MARTINA COLOMBO
BEHAVIORISM: L’ARTE DEL PLASMARE
“Datemi una dozzina di bambini normali, ben fatti e un’ambiente opportuno per
allevarli, e vi garantisco di prenderne qualcuno a caso e di farlo diventare qualsiasi tipo
di specialista che io volessi selezionare - dottore, avvocato, commerciante, e perfino
accattone e ladro - indipendentemente dalle sue attitudini, simpatie, tendenze,
capacità e vocazioni”.
Potrebbero sembrare le parole di un tiranno o di un fanatico: sono invece dello
psicologo statunitense John Watson.
Watson sostiene che chiunque può imparare qualsiasi cosa - anche abilità che possono
apparire discutibili e indesiderabili - purché sia adeguatamente addestrato. Egli è
considerato l’iniziatore del comportamentismo (o behaviourism, generalmente scritto
behaviorism, dall’inglese behaviour, “comportamento”). Nel suo saggio La psicologia
come la vede il comportamentista (1913) lo studioso enuncia i capisaldi di questo
orientamento:
1) La psicologia è una scienza sperimentale il cui scopo consiste nella predizione
e nel controllo dell’agire;
2) questa disciplina deve avere un oggetto definito e concreto che è il
comportamento, esteriormente rilevabile e perciò unico elemento suscettibile
di analisi scientifica.
La mente quindi è considerata una sorta di black box, una scatola nera il cui
funzionamento interno è inconoscibile e per certi aspetti irrilevante: quello che
importa veramente per i comportamentisti è giungere ad una approfondita
comprensione empirica e sperimentale delle relazioni tra certi tipi di stimoli e certi tipi
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di risposte comportamentali.
CONDIZIONAMENTO
All’interno di questo ampio approccio, viene posta enfasi su particolari aspetti, uno dei
principali è il meccanismo del condizionamento, in base al quale l'associazione
ripetuta di uno stimolo, detto stimolo neutro, con una risposta che non è ad esso
direttamente correlata, farà sì che, dopo un periodo di tempo, a tale stimolo segua la
risposta condizionata.
Nel celebre esperimento di Ivan Pavlov, il primo autore che ha identificato il
meccanismo, si faceva precedere alla somministrazione del cibo a dei cani un suono;
con il tempo il cane apprende che, dopo il suono, gli verrà fornito il cibo; a seguito del
condizionamento, il suono di per sé generava la salivazione del cane. Lo stimolo
neutro, non in grado di determinare la risposta condizionata - la salivazione -, dopo
tale ripetuta associazione, determina la risposta condizionata.
I comportamentisti "moderati" sostengono che l'osservazione del comportamento è il
modo migliore, o il più conveniente, per investigare i processi psicologici e mentali;
altri, più radicali, ritengono che sia in realtà l'unico modo per indagare tali processi,
mentre alcuni sostengono addirittura che il comportamento sia l'unico soggetto
appropriato della psicologia. I sostenitori di questo punto di vista, tra cui Watson
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stesso, talvolta fanno riferimento al loro campo di studio chiamandolo analisi
comportamentale, psiconomia o scienza comportamentale, piuttosto che psicologia:
infatti il programma di ricerca watsoniano ricevette forte impulso dallo scrupoloso
lavoro di ricerca sperimentale dello psicologo statunitense Burrhus Frederic
Skinner, il quale affermò che i comportamenti che sono stati rafforzati sono quelli che
noi ricordiamo, e di tale tesi fu probabilmente il più autorevole esponente.
L'interrogativo che mi pongo con questo lavoro riguarda la società attuale, ma più in
generale l'essenza stessa dell'uomo, coinvolgendo la delicata questione del libero
arbitrio: il comportamento dell’uomo è influenzato dall’ambiente che lo circonda,
dalle relazioni con gli altri, dall’educazione ricevuta, dal proprio inconscio, o invece
l’uomo è davvero libero di compiere le proprie scelte?
CONDIZIONAMENTO ESTERNO
Secondo la tesi behaviorista il comportamento non è altro che la risposta agli stimoli:
perciò tutto può essere indotto dall’esterno. Evidentemente questa idea ispirò alcuni
atroci esperimenti compiuti nei campi di sterminio dai nazisti, i cui leader
pianificarono accuratamente l’eliminazione di tutti gli Ebrei europei e portarono a
termine due terzi del loro obiettivo, con l’aiuto di migliaia di persone di Paesi diversi.
Ora, la mia domanda non è tanto se questi "esperimenti" siano più o meno riusciti, non
riguarda insomma le vittime di questi crimini, ma i loro autori: mi chiedo quale
"condizionamento" possa aver fatto sì che alcuni esseri umani diventassero così
malvagi e si degradassero fino al punto di massacrare dei loro simili senza provare
rimorso o rendersi conto dei loro atti. Sarà frutto di "stimoli esterni" o non sarà
piuttosto un elemento intrinseco della natura umana, "naturalmente malvagia" come
sostiene Sant'Agostino (il quale, nel De Gratia et libero arbitrio, arriverà a negare del
tutto l'esistenza del libero arbitrio)?
A detta di Schopenhauer il nostro corpo è oggettivazione della volontà di vivere, la
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volontà noumenica che sta alla base di tutta la realtà fenomenica, che non è la volontà
individuale, ma è un’unica volontà di tutta l’umanità. Tale Wille ha di mira soltanto la
propria autoconservazione e non tiene alcun conto della sofferenza individuale: anche
in questa prospettiva l'uomo è espressione incosciente di una Volontà, se non
malvagia, quanto meno indifferente al bene. E tuttavia questa tesi non basta a spiegare
la ferocia insensata di certi comportamenti: tutta la Natura è espressione del Wille, ma
soltanto l'uomo è capace di comportamenti così deliranti. Perché?
Secondo alcuni studi condotti, un fattore scatenante di questi comportamenti aberranti
è il “pensiero di gruppo”, una combinazione di orgoglio comune, di conformismo e di
culto del leader, che può spingere a decisioni tanto immorali quanto tragiche: i discorsi
fortemente emotivi di Hitler, il contesto caratterizzato da enormi armate, da uniformi,
musica marziale e simboli, contribuirono ad scatenare questi meccanismi psicologici in
persone normali. Inoltre la condivisione collettiva di una presunta "missione", dove la
responsabilità del singolo scompare, genera fanatismo ed apre la strada a
comportamenti individualmente impensabili.
Un altro fattore fondamentale sarebbe legato ai processi della cosiddetta
assimilazione e del contrasto, per cui le differenze all’interno dei gruppi vengono
minimizzate e viceversa vengono estremizzate quelle con altri gruppi: tutto ciò rende
più semplice vedere “gli altri” come cattivi e peggiori di “tutti noi”, generando l’idea
che gli altri meritino le sofferenze che vengono loro inflitte.
Molti teorici della personalità accampano come giustificazione la presenza nella psiche
umana di meccanismi di autodifesa come la "scissione", cioè la capacità di creare
barriere cognitive ed emozionali in grado di dividere ciascuna parte di noi dall’altra:
questo meccanismo è usato rispetto all’olocausto per spiegare come le persone la cui
mansione era l’omicidio di massa, potessero tornare a casa dopo il “lavoro” e godersi
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una normale serata in famiglia.
Certamente però una forte responsabilità spetta al condizionamento esercitato da
ideologie che presero il sopravvento in determinati momenti storici: alludo in
particolare alla concezione della selezione naturale che sta alla base del darwinismo
sociale e che "giustifica" la superiorità della razza bianca, vista come dominante,
rispetto alle altre razze umane. Il suo principale teorico, il filosofo britannico Herbert
Spencer, scrive: «L'intero sforzo della natura è di sbarazzarsi dei falliti della vita,
ripulendo il mondo della loro presenza e facendo spazio ai migliori». Secondo il suo
pensiero infatti la sintesi filosofica avviene tramite la legge generalissima
dell’evoluzione, rendendo "ovvi" e perfettamente legittimi i tentativi di eliminazione
dei "pesi morti" della società. Tutto questo avverrebbe "secondo natura", come già
sosteneva Crizia nel V secolo a.C. (adombrato probabilmente nel Callicle del Gorgia
platonico, il quale espone tesi sorprendentemente simili a quelle spenceriane).
Un manifesto nazista del 1938 che invita a sbarazzarsi dei "pesi morti" della società.
Il testo dice: "60.000 marchi è ciò che questa persona, che soffre di una malattia ereditaria, costa alla
comunità del popolo durante la sua vita. Compagno, è anche il tuo denaro."
Di tutt'altro avviso quei pensatori che, come Jean-Jacques Rousseau, credono che
l’uomo sia divenuto malvagio proprio a causa dei condizionamenti della società e del
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progresso, ma in origine, e quindi "per natura", fosse un “animale” buono e pacifico: di
qui il “mito del buon selvaggio”, che trova anche un presupposto filosofico nel pensiero
di Epicuro, convinto sostenitore del libero arbitrio e persuaso che l'uomo sia corrotto
dal nòmos; di tale mito si trova traccia anche in un'opera di un esponente della
Seconda Sofistica, Dione di Prusa (detto Crisòstomo), l’Euboico, in cui l'autore narra di
un suo sorprendente e piacevole incontro con un individuo rimasto incontaminato
dalla cosiddetta "civiltà".
In tempi più recenti anche un artista figurativo come Paul Gauguin ha rappresentato
questo mito, ambientandolo nel mondo "primitivo" della splendida Tahiti.
Paul Gauguin, Nativi di Tahiti, 1898
Tuttavia nella seconda metà dell'Ottocento predomina nettamente la fiducia nel
progresso tipica del Positivismo, caratterizzato da un'illimitato ottimismo nei
confronti delle possibilità della scienza. Anche in campo letterario
il positivismo esercita una decisiva influenza, determinando l’affermazione di un
movimento chiamato Naturalismo in Francia e Verismo in Italia, caratterizzato da un
vivo interesse degli scrittori per la realtà, specialmente quella sociale.
Tuttavia nel Verismo, il cui principale esponente è Giovanni Verga, non si vede più
traccia dell'ottimismo positivistico: soprattutto nel romanzo I Malavoglia emerge
chiaramente la concezione di base dei veristi, secondo i quali la società è dominata da
uno spietato antagonismo tra individui, gruppi e classi: le leggi che la regolano sono
appunto quelle spietate della natura, la sopraffazione del più forte sul più debole e
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l’interesse individuale; la città è vista non come sede del progresso, ma come luogo di
perdizione che allontana dalle virtù del nucleo familiare. Nel Verismo prevale il
pessimismo di chi ritiene che la realtà sia immodificabile, che la letteratura non possa
in alcun modo modificare la realtà e che l’autore debba limitarsi alla riproduzione
oggettiva dei fatti; funzionale a tale scopo è la tecnica della regressione: i fatti
vengono narrati e giudicati secondo il punto di vista ed i valori espressi dai personaggi,
non secondo la visione dell’autore.
CONDIZIONAMENTO INTERNO
Diventi ciò che voglio tu sia….o sei chi sei?
È indubbio che esistano fattori che possono influenzare il comportamento di un
individuo, come l’educazione familiare e l’istruzione ricevuta, ma questo non significa
affatto che l'uomo non possegga una sua immodificabile identità personale. Mi sembra
quindi importante rivolgere lo sguardo verso teorici che, pur sottolineando
l'importanza del condizionamento, non negano la libertà individuale.
Secondo Quintiliano, il più grande pedagogista dell’antichità, è particolarmente
importante l'esempio, sia dei genitori che degli insegnanti (un esempio negativo era
stato per lui il suo maestro Remmio Palemone, di cui ci parla sua opera maggiore,
l’Istitutio Oratoria). Non esiste tuttavia un unico stile educativo, ma a suo parere un
buon insegnante dovrebbe adattare il proprio metodo d’insegnamento ad ogni singolo
alunno, valorizzando e rispettando le differenze individuali: siamo dunque agli
antipodi del metodo behaviorista, che impone un condizionamento sempre identico a
tutti i soggetti.
In epoca ellenistica la biografia si prefigge come scopo un’indagine di tipo etico, allo
scopo di delineare i caratteri di un singolo personaggio e di definire i tratti comuni
dell’animo umano. Tra i più importanti biografi ricordiamo Plutarco e Svetonio:
soprattutto il primo, che era anche filosofo, chiarisce che questa ricerca ha uno scopo
educativo, serve a plasmare il carattere, ancora una volta ricorrendo all'esempio. Egli
tuttavia non nega mai l'esistenza di una personalità individuale, sulla quale è possibile
intervenire solo in modo limitato, e solo per fini educativi.
Come abbiamo detto, un altro fattore di condizionamento determinante è l’educazione
familiare, che secondo Freud influisce profondamente sull’inconscio dell’individuo:
quando il bambino, all'incirca all’età di 5 anni, interiorizza le figure genitoriali, facendo
sue le regole di comportamento inculcategli durante l’infanzia, inizia ad avere una vera
e propria coscienza, che Freud identifica con il super-io.
Nonostante questi ed altri fattori possano influenzare in modo decisivo il
comportamento dell’uomo, la storia è ricca di esempi di persone che, a dispetto
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dell’ambiente ostile che le circondava e le "condizionava", hanno reagito agli stimoli
esterni in modo assolutamente antitetico a quello pavloviano, dando anzi grande prova
delle proprie capacità. Esemplare a mio parere il caso dell'imperatore Claudio, che,
nonostante avesse alcuni gravissimi difetti fisici (perfino sua madre lo considerava un
aborto e diceva di lui “non l’ho finito”), resse l'impero per quattordici anni, dando
prova di insospettabili qualità di governo e divenne uno dei più grandi imperatori che
Roma abbia avuto, estendendo i confini dell’impero, spingendosi fino in Britannia e in
politica interna creò un vero e proprio apparato burocratico introducendo la celebre (e
famigerata) riforma dei liberti.
Inoltre alla luce del comportamentismo sono inspiegabili anche casi come quelli dei
“bambini prodigio”, piccoli mostri di bravura che ad esempio all’età di quattro anni
riescono a suonare il pianoforte in modo straordinario (chi li ha condizionati? Dove e
da chi lo hanno imparato?), oppure, ancor più, i cosiddetti idiots savants, che non sono
in grado di esercitare alcune facoltà nobili connesse con l'esercizio della razionalità, a
cominciare dal senso etico, eppure posseggono doni prodigiosi, come una memoria
pazzesca e una capacità di calcolo sovrumana, facoltà legate alla razionalità quant'altre
mai.
Un "idiot savant" dotato di eccezionale talento per il violino
La sindrome riguarda individui con ritardi mentali gravi, dovuti a malattie quali
la schizofrenia o l'autismo, che presentano paradossalmente incredibili talenti in
alcuni ambiti. Tutto questo è spaventosamente contraddittorio, ed infatti la stessa
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definizione di idiot savant è in sé ossimorica.
Secondo lo psicologo James Hillman, forse il più strenuo oppositore del
comportamentismo, il nostro carattere e la nostra vocazione di vita sono qualità
innate e la missione della nostra vita è realizzare quelle spinte. È quella che ne Il
Codice dell'Anima egli chiama "teoria della ghianda": le nostre vite si conformano
necessariamente ad un'immagine originaria che contiene già il nostro destino, come il
destino della quercia è già contenuto nella ghianda. Non sarà forse libero arbitrio,
perché in sostanza noi obbediamo alla spinta di una sorta di dàimon che preesiste a noi
e ci ha in qualche modo "scelti", ma per lo meno si tratta di qualcosa che è dentro di noi
ed appartiene solo a noi, rendendoci liberi di essere ciò che in fondo siamo davvero.
Così mi piace credere, così spero che sia.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Appunti presi in classe
N.Abbagnano-G.Fornero, La ricerca del pensiero, vol. 3, Paravia, Torino 2012.
James Hillman, Il codice dell'anima, Adelphi, Milano 1997.
Alberto Magnani, Darwinismo Sociale: La Lettura Reazionaria Dell’Evoluzione
http://www.filosofico.net/darwinismosociale.htm consultato il 10.06.2016.
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