APPROFONDIMENTO DIDATTICO CREPI L’AVARIZIA Lo spettacolo è composto dagli atti unici : “La Giara” di Pirandello e “L’avaro” di Goldoni. “LA GIARA” sinossi Ecco in breve la vicenda: don Lolò Zirafa, uno spilorcio e collerico proprietario terriero, prevedendo che le giare che aveva in cantina non sarebbero bastate a contenere tutto l’olio della ricchissima annata, ne aveva comprata un’altra, alta a petto d’uomo, bella panciuta e maestosa. Ma neanche a farlo apposta, non si sa come, tre giorni dopo la giara si era spaccata in due. Figuratevi la rabbia di don Lollò! Quando vide lo scempio, parve volesse impazzire, ma i suoi contadini gli consigliarono un bravo concia brocche che l’avrebbe rimessa su, nuova. Entra quindi in scena il secondo personaggio, Zi’ Dima, lo scienziato, che per vivere deve vendere la propria bravura a gente che non si fida di lui, che ne offende la dignità. E’ un personaggio vivissimo, dipinto dalla mano di un grande maestro con particolari precisi e caratterizzanti. Zi’ Dima si mise subito all’opera col suo mastice miracoloso. Ma Don Lolò che non si fidava del solo mastice gli impose di mettere anche i punti. Con l’aiuto di un contadino si caccio dentro la pancia aperta della giara, ma alla fine del lavoro, quando si trattò di uscire, l’inventore restò prigioniero della sua stessa opera. A questo punto per far uscire il concia brocche era necessario rompere irreparabilmente la giara appena riparata. Inizia allora una lite interminabile che neppure l’avvocato di Don Lolò presente riesce a ricomporre: Per Don Lolò, costretto a rompere la Giara per far uscire il conciabrocche, Zi Dima doveva pagare perchè la Giara si sarebbe rotta irrimediabilmente. Mentre per Zi Dima la colpa era di don Lolò che aveva preteso i punti e quindi non intendeva pagare nulla, anzi dice che si trova bene nella Giara ed intende restarvi. Don Lolò, fra le risate dei contadini e lo sfottò di Zi Dima, consigliato dal suo avvocato, rientra in casa sperando che, dopo una notte nella Giara, il concia brocche possa convincersi. Ma a una certa ora della notte viene svegliato da un baccano d’inferno: i contadini ubriachi, sotto la luna, come tanti diavoli, presisi per mano, ballavano attorno alla giara, mentre Zi’ Dima, la dentro beveva e cantava a squarciagola. Don Lolò, allora precipitatosi fuori come un toro infuriato, con un grosso bastone rompe la Giara pensando di aver addirittura ammazzato anche Zi Dima. Ma dopo un attimo, dalla Giara spaccata emerge Zi Dima che, accompagnato dalle risa degli ubriachi, festeggia la sua vittoria. “L’AVARO” sinossi Don Ambrogio per la prematura morte del figlio si ritrova la nuora Eugenia in casa e per alleggerire le sue spese pensa sia il caso che la nuora si mariti di nuovo. Infatti vorrebbe darla in sposa per evitare le spese di mantenimento (e sostiene, a torto, che la ragazza, in cuffie, lustrini e nastri, costa un occhio della testa) ma è fra l'incudine e il martello perché, dice: "vorrei liberarmene, ma quando penso che ho da restituire la dote mi vengono le vertigini... Se sta meco, mi mangia le ossa; se se ne va, mi porta via il cuore..." In realtà ci sono già tre spasimanti, nessuno dei quali spiacerebbe alla ragazza: il problema è che Eugenia vorrebbe l'assenso del suocero il quale è però talmente avaro da anteporre, nella scelta, la rinuncia notarile, da parte del pretendente, alla restituzione della dote. È un avaraccio d'un cinismo che raggiunge il comico "Ecco qui, in un anno, dopo la morte di mio figliuolo, ho avanzato due mila scudi: è grande l'amor di padre, ma il danaro è pure una bella cosa!" ed è una volpe nel trattare tutto con tutti: "...se mai voleste domandarmi danaro in prestito, vi prevengo che non ne ho", dice - sospettoso - ad uno dei pretendenti che gli ha chiesto un colloquio, ma quando scopre che questi no, non chiede prestiti, allora s'affretta a offrirsi come usuraio "mi consolo che non ne abbiate bisogno, ma se mai, o per voi o per altri, venisse il caso, sapete dove avete a ricorrere: ho qualche amico da cui con un'onesta ricognizione potrei compromettermi di qualche centinaio di scudi..." E ha dell'avarizia un suo concetto tutto personale: "l'avaro non è quegli che cerca di mantenersi quel che possiede, ma colui che vorrebbe avere quel che non ha...", per cui avaro non è lui che non vuole restituire, come di consuetudine, la dote della nuora, ma avaro, anzi avaraccio, è chiunque la chieda in sposa e pretenda d'avere il dovuto. Dopo aver civettato, la nuora, con tutti i suoi pretendenti e dopo aver ciascuno dei pretendenti trattato in modo più o meno aggressivo e arrendevole la questione dote con il suocero, la storia si conclude con il matrimonio con quello dei tre che trova un astuto compromesso: "senza liti: che questa dote rimanga nelle mani di don Ambrogio fino ch'ei vive e dopo la di lui morte istituisca donna Eugenia erede sua universale..." "Non mi toccate niente: son contentissimo..." dichiara don Ambrogio. "Egli ha trovato il filo per trarmi dal labirinto: sua deve essere la conquista..." conclude Eugenia che intanto si è innamorata dell'astuto pretendente... E, per finire, il pretendente scornato si prende dell'avaro da don Ambrogio per non aver saputo, anche lui, proporre una soluzione altrettanto vantaggiosa per le parti... TEMATICHE COMUNI: Nell’opera di Pirandello viene rappresentato il mondo contadino mentre in Goldoni l’ambiente è di alta borghesia e nobiliare ma sia nella novella poi commedia di Pirandello che nell’atto unico di Goldoni, traspare chiaramente il morboso attaccamento alla roba ed entrambi gli autori fondono il loro teatro sulle potenzialità offerte dal dialogo e sul serrato confronto di differenti punti di vista. Entrambi gli autori sono stati grandi riformatori della scena teatrale della loro epoca: GOLDONI e LA RIFORMA GOLDONIANA Prima della riforma goldoniana, il teatro italiano si esprimeva ancora con la commedia dell’arte e con le relative maschere. Non esisteva un testo scritto ma tutto si fondava sull’improvvisazione e sui caratteri stereotipati rappresentati dalle varie maschere. Il Goldoni si propone di dare”verosimiglianza”, “naturalezza”, “buon gusto” alla commedia e dignità artistica al testo, sottraendolo all’improvvisazione degli attori e scrivendolo totalmente. Egli però da uomo di teatro e non solo scrittore comprende che non può mettersi contro gli attori ed il mondo teatrale dell’epoca. Prudente nei tempi e nei modi Goldoni, spirito tranquillo, non “attacca” la Commedia dell’Arte ma lavora gradualmente dentro di essa e la sconvolge. Salva alcune maschere e alcuni personaggi ma espunge le buffonate e gli intrecci assurdi; accetta il ritmo brioso e la vivacità delle trovate, ma propone intrecci naturali, “veri”, presi dal mondo. Egli ama dire che il teatro è il “mondo” e il “mondo” è teatro e perciò nelle scene ci fa incontrare tutti i personaggi che poteva incontrare nella vita: i pescatori e i bottegai, i piccoli borghesi e i nobili decaduti, i chiacchieroni e i taciturni, le donne perbene e le cortigiane. Tutto il succo delle trame è ricavabile solo dai dialoghi, non c’è mai un’analisi diretta del personaggio: questo vuol dire che esso non preesiste alla commedia ma si realizza pian piano nelle battute che si susseguono. È così l’avaro o il giocatore, il bugiardo o prodigo, il borghese o il nobile, acquistano via via, dialogando, il loro spessore, suscitando l’uno accanto all’altro le valutazioni dello spettatore sul loro conto, in un rapporto circolare, in un rapporto dell’uno con l’altro. Nella messa in scena de “L’avaro” abbiamo inserito anche il personaggio dello stesso Goldoni che dialogando in modo umoristico con gli attori che si apprestano a rappresentare la sua opera sottolinea in scena anche alcuni punti fondamentali della sua riforma. PIRANDELLO – RIFORMATORE della scena teatrale mondiale che «Per il suo coraggio e l'ingegnosa ripresentazione dell'arte drammatica e teatrale» riceve, nel 1934, il Nobel per la Letteratura. Impossibile dar conto in breve della poetica e delle tematiche Pirandelliane. Le accenniamo solo per un richiamo all’opera proposta, che essendo di carattere umoristico ci permette di sottolineare alcuni concetti presenti fra l’altro nel suo trattato sull’umorismo. L’umorismo di Pirandello attribuisce un ruolo di primo piano alla ragione e, in effetti, i suoi personaggi discutono, distinguono, spiegano, ragionano con accanimento. Tuttavia, le loro vicende dimostrano che è impossibile una qualsiasi conclusione razionale, una sintesi, visto che la vita stessa, a parere di Pirandello, non conclude. L’arte che nasce da tale concezione, cioè l’arte umoristica, non potrà che essere assai diversa da quella a cui siamo abituati: sarà un’arte paradossale, che rivela il contrario, l’ombra, l’oltre (tutte parole chiave per Pirandello). Il contrario è ciò che la riflessione umoristica scopre: la realtà non è mai pacifica e neutra come potrebbe sembrare, ma è una sfera lontanissima dalla vita quotidiana, che è invece governata dalle apparenze e dalle regole sociali, che Pirandello chiama forme. Secondo Pirandello, noi tutti finiamo per accettare queste forme e indossiamo la nostra maschera di rispettabilità. Ebbene, l’umorista rivela queste falsità, strappa la maschera dal viso suo e di tutti e rivela ciò che essa nasconde: il contrario, l’ombra, l’oltre. E’ così che la nuova arte umorista rivela le molteplici, confuse apparenze dell’esistere. Il traguardo di quest’arte è il trionfo del caos: Pirandello stesso si definiva figlio del Caos, ricordando di essere nato in una campagna che gli abitanti di Agrigento chiamavano Càvusu, Caos. La novella, una delle più celebri e fortunate dell'autore vincitore del Premio Nobel presenta molti dei punti cardinali della poetica di Pirandello: l'attenzione per situazioni paradossali e al limite del grottesco, la focalizzazione su personaggi caratterizzati da una fissazione, il ricorso ad una soluzione "umoristica" per sciogliere le intricate vicende narrate. Note di regia: Oltre all’inserimento del personaggio di Goldoni all’interno della rappresentazione de “L’Avaro” come già accennato, sono stati inventati nel corso dell’allestimento diversi spunti comici e le due opere sono state rielaborate in lingua napoletana allo scopo di rendere più immediato e coinvolgente il dialogo in modo da poter avvicinare e conquistare i giovani al teatro ed ai classici.