Trama di alcune tragedie greche (daD.Del Corno, Storia della letteratura greca, Milano 1995, pp. 245-255) Eschilo Persiani — Nella reggia di Susa il Coro dei vecchi Persiani è in trepida attesa di notizie sull'esito della spedizione di Serse contro la Grecia. La loro ansia s'accresce quando la regina Mossa, vedova di Dario e madre di Serse, racconta sogni e presagi nefasti che sembrano alludere all'impresa del re. Un messaggero porta la notizia della disastrosa sconfitta dei Persiani a Salamina, suscitando i lamenti di Atossa e del Coro. In risposta alle invocazioni della regina, appare l'ombra di Dario, che condanna la tracotante audacia del figlio e profetizza una nuova disfatta persiana a Platea. Sopraggiunge quindi sulla scena Serse, lacero e sconvolto, che intreccia col Coro un convulso dialogo in metro lirico, fra grida e lamenti. Sette a Tebe Sull'acropoli di Tebe, prossima a essere attaccata dagli invasori argivi guidati dall'esule Polinice, il re Eteocle, fratello di Polinice (sono entrambi figli di Edipo), affronta con fermezza il difficile momento della città, Il Coro delle donne tebane irrompe atterrito sulla scena, attirandosi i rimproveri di Eteocle. Sopraggiunge un messo, che intrattiene col re un lungo dialogo, diviso in sette sezioni: in ciascuna il messaggero descrive uno dei sette campioni argivi che si preparano all'assalto; Eteocle replica presentando via via i sette guerrieri tebani che li affronteranno, tra i quali lui stesso si opporrà al fratello Polinice. Dopo un canto pieno di tensione e di paura, il Coro apprende dal messo che gli assalitori sono stati respinti, ma che Eteocle e Polinice si sono uccisi reciprocamente. Di controversa autenticità è l'ultima scena, nella quale un araldo annuncia che Polinice non dovrà essere sepolto, provocando la ribellione di Antigone. Agamennone — Nella reggia di Argo Clitemestra, che in segreto insieme al suo amante Egisto trama la morte del marito, apprende da una vedetta che Agamennone sta per ritornare, dopo aver distrutto Troia. Al Coro dei, vecchi Argivi la regina conferma la verità della notizia. Sopraggiunge un araldo, che preannuncia il prossimo arrivo di Agamennone, felicemente approdato in Grecia, a differenza del fratello Menelao, vittima di un naufragio. Quando Agamennone giunge al palazzo, Clitemestra recita la parte della sposa fedele: lo accoglie come un trionfatore, e insiste perché faccia il suo ingresso nella reggia camminando sui drappi di porpora da lei predisposti. Cassandra, rimasta sola col Coro, profetizza l'imminente uccisione sua e del re; poi anch'essa entra nel palazzo. Poco dopo, le grida di morte di Agamennone preludono alla comparsa in scena di Cliternestra: con la mano ancora armata di scure, ebbra di esaltazione, la regina racconta la sua sanguinosa vendetta. Davanti al Coro sbigottito compare Egisto, che ha atteso in disparte il felice esito dell'agguato: fra le proteste dei vecchi Argivi la nuova coppia reale entra nel palazzo. Coefore — Sono trascorsi molti anni dai fatti narrati nell'Agamennone. Nel prologo Oreste. accompagnato da Pilade, giunge alla tomba del padre Agamennone in Argo. Entrano in scena Elettra e le donne del Coro. A loro Clitemestra, sconvolta da un sogno, ha ordinato di offrire libagioni al defunto. Alla scena del riconoscimento dei due fratelli segue un lungo canto alternato nel quale interviene anche il Coro: l'anima di Agamennone è invocata perché protegga i suoi figli che si accingono a vendicarlo. Oreste espone il suo piano, al quale dà immediatamente esecuzione. Si presenta alla madre, che non lo riconosce, con la notizia della propria morte. Clitemestra manda a chiamare Egisto; quando costui sopraggiunge, Oreste lo uccide, e poi uccide anche la madre che invano cerca di risvegliarne la pietà. Ma subito è aggredito dagli spiriti vendicatori delle Erinni, e fugge in cerca di purificazione. Eumenidi — La prima parte della tragedia è ambientata a Delfi. Nel prologo la sacerdotessa scopre con orrore all'interno del tempio Oreste, perseguitato dalle Erinni, che compongono il Coro. Lo stesso dio Apollo interviene però a proteggere Oreste e lo manda ad Atene, dove sarà sottoposto a equo giudizio e verrà liberato dal tormento che l'affligge. Ma le Erinni, risvegliate e incitate dall'ombra di Clitemestra, lo inseguono. La scena si sposta ora sull'acropoli di Atene. Apollo e le Erinni convengono di affidare il giudizio del delitto ad Atena: la dea decide però di nominare una giuria costituita da dodici cittadini ateniesi. Davanti ai giudici Oreste, le Erinni e Apollo espongono la loro valutazione dei fatti: è vero che Oreste ha ucciso la madre, ma dopo che questa gli aveva assassinato il padre. La votazione dà un numero uguale di voti per l'assoluzione e per la condanna: Atena proclama perciò Oreste assolto. Le Erinni minacciano di vendicarsi sul popolo ateniese per l'offesa subita, ma la mediazione di Atena fa sì che esse depongano l'ira e divengano divinità benigne (Eumenidi) e favorevoli alla città. Sofocle Aiace — La scena rappresenta il campo acheo durante l'assedio di Troia, presso la tenda di Aiace. Nel prologo, un dialogo fra Atena ed Odisseo espone l'antefatto: Aiace voleva vendicarsi del torto che gli Achei gli hanno fatto assegnando al suo rivale Odisseo le armi di Achille; ma, reso folle da Atena, ha sterminato innocui armenti, scambiandoli per i suoi nemici. Al Coro, composto da marinai di Salamina, la compagna dell'eroe, Tecmessa, racconta l'accaduto; Aiace, rinsavito, si rende conto che il suo onore è perduto e decide di morire. Senza farsi piegare dal le preghiere della donna e del Coro, l'eroe si congeda dal figlioletto. La scena si sposta in riva al mare, dove Aiace, dopo un ultimo monologo, si uccide. Il Coro e Tecmessa trovano il corpo dell'eroe: ai loro pianti si unisce quello del fratellastro Teucro. I mortali nemici di Aiace, Menelao ed Agamennone, vorrebbero che il cadavere fosse abbandonato agli uccelli e ai cani. Ma Teucro, grazie all'aiuto di Odisseo, ottiene per il morto onorevole sepoltura. Antigone — A Tebe, dopo il fallito attacco degli Argivi, il re Creonte ordina, contro ogni norma di pietà divina e familiare, che il corpo del traditore Polinice sia lasciato insepolto. Ma Antigone, sorella del morto, contravviene per due volte al divieto; e Creonte la condanna a morte, senza che il Coro dei vecchi Tebani osi intervenire. In preda a una folle esaltazione, il re è sordo alle implorazioni del figlio Emone, fidanzato di Antigone; solo dopo aver udito i minacciosi ammonimenti dell'indovino Tiresia, Creonte torna in sé; e vorrebbe liberare la fanciulla dalla caverna nella quale e stata rinchiusa. Ma nel frattempo Antigone sí è impiccata: Emone, dopo aver maledetto il padre, a sua volta si uccide. La regina Euridice, avuta notizia dell'accaduto da un messaggero, rientra nella reggia per darsi la morte. Creonte rimane solo, dilaniato da un'atroce disperazione. Edipo re — Edipo; re di Tebe, mosso dalle suppliche del Coro, è risoluto ad estirpare la contaminazione che appesta la città, punendo l'assassino del suo predecessore Laio, secondo le indicazioni di Apollo. L'indovino Tiresia dapprima si rifiuta di collaborare con lui; poi finisce per accusare dell'omicidio lo stesso Edipo, che si crede vittima di una congiura. Lo conforta la moglie Giocasta, già sposa di Laio; essa invita il marito a non ascoltare gli oracoli: anche a Laio il dio Apollo aveva predetto che sarebbe morto per mano del figlio, e invece il suo unico figliolo fu destinato a morte subito dopo la nascita. Anche Edipo ricorda di avere udito un oracolo secondo il quale egli avrebbe ucciso il padre e sposato la madre; ma a contraddirlo giunge da Corinto la notizia che il padre di Edipo, Polibo, è morto nella sua città. Il messaggero però rivela che Edipo fu adottato. Giocasta intuisce la verità, e vinta dall'orrore si ucciderà: ma Edipo tenacemente continua a indagare sulla propria nascita. Un vecchio servo di Laio, pur tra dolorose reticenze, permette alfine di conoscere la vera identità di Edipo: egli è proprio il figlio del vecchio re, esposto bambino sul Citerone e adottato poi da Polibo, sovrano di Corinto. Per punirsi di non avere visto il vero, Edipo si acceca e s'avvia verso l'esilio, mentre è proclamato re Creonte, fratello di Giocasta. Euripide Alcesti — Admeto, re di Fere in Tessaglia, ha ottenuto grazie ad Apollo di poter sfuggire alla morte, a patto che qualcuno accetti di morire al posto suo. Solo sua moglie Alcesti ha acconsentito al sacrificio, e ora è giunta per lei l'ora di morire. Le prime scene vedono lo straziante congedo della giovane donna dal marito e dai figli, fra la commozione dei vecchi del Coro. Alla casa immersa nel lutto arriva Eracle, che Admeto accoglie con la consueta ospitalità. Dopo un violento scontro verbale fra Admeto e il vecchio padre Ferete, che aveva rifiutato di dare la propria vita per quella del figlio, riappare Eracle ubriaco, che apprende da un servo l'accaduto; egli corre allora ad affrontare Thanatos, il demone della morte che ha rapito Alcesti. L'eroe strappa la donna all'avversario e la riporta ad Admeto, al quale la riconsegna dopo averne messo alla prova la fedeltà. Medea _ Medea ha seguito con i figlioli Giasone a Corinto; qui viene a sapere che egli intende sposare la figlia del re Creonte e che lei stessa verrà espulsa dalla città. Offesa nei suoi sentimenti più profondi, Medea decide di vendicarsi terribilmente. Assicuratasi la complicità delle donne del Coro, ottiene anzitutto da Creonte che la sua partenza da Corinto sia rimandata di un giorno. La scena seguente, che è un agone fra marito e moglie, non produce alcuno sviluppo nell'azione drammatica, ma rivela il carattere ambiguo e ipocrita di Giasone. L'aiuto decisivo è offerto a Medea dal re di Atene Egeo, che di ritorno da Delfi passa da Corinto e promette alla donna di accoglierla ad Atene. Certa ormai di poter sfuggire ai suoi nemici, Medea mette in esecuzione il piano di vendetta: finge di riconciliarsi con Giasone e, ostentando il desiderio di rendere omaggio ai sovrani, manda alla giovane sposa i propri figli, a portarle doni che sono imbevuti di filtri mortali. Dopo che un messaggero ha narrato l'orribile fine di Creonte e della figlia, Medea rientra nel palazzo e uccide i suoi stessi figli: Giasone non può far altro che maledirla, mentre la donna fugge su un carro alato. Ippolito — A Trezene Fedra, la seconda moglie del re di Atene Teseo, per volontà di Afrodite si è innamorata perdutamente del figliastro Ippolito, che è un devoto di Artemide, dea della caccia, e rifiuta l'amore e il sesso femminile. Incapace di resistere alla passione, si confida con la nutrice e con le donne del Coro, a cui rivolge un discorso pieno di lucida disperazione. Nonostante le esitazioni di Fedra, ossessivamente preoccupata di non macchiare il proprio onore, la nutrice rivela tutto a Ippolito, che reagisce con sdegno e orrore. Fedra, sentendosi perduta, si uccide, ma lascia uno scritto in cui denuncia falsamente Ippolito di averle recato violenza. Teseo crede all'accusa postuma denuncia falsamente Ippolito di averle recato violenza. Teseo crede all'accusa postuma e maledice il figlio cacciandolo da Trezene. Poco dopo, un messaggero narra come Ippolito sia stato assalito da un toro mostruoso, mandato da Poseidon, e mortalmente ferito dai suoi cavalli imbizzarriti. Appare Artemide, che prende congedo teneramente dal suo diletto cacciatore, portato morente sulla scena, e rivela a Teseo l'innocenza del figlio.