FILE - Ambulatorio Fisioterapia Caruso

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Sindrome algodistrofica di Sudeck
Questa sindrome, descritta per la prima volta più di 125 anni fa, è definita anche
“sindrome complessa del dolore regionale”, “distrofia da riflesso simpatico" o più
comunemente “sindrome algodistrofica di Sudeck”.
Il morbo di Sudeck è una patologia multisistemica e multisintomatica che può
interessare una estremità traumatizzata ma può localizzarsi anche in altre parti del
corpo senza che esse abbiano riportato un trauma importante. In bibliografia sono
riportati infatti casi di algodistrofia avvenuti spontaneamente e il paziente non ha
potuto o saputo ricollegare un pregresso trauma diretto nella parte del corpo
interessata. Numerose sono state le teorie sull'insorgenza di questa patologia; la
più accreditata afferma che la causa responsabile sia da ricercare in una
disfunzione del sistema nervoso simpatico. Quest'ultimo, infatti, durante un trauma
verrebbe ipersollecitato tanto da alterare i normali processi fisiologici della risposta
al trauma stesso. Il sistema simpatico diverrebbe in pratica più sensibile agli stimoli
da parte delle catecolamine.
Molto ancora però deve essere spiegato per poter conoscere con esattezza la
causa esatta dell'insorgenza del morbo di Sudeck poiché poco sappiamo ancora
su quali siano le vere cause che portano dell’algodistrofia, così come non ancora
del tutto chiara è la condizione che permette il suo processo evolutivo.
La sindrome di Sudeck è relativamente frequente anche se inusuale negli
adolescenti e nei bambini. Colpisce infatti quasi esclusivamente l'adulto, in una
fascia di età compresa tra i 30 e i 60 anni, con prevalenza nel sesso femminile con
un rapporto di 4:1 rispetto agli uomini e, in ordine di frequenza decrescente, le
regioni seguenti: collo del piede e piede, polso e mano, ginocchio, gomito, spalla e
anca.
Come precedentemente detto, numerose e non ancora del tutto chiare sono le
teorie etiopatogenetiche. Molti tra i fattori eziologici sono probabilmente
predisponenti: diabete, ipertrigliceridemia, ansietà, disturbi neurovegetativi, età,
sesso, pregresse alterazioni vasomotorie (acrocianosi, fenomeno di Raynaud).
Il fattore eziologico scatenante è rappresentato molto spesso da traumi (distorsioni,
lussazioni, fratture), ai quali sono seguiti manovre riduttive ripetute o violente,
immobilizzazione gessata in posizioni antifisiologiche, prolungata immobilità e
assenza del carico, insufficiente o mancata riduzione nel caso di frattura.
Il trauma, che molto spesso è considerato causa scatenante della sindrome, è
spesso riferito ad un nervo, ad un tessuto molle o ad un plesso neurale, ma la
severità dell'evoluzione non è proporzionale alla intensità o alla sua gravità iniziale.
Importanti, tra le cause scatenanti, sono anche infezioni, fratture infette,
osteomieliti, osteoartriti, ustioni e congelamenti, lesioni secondarie ad agenti chimici
o fisici (raggi X, elettricità), vasculopatie organiche o funzionali, affezioni del
sistema nervoso.
Tra le numerose teorie che cercano di spiegare l’evoluzione dei processi che ne
comportano l’insorgenza, la più accreditata riconosce un'accentuazione patologica
dei fenomeni che normalmente avvengono nei tessuti sottoposti ad un trauma. La
patologia ha un'insorgenza subdola con decorso cronicamente ingravescente.
Quando un distretto corporeo è interessato da una lesione si determinano
modificazioni vasomotorie caratterizzate da vasodilatazione con aumento del
metabolismo tessutale e del consumo di ossigeno.
Nel Sudeck questi processi biologici, superando la soglia fisiologica, danno origine
ad un circolo vizioso patologico la cui genesi sarebbe riconducibile ad uno stimolo
riflesso che per via assonica o attraverso il midollo spinale o la corteccia cerebrale
agirebbe sulla motilità vascolare; inoltre anche le variazioni chimiche locali causate
ad esempio dal trauma sarebbero imputate nel meccanismo patogenetico della
malattia.
Tutti questi stimoli determinerebbero in definitiva a livello circolatorio: iperemia,
legata ad ipertono delle arteriole, restringimento degli sfinteri precapillari, atonia
capillare e venulare. Il flusso sanguigno verrebbe così dirottato attraverso le
comunicazioni artero-venose e questa deviazione sarebbe responsabile del
ristagno del circolo nei capillari dilatati e nelle venule.
L'aumento del flusso sanguigno aumenterebbe a sua volta il metabolismo cellulare
rendendo i tessuti più sensibili agli effetti dell'ipossia con accumulo di cataboliti e
anidride carbonica. L'ipossia stimolerebbe l'atonia e la permeabilità delle pareti
capillari, mentre l'accumulo di cataboliti e la conseguente acidosi eleverebbero la
pressione osmotica ed oncotica del liquido interstiziale.
Tutto ciò sarebbe responsabile del passaggio di liquidi dai vasi agli interstizi, con
edema ed aggravamento del ristagno circolatorio. Il circolo vizioso che si verrebbe
quindi ad instaurare si può così schematizzare:
Evento scatenante
disturbo del SNS
alterazione della perfusione
comparsa di dolore
edema
dolore
alterazione del trofismo
In condizioni normali il sistema nervoso simpatico riduce la sua attività dopo alcuni
minuti o dopo alcune ore in seguito del trauma. Ma nei casi post-traumatici di
algodistrofia il sistema simpatico rimane attivo. Teoricamente l'attività del sistema
simpatico nella parte traumatizzata causa infiammazione dei vasi sanguigni e
spasmi muscolari portando una maggiore sudorazione e aumento del dolore; tutto
ciò potrà stimolare un'altra risposta determinando il circolo vizioso sopra
rappresentato.
Nel Sudeck possono essere presenti: dolore regionale di tipo meccanico o
infiammatorio in genere alle estremità, cambiamento della sensibilità (disestesie),
disfunzionalità del distretto anatomico, variazioni locali della temperatura, anormale
sudorazione, presenza di edema, anomalia del controllo motorio.
Molto frequente ed evidente alle rx. di controllo o alla RMN osteoporosi locale con
rarefazione
dell'osso
trabecolato
e
alterazione
del
bilancio
Ca/P.
Nell’evoluzione del Sudeck si distinguono tre stadi ciascuno caratterizzato da
specifici sintomi:
a) acuto
b) cronico
c) atrofico.
Nel primo stadio la regione interessata è edematosa, il paziente riferisce dolore
molto intenso limitato alla zona colpita, la cute è calda e arrossata, l'impotenza
funzionale è assoluta. Il soggetto riferisce peggioramento della sintomatologia
algica ogni qualvolta tenta di caricare sull'arto tanto da limitarne la deambulazione.
Può essere presente iperidrosi, specialmente se il trauma è localizzato nell'arto
superiore.
Gli esami radiologici dimostrano ipertrasparenza dello scheletro a piccole chiazze
che gli conferisce aspetto "a pelle di leopardo". Si evidenzia un quadro di
osteoporosi che prevale nella spongiosa epifisaria subcondrale e nelle zone
metafisarie. La corticale ossea è assottigliata, la consistenza dell'osso appare
diminuita in modo marcato. Istologicamente si osserva un intenso riassorbimento
osteoclastico delle trabecole e degli osteoni, associato a produzione di orletti
osteoidi,
del
tutto
insufficiente,
però,
a
compensare
l'osteolisi.
Osteoporosi localizzata
Edema ed iperemia distrettuale
Il secondo stadio è caratterizzato da edema e dolore più diffusi, la cute non è più
calda né cianotica, ma diviene pallida, sottile, secca; si manifestano ipotrofie e
retrazioni muscolari. Spesso si osserva rigidità articolare. I peli del paziente
possono
crescere
abbastanza
increspati,
ruvidi
e
numerosi.
Il quadro radiografico è caratterizzata da osteoporosi marcata, diffusa ed
omogenea, le corticali epifisarie sono sottili e la trama spugnosa quasi assente
(atrofia vitrea); in altri casi, le normali trabecole spongiose sono sostituite da rade e
grossolane travate ossee che seguono le linee di forza.
Istologicamente, le trabecole ossee e le compatte corticali appaiono
omogeneamente ridotte di numero e di volume, talora con linee cementanti che
compongono una "struttura a mosaico"; il tessuto midollare è prevalentemente
adiposo, con qualche area residua di fibrosi, con poche cellule e nessuna
dilatazione vasale, né edema.
L'ultimo stadio è caratterizzato da una severa atrofia tissutale con perdita della
massa muscolare che può diventare irreversibile. La durata di questa sindrome è
proporzionale al grado di severità della funzione deficitaria che può protrarsi in
settimane, in mesi, addirittura in anni. Più la sindrome permane, più risulterà
irreversibile.
Il protocollo di trattamento dell'algodistrofia prevede la combinazione di:

terapia farmacologica analgesica: è utile usare farmaci antinfiammatori
non steroidei ( FANS ). Anche il cortisone è utile, specie nel primo stadio,
meglio con infiltrazioni locali associate ad anestetico. Si usano inoltre farmaci
vasodilatatori, ganglioplegici e betabloccanti. La calcitonina ha azione
antalgica e si oppone al riassorbimento osteoclastico. Nella nostra
esperienza utilizziamo frequentemente disodio clodronato a periodi e schemi
prestabiliti. Infine, considerato il terreno neuro-vegetativo e psichico, è
indicato
utilizzare
ansiolitici
e
neurolettici

mobilizzazione delle estremità: per mantenere una buona escursione
articolare e favorire un precoce recupero muscolare in una fase successiva.
E' importante che venga eseguita lentamente rispettando la soglia del dolore,
non iniziando mai con manovre aggressive e dando corrette ed esaustive
indicazioni
anche
per
il
trattamento
domiciliare

terapia fisica: nel nostro Ambulatorio adottiamo di solito il seguente
protocollo: 15 - 20 sedute giornaliere o a giorni alterni comprendenti:
 magnetoterapia: con un elettromedicale magneto teraphy a lettino
mod. VARIA impostato generalmente sui seguenti parametri: frequenza
AUTO, duty cycle 50% , intensità 50 - 70 Gauss, durata: min. 1 ora
 ultrasuonoterapia: 20 minuti a 1.5 - 2 W/cm2
 ginnastica vascolare con idroterapia calda e fredda (shock termico):
per stimolare la vascolarizzazione dell'area colpita
 drenaggio linfatico manuale o mediante pressoterapia.
È comunque importante che il paziente riceva un approccio terapeutico individuale
e personalizzato a seconda dello stadio patologico con Fisiokinesiterapia specifica.
Secondo la nostra esperienza l'80% dei pazienti algodistrofici trattati nei primi mesi
e comunque entro i primi sei successivi al trauma ha dimostrato un significativo
miglioramento. Più del 50% dei pazienti trattati nel periodo superiore al semestre
dalla data del trauma ha presentato importanti problemi residui (limitazione
funzionale, dolore, edema).
Dr. Giuseppe Caruso e coll.
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