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Clarice delle Donne
Dei difficili ed irrisolti rapporti tra cautela di pagamento, titolo esecutivo e disciplina restrittiva
dell’intervento nell’espropriazione: un caso esemplare di denegata tutela.
1.- Antefatto e profili giuridici
La vicenda che ha originato l’ordinanza in commento, resa in esito al reclamo avverso un
provvedimento di rigetto di un’istanza ex art. 700, appare per molti versi emblematica.
Essa si colloca in quel terreno di confine ove il bisogno di tutela non pare trovare adeguati sbocchi
se non nella cautela atipica, ma con la peculiarità, finora inedita, che il provvedimento di condanna
richiesto ex art. 700 avrebbe dovuto consentire, al creditore in stato di bisogno, l’intervento
nell’espropriazione dell’unico bene del debitore già in fase di vendita. Ciò in quanto, a seguito della
nuova disciplina che limita l’intervento nell’espropriazione singolare, ex ceteris, ai creditori titolati,
proprio il provvedimento d’urgenza, visto come titolo esecutivo, si sarebbe rivelato l’unico sistema
(consentendo la partecipazione alla distribuzione del ricavato dell’unico bene del debitore) per
ottenere almeno una parte del dovuto. Il caso di specie è dunque il crocevia dove il tema ormai
classico dell’utilizzo della cautela d’urgenza per la tutela di bisogni primari attraverso la condanna
al pagamento di somme incontra i nuovi scenari aperti dalla riforma del 2005 che ha chiuso
l’espropriazione ai creditori chirografari non titolati, se non con limitate eccezioni.
Le ragioni per cui il provvedimento d’urgenza avrebbe dovuto essere concesso e per le quali invece
la sua negazione ha creato un intollerabile vuoto di tutela risulteranno evidenti dall’illustrazione
della complessa vicenda da cui, come si accennava, il provvedimento in commento ha avuto
origine.
A seguito dell’interdizione legale di una cittadina per malattia mentale, il suo patrimonio è affidato
in gestione ad un curatore che, dopo qualche anno, chiede ed ottiene di essere sollevato
dall’incarico per motivi personali.
Il nuovo curatore ha però modo di verificare una serie di irregolarità e punti oscuri nella precedente
gestione, risultando, oltre che una forte passività nei conti bancari, anche un grosso ammanco di
denaro che, dai rendiconti presentati, non appare in alcun modo giustificabile.
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A fronte di questa disastrosa situazione economica, imputabile ut supra al curatore, stanno i bisogni
dell’interdetta, che richiedono un apporto di denaro mensile per le spese ordinarie e quelle mediche:
la cittadina, non idonea a prendersi cura di se stessa, vive presso una famiglia di amici che se ne
occupano con grande giovamento per le sue condizioni di salute, ma che non potranno più farlo
senza un apporto economico. Proprio tale apporto tuttavia l’interdetta non è in grado di fornire a
causa della cattiva gestione del suo olim ingente patrimonio. Il rischio è dunque quello di un suo
affidamento ai servizi sociali di un luogo anche molto lontano da quello a lei familiare e nel quale
attualmente vive assistita da suoi amici, se nelle more non le è possibile far fronte alle ingenti spese
necessarie al suo stato morboso e al suo ordinario mantenimento. Si profila dunque chiaramente,
dalla documentazione afferente al conto della precedente gestione patrimoniale, la responsabilità del
precedente curatore legittimante una domanda di restituzioni e risarcimento danni.
In questo contesto occorre tuttavia considerare una duplice circostanza. Da un canto i bisogni della
creditrice delle restituzioni e del risarcimento richiedono una immediata disponibilità di denaro, che
non consente di attendere i tempi del giudizio ordinario di accertamento e condanna; dall’altro il
debitore, precedente curatore, ha un unico bene nel suo patrimonio, che è già oggetto di vendita
forzata. Di talchè, se la creditrice non sarà in grado di partecipare alla relativa distribuzione, anche
l’aver ottenuto un provvedimento di condanna si rivelerà, a suo tempo, una tutela solo platonica.
Questi i capisaldi che fondano l’istanza di condanna ex art. 700 avanzata dalla difesa dell’interdetta
nei confronti del precedente curatore patrimoniale: in base ai rendiconti ed alle risultanze contabili
allegate, il credito risulta provato nell’ammontare richiesto almeno sotto il profilo del fumus.
Quanto al periculum, esso è rappresentato dalla difesa della creditrice sotto un duplice profilo: in
primis i bisogni primari che richiedono l’immediata disponibilità delle somme che la negligente
gestione del resistente ha indebitamente sottratto al patrimonio dell’interdetta; in secundis la
necessità di ottenere un titolo esecutivo (il provvedimento urgente, appunto) in tempo utile per
partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita dell’unico bene del debitore, già al secondo
tentativo.
Sorprendente il provvedimento di prime cure: indipendentemente da ogni altra considerazione (id
est dalla valutazione sia del fumus che del periculum sotto il profilo sostanziale dello stato di
bisogno), per il giudice toscano il provvedimento ex art. 700 deve essere negato non essendovi
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spazio per “surrogare titoli di formazione giudiziale ovvero tipizzati in potenziale danno anche di
terzi (procedente ed intervenuti tempestivi)”.
La difesa della creditrice propone allora reclamo facendo leva sull’esistenza del fumus e del
periculum legittimanti l’utilizzo della tutela urgente. Quanto al primo, esso risulta dalla
documentazione
contabile
allegata;
quanto
al
secondo,
al
profilo
sostanziale
della
funzionalizzazione delle somme richieste a bisogni legati ai beni primari- salute e mantenimento, si
affianca quello formale della necessità di partecipare alla distribuzione del ricavato dell’unico bene
del debitore già in avanzata fase di vendita forzata. Ma anche il giudice del reclamo respinge il
ricorso, sia pure con motivazione diversa da quella di prime cure. A suo dire la condanna ex art.
700, profilandosi come totalmente anticipatoria della sentenza che la parte auspica di ottenere, si
collocherebbe fuori dell’area di operatività della tutela d’urgenza, trasformando uno strumento
cautelare in una forma di tutela sommaria del credito tout court. Difetterebbe altresì il profilo della
residualità, essendo il periculum paventato dalla creditrice, quello cioè della perdita della possibilità
di partecipare alla distribuzione del ricavato, tipico di altro provvedimento cautelare, e
segnatamente del sequestro conservativo che solo, dunque, la creditrice sarebbe stata legittimata a
richiedere.
Due sono, come già accennato, i profili giuridici che la vicenda illustrata presenta: l’ammissibilità
della condanna, ex art. 700, al pagamento di somme funzionalizzate alla tutela della salute e dei
bisogni primari della vita; la possibilità che il provvedimento di condanna pecuniaria ex art. 700
possa considerarsi titolo esecutivo ai fini dell’intervento nell’espropriazione. Trait d’union tra i due,
costruito dalla difesa della creditrice cautelare proprio sulle peculiarità del caso, è l’enucleazione di
un profilo che potremmo definire formale del periculum, che si affianca a quello sostanziale dello
stato di bisogno, e segnatamente consistente nella necessità di procurarsi in breve tempo un titolo
esecutivo per partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita forzata già in corso sull’unico
bene del debitore.
Ad essi, previo esame separato per alcuni aspetti, si rivelerà utile un approccio globale che ruota
intorno al periculum legittimante l’istanza ex art. 700.
2.-
Sull’ammissibilità della condanna pecuniaria ex art. 700: a) l’irreparabilità del
pregiudizio sostanziale
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Il rigetto del reclamo si fonda, per il tribunale di Lucca, anzitutto sulla considerazione che la
condanna ex art. 700 esibirebbe una natura totalmente anticipatoria della sentenza di merito che la
ricorrente auspica di ottenere. Essa si porrebbe perciò al di fuori dell’area cautelare, assumendo
piuttosto i connotati di una tutela sommaria tout court del credito, ben lontana dalla assicurazione
provvisoria degli effetti della tutela finale cui la legge funzionalizza invece lo strumento de quo.
L’argomentazione presenta molte sfaccettature e si è a lungo rivelata topos capace di inibire, prima
nella lezione della dottrina e poi nelle applicazioni della giurisprudenza, l’esperibilità della tutela
urgente dei diritti di credito. Essa non appare tuttavia condivisibile perché superata sotto un duplice
profilo.
In primis occorre esaminare la fisionomia del periculum in mora negli sviluppi della stessa
giurisprudenza di merito chiamata a rispondere ad emergenti bisogni di tutela soprattutto in
riferimento a diritti di immediato rilievo costituzionale, quale quello alla salute, all’integrità fisica o
ad una esistenza libera e dignitosa.
Ebbene, tali sviluppi indicano una direzione opposta a quella seguita dall’ordinanza in commento,
sul presupposto della necessarietà costituzionale della tutela cautelare, di cui quella urgente de qua
è ineliminabile espressione, secondo la lezione del giudice delle leggi.
La Corte Costituzionale afferma infatti costantemente, a far data dalla metà degli anni ottanta, che
tutte le volte in cui un diritto assistito da fumus boni iuris sia minacciato da un pregiudizio
imminente ed irreparabile nel tempo occorrente a farlo valere in via ordinaria, il giudice ha il potere
di adottare i provvedimenti che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare
provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.
La più rilevante pronuncia in tal senso,1adottata in materia di diritti patrimoniali dei pubblici
dipendenti all’epoca della loro sottoposizione alla giurisdizione esclusiva amministrativa, si
richiama al principio che la durata del processo non deve andare a danno della parte che ha ragione
cui si deve l’introduzione, nel codice di rito civile, della tutela d’urgenza dell’art. 700. L’esistenza
di un potere cautelare atipico e residuale si rivela dunque “espressione di direttiva di razionalità
tutelata dall’art. 3, 1°c. e, in subiecta materia, dall’art.113 della Costituzione”.
1
C.Cost. 28 giugno 1985 n. 190, in Foro It., 1985, I, 1881 ss, con Nota di Proto Pisani; in Dir. proc. amm., 1986, 117 ss, con
Nota di Follieri; in Giur. It., 1985, I, 1, 1297 ss, con Nota di Nigro;
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Intervenuta ancora nel 19962 la Corte arriva alla conclusione che “la disponibilità di misure
cautelari è strumentale all’effettività della tutela giurisdizionale e costituisce espressione del
principio per cui la durata del processo non deve andare a danno della parte che ha ragione, in
applicazione dell’art. 24 della Costituzione”. E’ così esplicitato apertis verbis il rapporto tra
effettività della tutela giurisdizionale e tutela cautelare e la riconduzione alla comune matrice
dell’art. 24 della Costituzione.3
Il diritto vivente forgiato dalla Consulta fornisce così un decisivo contributo all’evoluzione della
tradizionale concezione dell’irreparabilità del pregiudizio4a cui presidio l’art. 700 consente
l’adozione dei provvedimenti d’urgenza più opportuni. All’indomani dell’introduzione della norma
nel codice di rito i diritti di obbligazione si consideravano infatti, in linea di principio, estranei allo
spettro di operatività della cautela atipica, in quanto asseritamente insuscettibili di essere
pregiudicati, e men che mai in modo irreparabile, nelle more del giudizio.
La giurisprudenza costituzionale in subiecta materia spiana invece la strada alla consapevolezza
che non è possibile escludere a priori la tutela cautelare per classi di situazioni soggettive azionate
in giudizio, essendo piuttosto necessario valutare l’esistenza di un pregiudizio imminente ed
irreparabile nel caso specifico. Sfruttando appieno quest’idea, la giurisprudenza ordinaria di merito,
valorizzando alcuni contributi della dottrina5fino a quel momento privi di riscontro nella vita
2
C. Cost. 16 luglio 1996 n. 249, Giust. Civ., 1997, I, 33 ss, con Nota di Caranta.
3
C. Cost. n. 326 del 1997, in Cons. Stato, 1997, 1721, a proposito dei poteri cautelari del giudice civile, ha poi modo di
affermare che essi “costituiscono espressione del principio secondo cui ogni situazione giuridica deve trovare il suo momento cautelare, che va
configurato come componente essenziale della stessa tutela giurisdizionale”.
4
Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Padova, 1968, 270; ID., Limiti di applicazione del provvedimento d’urgenza, in
Foro It., 1953, I, 132.
5
Già Andrioli, Commento al codice di procedura civile, III ed., Napoli, 1964, IV, 251, elaborava una nozione di irreparabilità del
pregiudizio ex art. 700 molto diversa da quella proposta dal Satta (e su cui v. la nota precedente). Anche Proto Pisani, I
provvedimenti d’urgenza ex art. 700 cpc, in Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, 380 ss, ha contribuito, agli inizi degli anni
ottanta, all’allargamento dell’angolo visuale da cui guardare al pregiudizio necessario a far scattare la tutela urgente. In
particolare, l’A. ha posto l’attenzione anche sul titolare del diritto minacciato, affermando che il pregiudizio ricorra non solo
nei casi di diritto a contenuto e funzione non patrimoniale, ma anche di diritti a contenuto patrimoniale, ma a funzione non
patrimoniale ( il cui tipico esempio è la retribuzione, di cui proprio negli anni ottanta si veniva rafforzando prepotentemente
il rilievo costituzionale, come mezzo per assicurare un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore ed alla sua famiglia), nonché
per i diritti a contenuto e funzione patrimoniale, quando sussista uno scarto tra danno subito e danno risarcito, anche per
questioni temporali connesse alla determinazione del quantum, come nei casi di concorrenza sleale, ove può rivelarsi
impossibile quantificare il danno stesso.
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concreta della tutela urgente, comincia a fornire protezione ex art. 700 non solo a diritti assoluti a
contenuto e funzione non patrimoniale (quelli della personalità, delle libertà costituzionali, etc), ma
anche a diritti relativi a contenuto patrimoniale, ma a funzione non patrimoniale. Paradigmatico in
tal senso è il diritto alla retribuzione, cui è collegata la possibilità di una esistenza libera e dignitosa
per il lavoratore e la sua famiglia; vi sono poi il diritto alla salute ed in qualche caso anche i diritti
di credito in quanto tali. E ciò sul presupposto che l’irreparabilità vada valutata non semplicemente
come irrisarcibilità, ma come esistenza di un obiettivo scarto qualitativo tra il risultato ottenibile
all’esito del processo ordinario e quello che si sarebbe ottenuto con l’adempimento spontaneo.6
Una breve panoramica sulla giurisprudenza di merito evidenzia come terreno di elezione della tutela
urgente si sia progressivamente rivelato quello in cui il lamentato pregiudizio appaia rimediabile,
attraverso la tutela ordinaria, solo per il futuro, mentre l’attuale interesse del ricorrente è nell’attesa
irrimediabilmente frustrato o, al più, valutabile sul solo piano risarcitorio.7
La compiuta realizzazione del contenuto del rapporto obbligatorio o il pieno rispetto del diritto
assoluto o dello status della controparte è infatti un valore aggiunto non sempre realizzabile
attraverso il processo ordinario, collocandosi il pregiudizio irreparabile nell’insieme dei riflessi
negativi proiettati su tutta la sfera (patrimoniale e non) del soggetto leso dall’inadempimento o dal
mancato rispetto del diritto assoluto o dello status, e che solo mediatamente sono riconducibili ad
esso.8
I giudici di merito si mostrano cioè attenti alla componente materiale del periculum in mora, inteso
come probabilità che il fatto lamentato provochi una concreta lesione dell’interesse del ricorrente
sotteso al diritto azionato in giudizio.9E tale fatto è costituito quasi sempre dall’inadempimento di
obblighi derivanti da un rapporto giuridico con il beneficiario della cautela, si tratti di rapporto
6
Andrioli, Commento, cit., 251.
7
Ne è un esempio l’ordinanza del Tribunale di Avezzano del 18 giugno 2004, Foro It., 2004, I, 3217 ss, nota di richiami, che
ha ordinato in via urgente l’immediato rilascio dei locali dell’azienda e la cessazione di ogni atto di ingerenza nelle attività di
amministrazione e gestione della società, nei confronti del socio accomandatario che abbia assunto comportamenti tali da
determinare un pregiudizio imminente ed irreparabile per l’immagine, gli interessi ed il corretto funzionamento della società
stessa.
8
Così anche Bruni, Tutela d’urgenza e diritti di credito, Giust. Civ., 1986, I, 2587. T. Milano 14 agosto 1997, Foro It., 1998, I, 241.
9
Su questi aspetti, anche Recchioni, Il pericolo come elemento della fattispecie processuale cautelare, cit., www.judicium.it
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obbligatorio o invece di violazione di obblighi collegati ad un diritto assoluto o ad uno status del
beneficiario stesso.
Si pensi alle ipotesi in cui è ordinato l’adempimento urgente di un credito in denaro in base al
presupposto che il protrarsi dell’insoddisfazione comporterebbe il fallimento del ricorrente o sue
serie difficoltà nel far fronte alle proprie obbligazioni con terzi.10
Qui il protrarsi dell’inadempimento può generare una lesione dell’interesse del beneficiario, che a
sua volta si pone come fonte di una serie di pregiudizi non riparabili né a seguito della pronuncia
definitiva, né di un eventuale adempimento spontaneo successivo ad essa né maiori causa con
l’esecuzione forzata della sentenza.
L’emersione dei profili più squisitamente materiali del periculum caratterizza anche molte pronunce
a tutela proprio del diritto alla salute: si pensi agli ordini impartiti ex art. 700 ad una Asl perché
anticipi al beneficiario le spese di un intervento chirurgico o di altro trattamento terapeutico,11o a
quelli impartiti al responsabile di lesioni gravi o gravissime affinché sborsi denaro in favore della
vittima per consentirle di attendere, medio tempore, alle proprie esigenze di vita.12
Emerge insomma nella giurisprudenza di merito la convinzione che la tutela ordinaria può non
essere in grado di realizzare pienamente tutti quegli interessi di natura non patrimoniale sottesi alla
prestazione stessa, e che avrebbero trovato compiuta realizzazione se il debitore avesse adempiuto
agli obblighi su di lui incombenti verso la controparte. Dal punto di vista dell’istante ex art. 700
l'allegazione del concreto periculum
rivela come per il creditore della prestazione non sia
indifferente che quest’ultima sia adempiuta hic et nunc (cioè come se vi fosse un fisiologico
10
P. Roma 14 febbraio 1983, Foro It., 1983, I, 446, con nota di Pardolesi, Il Manifesto c. Ente Nazionale cellulosa; P. Roma 31
luglio 1986, Giust. Civ., 1986, I, 2586, con nota di Bruni, cit., So. ge in. c. Comune di Roma. Lo schema logico seguito dai giudici
appare incentrato sulla circostanza che irreparabilità del pregiudizio vuol dire fondamentalmente impossibilità di soddisfare,
per il futuro, l’interesse del ricorrente.
11
T. Napoli 5 marzo 1986, Giust. Civ., 1986, I, 1489; P. Lecce 4 febbraio 1998, Rass. Dir. farmaceutico, 1998, 437, (in
riferimento al cd. caso Di Bella); P. Maglie 10 dic. 1997 e P. Prato 26 genn. 1998, QG, 1998, 228; P. Catanzaro 26 genn. 1998
e P. Macerata 12 genn. 1998, FI, 1998, I, 64, sempre in riferimento alla somministrazione di somatostatina per la cd. cura Di
Bella; P. Modica 13 agosto 1990, Foro It., 1991, I, 271, con cui è stato autorizzato un trattamento sanitario ad un paziente che
rifiutava immotivatamente di sottoporvisi; P. Torino 25 marzo 1991, Nuovo Dir., 1991, in un caso di paziente che chiedeva di
farsi operare all’estero; P. Catania 8 gennaio 1986, P. Enna 6 ottobre 1995; P. Genova 20 febbraio 1995, tutte in Foro It.,
1996, I, 1470 e P. Roma 26 gennaio 1995, Nuovo Dir.,1995, 302, che concedono tutela urgente alla fornitura gratuita a carico
del SSN, di medicinale non compreso nel prontuario nazionale.
12
T. Milano 23 dicembre 1993, Giur. It., 1995, I, con nota di Conte.
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adempimento volontario) piuttosto che in seguito ad esecuzione del dictum del giudice all'esito del
processo dichiarativo.
Ebbene, il caso di specie si mostra, sotto il profilo del periculum ex art. 700, addirittura
paradigmatico: il curatore, venuto meno agli obblighi di corretta gestione patrimoniale
dell’interdetta, ha depauperato il suo patrimonio ingenerando un credito per restituzioni e
risarcimento del danno. L’interdetta, a causa della violazione di tali obblighi, non può più contare
sulle sue disponibilità economiche per la cura dello stato morboso e delle primarie esigenze di vita.
D’altra parte, l’(eventuale) adempimento dell’obbligazione pecuniaria all’esito del giudizio
ordinario di accertamento della responsabilità e condanna del curatore (sia volontario che maiori
causa coatto) non risulterebbe più di alcuna utilità. Del patrimonio che l’interdetta avrebbe a
disposizione se questi avesse onorato gli obblighi imposti dal suo munus publicum vi è bisogno
subito: in assenza di denaro oggi, l’inevitabile affidamento ai servizi sociali di un luogo diverso da
quello dove vive potrebbe causare all’interdetta un irreversibile aggravamento delle già precarie
condizioni di salute. E tale lesione, proprio perché ha ad oggetto il bene-salute non è, per
definizione compiutamente risarcibile ex post.
2.1.- Segue: ancora sui profili sostanziali del periculum. Il carattere totalmente anticipatorio
come causa asseritamente ostativa alla concessione della cautela.
E’ alla luce dell’esame dei contorni assunti dal periculum in mora nella giurisprudenza di merito
che occorre valutare il pregio dell’asserita impossibilità di concedere l’ordine di pagamento ex art.
700 per la sua totale anticipatorietà rispetto alla sentenza finale di merito.
Uno sguardo alla realtà applicativa smentisce gli assunti del giudice toscano. Attraverso i
provvedimenti ex art. 700 sono infatti “anticipati” contenuti in tutto corrispondenti a quelli della
sentenza di merito, come accade ove siano richiesti provvedimenti d’urgenza autorizzativi13o
13
V. ad es., T. Roma 17 febbraio 2000, in Giust. Civ., 2000, 483, che, in riferimento alla tematica della cd. maternità
surrogata, accerta la liceità e meritevolezza di un accordo tra moglie, marito ed un medico, avente ad oggetto il trasferimento
di embrioni crio-conservati per l’impianto nell’utero di donna consenziente; o ancora T. Roma 10 febbraio 1999, in FI, 2000,
I, 319, che accerta in via urgente l’infondatezza di una notizia lesiva dell’immagine di un imprenditore, ed autorizza la
pubblicizzazione di tale accertamento.
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condanne a facere-dare o a pagamenti, che conducono a risultati perfettamente sovrapponibili a
quelli derivanti dalla esecuzione della sentenza di merito. Tali tipologie si affiancano tuttavia a
quelle di provvedimenti a contenuto non corrispondente a quello della sentenza, ma addirittura
diverso. E’ il caso, emblematico, dell’ordine urgente di pagamento reso nei confronti di una ASL al
fine di consentire al richiedente di sottoporsi a trattamento terapeutico in attesa dell’accertamento
che il trattamento stesso è a carico del servizio sanitario nazionale. In altre ipotesi poi il contenuto
del provvedimento, sempre diverso da quello della sentenza di merito, si pone, in qualche modo,
quale contemperamento degli opposti interessi perché prevede, ad esempio, limiti o correttivi
all’esercizio della situazione giuridica sostanziale contesa oppure una regolamentazione provvisoria
della situazione litigiosa, diversa da quella di diritto sostanziale (ovviamente in tema di diritti
disponibili)14.
Ebbene, siffatta varietà di contenuti dà la misura di quanto il dato rilevante sia quello della necessità
di paralizzare il periculum in concreto allegato. La giurisprudenza di merito mostra cioè precisa
consapevolezza del fatto che l’art. 700 non impone al giudice né di adottare un provvedimento
corrispondente a quello che prevedibilmente sarà il contenuto della sentenza, né al contrario di dare
ad esso un contenuto necessariamente “minore” o diverso, essendo piuttosto indispensabile
assicurarne gli effetti, in riferimento alle richieste delle parti: a volte a tale scopo non può che
essere funzionale la perfetta riproduzione del contenuto di merito della sentenza; altre volte, al
contrario, statuizioni diverse da quelle finali di merito appaiono le uniche in grado di neutralizzare il
periculum in concreto allegato in sede cautelare15. E che quest’ultimo, nel caso di specie, apparisse
neutralizzabile solo attraverso la condanna a corrispondere le somme indebitamente sottratte al
patrimonio della ricorrente non sembra richiedere dimostrazione ulteriore.
Buoncristiani,Tutela cautelare ante causam nel nuovo rito societario. Assenza di strumentalità necessaria, in www.judicium.it., che
fa l’esempio dei provvedimenti atipici che consentono l’utilizzo di determinate clausole in contratti bancari, con specifiche
cautele e limiti, o con l’apposita previsione di accorgimenti; P. Roma 11 giugno 1984, in Foro It., 1984, I, 608, che ha
ordinato ex art. 700 la continuazione, fino ad esaurimento delle scorte, di un rapporto di franchising in relazione alla
produzione e distribuzione di prodotti tra società italiana ed altra società licenziataria del marchio,che si trovava in
liquidazione; P. Roma 15 dicembre 1982, in Temi rom, 1982, 637, e P. Roma 14 febbraio 1983, in Giur. It., 1983, I, 2, 634, con
nota di Cuffaro, che hanno ordinato il pagamento di una parte del credito, cioè nei soli limiti necessari ad evitare il
pregiudizio irreparabile lamentato.
14
15
V. anche, in tal senso, Pajardi, I provvedimenti d’urgenza atipici nel processo civile, Milano, 1992, 23.
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Da altro ma connesso punto di vista, e veniamo al secondo dei cennati profili di critica,
l’affermazione relativa all’impossibilità di concedere cautele ex art. 700 di contenuto totalmente
anticipatorio si pone in contrasto con il regime di cd. “strumentalità attenuata” rispetto al giudizio di
merito introdotto proprio per i provvedimenti d’urgenza nel 2005. L’art. 669 octies 6°c. nella nuova
formulazione prevede infatti che la mancata instaurazione del giudizio di merito nei termini o la sua
successiva estinzione non comportano l’inefficacia, ex ceteris, dei provvedimenti d’urgenza ex art.
700 e degli altri idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito (previsti dal codice civile o
dalla legislazione speciale).
Ratio della previsione è evitare, in ossequio all’economia processuale, il giudizio di cognizione
piena quando il risultato ottenuto con la cautela è già pienamente satisfattivo dell’interesse delle
parti, secondo una loro valutazione di opportunità.16 Alla norma agendi individuata dalla cautela è
cioè probabile che l’obbligato si adegui spontaneamente e che il beneficiario sia pienamente
soddisfatto del risultato, non sentendo alcun bisogno di “legittimarlo” ex post attraverso un giudizio
di cognizione che sancisca in via stabile e definitiva l’assetto delle proprie relazioni
con la
controparte17.
E’ quindi del tutto evidente che se nel caso concreto l’unica possibilità di paralisi del periculum
risiede nella riproduzione totale del contenuto precettivo della sentenza di merito, negare che la
cautela possa assumerlo vuol dire, ex ceteris, rendere necessitato il giudizio a cognizione piena. Che
senso avrebbe allora la previsione normativa che lo rende solo facoltativo se esso diviene l’unica
sede deputata a fornire la tutela richiesta? La lettera e la ratio della riforma del 2005 ne escono
dunque completamente misconosciute.
16
Si tratta di scelta tecnica già da tempo auspicata da una parte della dottrina e presente, ad esempio, nel Progetto di riforma
della Cd. Commissione Liebman nel 1980, e poi nel Progetto della Commissione Tarzia nel 1996. Più di recente, la soluzione
era stata adottata nel Progetto di riforma redatto dalla Commissione Vaccarella nel 2003, ed è successivamente confluita nel
testo di legge introduttivo del processo societario (d. lgs. n. 5/2003), oggi abrogato. Solo successivamente la soluzione è stata
generalizzata, attraverso la modifica dell’art. 669 octies.
Il che, peraltro, non esclude che la situazione di fatto creatasi a seguito dell’attuazione della cautela si stabilizzi, oltre
che sul piano materiale, anche su quello giuridico. Ciò, al contrario, avviene comunque, solo attraverso una strada altra
rispetto all’accertamento con efficacia di giudicato: l’operare dei meccanismi sostanziali di usucapione, non uso,
prescrizione. V., per tutti, Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2009, IV, 218 ss; Tiscini, I provvedimenti decisori senza
17
accertamento, Torino, 2009, passim.
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Né vi è spazio per ritenere che proprio nell’attuale contesto normativo la coincidenza di contenuti
trasformi la tutela cautelare in tutela sommaria del credito, in ragione dell’elisione del nesso di
strumentalità con il giudizio di merito. La prima resta infatti, a differenza della seconda,
funzionalizzata alla protezione da un pregiudizio imminente ed irreparabile. E proprio la riforma del
2005 ha consacrato, da tale punto di vista, la interpretazione giurisprudenziale del periculum come
relazione tra eventi, cioè come concreta capacità di incidere sul bene della vita oggetto del diritto a
prescindere dalla durata del giudizio di merito. Quest’ultimo appare dunque anche ex lege, oltre che
nella valutazione della giurisprudenza, inidoneo a condizionare, attraverso una valutazione
prognostica della sua durata, la concedibilità della cautela anticipatoria, al contrario fortemente
condizionata dalla valutazione della portata materiale del pregiudizio lamentato.
Facoltizzando l’instaurazione del giudizio di merito ed il perseguimento della sentenza la riforma,
elidendo (solo nella struttura ma non anche nella funzione) la strumentalità della cautela al merito,
ha insomma confermato l’intuizione della giurisprudenza di merito per la quale non è la durata
(fisiologica o meno) del processo il fatto generatore del periculum, ma l’evento del mondo reale che
spezza la relazione dell’istante con un bene della vita imponendone la ricucitura proprio in sede
cautelare.
Ci pare allora che la funzionalizzazione alla protezione dal periculum, fulcro della tutela cautelare e
misura della sua strumentalità non solo non esca indebolita o frustrata, ma risulti addirittura
potenziata, consentendo di distinguere ancora, ed anzi a maggior ragione, la tutela d’urgenza da
quella sommaria tout court.
La prospettiva appare allora addirittura rovesciata rispetto a quella del giudice toscano anche alla
luce del nuovo contesto normativo: ciò che rileva è, ancora una volta, la valutazione (oltre che del
fumus, naturalmente) del periculum e l’idoneità del contenuto precettivo della cautela richiesta ad
eliderlo. E tale valutazione deve essere tanto più rigorosa ed attenta proprio in considerazione della
possibilità, sancita dalla legge, che le parti aggreghino il loro consenso intorno alla sistemazione di
interessi ottenuta in sede cautelare rinunciando al giudizio di merito.
3.- L’emersione del profilo formale del periculum: la necessità di ottenere un titolo esecutivo
ex art. 700 legittimante l’intervento nell’espropriazione in corso sull’unico bene del debitore
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Esaurito l’esame dei profili sostanziali del periculum, occorre ora valutarne i profili formali sub
specie di necessità, per l’istante, di procurarsi un titolo esecutivo (il provvedimento urgente di
condanna pecuniaria, appunto,) in tempo utile per partecipare alla distribuzione del ricavato
dell’unico bene del debitore già in fase di vendita forzata. Si tratta dell’aspetto più originale del
caso di specie, vero banco di prova della scelta legislativa del 2005 di chiudere l’espropriazione
singolare, ex ceteris, ai creditori non titolati. In casi come quello di specie prima della citata riforma
sarebbe stato consentito l’intervento nell’espropriazione allegando il semplice titolo del credito,
cioè quantomeno l’obbligo della restituzione delle somme olim presenti nel patrimonio
dell’interdetta nella misura risultante dall’inventario redatto all’inizio della gestione, e poi invece
sparite nel rendiconto finale. Oggi ciò non è più possibile, dal che nasce l’asserita necessità di
procurarsi un titolo esecutivo, solo strumento che consenta all’interdetta la partecipazione alla
distribuzione del ricavato. La riconduzione di tale necessità all’area del periculum legittimante la
concessione della tutela urgente è giustificata dall’essere il patrimonio del debitore costituito da un
unico bene già in fase di vendita forzata, di talchè la mancata partecipazione alla distribuzione del
ricavato segna, con l’evaporarsi della garanzia patrimoniale, l’impossibilità di soddisfare il credito
anche in futuro.
Ma è proprio questo profilo che, messo in rilievo per rappresentare come maggiormente stringente
la necessità di ottenere l’ordine cautelare di pagamento, segna invece i destini dell’istanza sia in
prime cure che in sede di reclamo. Il primo giudice motiva il rigetto asserendo che non vi è spazio
per surrogare titoli di formazione giudiziale, ovvero tipizzati, in pregiudizio dei terzi (il creditore
procedente e quelli intervenuti); il secondo conferma la negatoria asserendo che il pericolo
dell’evaporarsi della garanzia patrimoniale è tipico del sequestro conservativo e non del
provvedimento d’urgenza.
Entrambe le decisioni si rivelano, in parte qua, frutto di un totale fraintendimento, ancorché per
motivi diversi.
Il giudice della cautela è chiamato a valutare l’esistenza del fumus e del periculum sotto il profilo
sostanziale, estranea essendo all’oggetto del giudizio la diversa problematica relativa alla
qualificazione del provvedimento ai fini della scelta della tecnica di esecuzione forzata che deve
assisterlo. Che la cautela di condanna pecuniaria sia o meno titolo esecutivo, con tutto ciò che ne
deriva in termini di facoltà processuali spendibili dal beneficiario nella successiva fase di
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esecuzione forzata, è cioè tema del tutto estraneo all’attuale materia del contendere, dovendo il
giudice valutare, oltre al fumus, il pregiudizio imminente ed irreparabile.
Non si può allora addirittura escludere in via pregiudiziale lo stesso esame di tali presupposti, come
fa il giudice di prime cure, in ragione dell’asserita impossibilità di qualificare il provvedimento
richiesto come titolo esecutivo. Né, d’altra parte, al giudice della cognizione cautelare è concessa
alcuna valutazione, e men che mai in termini di pregiudizio, in ordine alla posizione del creditore
procedente e dei legittimati all’intervento rispetto ai creditori di somme in virtù di cautele ex art.
700.
In sintesi dunque la valutazione dell’idoneità della cautela di condanna a costituire titolo esecutivo
è, in quanto questione successiva ed ulteriore, estranea al thema decidendum cautelare e non in
grado di condizionare a monte la stessa concessione della cautela. Occorre infatti tenere ben
separati i problemi relativi alla tutela apprestata dall’ordinamento, che nella forma dell’art. 700 è
concessa al ricorrere del fumus e del periculum nella caratterizzazione assunta nel diritto vivente;
da quelli di tecnica processuale afferenti al quomodo dell’esecuzione del provvedimento stesso.
Anteporre questi ultimi ai primi, per farne dipendere la stessa concessione della tutela, implica
allora l’inversione logica dell’ordine dei problemi: si deduce cioè la stessa possibilità giuridica della
condanna esclusivamente dalla eseguibilità, per di più con una determinata tecnica di tutela (quella
che ruota intorno al titolo esecutivo), dell’obbligo inadempiuto. Al contrario invece, posto che il
diritto sostanziale riconosce l’esistenza di rapporti di diritto/pretesa-obbligo, se ne deve dedurre
automaticamente che, in caso di inadempimento, dell’obbligo stesso possa chiedersi al giudice
l’accertamento e la condanna sia in via ordinaria che cautelare. La tutela giurisdizionale deve cioè
poter essere in grado, se è tale, di fornire al beneficiario tutto quello e proprio quello cui aveva
diritto sul piano sostanziale.18
Il discutibile schema logico seguito dal giudice di prime cura sembra evocare il nutrito filone
interpretativo che esclude la configurabilità stessa sia di sentenze di condanna che di provvedimenti
cautelari aventi la medesima struttura in caso di obblighi di fare-non fare infungibili e perciò non
eseguibili nelle forme dell’esecuzione surrogatoria del Libro III del cpc.
18
V., per tutti, gli esaustivi rilievi di Sassani, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto. Ottemperanza amministrativa e tutela
civile esecutiva, Milano, 1997, spec. 92 ss.
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Ciò in virtù dell’esistenza del (presunto) principio di correlazione necessaria tra sentenza di
condanna ed eseguibilità forzata dell’obbligo insoddisfatto riconosciuto in sentenza.19
Ma a prescindere dai rilievi che è possibile formulare già sull’intrinseca validità di tale
impostazione, oggi peraltro superata, ex ceteris, dal dato normativo dell’art. 614 bis, le differenze
con il caso di specie appaiono evidenti. Per le cautele di pagamento ex art. 700 l’art. 669 duodecies
predispone infatti una specifica tecnica di attuazione attraverso il richiamo agli artt. 491 e segg in
quanto compatibili. L’esecuzione coatta è dunque possibile e disciplinata dalla legge, di talchè
neppure i deboli argomenti che sorreggono la tesi della correlazione necessaria tra condanna ed
eseguibilità forzata hanno qui pregio a sostegno delle affermazioni del giudice toscano. Può
piuttosto rilevarsi come proprio il collegamento che la difesa della ricorrente istituisce tra periculum
e qualifica di titolo esecutivo della cautela di pagamento abbia indotto in errore sia giudice di prime
cure sotto il profilo già rilevato, sia quello del reclamo, per il quale il riferimento all’evaporarsi
della garanzia generica costituita dall’unico bene del debitore è bastato ad evocare l’idea del
sequestro conservativo. In realtà, al pari del primo giudice, anche il secondo ha errato quanto
all’individuazione del ruolo del periculum allegato: quest’ultimo era infatti ben circostanziato sotto
il profilo sostanziale (lo stato di bisogno della ricorrente) sub specie di necessità di ottenere subito
la disponibilità di una somma di denaro. In tale contesto il riferimento all’evaporarsi della garanzia
patrimoniale andava dunque inteso come ulteriore profilo ad adiuvandum della necessità di ottenere
la condanna in tempi rapidi. Netta appare dunque la differenza con il periculum legittimante il
sequestro conservativo: il rischio dell’evaporarsi della garanzia patrimoniale neutralizzabile con
19
Siccome cioè la tutela (contenuta in una sentenza) di condanna, al contrario di quelle di accertamento e costitutiva, non è
autosufficiente perché, avendo ad oggetto l’accertamento di una pretesa insoddisfatta, è priva di qualsiasi utilità se la pretesa,
in assenza di ottemperanza spontanea dell’obbligato, non può essere eseguita attraverso i processi esecutivi del Libro III del
cpc, è inammissibile la sua stessa emissione. Così, soprattutto, Mandrioli, Sulla correlazione necessaria tra condanna ed eseguibilità
forzata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, 1341 ss; Liebman, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Milano, 1935, 100 ss;
Attardi, L’interesse ad agire, Padova, 1955, 100 ss. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, 168 ss. V. anche
Verde, Profili del processo civile, I, Napoli, 1991, 168 e 185. Sulla stessa linea, più di recente, Mandrioli, Corso di diritto processuale
civile, I, Torino, 1995, 28 ss, che descrive la condanna, in termini di attività cognitiva che si svolge in funzione della
successiva esecuzione. Per la giurisprudenza di merito, v. T. Torino 10 marzo 1995, in Giur. It., 1995, I, 2, 814; T. Roma 13
dicembre 1996, in Notiz. giur. lav., 1997, 77, che nega un ordine cautelare di condanna a prestazioni infungibili in base
all’argomento che altrimenti il beneficiario otterrebbe più di quanto ottenibile con la tutela ordinaria. V. anche T. Roma 12
settembre 2002, in Foro It., 2002, I, 3207, con nota di Palmieri. Contra, in dottrina, Proto Pisani, La tutela di condanna, in Riv.
trim. dir. e proc. civ., 1978, 1104 ss; ID., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, 166 ss; nel senso dell’ammissibilità della
condanna anche a prestazioni infungibili v. inoltre Tommaseo, Provvedimenti d’urgenza a tutela dei diritti implicanti un facere
infungibile, 1282 ss, e Taruffo, Note sul diritto alla condanna e all’esecuzione, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 635 ss.
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l’attuazione del vincolo è considerato dall’art. 671 nella sua assolutezza e prescinde, a differenza
che nel caso di specie, dalla ineliminabile necessità di ottenere subito una disponibilità economica.
Concludendo sul punto, può dunque affermarsi che il profilo formale del periculum non avrebbe
dovuto condizionare l’esame di quello sostanziale sub specie di stato di bisogno. Quest’ultimo, e
non il primo, avrebbe dovuto assumere rilievo per la concessione della cautela, quale che fosse la
soluzione in ordine al diverso e successivo profilo della qualificazione come titolo esecutivo
dell’ordine di pagamento e della necessità di ottenerlo in tempo utile per un intervento
nell’espropriazione in corso.
Così non è stato. Per la creditrice si apre dunque la sola alternativa del giudizio di merito, nel corso
del quale riproporre l’istanza cautelare ex art. 669 septies, con un duplice limite: la necessità di
allegare i nova imposti dalla norma; l’evenienza che il verificarsi del paventato pregiudizio faccia
venir meno l’interesse alla tutela cautelare, lasciando spazio alla sola via risarcitoria ex post.
Un po’ poco per un caso in cui fumus e periculum legittimanti il ricorso alla tutela d’urgenza
assumevano contorni addirittura paradigmatici.
3.1.- Ancora sul profilo formale del periculum: qualche considerazione su cautela di
pagamento, titolo esecutivo e disciplina restrittiva dell’intervento
L’emersione, nel caso di specie ed in altri consimili, dei profili formali del periculum nei termini
ampiamente riferiti impone in cauda qualche considerazione sui rapporti tra cautela di pagamento e
disciplina restrittiva dell’intervento nell’espropriazione singolare.
La domanda cui occorre trovare risposta è la seguente: la scelta normativa di riservare la
legittimazione all’intervento ai creditori titolati è lesiva della posizione di alcune categorie di
creditori, che dunque solo attraverso un provvedimento di condanna pecuniaria ex art. 700,
considerato come titolo esecutivo, possono partecipare alla distribuzione del ricavato?20
20
Domanda che, ad onor del vero, è parte di un quesito più ampio, che la dottrina più attenta si è posta: l’esclusione del
concorso (tendenzialmente ) generalizzato dei creditori è lesivo di qualche principio costituzionale? La risposta involge una
serie di profili generali che in questa sede non è possibile esaminare. Occorre tuttavia rilevare come proprio la dottrina più
attenta (Luiso, Diritto, cit., IV, 123 ss) abbia condivisibilmente posto in rilievo che la nuova disciplina che inibisce l’intervento
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In dottrina la soluzione al quesito si è posta come dipendente da quella pregiudiziale
dell’attribuzione alla cautela di pagamento della qualificazione di titolo esecutivo.21 La questione,
non nuova ed anzi classica in tema di cautele di pagamento22 sia prima che dopo l’introduzione del
rito uniforme, ruota intorno alla possibilità di attribuire la qualifica di titolo esecutivo non solo ai
provvedimenti cui la legge la riserva espressamente, ma anche ad altri provvedimenti la cui
disciplina generale rende necessitata, anche se in via interpretativa, questa conclusione.
Occorre tuttavia rilevare come la possibilità per il beneficiario di essere soddisfatto sui beni del
debitore non passi necessariamente per le strettoie della qualificazione della cautela di pagamento in
termini di titolo esecutivo.
L’art. 669 duodecies in parte qua sancisce infatti, per l’attuazione, l’applicazione degli artt. 491 e
segg in quanto compatibili. Ora, a prescindere dalla questione interpretativa sulla portata di siffatto
limite di compatibilità, sembra certo che il richiamo abbia ad oggetto almeno, per quanto qui di
ai creditori provvisti di prelazione non risultante da pubblici registri, al contempo consentendolo invece agli imprenditori
tenuti alle scritture ex artt. 2214 c.c., si pone in contrasto con la Costituzione perché viola l’ordine generale dei rapporti tra
diritto sostanziale e processo. Quest’ultimo dovrebbe infatti essere strumento di attuazione e non di distorsione del primo,
ma ciò non accade proprio in riferimento al caso enucleato. Si pensi ai prestatori di lavoro subordinato che, ai sensi dell’art.
2751 bis c.c. hanno privilegio sui beni del debitore, non risultante da pubblico registro. Non potendo essi intervenire
nell’espropriazione, di fatto si vedranno posposti, nella soddisfazione del credito, agli imprenditori commericiali, ai quali la
legge sostanziale non attribuiva alcuna prelazione. Attraverso un’opzione di tecnica processuale (la scelta dei creditori
legittimati all’intervento nell’espropriazione, appunto) è dunque sovvertito l’ordine sostanziale delle prelazioni per il quale i
prestatori di lavoro devono essere soddisfatti con preferenza sugli imprenditori se il pignoramento cade sugli stessi beni. Il
legislatore processuale ha dunque contraddetto le scelte di quello sostanziale. La critica è in parte qua fondata e pone seri
dubbi di incostituzionalità sotto il profilo evidenziato da Luiso.
21
Si vedano, a titolo esemplificativo ma emblematico da un lato Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione forzata, Torino, 2010,
220, che annovera senz’altro tra i legittimati all’intervento, nonostante non siano compresi nell’elencazione dell’art. 499,
(oltre che i creditori ex art. 2812 c.c.), i creditori in base a cautela di pagamento ex art. 700 cpc; e Luiso, Diritto, cit., 123, per il
quale appunto il rischio dell’evaporarsi della garanzia patrimoniale del debitore legittimerebbe i creditori non titolati a
richiedere una cautela di pagamento ex art. 700. Entrambi gli AA. presuppongono, ci pare, che tale cautela sia un titolo
esecutivo. Il caso di specie dice poi chiaramente come la preoccupazione di Luiso non sia solo teorica.
22
E’ classica in dottrina l’idea che pur in assenza di espressa qualificazione normativa, la qualità di titolo esecutivo possa
inferirsi dal complesso normativo di riferimento. Così, ad esempio, Carnelutti, Istituzioni, cit., 162; Andrioli, Commento al codice
di procedura civile, 3 ed., III, Napoli, 1957, 17; Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1968, 83. Sulla stessa
linea Vaccarella, Titolo esecutivo, cit., 173; contra invece, sostenendo la necessità che la legge attribuisca espressamente l’efficacia
di titolo esecutivo, Grasso, voce Titolo esecutivo, in Enc. Dir., XLIV, Milano, 1992, 693. Spesso la giurisprudenza ha, in via
interpretativa, attribuito la qualifica di titolo esecutivo ad atti che ne erano privi. E’ il caso, ad esempio, dell’ordinanza di
assegnazione del credito ex art 553 cpc (v. Cass. 24 novembre 1980, n. 6245).
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immediato interesse, le disposizioni sul pignoramento. Il che appare pienamente coerente con il
quadro normativo fornito dagli artt. 2740, 2741 e 2910 c.c. nella lettura datane dal giudice delle
leggi23: sul patrimonio del debitore deve consentirsi ad ogni creditore, a prescindere dall’esistenza
di altri pignoramenti, di agire in executivis in condizione di parità con gli altri, salve le cause
legittime di prelazione. Il che comporta la possibilità che diversi vincoli confluiscano tutti sugli
stessi beni, occorrendo coordinare le diverse iniziative processuali senza che l’una escluda l’altra.
Ciò in applicazione dell’art. 24 Cost. e del principio di effettività della tutela anche sul versante
esecutivo che esso sancisce.
Si può allora ben sostenere che il creditore cautelare sia legittimato senz’altro, e proprio ai sensi
dell’art. 669 duodecies, a pignorare i beni del debitore. Se poi su di essi, come nel caso di specie (in
cui vi è addirittura un unico bene), insiste già un precedente pignoramento, ne consegue la riunione
ai sensi dell’art. 493, u.c., applicandosi la disciplina del pignoramento successivo. In tal modo il
creditore cautelare entra nell’espropriazione già intrapresa da altri ed assume, nella sostanza, la
posizione di creditore tempestivo o tardivo a seconda del momento in cui in concreto è avvenuto il
suo pignoramento. La soluzione offre tuttavia, rispetto a quella dell’intervento, il vantaggio di
“blindare” la posizione del creditore cautelare in caso di sopravvenuto venir meno degli altri
pignoramenti.
Occorre piuttosto riflettere su un altro profilo, che rappresenta il punto di maggior debolezza della
costruzione normativa dell’art. 669 duodecies in parte qua, e che proprio casi come quello in
commento fanno emergere.
Da un canto vi sono i rapporti esterni tra l’attuazione eventualmente intrapresa dal beneficiario della
cautela e l’esecuzione intrapresa invece da altri creditori che, in base a titolo esecutivo,
eventualmente colpiscano gli stessi beni, o viceversa; dall’altro occorre considerare i rapporti
interni (all’espropriazione) tra i creditori con cause di prelazione sui beni colpiti dal pignoramento
ex art. 669 duodecies in parte qua ed il creditore cautelare. Quanto al primo profilo, appare
23
Il diritto soggettivo del creditore è infatti ridotto a mero simulacro se privato del supporto della responsabilità
patrimoniale che se ne rivela parte essenziale assicurandone la tutela giurisdizionale sub specie di esecuzione forzata. Questi i
principi emersi dalle pronunce della Consulta, per le quali v, ex multis, C. cost. 15 luglio 1992, n. 329, in Foro It., 1993, I, 2785,
con Nota di Monnini; v. altresì, per l’enunciazione dell’illegittimità, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’ingiustificata
sottrazione di alcuni beni alla garanzia patrimoniale generale da parte del legislatore, C. cost. 23 maggio 1995, n. 187, in Giur.
cost, 1995, 1473).
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inevitabile un concorso tra le due tipologie di creditori, che già di per sé rischia di diminuire o
vanificare la soddisfazione concreta del creditore cautelare. Il caso di specie è emblematico in tal
senso, anche perché il concorso implica la graduazione della soddisfazione in base alla disciplina
processuale del tempo dell’intervento (o del pignoramento successivo).
Quanto al secondo, ai creditori privilegiati compete per disciplina sostanziale la soddisfazione con
preferenza sui creditori che hanno pignorato i beni gravati dai diritti di garanzia, ivi compresi i
creditori cautelari. In tale ipotesi dunque anche se il pignoramento è effettuato da questi ultimi, non
è possibile escludere l’intervento e la preferenziale soddisfazione dei creditori iscritti: l’interferenza
appare, almeno de iure condito, fisiologica e deriva dall’assenza di una disciplina sostanziale che
corredi di prelazione di grado poziore il credito derivante dalla cautela di pagamento in quanto tale.
Ed è proprio qui che la disciplina dell’attuazione cautelare degli ordini di pagamento ex art. 700
entra più seriamente in crisi.
Il modello esecutivo disegnato dall’art. 669 duodecies in parte qua si rivela infatti inadeguato a
salvaguardare le ragioni d’urgenza che hanno giustificato l’emissione dell’ordine di pagamento in
un contesto in cui da un canto manca, a monte, una disciplina sostanziale che conferisca al
beneficiario della cautela una posizione di preferenza rispetto agli altri creditori del comune
debitore; e dall’altro si assiste, in generale, ad una vera e propria fuga dalla responsabilità
universale, il legislatore orientandosi ormai sempre più nell’ottica particolaristica della scelta degli
interessi da tutelare, nel senso di predisporre per ogni classe di creditori una specifica forma di
garanzia.
Sul versante squisitamente processuale le cose non si presentano molto diversamente, la scelta di
“chiudere” l’espropriazione ad intere categorie di creditori a favore, ex ceteris, degli imprenditori
tenuti alle scritture ex art. 2214 c.c. e di allargare il novero dei titoli esecutivi altro non essendo che
la valutazione in termini di maggior peso di alcune tipologie di interessi creditori rispetto ad altre.
I creditori cautelari resterebbero dunque in una situazione di totale emarginazione sotto il profilo
della effettiva possibilità di soddisfazione anche se, in limine, divenisse diritto vivente la
considerazione della cautela di pagamento come titolo esecutivo e fosse dunque loro de plano
consentito l’intervento. Essi dovrebbero infatti pur sempre venire soddisfatti dopo i privilegiati
secondo l’ordine legale delle prelazioni sostanziali, e dopo il pignorante e gli intervenienti
tempestivi secondo la disciplina processuale dei tempi dell’intervento.
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Ed il caso di specie ha proprio la virtù di mettere a nudo questa mancata attenzione del legislatore
per l’effettività della tutela del creditore cautelare: come rileva la stessa difesa, l’ammissione
all’intervento della ricorrente in virtù del titolo esecutivo cautelare non comporterebbe comunque
alcun pregiudizio per il creditore pignorante e per quelli già intervenuti (pregiudizio paventato dal
giudice di prime cure e fondante il rigetto del ricorso), la cui soddisfazione sull’unico bene del
debitore è comunque prioritaria in virtù del tardivo intervento della prima.
Il vero nodo sarebbe dunque rimasto ancora pericolosamente irrisolto anche in assenza delle
distorsioni che hanno condotto a negare la tutela cautelare in un caso esemplare di esistenza di tutti i
suoi presupposti.