a Maddalena, mia madre, ...a mio fratello Giovanni, a mio padre

a Maddalena, mia madre,
...a mio fratello Giovanni,
a mio padre Domenico...
con noi, sempre
zero
Turre, 22 dicembre 2013
«Non sei morta».
Sono le braccia provvidenziali del signor Coràla a sollevare la
testa di Tiziana di un palmo da terra. È lui stesso a darle la notizia. «Non sei morta. Sono Augusto Coràla. E tutto va bene».
uno
Un’ora prima
Un colpo di nocca sulla porta del bagno, Paolo sistema il nodo
della cravatta e scalpita. «Allora sei pronta, Titty?».
«Macchè, sto a zero! È successo un casino, la piastra è andata
in tilt!».
«Ah, la piastra?».
«Non posso più stirare i capelli, ho una criniera di leone in
testa. Devo rifare lo shampoo e mettere i bigodini, e che sfiga
capitano tutte a me!».
«E io cosa faccio?».
«Ma che ne so! Scendi, fatti un giro e compra qualcosa per quei
due, ti chiamo appena sono pronta e ti raggiungo in centro».
«Ma cosa devo prendere per quei due?».
«Quello che ti pare».
«Ma io non so...».
«Amo’ non ti ci mettere pure tu, ho un diavolo per capello,
smamma che stasera gira tutto per traverso!». Chiusa lì dentro
Tiziana stronca ogni speranza, a lui non resta che infilare giacca,
cappotto e porta di casa. Mentre si avvia per uscire, dal televisore acceso nel soggiorno qualcuno chiede: «Siete sicuri che una
storia come questa a voi non possa capitare?». Paolo preme il
tasto off del telecomando. Nel silenzio, si ferma davanti alla
finestra e lancia uno sguardo distratto fuori.
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Piove, stasera si alza un vento freddo, debole ma pungente.
La città è illuminata a festa, bagliori natalizi screziano di riflesso
il vetro. Le tende giallo ocra diffondono all’interno un alone
caldo. Fosse per lui, non metterebbe il naso fuori. Scende sei
piani di scale controvoglia; prima di uscire si trattiene sulla soglia del portone e alza il bavero del cappotto. Un brivido di gelo
gli morde i piedi ma almeno non piove più, è andata bene visto
che ha dimenticato l’ombrello, come al solito.
Fuori c’è l’aria frenetica del sabato sera. Una strana euforia lo
prende al primo incrocio a due isolati da casa. Fermo al semaforo in attesa che scatti il verde batte i piedi a terra per il freddo e
l’impazienza. Gli occhi cadono sulle punte dei mocassini troppo
leggeri. Intorno a lui una folla in moto continuo. A fine giornata
i negozi tirano giù le saracinesche e il traffico si fa più intenso.
Il frastuono della città che torna a casa si incrocia al trambusto
dell’altra città, quella che alla stessa ora esce e si riversa in strada
a piedi, su due ruote, su quattro o su una nuvola. Una nuvola? La
strana immagine lo coglie di sorpresa. Ma cos’è?
È stato un attimo. Il verde tondo ha sparato il suo omino a
gambe tese. Incantato a fissare i piedi, Paolo ha rialzato la testa
di scatto e col naso ha sfiorato qualcosa: capelli di donna, gonfi
e chiari come zucchero filato. La nuvola soffice gli si è parata in
faccia senza preavviso e ha coperto ogni altra cosa. Quando il
campo visivo è tornato sgombro, il disco rosso si è piazzato di
nuovo in cima alla colonna del semaforo, imperioso.
Quella donna vaporosa ora non c’è più: inabissata nella folla
in movimento, disciolta come una nuvola di zucchero filato tra
le labbra di un bimbo ingordo.
Lo sguardo di Paolo gira intorno come la punta di un compasso, cerca tracce della visione che lo ha avvolto. Qualche coppia
stretta sottobraccio, donne a passeggio o indaffarate, bambini accucciati contro le gambe dei genitori, ragazzini a gruppi chiassosi, anziani in tiro e altri cadenti come vecchie case, adulti dall’aria
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tirata, il passo spedito e per lo più soli. Intorno a lui altro non c’è.
Si ritrova con le dita sul naso, come si fossero incollate alle
narici. È per l’umore dolce e appiccicoso che gli ha lasciato la
donna della nuvola quando lo ha sfiorato. Ma forse c’è dell’altro: una curiosa sensazione di imminenza gli è calata addosso.
Gli occhi si perdono in lontananza, incantati dalle luminarie
che brillano più intense ora che anche l’ultima saracinesca è
chiusa e le insegne dei negozi si spengono a catena. I riverberi
brillano esaltati dal velo di gocce d’acqua che la pioggia ha lasciato sulle cose. Ogni lampione dice la sua col decoro artistico di luci colorate, ogni palazzo tende un laccio all’edificio di
fronte e appende festoni luminosi di colore diverso. Più giù, in
fondo al corso e giusto al centro di Piazza dei Conforti, svetta
il grande albero di Natale, il puntale buca il cielo scuro con la
fiamma di luce intermittente.
Non si è ancora mosso da lì; ha fatto solo qualche giro su se
stesso e quando alza lo sguardo sul semaforo il rosso diventa
giallo lampeggiante, a oltranza. Tocca a lui decidere quando attraversare e se.
Di fronte c’è il rettilineo del Corso Principati, alle spalle il tratto gemello della stessa strada; sulla destra e sulla sinistra, dopo la
breve zona transitabile, parte un intrico di viuzze che si addentrano nel cuore del centro storico: è la zona ristrutturata, il salotto
buono della città. Ma in fondo a questo gioiello antico basta un
niente – l’angolo di un vicolo che piega brusco, un muro scalcinato che copre la vista al resto – e ti ritrovi nei Quartieri Bizantini: Vecchio Levante e Vecchio Ponente, a te la scelta.
Quando Paolo decide di non decidere, un muro di automobili gli impedisce di attraversare. L’alternativa è proseguire di lato:
destra o sinistra? Tanto è lo stesso, deve solo fermarsi a un bar
o a una pasticceria per prendere una bottiglia di spumante e due
paste secche con le mandorle da portare a quei due, Girolamo
e Alessandra.
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Si avvia senza convinzione. Nella mente un solo pensiero
di senso compiuto: non è il caso di presentarsi a mani vuote a una
cena che di vuoto già lascerà lo stomaco. Ride tra sé e sé come ogni
volta che li immagina seduti a tavola, ma stasera gli riesce un
mezzo sbuffo svogliato. «Sono soltanto una curiosa coppia di
intellettualoidi stagionati» sentenziò Tiziana facendo il verso al
loro modo di parlare forbito quando glieli presentò. «Il marito
ostenta indifferenza ai piaceri della tavola ma la cruda verità è
che Alessandra non è un asso in cucina».
Ma come è saltato in mente a Titty di accettare l’invito a cena? E pure
di sabato per inguaiarci meglio la serata. Boh, chi le capisce le femmine! E
chissà quanto ci vorrà per rifarsi la piega. Ci metterà un’eternità come al
solito, manco dovesse rifarsi la testa e tutto quello che ci tiene dentro... E
magari lo facesse! Paolo si tortura sull’angolo di un bar tabacchi: gli
vengono in mente una a una le lunghe attese che gli tocca patire
quando lei decide di farsi bella, shampoo incluso, per le uscite
più impegnative.
Entra nel bar, ordina un caffè schiumato ma il ragazzo dalla
pelle scura imbalsamato dietro il banco sembra non avere fretta
di armare la macchina che sbuffa vapore a vuoto. Paolo realizza
di non essere mai stato qui prima di stasera, non saprebbe neanche dire se si trova in direzione di Levante o di Ponente. Senza motivo sente all’improvviso di avere fretta, teme che i tempi
di Tiziana per shampoo e piega siano già decorsi da un pezzo.
Intorno allo specchio gigantesco, sulla parete dietro la macchina per il caffè, spicca una robusta cornice finto barocco ingioiellata di punti luminosi. Nella solida geometria racchiude, di
riflesso, la confusione di immagini che brulica all’interno e va a
moltiplicarsi, oltre la porta a vetri, all’esterno di questo esercizio commerciale.
La stessa confusione che formicola nella testa e nelle gambe
di Paolo.