PERCORSO FORMATIVO DESTINATO A RESPONSABILI E ADDETTI DEI SERVIZI DI PREVENZIONE E PROTEZIONE MODULO A LA CLASSIFICAZIONE DEI RISCHI IN RELAZIONE ALLA NORMATIVA RISCHIO INCENDIO ED ESPLOSIONE MATERIALE DIDATTICO AD USO DEI PARTECIPANTI Direzione Centrale Prevenzione Polo Formativo Centrale 1 INDICE A4 LA CLASSIFICAZIONE DEI RISCHI IN RELAZIONE ALLA NORMATIVA RISCHIO INCENDIO ED ESPLOSIONE ...................................................................3 A4.1 Rischio da ambienti di lavoro .................................................................................................... 3 A4.1.1 A4.1.2 A4.1.3 A4.1.4 Definizione di ambiente di lavoro..........................................................................................................3 Rischio da ambiente di lavoro................................................................................................................3 Comportamenti a rischio. .......................................................................................................................5 Obblighi del datore di lavoro .................................................................................................................6 A4.2 Rischio elettrico e verifiche periodiche obbligatorie degli impianti ....................................... 7 A4.2.1 A4.2.2 A4.2.3 A4.2.4 A4.2.5 A4.2.6 A4.2.7 A4.2.8 A4.2.9 Principali riferimenti legislativi e norme tecniche. ................................................................................7 Caratterizzazione del rischio elettrico ..................................................................................................14 Gli effetti della corrente sul corpo umano............................................................................................14 Classificazione degli impianti elettrici .................................................................................................16 Protezione contro i contatti diretti........................................................................................................18 Protezione contro i contatti indiretti.....................................................................................................20 Sicurezza degli impianti in ambienti particolari...................................................................................22 Impianti di protezione contro le scariche atmosferiche........................................................................24 La verifica degli impianti .....................................................................................................................25 A4.3 Rischio meccanico, macchine, attrezzature ............................................................................ 27 A4.3.1 A4.3.2 A4.3.3 A4.3.4 Riferimenti normativi principali...........................................................................................................27 Uso delle attrezzature di lavoro (titolo III Capo I - D.Lgs. 9 aprile 2008 n° 81)................................28 “Direttiva macchine” - D.p.r. n. 459/96 ...............................................................................................33 Omologazione e verifiche delle macchine ...........................................................................................36 A4.4 Rischio movimentazione merci ................................................................................................ 37 A4.4.1 Movimentazione meccanica dei carichi ...............................................................................................37 A4.5 Rischio cadute dall’alto ............................................................................................................ 39 A4.5.1 Valutazione del rischio di cadute dall’alto...........................................................................................41 A4.6 Rischio incendio ed esplosione ................................................................................................. 44 A4.6.1 Nozioni fondamentali di prevenzione incendi .....................................................................................44 A4.6.2 Effetti dell’incendio .............................................................................................................................45 A4.6.3 Definizioni di prevenzione incendi ......................................................................................................46 A4.6.4 Estinzione degli incendi .......................................................................................................................47 A4.6.5 Prevenzione e protezione incendi.........................................................................................................48 A4.6.6 Il piano di emergenza...........................................................................................................................50 A4.6.7 Motivazioni legislative.........................................................................................................................50 A4.6.8 Contenuto del piano di emergenza.......................................................................................................51 A4.6.9 Elementi necessari per preparare un piano di emergenza ....................................................................53 A4.6.10 Il modello organizzativo del piano.....................................................................................................54 A4.6.11 Scenari delle emergenze.....................................................................................................................55 A4.6.12 Assistenza alle persone disabili in caso di emergenza .......................................................................56 A4.6.13 Informazione e formazione antincendio.............................................................................................58 A4.6.14 Principali riferimenti normativi..........................................................................................................60 A4.6.15 Attività soggette alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi ....................................................61 A4.6.16 Esame progetto...................................................................................................................................62 A4.6.17 Deroga................................................................................................................................................63 A4.6.18 Richiesta del certificato di prevenzione incendi ................................................................................64 A4.6.19 Il D.M. 10/03/1998 ............................................................................................................................66 2 A4 LA CLASSIFICAZIONE DEI RISCHI IN RELAZIONE ALLA NORMATIVA RISCHIO INCENDIO ED ESPLOSIONE A4.1 Rischio da ambienti di lavoro A4.1.1 Definizione di ambiente di lavoro Nel D.Lgs. 81/08 (Testo Unico) non vi è un preciso riferimento ad ambienti di lavoro ma al Titolo II, l’art. 62 comma 1 del medesimo fa riferimento a luoghi di lavoro che vengono definiti come: a) i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro. b) i campi, i boschi e altri terreni facenti parte di una azienda agricola o forestale. 2. Le disposizioni del presente titolo non si applicano: a) ai mezzi di trasporto; b) ai cantieri temporanei o mobili; c) alle industrie estrattive; d) ai pescherecci. Dalla lettura di tale articolo sembrerebbe che il D.Lgs. 81/08 non dia una definizione di ambiente di lavoro, tuttavia la giurisprudenza della Cassazione penale ha stabilito che “…per luoghi di lavoro devono intendersi tutti gli ambienti ubicati dentro o fuori dall'azienda comunque accessibili per ragioni di lavoro (anche saltuariamente) quali ad es. i locali tecnici nei quali si possono eseguire interventi di ordinaria manutenzione, ecc.”. A4.1.2 Rischio da ambiente di lavoro L’ambiente in cui lavoriamo, anche se all’apparenza può sembrare sicuro, potrebbe comportare dei rischi per il lavoratore che hanno origine da diversi fattori come ad esempio: • le caratteristiche architettoniche del luogo di lavoro; • la presenza di impianti termici e/o di condizionamento, elettrici, di sollevamento, ecc.; • l’errato comportamento dei colleghi in determinate condizioni; • l’organizzazione del lavoro; • ecc.. 3 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – In particolare in un ambiente di lavoro si possono avere i seguenti rischi: 1. Rischio elettrico, generato da un impianto non a norma, da un non corretto utilizzo dello stesso da parte dei lavoratori, da una mancata manutenzione, da una carenza delle verifiche periodiche dell’impianto di terra e dell’impianto di protezione alle scariche atmosferiche;(Decreto 37/08 sul riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici; Legge 186/68 “disposizioni concerneti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari elettrici ed elettronici”; Norme CEI 64-8 riconusciute tramite la Legge 186/68); 2. Rischio chimico, che può essere di tipo tossicologico, incidentale, da incendio ed esplosione, tecnologico provocato da anomalie di impianti e processi, da cattiva gestione di stoccaggi, trasporti, trasferimenti, ecc. di prodotti pericolosi, da incidenti rilevanti con conseguenze interne all’ambiente di lavoro. (D.Lgs. 25/2002 in applicazione della direttiva 98/24/CE); 3. Rischio biologico, dovuto ad una carenza di igiene personale e per decontaminazione, disinfezione e sterilizzazione; al mancato utilizzo dei DPI; al mancato rispetto delle procedure; al non corretto trasporto dei campioni biologici; (Titolo X del D.Lgs 81/08); 4. Rischio fisico, dovuto alla errata movimentazione manuale dei carichi. Il rischio fisico è anche generato dal rischio elettrico in quanto la corrente elettrica può produrre sul corpo umano, sia per azioni diretta che per azione indiretta, danni gravissimi. L’azione diretta consiste nel passaggio della corrente elettrica attraverso il corpo umano a seguito di contatto contemporaneo con due punti a potenziali diverso. Il passaggio della corrente elettrica nel corpo umano, in questo caso, provoca effetti che vanno da una semplice scossa, senza conseguenze sull’organismo, a gravi contrazioni muscolari che, interessando organi vitali e principalmente il cuore, possono portare anche alla morte. 5. Rischio microclimatico, dovuto ad un non corretto funzionamento e impostazione degli impianti aeraulici ed ad un livello di illuminamento non conforme alle norme; 6. Rischio psicologico e da stress; lo stress lavorativo si determina quando le capacità di una persona non sono adeguate rispetto al tipo e al livello delle richieste lavorative. Il tipo di reazione ad una situazione dipende anche dalla personalità del soggetto; lo stesso tipo di lavoro può risultare soddisfacente, monotono o complesso in personalità diverse. I disturbi che si manifestano sono di tipo psicologico e psicosomatico: mal di testa, tensione nervosa, irritabilità, stanchezza eccessiva, insonnia, digestione difficile, ansia, depressione; 7. Rischio organizzativo, dovuto ad esempio al lavoro a turni inteso come ogni forma di organizzazione dell’orario esteso ad occupare l’intera giornata. Infatti il lavoro notturno comporta una condizione di stress per l’organismo con effetti da sindrome da jet-lag, ossia insonnia, dispepsia, calo della vigilanza e della performance; 8. Rischio architettonico; quando si parla di rischio architettonico ci si riferisce ai rischi determinati dalle caratteristiche architettoniche dell’ambiente di lavoro. Infatti i locali di lavoro, oltre a garantire le condizioni minime di altezza, cubatura e superficie (3,0 m, 10 mc, 2 mq per lavoratore), devono essere ben riparati dagli agenti atmosferici e dall’umidità; a tal fine i Regolamenti di Igiene edilizia 4 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione esigono il rispetto delle condizioni espresse. Spesso però situazioni progettate e realizzate a norma vengono modificate con il passare del tempo dagli utenti stessi, per comodità o per sopravvenute esigenze, fino a creare nuove condizioni di rischio. Riportiamo di seguito alcune prescrizioni da rispettare sempre: • I soppalchi destinati a luogo di lavoro sono ammessi solo se tali da garantire, nella parte sottostante e sovrastante, la rispondenza a tutte le caratteristiche previste per gli ambienti di lavoro (altezza, superficie, microclima, illuminazione…) • I solai e i soppalchi destinati a deposito debbono avere, in un punto ben visibile, la chiara indicazione del carico massimo (espresso in Kg/mq); i carichi devono essere distribuiti in modo razionale ed omogeneo. • Le aperture nel vuoto devono essere provviste di solido parapetto di materiale rigido, resistente, in buono stato di conservazione, di altezza di almeno un metro, costituito da almeno due correnti (di cui quello intermedio a metà altezza tra pavimento e corrente superiore), ben fissati in modo da resistere al massimo sforzo cui possono essere sottoposti e muniti di fascia di arresto al piede (continua, poggiata sul pavimento e di almeno 15 cm di altezza). • L’uso di locali interrati o seminterrati come ambiente di lavoro è vietato a meno che la USSL conceda una autorizzazione, all’utilizzo di tali locali in deroga alla legge, ovviamente solo a condizione che siano ben asciutti, ben ventilati e ben illuminati. • Le dimensioni degli spazi di lavoro e delle vie di transito e di esodo devono essere costantemente conformi alle normative per garantire uno standard accettabile di sicurezza, specialmente in relazione all’eventualità di dover evacuare l’insediamento in condizioni di emergenza. Tra gli obblighi del datore di lavoro nell’art. 32 comma 1, lettera a) del D.Lgs 626/94 c’è quello di provvedere affinché “le vie di circolazione interne o all’aperto che conducono a uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l’utilizzazione in ogni evenienza”. • Nel caso ci sia una presenza rilevante di personale diventa opportuno provvedere alla elaborazione di un Piano di Evacuazione, in cui si affrontino tutte le problematiche capaci di garantire un esodo ordinato e sicuro che sia efficace anche nel favorire gli interventi di soccorso esterno. La sua divulgazione a tutto il personale e la disposizione di segnaletica e di cartellonistica adeguate, si rivelano di fondamentale importanza per ricordare e suggerire i comportamenti da seguire e quelli assolutamente da evitare in caso di emergenza. A4.1.3 Comportamenti a rischio. Disorganizzazione e disordine sono le condizioni principali di rischio. Per favorire un esodo veloce e ordinato è indispensabile, oltre a garantire sempre l’assenza di materiale di ingombro sulle vie di circolazione, agire sul senso percettivo degli individui, disponendo segnaletica e cartellonistica adeguate. 5 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – • Secondo l'allegato IV, punto 1.4.10., del D.Lgs 81/08 “I pavimenti ed i passaggi non devono essere ingombrati da materiale che ostacoli la normale circolazione”. Si rammenta quindi che, sempre e comunque, devono essere lasciati liberi da ogni ostacolo o impedimento, anche temporaneo, i corridoi, gli spazi e le vie di transito, le vie di accesso e di esodo, le uscite di emergenza, le scale di sicurezza e tutte le zone attraverso le quali è possibile raggiungere i mezzi antincendio • Quante volte i corridoi vengono trasformati in depositi, più o meno momentanei, di carta, materiali e arredi vari così da renderli spesso fonte di infortuni (contusioni, escoriazioni, slogature, traumi,…) dovuti ad inciampi ed urti. • Il “temporaneo” deposito di materiali e le sistemazioni irrazionali di componenti di arredo in prossimità di porte o uscite di emergenza spesso ne impediscono o ne rendono difficoltosa l’apertura. Si ricorda che, per ragioni di sicurezza e di comoda deambulazione, le porte non solo devono sempre essere apribili, ma devono essere apribili in modo completo e agevolmente. Quest’ultimo avverbio di modo impiegato nella normativa suggerisce l’installazione di maniglie classiche invece di quelle a pomolo; le aperture a spinta con maniglione antipanico si rendono necessarie solo in caso di numerosa presenza di personale. • Un imperativo nella progettazione di uffici riguarda infine la disposizione e fruibilità dei servizi igienici che devono essere situati in prossimità dei luoghi di lavoro, devono essere dotati di acqua calda, di mezzi detergenti e per asciugarsi e devono essere separati per sesso (laddove, per vincoli urbanistici o architettonici e nelle aziende in numero non superiore a 10, ciò non fosse possibile è ammessa un’utilizzazione separata degli stessi).L'art.63 del Dlgs 81/08 ed il relativo allegato IV sottolineano infine che “i luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, di eventuali lavoratori portatori di handicap… in particolare per le porte, le vie di circolazione, le scale, … i gabinetti e i posti di lavoro utilizzati od occupati direttamente da lavoratori portatori di handicap. Tale disposizione non si applica ai luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1 gennaio 1993, ma debbono essere adottate misure idonee a consentire la mobilità e l’utilizzazione dei servizi sanitari e di igiene personale”. A4.1.4 Obblighi del datore di lavoro Gli obblighi del Datore di Lavoro riferiti al luogo di lavoro sono indicati all’art.64, titolo II, del D.Lgs. 81/08 che recita: 1. Il datore di lavoro provvede affinché: a. i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’art. 63, commi 1,2 e3; b. le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza; c. i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori; 6 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione d. i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate; e. gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento. L’allegato IV del D.Lgs. 81/08 da le indicazioni di carattere tecnico per l’adeguamento dei luoghi di lavoro. A4.2 Rischio elettrico e verifiche periodiche obbligatorie degli impianti A4.2.1 Principali riferimenti legislativi e norme tecniche. Quello elettrico è uno dei settori dove la relazione tra i principali riferimenti legislativi e la normativa tecnica trova una compiuta e razionale integrazione, anche e soprattutto per l’applicazione da parte del legislatore del principio del “ rinvio a norma” per gli aspetti tecnici. Oltre al principale riferimento legislativi di carattere generale costituito dal D.Lgs 81/08 (Titolo III – Capo III) il settore elettrico è regolato dalle seguenti atti legislativi: Legge 186/68. “Disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazione ed impianti elettrici ed elettronici” Decreto n.37 del Ministero dello Sviluppo economico del 22 gennaio 2008. Legge 626/96 che recepisce la Direttiva Comunitaria 93/68 CEE relativa alle garanzie di sicurezza che deve possedere il materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro taluni limiti di tensione (c.d. Seconda Direttiva Bassa Bassa Tensione”). Tale legge, insieme al D.L.277/97, sostituisce la legge 791 del 1977 che recepiva la prima direttiva europea 73/23 D.P.R. 462 del 2001. Regolamento di semplificazione del procedimento per la denuncia di installazioni e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, di dispositivi di messa a terra di impianti elettrici e di impianti elettrici pericolosi. Alcuni settori particolari inoltre trovano riferimenti legislativi regolamentari specifici. ••• LLegge egge 1186/68 86/68 ee ll’evoluzione ’evoluzione ddel el pprincipio rincipio ddii rrinvio invio aa nnorma orma La legge 186/1968 anticipa a livello nazionale il cosiddetto principio del “rinvio a norma” adottato dall’ Unione Europea con le Direttive “Nuovo approccio”. Essa consta di due soli articoli di seguito riportati: Art. 1 – Tutti i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici devono essere realizzati e costruiti a regola d’arte” Art. 2 – I materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici realizzati secondo le Norme del Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) si considerarsi a regola d’arte. 7 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Il concetto del rinvio alle norme emesse dagli Organismi di Normazione Tecnica- in ambito italiano il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) e l’ UNI (Ente Italiano di Unificazione) per gli altri settori – è contenuto nel D.M. n. 37 del 22 gennaio 2008 che all’art. 3 comma 1 riprende di fatto i principi della Legge 186/68: “ Le imprese realizzano gli impianti secondo la regola dell’arte, in conformità alla normativa vigente e sono responsabili della corretta esecuzione degli stessi. Gli impianti realizzati in conformità alla vigente normativa e alle norme dell’UNI, del CEI, e degli altri Enti di normalizzazione appartenenti agli Stati Membri dell’Unione Europea o che sono parti contraenti dell’accordo sullo spazio economico europeo, si considerano eseguiti a regola d’arte”” La trasposizione di questo principio nell’ambito del D.M. n. 37/08 ha consentito inoltre di poter applicare un apparato sanzionatorio di cui era sprovvista la legge 186/68. Un analogo principio di rinvio a norma è contenuto nella legge 626/96 che recepisce la direttiva europea 93/68 relativa alle garanzie di sicurezza che deve possedere il materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro taluni limiti di tensione (c.d. Seconda Direttiva Bassa Tensione”). L’armonizzazione tecnica nel settore elettrico è assicurata in ambito Europeo dal CENELEC, il quale emette Norme Europee, siglate EN, che devono essere integralmente adottate negli Stati membri, e documenti di armonizzazione, siglati HD, ai cui contenuti dovranno uniformarsi tutti gli Stati Membri. Quasi tutte le norma CEI di nostro interesse, ed in particolare quelle relative ai materiali e i componenti elettrici a bassa tensione sono Norme Europee o documenti di armonizzazione CENELEC. E' da precisare che il riferimento alle norme tecniche rappresenta una condizione sufficiente per il rispetto della "regola d'arte", in considerazione del fatto che la legislazione riconosce normativa tecnica vigente la presunzione del rispetto dello stato dell'arte in base alle conoscenze e all'evoluzione tecnica. Ma non rappresenta una condizione necessaria, considerato il carattere formalmente volontarie delle norme tecniche, in quanto l'intento è quello di non ostacolare soluzioni innovative, che nel rispetto dei requisiti base delle norme tecniche, hanno bisogno di tempi e verifiche per il riconoscimento normativo. Il DLgs 81/2008 Il Dlgs 81/2008 ha abrogato il DPR 547/55 che trattava gli impianti elettrici al Titolo VII. La sicurezza degli impianti e delle apparecchiature elettriche è trattata dal Dlgs 81/2008, al titolo III, capo III, artt. 80-87. L’art. 80 riporta gli obblighi del datore di lavoro e l’art. 81 i Requisiti di sicurezza. Negli articoli 83-86 si ha la conferma del principio generalizzato di rinvio alle norme tecniche. ••• AArticolo rticolo 880 0 -- O bblighi ddel el ddatore atore ddii llavoro avoro Obblighi 1. Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché i materiali, le apparecchiature e gli impianti elettrici messi a disposizione dei lavoratori siano progettati, costruiti, installati, utilizzati e manutenuti in modo da salvaguardare i lavoratori da tutti i rischi di natura elettrica ed in particolare quelli derivanti da: a. contatti elettrici diretti; 8 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione b. contatti elettrici indiretti; c. innesco e propagazione di incendi e di ustioni dovuti a sovratemperature pericolose, archi elettrici e radiazioni; d. innesco di esplosioni; e. fulminazione diretta ed indiretta; f. sovratensioni; g. altre condizioni di guasto ragionevolmente prevedibili. 2. A tale fine il datore di lavoro esegue una valutazione dei rischi di cui al precedente comma 1, tenendo in considerazione: a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro, ivi comprese eventuali interferenze; b) i rischi presenti nell’ambiente di lavoro; c) tutte le condizioni di esercizio prevedibili. 3. A seguito della valutazione del rischio elettrico il datore di lavoro adotta le misure tecniche ed organizzative necessarie ad eliminare o ridurre al minimo i rischi presenti, ad individuare i dispositivi di protezione collettivi ed individuali necessari alla conduzione in sicurezza del lavoro ed a predisporre le procedure di uso e manutenzione atte a garantire nel tempo la permanenza del livello di sicurezza raggiunto con l’adozione delle misure di cui al comma 1. ••• AArticolo rticolo 881 1 -- RRequisiti equisiti ddii ssicurezza icurezza 1. Tutti i materiali, i macchinari e le apparecchiature, nonché le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici devono essere progettati, realizzati e costruiti a regola d’arte. 2. Ferme restando le disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, i materiali, i macchinari, le apparecchiature, le installazioni e gli impianti di cui al comma precedente, si considerano costruiti a regola d’arte se sono realizzati secondo le norme di buona tecnica. •• IIll D M 337 7 ddel el 222 2G ennaio 22008 008 ((Ministero Ministero ddello ello SSviluppo viluppo EEconomico) conomico) DM Gennaio Si tratta di un atto legislativo di rilevante importanza ai fini della sicurezza degli impianti lettrici sia nelle abitazioni che nei luoghi di lavoro. Il Decreto, pubblicato sulla G.U.R.I. del 18 marzo 2008, riordina le disposizioni in materia di installazione degli impianti all'interno degli edifici. Il Decreto abroga la legge 46/90 e le disposizioni contenute nel Regolamento di attuazione (DPR 477/91). Si applica a tutti gli impianti collocati all'interno degli edifici e ubicati a valle del punto di consegna dell'energia. Comprende anche gli impianti di protezione contro le scariche atmosferiche che in precdenza erano esclusi dalla legge 46/90. Tra gli impianti elettrici sono inoltre compresi quelli di autoproduzione di 9 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – energia sino a 20 kW di potenza nominale, gli impianti per l'automazione di porte, cancelli e barriere anche esterni agli edifici se questi sono funzionalmente collegati agli edifici. Il Decreto prevede, tra l'altro, alcuni strumenti fondamentali per assicurare un elevato livello di sicurezza negli impianti elettrici: la progettazione a regola d'arte degli impianti, la realizzazione e installazione a regola d'arte, i requisiti tecnici delle imprese abilitate e la dichiarazione di conformità. La progettazione degli impianti. Il DM prevede in pratica due livelli di progettazione a seconda della tipologia dell'impianto elettrico. Progettazione con obbligo di redazione da parte di un professionista iscritto negli albi professionali secondo le specifiche competenze richieste. Le tipologie di impianto con tale obbligo di progettazione, per qualunque tipologia di edificio, sono: utenze dei servizi condominiali (escluso gli ascensori) e indipendentemente dalla potenza impegnata (prima l'obbligo scattava per una potenza superiore a 6 kW) utenze domestiche di singole unità con superficie superiore ai 400mq di o di potenza impegnata superiore a 6 kW; utenze di immobili adibiti ad attività produttive, al commercio e al terziario ed ad altri usi alimentate tensione superiore a 1000 V; utenze di immobili adibiti ad attività produttive, al commercio e al terziario ed ad altri usi alimentate a bassa tensione con superficie superiore a 200 mq o potenza impegnata superiore a 6 kW. impianti elettrici relativi a unità immobiliari o ambienti sottoposti a specifica normativa CEI, in caso di locali adibiti a uso medico, e in tutti i casi in cui sussista pericolo di esplosione o maggior rischio d'incendio, indipendentemente dalla potenza impegnata impianti di protezione contro le scariche atmosferiche se il volume dell'edificio è superiore a 200 mc a prescindere dall'altezza e dalla presenza d'impianti elettrici sottoposti a specifica normativa CEI. Progettazione negli altri casi, con elaborato tecnico redatto in alternativa dal responsabile tecnico dell'impresa installatrice. L'elaborato tecnico dovrà essere costituito almeno dallo schema di impianto (descrizione funzionale ed effettiva), eventualmente integrato con la necessaria documentazione tecnica attestante le eventuali varianti introdotte in corso d'opera. Realizzazione dell'installazione degli impianti. Deve essere effettuata a regola d'arte e accompagnata da una dichiarazione di conformità rilasciata da una impresa installatrice abilitata e iscritta negli appositi elenchi della Camera di Commercio. Per quanto riguarda gli edifici con impianti realizzati antecedentemente al 13 marzo 1990 ( data di entrata in vigore della legge 46/90) si considerano adeguati, limitatamente alle installazioni all'interno di unità immobiliari ad uso abitativo, se dotati di: sezionamento; protezioni contro le sovraccorrenti posta all'origine dell'impianto; protezione contro i contatti diretti; protezione contro i contatti indiretti o protezione con interruttore differenziale con corrente differenziale nominale non superiore a 30 mA. Le imprese installatrici. Le imprese installatrici devono essere abilitate e possedere dei requisiti tecnici specifici. L'abilitazione è conseguita con l'iscrizione nel registro delle 10 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione imprese o nell'albo provinciale delle imprese artigiane nel caso di ditte individuali. Le imprese sono abilitate se in possesso dei requisiti professionali previsti dal decreto, nelle persone del legale rappresentante (dallo stesso imprenditore se ditta individuale) o del responsabile tecnico preposto dall'impresa con atto formale. La dichiarazione di conformità. Viene redatta dall'impresa installatrice (dal legale rappresentante e dal responsabile tecnico) secondo l'apposito modello riportate nel decreto., deve riportare: la dichiarazione di aver rispettato il progetto; la dichiarazione di aver seguito la norma tecnica applicabile all'impiego; la dichiarazione di aver installato componenti e materiali adatti al luogo di installazione; la dichiarazione di aver controllato l'impianto, ai fini della sicurezza e funzionalità. Alla dichiarazione devono essere allegati obbligatoriamente i documenti di tipo progettuale. Il Decreto ha inoltre introdotto un elemento di novità di un certo rilievo: la dichiarazione di rispondenza (DR), con riferimento a tutti gli impianti costruiti precedentemente all'entrata in vigore del decreto, per i quali non sia reperibile e non sia stata prodotta la Dichiarazione di conformità. E' da sottolineare inoltre che il Decreto, non considera gli apparecchi elettrici utilizzatori, gli equipaggiamenti elettrici dei macchinari poiché questi sono oggetto della Legge 626/96 che recepisce la Direttiva Europea 93/68 inerente la garanzia di sicurezza che deve avere il materiale elettrico. ••• LLe e nnorme orme CCEI EI Da quanto detto risulta evidente, in virtù dell'applicazione del principio del rinvio a norma, l'importanza delle Norme CEI. Il Comitato Elettrotecnico Italiano è strutturato in Commissioni Tecniche ciascuna delle quali si occupa della normazione di specifici settori di attività. Generalmente il primo numero di una Norma CEI identifica la Commissione Tecnica che ha elaborato la norma e il settore cui si riferisce. Di seguito vengono indicate le Norme CEI base per gli impianti elettrici, mentre altre norme più specifiche verranno richiamate più avanti nella trattazione di aspetti specifici. La principale Norma di riferimento e la NORMA CEI 64-8 per gli "Impianti elettrici utilizzatori a tensione nominale non superiore a 1000 V in corrente alternata e 1500 V in corrente continua". La norma è composta da sette parti, e l'ultima edizione, è aggiornata con una variante del 2005. Di seguito è descritta la struttura della norma secondo le sette parti che la compongono. Norma CEI 64-8/1 “Parte 1: Oggetto, scopo e principi fondamentali". La parte 1 contiene la premessa generale alla Norma. In essa si precisa che la Norma CEI 64-8 contiene le prescrizioni di progetto, di montaggio e di verifica degli impianti elettrici aventi lo scopo di assicurare sicurezza e un funzionamento adatto all'uso previsto. Si applica agli impianti elettrici utilizzatori di edifici a destinazione residenziale, commerciale, 11 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – industriale, agricola ecc., e a circuiti alimentati a tensione nominale non superiore a 1000 V c.a. e 1500 V c.c. Il fascicolo precisa quali sono gli impianti elettrici ai quali la norma si applica e dove essa non si applica e fissa inoltre i principi fondamentali che un impianto elettrico deve possedere ai fini della sua corretta progettazione ed esecuzione secondo criteri di sicurezza e di funzionalità. Il contenuto è conforme a quello adottato, mediante appositi Documenti di Armonizzazione, in sede CENELEC. Norma CEI 64-8/2 "Parte 2: Definizioni" Il fascicolo, che contiene la parte 2: "Definizioni" della Norma CEI 64-8, fornisce le definizioni dei termini contenuti nel testo, necessarie per la comprensione dei requisiti normativi richiesti ad un impianto elettrico. E’ suddiviso in capitoli concernenti le definizioni su: 1) Caratteristiche dell’impianto, 2) Tensioni, 3) Contatti elettrici, 4) Messa a terra, 5) Circuiti elettrici, 6) Condutture elettriche, 7)Altri componenti elettrici, 8) Sezionamento e manovra, 9) Competenza delle persone. Norma CEI 64-8/3 "Parte 3: Caratteristiche generali". Il terzo fascicolo precisa i requisiti che deve possedere un impianto elettrico in termini di caratteristiche generali, relativamente alla sua configurazione circuitale, alla alimentazione (principale e di sicurezza o di riserva), alle influenze esterne, alla compatibilità dei componenti elettrici tra di loro ed alle condizioni di manutenzione. I capitoli riguardano: 1) Alimentazione e struttura, 2) Classificazione delle influenze esterne, 3) Compatibilità, 4)Condizioni per la manutenzione, 5) Alimentazione dei servizi di sicurezza. Norma CEI 64-8/4 “Parte 4: Prescrizioni per la sicurezza". La parte 4: "Prescrizioni per la sicurezza", fornisce le prescrizioni necessarie a garantire la sicurezza delle persone e dei beni e le prescrizioni relative alla loro applicazione nelle varie situazioni. Riguarda: 1) Protezione contro i contatti diretti ed indiretti; 2) Protezione contro gli effetti termici; 3)Protezione delle condutture contro le sovracorrenti; 4) Protezioni contro le sovratensioni; 5) Protezione contro gli abbassamenti di tensione; 6)Sezionamento e comando; 7) Applicazione delle prescrizioni per la sicurezza; 8) Criteri per la scelta delle misure di protezione secondo le varie condizioni di influenze esterne. Norma CEI 64-8/5 “Parte 5: Scelta ed installazione dei componenti elettrici” La parte 5 fornisce le prescrizioni relative alla scelta ed alla installazione dei componenti elettrici necessari per l'attuazione delle misure di protezione trattate nella parte 4. In particolare, i sei capitoli trattano le prescrizioni riguardanti i seguenti aspetti:1) Regole comuni a tutti i componenti elettrici; 2) Scelta e messa in opera delle condutture elettriche; 3) Dispositivi di protezione, di sezionamento e di comando; 4) messa a terra e conduttori di protezione; 5) Altri componenti elettrici; 6) Alimentazione dei servizi di sicurezza. Norma CEI~64-8/6 “Parte 6: Verifiche". 12 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione La parte 6 tratta le verifiche, costituite da esami in vista e da prove, che devono venire eseguite in un impianto elettrico per accertare che, per quanto praticamente possibile, le prescrizioni della Norma siano state rispettate. Norma CEI 64-8/7 “Parte 7: Ambienti ed applicazioni particolari" La parte 7 tratta le prescrizioni particolari alle quali devono soddisfare gli impianti elettrici realizzati negli ambienti e nelle applicazioni nelle quali è maggiore il rischio elettrico; queste prescrizioni integrano, modificano o annullano le prescrizioni generali delle prime sei parti. Gli undici capitoli in cui è strutturata la norma forniscono le prescrizioni per i seguenti ambienti particolari: 1) Locali contenenti bagni o docce, 2) Piscine, 3) Locali contenenti riscaldatori per saune, 4) Cantieri di costruzione e di demolizione, 5) Strutture adibite ad uso agricolo o zootecnico, 6) Luoghi conduttori ristretti, 7) Prescrizioni per la messa a terra di apparecchiature di elaborazione dati, 8) Aree per campeggio e caravan, 9) Ambienti a maggior rischio in caso di incendio, 10) Impianti elettrici nei luoghi di pubblico spettacolo e di trattenimento, 11) Impianti elettrici per lampade a scarica a catodo freddo ad alta tensione. Altre norme di riferimento principali per gli impianti sono: Norma CEI 64-2 "Impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione" - Tale norma va integrata con una serie di norme specifiche della serie 31 ( CT 31). Particolarmente utili sono alcune Norme Guida specifiche: Norma CEI 02 - "Guida alla definizione della documentazione di progetto degli impianti elettrici" Norma CEI 0-10 - "Guida alla manutenzione degli impianti elettrici" Norma CEI 0-11 - "Guida alla gestione in qualità delle misure per la verifica degli impianti elettrici ai fini della sicurezza" Norma CEI 0-14 - "Guida all'applicazione del DPR 462/01 relativa alla semplificazione del procedimento per la denuncia di installazioni e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, di dispositivi di messa a terra degli impianti elettrici e di impianti elettrici pericolosi" Norma CEI 64 -12 “Guida per l'esecuzione dell'impianto di terra negli edifici per uso residenziali e terziario" Norma CEI 64 -14 - "Guida alle verifiche negli impianti elettrici utilizzatori" Norma CEI 64-17 - "Guida alla esecuzione degli impianti elettrici nei cantieri" Norma CEI 64-50 - "Guida per l'integrazione degli impianti elettrici utilizzatori e per la predisposizione di impianti ausiliari, telefoni e trasmissione dati negli edifici. Criteri generali" Norma CEI 64-51 - "Guida per l'integrazione degli impianti elettrici utilizzatori e per la predisposizione di impianti ausiliari, telefoni e trasmissione dati negli edifici. Criteri particolari per centri commerciali" Norma CEI 64-51 - "Guida per l'integrazione degli impianti elettrici utilizzatori e per la predisposizione di impianti ausiliari, telefoni e trasmissione dati negli edifici. Criteri particolari per centri commerciali 13 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Norma CEI 64-52 - "Guida per l'integrazione degli impianti elettrici utilizzatori e per la predisposizione di impianti ausiliari, telefoni e trasmissione dati negli edifici. Criteri particolari per edifici scolastici" Norma CEI 64-54 - "Guida per l'integrazione degli impianti elettrici utilizzatori e per la predisposizione di impianti ausiliari, telefoni e trasmissione dati negli edifici. Criteri particolari per locali di pubblico spettacolo" Norma CEI 64-55 - "Guida per l'integrazione degli impianti elettrici utilizzatori e per la predisposizione di impianti ausiliari, telefoni e trasmissione dati negli edifici. Criteri particolari per strutture alberghiere" Norma CEI 64-55 - "Guida per l'integrazione degli impianti elettrici utilizzatori e per la predisposizione di impianti ausiliari, telefoni e trasmissione dati negli edifici. Criteri particolari per locali a uso medico" A4.2.2 Caratterizzazione del rischio elettrico Il rischio elettrico può essere considerato dal punto di vista classificativo un rischio convenzionale, in quanto presente in tutti gli ambienti di lavoro. Il rischio dipende sia dal livello di sicurezza degli impianti e macchinari elettrici sia dal loro corretto utilizzo e manutenzione. Il non rispetto delle condizioni di impiego, installazione e manutenzione, congiuntamente al mancato o insufficiente addestramento del personale addetto possono pregiudicare fortemente il livello di sicurezza e dunque le condizioni di rischio. Dal punto di vista infortunistico, e dunque delle conseguenze derivanti da incidenti di natura elettrica, le principali tipologie possono essere ricondotte a: - elettrocuzione, dovuta al passaggio di corrente nel corpo umano, per contatto diretto o indiretto. - incendio, dovuto alla contemporanea presenza di materiale infiammabile e fenomeni elettrici (archi, scintille, punti caldi superficiali) atti ad innescare l’incendio; - esplosione, dovuta alla contemporanea coesistenza di atmosfera pericolosa (presenza di sostanza miscela gas, vapore o polvere potenzialmente esplosivi) e fenomeni elettrici (archi, scintille, punti caldi superficiali) atti ad innescare l’esplosione. Nel seguito sarà data particolare evidenza alla elettrocuzione, che rappresenta la fenomenologia infortunistica maggiormente collegata all’utilizzo e manutenzione degli impianti elettrici. A4.2.3 Gli effetti della corrente sul corpo umano E’ noto a tutti che il corpo umano è un conduttore di elettricità, che presenta una resistenza elettrica variabile da persona a persona e dalle condizioni ambientali. Inoltre il sistema nervoso dell’uomo funziona come un vero e proprio sistema elettrico, agendo sui vari organi con la trasmissione di impulsi di natura elettrica, permettendo sia i movimenti involontari (battito del cuore, respirazione) sia quelli intenzionali come il movimento degli arti. Essendo il nostro corpo un buon conduttore, se si verificano le condizioni per cui esso può essere attraversato da corrente elettrica, dando luogo al fenomeno della “elettrocuzione”, (es. contatto con parti a differente potenziale, cioè contatto con parti a tensione diversa da zero), la corrente che attraversa il corpo umano può provocare effetti rilevanti. Basti pensare 14 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione come il sovrapporsi di stimolazioni dovute al passaggio della corrente nel corpo umano possa interferire con la normale attività elettrica del sistema nervoso o del cuore (il cui funzionamento è basato su una regolare e intensa attività elettrica), sino a determinare effetti dannosi rilevanti e a volte letali. La corrente alternata è più pericolosa della corrente continua, e la frequenza alternata industriale (50-60 Hz), che è quella normalmente utilizzata nei nostri impianti civili ed industriali, risulta la più pericolosa. Se il corpo umano viene attraversato da corrente elettrica si possono verificare i seguenti fenomeni: - tetanizzazione, che consiste nella contrazione dei muscoli del corpo e che spesso non permette il rilascio delle parti in tensione con cui si è venuto a contatto. Il mancato rilascio inoltre consente alla corrente elettrica di continuare ad attraversare il corpo umano. Il valore minimo della corrente per cui accade la tetanizzazione e il mancato rilascio delle parti in tensione è detta “ corrente di rilascio”; - arresto della respirazione, consistente nella tetanizzazione dei muscoli respiratori. Il perdurare di tale tetanizzazione può condurre alla morte per asfissia; - fibrillazione ventricolare, dovuta alla interferenza della corrente elettrica con la normale attività elettrica del cuore che da luogo ad una contrazione irregolare dei ventricoli che conduce nella maggior parte dei casi all’arresto cardiaco. Infatti la fibrillazione ventricolare è considerato un fenomeno quasi irreversibile, poiché quando si innesca il cuore non ritorna a funzionare spontaneamente, salvo con l’applicazione di un defibrillatore di difficile reperibilità in tempo utile (generalmente 10 – 15 minuti). Altri effetti derivanti dalla elettrocuzione sono quelli di tipo termico, come bruciature ed ustioni (generalmente profonde) che vanno spesso a sommarsi agli effetti precedenti. La dinamica dell’elettrocuzione dipende da molti fattori, quali la resistenza elettrica del corpo, le condizioni della pelle, la durata del contatto, la superficie interessata al contatto. La pericolosità della corrente oltre che dalla sua intensità (che a parità di tensione dipende dalla resistenza del corpo umano secondo le variabilità sopra descritte), dipende anche dalla durata del contatto, cioè dall’intervallo di tempo in cui la corrente agisce sul corpo umano. I limiti di pericolosità della corrente sono stati studiati approfonditamente e sono indispensabili per la scelta dei sistemi di protezione da adottare nella realizzazione degli impianti elettrici. I limiti di pericolosità sono riportati CEI 64 “Effetti della corrente attraverso il corpo umano”. La figura seguente sintetizza i limiti di pericolosità della corrente elettrica, riportando graficamente il legame tra tempo di contatto e intensità della corrente elettrica a frequenze comprese tra 15 e 100Hz. 15 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Nella zona 1 una non sia ha alcuna percezione e la curva a rappresenta la soglia di percezione. Nella zona 2 si ha la percezione del contatto, ma non si hanno in genere effetti fisiologici pericolosi. Nella zona 3 si hanno effetti fisiologici generalmente reversibili, ma particolarmente fastidiosi, che aumentano con l'aumentare della corrente e del tempo di contatto. Tipicamente gli effetti fisiologici che si riscontrano in tale zona sono aritmie, contrazioni muscolari, difficoltà respiratoria, aumento pressorio del sangue, e in alcuni casi fibrillazione atriale e arresti cardiaci temporanei. La zona 4 è la zona dove è molto probabile che oltre agli effetti tipici della zona 3 si innesti la fibrillazione ventricolare. La curva c rappresenta la soglia di fibrillazione ventricolare. Le zone 3 e 4 sono di fondamentale importanza per la scelta dei dispositivi di protezione negli impianti elettrici (ad esempio nella scelta delle caratteristiche degli interruttori differenziali). Un altro fattore da tenere presente è il percorso della corrente elettrica nel corpo umano in caso di elettrocuzione. Il percorso più pericoloso è quello è quello mani-torace, seguito da mano sinistra- torace, mano destra torace, mani-piedi, mano-mano. Come gia detto in precedenza l'elettrocuzione (più comunemente, ma meno propriamente detta folgorazione), avviene mediante contatto con parti in tensione. I contatti possono essere di due tipi: - contatto diretto, con parti normalmente in tensione (quali morsetti, prese, conduttori scoperti ecc); - contatti indiretti, con parti che non sono normalmente in tensione (masse metalliche, involucri, carcasse, ecc) ma che per effetto di anomale quali cedute di isolamento, guasti si trovano ad essere in tensione. Più avanti sono brevemente presentate le caratteristiche dei sistemi e dispositivi di protezione previste dalle norme tecniche nei due casi. A4.2.4 Classificazione degli impianti elettrici Per “impianto elettrico” si intende il complesso dei componenti destinato a svolgere una determinata funzione, anche se composto da sistemi con tensioni nominali d’esercizio diverse. E’ il caso, ad esempio, di utilizzatori con impianto di distribuzione per luce e forza motrice rispettivamente con sistemi da 220 V e 380 V. La norma CEI 64-8 classifica i sistemi elettrici in base alla tensione nominali. E precisamente: 16 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione Sistemi di categoria zero: Vn < 50 V se in corrente alternata Vn < 120 V se in corrente continua. Sistemi di I categoria 50 V < Vn < 1000 V se in corrente alternata 120 V < Vn < 1500 V se in corrente continua. Sistema di II categoria 1000 V < Vn < 30000 V se in corrente alternata 1500 V < Vn < 30000 V se in corrente continua Sistema di III categoria Vn > 30000 V sia in corrente alternata che continua. Per consuetudine, anche se non sancito da alcuna norma, si parla di bassa, media ed alta tensione secondo il seguente criterio: Bassa tensione (BT) quanto Vn < 1000 V Media tensione (MT) quando 1000 < Vn < 30000 V Alta tensione (AT) quando Vn > 30000 V. In pratica i sistemi di categoria zero e I sono considerati in BT, i sistemi di categoria II in MT e i sistemi di categoria III in AT. Il DPR 547 considera in bassa tensione gli impianti con tensione nominale inferiore a 400 V in alternata e 600 V in continua, conglobando nell’alta tensione tutti gli altri. Nei sistemi di categoria zero la norma CEI 64-8 fa rientrare i sistemi a bassissima tensione previsti in alcuni casi per la protezione intrinseca contro i contatti diretti ed indiretti. Tali sistemi sono denominati: SELV (Safety Extra Low Voltage), sistema a bassissima tensione di sicurezza; PELV (Protective Extra Low Voltage), sistema a bassissima tensione di protezione; FELV (Functional Extra Low Voltage) sistema a bassissima tensione funzionale. La Norma CEI 64-8 definisce “impianto utilizzatore” quello costituito dai circuiti di alimentazione degli apparecchi utilizzatori e delle prese a spina, comprese le apparecchiature di manovra, protezione etc, che ha origine nel punto di consegna dell’energia. La “rete di distribuzione” è invece la parte di impianto destinata alla distribuzione dell’energia elettrica, distinta in una rete pubblica e una rete interna, a seconda che sia a monte o a valle del punto di origine dell’impianto utilizzatore. Con il termine “circuito” si intende invece quella parte di impianto facente capo ad un unico dispositivo di protezione dalle sovracorrenti. La parte di impianto collegato direttamente agli apparecchi utilizzatori o alle prese a spina è detta circuito terminale. 17 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – A4.2.5 Protezione contro i contatti diretti Per “contatto diretto”, come già anticipato in precedenza, si intende il contatto con una parte elettricamente attiva dell’impianto, cioè con una parte che è in tensione durante il normale funzionamento. Generalmente la protezione contro i contatti diretti viene realizzata con tecniche di “protezione passiva”, cioè senza interruzione automatica del circuito e solo in alcuni casi può essere utilizzata, in aggiunta, una misura di protezione attiva (protezione ausiliaria) con interruzione automatica del circuito mediante interruttore differenziale ad alta sensibilità. La protezione passiva consiste nel segregare le parti elettricamente attive in modo da renderle inaccessibili e quindi impedendone il contatto. Le misure di protezione, indicate nella parte 4 della norma CEI 64-8, possono essere di due tipi: protezione totale, destinata ad impianti accessibili a tutti, realizzabile mediante isolamenti delle parti attive o mediante involucri e barriere; protezione parziale, destinata ad impianti accessibili solo a personale addestrato, le cui conoscenze tecniche e l’esperienza sono tali da costituire di per se una protezione contro i pericoli dell’elettricità. La protezione parziale è realizzabile mediante ostacoli e/o distanziamenti. Misure di protezione totale Le misure di protezione totale rispondono all’esigenza di un elevato grado di sicurezza di un impianto o apparecchio destinato alla normale utenza. Inoltre l’impianto o l’apparecchio deve essere quanto più possibile protetto contro i fattori esterni in grado di deteriorarlo. Le misure di protezione totale si realizzano, come già detto, mediante isolamento delle parti attive e/o mediante l’utilizzo di involucri e barriere. Isolamento delle parti attive. Le parti che sono normalmente in tensione devono essere ricoperte completamente da un isolamento non rimovibile, se non per distruzione dello stesso. Il tipo e le caratteristiche devono rispondere ai requisiti richiesti dalle norme di fabbricazione relative al componente. L’isolamento deve resistere agli sforzi meccanici, elettrici e termici che possono manifestarsi durante il funzionamento. Un tipico esempio di protezione totale mediante isolamento si ha nei cavi elettrici (vedi paragrafo “ cavi elettrici”). Protezione con involucri e barriere Vi sono parti attive che, per la funzione da svolgere, devono essere accessibili e dunque non possono essere isolati in modo completo (ad es. i morsetti). In tal caso la protezione può essere effettuata mediante involucri e barriere. Per “involucro” si intende un “elemento costruttivo tale da impedire il contatto diretto in ogni direzione”; la “barriera” è un “elemento costruttivo tale da impedire il contatto diretto nella direzione abituale di accesso.” Il grado di protezione di un involucro è identificato in sede internazionale dal “codice IP” (International Protection), stabilito dalla norma IEC 529, recepito dalla Norma Europea EN60529 e classificato in Italia come Norma CEI 70-1. 18 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione In tale norma viene definito non solo il grado di protezione contro i contatti diretti, ma anche il grado di protezione contro la penetrazione dei corpi solidi e dei liquidi che potrebbero danneggiare il contenuto nell’involucro. Il codice indicativo è composto dalla sigla IP seguita da due cifre e da una lettera. La prima cifra indica il grado di protezione contro i contatti diretti e la protezione contro l’introduzione di corpi solidi e della polvere; la seconda cifra indica la protezione contro l’introduzione dell’acqua o di altri liquidi. La prima cifra ha un valore compreso tra 0 e 6, la seconda tra 0 e 8. Ai fini della protezione contro i contatti diretti particolare importanza riveste la lettera supplementare che segue le prime due cifre (A, B, C, D,). Tale lettera viene riportata quando l’involucro assume contro i contatti diretti un grado di protezione maggiore di quello indicato dalla prima cifra; in tal caso la prima cifra indica solo il grado di protezione contro la penetrazione dei corpi solidi. Quando non è necessario indicare il grado di protezione per un dato involucro, la corrispondente cifra o lettera viene sostituita da una X. La norma CEI 64-8 (art. 412.2) prescrive che involucri e barriere devono rispettare i seguenti gradi di protezione minima: il grado di protezione assicurato deve essere in ogni caso non inferiore a IPXXB; nel caso di superfici orizzontali il grado di protezione deve essere non inferiore a IPXXD. Nella versione precedente della norma tali gradi erano rispettivamente IP2X e IP4X. Il codice IP non dà nessuna indicazione sulle altre caratteristiche dell’involucro, come per esempio il grado di resistenza agli urti, poiché tali caratteristiche vengono riportate nelle norme relative all’apparecchio cui l’involucro è destinato. Misure di protezione parziale Le misure di protezione parziale, realizzate mediante ostacoli e/o distanziamenti, possono essere utilizzate in luoghi accessibili esclusivamente a personale addestrato con la finalità di impedire solo il “contatto non intenzionale” con le parti attive. Ostacoli Devono impedire, oltre all’avvicinamento non intenzionale a parti attive, anche il contatto casuale con esse durante i lavori sotto tensione o di manutenzione. La rimozione degli ostacoli può avvenire senza uso di attrezzi, ma gli ostacoli devono essere fissati in modo da evitare una rimozione accidentale. Nei luoghi accessibili al personale addestrato devono essere rispettate distanze minime per i passaggi tra ostacoli (di manutenzione e di servizio), organi di comando e pareti ( tali distanze sono riportate nella norma 64-8 /4). Distanziamenti La norma CEI 64.8 prescrive che il “distanziamento” delle “parti simultaneamente accessibili” deve essere tale che esse non risultino a “portata di mano”. Per parti “simultaneamente accessibili” si intendono quelle parti che possono essere toccate simultaneamente da una persona. 19 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Si ritengono simultaneamente accessibili quelle parti che distano fra loro non più di 2,5 m. in verticale e di 2 m. in orizzontale (1,25 se sono fuori dalla portata di mano). Si definiscono “parti a portata di mano” quelle che si trovano nella zona fra una superficie occupata o percorsa ordinariamente da una persona (detta piano di calpestio) ed il limite che una persona può raggiungere con una mano, senza l’uso di attrezzi. Le parti simultaneamente accessibili possono essere: parti attive, masse, masse estranee, conduttori di protezione, collettori di terra, pavimenti e pareti non isolanti. Protezione addizionale Le misure di protezione contro i contati diretti descritte nei paragrafi precedenti sono protezioni passive, nel senso che non interrompono il circuito in caso di contatto diretto ma non sono finalizzate ad evitare il contatto. Qualora però il contatto avvenga, in caso di imprudenza o di deficienza occasionale delle altre misure di protezione, l’unica protezione efficace, nella maggior parte dei casi, è costituita da un interruttore differenziale con corrente di intervento non superiore a 30 mA, capace di interrompere l’alimentazione in caso di corrente verso terra superiore a detto valore. E’ da precisare subito che in sede normativa nazionale ed internazionale è stato stabilito di considerare l'interruttore differenziale con I'N < 30mA, come “un mezzo di protezione addizionale e non sostitutivo delle altre misure di sicurezza contro i contatti diretti”. I principali limiti dell’interruttore differenziale nella protezione contro i contati diretti sono: non limita l’intensità di corrente, ma solo la durata del contatto. Nel caso di correnti di contatto di elevata intensità il tempo di intervento può non essere sufficiente a limitare la pericolosità del contatto. non interviene nel caso di contatto diretto fase-fase benché ormai presenti un alto grado di affidabilità è sempre un apparecchio delicato e quindi soggetto a guasti e disfunzioni. A4.2.6 Protezione contro i contatti indiretti Contrariamente al caso dei contatti diretti, le protezioni contro i contatti indiretti sono prevalentemente di tipo attivo, e solo in casi particolari si ricorre alle misure passive quali l’uso di componenti in classe II, locali isolanti, locali equipotenziali non connessi a terra e separazione elettrica. Le misure di protezione attive hanno la funzione di interrompere il circuito in caso di guasto, impedendo ad eventuali tensioni pericolose che possono venire a crearsi, di persistere per un tempo sufficiente a provocare effetti fisiologici pericolosi. Il modo di realizzare il dispositivo di protezione dipende dal tipo di sistema di distribuzione (TT, TN, IT). In generale comunque, qualunque sia il sistema, è necessario coordinare il tipo di messa a terra (impianto di terra) con le modalità di intervento dei dispositivi attivi di interruzione. 20 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione Considerando la maggiore diffusione dei sistemi TT, tipica per le utenze alimentate in BT, le considerazioni che seguono saranno riferite a tale tipo di distribuzione. Il sistema di protezione più utilizzato per la distribuzione TT è quello coordinato dell’impianto di terra e degli interruttori differenziali. Gli interruttori differenziali sono trattati dalle Norme CEI 23-42, 23-43, 23-44, 23-45 (Norme Europee). L’efficacia del sistema di protezione dai contatti indiretti è legato al corretto coordinamento tra impianto di terra e interruttori differenziali. L’impianto di terra. Nel sistema di protezione contro i contatti indiretti la funzione dell’impianto di terra è quella di convogliare verso terra la corrente di guasto, provocando l’intervento delle protezioni ed evitando così il permanere di tensioni pericolose sulle masse. La struttura dell’impianto di terra deve essere tale che, anche nell’intervallo di tempo necessario per l’intervento delle protezioni, la tensione verso terra delle masse non assuma valori pericolosi. Il principio base di un impianto di terra è quello della equipotenzialità. Basta ricordare che una persona è sottoposta ad una tensione elettrica (e dunque agli effetti dell’elettrocuzione) quando è contemporaneamente in contatto con parti a differente potenziale. Nel caso ideale in cui tutte le parti con le quali una persona può venire in contatto siano allo stesso potenziale, si raggiungerebbe la sicurezza assoluta. L’impianto di terra ha la funzione di rendere quanto più possibile equipotenziale l’ambiente, riducendo al massimo le differenze di potenziale fra masse, masse estranee e terreno. Prescrizioni relative all’impianto di terra. Gli impianti di terra sono soggetti a prescrizioni di legge e alla normativa tecnica (CEI 64-8 e 64-12). Nell’ambito degli impianti utilizzatori a bassa tensione, nei casi di impianti posti in ambienti particolari (es. luoghi con pericolo di esplosione o locali adibiti ad uso medico) le prescrizioni della norma 64-8 vanno integrate con quelle contenute nelle norme specifiche per tali luoghi. L'obbligo degli impianti di terra è in pratica generalizzato, essendo obbligatorio dal 1955 ( DPR 547/55) per gli ambienti dove si svolgono attività a cui sono addetti lavoratori subordinati, che in tutti gli altri edifici a partire dal 1968 (legge 186/68). Una interpretazione evolutiva dell’obbligo della messa a terra si ricava dalla norma CEI 64-8, in relazione ai sistemi TT e TN per i quali si prescrive: l’obbligo dell’impianto di messa a terra per tutti i sistemi di I categoria, a prescindere dal luogo e dall’attività; salvo casi particolari l’impianto di terra deve essere comune a tutti gli impianti contenuti nello stesso edificio; tutte le masse devono essere collegate all’impianto di terra mediante il conduttore di protezione PE (nel caso del sistema TT questo deve essere separato dal neutro); tutte le tubazioni metalliche e le masse estranee esistenti nell’area dell’impianto devono essere collegate all’impianto di terra (collegamento equipotenziale); 21 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – tutte le prese a spina per l’alimentazione di utilizzatori per i quali è previsto il collegamento a terra devono avere il contatto di terra collegato al conduttore di protezione. A4.2.7 Sicurezza degli impianti in ambienti particolari Le norme forniscono prescrizioni particolari per alcuni luoghi e applicazioni, nei quali le condizioni ambientali e/o di funzionamento sono tali da richiedere ulteriori precauzioni ai fini della sicurezza oltre a quelle stabilite per la generalità degli impianti (impianti normali). Sono considerati ad esempio ambienti particolari ad esempio: impianti in luoghi umidi e bagnati(contenenti bagni o docce); piscine; locali contenenti riscaldatori per saune cantieri di demolizione e costruzione strutture adibite ad uso agricolo o zootecnico luoghi conduttori ristretti luoghi contenenti apparecchiature di elaborazione dati aree di campeggio per caravan e camper impianti in locali adibiti a pubblico spettacolo o trattenimento; impianti a maggior rischio di incendio; impianti in luoghi adibiti ad uso medico; impianti in luoghi con pericolo di esplosione. I precedenti ambienti sono trattati la norma CEI 64-8 nella parte 7 (“Ambienti ed applicazioni particolari” ).Gli impianti elettrici in Luoghi con pericolo di esplosione sono trattati nella norma CEI 64-2 e dalle norme del CT 31 CEI. In questo caso bisogna tenere presente anche delle particolari prescrizioni legislative vigenti. Impianti elettrici in ambienti a maggior rischio in caso di incendio. Per ambienti a maggior rischio di incendio si intendono “gli ambienti che presentano, in caso di incendio, un rischio maggiore di quello che presentano gli ambienti ordinari”. Il rischio relativo all’incendio dipende dalla probabilità che esso si verifichi e dall’entità del danno per le persone e le cose. La norma CEI 64-8 parte 7 sez. 751 non fornisce parametri o procedure particolari per l’individuazione degli ambienti a maggior rischio d’incendio. Essa fornisce, come esempio non esaustivo, alcun parametri che dovrebbero guidare il progettista nella individuazione delle caratteristiche ambientali: densità di affollamento; massimo affollamento ipotizzabile; capacità di deflusso o di sfollamento; entità del danno conseguente; 22 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione comportamento al fuoco delle strutture dell’edificio; presenza di materiali combustibili; tipi di utilizzazione dell’ambiente; situazione organizzativa per quanto riguarda la protezione antincendio. La norma CEI 64-8 opera una suddivisione degli ambienti sulla base delle “caratteristiche prevalenti”. Gli ambienti vengono così suddivisi in tre gruppi: A, B e C. GRUPPO A “Ambienti a maggior rischio di incendio a causa dell’elevata densità di affollamento, per l’elevato tempo necessario per il deflusso, o per l’elevato danno a persone, animali e cose”. Fra questi si segnalano: locali di spettacolo o trattenimento di capienza superiore a 100 persone; alberghi, pensioni, hotel con oltre 25 posti letto; scuole di ogni ordine e grado ambienti di esposizione e vendita con superficie superiore a 400 m2; stazioni sotterranee di ferrovie, metropolitane e simili; ambienti destinati ai degenti negli ospedali e negli ospizi, ai detenuti nelle carceri e ai bambini negli asili e negli ambienti simili; le vie di uscita, i vani e i condotti di ventilazione forzata negli edifici di abitazione civile con altezza di gronda superiore a 24 m.; edifici di pregio da un punto di vista artistico o storico o destinati a contenere biblioteche, archivi, collezioni e comunque beni sottoposti alla vigilanza dello Stato. GRUPPO B “Ambienti a maggior rischio di incendio in quanto a struttura combustibile”. Rientrano in tale classe gli edifici con strutture in legno. GRUPPO C “Ambienti a maggior rischio di incendio per la presenza di materiale infiammabile o combustibile in lavorazione o deposito, ma non in quantità o con caratteristiche tali da classificare gli ambienti tra quelli con pericolo di esplosione”. Rientrano in questa categoria anche materiali come legno, carta, paglia, grassi lubrificanti, ecc. Questi materiali, per i quali non si considera una temperatura di infiammabilità si considerano “fonti di pericolo” quando la classe del compartimento d’incendio considerato è pari o superiore a 30. Il maggior rischio di incendio comporta la realizzazione di impianti elettrici che, oltre alle norme di carattere generale, dovranno rispondere a prescrizioni particolari che aumentano il grado di sicurezza sia nei riguardi della possibilità di innesco dell’incendio sia nella limitazione delle conseguenze. La norma CEI 64-8, parte 7, fornisce le seguenti indicazioni: negli ambienti a maggior rischio di incendio devono essere installati solo gli elementi strettamente necessari; 23 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – nelle vie d’uscita non devono essere installati componenti liquidi infiammabili; dove è consentito l’accesso al pubblico i dispositivi di manovra, controllo e protezione devono essere manovrabili solo dal personale addetto; i componenti elettrici non devono raggiungere temperature pericolose, né in servizio ordinario, né in caso di guasto, tenuto conto dell’intervento dei dispositivi di protezione gli apparecchi di illuminazione devono essere tenuti ad adeguata distanza dagli oggetti combustibili illuminati. Prescrizioni particolari sono previste per i cavi elettrici. Le norme CEI considerano le seguenti categorie di cavi: cavi non propaganti la fiamma (CEI 20-35) cavi non propaganti l’incendio (CEI 20-22) cioè cavi che non propagano la fiamma e l’incendio anche se raggruppati in fasce; cavi resistenti al fuoco (CEI 20-36) che sono in grado di funzionare per un certo periodo di tempo durante e dopo l’incendio; cavi con l’incendio; isolamento minerale (CEI 20-39) resistenti al fuoco e non propaganti cavi a bassa emissione di fumi e gas tossici o corrosivi (CEI 20-38). A4.2.8 Impianti di protezione contro le scariche atmosferiche Gli impianti di protezione contro i fulmini, date l'origine naturale e l'aleatorietà di questi fenomeni su cui non è possibile intervenire, hanno la funzione di ridurre la pericolosità non potendo garantire in modo assoluto l'immunità di persone e cose. Gli impianti contro le scariche atmosferiche costituiscono presentano una specificità tale che è necessario che le valutazioni sulla necessità dell'installazione, la progettazione e l'esecuzione dell'impianto siano effettuati da professionalità tecniche altamente specializzate. Dal 01.02.07 la materia, a livello di normativa tecnica è regolata dalle Norme CEI EN 62305-1-2-3-4, norme ratificate a livello internazionale ed europeo e recepite in Italia dal CEI, che vanno a sostituire le precedenti norme CEI 81-1 e 81-4. Norma CEI EN 62305-1 - Principi generali Tale Norma definisce i principi generali alla base della protezione contro i fulmini di strutture e degli impianti in esse entranti. In essa si mettono in evidenza i possibili effetti che un fulmine è in grado di causare alla struttura colpita in base alle caratteristiche della struttura stessa: questi dati rappresentano il punto di partenza per la valutazione del rischio dovuto al fulmine, che è trattato nel secondo fascicolo della serie Norma CEI EN 62305-2 - Valutazione del rischio Lo scopo di questo secondo fascicolo è di fornire la procedura per la determinazione del rischio dovuto a fulmini a terra in una struttura. Una volta che sia stato stabilito un limite superiore per il rischio tollerabile, questa procedura permette la scelta di appropriate misure di protezione da adottare allo scopo di ridurre il rischio al limite tollerabile o a valori inferiori. Tale valutazione consiste nello stabilire se la protezione della struttura sia necessaria o meno 24 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione e, in caso affermativo, permette di individuare le misure idonee da adottare secondo le modalità richieste dalla Norma impiantistica. CEI EN 62305-3 – Danno materiale alle strutture e pericolo per le persone Questa Norma tratta nello specifico la protezione contro i fulmini relativa ad una struttura volta a limitare danni materiali e danni agli esseri viventi. A tal fine la più importante ed efficace misura di protezione per la struttura risulta costituita dall’impianto di protezione contro i fulmini, il quale è normalmente composto da un impianto di protezione esterno e da un impianto di protezione interno alla struttura. CEI EN 62305-4 – Impianti elettrici ed elettronici nelle strutture Il quarto fascicolo della Norma fornisce informazioni sul progetto, l’installazione, l’ispezione, la manutenzione e la verifica del sistema di misure di protezione contro gli effetti elettromagnetici associati al fulmine sugli impianti elettrici ed elettronici presenti nelle strutture, al fine di ridurre il rischio di danni permanenti. Queste norme attribuiscono una importanza fondamentale alle procedure di valutazione del rischio come presupposto fondamentale sulla necessità di un impianto di protezione e di come la struttura debba essere protetta. Da evidenziare che le nuove norme non prevedono le procedure semplificate di valutazione previste dalla precedente norma 81.1. Ciò significa che la valutazione del rischio deve essere effettuata in modo completo secondo procedure tecniche di calcolo unificate in ambito internazionale. Ciò è espressamente indicato nella norma CEI EN 62305-2, in cui è descritta la procedura valutazione del rischio che tenga conto dei danni alle strutture e ai suoi contenuti, agli esseri viventi, agli impianti elettrici ed elettronici. La norma CEI EN 62305-3 tratta in maniera approfondita le procedure di progettazione, installazione, verifica e manutenzione degli impianti di protezione contro i fulmini, ponendo un accento particolare alle sinergia che deve instaurarsi tra le figure professionali coinvolte quali i progettisti e gli installatori. Le norme appena entrate in vigore si applicano sia a strutture nuove che alle trasformazioni radicali di quelle gia esistenti, anche se l'applicazione delle precedenti norme 81-1 e 81-4 sono ritenuto attualmente idonee ai fini della sicurezza. Una novità importante introdotta da queste norme riguarda la verifica e la manutenzione degli impianti. A seconda del livello dell'impianto di protezione le verifiche complete devono avere una periodicità che può variare da un anno ( per gli impianti critici) a quattro anni. Da tenere presente che il DPR 462/01 dedicato alle verifiche, prevede per gli impianti di protezione contro le scariche atmosferiche una periodicità delle verifiche di cinque anni, ridotta a due nel casi di locali adibiti ad uso medico e locali con pericolo di esplosione. A4.2.9 La verifica degli impianti Con l'entrata in vigore del D.P.R. 462/2001 "Regolamento di semplificazione del procedimento per la denuncia di installazioni e dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, di dispositivi di messa a terra di impianti elettrici e di impianti elettrici pericolosi." vengono delineate con precisione le procedure di verifica degli impianti, i soggetti interessati e la periodicità. Il DPR abrogava gli articoli 40 e 238 del DPR 547/55, ora abrogato totalmente dal Dlgs 81/08. Lo stesso Dlgs 81/08 all'art. 86 recita: 25 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – 1. Ferme restando le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 22 ottobre 2001, n. 462, il datore di lavoro provvede affinché gli impianti elettrici e gli impianti di protezione dai fulmini, siano periodicamente sottoposti a controllo secondo le indicazioni delle norme di buona tecnica e la normativa vigente per verificarne lo stato di conservazione e di efficienza ai fini della sicurezza. 2. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale e del Ministro della salute vengono stabilite, sulla base delle disposizioni vigenti, le modalità ed i criteri per l’effettuazione delle verifiche di cui al comma 1. 3. L’esito dei controlli di cui al comma 1 deve essere verbalizzato e tenuto a disposizione dell’autorità di vigilanza. La previgente normativa prevedeva che la omologazione degli impianti, su richiesta del datore di lavoro, fosse affidata all’ISPLESL e che lo stesso datore di lavoro comunicasse l’avvenuta omologazione alla ASL competente territorialmente, la quale attivava l’attività ispettiva di verifica ad intervalli non superiori a due anni. Con DPR 462/01 si affida al datore di lavoro l’onere omologativo consistente nell’invio nella dichiarazione di conformità alla regola d’arte all’ISPLESL per l’espletamento delle verifiche a campione sulla conformità, e alla ASL e ARPA territorialmente competenti, per lo svolgimento dei compiti di vigilanza. Precisamente il D.P.R 462/01 stabilisce che per quanto riguarda gli impianti elettrici di messa a terra e dispositivi contro le scariche atmosferiche: La messa in esercizio degli impianti elettrici di messa a terra e dei dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche non può essere effettuata prima della verifica eseguita dall'installatore che rilascia la dichiarazione di conformità ai sensi della normativa vigente. La dichiarazione di conformità equivale a tutti gli effetti ad omologazione dell’impianto Entro trenta giorni dalla messa in esercizio dell'impianto, il datore di lavoro invia la dichiarazione di conformità all'ISPESL ed all'ASL o all'ARPA territorialmente competenti. L'ISPESL effettua a campione la prima verifica sulla conformità alla normativa vigente degli impianti di protezione contro le scariche atmosferiche ed i dispositivi di messa a terra degli impianti elettrici e trasmette le relative risultanze all'ASL o ARPA. Le verifiche a campione sono stabilite annualmente dall'ISPESL Il datore di lavoro è tenuto ad effettuare regolari manutenzioni dell'impianto, nonché a far sottoporre lo stesso a verifica periodica ogni cinque anni, ad esclusione di quelli installati in cantieri, in locali adibiti ad uso medico e negli ambienti a maggior rischio in caso di incendio per i quali la periodicità è biennale. Per l'effettuazione della verifica, il datore di lavoro si rivolge all'ASL o all'ARPA o ad eventuali organismi individuati dal Ministero delle attività produttive, sulla base di criteri stabiliti dalla normativa tecnica europea UNI CEI. Il soggetto che ha eseguito la verifica periodica rilascia il relativo verbale al datore di lavoro che deve conservarlo ed esibirlo a richiesta degli organi di vigilanza. Per quanto riguarda gli impianti in luoghi con pericolo di esplosione il D.P.R. stabilisce che: 26 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione La messa in esercizio degli impianti in luoghi con pericolo di esplosione non può essere effettuata prima della verifica di conformità rilasciata al datore di lavoro. Tale verifica è effettuata dallo stesso installatore dell'impianto, il quale rilascia la dichiarazione di conformità ai sensi della normativa vigente Entro trenta giorni dalla messa in esercizio dell'impianto, il datore di lavoro invia la dichiarazione di conformità all'ASL o all'ARPA territorialmente competenti L'omologazione è effettuata dalle ASL o dall'ARPA competenti per territorio, che effettuano la prima verifica sulla conformità alla normativa vigente di tutti gli impianti denunciati Il datore di lavoro è tenuto ad effettuare regolari manutenzioni dell'impianto, nonché a far sottoporre lo stesso a verifica periodica ogni due anni. Per l'effettuazione della verifica, il datore di lavoro si rivolge all'ASL o all'ARPA od ad eventuali organismi individuati dal Ministero delle attività produttive, sulla base di criteri stabiliti dalla normativa tecnica europea UNI CEI. . Il soggetto che ha eseguito la verifica periodica rilascia il relativo verbale al datore di lavoro che deve conservarlo ed esibirlo a richiesta degli organi di vigilanza. Per tutti tre i tipi di impianti menzionati sono inoltre previste anche delle verifiche straordinarie che sono effettuate dall'ASL o dall'ARPA o dagli organismi individuati dal Ministero delle attività produttive, sulla base di criteri stabiliti dalla normativa europea UNI CEI. Le verifiche straordinarie sono, comunque, effettuate nei casi di esito negativo della verifica periodica, modifica sostanziale dell'impianto, richiesta del datore del lavoro. In caso di variazioni e modifiche sostanziale, trasferimento o spostamento degli impianti il datore di lavoro deve comunicarlo tempestivamente all'ufficio competente per territorio dell'ISPESL e alle ASL o alle ARPA A4.3 Rischio meccanico, macchine, attrezzature A4.3.1 Riferimenti normativi principali - Il D.Lgs. 9 aprile 2008 n°81 “Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”ha abrogato e sostituito il D.Lgs. 626/94, che dedicava il Titolo III all’uso di attrezzature di lavoro con il recepimento della Direttiva 89/655 relativa ai requisiti minimi di sicurezza e salute per l’uso delle attrezzature di lavoro sotto la responsabilità del datore di lavoro. Anche nel nuovo decreto il titolo III è dedicato all’uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale. - Il D.P.R. 459/96 conosciuto come “direttiva macchine” recepisce le quattro direttive 89/392, 91/368, 93/44, 93/68/CEE. Direttiva Macchine: recepita in Italia con il DPR n. 459 del 24/07/96, tale regolamento si applica essenzialmente alle macchine come sopra definite, ed impone la marcatura CE; la Direttiva Macchine è entrata in vigore il 21/09/96. - Direttiva 2006/42/CE non ancora recepita in Italia. - Direttiva Compatibilità Elettromagnetica: è la Direttiva 89/336/CEE, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 476 del 4/12/92, sostituito dal più recente D.Lgs 615/96 del 12/11/96; 27 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – essa riguarda quegli apparecchi che possono creare perturbazioni elettromagnetiche o il cui funzionamento può essere interessato da tali perturbazioni. La Direttiva sulla Compatibilità Elettromagnetica, quindi, fissa i requisiti di protezione in tale materia e determina le relative modalità di controllo. Dal 1/01/1997 i costruttori hanno l’obbligo di mettere sul mercato, o in servizio, prodotti conformi alla direttiva e provvisti di marcatura CE. - Direttiva Bassa Tensione: è la Direttiva 73/23/CEE, aggiornata dalla Direttiva 93/68/CEE, recepita in Italia con il D. Lgs. n. 626 del 25/11/96. La Direttiva Bassa Tensione si applica, sostanzialmente, ad ogni materiale elettrico destinato ad essere utilizzato ad una tensione nominale compresa fra 50 e 1.000 V in corrente alternata e fra 75 e 1.500 V in corrente continua. Dal 1/01/97 anche per il materiale elettrico di bassa tensione è stata introdotto l’obbligo di marcatura CE. - Abrogazione del DPR 547/55. Il DPR 547/55 che sino al 1994 rappresentava il punto di riferimento nazionale in materia di sicurezza sul lavoro, che non era stato abrogato né all’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94 né all’entrata in vigore del DPR 459/96, è ora abrogato dal D.Lgs. 9 aprile 2008 n°81. A4.3.2 Uso delle attrezzature di lavoro (titolo III Capo I - D.Lgs. 9 aprile 2008 n° 81) Fondamentale per una corretta interpretazione del Decreto è la lettura delle definizioni riportate nell’art. 69: a) attrezzatura di lavoro: qualsiasi macchina, apparecchio, utensile od impianto destinato ad essere usato durante il lavoro; Il legislatore italiano ha aggiunto le parole “destinato ad essere” per enfatizzare il concetto che è il datore di lavoro che, nell’ambito di un piano prestabilito, decide di utilizzare l’attrezzatura per svolgere una determinata attività. b) uso di una attrezzatura di lavoro: qualsiasi operazione lavorativa connessa ad una attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l'impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, lo smontaggio; Si sottolinea l’importanza data ad attività collaterali, ma fondamentali dal punto di vista della sicurezza, come le attività necessarie alla messa in servizio ed alla dismissione dell’attrezzatura. c) zona pericolosa: qualsiasi zona all'interno ovvero in prossimità di una attrezzatura di lavoro nella quale la presenza di un lavoratore costituisce un rischio per la salute o la sicurezza dello stesso. La zona pericolosa riguarda non solo gli spazi operativi interni, ma viene estesa all’intera attrezzatura (macchina o impianto), all’area limitrofa e ciò non solo in relazione all’attività dell’operatore, ma anche in relazione ad ogni altro lavoratore che può trovarsi in una zona a rischio per la salute e la sicurezza. d) lavoratore esposto: qualsiasi lavoratore che si trovi interamente o in parte in una zona pericolosa. e) operatore: il lavoratore incaricato all’uso di una attrezzatura di lavoro. Il legislatore ha dedicato all’uso delle attrezzature di lavoro cinque articoli con tre allegati. 28 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione L’allegato V sui “requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, o messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente alla data della loro emanazione”. Questo allegato è suddiviso in due parti la prima riguardante i “requisiti generali applicabili a tutte le attrezzature di lavoro” la seconda dedicata alle “prescrizioni supplementari applicabili ad attrezzature di lavoro specifiche”. In particolare la parte seconda tratta di prescrizioni applicabili ad attrezzature di lavoro: in pressione mobili, semoventi o no. adibite al sollevamento al trasporto o all’immagazzinamento di carichi, adibite al sollevamento di persone e di persone e cose; tratta inoltre di prescrizioni applicabili a determinate attrezzature quali: mole abrasive bottali, impastatrici, gramolatici e macchine simili, macchine di fucinatura e stampaggio per urto macchine utensili, presse, cesoie, frantoi, laminatoi, pettinatrici, macchine per filare, telai per tessitura, fino ad arrivare ad impianti macchine ed apparecchi elettrici. l’allegato VI sulle “disposizioni concernenti l’uso delle attrezzature di lavoro”. Dopo una prima parte generale si considerano in particolare, anche qui, le attrezzature di lavoro mobili semoventi o no, le attrezzature che servono a sollevare carichi, persone. L’allegato VII è invece dedicato alle periodicità delle verifiche di attrezzature particolari come: Scale aeree ad inclinazione variabile; Ponti mobili sviluppabili su carro; Ponti sospesi muniti di argano; Argani dei ponti sospesi impiegati nelle costruzioni; Apparecchi ed impianti di sollevamento per materiali di portata superiore a 200 Kg (esclusi quelli azionati a mano): Gru a ponte; Gru a torre e derrick; Gru a cavalletto, a portale; Gru a struttura limitata, a bandiera, monorotaia, ecc; Gru su autocarro; Autogru; Argani e paranchi e relativi carrelli. Idroestrattori a forza centrifuga (diametro esterno paniere superiore a 50 cm) 29 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Nel nuovo Testo Unico è stato introdotto l’art. 70 sui requisiti di sicurezza che devono avere le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori. Ovviamente viene sancito il rispetto alle disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto. Per attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori in assenza di direttive di prodotto specifiche o messe a disposizione dei lavoratori prima dell’emissione delle direttive, sono stati definiti dei “requisiti generali di sicurezza” che le attrezzature di lavoro devono assolutamente rispettare. Questi requisiti sono riportati nell’allegato V del Testo Unico “requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, o messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente alla data della loro emanazione”. Nella prima parte di questo allegato sono riportati i requisiti generali applicabili a tutte le attrezzature di lavoro, nella seconda parte sono invece considerate attrezzature di lavoro specifiche. Pur essendo stato abrogato il D.P.R. 547/55 sono comunque ritenute conformi le attrezzature di lavoro costruite secondo le prescrizioni dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 395 del suddetto decreto. Una misura tecnica importante riguarda i sistemi di comando che “devono essere sicuri anche tenuto conto dei guasti, dei disturbi e delle sollecitazioni prevedibili in relazione all'uso progettato dell'attrezzatura”. L’art. 71 “obblighi del Datore di Lavoro”, con l’allegato VI riguardante le “disposizioni concernenti l’uso delle attrezzature di lavoro” è un articolo fondamentale in quanto, da una sua attenta analisi, è facile individuare le fasi di un sistema di gestione della sicurezza in merito alle attrezzature di lavoro. Il datore di lavoro è “guidato” nel percorso da seguire nella scelta dell’attrezzatura, nell’installazione, nell’utilizzo, fino ad arrivare alla manutenzione ed al lay-out aziendale. Il Datore di lavoro dovrà analizzare i fattori di rischio esistenti dall’interazione fra la macchina, considerandone il funzionamento, i dispositivi di sicurezza, le attività di manutenzione necessarie; l’impiego che si farà di quel tipo di macchina nel ciclo produttivo specifico in cui verrà inserita, considerando tutte le attività come quella di carico e scarico, pulizia e manutenzione; un’attenzione particolare andrà inoltre dedicata all’ambiente in cui la macchina verrà inserita, spazi sufficienti al corretto uso, rumore, illuminazione temperatura, possibilità di evacuazione di eventuali prodotti inquinanti – polveri, gas, fumi, aerosoli; fino a considerare l’addestramento degli operatori sia per una normale attività produttiva che per attività particolari di emergenza o manutenzione. Si sottolinea l’aspetto prevenzionale importante del titolo III che obbliga il datore di lavoro a prendere in esame fin dal primo momento, ovvero dal momento della scelta e del conseguente acquisto dell’attrezzatura, che il prodotto sia idoneo alla immissione sicura nel ciclo produttivo aziendale considerato e valutato nel documento di valutazione del rischio aziendale; non è quindi sufficiente che esso sia intrinsecamente sicuro per effetto della garanzia – marcatura CE – data dal fabbricante. Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ovvero adattate a tali scopi ed idonee ai fini della sicurezza e della salute. Si sottolinea l’importanza degli aggettivi adeguate e adattate. - Adeguate: per le “macchine” ricadenti nella “direttiva devono indicare nel fascicolo tecnico gli usi consentiti. macchine” i costruttori - Adattate: Nel caso di macchine con marchio CE per adattamento si devono intendere “gli interventi che non comportino modifiche ai requisiti essenziali, e quindi solo interventi che rendono compatibile l’uso dell’attrezzatura con l’ambiente di lavoro sulla base delle sole indicazioni fornite dal costruttore. 30 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione Si ribadisce quindi l’obbligo, del datore di lavoro, di prendere “le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro” e tra l’altro di fondamentale importanza l’obbligo di “impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte”. All'atto della scelta delle attrezzature di lavoro il datore di lavoro prende in considerazione: a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere; b) i rischi presenti nell'ambiente di lavoro; c) i rischi derivanti dall'impiego delle attrezzature stesse; d) i rischi derivanti da interferenze con le altre attrezzature gia in uso. Adeguatezza ed idoneità delle attrezzature devono essere prese in considerazione all’atto della scelta dell’attrezzatura stessa. Come ausilio al datore di lavoro, per la riduzione al minimo dei rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro, l’allegato VI riporta una serie di misure tecniche ed organizzative da implementare per una corretta gestione delle attrezzature stesse. Partendo da disposizioni di carattere generale arrivando a disposizioni particolari come ad esempio concernenti attrezzature di lavoro mobili, o semoventi, attrezzature per il sollevamento di carichi. Nel titolo III del testo unico, quindi, è richiesto al datore di lavoro di effettuare una attenta analisi di tutti i fattori che possono interagire fra di loro ed essere fonte di rischio. È quindi necessario analizzare il tipo, il funzionamento, i dispositivi di protezione, le modalità di manutenzione di una macchina ma è anche importante valutarne il corretto impiego, il ciclo di lavorazione, che deve essere appropriato alle caratteristiche della macchina, la difficoltà dei comandi le attività collaterali come la messa in servizio o fuori servizio, l'impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, lo smontaggio. Fondamentale in questo contesto è lo studio dell’ambiente di lavoro in cui l’attrezzatura è inserita (layout). Tutte le attrezzature devono essere “disposte in maniera tale da ridurre i rischi per gli utilizzatori e per le altre persone, assicurando in particolare sufficiente spazio disponibile tra gli elementi mobili e gli elementi fissi o mobili circostanti e che tutte le energie e sostanze utilizzate o prodotte possano essere addotte o estratte in modo sicuro”. Non ci devono essere interferenze con attività limitrofe. I lavoratori, anche non addetti all’uso della macchina o dell’attrezzatura devono essere protetti da eventuali zone pericolose interne o esterne all’attrezzatura, è necessario quindi valutare percorsi, eventuali disturbi possibili, inquinanti. L’operatore deve essere formato ed incaricato all’uso delle attrezzature. Per le attrezzature di lavoro la cui sicurezza dipende da una corretta installazione, il datore di lavoro prevede un controllo iniziale dopo l’installazione e prima della messa in esercizio al fine di assicurarne l’installazione corretta e il buon funzionamento. Il datore di lavoro, sulla base della normativa vigente, provvede affinché le attrezzature di cui all'allegato VII siano sottoposte a verifiche con la frequenza indicata nel medesimo allegato. La prima verifica viene effettuata dall’ISPESL e le successive dalle ASL. Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro devono essere: installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso; 31 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – oggetto di idonea manutenzione. Assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza. Oltre al datore di lavoro, per quanto riguarda le macchine, anche il progettista, in riferimento alla norma UNI EN 292/2 deve: specificare i limiti della macchina (di uso, di spazio, di tempo); individuare i pericoli e valutare i rischi; eliminare i pericoli o limitare i rischi; progettare ripari e dispositivi di sicurezza (protezioni) contro i rischi residui; informare l’utilizzatore circa qualsiasi rischio residuo (procedure, modi d’uso, addestramento particolare, mezzi personali di protezione); considerare qualsiasi precauzione supplementare. La norma UNI EN 292/2 non prende in considerazione l’obbligo dell’utilizzatore di adottare misure per ridurre i pericoli residui. Ausilio fondamentale per il datore di lavoro è il “libretto di manutenzione ed uso”, un libretto di istruzioni per l’uso della macchina che deve contenere almeno: il riepilogo delle indicazioni indicative previste per la marcatura CE, eventualmente completate dalle indicazioni atte a facilitarne la manutenzione; le condizioni di utilizzo previste, considerando non soltanto l’uso normale della macchina, ma anche l’uso ragionevolmente prevedibile e le controindicazioni; deve essere segnalato il posto di lavoro o i posti di lavoro che possono essere occupati dagli operatori; le istruzioni per eseguire senza alcun rischio la messa in funzione, l’utilizzazione, il trasporto, l’installazione, il montaggio e lo smontaggio, la regolazione, la manutenzione e la riparazione; le istruzioni per gli operatori e, se necessarie, le istruzioni per l’addestramento degli operatori stessi; le caratteristiche essenziali degli utensili che possono essere montati sulla macchina. L’idoneità della manutenzione, che deve essere garantita dal datore di lavoro deve essere valutata in relazione a: le indicazioni del costruttore, per le macchine marcate CE; le indicazioni contenute nei libretti per macchine non marcate CE e per le altre attrezzature. Dopo aver considerato la macchina, il suo impiego, l’ambiente in cui viene inserita è d’obbligo considerare l’uomo che andrà ad utilizzarla, come riportato nell’art. 73 “informazione e formazione”. Il datore di lavoro si assicura che per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione dei lavoratori essi siano adeguatamente informati e formati relativamente: 32 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione alle condizioni di impiego delle attrezzature; alle situazioni anomale prevedibili; Sui rischi cui sono esposti durante l’uso delle attrezzature di lavoro Qualora le attrezzature richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro si assicura una formazione specifica ed adeguata. Misure particolari sono, inoltre, dettate per l’uso di attrezzature di lavoro mobili, semoventi o non semoventi e per l’uso di attrezzature di lavoro destinate a sollevare carichi. È stato introdotto nel titolo III del Testo Unico un intero articolo, Art. 72, dedicato agli obblighi dei noleggiatori e dei concedenti in uso. A4.3.3 “Direttiva macchine” - D.p.r. n. 459/96 Gli artt. 22, 23 e 24 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n°81 “Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” prevedono obblighi, sanzionati penalmente, a carico dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori di macchine e/o apparecchi elettrici, vincolandoli al rigoroso rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza e igiene (tra cui, in particolare, il DPR 24 luglio 1996 n. 459 sui requisiti di sicurezza delle macchine costruite dopo il 20/9/96) Il datore di lavoro ha l'obbligo indelegabile di valutare i rischi e di adottare le necessarie misure di prevenzione: tali misure devono essere organizzate dai dirigenti, mentre i preposti devono sovrintendere e vigilare sull'osservanza, da parte dei lavoratori, di tutte le misure di sicurezza predisposte dai dirigenti e dal datore di lavoro. E' invece a carico del costruttore - o di un suo mandatario - attestare la conformità ai requisiti di cui sopra mediante la "dichiarazione CE" e la "marcatura CE", secondo la procedura di certificazione di cui all'art. 4 del D.P.R. n. 459 /1996. La “Direttiva Macchine” è una direttiva di prodotto molto importante in considerazione della vastità di prodotti assoggettati alle sue disposizioni. In essa sono indicati esplicitamente limiti di competenza e le interconnessioni tra le responsabilità di chi fabbrica la macchina e chi le deve inserire nel proprio ciclo produttivo per garantire la sicurezza dei lavoratori. Nell’ambito della Sicurezza nei luoghi di lavoro, due sono i filoni di Direttive che l’Unione Europea predispone: Le Direttive “Sociali” (ex art. 118 del trattato di Roma); Le Direttive di “Prodotto” (ex art. 110 del trattato di Roma). Le prime danno i requisiti minimali che gli Stati membri sono tenuti ad applicare nel loro contesto sociale. Le seconde (di prodotto) devono assicurare il “libero scambio” dei prodotti (anche destinati al mondo del lavoro) e per questo indicano i “requisiti essenziali” di sicurezza che devono essere applicati perché tali prodotti possano, direttamente dal costruttore, essere posti 33 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – sul mercato o in servizio ovvero “a disposizione per la prima volta” nell’Unione Europea, anche a titolo non oneroso. Come detto precedentemente, fondamentale per una corretta interpretazione del Decreto è la lettura delle definizioni: Macchina: un insieme di pezzi o di organi, di cui almeno uno mobile (mosso da forza diversa da quella umana), collegati tra loro, con circuiti di comando e di potenza o altri sistemi di collegamento, connessi solidalmente per una applicazione ben determinata, segnatamente per la trasformazione, il trattamento, lo spostamento o il condizionamento dei materiali Apparecchio elettrico: tutti gli apparecchi elettrici ed elettronici nonché gli impianti e le installazioni che contengono componenti elettriche e/o elettroniche (definizione tratta dalla direttiva CEE n. 336 del 3/05/89 meglio conosciuta come “Direttiva Compatibilità Elettromagnetica“. Macchina usata: una macchina funzionante ma con ridotto tempo di vita ancora utile, rispetto all’intero tempo di utilizzazione previsto dal fabbricante per gli elementi strutturali di una macchina nuova e/o per i suoi componenti. Modifiche costruttive non rientranti nell’ordinaria o straordinaria manutenzione: le modifiche che introducono elementi di rischio per i quali non è stata effettuata la valutazione in sede di progettazione. Carenze palesi: carenze, in termini di sicurezza ed igiene del lavoro, rilevabili da un semplice esame visivo o dall’uso quotidiano della macchina. Carenze occulte: carenze, in termini di sicurezza ed igiene del lavoro, che non siano palesi o che non si siano già manifestate in sede di utilizzo La distinzione che si deve fare è quella tra macchine nuove e macchine usate; esistono tre situazioni: - Macchine nuove: dal 21.09.96 devono essere marcate CE e rispettare, quindi, tutte le direttive ad esse applicabili; - Macchine usate che subiscono modifiche (costruttive) che non rientrano nella ordinaria o straordinaria manutenzione: queste macchine devono essere marcate CE (anche se in origine erano già marcate) in quanto vengono considerate come macchine nuove, sostanzialmente diverse da quelle originali; (la "modifica costruttiva" va fatta in conformità ai Requisiti Essenziali di Sicurezza RES dell'Allegato 1° del DPR 459/96). A questo proposito si sottolinea che l’art. 71 comma 5 del Testo Unico recita “le modifiche apportate alle macchine…..per migliorarne le condizioni di sicurezza non configurano immissione sul mercato ………sempre che non comportino modifiche delle modalità di utilizzo e delle prestazioni previste dal fornitore”. - Macchine usate (acquistate, per la prima volta, prima del 21.09.96) che non avendo subito modifiche non rientranti nella ordinaria o straordinaria manutenzione non devono essere marcate CE. Queste macchine, però, devono essere accompagnate da una dichiarazione del venditore che attesti la conformità della macchina alla legislazione previgente la “Direttiva Macchine”. Si ricordi a questo proposito L’art. 70 del Testo Unico che considera conformi ai requisiti generali di sicurezza le attrezzature costruite secondo le prescrizioni dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 395 del D.P.R. 547/55. Le fasi identificative delle procedure di commercializzazione e di utilizzazione di un prodotto secondo le Direttive del nuovo approccio sono le seguenti: 34 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione IMMISSIONE SUL MERCATO che si configura come l’azione iniziale che rende il prodotto disponibile per la prima volta nell’Unione Europea per la distribuzione e/o l’uso, sia a titolo oneroso che gratuito. MESSA IN SERVIZIO ovvero la prima utilizzazione nell’Unione Europea di un prodotto da parte dell’utilizzatore finale. I soggetti obbligati in queste fasi sono i seguenti: FABBRICANTE: persona giuridica responsabile del progetto e costruzione di un prodotto per la immissione sul mercato o uso personale. Ha l’obbligo del rispetto dei RES e delle procedure di immissione previste dalla Direttiva applicabile. Ha l’obbligo del rispetto dei RES e delle procedure di immissione previste dalla Direttiva applicabile. Il fabbricante può usare prodotti finiti, parti e componenti pronti per l’uso o subappaltare i propri compiti. Comunque deve sempre sovraintendere e possedere la necessaria competenza per assumere la responsabilità del prodotto finito. MANDATARIO: persona giuridica delegata a rappresentare il Fabbricante nei rapporti con le Autorità degli Stati membri per gli obblighi previsti nelle Direttive di prodotto. Deve essere stabilito nell’U.E. Il fabbricante rimane generalmente responsabile per le azioni intraprese dal mandatario. IMPORTATORE: persona giuridica stabilita nell’U.E. responsabile della immissione sul mercato comunitario di un prodotto proveniente da un Paese terzo. L’importatore deve assicurarsi di essere in grado di rispondere alle Autorità di sorveglianza per tutte le informazioni sul prodotto ed assumere la responsabilità per il rispetto delle procedure previste dalla Direttiva applicabile. ASSEMBLATORE: persona che per prodotti già immessi sul mercato separatamente assume le necessarie misure per assicurare che essi, nella configurazione finale di nuovo prodotto complesso, rispondano ai requisiti di sicurezza delle Direttive all’atto della messa sul mercato o in servizio. INSTALLATORE: persona che per un prodotto immesso sul mercato assume le necessarie misure per assicurare che esso, secondo le istruzioni del fabbricante, risponda ai requisiti di sicurezza della Direttiva all’atto della messa in servizio. DISTRBUTORE: persona giuridica della catena commerciale che assume funzione dopo che il prodotto è stato posto per la prima volta sul mercato dell’U.E.. E’ corresponsabile per la commercializzazione di un prodotto non conforme alle direttive. (figura giuridica non prevista dalle Direttive di prodotto). UTILIZZATORE: persona che ha la responsabilità della corretta utilizzazione e manutenzione di un prodotto sul luogo di lavoro. (figura giuridica non prevista dalle Direttive di prodotto ma identificata dalle Direttive sociali) Il D.P.R. n. 459 /1996. sarà presto modificato dal recepimento della Direttiva 2006/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006. Di questa nuova direttiva ciò che si può da subito segnalare è l’importanza data al concetto tecnico di “integrazione”; intendendo che la sicurezza deve essere conseguita integrandola nelle fasi di progettazione e di costruzione delle macchine, estendendola e conservandola poi, nelle fasi dio installazione e manutenzione. 35 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – La commissione Europea ribadisce l’opportunità di “lasciare ai fabbricanti l’intera responsabilità di attestare la conformità alla Direttiva delle loro macchine” ad eccezione di quelle macchine che presentano un potenziale maggiore di rischi richiedendo per esse una procedura di certificazione più rigorosa. La presente direttiva, non ancora recepita in Italia, introduce “la fabbricazione in sistema di garanzia totale”. Applicare un sistema di garanzia di qualità totale permette di valutare la conformità di una macchina considerando il sistema con cui è stata fabbricata, se a questo sistema è stato applicato un sistema garanzia qualità totale e descrive la procedura in base alla quale un organismo notificato valuta e approva il sistema qualità e ne controlla l’applicazione. Applicare un sistema di garanzia qualità totale significa, per il fabbricante, redigere, aggiornare e conservare una documentazione attestante le procedure e la qualità di aspetti quali: la programmazione dei lavori; i manuali d’uso delle macchine; gli schemi delle macchine; i risultati delle prove atte a garantire la qualità del prodotto. A4.3.4 Omologazione e verifiche delle macchine Procedure di omologazione di apparecchi soggetti alla direttiva macchine D.P.R. 459/1996, gia’ sottoposte al regime di verifica obbligatorio previste dal D.M. 12/09/1959 e ribadito dagli art. 70 e 71 del D.Lgs 81/2008 Le macchine rientranti nella disciplina di cui al D.M. 12/09/1959 ed in particolare: Scale aeree ad inclinazione variabile; Ponti mobili sviluppabili su carro; Ponti sospesi muniti di argano; Argani dei ponti sospesi impiegati nelle costruzioni; Apparecchi ed impianti di sollevamento per materiali di portata superiore a 200 Kg (esclusi quelli azionati a mano): Gru a ponte; Gru a torre e derrick; Gru a cavalletto, a portale; Gru a struttura limitata, a bandiera, monorotaia, ecc; Gru su autocarro; Autogru; Argani e paranchi e relativi carrelli. Idroestrattori a forza centrifuga (diametro esterno paniere superiore a 50 cm) 36 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione messe in servizio a partire dal 21 settembre 1996, mantengono l’obbligo di denuncia al dipartimento ISPESL competente per territorio dell’avvenuta installazione (art. 11 comma 3, D.P.R. 459/96). Quelle macchine già in servizio tra il 1 gennaio 1993 ed il 20 settembre 1996, per le quali è stata presentata domanda di omologazione all’ISPESL non ancora respinta, potranno legittimamente considerarsi immessi sul mercato o messi in servizio, se l’ISPESL concluda positivamente il procedimento di omologazione ovvero se l’interessato gli trasmetta la dichiarazione di conformità e il relativo fascicolo tecnico nel termine di giorni 60 dall’entrata in vigore del regolamento, affinché il menzionato Istituto possa procedere all’archiviazione dell’istanza di omologazione, previa verifica della completezza della documentazione (art.11 comma 2, D.P.R. 459/96). Quelle già immesse sul mercato o messe in servizio prima del 1 gennaio 1993 ed in attesa di omologazione da parte dell’ISPESL, seguono il processo di omologazione attuato dall’Istituto stesso. Con l’avvenuta denuncia di installazione da parte dell’utente, l’ISPESL provvede alla compilazione ed al rilascio del "Libretto delle verifiche", riportando nello stesso esclusivamente i dati caratteristici rilevabili della macchina o desumibili dal manuale delle istruzioni d’uso a corredo della macchina stessa, nonché le condizioni di installazione, funzionamento e della congruità della utilizzazione alla sua destinazione. Successivamente a tale adempimento l’ISPESL invia copia del libretto agli organi di vigilanza territoriali delle Aziende USL (U.O. Prevenzione e Sicurezza) per i successivi adempimenti di competenza; a tale riguardo vedasi la Circolare 25 giugno 1997, n. 162054 del Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato. Questo agevolerà il controllo del mercato di talune macchine il cui esercizio e mantenimento in servizio si ritiene presenti elevati elementi di rischio. A4.4 Rischio movimentazione merci Il Dlgs 81/2008 (Titolo VI e Allegato XXXIII) raccomanda esplicitamente di ridurre al minimo le situazioni in cui i carichi pesanti debbano essere movimentati manualmente, ricorrendo il più possibile a movimentazione con l’ausilio di mezzi meccanici. Nel caso in cui l’utilizzo dei mezzi meccanici non sia possibile il Datore di Lavoro provvederà rispettivamente a: fornire loro tutte le informazioni per eseguire correttamente le operazioni di movimentazione; sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria attraverso visite periodiche. A4.4.1 Movimentazione meccanica dei carichi Nel caso in cui la necessità di una movimentazione manuale di un carico ad opera del lavoratore non possa essere evitata, il datore di lavoro può organizzare i posti di lavoro in modo che detta movimentazione sia quanto più possibile sicura e sana; ad esempio alternando alla mansione più persone o riducendo le frequenze oppure ancora riducendo la lunghezza dei percorsi che l'operatore deve seguire movimentando a mano un carico. Per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori, a titolo di esempio, il datore di lavoro potrebbe (art. 168): 37 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – - dotarsi di sollevatori meccanici - dotarsi di carrelli elevatori trasportatori - dotarsi di ausili manuali (carriole, carrelli a ruote, ecc.) Il carrello elevatore Uno dei mezzi più noti per la movimentazione meccanica dei carichi è il carrello elevatore semovente (muletto). I maggiori rischi connessi all’utilizzo dei carrelli elevatori sono legati a possibili: ribaltamenti del mezzo, con possibile schiacciamento del conducente o di altre persone investimento di persone caduta di carichi dal carrello, con possibili urti verso persone vicine Risulta pertanto opportuno suggerire alcuni accorgimenti e richiamare alcune regole. controllare sempre che il carrello disponga degli accorgimenti previsti, quali: tettuccio integro sedili, cofano e batteria ben fissati al telaio griglia anticesoiamento protezione delle leve di comando dispositivi contro la discesa accidentale del carico dispositivi antiribaltamento (cabina, cinture di sicurezza) dispositivi di segnalazione (luce lampeggiante; "cicalino") garantire all’operatore carrellista ed a chi segue più frequentemente le fasi di ricarica, una adeguata informazione e formazione. porre particolare attenzione nelle fasi più delicate dei movimenti, quali: accesso a rampe ripide passaggi bassi pavimentazione sconnessa scarsa visibilità se la macchina è elettrica, effettuare la ricarica delle batterie esternamente ai locali eseguire periodicamente i controlli e le manutenzioni se è possibile, prevedere percorsi separati per mezzi in movimento e pedoni (segnalazioni, anche a pavimento, ecc.) 38 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione A4.5 Rischio cadute dall’alto I rischi di cadute dall’alto si hanno essenzialmente nelle lavorazioni in quota che espongono i lavoratori a rischi particolarmente elevati per la loro salute e sicurezza e soprattutto sono causa di infortuni mortali. Un elenco non esaustivo di lavori per i quali è forte il rischio di cadute dall’alto è il seguente: lavori su pali o tralicci; lavori presso gronde e cornicioni; lavori su tetti e/o coperture di edifici; lavori su scale; lavori su opere di demolizione; lavori su piattaforme mobili in elevazione; lavori su piattaforme sospese; montaggio di elementi prefabbricati; lavori su ponteggi; lavori su piloni; lavori su pareti e scarpate di strutture naturali; lavori su alberi da fusto; lavori in pozzi e luoghi profondi; lavori che comunque impongono un piano di appoggio stabile oltre i due metri da terra; ecc.. Nei casi in cui i lavori non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, devono essere scelte attrezzature di lavoro idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure dando priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale. Qualora, ove queste misure da sole non bastino ad evitare o ridurre sufficientemente i rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, in relazione alla quota ineliminabile di rischio residuo, subentra l’obbligo del ricorso ai Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) come previsto all’art. 75 del D.Lgs. 81/08. Per la individuazione di un idoneo mezzo di protezione personale è indispensabile la determinazione preliminare della natura e dell’entità dei rischi residui ineliminabili sul luogo di lavoro, con particolare riguardo ai seguenti elementi: durata e probabilità del rischio; tipologia dei possibili pericoli per i lavoratori; condizioni lavorative. Poiché non esistono mezzi personali di protezione capaci di proteggere dalla totalità o almeno dalla maggior parte dei rischi lavorativi senza provocare impedimenti inaccettabili, nella scelta del mezzo più adatto si dovrà cercare la migliore soluzione di compromesso fra la massima sicurezza possibile e le esigenze di comodità. 39 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Gli obblighi del Datore di Lavoro, riguardanti l’uso dei DPI, sono determinati al Capo II del D.Lgs. 81/08, che all’art. 77 riporta quanto segue: 1. Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI: a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi; b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI; c) valuta, sulla base delle informazioni a corredo dei DPI fornite dal fabbricante e delle norme d’uso di cui all’art. 45 le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b); d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione. Nota 2. individua riguarda la Il datore di lavoro, anche sulla base delle norme d’uso di cui all’art. 79, le condizioni in cui un DPI deve essere usato, specie per quanto durata dell’uso, in funzione di: a) entità del rischio; b) frequenza dell’esposizione al rischio; c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore; d) prestazioni del DPI. 3. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i DPI conformi ai requisiti previsti dall’art. 76 e dal decreto di cui all’art. 79, comma 2. 4. Il datore di lavoro: a) mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie; b) provvede a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante; c) fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori; d) destina ogni DPI ad un uso personale e, qualora le circostanze richiedano l’uso di uno stesso DPI da parte di più persone, prende misure adeguate affinché tale uso non ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori; e) informa preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge; f) rende disponibile nell’azienda ovvero unità produttiva informazioni adeguate su ogni DPI; g) assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, uno specifico addestramento circa l’uso corretto e l’utilizzo pratico dei DPI. 5. In ogni caso l’addestramento è indispensabile: a) per ogni DPI che, ai sensi del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, appartenga alla terza categoria; b) per i dispositivi di protezione dell’udito. 40 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione Gli obblighi del Lavoratore, riguardanti l’uso dei DPI, sono determinati al Capo II del D.Lgs. 81/08, che all’art. 78 riporta quanto segue: 1. I lavoratori si sottopongono al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei casi ritenuti necessari ai sensi dell’art. 77, commi 4, lettera g), e 5. 2. I lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato. 3. I lavoratori: a) hanno cura dei DPI messi a loro disposizione; b) non vi apportano modifiche di propria iniziativa. 4. Al termine dell’utilizzo i lavoratori seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei DPI. 5. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei DPI messi a loro disposizione. I dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto sono classificati in III° categoria come definita nel D.Lgs. 475/95 (protezione da rischi di morte o di lesioni gravi e a carattere permanente). A4.5.1 Valutazione del rischio di cadute dall’alto Analisi del rischio di cadute dall’alto. Nei lavori in quota, dove i lavoratori sono esposti a rischi particolarmente elevati per la loro salute e sicurezza, in particolar a rischi di caduta dall’alto, e quando il dislivello è maggiore di quello imposto dalla legislazione vigente, devono essere adottate misure di protezione collettive. I rischi residui devono essere eliminati o ridotti mediante l’uso di DPI di posizionamento o di arresto della caduta. Nei lavori in quota si è esposti a rischi, sia di caduta dall’alto o strettamente connessi ad essa, sia di natura diversa in relazione alla attività specifica da svolgere e che procurano morte o lesioni al corpo o danni alla salute. Si individuano le seguenti tipologie: rischio prevalente di caduta a seguito di caduta dall’alto; rischio susseguente alla caduta derivante da: oscillazione del corpo con urto contro ostacoli (effetto pendolo); arresto del modo di caduta per effetto delle sollecitazioni trasmesse dall’imbracatura sul corpo; sospensione inerte del corpo dell’utilizzatore che resta appeso al dispositivo di arresto caduta e da tempo di permanenza in tale posizione; rischio connesso al DPI anticaduta derivante da: non perfetta adattabilità del DPI; 41 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – intralcio alla libertà dei movimenti causata dal DPI stesso; inciampo su parti del DPI; rischio innescante la caduta derivante da: insufficiente aderenza delle calzature; insorgenza di vertigini; abbagliamento degli occhi; scarsa visibilità; colpo di calore o di sole; rapido abbassamento della temperatura; rischio specifico dell’attività lavorativa: di natura meccanica (bordi spigolosi, attrezzi taglienti, caduta di oggetti, ecc.); di natura termica (scintille, fiamme libere, ecc.); di natura chimica; di natura elettrica; rischio di natura atmosferica derivante da : vento, pioggia o ghiaccio su superfici di calpestio, ecc.. Tipologie di rischi. Nei lavori in quota si è esposti a rischi, sia di caduta dall’alto o strettamente connessi ad essa, sia di natura diversa in relazione alla attività specifica da svolgere e che procurano morte o lesioni al corpo o danni alla salute. Si individuano le seguenti tipologie: rischio prevalente di caduta a seguito di caduta dall’alto; rischio susseguente alla caduta derivante da: oscillazione del corpo con urto contro ostacoli (effetto pendolo); arresto del modo di caduta per effetto delle sollecitazioni trasmesse dall’imbracatura sul corpo; sospensione inerte del corpo dell’utilizzatore che resta appeso al dispositivo di arresto caduta e da tempo di permanenza in tale posizione; rischio connesso al DPI anticaduta derivante da: non perfetta adattabilità del DPI; intralcio alla libertà dei movimenti causata dal DPI stesso; inciampo su parti del DPI; rischio innescante la caduta derivante da: insufficiente aderenza delle calzature; insorgenza di vertigini; 42 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione abbagliamento degli occhi; scarsa visibilità; colpo di calore o di sole; rapido abbassamento della temperatura; rischio specifico dell’attività lavorativa: di natura meccanica (bordi spigolosi, attrezzi taglienti, caduta di oggetti, ecc.); di natura termica (scintille, fiamme libere, ecc.); di natura chimica; di natura elettrica; rischio di natura atmosferica derivante da : vento, pioggia o ghiaccio su superfici di calpestio, ecc.. Esposizione ai rischi. In ogni istante dell’attività lavorativa, l’esposizione ai rischi, in special modo se procuranti morte o lesioni permanenti e se non tempestivamente percepibili dal lavoratore prima dell’evento, deve essere nulla. Si sottolinea l’importanza di non sottovalutare il rischio di sospensione inerte in condizioni di incoscienza, in quanto possibile causa di complicazioni che possono compromettere le funzioni vitali: in tali condizioni, tempi di sospensione anche inferiori a trenta minuti, possono portare a gravi malesseri a causa dell’azione dell’imbracatura. Il documento di valutazione del rischio e il piano operativo devono prevedere oltre il rischio di caduta dall’alto anche il rischio di sospensione inerte e adottare misure o interventi di emergenza che riducano il tempo di sospensione inerte a pochi minuti. Riduzione dei rischi. Ai fini della prevenzione degli infortuni e dei rischi per la salute, importanza prioritaria và attribuita ai provvedimenti d’ordine tecnico-organizzativo diretti ad eliminare o ridurre sufficientemente i pericoli alla fonte ed a proteggere i lavoratori mediante mezzi di protezione collettivi. Tuttavia, ove queste misure da sole non bastino ad evitare o ridurre sufficientemente i rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, in relazione alla quota ineliminabile di rischio residuo, subentra l’obbligo del ricorso ai DPI. Piano di emergenza. Deve essere predisposta, nell’ambito della valutazione dei rischi, una procedura che preveda l’intervento di emergenza in aiuto del lavoratore, rimasto sospeso al sistema di arresto caduta, che necessiti di assistenza o aiuo da parte di altri lavoratori. 43 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Quindi, nel caso in cui nei lavori in quota, si rende necessario l’uso di un sistema di arresto caduta, all’interno dell’unità di lavoro deve essere prevista la presenza di lavoratori che posseggano la capacità operativa di garantire autonomamente l’intervento di emergenza in aiuto del lavoratore sospeso al sistema di arresto caduta. Nel caso che, a seguito di analisi del rischio e della conformità dei luoghi di lavoro, si ritiene che non sia possibile operare in maniera autonoma, deve essere determinata una apposita procedura del soccorso pubblico. ••• RRiferimenti iferimenti nnormativi ormativi D.M. 22 maggio 1992, n. 466 Regolamento recante il riconoscimento di efficacia di un sistema individuale per gli addetti al montaggio ed allo smontaggio dei ponteggi metallici. D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475 Attuazione della direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai DPI. D.L.gs 14 agosto 1996, n.494 e s.m.i. Attuazione della direttiva 92/57/CEE. D.Lgs 2 gennaio 1997, n. 10 Attuazione delle direttive 93/68/CEE, 93/95/CEE e 93/95/CEE relative ai DPI D.Lgs 8 luglio 2003, n. 235 (PIMUS) Attuazione della direttiva 2001/45/CE D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81 Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007, n.123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. A4.6 Rischio incendio ed esplosione A4.6.1 Nozioni fondamentali di prevenzione incendi Il fuoco Il fuoco è la manifestazione visibile di una reazione chimica (combustione) che avviene tra due sostanze diverse (combustibile e comburente) con emissione di energia (calore e luce). Le conseguenze di una combustione sono la trasformazione delle sostanze reagenti in altre (prodotti di combustione) nonché l’emissione di un sensibile quantitativo di energia sotto forma di calore ad elevata temperatura. Il comburente è la sostanza che permette al combustibile di bruciare. Generalmente si tratta dell’ossigeno contenuto nell’aria allo stato di gas. Il combustibile è la sostanza in grado di bruciare. 44 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione Può trovarsi allo stato solido (legno, carta, plastica), liquido (alcool, gasolio, ecc.) o gassoso (metano, propano, idrogeno etc.). La reazione di combustione avviene solo se si verificano contemporaneamente le seguenti condizioni: contatto tra combustibile e comburente; presenza di combustibile e comburente in concentrazioni ben definite (entro i limiti di infiammabilità); temperatura opportuna. Venendo a mancare anche una sola delle condizioni suddette, la combustione non può aver luogo. Prodotti della combustione La combustione dà come risultato il fuoco, fornendo energia sotto forma di calore ad elevata temperatura con emissione di luce ed una serie di prodotti secondari che, nella combustione dei più comuni materiali infiammabili, risultano essere: - ANIDRIDE CARBONICA (CO2), per combustione completa (abbondanza di ossigeno alla combustione).L'anidride carbonica è un gas asfissiante a concentrazioni elevate in quanto riduce il contenuto dell’ossigeno dell’aria ambiente; - OSSIDO DI CARBONIO (CO), per effetto di combustione incompleta (carenza di ossigeno). L'ossido di carbonio è un gas tossico inodore e incolore che può risultare mortale entro breve tempo a concentrazioni relativamente basse (0,4% in volume); - L’ACIDO CLORIDRICO, è un gas che si forma per la combustione di materiali contenenti cloro (ad es. materie plastiche). Una minima concentrazione è fatale in pochi minuti. - CENERI costituite da prodotti vari mescolati in genere con materiali incombustibili; una parte si disperde nell’aria sotto forma di fumo. A4.6.2 Effetti dell’incendio Effetti dell’incendio sulle persone E' opinione diffusa che la maggior causa di morti in caso di incendio sia una rapida esposizione al calore o il contatto con le fiamme; analisi statistiche mostrano invece che solo una piccola percentuale di decessi è da attribuire a tale causa. Il numero maggiore di causa di decessi è invece da attribuire alla inalazione di ossido di carbonio, di gas nocivi come l'acido cianidrico e di una grande varietà di composti organici. La deficienza di ossigeno e/o l'eccesso di anidride carbonica, possono condurre alla perdita di conoscenza e alla morte per asfissia. Effetti sugli oggetti e sui materiali da costruzione L'incendio provoca la combustione degli oggetti costituiti da sostanze combustibili, la rottura di quelli fragili al calore (per es. vetri), la fusione e l'accensione di oggetti di alcune materie plastiche ed anche la fusione di alcuni metalli (stagno, piombo, zinco, ecc.). 45 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Le strutture in cemento armato, con l’evolversi dell’incendio, vedono diminuire le proprie caratteristiche di resistenza. A4.6.3 Definizioni di prevenzione incendi Resistenza al fuoco di una struttura La resistenza al fuoco è la capacità di una struttura (porta, solaio, parete etc.) a resistere alla sollecitazione termica di un incendio per un periodo di tempo definito. La resistenza al fuoco di un elemento è rappresentata dalle seguenti lettere: R rappresenta la stabilità dell’elemento (porta, muro ecc.) ossia l’attitudine a mantenere le proprie capacità meccaniche sotto l’azione termica prodotta da un incendio per un determinato intervallo di tempo; E indica la capacità dell’elemento strutturale di impedire il passaggio di fiamme, vapori e gas caldi oltre il lato non esposto all’incendio per un determinato intervallo di tempo; I definisce la capacità di impedire, entro un determinato tempo, il passaggio di calore anche sotto forma di irraggiamento; più alto sarà il parametro “I”, tanto più lentamente si innalzerà la temperatura sulla superficie dell’elemento strutturale situata dalla parte opposta a quella a contatto con il fuoco. Una porta è REI 120 se per 120 minuti conserva la propria resistenza, è impermeabile ai fumi e ai gas caldi e isola il calore. Una muratura è R 180 se conserva per 180 minuti la propria resistenza ma consente il passaggio di fumi e calore attraverso di essa. Temperatura di infiammabilità La temperatura di infiammabilità è la minima temperatura alla quale il combustibile emette vapori in quantità tali da formare con il comburente una miscela incendiabile. Per accendere il fuoco è quindi necessario fornire al combustibile l’energia necessaria per iniziare la reazione; la reazione, una volta iniziata, prosegue autonomamente fino all’estinzione spontanea che avviene o per esaurimento del combustibile o perché non è presente comburente in quantità sufficiente o anche, nel caso dei solidi, per abbassamento della temperatura di combustione. Potere calorifico di un combustibile Il potere calorifico è la quantità di energia che 1 Kg. di combustibile, solido, liquido o gassoso è in grado di fornire bruciando completamente. Carico d'incendio Per valutare l’entità del rischio incendio in un ambiente viene usata una grandezza chiamata carico d’incendio. Si definisce carico d'incendio, e lo si indica con Q, la quantità di calore che si svilupperebbe per combustione completa di tutti i materiali combustibili contenuti nel compartimento, ivi compresi le strutture, gli infissi, le opere di finitura dei muri, pavimenti e soffitti costituiti da materiali combustibili. La limitazione del carico di incendio di un locale costituisce la prima regola da seguire per la prevenzione degli incendi. Reazione al fuoco di un materiale La reazione al fuoco di un materiale combustibile è definita come grado di partecipazione al fuoco al quale è sottoposto. In relazione a ciò i materiali sono assegnati alle classi 0,1,2,3,4,5 con l’aumentare della loro partecipazione alla combustione; quelli di classe 0 sono non combustibili. 46 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione Classificazione degli incendi Gli incendi sono distinti nelle seguenti classi: CLASSE A. Abbraccia tutti i materiali solidi a base cellulosica quali il legno, la carta, i tessuti, la paglia, ecc., soggetti a due forme tipiche di combustione: una vivace caratterizzata da fiamme e un’altra priva di fiamme visibili, lenta e quasi "covante" caratterizzata dalla formazione di braci. CLASSE B. Comprende gli idrocarburi in genere, i catrami, i grassi, gli oli, le vernici, gli alcoli, le resine ed i vari tipi di solvente. Tali sostanze sono caratterizzate da combustioni con fiamme vivacissime e molto alte in quanto bruciano totalmente, previa evaporazione o pirolisi in forma gassosa, senza dare origine a braci. CLASSE C. Comprende tutti i tipi di gas, quali il metano, il propano, il butano, l’acetilene, il gas naturale, il gas di città, l’idrogeno, ecc.; per il loro spegnimento possono essere impiegate le polveri, la CO2 e gli alogeni. CLASSE D. Comprende le sostanze reattive con l’aria o con l’acqua quali i metalli (sodio, potassio, alluminio, magnesio, titanio, zirconio, e le loro leghe. CLASSE E. Comprende in generale le apparecchiature elettriche sotto tensione ed i materiali appartenenti a tutte le classi quando si trovano sotto tensione. Prodotti estinguenti Esaminiamo brevemente i più comuni estinguenti, citando i tipi di incendi in cui offrono il miglior rendimento, ma anche quelli in cui devono essere evitati, perché controproducenti o pericolosi. L'acqua, crea una separazione e riduce l'ossigeno dell'aria con vapore acqueo. È anche un buon raffreddante. Non deve essere mai usata in incendi di natura elettrica con linee sotto tensione essendo ottima conduttrice. La schiuma separa l'aria, sviluppa anidride carbonica e raffredda. È consigliabile contro liquidi infiammabili, specie se su ampie superfici e in serbatoi. L'anidride carbonica (CO2) è un gas inerte, non combustibile né comburente, che essendo più pesante dell'aria agisce per soffocamento. Contemporaneamente ha un notevole effetto raffreddante. Nel cambiamento di stato e sotto forte pressione, passando da liquida a gas, una parte congela scendendo a temperatura di meno 79°C; quindi rimanendo investiti da un getto di CO2 si possono avere ustioni da congelamento. È indicata per moltissimi tipi di incendio. La sua efficacia è ridotta all'aperto, perché la ventilazione riduce l'effetto estinguente. Di contro in ambienti chiusi se la percentuale di ossigeno scende sotto il 16% è pericolosa. La polvere ha un'azione estinguente agente per separazione, diluizione e raffreddamento. Ha un ampio spettro di intervento ed è ottima in molti tipi di incendi, anche di origine elettrica.. Dato che è formata da granellini sottilissimi, che si introducono ovunque e sono poi difficili da asportare, se ne sconsiglia l'impiego su strumenti ed apparecchiature delicate. A4.6.4 Estinzione degli incendi Per conseguire lo spegnimento degli incendi occorre interferire su almeno uno dei fattori che consentono l’alimentazione della combustione. Si deve ricorrere quindi alle seguenti azioni: 47 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – azione di separazione o segregazione del combustibile non ancora interessato dalla combustione da quello già incendiato mediante barriere non infiammabili, getti d’acqua o sabbia, rimozione con mezzi meccanici; azioni di soffocamento consistente nell’eliminazione del contatto tra combustibile e del comburente mediante coperte, terra o sabbia, gas inerti; azione di raffreddamento mediante riduzione della temperatura del combustibile al di sotto del valore di accensione con acqua, CO2; azione di inibizione chimica utilizzando sostanze che bloccano chimicamente la reazione di combustione inibendo lo sviluppo delle reazioni a catena. A4.6.5 Prevenzione e protezione incendi Prevenzione incendi La prevenzione incendi ha lo scopo di ridurre la probabilità che un incendio possa svilupparsi e propagarsi mediante la rimozione o la neutralizzazione delle cause che lo possono fare insorgere. I provvedimenti e le misure possono riguardare ad esempio: Impiego di materiali difficilmente infiammabili, aventi quindi una ridotta reazione al fuoco per propria natura o per un trattamento speciale ricevuto; Adozione di sistemi e dispositivi di sicurezza che consentono di prevenire un incendio quali dispositivi di allarme, sensori, termostati e interruttori di sicurezza Misure di buon senso legate alla pulizia e all’ordine negli ambienti di lavoro. Protezione incendi Le misure di protezione incendi sono essenzialmente costituite dall’impiego di materiali incombustibili e resistenti al fuoco, dall’installazione di muri o porte tagliafuoco fra i vari compartimenti degli edifici e dall’installazione di impianti di rivelazione e spegnimento incendi. La difesa antincendio può realizzarsi con sistemi di protezione passiva e sistemi di protezione attiva. I sistemi di protezione passiva non agiscono sull’incendio ma comprendono tutte le misure tese a: prevenire o ridurre a livelli di probabilità accettabili le possibilità di verificarsi di incendi; limitare la gravità degli effetti degli incendi. I sistemi di protezione attiva sono costituiti da quegli elementi (uomini, mezzi, sistemi antincendio) che intervengono attivamente nel controllo e nell’estinzione del fuoco La protezione passiva - Fanno parte della protezione passiva elementi quali: Le compartimentazioni. La compartimentazione ha lo scopo di delimitare degli ambienti all’interno dei quali è possibile che si inneschi un incendio. Gli elementi utilizzati per la compartimentazione (muri, solai, porte tagliafuoco, filtri e scale a prova di fumo e rivestimenti protettivi) non hanno una resistenza illimitata al fuoco ma sono in grado di ritardare la trasmissione del calore, delle fiamme e dei prodotti della combustione agli ambienti adiacenti a quelli in cui si sviluppa un incendio. 48 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione - Gli elementi costruttivi vengono classificati in base allo loro resistenza al fuoco. La riduzione del carico d’incendio La riduzione del carico d’incendio può essere ottenuta: riducendo le quantità di materiali combustibili presenti nei locali; utilizzando materiali con bassi classi di reazione al fuoco, ad esempio impiegando arredi (es. poltrone) o rivestimenti (es. moquette) di classe 1 o classe 0. - Sistemi di smaltimento dei prodotti della combustione Nella fase iniziale di un incendio i prodotti della combustione sono molto caldi e quindi meno densi dell’aria circostante e tendono a salire. Quando il fumo raggiunge il soffitto si diffonde al disotto di questo, formando uno strato che in un certo senso galleggia su quello sottostante di aria fredda più pesante. In assenza di aperture sul soffitto lo strato dei gas caldi e del fumo aumenta progressivamente fino a quando invade l’intero locale. Se nella copertura, al di sopra del focolare, esiste una apertura e il locale dispone di altre aperture per l’immissione di aria, i gas ed il fumo possono fuoriuscire. La protezione attiva La difesa attiva, alla quale bisogna ricorrere nel caso in cui l’incendio si è già sviluppato, è rappresentata dal complesso di uomini, mezzi e sistemi antincendio che intervengono attivamente nel controllo e nell’estinzione del fuoco. In particolare: - Impianti di allarme e di rivelazione automatica dell’incendio La scoperta di un incendio deve essere segnalata a tutte le persone presenti nel più breve tempo possibile e ciò può essere ottenuto da una serie di avvisatori d’incendio detti anche pulsanti di allarme. Un impianto di rivelazione automatica d’incendio, invece, è un sistema installato in uno o più locali che consente di svelare un incendio dal primo insorgere dando un segnale acustico e/o sonoro in un locale che deve essere sempre presidiato. Esistono molti tipi di rilevatori che funzionano sfruttando una delle manifestazioni caratteristiche della combustione. Tra i più frequenti vanno ricordati quelli che fruttano le variazioni o la presenza di calore (rilevatori termici), luce (rivelatori a cellula fotoelettrica), fumo o gas di combustione. - Impianti di illuminazione di sicurezza Tale impianto deve fornire una illuminazione sufficiente sia per abbandonare il posto di lavoro in mancanza di luce artificiale, sia per effettuare tutte le operazioni per mettere in sicurezza le attrezzature e i macchinari. Dovranno pertanto essere illuminati i segnali di uscita di sicurezza, i corridoi e le vie di fuga che è necessario percorrere per raggiungere un luogo sicuro. - Estintori Gli estintori sono apparecchi di pronto intervento che contengono un agente estinguente che può essere proiettato e diretto sul fuoco sotto l’azione della pressione interna. Si distinguono in portatili e carrellati. I primi, di dimensione e peso modesti, sono concepiti per essere portati ed utilizzati a mano, i secondi dotati di ruote, sono di dimensioni e peso maggiori. Gli estintori portatili sono mezzi di immediato intervento e sono immediatamente utilizzabili da una sola persona. Tutti gli estintori sono soggetti a sorveglianza, controlli e revisioni periodici in conformità alle disposizioni di legge in materia. - Impianti di spegnimento ad acqua Sono costituiti da reti di tubazioni terminanti in idranti o naspi corredati di manichette o tubi flessibili e da lance. Gli idranti sono del tipo a parete con tubo di alimentazione e valvola. 49 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Gli idranti devono essere posti in vicinanza di porte di ingresso e dei vani delle scale per renderne l’utilizzo facilmente accessibile. Gli idranti vanno contenuti in cassette metalliche con sportello vetrato. I naspi si differenziano dagli idranti perché sono muniti di tubo semirigido avente il diametro da un pollice. Il tubo è avvolto su un tamburo rotante incernierato sulla cassetta contenitrice Un altro tipo di impianto per la protezione dagli incendi è quello automatico a pioggia detto anche di tipo sprinkler. Questo impianto è costituito da una rete di distribuzione dell’acqua e da “testine” erogatrici munite di fusibile tarato per una determinata temperatura (normalmente 70 °C); tali testine spruzzano l’acqua frazionandola sul focolare di incendio. Al passaggio dell’acqua nella tubazione, una campana idraulica dà il segnale di allarme. A4.6.6 Il piano di emergenza In ogni attività, dopo aver effettuato la valutazione dei rischi e dopo che sono stati assunti tutti i provvedimenti necessari per ridurre al minimo la probabilità che si verifichi un incidente, esiste sempre un margine di rischio residuo che non può essere annullato per motivi legati alla tecnologia e connessi alla economicità di gestione di una attività. Tale margine di rischio residuo deve comunque essere “gestito”, valutando le fasi ed i comportamenti da attuare per fronteggiare un incidente. I provvedimenti che si adottano per gestire le emergenze vengono comunemente definiti “piani di emergenza”. A4.6.7 Motivazioni legislative Il piano di emergenza deve essere redatto per assolvere agli adempimenti di sicurezza previsti dal D.Lgs. 09 aprile 2008 n. 81 (Testo Unico sulla Sicurezza) con le modalità riportate nel D.M. 10 marzo 1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”. Alla luce del su menzionato D.M., occorre realizzare un’efficiente organizzazione e gestione della sicurezza antincendio che deve prevedere: 1. le misure per evitare il verificarsi di un incendio; 2. le misure per limitare la propagazione dell'incendio; 3. il controllo e la manutenzione dei mezzi antincendio; 4. l'informazione e la formazione antincendio del personale; 5. le procedure di intervento e di evacuazione da attivare in caso d'incendio; 6. l’esercitazione antincendio e di evacuazione da svolgere almeno una volta l'anno. L’obbligo della redazione del piano di emergenza si ha: • in tutte le attività lavorative con più di nove dipendenti; 50 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione • in tutte le attività con meno di 10 dipendenti ma soggette a controlli di prevenzione incendi da parte dei vigili del fuoco ai sensi del D.P.R. 29/07/82 n.577 Per le altre attività dovranno comunque essere adottate idonee misure organizzative e gestionali da adottare nel caso di verifichi una qualsiasi emergenza. Inoltre, il D.Lgs. 09 aprile 2008 n. 81, stabilisce in particolare: (art.15 lettera u) nell'attività occorre adottare "misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato"; (art.18 comma 1 lettera b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e,comunque, di gestione dell’emergenza; Art. 43 il datore di lavoro: a) organizza i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza; b) designa preventivamente i lavoratori di cui all’articolo 18, comma 1, lettera b); c) informa tutti i lavoratori che possono essere esposti a un pericolo grave e immediato circa le misure predisposte e i comportamenti da adottare; d) programma gli interventi, prende i provvedimenti e dà istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, possano cessare la loro attività, o mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro; e) adotta i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza o per quella di altre persone e nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa tecnici disponibili. 3. I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva. 4. Il datore di lavoro deve, salvo eccezioni debitamente motivate, astenersi dal chiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato. A4.6.8 Contenuto del piano di emergenza Nel piano d’emergenza devono essere individuati: • gli scenari di emergenza ragionevolmente prevedibili; • le azioni che i lavoratori devono mettere in atto nel caso in cui si verifichi un’emergenza; 51 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – • le azioni che persone esterne all’ufficio (pubblico, lavoratori d imprese esterne, addetti alla manutenzione, ecc.) devono mettere in atto nel caso in cui si verifichi un’emergenza; • procedure per l’evacuazione del luogo di lavoro che devono essere attuate dai lavoratori e dalle altre persone presenti; • procedure per chiedere l’intervento dei Vigili del Fuoco e per fornire le necessarie informazioni e documentazioni al loro arrivo; • procedure per chiedere l’intervento di Soccorso sanitario e altri servizi esterni; • specifiche misure per assistere i disabili; • doveri e compiti del personale incaricato alla gestione delle emergenze, pronto soccorso e lotta antincendio; • provvedimenti necessari per assicurare che tutto il personale interno ed esterno all’ufficio sia informato sulle procedure da attuare; • provvedimenti necessari per assicurare che tutto il personale addetto alla gestione delle emergenze sia opportunamente formato; • le misure specifiche per le aree a rischio di incendio; • i presidi antincendio a disposizione; • le esercitazioni di intervento e di evacuazione; • le informazioni utili durante l'emergenza. • Al piano devono inoltre essere allegate planimetrie contenenti: • la distribuzione e destinazione dei vari ambienti, le vie di fuga, i luoghi sicuri ecc.; • l’ubicazione dei luoghi a maggior rischio in caso di incendio (archivi, autorimesse, gruppo elettrogeno); • l’ubicazione dei pulsanti di azionamento delle suonerie di allarme; • l’ubicazione della cassetta del pronto soccorso; • l’ubicazione delle attrezzature e degli impianti di protezione attiva (estintori, idranti, rilevatori di fumo ecc.); • le protezioni passive esistenti (filtri a prova di fumo, porte tagliafuoco, compartimentati ecc.); • l'ubicazione dell'interruttore generale dell'alimentazione elettrica, delle valvole di intercettazione delle adduzioni idriche , delle bombole di gas comburente esistenti, ecc. • schede contenenti linee guida comportamentali e procedurali da esporre lungo le vie di fuga; ambienti Il piano di emergenza deve essere aggiornato e revisionato periodicamente sulla base dell'esperienza acquisita nel corso delle esercitazioni periodiche e per adeguarlo alle mutate esigenze della sicurezza, allo sviluppo della tecnica e dei mezzi disponibili, nonché ogni qualvolta si verifichino assunzioni o trasferimenti di disabili o comunque venga variata la realtà organizzativa o strutturale degli uffici o per impulso di uffici di eventuali altre Amministrazione presenti nello stabile. • Il piano di emergenza deve inoltre: 52 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione • essere di semplice comprensione; • essere di rapida attuazione; • essere facilmente memorizzabile; • essere facilmente aggiornabile. Ad esempio, in caso di incendio, le procedure previste dal piano di emergenza, devono essere attuate con estrema rapidità, cioè quando l’incendio è in fase di ignizione o di prima propagazione. Solo in tal modo, infatti, è possibile contenere al minimo i danni alle persone e alle cose. A4.6.9 Elementi necessari per preparare un piano di emergenza Prima di preparare un piano di emergenza è necessario raccogliere le seguenti informazioni sul sito e sull’edificio: Informazioni generale sul sito • caratteristiche degli insediamenti circostanti che possono interferire con l’edificio (installazioni industriali, depositi di sostanza combustibili, ecc.) • distanze dell’edificio dalla caserma VV.F., ospedali, ecc.; queste informazioni sono necessarie per conoscere i tempi d‘intervento dei soccorsi esterni. Informazioni sull’edificio • classificazione dell’edificio in base al rischio incendio (basso, medio, elevato) così come previsto dal D.M. 10/03/1998. • presidi di sicurezza esistenti: estintori, idranti, naspi, rilevatori di fumo e di calore, impianti di spegnimento automatico, cassette di pronto soccorso ecc…; • vie di fuga ed uscite di emergenza esistenti; • locali presenti ai vari piani, relativa destinazione d’uso e personale presente; • la presenza di appaltatori esterni, lavoratori delle pulizie e manutenzione; • individuazione di disabili, anziani e persone che possono incontrare difficoltà nell’esodo; • eventuale compartimentazione antincendio dell’edificio; la presenza di eventuali compartimenti è importante anche per individuare, in caso di incendio, le zone sicure e gli “spazi calmi” dove possono stazionare temporaneamente i disabili; • eventuali depositi di materiali combustibili; • nominativi degli addetti alla gestione delle emergenze, evacuazione, lotta antincendio e pronto soccorso; • livello di formazione e informazione fornito ai lavoratori; • struttura portante dell’edificio (C.A., acciaio, legno, ecc.); la conoscenza del tipo di struttura portante è importante in quanto da essa dipende il comportamento dell’edificio in caso di incendio e terremoto; È di grande aiuto in questa fase la consultazione delle check-list contenute nella lettera-circolare del 18/08/2006 del Ministero dell’Interno. 53 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Tale lista di controllo è stata elaborata per evidenziare le criticità relative alla sicurezza delle persone nei luoghi di lavoro con particolare riferimento a quelle disabili. A4.6.10 Il modello organizzativo del piano Il D.Lgs. 81/0 (Testo Unico), stabilisce, all’art.18 comma 1 lettera b), che il datore di lavoro deve “designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e,comunque, di gestione dell’emergenza”; Questa disposizione legislativa stabilisce che, nell’ambito della struttura gestionale di qualsiasi attività lavorativa, deve essere nominato un gruppo di persone, definendone il ruolo e specificandone le responsabilità, incaricate di attuare il piano e le procedure di emergenza. Nell’ambito dello staff di gestione generalmente è consigliabile nominare: 1. Il Responsabile dell’emergenza. È solitamente un responsabile di buon livello dell’azienda (ad es. Direttore di stabilimento, Responsabile del servizio di prevenzione e protezione ec..); deve essere di norma presente in azienda ed avere il massimo grado di responsabilità gestionale durante l’evoluzione dell’emergenza e dell’evacuazione. Il suo ruolo presuppone la capacità di attuare quanto segue: • decidere le modalità di intervento; • controllare l’evoluzione dell’emergenza; • decidere di ordinare l’evacuazione; • richiedere l’intervento di soccorsi esterni (VV.F., soccorso sanitario ecc…) fornendo loro le informazioni necessarie; • comunicare la fine dell’emergenza. 2. La squadra di pronto intervento: composizione e compiti E’ costituita da personale, appositamente addestrato, che oltre a possedere le necessarie doti fisiche e psichiche, conosce perfettamente l’edificio, i relativi impianti e l'ubicazione di tutti i dispositivi di sicurezza. I componenti della squadra saranno costantemente aggiornati sulla consistenza, ubicazione e modalità di utilizzo di ogni apparato di segnalazione, prevenzione e pronto intervento, nonché sui propri doveri e limiti comportamentali, affinché il proprio intervento sia il più fattivo possibile ma non li esponga a rischi che non vengono richiesti e per i quali essi potrebbero essere impreparati. Costituiscono la squadra: gli addetti alla lotta all'incendio, al pronto soccorso e alla evacuazione; quest’ultimi, in caso di ordine di abbandono di un'area o dell'intero edificio, dovranno fare in modo che lo sfollamento avvenga rapidamente, il più possibile in maniera ordinata, cercando di contenere i possibili quanto pericolosi casi di panico. Gli addetti al servizio di emergenza dovranno essere scelti, per quanto possibile, in base alle loro conoscenze di base, in funzione della loro attività svolta in azienda, dell’idoneità fisica e mentale. 54 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione A4.6.11 Scenari delle emergenze Per definire il piano di emergenza di una certa attività è necessario in via prioritaria conoscere e valutare quali sono gli scenari incidentali che possono proporsi. Infatti è solo partendo dalla conoscenza di “quale “ rischio si deve gestire che si può determinare “come” affrontarlo. Gli scenari incidentali che vengono impiegati come base di partenza vengono denominati “incidenti di riferimento”. Alcuni di essi hanno una probabilità di accadimento piuttosto elevata, mentre per altri si può ritenere che la probabilità sia estremamente modesta. Negli locali adibiti ad ufficio gli scenari incidentali più frequenti sono i seguenti: • Incendio e propagazione fumi; • Terremoto; • Emergenza di pronto soccorso sanitario; • Fuga di gas o sostanze pericolose (ad esempio metano o GPL); • Scoppio di impianti tecnologici; • Crollo di strutture interne; • Guasto elettrico; • Allagamento. Certamente l’emergenza incendio è, per la maggior parte delle attività, quella con probabilità più elevata di accadimento; tale emergenza è anche quella a cui corrisponde spesso la maggior rilevanza, o come suol dirsi, magnitudo del danno, per questo viene studiata con maggior dettaglio delle altre. Cosa fare in caso di emergenza Alla segnalazione di emergenza o al suono di allarme il responsabile dell’emergenza dovrà: 1. recarsi nel luogo dell’incidente per valutare il rischio; se ci sono persone in pericolo coordinerà le operazioni di salvataggio; 2. ordinare la chiamata dei mezzi di soccorso esterni (VV.F, soccorso sanitario ecc..); 3. valutare se il rischio per i personale presente richiede l’evacuazione dell’edificio, nel qual caso comunicherà al personale presente (tramite interfono, sirena ecc…) l’ordine di evacuazione; 4. accertarsi, con l’ausilio degli addetti alla gestione delle emergenze, che tutte le persone presenti siano state evacuate; in caso di dispersi ne coordina la ricerca e il soccorso; 5. valuta i rischi di impatto sull’ambiente esterno e decide se informare e coinvolgere altri enti esterni (Protezione Civile, Prefettura, Vigilanza urbana); 6. fornisce ai soccorritori esterni le informazioni necessarie; 7. comunica la fine dell’emergenza. 55 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Gli addetti alla gestione delle emergenze dovranno invece: 1. collaborare con il responsabile dell’emergenza per lo svolgimento dei compiti elencati ai punti precedenti; 2. attivano, se necessario, i presidi antincendio e mettono in sicurezza l’edificio; 3. verificano l’evacuazione dell’edificio agevolando il deflusso del personale; 4. comunicano con il responsabile dell’emergenza segnalando eventuali problemi; 5. prestano assistenza alle persone disabili e il primo soccorso ad eventuali feriti; 6. forniscono ai soccorritori esterni le informazioni necessarie; A4.6.12 Assistenza alle persone disabili in caso di emergenza Un piano di emergenza, per quanto possa essere ben studiato, spesso non è sufficiente a garantire la sicurezza di persone con ridotta capacità motoria. Il D.M. 10/03/1998 impone che “il datore di lavoro deve individuare le necessità particolari dei lavoratori disabili nelle fasi di pianificazione delle misure di sicurezza antincendio e delle procedure di evacuazione del luogo di lavoro. Occorre altresì considerare le altre persone disabili che possono avere accesso nel luogo di lavoro. Al riguardo occorre anche tenere presente le persone anziane, le donne in stato di gravidanza, le persone con arti fratturati ed i bambini. Qualora siano presenti lavoratori disabili, il piano di emergenza deve essere predisposto tenendo conto delle loro invalidità” Assistenza alle persone con mobilità ridotta Nel predisporre il piano di emergenza, il datore di lavoro deve prevedere una adeguata assistenza alle persone disabili che utilizzano sedie a rotelle ed a quelle con mobilità limitata. Gli ascensori non devono essere utilizzati per l'esodo, salvo che siano stati appositamente realizzati per tale scopo. Quando, non sono installate idonee misure per il superamento di barriere architettoniche eventualmente presenti oppure qualora il funzionamento di tali misure non sia assicurato anche in caso di incendio, occorre che alcuni lavoratori, fisicamente idonei, siano addestrati al trasporto delle persone disabili. Assistenza alle persone con visibilità o udito menomato o limitato Il datore di lavoro deve assicurare che i lavoratori con visibilità limitata, siano in grado di percorrere le vie di uscita. In caso di evacuazione del luogo di lavoro, occorre che i lavoratori, fisicamente idonei ed appositamente incaricati, guidino le persone con visibilità menomata o limitata. Durante tutto il periodo dell'emergenza occorre che un lavoratore, appositamente incaricato, assista le persone con visibilità menomata o limitata. Nel caso di persone con udito limitato o menomato esiste la possibilità che non sia percepito il segnale di allarme. In tali circostanze occorre che una persona appositamente incaricata, allerti l'individuo menomato. 56 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione Con la Circolare n°4 del 01/03/2002 sono state fornite inoltre dal Ministero dell’Interno le “Linee guida per la valutazione della sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro ove siano presenti persone disabili”. Per predisporre correttamente un servizio di assistenza bisogna prima di tutto individuare preventivamente le persone in condizioni di disabilità per poter attivare il servizio in caso di emergenza. I nominativi del personale interno portatore di preventivamente, vengono comunicati agli addetti alle emergenze. handicap, individuato Per il personale esterno presente, l’individuazione del disabile è più difficile; spetterà quindi agli addetti all’emergenza individuare eventuali disabili e prestare i relativi soccorsi. Le categorie di disabili che possono essere presenti in un locale adibito ad ufficio sono: • persone con gravi difficoltà di movimento, che vanno dalla lentezza nel muoversi fino all’uso di sedie a ruote; • persone che hanno limitazioni nella vista e possono richiedere un’assistenza speciale nell’individuare le vie di fuga o nel scendere velocemente le scale; • persone con difficoltà di udito, che possono richiedere particolari accorgimenti tecnici per la percezione di allarme e comunicazione; • persone con disabilità temporanea (arto fratturato ecc.); • persone in particolari condizioni patologiche, come le affezioni respiratorie o la gravidanza, che li portano ad affaticarsi facilmente e che richiedono una specifica e rapida assistenza in fase di evacuazione; • altre persone che possono ritenersi vulnerabili come anziani e bambini. Al verificarsi dell’emergenza, gli addetti dovranno prima di tutto notificare il pericolo al disabile. Il compito dell’addetto all’emergenza si ferma qui se il disabile è in grado di raggiungere da solo il luogo sicuro. Per questo è importante che lo stesso sia stato informato sull’ubicazione delle vie di fuga Nel caso di persone con mobilità ridotta, bisognerà valutare se è possibile, mediante assistenza, la loro evacuazione, tenendo conto di eventuali barriere architettoniche e del flusso spesso incontrollato del personale presente. Spesso, per tali motivi, l’abbandono immediato dell’edificio non è possibile; le persone in difficoltà devono quindi allontanarsi dalla zona critica dove c’e presnza di fumo o calore e portarsi, mediante spostamenti orizzontali, in “spazi calmi” in attesa del servizio di assistenza. Per spazio calmo si intende un luogo sicuro statico contiguo e comunicante con una via di esodo verticale od in essa inserito. Tale spazio non dovrà costituire intralcio alla fruibilità delle vie di esodo ed avere caratteristiche tali da garantire la permanenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie in attesa dei soccorsi. Il DM 30 novembre 1983, al p.to 3.4., definisce luogo sicuro “uno spazio scoperto ovvero compartimenti antincendio - separati da altri compartimenti mediante spazio scoperto o filtri a prova di fumo - avente caratteristiche idonee a ricevere e contenere un predeterminato numero di persone ( luogo sicuro statico ) ovvero a consentirne il movimento ordinato ( luogo sicuro dinamico )”. 57 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – Gli spazi calmi devono essere raggiungibili agevolmente anche da persone disabili con percorsi massimi non superiori ai 30 m, essere ubicati preferibilmente in prossimità delle scale, degli ascensori e di spazi comunicanti con l’esterno, quali balconi o locali prossimi a scale di sicurezza ove risulta possibile l’accostamento delle autoscale di soccorso. Nel dimensionamento di uno spazio calmo si dovrà tener conto del possibile affollamento, prevedendo aree sufficienti a contenere sia le persone in condizioni di disabilità che i possibili accompagnatori. Lo spazio calmo, preferibilmente accessibile mediante un filtro a prova di fumo, deve essere attrezzato adeguatamente in modo da garantire la permanenza, delle persone che attendono i soccorsi. Si dovranno quindi prevedere l’installazione di impianti di illuminazione autonomi. Uno “spazio calmo “ può essere anche un luogo sicuro statico inserito appositamente nel vano di una scala a prova di fumo o protetta. Utilizzo di ascensori Il D.M. 10/03/1998 prevede che: ”Persone disabili possono utilizzare un ascensore solo se è un ascensore predisposto per l'evacuazione o è un ascensore antincendio, ed inoltre tale impiego deve avvenire solo sotto il controllo di personale pienamente a conoscenza delle procedure di evacuazione. Le caratteristiche di tali ascensori sono individuate dal D.M. del 15/09/2005 “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per i vani degli impianti di sollevamento ubicati nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi ”. A4.6.13 Informazione e formazione antincendio E' obbligo del datore di lavoro fornire ai lavoratori una adeguata informazione e formazione sui principi di base della prevenzione incendi e sulle azioni da attuare in presenza di un incendio. (ALLEGATO VII D.M. 10/03/1998) Informazione antincendio Il datore di lavoro deve provvedere affinché ogni lavoratore riceva una adeguata informazione su: a) rischi di incendio legati all'attività svolta; b) rischi di incendio legati alle specifiche mansioni svolte; c) misure di prevenzione e di protezione incendi adottate nel luogo di lavoro con particolare riferimento a: - osservanza delle misure di prevenzione degli incendi e relativo corretto comportamento negli ambienti di lavoro; - divieto di utilizzo degli ascensori per l'evacuazione in caso di incendio; - importanza di tenere chiuse le porte resistenti al fuoco; - modalità di apertura delle porte delle uscite; d) ubicazione delle vie di uscita; 58 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione e) procedure da adottare in caso di incendio, ed in particolare: - azioni da attuare in caso di incendio; - azionamento dell'allarme; - procedure da attuare all'attivazione dell'allarme e di evacuazione fino al punto di raccolta in luogo sicuro; - modalità di chiamata dei vigili del fuoco. f) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze e pronto soccorso; g) il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'azienda. L'informazione deve essere basata sulla valutazione dei rischi, essere fornita al lavoratore all'atto dell'assunzione ed essere aggiornata nel caso in cui si verifichi un mutamento della situazione del luogo di lavoro che comporti una variazione della valutazione stessa. L'informazione deve essere fornita in maniera tale che il personale possa apprendere facilmente. Adeguate informazioni devono essere fornite agli addetti alla manutenzione e agli appaltatori per garantire che essi siano a conoscenza delle misure generali di sicurezza antincendio nel luogo di lavoro, delle azioni da adottare in caso di incendio e delle procedure di evacuazione. Nei piccoli luoghi di lavoro l'informazione può limitarsi ad avvertimenti antincendio riportati tramite apposita cartellonistica. I verbali delle riunioni tenute per l’informazione del personale devono essere riportati nel “registro dell’antincendio” previsto dall’art.5 - comma 1 e 2 – del D.P.R. n° 37 del 12/01/98. Formazione antincendio Tutti i lavoratori esposti a particolari rischi di incendio correlati al posto di lavoro, quali per esempio gli addetti all'utilizzo di sostanze infiammabili o di attrezzature a fiamma libera, devono ricevere una specifica formazione antincendio. Tutti i lavoratori che svolgono incarichi relativi alla prevenzione incendi, lotta antincendio o gestione delle emergenze, devono ricevere una specifica formazione antincendio i cui contenuti minimi sono riportati in allegato IX D.M. 10/03/1998. Esercitazioni antincendio Nei luoghi di lavoro ove, ai sensi dell'art. 5 del D.M. 10/03/1998, ricorre l'obbligo della redazione del piano di emergenza connesso con la valutazione dei rischi, i lavoratori devono partecipare ad esercitazioni antincendio, effettuate almeno una volta l'anno, per mettere in pratica le procedure di esodo e di primo intervento. Le esercitazioni sono utili anche per testare le procedure previste dal piano d’emergenza. Nei luoghi di lavoro di piccole dimensioni, tale esercitazione deve semplicemente coinvolgere il personale nell'attuare quanto segue: 59 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – – individuare il posizionamento delle scale di emergenza e delle vie di esodo – percorrere le vie di uscita; – identificare le porte resistenti al fuoco, ove esistenti; – identificare la posizione dei dispositivi di allarme; – identificare l'ubicazione delle attrezzature di spegnimento – individuare il luogo di incontro. L'allarme dato per esercitazione non deve essere segnalato ai vigili del fuoco. I lavoratori devono partecipare all'esercitazione e qualora ritenuto opportuno, anche il pubblico. Tali esercitazioni non devono essere svolte quando siano presenti notevoli affollamenti o persone anziane od inferme. Devono essere esclusi dalle esercitazioni i lavoratori la cui presenza è essenziale alla sicurezza del luogo di lavoro. Nei luoghi di lavoro di grandi dimensioni, in genere, non dovrà essere messa in atto un'evacuazione simultanea dell'intero luogo di lavoro. In tali situazioni l'evacuazione da ogni specifica area del luogo di lavoro deve procedere fino ad un punto che possa garantire a tutto il personale di individuare il percorso fino ad un luogo sicuro. Nei luoghi di lavoro di grandi dimensioni, occorre incaricare degli addetti, opportunamente informati, per controllare l'andamento dell'esercitazione e riferire al datore di lavoro su eventuali carenze. Una successiva esercitazione deve essere messa in atto non appena: – una esercitazione abbia rivelato serie carenze e dopo che sono stati presi i necessari provvedimenti; – si sia verificato un incremento del numero dei lavoratori; – siano stati effettuati lavori che abbiano comportato modifiche alle vie di esodo. Quando nello stesso edificio esistono più datori di lavoro l'amministratore condominiale promuove la collaborazione tra di essi per la realizzazione delle esercitazioni antincendio. I verbali delle riunioni in occasione delle esercitazioni antincendio devono essere riportati nel “registro dell’antincendio” previsto dall’art.5 - comma 1 e 2 – del D.P.R. n° 37 del 12/01/98. A4.6.14 Principali riferimenti normativi Negli ultimi anni sono state emanate disposizioni legislative che hanno mutato l’attività di prevenzione incendi, incidendo in particolar modo sulle procedure e sui criteri che si basavano su normative risalenti a diversi decenni fa. Il D.Lgs. 9 aprile 2008 , n. 81 “Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, fermo restando quanto contenuto nel D.M. 10 marzo 1998, che aveva la valutazione del rischio incendio non solo a quelle attività, definite nel D.P.R. 26 maggio 1959, n. 689 e nel D.M. del 16 febbraio 1982, ma a tutte le attività in cui sono presenti delle persone. 60 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione La riforma della pubblica amministrazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi apportata dalla Legge 15 marzo 1997, n. 59 ha reso necessaria una nuova definizione delle regole per l’ottenimento del certificato di prevenzione incendi contenute nel D.P.R. 12 gennaio 1998, n. 37. Oggi pertanto le disposizioni di prevenzioni incendi derivanti da una valutazione del rischio nei luoghi di lavoro si intrecciano e si integrano con le disposizioni finalizzate al rilascio del certificato di prevenzioni per le attività pericolose elencate nel D.M. 16 febbraio 1982. A4.6.15 Attività soggette alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi Il Decreto Ministeriale 16 febbraio 1982 stabilisce quali sono le attività i cui progetti sono soggetti all'esame e parere preventivo dei comandi provinciali dei vigili del fuoco ed il cui esercizio è soggetto a visita e controllo ai fini del rilascio del "Certificato di prevenzione incendi"; lo stesso decreto stabilisce la periodicità delle visite successive. I responsabili di tali attività hanno l'obbligo di richiedere il rinnovo del "Certificato di prevenzione incendi": - quando vi sono modifiche di lavorazione o di struttura; - nei casi di nuova destinazione dei locali o di variazioni qualitative e quantitative delle sostanze pericolose esistenti negli stabilimenti o depositi; - ogni qualvolta vengano a mutare le condizioni di sicurezza precedentemente accertate indipendentemente dalla data di scadenza dei certificati già rilasciati. Le attività sono 97 (v.di normativa allegata); si riportano, a solo titolo di esempio, alcune delle attività elencate dal D.M. 16/02/1982: - Centrali elettroniche per l'archiviazione e l'elaborazione di dati con oltre venticinque addetti” (attività n. 82); - Aziende ed uffici nei quali siano occupati oltre 500 addetti (attività n. 89); - Impianti per la produzione del calore alimentati a combustibile solido, liquido o gassoso con potenzialità superiore a 100.0000 Kcal/h (attività n. 91); - Autorimesse private con più di 9 autoveicoli, autorimesse pubbliche, ricovero natanti, ricovero aeromobili (attività n. 92); - Vani di ascensori e montacarichi in servizio privato, aventi corsa sopra il piano terreno maggiore di 20 metri, installati in edifici civili aventi altezza in gronda maggiore di 24 metri (attività n. 95). L’art. 46 del D.Lgs 81/2008 sancisce che ogni attività sia di disciplina che di controllo concernente aspetti di prevenzione incendi per tutte le tipologie di attività in cui sono presenti persone, deve essere riferita agli organi centrali e periferici del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile; ferma restando l’attività di controllo ai fini della prevenzione degli incendi, del Comando del Corpo dei Vigili del Fuoco competente per territorio le aziende e le lavorazioni che era sancita dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, all’art. 36 (abrogato): a) nelle quali si producono, si impiegano, si sviluppano o si detengono prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti; tali aziende sono elencate nella tabella A del D.P.R. 26 maggio 1959, n. 689 (v.di normativa allegata); 61 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – b) che, per dimensioni, ubicazione ed altre ragioni presentano in caso di incendio gravi pericoli per la incolumità dei lavoratori; tali aziende sono elencate nella tabella B del D.P.R. 26 maggio 1959, n. 689 (v.di normativa allegata); A4.6.16 Esame progetto Nel caso di nuovi impianti, costruzioni o modifiche di quelli esistenti, il titolare dell’attività soggetta al controllo dei Vigili del Fuoco deve presentare una domanda per un esame del progetto ai fini del rilascio di un parere di conformità da parte del Comando provinciale dei Vigili del Fuoco. La domanda deve contenere, secondo quanto previsto dal D.M. 4 maggio 1998: a) generalità e domicilio del richiedente o, nel caso di ente o società, del suo legale rappresentante; b) la specificazione dell’attività principale e delle eventuali attività secondarie, elencate nella tabella allegata al D.M. 16 febbraio 1982 e successive modifiche ed integrazioni, interessate dal progetto; c) ubicazione prevista per la realizzazione delle opere. Alla domanda devono essere allegati: a) documentazione tecnico progettuale a firma di tecnico abilitato; b) attestato del versamento effettuato a mezzo di conto corrente postale a favore della Tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 26 luglio 1965, n. 966. La relazione tecnica per le attività normate può limitarsi a dimostrare l’osservanza dei requisiti di prevenzione incendi, per le attività non normate deve evidenziare l’osservanza dei criteri generali di sicurezza antincendio, la valutazione dei rischi connessi e la descrizione delle misure di prevenzione e protezione antincendio da attuare per ridurre i rischi. Per attività normate si intendono tutte quelle attività per le quali è stata pubblicata una regola tecnica, ad esempio: autorimesse (D.M. 1 febbraio 1986), impianti di produzione calore a servizio delle serre (D.M. 9 febbraio 1989), edifici storici e artistici destinati a musei, gallerie, esposizioni e mostre (D.M. 20 maggio 1992), scuole (D.M. 26 agosto 1992), attività ricettive turistico-alberghiere (D.M. 9 aprile 1994), impianti termici alimentati da combustibili gassosi (D.M. 12 aprile 1996), locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo (19 agosto 1996), ospedali (D.M. 18 settembre 2002), uffici, etc. Nel secondo caso, cioè per quelle attività per le quali non esiste una regola tecnica, la relazione tecnica è costituita da: - Indicazioni che permettano di individuare i pericoli di incendio presenti nell’attività (destinazione d’uso, sostanze pericolose e relative modalità di stoccaggio, carico d’incendio nei diversi compartimenti, impianti di processo, lavorazioni, macchine, apparecchiature ed attrezzi, movimentazioni interne, impianti tecnologici di servizio, aree a rischio specifico); - Condizioni ambientali in cui sono inseriti i pericoli (accessibilità e viabilità, lay out aziendale, caratteristiche degli edifici – tipologia, geometria, superfici, altezze, volumi , piani interrati, compartimentazione – aerazione, affollamento – con riferimento particolare alle persone con ridotte capacità motorie e sensoriali – vie di esodo); - Valutazione qualitativa del livello di rischio, obiettivi di sicurezza assunti e azioni messe in atto per perseguirli (stabilità degli elementi portanti per una durata utili ad assicurare il soccorso degli occupanti, limitazione della propagazione del fuoco e dei fumi, la possibilità che gli occupanti lascino indenni o siano soccorsi, possibilità di far operare in sicurezza le squadre di soccorso), 62 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione - - Provvedimenti da adottare nei confronti dei pericoli e delle condizioni ambientali e descrizione delle misure preventive (riferimento D.M. 10 marzo 1998 Allegato II) e protettive (norme tecniche di prodotto) (misure tecniche – es. realizzazione a regola d’arte, misure organizzative gestionali, protezione passiva, protezione attiva); Elementi strategici della pianificazione delle emergenze (riferimento D.M. 10 marzo 1998 Allegato VIII). La relazione tecnica deve essere completata dai seguenti allegati: - - - Planimetria generale (scala da 1:2000 a 1:200) con evidenziate l’ubicazione delle attività, accessibilità e viabilità al contorno, accessi pedonali e carrabili, distanza di sicurezza, risorse idriche disponibili ed affidabili, impianti tecnologici esterni, organi di manovra degli impianti antincendio e blocchi di emergenza degli impianti tecnologici, informazioni utili per la gestione delle emergenze; Piante (scala da 1:50 a 1:200) relative a ciascun piano con l’indicazione della destinazione d’uso ai fini antincendio, macchinari ed impianti esistenti, uscite con il verso di apertura delle porte, corridoi, vani scala, ascensori, attrezzature mobili di estinzione ed impianti antincendio, se previsti, illuminazione di sicurezza; Sezioni, prospetti e tavole relative a impianti e macchinari di particolare importanza ai fini della sicurezza antincendio. I simboli grafici degli elaborati devono essere quelli previsti nel D.M. Interno del 30/11/83: “Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi”. Solo dopo aver avuto parere favorevole può essere iniziata la realizzazione dell’attività, che deve tener conto non solo di quanto contenuto nel progetto, ma anche di eventuali prescrizioni imposte dal Comando. A4.6.17 Deroga Quando l’attività presenta delle caratteristiche tali per cui non è possibile l’integrale rispetto della normativa vigente, il titolare dell’attività può richiedere la deroga alle prescrizioni della normativa vigente. La richiesta di deroga deve essere presentata all’Ispettorato regionale dei Vigili del Fuoco per il tramite del Comando provinciale. La domanda deve contenere: a) generalità e domicilio del richiedente o, nel caso di ente o società, del suo legale rappresentante; b) specificazione dell’attività principale e delle eventuali attività secondarie, elencate nell’allegato al D.M. 16 febbraio 1982 e successive modifiche ed integrazioni, oggetto della domanda di deroga; c) disposizioni normative alle quali si chiede di derogare; d) specificazione delle caratteristiche dell’attività o dei vincoli esistenti che comportano l’impossibilità di ottemperare alle disposizioni di cui alla lettera c). Alla domanda devono essere allegati: a) documentazione tecnica, in triplice copia, a firma di tecnico abilitato, contenente quanto previsto dall’allegato 1 al D.M 4 maggio 1998 ed integrata da una valutazione sul rischio aggiuntivo conseguente alla mancata osservanza delle disposizioni cui si intende derogare e dalle misure tecniche che si ritengono idonee a compensare il rischio aggiuntivo; b) attestato del versamento effettuato a mezzo di conto corrente postale a favore della Tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 26 luglio 1965, n. 966. 63 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – A4.6.18 Richiesta del certificato di prevenzione incendi Il titolare dell’attività, terminati i lavori previsti nel progetto ed eventualmente nelle prescrizioni del Comando dei Vigili del Fuoco deve presentare al Comando stesso una domanda di sopralluogo contenente: a) generalità e domicilio del richiedente o, nel caso di ente e società, del suo legale rappresentante; b) specificazione dell’attività principale e delle eventuali attività secondane, elencate nell’allegato al D.M. 16 febbraio 1982, e successive modifiche ed integrazioni, per le quali si chiede il rilascio del certificato di prevenzione incendi, nonché la loro ubicazione; c) estremi di approvazione del progetto da parte del Comando provinciale vigili del fuoco. Alla domanda devono essere allegati: a) copia del parere rilasciato dal Comando provinciale dei vigili del fuoco sul progetto; b) dichiarazioni e certificazioni, secondo quanto specificato nell’allegato 2 al presente decreto, atte a comprovare che le strutture, gli impianti, le attrezzature e le opere di finitura sono stati realizzati, installati o posti in opera in conformità alla vigente normativa in materia di sicurezza antincendio; c) attestato del versamento effettuato a mezzo di conto corrente postale a favore della Tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 26 luglio 1965, n. 966. Nel sopralluogo il Comando accerta il rispetto delle prescrizioni alle normative di prevenzione incendi, ma anche la realizzazione dei requisiti richiesti. Nel caso in cui durante la fase di sopralluogo non vengano riscontrare delle difformità, verrà rilasciato il certificato di prevenzione incendi che costituisce il nullaosta, ai fini antincendio, all’esercizio dell’attività. Alla richiesta di sopralluogo deve essere allegata la seguente documentazione tecnica relativa a: Elementi strutturali portanti o separanti classificati ai fini della resistenza al fuoco (escluse le porte e gli elementi di chiusura); Classificazione dei materiali ai fini della reazione al fuoco e delle porte ed altri elementi di chiusura ai fini della resistenza al fuoco; Impianti rilevanti ai fini della sicurezza antincendio ricadenti nel campo di applicazione della legge 46/1990; Impianti di protezione antincendio e di protezione contro le scariche atmosferiche non ricadenti nel campo di applicazione della legge 46/1990; Impianti di utilizzazione, trasporto e distribuzione di fluidi infiammabili, combustibili o comburenti non rientranti nel campo di applicazione della legge 46/1990; Attrezzature e componenti di impianti con specifica funzione ai fini della sicurezza. Nel caso in cui si fa richiesta di rinnovo di certificato di prevenzione incendi, la domanda deve contenere: a) generalità e domicilio del richiedente o, nel caso di ente o società, del suo legale rappresentante; b) specificazione dell’attività principale e delle eventuali attività secondane, elencate nell’allegato al D.M. 16 febbraio 1982 e successive modifiche ed integrazioni, per le quali si chiede il rinnovo del certificato. Alla domanda devono essere allegati: a) copia del certificato di prevenzioni incendi in scadenza; b) dichiarazione del responsabile dell’attività, redatta secondo il modello riportato in allegato 3 al presente decreto e resa, secondo le forme di legge, come atto notorio o dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà; c) perizia giurata attestante l’efficienza dei dispositivi, dei sistemi e degli impianti finalizzati alla protezione attiva antincendio, con esclusione delle attrezzature mobili di 64 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione estinzione, resa da professionista abilitato ed iscritto negli elenchi del Ministero dell’interno, ai sensi della legge 7 dicembre 1983, n. 818. Tale perizia è redatta secondo il modello riportato in allegato 5 del presente decreto; d) attestato del versamento effettuato a mezzo di conto corrente postale a favore della Tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 26 luglio 1965, n. 966. Nella seguente tabella è riportato lo schema riassuntivo dei principali adempimenti di prevenzione incendi ai sensi del D.P.R. n. 37del 1998 e del D.M. 4 maggio 1998. Le seguenti richieste relative alla prevenzione incendi ed lo stato dell’iter autorizzativi possono essere effettuate anche via internet, attraverso il sito dei Vigili del Fuoco. 65 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP Parere di conformità Rilascio C.P.I. Rinnovo C.P.I. Procedura di deroga Titolare Dell’attività Professionista abilitato Presenta al Comando domanda di parere di conformità sui progetti di nuove attività o di modifica di quelle esistenti (MOD. PIN 1); alla domanda sono allegati: - documentazione tecnico progettuale a firma di professionista abilitato; - attestato del versamento. Presenta al Comando domanda di sopralluogo ai fini del rilascio del C.P.I. (MOD. PIN 3); in attesa del sopralluogo può presentare una dichiarazione (atto notorio) attestante il rispetto della normativa antincendio e l’osservanza degli obblighi connessi con l’esercizio dell’attività (MOD. PIN 4) Alla domanda di sopralluogo, o alla dichiarazione di inizio attività, sono allegati: - copia del parere rilasciato dal Comando sul progetto; - dichiarazioni e certificazioni, in conformità allegato II al d.m. 4/5/1998; - attestato del versamento. Predispone la documentazione tecnico progettuale in conformità all'allegato I al d.m. 4/5/1998; detta documentazione comprende: - scheda informativa - relazione tecnica - elaborati grafici. Presenta al Comando, domanda di rinnovo (MOD. PIN 5); alla domanda sono allegati: - copia del CPI in scadenza; - dichiarazione attestante che non è mutata la situazione dal momento del rilascio del CPI (MOD. PIN 5/b); - perizia giurata sull'efficienza dei sistemi di protezione attiva (MOD. PIN. 5/a); - attestato del versamento. Presenta al Comando domanda motivata per la deroga al rispetto della vigente normative; alla domanda sono allegati: - documentazione tecnico progettuale a firma di professionista abilitato; - attestato versamento. - Redige la certificazione di resistenza al fuoco di elementi costruttivi portanti e/o separanti in caso di valutazione di tipo tabellare (MOD. CERT. REI); - redige la dichiarazione di corrispondenza dell’elemento in opera con quello certificato, nel caso in cui il grado di resistenza al fuoco è fornito da tabella (MOD. DICH. CORRISP.); - redige la relazione valutativa della resistenza al fuoco qualora questa sia determinata per via tabellare (MOD. REL. REI). – Modulo A – Professionista iscritto negli elenchi di cui alla L. 818/84(1) Impresa installatrice Comando provinciale VV.F. Esamina i progetti e si pronuncia entro 45 giorni o, in casi complessi, entro 90 giorni, previa comunicazione all'interessato. Ove non si esprima entro i termini prescritti il progetto è respinto. -Redige la certificazione di resistenza al fuoco di elementi costruttivi portanti e/o separanti in caso di valutazione non di tipo tabellare (MOD. CERT. REI); -redige la dichiarazione di corrispondenza dell’elemento in opera con quello certificato nel caso in cui il grado di resistenza al fuoco non sia fornito da tabella (MOD. DICH. CORRISP.); -redige la relazione valutativa della resistenza al fuoco qualora questa non sia determinata per via tabellare (MOD. REL. REI); -redige la certificazione per gli impianti di protezione antincendio e di protezione contro le scariche atmosferiche non ricadenti nella l. 46/90, in mancanza di progetto (MOD. CERT. IMP.). Redige la perizia giurata (MOD. PIN 5/a) attestante l'efficienza dei dispositivi, sistemi ed impianti di protezione attiva antincendi, con esclusione delle attrezzature mobili di estinzione (estintori). - Redige la dichiarazione di corretta posa in opera dei rivestimenti protettivi per elementi costruttivi portanti e/o separanti (MOD. DICH. RIV. PROT.); - redige la dichiarazione di corretta posa in opera dei materiali classifica ai fini della reazione e/o resistenza al fuoco (MOD. DICH. POSA IN OPERA); - redige la dichiarazione di conformità prevista dall’art. 9 della legge n. 46/90 per gli impianti rilevanti ai fini della sicurezza antincendio ricadenti nel campo di applicazione della legge stessa (MOD. d.m. 20/02/1992); - redige la dichiarazione di corretta installazione e funzionamento degli impianti di protezione antincendio e di protezione contro le scariche atmosferiche non ricadenti nella legge n. 46/90 (MOD. DICH. IMP.). Entro 90 giorni dalla presentazione della domanda effettua il sopralluogo; detto termine può essere prorogato di 45 giorni, previa comunicazione all'interessato. Entro 15 giorni dal sopralluogo rilascia il C.P.I. In caso di presentazione della dichiarazione di inizio attività rilascia, a vista, l’autorizzazione provvisoria all’esercizio dell’attività ai soli fini antincendio. Entro 15 giorni dalla data di presentazione della domanda provvede, sulla base della documentazione prodotta e senza quindi l'obbligo di effettuare il sopralluogo, al rinnovo del C.P.I. in scadenza. Esamina la domanda e la trasmette con proprio parere all’Ispettorato regionale entro 30 giorni; l’Ispettore regionale, sentito il C.T.R., si pronuncia entro 60 giorni dalla ricezione dandone contestuale al Comando ed al richiedente. Predispone la documentazione tecnica da allegare alla domanda in condormità all’allegato I al d.m. 4/5/1998, integrata da una valutazione sul rischio aggiuntivo e dalle misure tecniche previste per compensare detto rischio. (1) In questa colonna sono evidenziati unicamente gli ulteriori atti professionali che possono essere redatti in virtù dell’iscrizione negli elenchi previsti dalla legge n. 818/1984. A4.6.19 Il D.M. 10/03/1998 Per tutte quelle attività non soggette al rilascio del certificato di prevenzione incendi, vale a dire non rientranti nell’elenco del D.M. 16 febbraio 1982, la tutela della sicurezza e 66 A4 La classificazione dei rischi in relazione alla normativa di rischio incendio ed esplosione della salute dei lavoratori, sancita dal D.Lgs 81/2008, deve essere perseguita attraverso l’individuazione dei pericoli di incendio, la valutazione dei rischi per la tutela dei lavoratori e l’individuazione delle misure preventive e protettive antincendio. Il legislatore ha fornito una valida guida al Datore di Lavoro al fine di poter seguire un percorso logico alla sua valutazione antincendio: D.M. 10 marzo 1998. Tale decreto impone al Datore di: • valutare i rischi di incendio e classificare il livello di rischio del luogo di lavoro; L’allegato I del decreto riporta le linee guida che possono essere seguite per effettuare tale valutazione e classificazione. Per la valutazione dei rischi il decreto impone di individuare ogni pericolo di incendio, individuare i lavoratori e le altre persone presenti nel luogo di lavoro esposte a rischi di incendio, eliminare o ridurre i pericoli di incendio, valutare il rischio residuo e verificare l’adeguatezza delle misure esistenti oppure di individuarne di ulteriori. • ridurre la probabilità di insorgenza di un incendio; nell’allegato II del decreto sono stabilite una serie di misure (tecniche e di tipo organizzativo-gestionale) per ridurre la probabilità che si verifichi un incendio. Sono riportate inoltre le cause di incendio più comuni; • realizzare vie e uscite di emergenza; nell’allegato III del decreto sono stabiliti i criteri di sicurezza per le vie di uscita, il numero e la larghezza delle uscite di piano e delle scale di emergenza; • adottare misure per una rapida segnalazione dell’incendio; nell’allegato IV del decreto sono stabiliti, in funzione della dimensione e della complessità del luogo di lavoro, i requisiti dei sistemi per la rilevazione e l’allarme incendio. • adottare delle misure per l’estinzione di un incendio in conformità ai criteri contenuti nell’allegato V del decreto; • fornire ai lavoratori una adeguata informazione e formazione incendio secondo i criteri contenuti nell’allegato VII; • riportare, all’interno del piano di emergenza, tutte le misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio; l’allegato VIII del Decreto stabilisce i contenuti del piano di emergenza e come assistere le persone disabili in caso di incendio; • designare gli addetti al servizio antincendio (art.6 del Decreto) che devono essere opportunamente formati secondo quanto previsto nell’allegato IX; i contenuti minimi dei corsi di formazione variano in base al rischio incendio dell’edificio (alto, medio e basso). Per gli edifici a rischi incendio alto, gli addetti dovranno conseguire l’attestato di idoneità dopo l’esame presso i VV.F. (articolo 3 della L. 28/11/1996 n. 609). • garantire l’efficienza dei sistemi di protezione antincendio secondo i criteri stabiliti nell’allegato VI del decreto. sui rischi di A tal proposito si fa presente che il D.P.R. n° 37 del 12/01/98, al comma 1 dell’art.5, impone ai Datori di Lavoro di “mantenere in stato di efficienza i dispositivi, le attrezzature e le altre misure di sicurezza antincendio adottate e di effettuare verifiche di controllo ed interventi di manutenzione”; il comma 2 dello stesso articolo stabilisce che tali controlli, 67 Percorso formativo destinato a RSPP/ASPP – Modulo A – verifiche ed interventi devono essere annotati in un apposito registro, mantenuto aggiornato e reso disponibile ai controlli di competenza del Comando dei VV.F. L’istituzione del registro è obbligatoria per tutti i locali, depositi e impianti elencati nel D.M. Int. del 16/02/1982 (attività soggette al rilascio del C.P.I.) Per poter dimostrare, ai sensi del D.Lgs. 81/2008 e del D.M. 10/03/1998, di aver effettuato i controlli di manutenzione degli impianti, di aver informato i dipendenti e formato gli addetti alla gestione delle emergenze, è comunque opportuno istituire il registro anche per gli ambienti non soggetti al controllo dei VV.F.. 68