsi
sulla domanda che dovrebbe precedere qualsiasi lettura filosofica:
perché leggere Natorp? Ma soprattutto, perché leggere Natorp oggi?
La risposta a queste due domande non può essere data se non rivolgendosi a quei punti salienti del progetto teorico natorpiano, a quegli
aspetti che determinano al tempo stesso la sua importanza storica e
la sua attualità. In breve: la sua classicità.
. La seconda edizione della Kants Theorie der Erfahrung presenterà un breve capitolo su
Descartes, in cui Natorp è diffusamente citato. Cfr. H. C, Kants Theorie der Erfahrung.
Zweite Auflage, Berlin , pp. –.
. E. C, Storia della filosofia moderna, trad. it. di A. Pasquinelli,  voll, Einaudi,
Torino . Si veda in particolare Vol. I, pp. –. Con alcune divergenze, l’impostazione
cassireriana è chiaramente debitrice al modo in cui Natorp aveva inquadrato il problema del
pensiero cartesiano. In particolare la distinzione tra un Descartes “gnoseologo” e un Descartes
“metafisico”, ma soprattutto la centralità del testo delle Regole, diventeranno alcuni dei tratti
caratteristici dell’interpretazione marburghese del testo di Descartes. A riguardo si veda anche
R. D B, “Note introduttive a L’evoluzione di Descartes di P. Natorp”, in Archivio Storico della
Cultura, Anno XIX — , pp. –, in particolare p. .
. Su questo punto cfr. E. D, Descartes à Marbourg, in M. F, J.L. M
(a cura di), Descartes en Kant, PUF, Paris , pp. –. Cfr. anche R. M, Soggetto e
modernità. Hegel, Nietzsche, Heidegger interpreti di Cartesio, FrancoAngeli, Milano , p. .
Introduzione

Il progetto di una preistoria del criticismo e i tratti caratteristici
della storiografia filosofica marburghese
Il titolo dell’opera — Descartes’ Erkenntnistheorie. Eine Studie zur Vorgeschichte des Kriticismus — riassume senz’altro, come lo stesso autore
ammette, i motivi e le tesi principali alla base dell’intero lavoro. Nella
lettura del titolo, ovviamente, ne va dell’interpretazione stessa del
criticismo in quanto tale, interpretazione che era già stata delineata
nei suoi tratti fondamentali da Hermann Cohen .
Già nell’opera del suo maestro e relatore l’obiettivo principale era
quello di fornire una fondazione filosofica della validità del discorso scientifico, in particolare attraverso l’elaborazione di una teoria
dell’esperienza e della legalità dell’intelletto puro il cui modello è il
criticismo kantiano .
Eppure, e qui si trova una delle peculiarità della via marburghese,
non è possibile limitarsi a Kant: compito del filosofo è piuttosto
riconoscere il problema della scienza come questione eterna della
filosofia, mostrando al tempo stesso la continuità e l’evoluzione dei
problemi, delle difficoltà e delle soluzioni offerte nel corso della storia
del pensiero occidentale.
Questa profonda sinergia di lavoro storiografico e teorico, la peculiarità dei problemi e dei principi della ricerca emergono chiaramente
nel lavoro di Natorp: il progetto di una preistoria del criticismo mira
a riconoscere la portata storica della rivoluzione kantiana, inquadrandola contemporaneamente in uno scenario che vede in questa
rivoluzione stessa il culmine di un processo irregolare, il punto d’arrivo di un questionare che interessa la filosofia sin dalle sue origini.
Il senso della storia della filosofia consiste proprio nel portare alla
. Sull’importanza della figura di Cohen nello sviluppo dell’impostazione storiografica e
teorica di Natorp si veda P. N, Kant e la scuola di Marburgo, in I., Tra Kant e Husserl. Scritti
–, a cura di M. Ferrari e G. Gigliotti, Le Lettere, Firenze , pp. –.
. Per una presentazione generale del pensiero di H. Cohen si veda M. F, cit.
pp. –; G. G, Avventure e disavventure del trascendentale. Saggio su Cohen e Natorp,
Guida, Napoli . Cfr. anche H.G. G, Die philosophische Bedeutung Paul Natorps, in
P. Natorp, Philosophische Systematik, Meiner Verlag, Hamburg , p. XI. Lo stesso Natorp
criticherà a Cohen di aver limitato i propri sforzi teorici all’ambito delle scienze naturali. Cfr. P.
N, Hermann Cohens Philosophische Leistung unter dem Gesichtpunkte des Systems, Berlin ,
p. . Sulla questione dell’esperienza si veda J. S, Ursprung und System. Probleme der
Begrndung, systematischer Philosophie im Werk Hermann Cohens, Paul Natorps und beim frühen
Martin Heidegger, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen , pp. –.

Alessandro De Cesaris
luce questa coerenza e questa continuità, recuperando ciò che nel
pensiero ha valore al di là delle scansioni temporali.
Natorp scrive esplicitamente che il lavoro storiografico è « un
mezzo, e non un fine ». L’obiettivo della storia della filosofia, cioè,
è “fare chiarezza” su ciò che è sempre stato un problema, ovvero di
quei nodi problematici che appartengono alla ragione in quanto tale,
considerata nella sua unità . L’idea di Natorp è dunque certamente
quella di una philosophia perennis , unitariamente leggibile sulla base
di una selezione di problemi dalla quale va espunto ciò che è solo contingente e contestuale. Solo sulla base di questa impostazione Natorp
può affermare di non temere che il suo lavoro venga interpretato
come il prodotto di uno storicismo fine a se stesso .
In un’opera di poco successiva sulla filosofia antica Natorp rigetta nel modo più esplicito qualsiasi interesse storiografico fine a se
stesso . Il compito dello storico della filosofia non è antiquario, ma
teorico: si studiano i filosofi del passato solo in quanto essi hanno
detto qualcosa che per noi è ancora di importanza decisiva. Solo così
Natorp può affermare che è perfettamente legittimo interpretare le
filosofie precedenti alla luce di quelle successive, dal momento che
spesso è solo ciò che segue a rendere espliciti i motivi profondi di
ciò che precede: sarà così per Platone, la cui filosofia è perfettamente
intelligibile solo a partire da Kant ; è così per i filosofi antichi, e lo
è anche per Descartes, il cui pensiero viene analizzato alla luce del
criticismo e valutato in base a quest’ultimo.
Lo sfondo della ricerca, tuttavia, è pur sempre costituito dal problema del rapporto tra scienza e filosofia. Valutare la filosofia cartesiana e individuarne lo spirito più autentico è un’operazione di
fondamentale importanza proprio perché è in gioco la possibilità che
la filosofia sia riconosciuta — anche effettivamente, nell’evidenza
del dato storico — come un motore imprescindibile per il progresso
della scienza. Proprio così scrive Natorp nelle battute finali dell’opera:
. Infra, p. . Il problema dell’unità della ragione viene riconosciuto da Gadamer
come problema fondamentale del pensiero di Natorp. Cfr. H.G. G, Die philosophische
Bedeutung Paul Natorps, cit. p. XI.
. Infra, p. .
. Infra, pp. .
. P. N, Forschungen zur Geschichte des Erkenntnissproblems im Altertum, Berlin , p.
V.
. Ibidem. Cfr. P. N, Platos Ideenlehre. Eine Einf ührung in den Idealismus, Leipzig ,
pp. VI–VII.
Introduzione

la tesi di fondo è che fosse possibile « porre in collegamento la storia
della teoria filosofica della conoscenza con la storia della conoscenza
scientifica stessa, in modo che i compiti e i concetti fondamentali della prima emergessero dal contesto della seconda » . Questo incontro
tra filosofia e scienza fa da garante alla concretezza e all’autenticità
del lavoro filosofico, che non deve mai disputare di “ombre e parole”,
bensì essere sempre capace di riconoscere ciò che effettivamente
costituisce un problema per il sapere. Proprio la distinzione tra problemi e pseudoproblemi, oltretutto, è l’obiettivo principale di Natorp,
e il motivo del suo bisogno di congedare definitivamente l’ontologia
— che con la scienza avrebbe molto poco a che fare — in nome della
teoria della conoscenza, che della scienza è invece fondamento e
supporto necessario.
In questo senso non è affatto solo una “gradita aggiunta” — come
Natorp scrive — il fatto che il testo si concluda con un intero capitolo
dedicato a un’analisi comparativa dei precursori e dei contemporanei di Descartes. Al contrario, parte fondamentale del suo lavoro
è proprio l’aver mostrato in che modo gli stessi identici problemi
teorici, e talvolta addirittura le stesse soluzioni, siano emersi tanto
nella filosofia cartesiana quanto nei trattati scientifici di Keplero, Galilei e successivamente Hobbes. In questo modo Natorp anticipa
certamente le posizioni che più tardi saranno proprie della corrente
neopositivista.
Apertissima, tuttavia, rimane la questione del rapporto tra metafisica e teoria della conoscenza nel pensiero di Descartes. Se è vero —
come Natorp stesso sembra suggerire — che la nascita nella scienza
moderna va rinvenuta nell’abbandono della metafisica in nome della
gnoseologia, la vera domanda è — dal punto di vista teorico — come
pensare il rapporto tra le due, e soprattutto — dal punto di vista
storiografico — come interpretare ciò che nel pensiero di Descartes
appare nel modo più incontrovertibile come metafisica.
L’interpretazione della filosofia cartesiana come una teoria della
conoscenza
Così si spiega il titolo, che vorrebbe investigare la “teoria della conoscenza” di Descartes. Su questo punto Natorp è esplicito fin dalla
. Infra, p. .

Alessandro De Cesaris
prima pagina del testo: la tesi portante dell’intero lavoro è che la
filosofia cartesiana sia, nel proprio spirito più autentico, non una metafisica ma piuttosto una gnoseologia, e una gnoseologia di stampo
critico–trascendentale. La grandezza di Descartes, anzi, consisterebbe proprio nell’aver introdotto nella modernità l’esigenza di spostare
lo sguardo filosofico dall’oggetto della conoscenza al conoscere in
quanto tale . Lo stesso Cassirer, nella sua monumentale opera storiografica sul problema della conoscenza nella modernità, avrebbe
riconosciuto in Descartes colui che per la prima volta ha posto l’esigenza di un metodo che sia al tempo stesso produttore dei contenuti
cui esso si applica . Solo a partire da questa esigenza, infatti, sarebbe
possibile pensare finalmente l’unità di essere e pensare, e quindi l’impossibilità di distinguere metafisica e gnoseologia. Se ciò determini la
fine della metafisica in quanto tale, o la sua trasformazione in qualcosa d’altro, è questione delicatissima che non è possibile affrontare in
questa sede, ma che nondimeno si rivela decisiva per comprendere
la peculiarità dell’impostazione natorpiana del problema.
Nella lettura del giovane Natorp, infatti, la contrapposizione tra
metafisica e teoria della conoscenza è esplicita e radicale. Solo in
base a questa contrapposizione è possibile distinguere un Descartes
“critico” da un Descartes “metafisico”, e misurare la portata della sua
filosofia sulla base dell’adesione a una impostazione squisitamente
teoretico–conoscitiva .
Qui, oltretutto, si registra una certa differenza tra l’analisi che
Natorp fa di Descartes e quella — ben più circostanziata e approfondita — che egli dedicherà a Platone nel suo lavoro più famoso,
la Ideenlehre. Se in questa, infatti, Platone è riconosciuto senza mezze misure come un autentico precursore del criticismo, un filosofo
nei cui dialoghi l’elemento critico–trascendentale traspare nel modo
più evidente, per quanto riguarda Descartes Natorp è decisamente
più cauto: nel pensiero del filosofo francese si può individuare una
ispirazione originaria di stampo critico, così come il merito di aver
. Infra, pp. –.
. E. C, Storia della filosofia moderna, cit., I, pp. –: « Cartesio è considerato il
fondatore della filosofia moderna non perché mette in prima linea l’idea del metodo, ma perché
vi coglie un nuovo còmpito. Non soltanto la struttura formale, ma anche l’intero contenuto
della conoscenza pura deve venir ricavato e dedotto in una concatenazione ininterrotta da un
originario principio metodico ».
. Sarà questa, d’altronde, la stessa strategia seguita dal giovane Cassirer, con la differenza
che egli preferirà dedicare una analisi specifica anche alla metafisica cartesiana. Cfr. ivi, p. .
Scarica