Materiale elaborato da Luigi Aronne Inquadramento giuridico della professione medica Il medico non ha una qualifica giuridica unica ed universalmente valida. A seconda dell’attività svolta, può rientrare in una delle seguenti figure, rilevanti per il DIRITTO PENALE: 1. Pubblico ufficiale 2. Incaricato di pubblico servizio 3. Esercente un servizio di pubblica necessità Pubblico ufficiale Secondo l’articolo 357 del C.P., agli effetti della legge penale, sono Pubblici Ufficiali Pubblica funzione: attività svolta da un soggetto non nel proprio interesse ma in quello della collettività coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti, è pubblica la funzione amministrativa 1 disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e 2 caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi. Il potere autoritativo è quel potere che permette alla pubblica amministrazione di realizzare i suoi fini mediante veri e propri comandi, rispetto ai quali il privato si trova in una posizione di soggezione. Il potere certificativo è quello che attribuisce al certificatore la facoltà di attestare un fatto, avente valore di prova, fino a querela di falso. Acquistano la qualifica di Pubblico Ufficiale: I consulenti tecnici ed i periti di ufficio I direttori sanitari di ospedali I medici di accettazione e di Pronto Soccorso I Primari ma anche gli aiuti che, in assenza del Primario, svolgono mansioni dirigenziali sostitutive I medici preposti dalla pubblica amministrazione a controllare l’effettiva sussistenza di una malattia del dipendente e quindi la legittimità dell’assenza dal lavoro I medici INPS ed i medici INAIL, nello svolgimento dei compiti di Istituto Incaricato di pubblico servizio Secondo l’articolo 358 C.P., agli effetti della legge penale sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione – quindi da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi – ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest ultima – autoritativi e certificativi – senza però che si qualifichi come semplice mansione d’ordine (mansione assegnata senza alcun margine di autonomia) o come prestazione d’opera meramente materiale. In definitiva, incaricato di pubblico servizio è chi svolge la sua attività per soddisfare bisogni ed interessi della collettività la cui tutela è stata assunta dallo Stato e che viene realizzata a mezzo di persone appositamente incaricate, prive, tuttavia, dei poteri tipici della funzione pubblica. Esempi di incaricati di pubblico servizio sono: Medici ospedalieri ed universitari nelle loro funzioni assistenziali, quando non rivestano la qualifica di pubblici ufficiali. M.M.G. convenzionati con il SSN 1 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Esercenti un servizio di pubblica necessità Secondo l’articolo 359 del C.P, agli effetti della legge penale, sono persone esercenti un servizio di pubblica necessità: 1. privati cittadini che svolgono professioni forensi, sanitarie o altro, il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando, della loro opera, il pubblico sia, per legge, obbligato a valersi. 2. privati cittadini che, non esercitando una pubblica funzione, ne prestando un pubblico servizio, adempiono ad un servizio dichiarato di pubblica necessità, mediante un atto della pubblica amministrazione. In pratica, la differenza tra pubblico servizio e servizio di pubblica necessità sta nel fatto che, il primo, viene espletato dallo Stato, mediante persone appositamente incaricate, mentre, l’altro, è espletato da privati che abbiano ottenuto, dallo Stato, regolare abilitazione. N.B L’ordinamento giuridico tiene conto che le professioni sanitarie (e quella medica in particolare) costituiscono un servizio di pubblica utilità, in quanto la salute dei cittadini è un bene individuale e collettivo, alla cui tutela lo Stato è interessato (art.32 della Costituzione). Per tali motivi, l’attività del medico è assoggettata al controllo dello Stato, che garantisce l’esclusiva del servizio, obbligando i cittadini a rivolgersi ai medici abilitati. Ne deriva il fatto che la professione si svolge in regime di monopolio poiché solo i medici abilitati possono esercitare la medicina. L’istituzione delle nozioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio risulta funzionale a due distinti ordini di motivazioni: 1. Tutelare la pubblica amministrazione ed i privati cittadini dagli abusi o dalle mancanze eventualmente commessi da funzionari e dipendenti pubblici che possono essere soggetti attivi di numerosi reati esclusivi, quali: concussione, rifiuto di atti d’ufficio, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, omesso rapporto, falso materiale o ideologico in atti pubblici. 2. Tutelare coloro che esercitino una pubblica funzione o un pubblico servizio, fornendo loro una particolare protezione contro i comportamenti illeciti di privati Agli effetti della LEGGE CIVILE, invece, il medico assume la qualifica di esercente una professione intellettuale, per il cui esercizio è necessaria l’iscrizione in appositi Albi o Elenchi. 2 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Fondamenti della responsabilità professionale del medico In tema di responsabilità professionale, Chiunque, per imperizia, imprudenza, negligenza, ovvero per inosservanza di regolamenti, ordini o discipline, nello svolgimento della propria arte o professione, cagioni ad altri danni fisici, psichici o la morte, soggiace, in sede penale, a sanzioni restrittive della libertà personale, in sede civile, ad obblighi risarcitori ed in sede ordinistica o deontologica, a sanzioni disciplinari. I presupposti necessari, per parlare di responsabilità professionale del medico, sono quindi: 1. la prova del verificarsi del danno, della sua natura e della sua gravità 2. l’accertamento del nesso di causalità fra condotta (attiva od omissiva) ed evento dannoso 3. la prova della colpa professionale, ossia dell’imperizia, dell’imprudenza o della negligenza del medico oppure della sua inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, che renda l’errore professionale commesso inescusabile, perché prevedibile e quindi prevenibile. 4. la prova che proprio tale comportamento colposo ha materialmente causato il danno e che, invece, con una condotta diversa esso si sarebbe certamente o molto probabilmente evitato oppure sarebbe stato contenuto entro limiti più modesti di quelli reali L’imperizia sussiste se il medico si discosta da quel comportamento tecnico che la maggior parte degli altri medici avrebbe osservato in presenza dello stesso caso. N.B. Qualora la colpa professionale sia addebitata all’imperizia, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, fatta eccezione per i casi di dolo o colpa grave. La colpa grave si riscontra nell’errore inescusabile derivante dalla mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali della professione medica o dal difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita tale professione. Imprudenza Imprudente è quel medico che mostra di non tener conto dei rischi a cui espone il proprio assistito. Non è quindi imprudente chi usa mezzi diagnostici o terapeutici rischiosi, ma chi li utilizza senza un’effettiva necessità, con avventatezza, in condizioni nelle quali la maggior parte dei colleghi li eviterebbe e senza le dovute cautele o precauzioni. Negligenza Negligente è quel medico che mostra, con il suo comportamento, trascuratezza, disinteresse e superficialità nei confronti dell’assistito; che omette, senza giustificato motivo, di fare quegli accertamenti o di attuare quelle terapie che la maggior parte dei suoi colleghi, nelle medesime condizioni, avrebbe attuato. N.B. Qualsiasi decisione in materia di colpa professionale spetta al magistrato che giudica. 1 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne RESPONSABILITÀ CIVILE La responsabilità civile insorge quando un’azione o un’omissione, dolosa o colposa, provoca un danno ingiusto ad una persona giuridica e consiste nell’obbligo di risarcire il danno, per chi lo ha provocato. In sede Civile, al medico di cui sia stata provata la colpa professionale, viene imputato il danno ingiusto subito dalla persona del pz, essendo la finalità del Diritto Civile principalmente risarcitoria. Infatti, sec. l’art. 2043 del CC “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Per danno ingiusto s’intende una qualsiasi lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento giuridico (come, ad esempio, il diritto alla salute). Il danno ingiusto – e perciò risarcibile – della persona può appartenere a 3 diverse categorie: 1. Danno biologico (temporaneo o permanente) 2. Danno patrimoniale, a sua volta distinguibile in: ‐ Danno emergente (perdita economica sofferta dal danneggiato) ‐ Danno da lucro cessante (mancato guadagno che la persona subisce in conseguenza del danno) 3. Danno non patrimoniale o morale, inteso come la sofferenza morale che deriva alla vittima dal prodursi del danno. È risarcibile solo quando il fatto che lo determina costituisca reato. La sua definizione è di esclusiva competenza del magistrato. N.B. Il danno risarcibile è non solo quello attuale – già realizzatosi e ben obiettivabile nel momento in cui se ne valuta l’esistenza – ma anche quello futuro. Il danno futuro è quel danno che, pur non essendosi ancora verificato al momento dell’esame obiettivo (visita peritale), con ogni probabilità verrà a determinarsi nel futuro. Un esempio può essere la deviazione scoliotica della colonna vertebrale il cui realizzarsi nel futuro è molto probabile in un individuo che ha riportato una frattura del femore con sfondamento dell’acetabolo ed accorciamento residua dell'arto inferiore di più di 3 cm. Pertanto, anche la scoliosi, rientrerà fra gli esiti dannosi risarcibili. Danno biologico Viene ritenuto come una menomazione temporanea o permanente dell’integrità psico‐fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali, dinamico‐relazionali, passibili di accertamento e di valutazione medico‐ legale, ed indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito. Nella nozione di danno biologico rientrano, pertanto, tutte le figure di danno non reddituale: danni estetici, alla vita di relazione, alla sfera sessuale. È definito temporaneo quel danno biologico i cui effetti si estinguano entro un lasso di tempo più o meno breve dall’azione o dall’omissione umana illecita considerata. Viene espresso come: ‐ Giorni di inabilità temporanea assoluta ‐ % di inabilità riconosciuta per ciascun giorno, nel caso in cui l’inabilità risulti < 100% 2 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Il danno biologico è invece definito permanente qualora non sia prevedibile il recupero o il ritorno allo status quo ante, entro un ragionevole limite di tempo. Viene espresso in % di invalidità permanente. Ai fini della valutazione, bisogna considerare, non solo, l’entità della menomazione biologica ma, anche, le ripercussioni negative che, da essa, derivano sulla capacità di relazione sociale della persona considerata. Pertanto, mentre il giudizio relativo alla menomazione dell’integrità psico‐fisica individuale può avvenire secondo criteri clinici uguali per tutti – con l’unica variante dell’età – mediante baréme o tabelle di valutazione, quello relativo al suo impatto dinamico‐relazionale deve essere sempre personalizzato. Il sistema attualmente preferito per la liquidazione del danno biologico (permanente) è quello del punto variabile o tabellare. Tale sistema mantiene l’idea – precedentemente introdotta – della liquidazione per mezzo del “valore punto” (importo per ogni punto di invalidità permanente), ma ne determina le oscillazioni sulla base di due funzioni: ‐ Funzione crescente, rappresentata dalla % di invalidità permanente, che fa alzare il valore punto in relazione all’aggravarsi della patologia ‐ Funzione decrescente, rappresentata dall’età del danneggiato, che fa ridurre il valore punto, in proporzione all’anzianità Una volta precisato l’esatto valore invalidante – in termini dinamico‐relazionali – della menomazione, bisogna stabilire se e come essa si ripercuota sfavorevolmente sulla capacità lavorativa specifica (capacità, cioè, di espletare una ben precisa attività lavorativa). N.B. La diminuzione della capacità lavorativa specifica non costituisce un danno risarcibile in sé bensì rappresenta la causa del danno da riduzione della capacità di guadagno, che va comunque dimostrata per il configurarsi di un danno da lucro cessante. In sede Civile, la responsabilità professionale del medico può assumere la forma di responsabilità: ‐ Contrattuale ‐ Extracontrattuale La responsabilità contrattuale è quella derivante dall'inadempimento di una preesistente obbligazione, quale che ne sia la fonte. I medici, infatti, nel prestare assistenza sanitaria su richiesta di un pz, concludono un contratto di prestazione d’opera intellettuale in virtù del quale sorge, a carico del medico, un’obbligazione che deve essere adempiuta con la diligenza del “regolato ed accorto professionista”. Nella responsabilità contrattuale, per il risarcimento del danno, al pz basterà la prova del suo effettivo verificarsi. Sarà invece il professionista (o l’Azienda) che dovrà dimostrare di non essere in colpa, di aver eseguito la prestazione con perizia, prudenza e diligenza e che, ciononostante, il danno si è verificato per causa a lui non imputabile. Si parla, invece, di responsabilità extra‐contrattuale quando il medico agisce al di fuori di un accordo specifico con il pz, come accade, ad esempio, nel caso di traumi della strada e di prestazioni d’urgenza. In tali circostanze, il medico è chiamato a rispondere dei danni eventualmente cagionati solo quando si dimostri che abbia violato il principio generale del non ledere nessuno. Nella responsabilità extracontrattuale, per il risarcimento del danno, sarà il danneggiato a dover dimostrare sia il nesso di causalità materiale sia la colpa del professionista. 3 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne RESPONSABILITÀ PENALE La responsabilità penale sussiste quando il medico, con la propria condotta, violi uno degli articoli del CP, commettendo un reato, come ad esempio quello di: ‐ Omissione di referto (art. 365 e 334 c.p.) ‐ Falsità ideologica (art. 479 c.p.) e falsità ideologica in certificati (art. 481 c.p.) ‐ Lesioni personali (art. 582 o 590 c.p.) ‐ Omicidio (art. 589 c.p.) ‐ Rivelazione di segreto d’ufficio o professionale (art. 326 o 622 c.p.) ‐ Violenza privata (art. 610 c.p.) N.B. ‐ la responsabile penale è accollabile esclusivamente a persone fisiche. ‐ l’accertamento del nesso causale s’inspira al criterio “dell’altamente probabile o della quasi certezza” ‐ l’onere della prova è a carico della pubblica accusa DIFFERENZE TRA RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE In RC, ciò che viene imputato è il danno ingiusto, essendo la finalità del Diritto Civile principalmente risarcitoria La RC può essere riferita, non solo a persone fisiche, ma anche a persone giuridiche (per persona giuridica s’intende un complesso organizzato di persone e di beni ai quali l'ordinamento giuridico attribuisce capacità giuridica, facendone, così, un soggetto di diritto) In RC, l’accertamento del nesso causale s’inspira al criterio “del più probabile che non” In RP, ciò che viene imputato è il reato, essendo la finalità del Diritto Penale principalmente sanzionatoria La RP è riferita esclusivamente a persone fisiche (persona fisica è l'essere umano in quanto soggetto di diritto e, quindi, dotato di capacità giuridica) In RP, l’accertamento del nesso causale s’inspira al criterio “dell’altamente probabile o della quasi certezza” In RC, è onere del medico e della struttura In RP, l’onere della prova è a carico della pubblica ospedaliera dimostrare che il danno ingiusto non sia accusa dipeso da un fatto a loro imputabile 4 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Cartella clinica È un atto pubblico, a formazione progressiva, che consiste nel complesso ordinato e scritto dei vari dati sanitari (anamnestici, obiettivi, specialistici, strumentali, documentali) raccolti via via dai medici, sulla persona del malato, durante la sua degenza in regime di ricovero ordinario o di day hospital. Secondo l’articolo 2699 del CC, per atto pubblico s’intende un documento redatto, con le richieste formalità, da un Pubblico Ufficiale, autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, nel luogo dove l’atto viene formato. Per l’articolo 2700 del CC, inoltre, l’atto pubblico fa fede – e, quindi, costituisce prova* – fino a querela del falso, 1 della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha firmato, 2 delle dichiarazioni delle parti e 3 di tutti gli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. *Prova: strumento che fornisce al giudice gli elementi di conoscenza necessari per formulare un giudizio di verità o falsità circa l’esistenza di fatti rilevanti ai fini della decisione N.B. In sede penale, la nozione di atto pubblico è più ampia, comprendendo qualsiasi documento formato da un Pubblico Ufficiale o da un pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio con l’intento di comprovare un fatto giuridico** o di attestare fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi rilevanza giuridica. **Fatto giuridico: situazione prevista da una norma giuridica L’importanza di tale documento è molteplice, risultando: 1) Clinica 2) Medico‐legale, per la sua efficacia probatoria, per il suo valore storico‐documentale e per l’attestazione del consenso informato 3) Statistico‐sanitaria 4) Scientifica Requisiti che una cartella clinica deve possedere, sono: 1) Veridicità Conformità, cioè, di quanto descritto con quanto direttamente constatato 2) Completezza 3) Correttezza 4) Chiarezza 5) Contemporaneità della redazione con l’evento che si descrive Quest’ultimo requisito richiede che : la redazione avvenga in pendenza di degenza gli eventi vadano registrati in sequenza cronologica N.B. La cartella clinica acquista il carattere di definitività in relazione ad ogni singola annotazione, la quale esce dalla disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui viene registrata. I dati trascritti nella cartella clinica possono essere rettificati solo componendo nuove annotazioni che lascino inalterate le precedenti e che consentano di riconoscerne autore e data. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne La responsabilità della regolare compilazione, della tenuta e della custodia della cartella clinica, spetta al Primario del reparto, fino alla consegna nell’archivio centrale dell’Azienda. L’aiuto collabora direttamente con il primario e lo sostituisce in caso di sua assenza, impedimento, urgenza. Le cartelle cliniche, dopo la dimissione del pz, vengono conservate, ciascuna con numero progressivo, nell’archivio centrale dell’Azienda, sotto il controllo del Direttore sanitario. Le cartelle cliniche, unitamente ai relativi referti, devono essere conservate illimitatamente perché rappresentano un Atto Ufficiale, indispensabile a garantire la certezza del diritto, oltre a costituire fonte documentaria per le ricerche di carattere storico‐sanitario. Le radiografie ed altra documentazione diagnostica vanno conservate per almeno 10 anni; per almeno 20, se relative a soggetti infra‐diciottenni. Possibile è la conservazione mediante microfilmatura o su supporto informatico. Dal I gennaio 2006, la cartella clinica può nascere o esser trasmessa sotto forma di documento informatico, inteso come la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. Rilascio di cartella clinica o di copia autentica Sono legittimati a chiederlo l’assistito medesimo o chi ne ha la delega legale. Il rilascio avviene sotto la responsabilità del Direttore Sanitario. La cartella clinica può essere inoltre trasmessa da un’azienda ad un’altra; al medico curante; ad istituti previdenziali; all’Autorità giudiziaria. Reati connessi La qualifica di Atto Pubblico della cartella clinica si riflette sulla maggiore severità con cui viene valutato, in sede penale, il delitto di falso commesso da chi la redige. Relativamente alla cartella clinica, la falsità documentale, può essere giuridicamente qualificata come: 1. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art.476 CP) 2. Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 CP) La falsità materiale si realizza quando: ‐ il documento è stato redatto da persona diversa da quella a cui competeva (cartella contraffatta) ‐ il documento contiene modifiche successive alla sua stesura definitiva (cartella alterata) Nella falsità ideologica, invece, l’atto, pur essendo materialmente corretto (quindi non contraffatto, né alterato) contiene informazioni non rispondenti al vero. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne SEGRETO PROFESSIONALE In ambito medico, deve ritenersi tale ogni notizia 1 riguardante qualsiasi aspetto della vita privata dell’assistito, 2 che quest’ultimo abbia interesse a che non venga rivelata e 3 della quale il medico sia venuto a conoscenza in quanto “medico” (pertanto professionale). La rivelazione di segreto professionale, secondo l’art. 622 del CP, costituisce un delitto, commesso da chiunque, avendo notizia – in ragione del proprio stato o ufficio o della propria professione o arte – di un segreto, lo riveli, senza giusta causa, o li impieghi a proprio o altrui profitto, se dal fatto può derivare nocumento. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. L’obbligo di mantenere il segreto viene quindi esteso a “chiunque” si trovi, in virtù di situazioni personali, quali stato, ufficio, professione ed arte, nelle condizioni di ricevere un segreto. ‐ Con il termine di stato, ci si riferisce non soltanto a chi esercita un’attività professionale, ma anche a coloro che si trovano, con il professionista, in relazione di convivenza, di dipendenza, di amicizia o di altro rapporto, che faciliti la conoscenza del segreto. ‐ Il termine di ufficio, indica qualsiasi compito o dovere che deve essere assolto. ‐ Con il termine di professione o arte, ci si riferisce ad attività praticate da persone qualificate come professionisti o artisti. Rivelare il segreto professionale significa comportarsi in modo tale che, senza giusta causa, una o più persone, non vincolate al segreto, siano messe a conoscenza del segreto stesso. Caso, ad esempio, della pubblicazione di lavori scientifici da cui si evincano le generalità di un certo assistito. N.B. Non costituisce rivelazione di segreto professionale, ma semplice trasmissione, l’affidamento della notizia ad una persona, pur essa vincolata al segreto professionale. La rivelazione del segreto professionale è legittima solo se sussiste una giusta causa. Le giuste cause di rivelazione del segreto professionale vengono distinte in imperative e permissive. Le giuste cause imperative sono quelle che impongono la rivelazione del segreto. Si tratta, cioè, di doveri espressamente stabiliti dall’ordinamento giuridico. È questo il caso di: 1) Denunce ‐ Amministrative ‐ Sanitarie ‐ All’autorità giudiziaria (referto e rapporto) 2) Perizie e consulenze tecniche 3) Ispezione corporale ordinata da giudice 4) Visite medico‐legali di controllo, espletate per conto di una struttura sanitaria pubblica Anche in tali casi, tuttavia, il medico dovrà osservare il più rigoroso riserbo su tutte quelle notizie irrilevanti ai fini dell’espletamento dell’incarico. 1 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Le giuste cause permissive sono quelle che permettono, appunto, di rivelare il segreto. Tra esse rientra, innanzitutto, il consenso dell’avente diritto. Non è, infatti, punibile chi lede o mette in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne. Oltre al consenso dell’assistito, altre giuste cause permissive sono quelle definite “scriminative”: 1) Caso fortuito o forza maggiore 2) Costringimento fisico 3) Errore di fatto 4) Errore determinato da altrui inganno 5) Stato di necessità 6) Difesa legittima Un’ulteriore causa permissiva è rappresentata dal voler difendere un diritto (come quello alla vita o all’incolumità fisica di terzi) che è più importante rispetto all’offesa arrecata con l’eventuale violazione del segreto. N.B. La morte del paziente non esime il medico dall’obbligo del segreto. 2 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne CONSENSO Per il medico, sussiste l’obbligo di munirsi del valido consenso della persona assistita, intendendo, con il termine di consenso, partecipazione, consapevolezza, libertà di scelta e di decisione. Ciò trova riscontro nell’articolo 32 della Costituzione, secondo cui “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge” e che “la legge in nessun caso può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Per essere giuridicamente valido, il consenso della persona assistita deve qualificarsi come: 1) Informato 2) Esplicito 3) Libero 4) Autentico 5) Immune da vizi La correttezza dell’informazione preliminare da rendere al pz, impone al medico di essere preciso ed esauriente su: I natura della malattia, II indicazioni e controindicazioni della prestazione che andrà ad effettuare, III rischi ad essa connessi, IV eventuali complicanze, V alternative, VI obiettivi perseguiti, VII risultati prevedibili. In particolare, l’informazione deve essere : 1. Semplice, perché il paziente non è generalmente esperto di cose mediche 2. Personalizzata, adeguata cioè al livello di cultura dell’assistito 3. Esauriente 4. Veritiera 5. Sorretta dalla speranza più che dal pessimismo. Rientra, poi, tra i doveri del medico accertarsi che il paziente dia segni esteriori tali da far ritenere che sia in grado di I prestare attenzione alle indicazioni lette o ascoltate, II di comprenderle e III di usarle in modo razionale per arrivare ad una decisione. Di conseguenza, il medico deve astenersi dal procedere all’acquisizione del consenso proprio in momenti nei quali il malato appaia in uno stato fisico o emotivo tale da rendere improbabile I la consapevole acquisizione e II la ragionata elaborazione delle informazioni ricevute. Il consenso va sempre richiesto in forma esplicita, e cioè scritta, qualora l’atto medico‐chirurgico comporti il pericolo concreto di una menomazione dell’integrità psico‐fisica individuale. Può essere ritenuto implicito nella stessa richiesta di prestazione d’opera, solo se la prestazione sia esente da rischi o da controindicazioni. Il paziente, essendo una persona libera e capace di agire, ha il diritto di accettare o rifiutare ciò che il medico gli propone o gli prescrive. Il medico non è mai legittimato ad agire contro la volontà consapevole ed esplicita dell’altro, se non per disposizione di legge. WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne Nel caso di minori, il consenso deve essere fornito da entrambi i genitori. Ove sussista disaccordo tra volontà dei genitori e parere dei medici curanti, quest’ultimi dovranno rimettere la decisione all’Autorità giudiziaria (giudice tutelare). Nel caso di soggetti interdetti, il consenso deve essere fornito dal tutore; nel caso di soggetti inabilitati, dal curatore. Qualora appaia impossibile ottenere un valido consenso da parte del pz, per sospetta incapacità di intendere e di volere, ma non sussista interdizione, va richiesta una consulenza psichiatrica per accertare tale incapacità. Una volta accertata l’incapacità di intendere e di volere del pz, il consenso può essere richiesto ai familiari. In mancanza di familiari, il medico può rivolgersi all’Autorità giudiziaria per ottenere il permesso di assurgere al ruolo di tutore del pz, in materia di scelte relative a procedure diagnostico‐terapeutiche. L’unica condizione nella quale il medico è esonerato dall’obbligo di munirsi preventivamente del consenso dell’avente diritto, è quella contemplata dall’art. 54 CP (stato di necessità). Secondo l’art. 54 del CP, infatti, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare, sé stessi o altri, dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionale al pericolo. Uno stato di necessità è quello che si configura nelle condizioni di urgenza in cui è il medico a divenire il tutore del pz. Tuttavia, agire senza il consenso, per il sussistere di uno stato di necessità, è cosa diversa che agire contro il consenso. Vale, in quest’ultima ipotesi, l’obbligo di astenersi dalla prestazione. Il rifiuto alle cure, comunque, deve configurarsi coma una manifestazione 1. chiaramente espressa 2. non equivocabile 3. informata 4. compresa 5. attuale e, cioè, contestuale alle evento lesivo che richiede la prestazione verso cui viene espresso il dissenso. La violazione del dovere di munirsi preventivamente del valido consenso della persona assistita può esporre il medico, in sede penale, all’imputazione dei delitti di violenza privata, lesioni personali, omicidio, ecc… In sede civile, la mancanza del consenso informato, può costituire, di per sé, una vera e propria inadempienza contrattuale, con conseguenti obblighi risarcitori. WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne ATTIVITÀ INFORMATIVA DEL MEDICO Una delle prerogative della professione medica è rappresentata dalla “potestà di certificare”, che riconosce la sua matrice giuridica nell’abilitazione all’esercizio professionale. Relativamente al rapporto con il pz, tuttavia, tale potestà si traduce nel “dovere di certificare”, che deriva dagli obblighi normativi e deontologici dell’esercizio professionale, sebbene non sia sempre imperativo. Il documento redatto dal medico può essere definito, in linea generale, “certificato”. La dottrina medico‐legale è concorde nel ritenere il certificato come “attestazione scritta inerente a fatti e condizioni di indole tecnica, 1di cui il certificato è destinato a provare la verità, 2propri della persona alla quale si riferisce, 3aventi rilevanza giuridica ed amministrativa”. Per aversi un certificato autentico, che attesti la verità di un fatto giuridicamente rilevante, occorrono: 1) una scrittura, stilata a mano o con mezzi meccanici, che utilizzino inchiostro indelebile; 2) l’autore dell’attestazione, che risulti dalla sottoscrizione dell’atto, con le generalità e la qualifica del certificante; 3) il destinatario, a cui la certificazione è diretta; 4) la data ed il luogo in cui il certificato è stato compilato. I requisiti che un certificato deve necessariamente possedere sono: 1) Chiarezza Deve essere, cioè, comprensibile e completo 2) Veridicità Vi deve essere, cioè, conformità di quanto descritto con quanto direttamente constatato Per quanto riguarda la natura giuridica della certificazione, il certificato è: ‐ Atto pubblico, quando redatto da un “pubblico ufficiale” o da un “incaricato di pubblico servizio” ‐ Scrittura privata, quando redatto da un “esercente un servizio di pubblica necessità”. Secondo l'art. 2699 del CODICE CIVILE "l'atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un pubblico ufficiale, autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato". All'atto pubblico, inoltre, viene conferita l’efficacia di prova legale dall'art. 2700 del CODICE CIVILE, per il quale l’atto pubblico "fa piena prova, fino a querela di falso , I della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché II delle dichiarazioni delle parti e III degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti". N.B. la NOZIONE PENALISTICA di atto pubblico è più ampia di quella civilistica comprendendo tutti quei documenti formati da un pubblico ufficiale o da un pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio con l’intento di comprovare un fatto giuridico o di attestare fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi rilevanza giuridica. N.B. Gli atti pubblici vanno distinti dalle certificazioni amministrative, il cui presupposto essenziale è comunque quello di esser redatte da un medico nell’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. 1 WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne Le certificazioni amministrative differiscono dagli atti pubblici perché attestazioni di verità o di scienza estranee I alla documentazione di attività direttamente esercitate dal pubblico ufficiale (o da un incaricato di pubblico servizio) o II alla prova di quei fatti che sono avvenuti in sua presenza. Tale distinzione è rilevante per la maggiore severità con cui vengono puniti gli illeciti nella redazione degli atti pubblici. Esempi di certificazioni amministrative: ‐ Certificato di idoneità all’attività sportiva agonistica per atleti professionisti e non ‐ Certificato attestante l’esonero all’uso delle cinture di sicurezza per controindicazione derivante da malattia Per il MEDICO, i certificati possono essere: ‐ Obbligatori ‐ Facoltativi Sono obbligatori per il medico quei certificati che egli deve inoltrare di sua iniziativa, e non in relazione alla richiesta di un privato, sulla base di un dovere che la legge pone a carico del sanitario per tutelare i pubblici interessi. Sono, invece, facoltativi quando non esiste nessuna norma di legge che ne impone l’obbligo. Il medico, comunque, non può e non deve esimersi dal rilasciare certificati ai pz che ne fanno richiesta, anche quando facoltativi. Ciò trova riscontro nell’art. 24 del CD del 2006 secondo cui “il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati. Egli è tenuto alla massima diligenza, alla più attenta e corretta registrazione dei dati ed alla formulazione di giudizi obiettivi e scientificamente corretti”. Tale articolo del CD, pertanto, pone al medico, una serie di obblighi: ‐ Obbligo del rilascio del certificato su richiesta del pz e direttamente al pz medesimo o ad altro richiedente a cui la legge dia diritto. ‐ Obbligo della corrispondenza del certificato con la realtà constatata. N.B. Nel certificato devono essere attestati solo i dati clinici per i quali il paziente ha chiesto la certificazione. Diversamente, si incorrerebbe in rivelazione di segreto professionale. 2 WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne Certificazioni obbligatorie per il medico sono le denunce. La denuncia è l'atto col quale il sanitario informa una pubblica autorità relativamente a fatti o notizie che apprende nell'esercizio della professione, di cui è obbligato per legge a riferire. Costituisce una giusta causa imperativa di rivelazione del segreto professionale. Le caratteristiche delle denunce sono: 1) Obbligatorietà Hanno, cioè, carattere inderogabile, derivando da una disposizione di legge. È però necessario che il medico sia venuto a conoscenza del fatto per diretta acquisizione, prestando la propria attività professionale in circostanze strettamente inerenti al fatto stesso. 2) Iniziativa del denunciante Il medico è, cioè, tenuto a redigere la denuncia e ad inviarla all’autorità competente di propria iniziativa. Deve pertanto conoscere quali sono le denunce che gli competono. N.B. In ambito ospedaliero, spetta al primario del reparto redigere le denunce, mentre è compito del direttore sanitario curarne la trasmissione all'autorità competente. 3) Professionalità Deriva dalla qualifica del denunciante e dalla natura tecnica del fatto segnalato. 4) Oggetto riguardante fatti di interesse pubblico e che può essere in contrasto con gli interessi dell'assistito. 5) Destinatario costituito da una pubblica autorità, quale il sindaco, l‘ASL, l'autorità giudiziaria, l'autorità di pubblica sicurezza, gli enti infortunistici o altre strutture socio‐sanitarie. 6) Sanzione L'omissione o il ritardo della denuncia, infatti, comporta una contravvenzione. Si distinguono denunce: ‐ Amministrative ‐ Sanitarie ‐ All’autorità giudiziaria Denunce amministrative Sono quelle che interessano l’attività della pubblica amministrazione. Esempi: ‐ Dichiarazione di nascita e di morte, entrambe da inoltrarsi all’ufficiale di stato civile ai fini della formazione, rispettivamente, dell’atto di nascita e di quello di morte ‐ Denuncia delle cause di morte ‐ Denuncia di infanti deformi ‐ Denuncia di neonati immaturi Dichiarazione delle nascite Va inoltrata all'ufficiale di stato civile, entro i 10 giorni successivi al parto. È obbligatoria per il medico quando: ‐ Ha presenziato al parto e mancano le persone legalmente tenute alla denuncia (padre o suo procuratore) ‐ Ha fondati motivi di ritenere che esse omettano di farla N.B. La dichiarazione deve essere fatta anche dei bambini nati morti e il dichiarante deve specificare se il bambino è nato morto o è morto dopo la nascita. 3 WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne Dichiarazione delle morti Deve essere fatta entro 24 ore dal decesso all'ufficiale di stato civile del luogo, da uno dei congiunti, da persona convivente o da un loro delegato. L’obbligo della dichiarazione interessa il medico, nelle vesti di direttore sanitario di un ospedale, di una casa di cura o di riposo, qualora ad essere deceduto sia un degente della struttura. Denunce delle cause di morte Vanno fatte entro 24 ore dall'accertamento del decesso al sindaco ed all'ufficiale sanitario. Per le persone decedute con assistenza medica, la denuncia spetta al medico curante, privato o ospedaliero; per le persone decedute senza assistenza medica, la denuncia spetta al medico necroscopo; l'obbligo della denuncia riguarda anche i medici che abbiano potuto accertato le cause di morte mediante indagini anatomo‐patologiche. Qualora sorga il sospetto che la morte sia dovuta a reato, il medico denunciante deve darne comunicazione all'Autorità Giudiziaria. Denuncia degli infanti deformi. Entro 2 giorni dal parto, al quale abbia prestato assistenza, il medico deve denunciare al sindaco e all'ufficiale sanitario la nascita di ogni infante affetto da deformità congenite, con particolare riguardo alle anomalie ed ai difetti dell'apparato locomotore. Denuncia dei neonati immaturi Deve essere fatta entro 24 ore dal parto all'ufficiale sanitario del comune. È considerato immaturo ogni neonato di peso inferiore ai 2.500 grammi, indipendentemente dalla durata della gravidanza. Denunce sanitarie Riguardano fatti attinenti alla tutela dell’igiene e della sanità pubblica, generalmente in correlazione con le attività di prevenzione. Tra queste rientrano: 1. Denuncia di lesioni invalidanti, 2. di malattie infettive e diffusive, 3. di malattie veneree, 4. delle malattie di interesse sociale, 5. delle vaccinazioni obbligatorie, 6. dei casi di intossicazione da antiparassitari, 7. di detenzione di apparecchi radiologici e di sostanze radioattive, 8. di interruzione volontaria della gravidanza (non nominativa). Per ciò che concerne il settore previdenziale, sono obbligatorie le seguenti denunce: 1. Denuncia degli infortuni sul lavoro industriale, agricolo ed artigiano; 2. delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura; 3. di lesioni dei medici esposti a radiazioni ionizzanti. Denunce all’autorità giudiziaria Referto e rapporto (o denuncia di reato) Referto Ai sensi dell’art. 365 CP, il referto è l’atto obbligatorio con il quale, ogni esercente una professione sanitaria, comunica all’autorità giudiziaria quei casi, a cui ha prestato la propria assistenza, che possono presentare i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio. 4 WWW.SUNHOPE.IT 4 Materiale elaborato da Luigi Aronne Il sanitario deve ritenersi esonerato dall’obbligo di inoltrare il referto qualora esponga: a) la persona assistita a procedimento penale, è questo il caso di: ‐ ‐ ‐ Rissa Uso di armi in duello Infanticidio, se la persona assistita è la madre b) se stesso o un proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà e dell’onore In tutti gli altri casi, il referto costituisce una giusta causa imperativa di rivelazione del segreto professionale. I delitti perseguibili d’ufficio – con conseguente obbligo di referto – di maggior interesse medico‐legale sono: 1) Delitti contro la vita, come quelli di: ‐ Omicidio volontario, colposo e preterintenzionale 2) Delitti contro l’incolumità individuale, come quelli di: ‐ lesione personale Le lesioni personali che vengono perseguite d’ufficio, imponendo al medico l’obbligo di referto, sono: Tutte le lesioni personali volontarie, comprese quelle lievissime, qualora concorrano circostanze aggravanti previste dagli art. 583 e 585 del CP (caso ad esempio di lesione personale volontaria lievissima provocata da armi o sostanze corrosive) Lesioni personali colpose, gravi o gravissime, limitatamente a fatti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o all’igiene del lavoro o che abbiano portato ad una malattia professionale 3) Delitti contro la libertà individuale 4) Delitti contro l’incolumità pubblica 5) Delitti contro la libertà sessuale 6) Interruzione di gravidanza al di fuori dei casi legittimi, stabiliti dalla legge 194/78 7) Delitti contro l’assistenza familiare, come quello di maltrattamenti in famiglia Il referto deve contenere: 1) Generalità della persona che ha richiesto l’assistenza del sanitario 2) Luogo, tempo ed altre circostanze dell’intervento 3) Generalità dell’offeso o quant’altro serva per identificarlo 4) Ogni notizie utile per stabilire circostanze e cause del delitto, mezzi con i quali è stato commesso lo stesso, effetti procurati o potenziali Il referto deve essere indirizzato al Procuratore della Repubblica nelle località sede di Tribunale. In subordine a: ‐ Ufficiali di Polizia Giudiziaria ‐ Sindaco, qualora nel comune non vi siano Ufficiali di Polizia Giudiziaria. Chi redige il referto deve farlo pervenire all’autorità competente entro 48 ore o, se vi è pericolo di ritardo, immediatamente. Rapporto o denuncia di reato È una denuncia all’autorità giudiziaria il cui obbligo riguarda quei medici che, per il lavoro svolto, assumono la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. I medici con tali qualifiche hanno infatti l’obbligo di denunciare tempestivamente all’autorità giudiziaria qualsiasi reato (delitto o contravvenzione), per il quale si debba procedere d’ufficio e di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio ed a causa delle loro funzioni. L’obbligo non sussiste se si tratta di un reato perseguibile a querela della persona offesa e non vale per i responsabili delle comunità terapeutiche socio‐riabilitative, limitatamente ai fatti commessi da persone tossicodipendenti. 5 WWW.SUNHOPE.IT 5 Materiale elaborato da Luigi Aronne DIFFERENZE TRA REFERTO E RAPPORTO Riguardano: 1. Titolare dell’obbligo 2. Fatto 3. Contenuto 4. Esimenti 5. Termini di presentazione Obbligo di … sussiste per: Quanto al fatto … Quanto al contenuto … Quanto all’esimente … Quanto ai termini di presentazione … Referto esercenti una professione sanitaria Rapporto medici che assumono la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio Ha come oggetto solo i delitti Ha come oggetto ogni tipo di procedibili di ufficio reato (delitto o contravvenzione) procedibile di ufficio Implica un giudizio tecnico di Si limita alla pura natura diagnostica e prognostica. notizia di reato, indicando il reo, In particolare, deve riportare ogni la vittima, il testimone e gli notizia che serva a stabilire elementi di prova raccolti circostanze e cause del delitto, mezzi con i quali è stato commesso lo stesso, effetti procurati o potenziali Non vi è obbligo di referto da parte del sanitario qualora esponga la persona assistita a procedimento penale oppure se stesso o un proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà e dell’onore Il rapporto, invece, non prevede tali esimenti Deve pervenire entro 48h Deve essere trasmessa senza all’Autorità competente, salvo alcun ritardo pericolo di ritardo 6 WWW.SUNHOPE.IT 6 Materiale elaborato da Luigi Aronne N.B. I certificati medici, inoltre, possono esser distinti in obbligatori e facoltativi per il cittadino, a seconda che la loro esibizione da parte dell’interessato dipenda da un obbligo o da una facoltà. Sono obbligatori, quando il cittadino ha l’obbligo di presentarli se vuol far valere un suo diritto che sia subordinato all’esistenza di una realtà sanitaria della quale il certificato medico è destinato a far fede. Tali certificati sono cioè necessari per dare l’avvio ad un determinato iter amministrativo. Sono facoltativi i certificati che vengono richiesti sulla base di un interesse della persona assistita, al fine di essere esibiti ad Enti Pubblici o privati per documentare lo stato di salute. Reati connessi con la certificazione medica 1. 2. 3. 4. Falso materiale Falso ideologico Violazione del segreto professionale Omissione di atti d’ufficio Falso materiale Il medico risponde di falso materiale se redige un certificato del tutto o in parte falso (certificato contraffatto) o se ne altera uno vero. Il Codice Penale, relativamente alla falsità materiale, distingue: 1. Falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici 2. Falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative 3. Falsità materiale in certificati, commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità La differenza risiede essenzialmente nell’entità delle pene previste che sono più severe quando il reato di Falsità materiale è commesso da un pubblico ufficiale (o da un incaricato di pubblico servizio) in atti pubblici Falso ideologico Il medico risponde di falso ideologico se, nella redazione del certificato, attesta fatti non corrispondenti al vero o consapevolmente diversi da quelli rilevati. Il Codice Penale, relativamente alla falsità ideologica, distingue: 1. Falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici 2. Falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative 3. Falsità ideologica in certificati, commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità 7 WWW.SUNHOPE.IT 7 Materiale elaborato da Luigi Aronne CAPACITÀ CIVILE INSIEME DELLA CAPACITÀ GIURIDICA E DELLA CAPACITÀ DI AGIRE CAPACITÀ GIURIDICA Acquistare capacità giuridica significa diventare “persona” e, cioè, soggetto di diritto inteso come destinatario delle norme stabilite dall’ordinamento giuridico e, quindi, titolare di diritti e di doveri. Per le persone fisiche, la capacità giuridica, si acquista con la nascita e si perde con la morte. CONCETTO DI NASCITA In campo civile, per nascita, s’intende la completa fuoriuscita dal corpo materno di un feto vivo e cronologicamente vitale, che abbia respirato. Ai fini dell’acquisizione della capacità giuridica occorre, quindi, che il prodotto del concepimento: 1. Sia completamente fuoriuscito dall’alvo materno La fuoriuscita può avvenire per espulsione, come nel parto naturale o per estrazione, come nel parto cesareo. 2. Sia in possesso di vitalità cronologica, conferita dal raggiungimento del 180° giorno di vita intrauterina 3. Abbia respirato Se concepito, infatti, muore nella fase apnoica della vita extrauterina, pur essendo completamente fuoriuscito dall’alvo materno, non acquisterà capacità giuridica. L’avvenuta respirazione può essere documentata, post‐mortem, mediante le prove docimasiche e costituisce un segno diretto della vita autonoma del neonato, indipendentemente dalla sua durata effettiva: è sufficiente infatti anche un solo atto respiratorio autonomo. N.B. In ambito penale, il concetto di persona è differente da quello previsto in sede civile. Il ambito penale, infatti, la tutela viene estesa anche al prodotto del concepimento durante il parto e durante la fase apnoica della vita extrauterina, quando non ha ancora respirato. L’attributo della vita autonoma non è quindi necessario per il configurarsi dei delitti di infanticidio e di omicidio. In sede penale, comunque, perché si possa parlare di infanticidio o di omicidio occorre accertare che il prodotto del concepimento, durante il parto o alla nascita, fosse vitale e, cioè, dotato dell’attitudine alla vita autonoma. Per verificare se il prodotto del concepimento fosse effettivamente vitale, nel momento in cui è stato commesso il delitto, le prove docimasiche sono dirimenti solo quando dimostrano l’avvenuta respirazione spontanea del concepito che ne implica, necessariamente, la vitalità. Non è invece sempre vero il contrario, dato che il delitto può esser stato commesso durante il parto o durante la fase apnoica della vita extrauterina, quando un prodotto del concepimento, pur vitale, non ha ancora respirato. Prove docimasiche negative per avvenuta respirazione spontanea, non consentono quindi di escludere la vitalità del prodotto del concepimento al momento del delitto. Un giudizio relativo alla vitalità del concepito, deve pertanto tener conto anche di: ‐ Raggiungimento della cdt soglia di vitalità cronologica (fissata al termine del 6° mese di vita intrauterina) ‐ Eventuale presenza di malformazioni, arresti di sviluppo e patologie congenite che non permettano il mantenimento della vita extrauterina Depongono, inoltre, per la vitalità del concepito al momento del delitto: ‐ Segni di reazione vitale come il cdt tumore da parto ‐ Riscontro, sul corpo, di lesioni vitali, come ecchimosi e soffusioni emorragiche ‐ Dimostrazione istologica, in sede di lesione, del reticolo di fibrina WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne Docimasie Il termine “docimasia” significa accertare se il prodotto del concepimento abbia o meno respirato e, quindi, vissuto di vita autonoma. L’indagine, quindi, concerne non la teorica idoneità del polmone di respirare, ma la verifica diagnostica, effettuata post‐mortem, dell’avvenuta respirazione in vita. Tale prova è un requisito essenziale per affermare, in ambito civile, la nascita della persona e quindi per l’acquisizione della capacità giuridica. Le prove docimasiche respiratorie possono essere distinte in: ‐ Docimasie polmonari ‐ Docimasie extrapolmonari Docimasie polmonari Includono: 1. Docimasia metrica Consiste nel verificare l’espansione del torace, misurandone la circonferenza e confrontandone i valori con quelli teorici 2. Docimasia radiologica Consiste nel dimostrare la maggior radiotrasparenza dei campi polmonari che si osserva se il polmone ha respirato. Attraverso l’esame radiografico, inoltre, si potranno avere ragguagli su: ‐ Eventuale abbassamento del diaframma ‐ Dimensioni e forma degli angoli costo‐frenici ‐ Espansione dei campi polmonari 3. Docimasia diaframmatica Consiste nell’esaminare la posizione della cupola diaframmatica. Quest ultima, infatti, se la respirazione è avvenuta, apparirà abbassata e potrà essere apprezzata a livello del V o del VI spazio intercostale. Se la respirazione non è avvenuta, invece, la cupola apparirà sollevata e la sua convessità potrà essere apprezzata non oltre il IV spazio intercostale. L’indagine può essere effettuata visivamente oppure con opportuno esame radiologico. Cause di errore: ‐ Enfisema putrefattivo post‐mortale, in virtù del quale si può osservare un abbassamento della cupola diaframmatica anche nel polmone che non ha respirato ‐ Rigidità del diaframma, dovuta a condizioni patologiche che ne impediscono l’abbassamento, nonostante l’avvenuta respirazione. 4. Docimasia ottica Prevede: 1. Doppia legatura della trachea, in sede cervicale, al fine di evitare la penetrazione passiva di aria nei polmoni 2. Apertura della cavità toracica 3. Esame delle superfici polmonari, ad occhio nudo WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne In assenza di respirazione, 1) i polmoni sono acquattati nelle rispettive docce costo‐vertebrali; 2) i loro margini anteriori appaiono sottili e lasciano scoperta l’aia cardiaca; 3) il colorito del parenchima è rosso‐scuro; 4) la superficie di taglio si dimostra compatta e lascia fuoriuscire un modesto gemizio di sangue. In caso di avvenuta respirazione, 1) i polmoni sono espansi, con margini anteriori arrotondati che ricoprono l’aia cardiaca; 2) hanno un colorito roseo; 3) l’aspetto della loro superficie è marezzato o vescicolare. Cause di errore: ‐ Insufflazione artificiale di aria nel polmone che non ha respirato. In tal caso, tuttavia, l’espansione del parenchima polmonare apparirà irregolare ‐ Enfisema putrefattivo. In tal caso è, tuttavia, possibile osservare delle bolle di gas putrefattivo a livello della superficie parenchimale sottopleurica. 5. Docimasia polmonare palpatoria Consiste nel valutare, alla palpazione, la consistenza del polmone. Se il polmone non ha respirato, avrà una consistenza compatta, carnea. Se la respirazione è avvenuta, il polmone acquisterà una consistenza soffice e crepitante. Cause di errore: ‐ Insufflazione artificiale d’aria ‐ Enfisema putrefattivo 6. Docimasia idrostatica galenica Consiste nel valutare se il polmone affondi o meno quando immerso in una bacinella d’acqua. Poiché il polmone che non ha respirato ha un peso specifico di 1.08, poco superiore a quello dell’acqua, quando immerso nella bacinella di prova, affonda. Il polmone che ha respirato, invece, galleggia, poiché il suo peso specifico è di circa 0.8. N.B. Il test va inizialmente effettuato sull’intero blocco trachea‐polmoni‐cuore, dopo legatura e sezione della trachea. Se infatti tale blocco galleggia, si può esser certi che il galleggiamento è dovuto a fenomeni putrefattivi. Si prosegue, poi, in modo analogo su ciascuno dei due polmoni, su parti di polmone ed infine su frammenti di tessuto polmonare. Cause di errore Condizioni responsabili del galleggiamento di un polmone che non ha respirato sono: ‐ Incompleta chiusura della trachea, con ingresso post‐mortem di aria nelle vie respiratorie ‐ Enfisema putrefattivo post‐mortale. ‐ Introduzione artificiale di aria post‐mortem ‐ Aspirazione, durante la vita intrauterina, di vernice caseosa e di liquido amniotico che hanno un peso specifico inferiore a quello dell’acqua Condizioni responsabili del mancato galleggiamento di un polmone che ha respirato sono: ‐ Atelettasie polmonari e processi flogistici acuti ‐ Conduzione dell’esame nella fase colliquativa del periodo putrefattivo WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne 7. Docimasia polmonare istologica È la prova più importante per esprimere un giudizio circa l’avvenuta respirazione. Il metodo di colorazione dei campioni tissutali polmonari più comune è quello dell’ematossilina‐eosina oppure quello di Weigert (resorcina‐fucsina), che consente meglio di evidenziare la struttura elastica del polmone. Il principale segno istologico di avvenuta respirazione consiste nella distensione degli alveoli che appaiono ampi, con cavità di forma poligonale e contornate da setti sottili e pieni di sangue. Ciò dipende dal fatto che, con l’inizio della respirazione, s’instaura la nuova circolazione polmonare, al posto di quella feto‐placentare. Nel polmone che non ha respirato, ‐ le cavità alveolari sono collabite ‐ i setti sono molto larghi e spessi con vasi di piccolo calibro, contenenti pochi globuli rossi ‐ le fibre elastiche sono tortuose e molto voluminose Nel caso di insufflazione artificiale di aria, gli alveoli sono, per lo più, collabiti ma, accanto ad essi, se ne osservano altri irregolarmente espanse, con pareti iperdistese ed interrotte. Ciò fa sì che gli alveoli interessati possano confluire in un’unica cavità. In presenza di enfisema putrefattivo, si possono distinguere: ‐ enfisema putrefattivo interstiziale, nel quale sono apprezzabili bolle di gas soprattutto all’interno dell’interstiziale. ‐ enfisema putrefattivo alveolare, nel quale le bolle di gas sono più fini e diffuse. Docimasie extrapolmonari Le docimasie respiratorie extrapolmonari si prefiggono di provare l’avvenuta respirazione spontanea, dimostrando la presenza di aria in distretti corporei diversi dai polmoni. 1. Docimasia gastro‐intestinale Si basa sul fatto che, con l’inizio della respirazione, il feto deglutisce aria, pertanto riscontrabile all’interno del tubo digerente. L’indagine prevede, innanzitutto, l’asportazione dello stomaco, dopo aver praticato una doppia legatura a livello del cardias e del piloro. Lo stomaco asportato viene quindi posto in acqua, per verificare se esso galleggi o meno. Con lo stesso sistema, si può prelevare un tratto più o meno lungo di intestino. La docimasia gastro‐intestinale può inoltre fornire informazioni circa la durata della vita extrauterina. La presenza di aria nello stomaco indica, infatti, una breve durata della vita extrauterina (circa 1 ora); nell’intestino, una durata della vita extrauterina di 12‐15 ore; in tutto il tubo gastrointestinale, di 24 ore. Causa di errore: ‐ Presenza di gas putrefattivi nel apparato digerente. 2. Docimasia auricolare Si fonda sul fatto che, in assenza di respirazione, l’orecchio medio contiene una massa gelatinosa, costituita da tessuto mucoso fetale o da liquido amniotico, il quale viene eliminato con gli atti respiratori e sostituito con aria. Per valutare il contenuto dell’orecchio medio occorre mettere allo scoperto la membrana timpanica che va, quindi, punta, dopo aver posto la testa in acqua. Se il feto ha respirato, dall’orecchio medio fuoriesce una bollicina di aria. WWW.SUNHOPE.IT 4 Materiale elaborato da Luigi Aronne N.B. L’inizio della vita autonoma può essere provato ricercando eventi diversi dalla respirazione spontanea mediante docimasie non respiratorie. 1. Docimasia alimentare Consiste nella ricerca dei residui alimentari della digestione all’interno del canale gastro‐intestinale. La presenza di tali residui confermano la vita autonoma del prodotto del concepimento. 2. Docimasia batterica Consiste nella ricerca dei bacilli coliformi all’interno del contenuto intestinale. La loro presenza conferma la vita autonoma del prodotto del concepito. 3. Docimasia renale Consiste nella ricerca, all’interno dei tubuli renali, di cristalli di acido urico, che compaiono durante i primi giorni della vita extrauterina. Tale reperto indirettamente conferma che il prodotto del concepimento è nato vivo e che ha continuato a vivere per un certo periodo di tempo. 4. Docimasia del nervo ottico, di cui viene valutata l’avvenuta mielinizzazione. ESTINZIONE DELLA CAPACITÀ GIURIDICA Sebbene non esista una vera e propria norma che stabilisca in quale momento cessi la capacità giuridica di un individuo, è da ritenere che essa venga meno al momento della morte. WWW.SUNHOPE.IT 5 Materiale elaborato da Luigi Aronne CAPACITÀ DI AGIRE Con la nascita, l’essere umano acquisisce la capacità giuridica ma è soltanto con il raggiungimento della maggiore età (18° anno di vita) che egli viene ritenuto capace di curare i propri interessi e di compiere gli atti della vita civile. Pertanto, il minore di anni 18, pur avendo capacità giuridica, non possiede ancora la capacità di agire, intesa come l’attitudine ad esercitare diritti e ad adempiere ad obblighi, compiendo manifestazioni di volontà produttive di effetti giuridici. I presupposti della capacità di agire sono: 1. Capacità giuridica, che si acquisisce al momento della nascita 2. Maggiore età, fissata dal Codice Civile al compimento del 18° anno 3. Capacità di intendere e di volere ‐ Capacità d’intendere È l’attitudine a prevedere la portata e le conseguenze della propria condotta. Può essere quindi intesa come la coscienza dell'agire. Pertanto, il soggetto dotato della capacità di intendere è in grado di stabilire correttamente se le sue azioni siano buone o cattive (valore morale), siano lecite o illecite (valore giuridico), siano utili o dannose all'interesse comune (valore sociale). ‐ Capacità di volere È la facoltà di autodeterminarsi e di scegliere liberamente la condotta adatta ad uno scopo. Può essere quindi intesta come la libertà dei propri atti. INTERDIZIONE L’interdizione è il procedimento giudiziale che priva totalmente della capacità di agire e che pone l’interdetto in stato di tutela. All’interdetto, si applicano le stesse norme previste per i minori. Si tratta di un istituto di protezione creato appositamente per la tutela degli interessi di persone incapaci. Devono essere interdetti “il maggiore di età ed il minore emancipato, i quali si trovino in condizioni di abituale infermità di mente, che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi” (art. 414 C.C.). Presupposti clinici per l’interdizione 1. Esistenza di un’infermità di mente, intesa come qualsiasi malattia psichica ad effetto durevole, che comporta gravi difetti della coscienza, dell’affettività, dei poteri associativi e soprattutto di quelli volitivi. 2. Carattere abituale dell’infermità mentale Implica un giudizio prognostico di lunga durata o di cronicità del decorso clinico 3. Gravità della stessa, che deve essere tale da rendere il soggetto incapace di provvedere ai suoi interessi. Il giudizio di gravità va quindi espresso rapportando l’entità della minorazione psichica obbiettivata alla complessità degli interessi – soprattutto patrimoniali – che la persona deve curare. L’interdizione può essere richiesta dalle persone interessate alla conservazione del patrimonio dell’incapace (coniuge, parenti ed affini). WWW.SUNHOPE.IT 6 Materiale elaborato da Luigi Aronne Viene disposta dal Giudice (perciò giudiziale) che deve accertarsi, di persona, dell’infermità mentale; in tale esame, può avvalersi di un consulente tecnico, disporre ogni mezzo istruttorio, interrogare i parenti prossimi dell’interdicendo. Il procedimento è obbligatorio, qualora sia stata accertata l’assoluta incapacità di provvedere ai propri interessi. Se interdetta, la persona verrà rappresentata da un tutore, nominato espressamente dal Giudice. Il tutore rappresenta l’interdetto in tutti gli atti civili che lo riguardano e ne amministra i beni. L’interdizione determina, infatti, l’incapacità assoluta ai negozi patrimoniali e familiari. In particolare, l’interdetto non può ‐ stipulare contratti ‐ fare testamento ‐ contrarre matrimonio ‐ riconoscere figli naturali Di conseguenza, gli atti compiuti dall’interdetto, dopo la sentenza di interdizione, possono essere annullati su istanza del tutore, dell’interdetto stesso o dai suoi eredi. N.B. La donna interdetta può richiedere ed ottenere l’interruzione di gravidanza, con le modalità previste dalla legge. INABILITAZIONE L’inabilitazione è il procedimento giudiziale che priva il soggetto della capacità di compiere gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e che gli impone l’assistenza da parte di un curatore. N.B. Gli atti di straordinaria amministrazione sono quelli che possono alterare o modificare la struttura e la consistenza del patrimonio (caso, ad esempio, della compravendita di immobili). Gli atti di ordinaria amministrazione, invece, sono quelli diretti alla gestione del patrimonio e che non determinano un rischio di alterazione dello stesso (caso, ad esempio, di riscossione della pensione) Possono essere inabilitate (art. 415 C.C.) le seguenti categorie di soggetti: 1. Il maggiore di età, infermo di mente, il cui stato non è talmente grave da imporre l’interdizione (deficienza psichica). Deve cioè presentare un’alterazione psichica che ne riduce le attitudini intellettive o volitive in modo notevole ma non così severo da causare la totale incapacità di provvedere ai propri interessi. È implicito che l’infermità debba essere durevole. 2. Coloro che, per prodigalità – abitudine, cioè, a dissipare i propri beni – o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongono sé stessi o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. 3. Il sordo ed il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non abbiano ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’interdizione quando risulta che essi siano del tutto incapaci di provvedere ai loro interessi. L’inabilitazione – che è una forma semplice di limitata capacità di agire – non è obbligatoria come l’interdizione, bensì facoltativa e viene dichiarata da sentenza giudiziaria, con le stesse formalità richieste per l’interdizione. L’inabilitato può: ‐ compiere gli atti non eccedenti l’ordinaria amministrazione dei propri beni ‐ contrarre matrimonio ‐ disporre per testamento Per gli atti eccedenti, è assistito da un curatore. WWW.SUNHOPE.IT 7 Materiale elaborato da Luigi Aronne N.B. L’inabilitazione, come l’interdizione, costituisce un provvedimento revocabile qualora sia cessata la causa per la quale essa è stata pronunciata. Se il magistrato ritiene che l’interdetto abbia riacquistato solo parzialmente e non totalmente la capacità di agire, egli può revocare l’interdizione e dichiarare inabilitato l’infermo medesimo. N.B. La minore età, l’interdizione e l’inabilitazione costituiscono situazioni di incapacità di agire che vengono stabilite dalla legge (incapacità legale). Si parla, invece, di incapacità naturale quando persona legalmente capace –quindi maggiore di età, non interdetta e non inabilitata – si trovi in situazioni cliniche tali che la rendono, in un dato momento, di fatto incapace di comprendere il significato giuridico e le conseguenze degli atti che compie. Tali atti possono essere annullati, su istanza della persona medesima o dei suoi eredi. WWW.SUNHOPE.IT 8 Materiale elaborato da Luigi Aronne Nel sistema di sicurezza sociale, garantito dalla Costituzione, si delineano due fondamentali ordini di intervento, da parte dello Stato, a favore del cittadino che versi in situazioni di bisogno: 1. Interventi di tipo assistenziale 2. Interventi di tipo previdenziale Interventi di tipo assistenziale Sono rivolti a cittadini – anche non lavoratori – invalidi (invalidi civili), non altrimenti tutelati, ed il loro finanziamento è garantito dallo Stato. Sono quindi esclusi dal novero degli invalidi civili: invalidi di guerra, invalidi del lavoro, invalidi per causa di servizio, invalidi pensionabili INPS, ciechi civili e sordi, per i quali provvedono specifici disposti di legge. Interventi di tipo previdenziale Sono rivolti ai lavoratori beneficiari di assicurazioni sociali ed il loro intento è quello di prevenire situazioni di bisogno derivanti dal verificarsi di eventi che il Legislatore individua in infortuni, malattie, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria. Il finanziamento degli interventi previdenziali è di tipo contributivo. Invalidità civile Secondo la legge n. 118, del ‘71, sono considerati mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazione congenita o acquisita, anche a carattere progressivo – compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico ed insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali* – che abbiano subito una permanente riduzione della capacità lavorativa, in misura non inferiore ad un terzo, se si tratta di persone di età compresa fra i 18 ed i 65 anni. I minori di anni 18 e gli ultrasessantacinquenni, sono invece considerati invalidi civili se abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. * La legge n. 118 del ’71, pertanto, escludeva dalla categoria degli invalidi civili, i pz psichiatrici, per i quali era prevista, come tutela, il ricovero in manicomio. Ciò è stato superato con il DL n. 509 dell’88. Il DL n.509 dell’88 precisa che le minorazioni congenite o acquisite, della legge 118 del’71, comprendono gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportino un danno funzionale permanente. I parametri di giudizio, quindi, per la valutazione dell’invalidità civile, nelle persone di età compresa fra 18 e 65 anni, sono: ‐ Danno funzionale permanente, sotteso dall’infermità ‐ Entità della riduzione della capacità lavorativa N.B. Non ha senso parlare di capacità lavorativa generica. Si dovranno, cioè, verificare come le accertate infermità si ripercuotano sulla capacità lavorativa specifica o in occupazioni confacenti alle attitudini della persona esaminata. Il giudizio valutativo conclusivo viene espresso in percentuali di invalidità permanente, considerando le tabelle di legge ed il sistema valutativo tabellare, secondo quanto stabilito nel DM Salute del 5 febbraio del ‘92. N.B. Le nuove tabelle introdotte con tale DM differiscono da quelle riportate nel DL n. 509 dell’88, perché 1. più restrittive in termini di percentuali di invalidità permanente assegnate alle diverse infermità e perché 2. non includono la condizione di tossicodipendenza (a cui veniva assegnata una percentuale di invalidità permanente del 46%). WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne La legge distingue diversi gradi di invalidità, a seconda dei quali sono previsti benefici diversi: ‐ Se l’invalidità è superiore ad un terzo (dal 34% in poi), la persona ha diritto alla qualifica di invalido civile e quindi alla concessione eventuale di prestazioni protesiche ed ortopediche. ‐ Se l’invalidità supera il 45%, la persona ha il diritto all’iscrizione in liste speciali per l’assunzione obbligatoria al lavoro. N.B. Il collocamento lavorativo delle persone invalide, con la Legge Biagi del 2003, è stato reso mirato. Tiene conto, cioè, delle capacità lavorative delle persone invalide, in modo da inserirle nel posto ad esse più adatto, quando disponibile. A differenza del passato, quindi, non ci si attiene più solo alla posizione in graduatoria dell’invalido. ‐ ‐ Se l’invalidità è pari o superiore al 74%, la persona ha diritto all’assegno mensile, come invalido parziale. L’assegno mensile, come invalido parziale, è reddituale nel senso che, per essere percepito, il soggetto non deve disporre di un reddito annuo personale superiore ad una determinata soglia. Se l’invalidità è del 100%, la persona ha diritto alla pensione di invalidità, come invalido totale. Anche la pensione di invalidità, come invalido totale, è reddituale. Un soggetto invalido totale, non deambulante o non autosufficiente, inoltre, ha diritto all’indennità di accompagnamento. Si tratta di un beneficio economico che viene concesso agli invalidi civili totali, nei cui confronti le apposite Commissioni Sanitarie, presso le ASL competenti per territorio, abbiano accertato che si trovino nell’impossibilità di deambulare, senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, o di compiere gli atti quotidiani della vita*, avendo quindi bisogno di un’assistenza continua. Basta che venga accertata l’esistenza anche di una sola delle due condizioni. * Per atti quotidiani della vita bisogna intendere non solo il nutrirsi, il lavarsi ed il vestirsi ma anche la capacità di poter chiedere soccorso, di accendere la tv o la radio. Tra le patologie che rendono il soggetto non più in grado di compiere gli atti quotidiani della vita vi sono, ad esempio, quelle demenziali. L’indennità di accompagnamento: 1. È indipendente dall’età della persona 2. Non è subordinata a limiti di reddito 3. È compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa 4. Non è reversibile (cioè non si trasmette agli eredi dopo la morte dell’invalido) Nel caso di minori di anni 18 e di soggetti ultrasessantacinquenni non ha significato far dipendere il giudizio di invalidità dalla valutazione della residua capacità di lavoro. Si tratta, infatti, di soggetti che non svolgono alcuna attività lavorativa. Per tale motivo, in queste fasce di età, il Legislatore ha indicato, come riferimento valutativo, le difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età considerata. Agli invalidi civili, minori di 18 anni, può esser concessa un’indennità di frequenza o di accompagnamento. Lo scopo dell’indennità di frequenza è quello di fornire un aiuto alle famiglie di minori invalidi che devono sostenere spese legate alla frequentazione di una scuola, pubblica o privata, o di un centro specializzato per terapie o riabilitazione. L’indennità di frequenza viene pagata mensilmente ed il suo importo è stato equiparato a quello dell’assegno mensile, percepito dagli invalidi civili parziali. WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne A differenza della indennità di accompagnamento, l’indennità di frequenza è concessa ai bisognosi. La Legge, quindi, stabilisce un reddito annuo che non deve essere superato, pena la non ricevibilità dell’indennità. N.B. L’indennità di frequenza è concessa anche ai sordi parziali minori di anni 18, quando si riconosce che essi abbiano la necessità di frequentare centri specializzati nel trattamento o nella riabilitazione della specifica infermità. L’indennità di accompagnamento viene concessa ai minori che si trovino nell’impossibilità di deambulare, senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o di compiere gli atti quotidiani della vita, necessitando, quindi, di un’ assistenza continua. Per quanto riguarda gli invalidi civili ultrasessantacinquenni, al compimento del 65° anno di età, in sostituzione dell’assegno e della pensione di invalidità, viene corrisposto, da parte dell’INPS, un assegno sociale, reddituale. All’invalido civile ultrasessantacinquenne, inoltre, può essere concessa un’indennità di accompagnamento, se non deambulante o non autosufficiente. Modalità per ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile La richiesta di riconoscimento dell’invalidità civile può essere presentata: ‐ dall’interessato che si ritiene invalido; ‐ da chi rappresenta legalmente l’invalido (genitore, nel caso di minori; tutore, nel caso di interdetti); ‐ da chi cura gli interessi dell’invalido (curatore, nel caso di inabilitati). La richiesta di riconoscimento dell’invalidità civile va presentata all’INPS territorialmente competente. Dal 1° gennaio 2010 la presentazione della domanda avviene in modo informatizzato ed è necessario coinvolgere, in prima battuta, il medico curante, il cui compito è quello di attestare la natura delle infermità invalidanti, compilando appositi modelli di certificazione (certificato introduttivo), predisposti dall’INPS. Dal 1° gennaio 2010, quindi, il medico curante diviene il medico certificatore. L’invalidità civile è riconosciuta dall’ASL che decide in materia attraverso una specifica Commissione. La Commissione è composta da un medico specialista in medicina legale – che assume le funzioni di presidente – e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. Dal 1° gennaio 2010, la Commissione è integrata da un medico INPS quale componente effettivo. Alla Commissione partecipa, infine, un sanitario in rappresentanza dell’Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi civili (ANMIC). WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne TUTELA DELLE PERSONE AFFETTE DA CECITÀ TOTALE O PARZIALE Rientrano nel novero dei CIECHI CIVILI solo quelli che lo sono dalla nascita e quelli che lo sono divenuti a causa di malattie o di infortuni, escludendo quelli che lo sono diventati per cause di guerra, di servizio o di lavoro, per i quali provvedono altri dispositivi di legge. Secondo la normativa vigente, si definiscono: Ciechi totali 1. Coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi 2. Coloro che hanno la mera percezione dell'ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore 3. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento Ciechi parziali 1. Coloro che hanno un residuo visivo non superiore ad 1/20 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore, anche con eventuale correzione 2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento. Ipovedenti gravi 1. Coloro che hanno residuo visivo non superiore ad 1/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore (anche con eventuale correzione) 2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30%. Ipovedenti medio‐gravi 1. Coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore (anche con eventuale correzione) 2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50%. Ipovedenti lievi 1. Coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell'occhio migliore, anche con eventuale correzione 2. Coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 60%. Le provvidenze economiche per il cieco totale sono la pensione e l'indennità di accompagnamento, data la necessità di assistenza continua, con possibilità di un ulteriore aumento del 45% nel caso di minori ciechi assoluti pluriminorati. I ciechi parziali si distinguono in: ‐ Ventesimisti, che hanno diritto alla pensione di invalidità ‐ Decimisti, che hanno diritto all’assegno di invalidità, sempre se sussistono determinati limiti reddituali previsti dalla legge. WWW.SUNHOPE.IT 4 Materiale elaborato da Luigi Aronne TUTELA DELLE PERSONE AFFETTE DA SORDITÀ La nuova disciplina in favore dei minorati auditivi (Legge n.95 del 2006) stabilisce la sostituzione del termine di sordomuto con quello di sordo in tutte le disposizioni legislative vigenti. Ciò è stato fatto al fine di superare una qualifica impropria sul piano medico‐fisiologico, socialmente discriminante per ragioni culturali e, soprattutto, irrispettosa delle possibilità di miglioramento – in termini di acquisizione del linguaggio parlato – garantite dalla riabilitazione. Agli effetti di tale Legge, si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito, affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva – entro 12 anni – che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica. Si parla quindi di compromissione del normale apprendimento del linguaggio parlato e, non più, di impedimento – come nel testo originario del ’70 – includendo così anche quei casi in cui l’ipoacusia abbia solo ridotto o reso difficoltoso tale apprendimento. Per Decreto Ministeriale, viene ritenuta compromettente il normale apprendimento del linguaggio parlato, un’ipoacusia >/= 75 dB HTL di media tra le frequenze 500, 1000 e 2000 Hz, nell’orecchio migliore. Le prestazioni concesse dall’INPS ai sordi sono: 1. Indennità di comunicazione 2. Pensione Indennità di comunicazione Viene concessa ai sordi per il solo titolo della minorazione, indipendentemente dallo stato di bisogno economico, dall’età o dall’eventuale ricovero in istituto. Ai fini della concessione di quest’indennità, se il richiedente non supera i 12 anni di età, l’ipoacusia deve essere pari o superiore a 60 decibel HTL di media tra le frequenze 500, 1000, 2000 Hz, nell’orecchio migliore. Qualora il richiedente abbia superato tale età, l’ipoacusia deve essere pari o superiore a 75 decibel HTL e deve essere dimostrata l’insorgenza dell’ipoacusia prima del compimento del dodicesimo anno. N.B. Per quanto riguarda i minorenni, l’indennità di comunicazione è incompatibile con l’indennità di frequenza, ammettendo la facoltà di opzione per il trattamento più favorevole. Nel certificato medico che si rilascia ai fini del riconoscimento dell’indennità di comunicazione occorre indicare: 1. Quando si è manifestata la sordità (epoca prelinguale o meno) 2. Grado di sviluppo del linguaggio 3. Valutazione audiometrica recente 4. Possibilità effettive di recupero 5. Necessità di protesi Pensione I requisiti richiesti per aver concessa la pensione come sordo sono: 1. Età compresa tra 18 e 65 anni 2. Prova della sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva (entro 12 anni), con ipoacusia >/= 75 dB HTL di media tra le frequenze 500, 1000 e 2000 Hz, nell’orecchio migliore, che abbia reso difficoltoso il normale apprendimento del linguaggio parlato 3. Reddito annuo personale non superiore ad una certa soglia Al conseguimento del 65° anno di vita la pensione è sostituita dall’assegno sociale. WWW.SUNHOPE.IT 5 Materiale elaborato da Luigi Aronne LEGGE‐QUADRO PER L’ASSISTENZA, L’INTEGRAZIONE SOCIALE ED I DIRITTI DELLE PERSONE HANDICAPPATE (LEGGE 5 FEBBRAIO 1992 n. 104) Secondo la Legge, si considera handicappata, la persona che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di una difficoltà di apprendimento, di vita di relazione e di integrazione lavorativa tale da determinare un processo di svantaggio sociale e di emarginazione. I concetti fondamentali della definizione sono quindi: 1. Minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva (cdt impairment) 2. Difficoltà di apprendimento, della vita di relazione e di integrazione lavorativa (cdt disability) 3. Svantaggio sociale ed emarginazione (cdt handicap) N.B. Il giudizio relativo alla presenza di handicap è di tipo qualitativo e viene formulato valutando l’effettiva integrazione della persona disabile nella vita sociale e lavorativa. Tale giudizio, pertanto, deve essere personalizzato e deve tener conto dell’importanza dei cdt “fattori estrinseci” tra cui rientrano fattori culturali, fattori ambientali e fattori inerenti all’organizzazione scolastica ed al mercato del lavoro. Gli accertamenti sono effettuati dalle Aziende Sanitarie Locali, mediante Commissioni Mediche, integrate da un operatore sociale e da un esperto dei casi da esaminare. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, tanto da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici. Principali diritti riconosciuti alle persone handicappate 1. Diritto all’integrazione scolastica 2. Diritto all’integrazione lavorativa 3. Diritto alla piena integrazione nella vita sociale 4. Diritto ad avere un aiuto personale per lo svolgimento della vita quotidiana per chi non è autosufficiente 5. Diritto a risiedere in speciali comunità alloggio ed in speciali centri socio‐riabilitativi per chi presenti un handicap di grado elevato 6. Diritto di ottenere dai Comuni appositi spazi per parcheggiare la propria auto 7. Diritto alla rimozione di ostacoli che limitano la fruizione di strutture sportive, ricreative, turistiche 8. Diritto di accesso alle informazioni 9. Diritto di portare in detrazione dal reddito complessivo le spese mediche o di assistenza inerenti alla condizione di handicap 10. Diritto all’assistenza specialistica 11. Diritto alla riserva di alloggi L’art. 33 della legge 104/1992, inoltre, stabilisce che la madre lavoratrice o, in alternativa, il padre lavoratore di minore portatore di grave handicap ha diritto al prolungamento, fino a 3 anni, dell’astensione facoltativa dal lavoro. Ulteriori diritti riconosciuti ai genitori di minori con grave handicap sono: 1. Diritto di ottenere permessi anche dopo il compimento del III anno di età 2. Diritto scegliere la sede del lavoro più vicina al domicilio 3. Impossibilità di trasferimento senza il loro consenso ad altre sedi WWW.SUNHOPE.IT 6 Materiale elaborato da Luigi Aronne Assicurazioni sociali Differenze delle assicurazioni sociali rispetto a quelle private 1. Nelle assicurazioni sociali, il soggetto assicuratore è esclusivamente un Ente Pubblico (INAIL o INPS), istituito da apposite leggi dello Stato, che ne controlla la gestione. Nelle assicurazioni private, invece, il soggetto assicuratore è una delle numerose compagnie private che gestiscono il mercato assicurativo e che sono sottoposte alla vigilanza dell’ISVAP (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di interesse collettivo) 2. Nelle assicurazioni sociali, l’assicurante è il datore di lavoro che deve denunciare l’inizio del rapporto di lavoro del dipendente e che deve assicurare quest’ultimo pagando, nei modi e tempi stabiliti, i contributi fissati dalle leggi (le assicurazioni sociali sono, infatti, obbligatorie). Nelle assicurazioni libere, invece, è un cittadino privato che sceglie e sottoscrive una polizza. 3. Nelle assicurazioni sociali, le prestazioni erogate sono automatiche: al realizzarsi del rischio, infatti, esse vengono concesse al lavoratore dipendente, in ogni caso, anche quando il datore di lavoro non abbia adempiuto né agli obblighi di denuncia dell’inizio del rapporto di lavoro né a quelli contributivi. Nelle assicurazioni private, invece, ai fini della validità della garanzia assicurativa, è necessario che l’assicurato fornisca la prova del pagamento della polizza. 4. Le assicurazioni sociali esulano da ogni scopo di lucro. Le assicurazioni private, invece, agiscono secondo le leggi del mercato e del profitto. 5. Nelle assicurazioni sociali, le prestazioni economiche e sanitarie, sono erogate sulla base di criteri uniformi e correlate alla gravità del danno biologico e delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli che ne derivano. Nelle assicurazioni private, invece, le prestazioni sono, generalmente, di carattere economico e variano a seconda dei massimali garantiti dalla polizza. 6. Le assicurazioni sociali non si limitano ad indennizzare i danni derivanti al lavoratore dagli eventi pregiudizievoli che lo colpiscono, ma perseguono anche scopi preventivi, assistenziali e riabilitativi, essendo parte integrante del sistema di sicurezza sociale. WWW.SUNHOPE.IT 7 Materiale elaborato da Luigi Aronne INAIL e assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali Il T.U. per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, contenuto nel D.P.R n.1124 del 1965, stabilisce l’obbligo, per il datore di lavoro, dell’assicurazione contro i danni fisici ed economici che il lavoratore subisce a causa di infortuni sul lavoro e malattie professionali. Dispone inoltre che l’ente pubblico erogante l’assicurazione sia rappresentato dall’INAIL. Il T.U. si articola in 4 titoli, per complessivi 296 articoli, concernenti il settore dell’industria, quello dell’agricoltura, i cdt regimi speciali e particolari categorie di lavoratori. Oggi la tutela viene estesa anche ai lavoratori domestici, alle casalinghe ed ai medici radiologi. Infortunio sul lavoro Gli elementi costitutivi della figura giuridica dell’infortunio sul lavoro, indennizzabile dall’INAIL, sono: 1. L’esistenza del rischio 2. L’occasione di lavoro 3. La causa violenta 4. Il danno lavorativo, per eventi antecedenti al 25 luglio del 2000 5. Il danno biologico e le sue eventuali conseguenze patrimoniali, per gli eventi successivi al 25 luglio del 2000 Esistenza del rischio Per quanto riguarda il concetto di rischio, quest ultimo viene inteso come il grado di probabilità del verificarsi di un evento dannoso. Tuttavia, ai fini della tutela previdenziale, non basta la sola dimostrazione dell’esistenza di un rischio generico. Deve piuttosto trattarsi di un rischio lavorativo o rischio protetto, nel senso che il lavoro deve, esso stesso, condizionare, ed in qualche modo, aggravare la natura e l’entità del rischio. Da un punto di vista tecnico‐assicurativo e giuridico, si parla di: ‐ Rischio generico, per indicare la semplice possibilità del verificarsi di un evento dannoso. È il rischio a cui è sottoposta la generalità degli appartenenti ad una data collettività. Tutti, ad esempio, sono sottoposti al rischio di un terremoto. ‐ Rischio generico aggravato, quando sussiste la probabilità del verificarsi dell’evento stesso. Tale maggiore gravità del rischio deriva dall’attività lavorativa espletata, che costringe il lavoratore ad esporsi a determinati fattori di rischio. Per esempio, gli addetti alla manutenzione delle strade sono più esposti di altre persone ad essere vittima di incidenti stradali. ‐ Rischio specifico, quando la probabilità che si verifichi l’evento dannoso risulta elevata. È un rischio che grava soltanto su coloro che svolgono una certa attività e che quindi dipende dalle particolari caratteristiche dell’attività espletata. Un rischio specifico, ad esempio, sussiste nel caso di lavoratori addetti alla bonifica di campi minati e di elettricisti addetti alla riparazione di impianti o circuiti elettrici. N.B. Affinché sussista la tutela previdenziale è necessario che l’evento dannoso sia correlato ad un rischio generico aggravato o specifico. WWW.SUNHOPE.IT 8 Materiale elaborato da Luigi Aronne Occasione di lavoro Si riferisce al fatto che, per sussistere la tutela previdenziale, l’evento dannoso deve accadere in stretta connessione con il perseguimento delle specifiche finalità di lavoro. Inciso su infortunio in itinere È l’infortunio che il lavoratore subisce nell’andare dalla propria abitazione verso il luogo di lavoro o nel ritornare da esso. Quando, nel corso del tragitto, il lavoratore è esposto al solo rischio generico, come tutti i cittadini, l’eventuale infortunio sarà escluso dalla tutela assicurativa. Se, invece, il compiere tale tragitto comporti un aggravamento del rischio generico o un rischio specifico di lavoro (caso ad esempio della necessità di attraversare a piedi l’unica strada percorribile e particolarmente accidentata), sarà lecito parlare di infortunio indennizzabile. Causa violenta Per causa violenta s’intende qualsiasi fattore o antecedente lesivo che produca il danno, agendo sul corpo umano dall’esterno, in modo sufficientemente intenso e rapido nel tempo. Le caratteristiche della causa violenta sono quindi: 1. Esteriorità La causa del danno deve, cioè, agire dall’esterno e, più precisamente, deve derivare dall’ambiente di lavoro. 2. Sufficiente intensità lesiva La causa deve essere, cioè, quantitativamente idonea a produrre l’effetto dannoso 3. Azione rapida e concentrata nel tempo Si considera concentrata nel tempo, l’azione lesiva di quell’antecedente causale la cui durata non superi quella di un turno di lavoro. Si tratta, questo, di un elemento di giudizio importante ai fini della DD tra infortunio sul lavoro e malattia professionale (nella quale si parla di causa lenta e diluita nel tempo). Le cause di infortunio sul lavoro possono essere di natura: ‐ Fisica (energia meccanica, elettrica, elettromagnetica e termica) ‐ Chimica (sostanze tossiche) ‐ Microbica ‐ Psichica (grave stress emotivo ricollegabile al lavoro svolto dall’assicurato) Danno indennizzabile Può consistere in: 1. Morte dell’assicurato 2. Inabilità permanente assoluta al lavoro 3. Inabilità permanente parziale 4. Inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più 3 gg 5. Danno biologico (allorché si superi la franchigia del 6%) con le eventuali conseguenze patrimoniali N.B. l’indennizzabilità del danno biologico è stata introdotta dall’art.13 del DL n.38 del 2000 e riguarda i soli eventi denunciati a partire dal 25 luglio dello stesso anno. WWW.SUNHOPE.IT 9 Materiale elaborato da Luigi Aronne Inabilità L’inabilità e, cioè, la riduzione o la perdita della capacità lavorativa, rappresenta il parametro di valutazione per stabilire l’indennizzabilità degli eventi infortunistici precedenti al 25 luglio del 2000. Sono indennizzabili INAIL: ‐ Inabilità permanente assoluta ‐ Inabilità permanente parziale ‐ Inabilità temporanea assoluta che comporti l’astensione dal lavoro per più 3 gg Sec. l’art.74 del T.U. 1124/65 deve ritenersi ‐ Inabilità permanente assoluta, la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale che tolga, completamente, e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro. ‐ Inabilità permanente parziale, la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale che diminuisca, in parte, e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro La valutazione dell’inabilità permanente viene fatta tenendo conto delle tabelle valutative annesse al T.U. che riportano, per ciascuna delle menomazioni citate, valori di inabilità permanente, uguali per tutti i lavoratori appartenenti allo stesso settore considerato, senza alcuna differenza a seconda della diversa attività espletata. Caso per caso si valuta , quindi, l’incidenza della menomazione biologica sull’attitudine al lavoro, intesa non in senso specifico né in senso generico. Viene piuttosto riferita a tutte quelle attività che il lavoratore potrebbe svolgere nel settore di appartenenza (industria o agricoltura). N.B. La rendita per inabilità permanente, erogata dall’INAIL, ha la funzione di indennizzare il danno subito dal lavoratore, non per le conseguenze fisiche o psichiche in sé, ma per le ripercussioni negative che da esso derivano sull’attitudine al lavoro proficuo dell’assicurato (danno lavorativo). La rendita per inabilità permanente, quindi, costituisce, per l’assicurato, un corrispettivo economico della ridotta capacità di trarre un guadagno dalla propria forza lavoro. Pertanto, prima delle recenti norme (DL n.38/2000), restavano esclusi il danno estetico e quello della funzione sessuale. Danno biologico Consiste nella menomazione della integrità psico‐fisica della persona – comprensiva degli aspetti personali e dinamico‐relazionali, passibili di accertamento e di valutazione medico‐legale – ed indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito. Con DL n.38 del 2000, quello biologico, diventa il tipo di danno da valutare, ai fini dell’indennizzo, per gli infortuni sul lavoro verificatisi dal 25 luglio del 2000. ‐ Se il grado di menomazione della integrità psico‐fisica della persona è inferiore al 6%, il lavoratore non ha diritto a nessun indennizzo. ‐ Se il grado di menomazione della integrità psico‐fisica della persona è pari o superiore al 6% e sino al 15% compreso, vi sarà un indennizzo in capitale del solo danno biologico. ‐ Se il grado di menomazione della integrità psico‐fisica della persona è pari o superiore al 16%, si costituirà una rendita, di cui una quota, per danno biologico ed un quota aggiuntiva, per le conseguenze patrimoniali della menomazione. WWW.SUNHOPE.IT 10 Materiale elaborato da Luigi Aronne Il decreto in questione è completato dalle seguenti tabelle: 1. Tabella delle menomazioni, per la valutazione del danno biologico, in cui rientrano anche menomazioni dell’integrità psico‐fisica che, nel passato, non erano considerate (caso del danno estetico e del danno alla sfera riproduttiva e sessuale). 2. Tabella di indennizzo del danno biologico È improntata ai seguenti criteri: 1) È areddituale. Si presume, cioè, che il grado di menomazione dell’integrità psico‐fisica produca lo stesso pregiudizio alla salute in tutti gli essere umani, indipendentemente dal diverso reddito da lavoro prodotto. 2) È crescente, nel senso che l’indennizzo cresce, col crescere del grado di menomazione. 3) È variabile a seconda dell’età (decresce, cioè, con il crescere degli anni, per la diminuzione del tempo di vita residua) e del sesso (per la maggiore longevità delle donne). 4) È ugualmente valida per tutti i settori lavorativi (industria e agricoltura) 3. Tabella dei coefficienti Serve per calcolare l’ulteriore quota di rendita, qualora il danno biologico abbia anche conseguenze patrimoniali. Tale quota aggiuntiva viene commisurata all’incidenza della menomazione sulla capacità dell’infortunato di produrre reddito, grazie al proprio lavoro. Tiene conto del settore di appartenenza dell’assicurato e della sua ricollocabilità in esso. WWW.SUNHOPE.IT 11 Materiale elaborato da Luigi Aronne NESSO CAUSALE NELL’INFORTUNISTICA INAIL La causalità (rapporto, cioè, tra antecedente e susseguente), nell’infortunistica INAIL, deve essere valutata sulla basa dei seguenti criteri di giudizio: 1. Criterio cronologico, per il quale l’epoca in cui i postumi o gli esiti dannosi si consolidano, deve essere compatibile con la natura, l’entità e la modalità d’azione della causa. 2. Criterio quantitativo, secondo cui occorre che vi sia adeguatezza fra l’intensità della forza lesiva e l’entità degli effetti prodotti. 3. Criterio qualitativo, secondo cui deve esserci compatibilità tra la natura della causa e quella delle manifestazioni cliniche prodotte. 4. Criterio modale, secondo cui la causa deve agire in modo rapido e concentrato nel tempo (turno lavorativo). 5. Criterio topografico, secondo cui deve esserci corrispondenza fra le sedi di applicazione del trauma e quelle delle manifestazione cliniche. 6. Criterio della continuità fenomenologica, secondo cui deve esistere un continuum di sintomi e di segni clinici fra la lesione iniziale e gli esiti dannosi finali. 7. Criterio di esclusione 8. Criterio epidemiologico Condizioni necessarie ma non sufficienti a produrre un evento vanno sotto il nome di concause Le concause possono essere: ‐ preesistenti ‐ simultanee ‐ sopravvenute ‐ di lesione ‐ di infortunio. Si parla di concause preesistenti di lesione quando le conseguenze lesive dirette dell’infortunio si innestano su di una condizione morbosa preesistente, indipendente dall’infortunio stesso, con la conseguenza di produrre effetti lesivi più gravi di quelli che il semplice evento infortunistico avrebbe prodotto da sé solo. Esempi: diabete o emofilia preesistenti che complicano il decorso di un banale infortunio. Concause simultanee o sopravvenute di lesione sono, ad esempio, rappresentate dalle conseguenze dannose di una cattiva assistenza o di un inadeguato trattamento. Per quanto riguarda le concause sopravvenute di lesione, esse escludono il rapporto causale solo quando sono estranee al lavoro e da sé sole sufficienti a determinare l’evento. WWW.SUNHOPE.IT 12 Materiale elaborato da Luigi Aronne Le concause di infortunio sono quelle che aumentano il rischio del verificarsi dell’evento infortunistico. Esempi: preesistenti deficit deambulatori e visivi. N.B. Le concause di infortunio non escludono il rapporto di causalità ed anzi, in alcuni casi, l’aggravamento del rischio di infortunio, dovuto a condizioni cliniche pre‐esistenti del lavoratore, può configurare una fattispecie di colpa per il datore di lavoro. Malattia Professionale Si definiscono malattie professionali, del lavoro o tecnopatie quelle che colpiscono i lavoratori assicurati INAIL, esposti in modo protratto al rischio tutelato (rischio generico aggravato e rischio specifico) e per le quali sia certa la derivazione causale dall’attività espletata. In particolare, l’assicurato deve contrarre la tecnopatia “nell’esercizio” ed “a causa della lavorazione espletata” oppure “a causa di una specifica noxa patogena (piombo, cromo, idrocarburi, …)” verso cui è esposto, per l’assolvimento della propria attività. N.B. La causa delle malattie professionali può essere la stessa degli infortuni sul lavoro. Quel che cambia è la diversa modalità d’azione della causa: ad esempio, una determinata noxa patogena, come una sostanza tossica presente nella lavorazione, potrà causare un infortunio sul lavoro, se agisce in modo rapido e concentrato nel tempo (intossicazione acuta) oppure una malattia professionale, se agisce in modo lento, reiterato o protratto nel tempo (intossicazione cronica). Nelle malattie professionali, quindi, la causa è diluita, con il lavoratore che risulta esposto al rischio lavorativo per l’intero arco della sua attività. Ne deriva che, mentre negli infortuni sul lavoro, l’eziologia professionale è generalmente accertabile con una certa facilità, più difficile diventa accertare il nesso causale con l’attività lavorativa, nel caso delle malattie professionali. Per tale motivo, il Legislatore, ha scelto inizialmente di fondare la tutela delle malattie professionali sul sistema della lista chiusa. Secondo tale sistema, sono ritenute malattie professionali, solo quelle tassativamente elencate in apposite tabelle, allegate al TU 1124/65 e riferite ad attività o lavorazioni anch’esse riportate in tabella, sempre che si manifestino entro un determinato intervallo di tempo dal momento della cessazione della lavorazione morbigena (cosiddetto periodo massimo di indennizzabilità). Perché si dia luogo alla rendita INAIL, occorre inoltre che dalla malattia professionale in questione debba essere derivato un danno biologico =/> 6% – per gli eventi denunciati dopo il 25 luglio 2000 – o un’inabilità permanente in misura pari o superiore all’11%, per gli eventi denunciati in precedenza. Il sistema della lista chiusa, tuttavia, presenta notevoli inconvenienti in quanto la tutela è limitata tassativamente alle sole malattie elencate nella lista. È intervenuta pertanto la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 179 del 1988, ha esteso la tutela assicurativa delle malattie professionali anche a quelle non comprese nelle tabelle di legge, sempre che sia dimostrato, con certezza, il nesso di causalità tra la malattia stessa e l’attività lavorativa. L’onere della prova spetta al lavoratore che richiede la rendita. L’attuale sistema di tutela si definisce, quindi, misto poiché ammette sia l’indennizzabilità delle malattie contemplate nel sistema di lista chiusa sia di quelle per le quali venga dimostrato il nesso causale con la lavorazione espletata (sistema di lista aperta). WWW.SUNHOPE.IT 13 Materiale elaborato da Luigi Aronne La stessa sentenza della Corte Costituzionale, inoltre, ha definito illegittimo il cdt “periodo massimo di indennizzabilità”. Pertanto, anche il periodo massimo di indennizzabilità può essere diverso da quello stabilito nelle tabelle di legge, purché si fornisca la prova dell’esistenza del nesso causale. Valutazione del rapporto di causalità nelle malattie professionali Relativamente alla valutazione del nesso causale, va detto che le malattie professionali differiscono dagli infortuni in termini di influenza del lavoro nella genesi del danno: mentre negli infortuni il lavoro funge da mera occasione del danno – che deriva da un evento fortuito, imprevisto ed abnorme – nelle malattie professionali, il lavoro rappresenta, esso stesso, non solo l’occasione ma, anche, la causa specifica del danno. Nelle malattie professionali, pertanto, il danno – essendo intrinseco alla stessa lavorazione – non è mai imprevisto, bensì imprevedibile. Proprio perché la malattia professionale non rappresenta un evento fortuito, gli stessi datori di lavoro devono impegnarsi nella tutela preventiva della salute del lavoratore. Ove si accerti una colpa del datore del lavoro nella mancata adozione di misure preventive, esso potrà essere chiamato in causa dal lavoratore, per il risarcimento integrale del danno biologico e dall’INAIL, per la rivalsa di quanto corrisposto al lavoratore come indennizzo. Esempi di malattie professionali Pneumoconiosi Malattie polmonari causate dall’accumulo di polveri inorganiche. Esempi: Silicosi, dovuta all’inalazione di silice cristallina o di silice libera Asbestosi, dovuta all’inalazione di polveri d’amianto Pneumoconiosi da silicati (escluso l’asbesto) e calcari Per le pneumoconiosi, non è prevista l’indennità per inabilità temporanea assoluta, ma solo un assegno giornaliero per i giorni in cui il lavoratore deve sottoporsi ad accertamenti diagnostici. Infatti, una volta raggiunta la certezza diagnostica della malattia, si presume che il danno sia valutabile in termini di permanenza, vista l’impossibilità di una reversione clinica. Sordità e ipoacusie professionali da rumore L’attività lavorativa è considerata genericamente dannosa quando espone il lavoratore a rumori subcontinui di intensità che oscilla intorno agli 80 decibel. I rumori di più alta intensità (oltre gli 80 decibel) sono da considerarsi certamente dannosi, specie se la persona vi rimane esposta per tutto l’arco lavorativo giornaliero. Il DL 277/91 stabilisce una soglia minima di 80 decibel oltre la quale il datore di lavoro ha l’obbligo di informare il lavoratore del rischio a cui è esposto, di assumere le dovute misure di prevenzione e sicurezza e di sorvegliare che esse vengano rispettate. La diagnosi di otopatia da rumore si fonda sui dati anamnestici e sui reperti dell’audiometria tonale, effettuata almeno 15 ore dopo la cessazione dell’attività lavorativa. Viene considerata un danno irreversibile poiché le cellule acustiche non sono cellule che si riproducono. WWW.SUNHOPE.IT 14 Materiale elaborato da Luigi Aronne Prestazioni erogate dall’INAIL Accertata l’esistenza del diritto, le prestazioni erogate dall’INAIL, sono automatiche, vengono cioè concesse al lavoratore automaticamente ed indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro abbia o meno soddisfatto l’obbligo contributivo. Possono esser distinte in due categorie: Sanitarie Economiche Le prestazioni sanitarie consistono in: 1. Cure mediche e cure chirurgiche ordinarie, fornite dalle strutture del S.S.N. 2. Cure specifiche disposte dall’INAIL, al fine di recuperare la capacità lavorativa 3. Forniture e rinnovo di protesi, se utili a ridurre il grado di inabilità permanente 4. Avviamento alle cure termali L’assicurato non è mai obbligato a curarsi. Sono, tuttavia, previste conseguenze di ordine economico qualora non sussistono giustificati motivi a fondamento del suo rifiuto. Prestazioni di ordine economico 1. Indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta, a partire dal IV giorno, mentre i primi 3 giorni sono a carico del datore del lavoro. Non viene concessa nel caso di silicosi e di asbestosi tranne che per i soli giorni necessari ad eseguire gli accertamenti diagnostici. 2. Indennizzo in capitale o rendita per l’inabilità permanente assoluta o parziale, allorché l’inabilità permanente superi il 10%. Per gli eventi successivi al 25 luglio del 2000, indennizzo in capitale o rendita per danno biologico con franchigia =/> 6% ed eventuali conseguenze patrimoniali (dal 16% in poi). 3. Assegno per l’assistenza personale continuativa agli invalidi del lavoro al 100% 4. Rendita ai superstiti, più assegno “una tantum”, nel caso di morte del lavoratore 5. Assegno continuativo erogato alla vedova o agli orfani di un grande invalido del lavoro (80%), nel caso in cui la morte sia avvenuta per cause non dipendenti dall’infortunio o dalla malattia professionale 6. Rendita di passaggio Viene riconosciuta solo per silicosi ed asbestosi e solo per un anno. È motivata dal fatto che, quando il lavoratore abbandona il lavoro, è costretto a cercarsi una nuova occupazione che non comporti il rischio pneumoconiotico. Nel periodo di passaggio gli viene riconosciuto il diritto a questa particolare previdenza economica. 7. Assegno di incollocabilità Viene concesso a coloro che abbiano: ‐ Riduzione della capacità lavorativa in misura non inferiore al 34% ‐ Età non superiore a quella prevista per essere ammesso al collocamento d’obbligo (55 anni) ‐ Impossibilità di beneficiare dell’assunzione obbligatoria a motivo della natura o del grado di invalidità permanente. WWW.SUNHOPE.IT 15 Materiale elaborato da Luigi Aronne N.B. La prestazione INAIL costituisce indennizzo e non risarcimento. L’indennizzo, infatti, è il pagamento dovuto ad un soggetto per un pregiudizio da lui subito che, però, non consegue ad un atto illecito e quindi a responsabilità civile. Ciò consente all’INAIL di: ‐ Applicare la franchigia (parte di danno che resta a carico dell’assicurato) ‐ Non tenere conto, in nessun caso, del cdt “danno morale”. Istituto della revisione La rendita per inabilità permanente o per danno biologico può essere sottoposta a revisione su richiesta dell’assicurato (revisione attiva) oppure su disposizione dell’Istituto (revisione passiva). In caso di infortunio, la revisione può essere richiesta entro 10 anni dalla costituzione della rendita; in caso di malattia professionale, entro 15 anni. Grandi invalidi del lavoro Coloro che, in conseguenza di un infortunio sul lavoro o di malattia professionale, riportino un’inabilità permanente pari o superiore all’80%. In aggiunta a quelli ordinari concessi dall’INAIL, sono previsti trattamenti speciali. Consistono essenzialmente in prestazioni economiche integrative alla rendita DIFFRENZE INFORTUNIO SUL LAVORO/MALATTIA PROFESSIONALE Infortunio sul lavoro Malattia professionale Il lavoro funge da mera occasione del danno che, pertanto costituisce un evento fortuito, imprevisto ed abnorme Il lavoro rappresenta, esso stesso, non solo l’occasione ma, anche, la causa specifica del danno. Sono infatti professionali quelle malattie contratte nell’esercizio ed a causa della lavorazione espletata oppure a causa di una specifica noxa patogena verso cui il lavoratore è esposto per l’assolvimento della propria attività. Il danno, quindi, essendo intrinseco alla stessa lavorazione non è mai imprevisto, bensì prevedibile. La causa agisce in modo rapido e concentrato nel tempo La causa agisce in modo lento, reiterato o protratto nel tempo WWW.SUNHOPE.IT 16 Materiale elaborato da Luigi Aronne INPS L’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) è un ente pubblico deputato ad erogare prestazioni di tipo previdenziale e di tipo assistenziale. Le prestazioni previdenziali INPS traggono il loro fondamento da un rapporto assicurativo obbligatorio che devono contrarre tutti i lavoratori dipendenti, pubblici o privati, e quei lavoratori autonomi privi di una propria cassa previdenziale. Si tratta, quindi, di prestazioni che vengono riservate a lavoratori ed il cui finanziamento è di tipo contributivo. L’erogazione di tali prestazioni è subordinata al verificarsi di eventi legalmente qualificati, quali: vecchiaia, invalidità, inabilità, ecc… La tutela previdenziale INPS, pertanto, riguarda, almeno in parte, il prodursi di eventi certi, come la vecchiaia. 1 Ciò la differenzia dall’assicurazione obbligatoria INAIL che tutela eventi (infortuni sul lavoro e malattie professionali) il cui verificarsi è sempre incerto. 2 Un’ulteriore differenza risiede nel fatto che, in sede INPS, l’invalidità e l’inabilità tutelate vengono prese in considerazione indipendentemente dalla loro eventuale connessione con il lavoro. In sede INAIL, invece, gli eventi tutelati devono sempre trovarsi in relazione con l’attività lavorativa svolta che, negli infortuni sul lavoro, funge da mera occasione del danno; nelle malattie professionali, da occasione e da causa specifica dello stesso. 3 L’INPS differisce dall’INAL anche per come viene intesa la capacità lavorativa. In sede INPS, infatti, si valuta l’incidenza della menomazione sulla capacità del soggetto di svolgere occupazioni confacenti alle sue attitudini. In sede, INAIL, invece, si valuta l’incidenza della menomazione sulla capacità del lavoratore di svolgere ogni possibile attività prevista dal settore di appartenenza (industria o agricoltura). L’INAIL si prefigge infatti di stabilire se il lavoratore sia o meno ricollocabile in esso. Le prestazioni di natura previdenziale erogate dall’INPS sono: 1. Pensione di vecchiaia, concessa all’assicurato al raggiungimento dell’età pensionabile 2. Pensione di reversibilità, indirizzata agli aventi diritto dopo la morte del lavoratore assicurato 3. Assegno ordinario di invalidità, la cui concessione è subordinata al riconoscimento dello status di invalido pensionabile INPS. Viene riconosciuto invalido pensionabile INPS, l’assicurato la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini sia ridotta in modo permanente, a causa di infermità, difetto fisico o mentale, a meno di un terzo. Per la concessione dell’assegno ordinario di invalidità si valutano: 1) Sussistenza dei requisiti contributivi. Occorrono, infatti, almeno cinque anni di contribuzione, di cui tre nel quinquennio che precede la richiesta di pensionamento 2) Natura e gravità delle infermità e dei difetti fisici e psichici 3) Permanenza di tali infermità 4) Attitudini lavorative dell’assicurato 5) Riduzione permanente della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato 6) Misura di tale riduzione che deve essere > 66% della predetta capacità I benefici previdenziali vengono pertanto concessi con maggiore facilità di quelli assistenziali. Per ottenere infatti l’assegno mensile come invalido civile parziale (prestazione assistenziale) è richiesta una riduzione permanente della capacità lavorativa, non dal 67%, ma dal 74% in poi. La ragione di ciò risiede nel fatto che il finanziamento delle prestazioni previdenziali è di tipo contributivo. WWW.SUNHOPE.IT 17 Materiale elaborato da Luigi Aronne L’assegno ordinario di invalidità è: ‐ Ancora cumulabile con la retribuzione, ma fino all’importo pari al minimo di pensione. ‐ Incompatibile con il trattamento a favore degli invalidi civili parziali. ‐ Non reversibile ‐ Concesso per tre anni, rinnovabili, qualora permangono le condizioni di invalidità. Dopo tre riconoscimenti consecutivi, l’assegno verrà automaticamente confermato. La trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia avviene al compimento dell’età pensionabile. Le infermità che giustificano la concessione dell’assegno ordinario di invalidità, in ordine di frequenza decrescente, sono: 1) Malattie cardiovascolari 2) Patologie osteo‐articolari 3) Broncopneumopatie croniche 4) Affezioni del sistema neuro‐psichico 5) Tumori 4. Pensione di inabilità, la cui concessione è subordinata al riconoscimento dello status di inabile pensionabile INPS. Si considera inabile, l’assicurato il quale, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa Viene calcolata come se l’assicurato avesse versato contributi fini al raggiungimento dell’età pensionabile per vecchiaia. È incompatibile con: ‐ Compensi o retribuzioni per il lavoro autonomo e subordinato ‐ Iscrizioni negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli, dei lavoratori autonomi, nonché negli albi professionali ‐ Trattamenti di disoccupazione ordinaria e speciale, di cassa integrazione, per temporanea incapacità di lavoro. È reversibile ai superstiti. 5. 6. 7. 8. Assegno privilegiato di invalidità e pensione privilegiata di inabilità Tali prestazioni previdenziali vengono erogate quando: ‐ l’invalidità e l’inabilità risultano in rapporto diretto con finalità di servizio (causa di servizio). ‐ dall’evento non deriva un diritto di rendita a carico dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Pensione privilegiata ai superstiti, se la morte dell’assicurato dipende da causa di servizio Assegno una tantum ai superstiti, se l’assicurato deceduto non aveva i requisiti contributivi minimi Assegno integrativo speciale per l’assistenza personale e continuativa Viene concesso ai pensionati per inabilità, non deambulanti o non capaci di svolgere atti ordinari della vita quotidiana. Non è reversibile. 9. Indennità ordinaria oppure sussidio straordinario, nel caso di disoccupazione involontaria 10. Sussidio per la tubercolosi WWW.SUNHOPE.IT 18 Materiale elaborato da Luigi Aronne 11. Indennità di malattia, per i lavoratori dipendenti ammalati, dopo i terzo giorno 12. Assegno per il nucleo familiare Si concede per i familiari a carico 13. Retribuzione del lavoratore, nei casi di sospensione o di riduzione dell’attività di impresa, dipendenti da impossibilità soggettiva sopravvenuta o da forza maggiore 14. Trattamento di fine rapporto 15. Pagamento dei crediti di lavoro, dovuti negli ultimi 3 mesi, in caso di insolvenza del datore di lavoro Il titolare delle prestazioni riconosciute dall’INPS può essere sottoposto ad accertamenti sanitari per la revisione dello stato di invalidità o di inabilità, ad iniziativa dell’INPS. La revisione può essere richiesta anche dall’interessato in caso di mutamento delle condizioni che hanno dato luogo al trattamento in atto, comprovato da apposita certificazione sanitaria. Ove l’interessato rifiuti, senza giustificato motivo, di sottoporsi agli accertamenti disposti dall’INPS, quest’ ultimo sospende il pagamento delle rate di assegno o di pensione. Quando a seguito della revisione risulti che l’interessato non possa ulteriormente essere considerato invalido o inabile, la prestazione viene revocata. Norme in tema di lavoro usurante Debbono considerarsi lavori usuranti quelli per il cui svolgimento è richiesto un impiego psico‐fisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee. Per coloro che svolgono lavori usuranti, il limite di età pensionabile è anticipato di 2 mesi per ogni anno di lavoro fino ad un massimo di 5 anni di occupazione. Sono considerate attività particolarmente usuranti quelle concernenti l’espletamento di: ‐ Lavoro notturno continuativo ‐ Lavori alle linee di montaggio con ritmi vincolanti ‐ Lavori in galleria, cave o miniere ‐ Lavori espletati dal lavoratore in spazi ristretti ‐ Lavori in altezza È stato stabilito che a tali lavori sono assimilati quelli svolti dal personale addetto ai reparti di pronto soccorso, rianimazione e chirurgia d’urgenza. L’INPS, inoltre, eroga prestazioni di natura assistenziale indirizzate al sostegno di ogni persona, lavoratrice o no, che si trovi in uno stato di bisogno. Tali prestazioni attingono i propri mezzi dal finanziamento pubblico (imposte fiscali). Tra le prestazioni di natura assistenziale erogate dell’INPS rientrano: 1. Prestazioni relative ad invalidità civile 2. Pensione sociale, concessa agli anziani oltre il 65° anno di età che non abbiano altra pensione o reddito. La legge 335/95 dispone che in luogo di detta pensione venga erogato un assegno sociale. N.B. Le prestazioni assistenziali non sono: 1) reversibili ai superstiti, 2) cedibili, 3) prorogabili, 4) sequestrabili WWW.SUNHOPE.IT 19 Materiale elaborato da Luigi Aronne Reato “Ogni fatto illecito al quale l'ordinamento giuridico collega come conseguenza una pena” Secondo l’Art. 39 del c.p., i reati si distinguono, dicotomicamente, in delitti e contravvenzioni, sulla base della qualità delle pene comminate: I delitti sono i reati più gravi, puniti con l’ergastolo, la reclusione o la multa Le contravvenzioni sono i reati meno gravi, puniti con l’arresto o l’ammenda Terminologia Oggetto del reato Individuo o cosa su cui cade l'azione del reo. Soggetto attivo del reato Individuo che compie l'azione o l’omissione alla base del reato stesso. Il c.p. indica il soggetto attivo coi nomi di agente, di colpevole, di autore, di reo. Soggetto passivo del reato Titolare del bene o interesse protetto dalla legge: persona offesa dal reato o vittima Danneggiato Qualunque persona alla quale il reato ha cagionato un danno. Elementi costitutivi del reato Si distinguono in ESSENZIALI ed ACCIDENTALI. Gli elementi ESSENZIALI sono quelli indispensabili per l'esistenza del reato stesso. Comprendono un elemento materiale o oggettivo ed un elemento psicologico o soggettivo. L’elemento materiale o oggettivo del reato si compone di una condotta e di un evento, con quest ultimo che deve essere legato alla condotta da un rapporto di causalità. L’elemento psicologico o soggettivo del reato può assumere le diverse forme del dolo, della colpa e della preterintenzione il cui comune presupposto è comunque quello della coscienza e della volontà della condotta. Secondo questa bipartizione, quindi, il reato richiede "una volontà colpevole e un fatto materiale". Considerando l’elemento materiale del reato, ‐ per condotta, s’intende il comportamento umano che produce o non impedisce una modificazione del mondo esteriore; ‐ per evento, s’intende la modificazione del mondo esteriore prodotta o non impedita dalla condotta umana N.B. Tra la condotta e l’evento è necessario che sussista un nesso di causalità. Secondo l’articolo 40 del Codice Penale (nesso di causalità), infatti: “Nessuno può essere punito per un fatto, preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne Il nesso di causalità consiste nel nesso che intercorre tra due fenomeni, di cui uno assume la qualità di causa, l’altro di effetto. La causa può essere definita come l’antecedente, necessario e sufficiente a produrre l’effetto: fenomeno susseguente, legato in modo invariabile ed incondizionato all’antecedente. Requisiti fondamentali della causa sono quindi: 1. Antecedenza Il requisito dell’antecedenza è comprensibile in quanto un fenomeno non può produrne un altro se non lo precede nel tempo. L’antecedenza, tuttavia, non esprime di per sé un nesso causale: essa può infatti indicare un rapporto sia cronologico che eziologico, a seconda se si abbia una semplice successione o una vera connessione di fenomeni. 2. Necessità È un elemento di definizione negativo, ossia un criterio di esclusione. È necessario tutto ciò che non può essere eliminato senza l’eliminazione parziale o totale del risultato. Il requisito della necessità implica quindi che, senza l’intervento del fenomeno antecedente, quello susseguente non avrebbe potuto prodursi. 3. Sufficienza È un elemento di definizione positivo, rappresentando l’idoneità effettuale e, cioè, l’intrinseca attitudine a cagionare un determinato evento. Un fenomeno si dice sufficiente quando è capace di produrre un evento da solo, senza bisogno che intervenga un altro fenomeno. N.B. La causa differisce da una concausa poiché quest ultima, pur trattandosi di un antecedente necessario, non è da sola sofficiente alla produzione dell’evento dannoso. Si riconoscono: ‐ Concause preesistenti ‐ Concause simultanee ‐ Concause sopravvenute Le concause preesistenti possono esser distinte in: Anatomiche Esempi: decorso anomalo di un vaso; situs viscerum inversus; organi in sede ectopica Fisiologiche Esempi: fragilità ossea dovuta al fisiologico processo di invecchiamento; fisiologica distensione della vescica che può concorrere alla rottura del viscere, in occasione di traumi. Patologiche Esempio: aneurisma aortico, che può esser responsabile della morte del portatore, per rottura, in seguito ad un trauma toracico contusivo, anche di modesta entità Un esempio di concausa simultanea è quello di una ferita inferta con uno strumento contaminato. In questo caso, il colpevole dovrà rispondere, oltre che della ferita, anche del quadro infettivo causato dagli agenti microbici contaminanti lo strumento. WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne Un esempio di concausa sopravvenuta è quello di una persona ferita in modo non grave che muore per una successiva complicanza settica della ferita stessa. In questo caso, il feritore sarà comunque chiamato a rispondere della morte del soggetto, anche se a titolo diverso di quello di omicidio doloso. N.B. Secondo l’articolo 41 del Codice Penale: “Il concorso di (con)cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento. Le (con)cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità unicamente quando sono state da sé sole sufficienti a determinare l’evento” Più precisamente, ai fini dell’interruzione del rapporto di causalità, le concause sopravvenute devono, possedere i seguenti attributi: 1. Eccezionalità e, perciò, imprevedibilità 2. Atipicità. Deve essere cioè intervenuto un qualcosa di nuovo rispetto alla normale evoluzione di un certo quadro morboso. 3. Indipendenza dal fatto del colpevole 4. Capacità di essere da sé sole sufficienti a determinare l’evento È questo il caso del decesso di una persona ferita durante la degenza in Ospedale, per crollo dello stesso. N.B. Nel valutare il valore causale effettivo da attribuire ad un determinato antecedente lesivo, va considerata la circostanza dell’occasione. Relativamente al concetto di occasione, bisogna distinguere tra l’occasione, intesa come momento sciogliente o liberatore, dal cdt momento rivelatore. L’occasione, intesa come momento sciogliente o liberatore, è caratterizzata 1. dall’essere l’ultimo degli antecedenti causali 2. dalla sua teorica sostituibilità, risultando quindi generica 3. dall’assenza di capacità lesiva nell’uomo sano 4. dalla sua equiparabilità agli atti ordinari della vita 5. dall’esiguità del fatto lesivo rispetto alla gravità dell’effetto dannoso Si tratta, quindi, di un antecedente – l’ultimo – dotato di una sia pur minima efficienza causale che rende possibile la messa in azione della reale causa di un evento già maturo per la sua realizzazione. Può pertanto essere equiparato alla classica “goccia” che fa traboccare un vaso ormai colmo. Un esempio di occasione, intesa come momento sciogliente o liberatore, è l’emozione o il minimo sforzo che porta alla morte improvvisa, un soggetto affetto da una grave cardiopatia ischemica, che costituisce la reale causa della morte. Il momento rivelatore è invece quella circostanza che accidentalmente richiama l’attenzione su di un fenomeno prodotto da altri fattori causali. Risulta quindi privo di una qualsivoglia efficienza causale relativamente al fenomeno considerato. Un esempio è quello di trauma, in occasione del quale, per l’esecuzione di una radiografia del torace, si scopre una neoplasia polmonare. Coincidenza Circostanza di luogo o di tempo indifferente alla messa in azione della causa ed alla produzione dell’evento WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne Criteri da seguire nella valutazione del rapporto causale 1. Criterio cronologico, secondo cui: Occorre dimostrare che tra la possibile causa e l’evento dannoso sia trascorso un lasso di tempo sufficiente ai fini dell’ammissione del nesso causale 2. Criterio qualitativo, secondo cui: La qualità dell’antecedente lesivo deve essere compatibile con la qualità dell’effetto prodotto. Ad esempio la somministrazione di un certo veleno causerà l’insorgenza di determinati disturbi e non di altri 3. Criterio quantitativo, secondo cui: L’entità dell’azione lesiva iniziale deve essere compatibile con la gravità dell’effetto prodotto, tenendo comunque conto della variabilità soggettiva dello stato anteriore. 4. Criterio modale, secondo cui: Vi deve essere corrispondenza tra la sede di applicazione di un trauma o la via di somministrazione di un farmaco e la modalità di comparsa di certi disturbi 5. Criterio della continuità fenomenologica, secondo cui: Vi deve essere un continuum di sintomi e segni tra lesione iniziale e danno conclusivo. È tuttavia nota l’esistenza di sindromi con intervallo libero (es. ematoma extradurale post‐traumatico) 6. Criterio di esclusione, secondo cui: Occorre che si escluda l’importanza di altri fattori causali, diversi da quelli considerati, nel determinismo dell’evento dannoso in esame. Nessuno criterio è però da solo sufficiente a provare l’esistenza del nesso causale. Solo la concordanza dei dati, che emergono dall’analisi dei vari criteri, può condurre ad un giudizio motivato in materia di ammissione o esclusione del nesso causale. WWW.SUNHOPE.IT 4 Materiale elaborato da Luigi Aronne Elemento psicologico del reato È un elemento essenziale – quindi indispensabile – del reato che consiste nella coscienza e nella volontà della condotta attiva o omissiva, responsabile dell’evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza del reato. Ciò trova riscontro nell’articolo 42 del C.P. secondo cui “nessuno può essere punito per un'azione o un’omissione, prevista dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà”. È pertanto richiesta l’esistenza di un nesso psichico tra l’agente ed il fatto il quale si viene a creare: 1. tutte le volte che la condotta è posta in essere volontariamente e 2. quando, anche se non sussisteva tale esplicita volontà, la condotta integrante il reato poteva essere evitata dal soggetto con uno sforzo del volere. Ci si riferisce, in questo caso agli atti abituali o automatici ed a quelli compiuti in stato emotivo L’elemento psicologico del reato può assumere diverse forme – dolo, colpa e preterintenzione – distinguibili in base alla volontà o intenzione dell’autore di cagionare l’evento dannoso o pericoloso (art. 43 C.P.) Dolo È la forma più tipica di volontà colpevole. Consiste nella previsione e nella volontà dell’evento quale conseguenza della propria azione od omissione. Si distinguono: ‐ Dolo intenzionale (diretto): in cui vi sono previsione e volontà dell’evento ‐ Dolo eventuale (indiretto): in cui vi è la previsione ma non la volontà dell’evento, pur accettandone il rischio (caso ad esempio di un automobilista in fuga tra la folla). È al confine con la colpa cosciente, in cui l’autore prevede l’evento, ma non lo ritiene probabile, in virtù delle proprie capacità e abilità. La linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa cosciente consiste quindi nel diverso atteggiamento psicologico dell'agente: Nel primo caso, infatti, l’agente accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente voluto. Nel secondo caso, invece, respinge il rischio, confidando nella propria capacità di controllare l'azione. Preterintenzione Si caratterizza per la volontà di un evento minore, che ne rappresenta la base dolosa, e la non volontà di un evento più grave, neppure a titolo di dolo eventuale. Colpa Nella colpa, l’autore non vuole l’evento ma lo determina per Negligenza: violazione di norme che negligenza, imprudenza, imperizia (colpa generica) o per non aver prescrivono determinate modalità di osservato leggi, regolamenti, ordini, discipline (colpa specifica). condotta. N.B. Vi è colpa soltanto quando era prevedibile che dall’azione Imprudenza: violazione di norme che sarebbe derivato l’evento nocivo. vietano certe azioni o modalità di esse. Se l’evento non era prevedibile nessun rimprovero si potrà infatti Imperizia: violazione di particolari regole tecniche per lo svolgimento di muovere all’agente. La prevedibilità si riferisce alla possibilità che una certa determinate attività. popolazione di persone, nelle stesse condizioni dell’agente, poteva ragionevolmente aspettarsi quell’evento come conseguenza, non voluta, dell’azione o dell’omissione. WWW.SUNHOPE.IT 5 Materiale elaborato da Luigi Aronne Omicidio (Art. 575 C.P.) Costituisce il più grave dei delitti. Il Codice Penale, tenendo conto dell’elemento psicologico del reato, distingue tre diverse ipotesi: Omicidio doloso Omicidio colposo Omicidio preterintenzionale Nell’omicidio doloso o volontario la morte della vittima è prevista e voluta dell’autore come conseguenza della propria azione o omissione. La prova dell’animus necandi (volontà di uccidere) può derivare dalla valutazione dei seguenti dati: 1. Natura dei mezzi impiegati 2. Natura e gravità delle lesioni riscontrate nel cadavere, come lesioni da difesa 3. Particolari circostanze ambientali in cui il delitto è avvenuto 4. Concrete possibilità di difesa e di reazione della vittima Si parla, inoltre, di omicidio doloso circostanziato quando ricorrono particolari circostanti aggravanti: Fra quelle che possono avere maggiore importanza medico‐legale vi sono: L’aver adoperato sevizie ed agito con crudeltà L’aver adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso. Tali vanno considerati quei mezzi che limitano la capacità di difesa della vittima. Caso di: ‐ Sostanze tossiche ‐ Colture di batteri o virus patogeni ‐ Corrente elettrica ‐ Radiazioni ionizzanti Aver ucciso nell’atto di commettere violenza sessuale o atti di libidine violenti Premeditazione Nell’omicidio preterintenzionale la morte della vittima va oltre la volontà dell’autore, il cui intento era solo quello di percuoterla o lederla. Nell’omicidio colposo la morte della vittima, pur prevedibile, non era voluta dall’autore, che tuttavia l’ha determinata per imperizia, imprudenza, negligenza o per non aver osservato leggi, regolamenti, ordini o discipline. Quesiti posti dal magistrato, in tema di omicidio, al medico legale 1. Identificare la vittima 2. Stabilire se si sia trattato di omicidio, suicidio o accidente 3. Accertare la causa o le cause anatomo‐patologiche della morte, tenendo conto dell’eventuale concorso di fattori concausali 4. Accertare a quando risale la morte 5. Stabilire con quali mezzi essa è stata causata 6. Valutare come essi sono stati impiagati WWW.SUNHOPE.IT 6 Materiale elaborato da Luigi Aronne Suicidio Con il termine di suicidio ci si riferisce a quelle condotte attive o omissive pregiudizievoli per la vita, che l’individuo compie su stesso, con l’intenzione di cagionarsi la morte. Si distinguono un suicidio diretto, quando la morte viene ricercata direttamente ed un suicidio indiretto, nel quale la morte è la conseguenza di un comportamento che generalmente persegue nobili fini. Si parla di: ‐ Suicidio allargato o di omicidio‐suicidio quando, in una coppia, l’uno uccide l’altro e poi dà la morte a se stesso. ‐ Suicidio simulato quando invece la morte è di natura omicidiaria o accidentale ‐ Suicidio dissimulato, se lo stesso suicida o altri dissimulano la causa suicidiaria, cercando di attribuirla ad un accidente o ad un’azione omicida. N.B. Il codice penale non punisce la condotta suicidaria. Il suicidio, tuttavia, può essere imputabile a terzi a titolo di omicidio colposo o di istigazione al suicidio. Le modalità di più frequente attuazione del suicidio sono: 1. Precipitazione 2. Avvelenamento 3. Colpi d’arma da fuoco 4. Impiccamento 5. Annegamento 6. Dissanguamento, per sezione dei vasi arteriosi o venosi del polso N.B. È stata rilevata una certa diversità, nelle modalità di attuazione del suicidio, fra uomo e donna. ‐ Nell’uomo, infatti, è più frequente il suicidio per impiccamento e per colpi di arma da fuoco ‐ Nella donna, quello per avvelenamento, per annegamento e per svenamento Nel caso di lesioni da arma da fuoco, la DD tra omicidio, suicidio ed accidente, si basa su di una valutazione complessiva degli elementi di indagine, che sono di natura biologica e circostanziale. Tali elementi includono: 1. Sede della ferita Il suicida predilige, infatti, regioni che garantiscano un decesso sicuro e rapido, quali regioni laterali del capo e precordio. Lesioni a carico di distretti non auto‐aggredibili ed arti superiori, invece, depongono per omicidio. 2. Distanza da cui è stato esploso il colpo, deducibile in base ai caratteri del foro di entrata. Nel suicidio, la distanza è infatti breve, non potendo superare la lunghezza del braccio. Pertanto, i caratteri del foro d’entrata, sono quelli del colpo a contatto o a bruciapelo. 3. Direzione del proiettile, ipotizzabile valutando: ‐ Posizione del foro d’entrata e di quello di uscita ‐ Caratteristiche del tramite che, ad esempio, nelle ossa piatte, assume un tipico aspetto imbutiforme, slargandosi verso l’uscita Nel suicidio, presumendo che il soggetto sia destrimane e che prescelga la regione laterale dx del capo, la traiettoria intracranica del proiettile sarà generalmente diretta da dx verso sin, dal basso verso l’alto e dall’avanti all’indietro. Per quanto riguarda i colpi esplosi nella cavità orale, in caso di suicidio, il tramite sarà obliquo dall’avanti all’indietro e dal basso verso l’alto; in caso di omicidio e di accidente, invece, il tramite sarà più frequentemente orizzontale. WWW.SUNHOPE.IT 7 Materiale elaborato da Luigi Aronne 4. Numero dei colpi Non rappresenta un elemento diagnostico differenziale decisivo, sebbene la molteplicità dei fori di ingresso deponga, in genere, per omicidio, soprattutto se le ferite interessano anche gli arti superiori (lesioni da difesa) e regioni non auto‐aggredibili. Il suicidio solitamente avviene mediante un colpo unico ma si possono osservare anche casi suicidiari in cui sono stati esplosi più colpi. In tali circostanze, comunque, i colpi vengono sparati tutti da vicino, generalmente nella stesse sede e per ledere organi vitali. Suggeriscono, inoltre, una dinamica suicidiaria: 5. Denudamento della parte colpita 6. Rinvenimento dell’arma nell’ambiente 7. Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima 8. Affumicatura del dorso della mano della vittima 9. Segno di Felc Piccola lesione lineare escoriata in corrispondenza del solco interdigitale, tra pollice ed indice, che può formarsi per il pizzicamento della cute tra il carrello ed il corpo di un’arma automatica. 10. Presenza di tracce di polvere da sparo sulla mano della vittima, ricercate mediante il metodo tradizionale del guanto di paraffina o con l’impiego di un apposito tampone adesivo (“stub”) Nel caso di ferite d’arma bianca, ‐ varietà di ferite da taglio, indicative di suicidio sono quelle da svenamento ‐ in presenza di ferita da punta o da punta e taglio, depongono per una dinamica suicidiaria la concentrazione delle lesioni a livello di regioni auto‐aggredibili, che garantiscono un decesso sicuro e rapido, come quella precordiale e l’assenza di ferite da difesa. WWW.SUNHOPE.IT 8 Materiale elaborato da Luigi Aronne Eutanasia Il termine eutanasia indica una condotta diretta a produrre, ad accelerare o a non far nulla per evitare o ritardare la morte della persona assistita, allorché questa sia affetta da una malattia: ‐ Inguaribile ‐ Caratterizzata da una sintomatologia dolorosa grave ‐ Giunta allo stadio terminale e perciò con previsione di evento mortale a breva scadenza, con l’unico intento di porre fine alle sue sofferenze. Per il nostro ordinamento giuridico, di fronte a situazioni del genere, il medico non è mai legittimato, quale che siano la diagnosi e la prognosi, ad attivarsi per accelerare l’evento mortale. Può infatti incorrere nei seguenti reati: ‐ Art. 579 cp: omicidio del consenziente ‐ Art. 575 cp: omicidio volontario ‐ Art. 580 cp: istigazione o aiuto al suicidio Si è soliti distinguere: ‐ Eutanasia attiva o diretta ‐ Eutanasia passiva o indiretta Eutanasia attiva Si verifica per commissione e consiste nell’intervenire attivamente, somministrando al paziente sostanze letali. Si tratta di un delitto penalmente perseguibile. Eutanasia passiva Si basa su una condotta omissiva o astensionista nella quale, di fronte a pazienti in fase terminale, si sospendono intenzionalmente cure essenziali al mantenimento della vita del paziente. Anche questo comportamento è di regola penalmente sanzionabile, a meno che esso assuma il significato di rifiuto dell’accanimento terapeutico e vengano contestualmente attuate cure palliative a tutela della dignità della vita del morente. In fatto di accanimento terapeutico, il Codice Deontologico è perentorio nell’affermare che il medico deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti, da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita. Oggi si preferisce parlare di mezzi proporzionati e di mezzi sproporzionati rispetto ai benefici che è possibile ottenere nella situazione concreta. Sono leciti, legittimi e doverosi, in ogni caso, i mezzi proporzionati; illeciti, gli altri. Ad esempio, non è un mezzo terapeutico proporzionato, un intervento chirurgico gravemente demolitore, effettuato quando sussistano tutti i motivi per ritenere che esso sia obiettivamente e provatamente inutile e che al pz resti comunque poco da vivere. Nel prendere una qualsiasi decisione sospensiva del trattamento, si dovrà comunque sempre tener conto del desiderio dell’ammalato e della sua volontà; nel caso di incapacità del pz, è utile consultare i familiari dello stesso. Secondo l’Art. 34 del c.d., infatti, il medico, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dal pz, se esso non è in grado di esprimere la propria volontà, in caso di grave pericolo di vita. WWW.SUNHOPE.IT 9 Materiale elaborato da Luigi Aronne Tale articolo fa implicitamente riferimento alle cosiddette “direttive anticipate” espresse dal paziente in epoca non sospetta e che possono essere distinte in: ‐ Living will o testamento in vita Si tratta di una dichiarazione di volontà redatta dallo stesso assistito in epoca non sospetta e nella quale si forniscono indicazioni concernenti il consenso circa gli eventuali accertamenti e trattamenti sanitari da assumere in caso di perdita della propria capacità di decisione autonoma ‐ Durable power of attorney Delega ad un’altra persona della facoltà di esprimere un consenso valido in sostituzione propria, nel caso di sopravvenuta incapacità ‐ Advance directive Dichiarazione di volontà comprensiva di entrambe le ipotesi precedenti Per quanto riguarda l’assistenza del malato inguaribile, l’articolo 37 del codice deontologico suggerisce che l’intervento medico debba perseguire le seguenti finalità: 1. Assistenza o sostegno morale 2. Risparmio di inutili sofferenze all’assistito (cure palliative) 3. Tutela della qualità della vita residua Cure palliative Complesso integrato e coordinato di quei trattamenti terapeutici atti a sollevare dal dolore il malato inguaribile e terminale. La medicina palliativa è specificamente finalizzata alla cura dei sintomi accusati dal paziente terminale in modo che il malato conservi quanto più possibile la propria autonomia, le proprie abitudini ed il proprio ruolo familiare. È in atto un programma nazionale per la realizzazione di strutture dedicate alle cure palliative e denominate “hospice”. WWW.SUNHOPE.IT 10 Materiale elaborato da Luigi Aronne DIAGNOSI DI MORTE E DENUNCIA DELLE CAUSE DI MORTE DIAGNOSI DI MORTE Il momento centrale, ai fini della diagnosi di morte, è costituito dal rilievo della cessazione globale e definitiva, perciò irreversibile ed inemendabile, di tutte le funzioni dell’encefalo (Legge n. 578/93). Secondo l’art.2 della legge 578/93, anche la morte per arresto cardiaco si ritiene avvenuta qualora la respirazione e la circolazione siano cessate per un intervallo di tempo tale da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. La morte per arresto cardiaco deve essere infatti accertata da un medico mediante monitoraggio elettrocardiografico continuo, protratto per non meno di 20 min. Diagnosi di morte cerebrale È richiesta nei pz con cuore battente ma con lesioni encefaliche che impongono misure rianimatorie – come la ventilazione artificiale – al fine di stabilire se tali misure possano essere interrotte per la dimostrata cessazione, globale ed irreversibile, di tutte le funzioni dell’encefalo. Secondo il DM Sanità n. 582 del 1994, l’accertamento della morte cerebrale è subordinato alla provata coesistenza delle seguenti condizioni: 1. Stato di incoscienza 2. Assenza dei riflessi corneale, fotomotore, oculo‐cefalico, oculo‐vestibolare, carenale e di risposta agli stimoli dolorifici portati nel territorio di innervazione del trigemino 3. Assenza di respiro spontaneo, accertata mediante sospensione della ventilazione artificiale fino al raggiungimento di un’ipercapnia di 60 mmHg, con pH ematico minore di 7,4 4. Silenzio elettrico cerebrale, all’EEG, intenso come un tracciato che non contenga potenziali elettrici maggiori di 2 microvolts, registrati per una durata continuativa di 30 min, da qualsiasi regione della teca cranica In alcune situazioni vanno inoltre effettuate indagini complementari atte ad evidenziare l’assenza di flusso ematico cerebrale: 1. Bambini di età < 1 anno 2. Presenza di fattori quali farmaci depressori del SNC, ipotermia, ipotensione sistemica, alterazioni endocrino‐ metaboliche capaci di interferire con il quadro clinico complessivo 3. Situazioni che non consentono una diagnosi eziopatogenetica certa o che impediscono l’esecuzione dei riflessi del tronco o dell’EEG Collegio medico per l’accertamento della morte cerebrale È nominato dalla Direzione Sanitaria ed è composto da: 1. Medico legale (o, in mancanza, da un medico della Direzione Sanitaria o da un anatomo‐patologo) 2. Medico specialista in anestesia e rianimazione 3. Medico neurofisiopatologo (o, in mancanza, da un neurologo o da un neurochirurgo esperto in elettroencefalografia) Periodo di osservazione La durata dell’osservazione, per l’accertamento della morte cerebrale, non deve essere minore di: ‐ 6 h, negli adulti e nei bambini di età > 5 anni ‐ 12 h, nei i bambini di età compresa tra 1 e 5 anni ‐ 24 h, nei i bambini di età < 1 anno È stabilito, inoltre, che in tutti i casi di danno anossico cerebrale il periodo di osservazione non possa iniziare prima di 24h dall’insulto anossico. WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne La simultaneità dei requisiti clinici e strumentali per la diagnosi di morte cerebrale deve essere ricercata, dall’apposito collegio medico, per almeno 3 volte: all’inizio, a metà ed alla fine del periodo di osservazione. Il momento della morte coincide con quello in cui vengono simultaneamente riscontrati i requisiti richiesti. N.B. L’accertamento della morte cerebrale, eseguito dall’apposito collegio medico, esclude ogni ulteriore accertamento da parte del medico necroscopo e l’obbligo di certificazione delle cause di morte compete, in qualità di medico necroscopo, al componente medico‐legale del collegio. CERTIFICAZIONE DELLA MORTE Occorre distinguere tra: ‐ Certificato di constatazione del decesso ‐ Denuncia delle cause di morte Certificato di constatazione del decesso Può essere richiesto a qualsiasi medico che abbia prestato assistenza al morente oppure che sia intervenuto a decesso appena verificatosi. Serve ad attestare la cessazione irreversibile delle funzioni vitali. In suo possesso i parenti del defunto o un loro delegato informano l’Ufficiale di Stato Civile dell’avvenuto decesso di una persona nel territorio comunale di competenza. Costituisce il presupposto per l’accertamento della morte da parte del medico necroscopo. I medici necroscopi sono nominati dalle ASL, eccetto che negli ospedali dove le relative funzioni vengono direttamente attribuite al Direttore Sanitario che, di norma, le delega ad altri medici ospedalieri. Il Regolamento di Polizia Mortuaria stabilisce che la visita da parte del medico necroscopo debba essere effettuata non prima di 15 h dal decesso – salvo casi particolari, come decapitazione, maciullamento … – e non dopo le 30 h. Tale Regolamento dispone, inoltre, che nessun cadavere venga chiuso in cassa, né sottoposto ad autopsia o a trattamenti conservativi, prima che siano trascorse 24 h dal momento del decesso; 48, nei casi di morte improvvisa o nel sospetto di morte apparente. Si fa eccezione per i casi di decapitazione o maciullamento e per quelli nei quali il medico necroscopo abbia accertato la morte anche mediante l’ausilio di un monitoraggio elettrocardiografico continuo la cui durata non deve essere inferiore ai 20 min. Ove la morte sia dovuta ad una delle malattie infettive o diffusive comprese in un apposito elenco pubblicato dal Ministero della Salute e nei casi in cui il cadavere presenti già segni di iniziata putrefazione, su proposta del coordinatore sanitario dell’ASL, il Sindaco può ridurre la durata del periodo di osservazione a meno di 24 h. Per concludere, nessun cadavere può avere sepoltura senza l’autorizzazione dell’Ufficiale di Stato Civile che la concede solo dopo l’accertamento della morte da parte del medico necroscopo ed al termine del periodo di osservazione previsto dal Regolamento di Polizia Mortuaria. Denuncia delle cause di morte È obbligatoria solo per il medico che realmente conosce la concatenazione causale degli eventi che hanno condotto all’exitus il paziente. Tale obbligo in genere vale per il medico curante o per il medico necroscopo, nei casi di decessi avvenuti senza assistenza medica. L’obbligo vale, inoltre, per i medici incaricati di eseguire autopsie o riscontri diagnostici. È diretta al Sindaco del Comune di residenza, nella sua veste di autorità sanitaria. Va inviata entro 24 ore dall’accertamento del decesso su apposita scheda di morte stabilita dal Ministero della Salute d’intesa con l’Istituto Nazionale di Statistica, la cui finalità è anche statistico‐sanitaria ed epidemiologica. WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne La scheda ISTAT comprende due sezioni: ‐ Sezione A, da compilarsi a cura del medico ‐ Sezione B, da compilarsi a cura dell’Ufficiale di Stato Civile La sezione A, a sua volta, è costituita da due riquadri: uno per la morte dovuta a cause naturali, l’altro per la morte da causa violenta. In caso di morte per cause naturali, il medico dovrà indicare quali siano state le cause iniziali, intermedie e finali che, a suo giudizio, hanno determinato la morte del suo assistito. In caso di morte violenta, il medico dovrà precisare se si sia trattato di suicidio, omicidio, accidente, infortunio sul lavoro. Sussiste, inoltre, l’obbligo di presentare referto all’Autorità Giudiziaria, per ogni medico che, nel prestare assistenza al morente o nell’intervenire a decesso appena verificatosi, abbia il sospetto di una morte per cause violente. WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne ESAME DEL CADAVERE E SOPRALLUOGO GIUDIZIARIO ESAME DEL CADAVERE È necessario distinguere tra: RISCONTRO DIAGNOSTICO AUTOPSIA GIUDIZIARIA RISCONTRO DIAGNOSTICO Esame sistematico del cadavere eseguito su disposizione dell’Autorità Sanitaria, per finalità meramente cliniche. Viene effettuato nel caso di: 1. Persone decedute senza assistenza medica, trasportati in un ospedale o in un obitorio, per accertare la causa della morte 2. Persone decedute in ospedali, cliniche universitarie, istituti di cura privati, tutte le volte che lo dispongano i rispettivi Direttori Sanitari, su richiesta di primari o medici curanti, per il controllo della diagnosi o il chiarimento di quesiti medico‐scientifici. Il riscontro diagnostico può anche essere richiesto dal medico di famiglia qualora si tratti di persone decedute a domicilio per una malattia infettiva diffusiva o sospetta di esserlo, con l’intento di precisare la diagnosi. Il medico anatomo‐patologo che, nel corso del riscontro diagnostico, abbia il sospetto che la morte sia da riferire ad una causa violenta (dolosa o colposa) deve sospendere l’indagine e presentare il referto, mettendo la salma a disposizione dell’autorità giudiziaria. AUTOPSIA Viene ordinata dal Magistrato quando ritenuta necessaria per l’identificazione del cadavere e per stabilire la causa, i mezzi, l’epoca e la modalità della morte, ai fini del giudizio di responsabilità. Secondo le raccomandazioni del Consiglio della Comunità Europea, le autopsie andrebbero praticate in tutti i casi di morte non naturale, certa o sospetta. Pertanto, nei casi di: 1. Omicidio certo o sospetto 2. Suicidio 3. Morte improvvisa, anche infantile 4. Sospetta violazione dei diritti umani (tortura, maltrattamento) 5. Morte iatrogena o in rapporto a “malpractice” professionale 6. Decessi a seguito di: ‐ Incidenti stradali ‐ Infortuni sul lavoro ‐ Malattie professionali ‐ Incidenti domestici ‐ Catastrofi 7. Morte in condizione di detenzione carceraria o in rapporto ad azioni di polizia 8. Cadaveri non identificati o resti scheletrici È considerata un accertamento tecnico non ripetibile giustificando, pertanto, la richiesta di incidente probatorio. Se si procede con l’incidente probatorio, il verbale dell’autopsia assumerà valore di prova e come tale potrà essere utilizzato dalle parti nel dibattimento in aula, sebbene l’autopsia sia stata condotta durante le indagini preliminari. WWW.SUNHOPE.IT 4 Materiale elaborato da Luigi Aronne L’autopsia si articola in un esame esterno del cadavere ed in un esame degli organi interni. Le principali finalità dell’esame esterno del cadavere sono: 1. Accertare l’identità del cadavere 2. Stabilire l’epoca della morte, attraverso la valutazione dei fenomeni cadaverici 3. Descrivere segni esteriori di lesività, senza modificare lo stato fisico del cadavere 4. Obiettivare eventuali reperti morbosi in atto all’epoca del decesso o esito di malattie pregresse. Esame degli organi interni Solitamente, si procede aprendo, dapprima, la cavità cranica, poi la cavità toracica, quindi il collo, la cavità addominale, il bacino e gli arti. In genere, viene praticata un’incisione che parte bilateralmente da dietro l’orecchio e che corre lungo la faccia postero‐laterale del collo, fino alla clavicola. Si effettua quindi un’incisione trasversale che passa per il manubrio sternale. Segue un’incisione toraco‐addominale mediana fino al pube. Si praticano poi due tagli obliqui, uno per parte, sino alle pieghe inguinali. I lembi toraco‐addominali vengono rovesciati verso i lati, il lembo cutaneo del collo viene rovesciato verso l’alto. Relativamente all’esame del capo, si effettua un taglio bi‐mastoideo passante per il vertice, rovesciando un lembo in avanti e l’altro indietro. Per l’apertura della teca cranica viene praticato un taglio osseo circolare passante sopra la glabella e la protuberanza occipitale esterna e si completa la sezione aiutandosi con uno scalpello ad azione di leva posto in corrispondenza delle incisure frontali e temporo‐occipitali. Ogni organo estratto dalla sua cavità va studiato nei suoi aspetti topografici, fisici ed istologici. N.B. Il sangue necessario per l’eventuale determinazione dell’alcool e di qualsiasi altra sostanza stupefacente, va prelevato preferibilmente dalla vena femorale piuttosto che dal cuore. Infatti, nei campioni prelevati dal cuore durante l’autopsia, il sangue cardiaco tende ad essere mescolato con quello proveniente dal viscere epatico attraverso la vena cava inferiore e ciò può alterare i valori dell’alcolemia. Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post‐mortali Talora, nello studio medico‐legale del cadavere, ci si trova difronte alla necessità di dover distinguere se determinate lesioni siano state prodotte in vita (lesioni vitali) o dopo la morte (lesioni post‐mortali) I segni che depongono per il carattere pre‐mortale o vitale di una lesione sono: 1. Reazione flogistica a carico dei margini, nonché dimostrazione istologica di una loro infiltrazione leucocitaria 2. Infiltrazione emorragica degli stessi margini, indicativa del sussistere di pressione sanguigna al momento in cui la lesione è stata prodotta 3. Emostasi e formazione del reticolo di fibrina 4. Trombosi vasale, distinguendo, comunque, i trombi – che all’esame istologico presentano abbondante fibrina – dai cosiddetti pseudo‐coaguli post‐mortali (agglomerati gelatinosi più o meno compatti di leucociti ed emazie) 5. Formazione di essudato N.B. L’essudazione si fa soprattutto evidente quando sono trascorse almeno 48 h dal momento in cui la lesione è stata prodotta 6. Presenza di monociti nell’essudato 7. Reazione fibroblastica del tessuto circostante la ferita e comparsa di fibrille collagene 8. Formazione di croste sierose, ematiche o siero‐ematiche WWW.SUNHOPE.IT 5 Materiale elaborato da Luigi Aronne Il verbale di autopsia consta generalmente di tre parti: ‐ Nella prima, si descrivono i dati anatomo‐patologici raccolti durante l’esame delle parti esterne ed interne. ‐ Nella seconda, si formula la diagnosi anatomo‐patologica delle alterazioni riscontrate. ‐ Nella terza, si precisa e si motiva la diagnosi medico‐legale relativa a causa, mezzi, modalità ed epoca della morte, tenendo conto delle informazioni avute dal Magistrato e rispondendo ai quesiti posti da quest ultimo. Giudizio conclusivo sulla causa della morte A seconda delle cause che la provocano, si parla di: 1. Morte naturale, se il decesso rappresenta la naturale conclusione – perciò prevedibile e prevista – di un processo di malattia 2. Morte improvvisa, se il decesso si verifica in maniera istantanea o rapida, risultando inatteso rispetto alle condizioni cliniche pre‐esistenti 3. Morte iatrogena, se il decesso è causato dal trattamento medico o chirurgico instaurato 4. Morte violenta, se il decesso è provocato dal comportamento violento di terzi oppure dalla persona su se stessa (caso di omicidio, suicidio, incidente) LUOGO DELLA MORTE ED INDAGINI DI SOPRALLUOGO Le indagini di sopralluogo sono tutte quelle che vengono effettuate sullo stesso luogo di ritrovamento del cadavere o dove si suppone sia stato commesso un delitto. N.B. I medici che, per primi, giungono sulla scena sono generalmente quelli del 118, chiamati in loco allo scopo di accertare se il soggetto rinvenuto sia morto o vivo e se vi sia la necessità di un trattamento d’urgenza. Fondamentale è che i medici del 118 non inquinino la scena del crimine. Devono, pertanto, astenersi dall’effettuare manovre rianimatorie qualora appaia evidente che il soggetto sia deceduto, con la conferma del decesso che andrebbe possibilmente ricercata senza spostare il cadavere. Nel corso dell’intervento, il medico del 118 dovrebbe registrare quante più informazioni possibili relative alla scena ed alla vittima, meglio se con l’ausilio di foto. Inoltre, poiché la morte del soggetto può configurare un delitto perseguibile d’ufficio, il medico del 118, rivestendo la qualifica di Pubblico Ufficiale, deve tempestivamente presentare rapporto all’autorità giudiziaria. Particolarmente utile sarebbe la partecipazione, alle indagini di sopralluogo, di un medico legale, come Ausiliario delle Polizia Giudiziaria oppure come Consulente del Pubblico Ministero. Il medico legale, convocato sulla scena, deve prendere nota, mediante appunti, disegni, fotografie di: 1. Luogo dove giace la salma 2. Atteggiamento generale del corpo 3. Posizione degli arti, del capo e delle singole parti in dettaglio 4. Oggetti che sono sul corpo, sotto di esso o nelle mani 5. Stato delle vesti 6. Oggetti, macchie e tracce presenti nelle vicinanze del corpo 7. Dati anatomo‐patologici utili alla definizione dell’epoca della morte 8. Segni esteriori di azione lesiva WWW.SUNHOPE.IT 6 Materiale elaborato da Luigi Aronne EPOCA DELLA MORTE E MODIFICAZIONI TANATOLOGICHE DEL CADAVERE I segni osservabili nell’organismo dopo la morte possono essere classificati in due gruppi: ‐ NEGATIVI o ABIOTICI, da cessazione delle funzioni vitali ‐ POSITIVI o TRASFORMATIVI, da processi nuovi che avvengono nel cadavere SEGNI NEGATIVI o ABIOTICI A loro volta, si distinguono in: ‐ Segni immediati, rappresentati dalla stessa cessazione definitiva delle funzioni respiratoria, cardiocircolatoria e nervosa (cdt tripode vitale di Bichat) ‐ Segni consecutivi Tra i segni negativi o abiotici consecutivi rientrano: 1. Perdita dell’eccitabilità muscolare Può essere valutata con un martelletto da riflessi. In genere, l’eccitabilità della muscolatura striata si attenua 5h dopo la morte e svanisce dopo 8‐12h. 2. Raffreddamento del cadavere (algor mortis) Subito dopo il decesso, la temperatura del corpo diminuisce sino a raggiungere l’equilibrio con quella ambientale, generalmente più bassa dei 37 °C di temperatura corporea interna media. Il decremento termico, tuttavia, non segue le comuni leggi fisiche, per la presenza, anche dopo la morte, di processi biochimici capaci di produrre calore. In particolare, si riconoscono: ‐ Fase di discesa lenta: durante le prime 4 h, in cui la temperatura decresce di ½ grado l’ora ‐ Fase di discesa rapida: durante le successive 10 h, in cui la temperatura decresce di circa 1 grado l’ora ‐ Fase di nuova discesa lenta: fra la 15a e la 24a h dal momento del decesso. Durante questa fase, la temperatura scende dapprima di ¾ di grado per h, poi di ½ grado, quindi di ¼ di grado raggiungendo, infine, i valori ambientali. ‐ Fase dell’equilibrio termico: oltre la 24a ora. I fattori che influenzano il raffreddamento del cadavere sono distinguibili in: ‐ Intrinseci ‐ Estrinseci Per quanto riguarda i fattori Intrinseci, l’età neonatale e giovanile, lo scarso sviluppo della massa corporea, il minore spessore del grasso sottocutaneo, aumentano la dispersione del calore corporeo, accelerando il raffreddamento del corpo. Tra i fattori intrinseci che condizionano il raffreddamento del cadavere, rientra anche la temperatura del corpo al momento della morte. WWW.SUNHOPE.IT 7 Materiale elaborato da Luigi Aronne Una morte in ipertemia, per colpo di calore, colpo di sole, infezioni acute, intossicazioni acute da amfetamine e cocaina, rallenta infatti il raffreddamento del cadavere. Una morte in ipotermia, per cachessia, inanizione, etilismo acuto, invece, lo rende più rapido. Fattori Estrinseci Sono rappresentati da temperatura ambientale, umidità, ventilazione dei luoghi, periodo stagionale, indumenti che, specie se di lana, proteggono dalla dispersione del calore. Se essi sono bagnati, tuttavia, favoriscono il raffreddamento del cadavere, per l’evaporazione dell’acqua che trascina con sé calore. N.B. Se la temperatura ambientale è maggiore di quella corporea, affinché quest ultima possa equipararsi alla prima, il cadavere subisce una marcata disidratazione. Ciò conduce ad una forma anomala di decomposizione: la mummificazione. La temperatura post‐mortale va rilevata più volte con un termometro di laboratorio, introdotto nel retto, e confrontata con quella ambientale. 3. Rigidità cadaverica (rigor mortis) Consiste nell’irrigidimento dei muscoli volontari ed involontari che si manifesta dopo una fase iniziale di flaccidità post‐mortale. Generalmente, la rigidità cadaverica inizia verso la 2a‐4a h successiva al decesso nei muscoli della mandibola; diffonde quindi, in senso cranio‐caudale, ai muscoli di nuca, arti superiori, tronco ed arti inferiori, completandosi nel giro di 12‐24 h. Regredisce poi gradualmente, secondo lo stesso ordine cranio‐caudale, per svanire del tutto dopo circa 72 h dal decesso. La causa del rigor mortis risiederebbe nella scomparsa post‐mortale dell’ATP, con conseguente “gelificazione” dei filamenti di miosina e di actina, che manterrebbe le fibre muscolari in uno stato di contrazione. La risoluzione spontanea della rigidità cadaverica sarebbe invece dovuta all’autolisi post‐mortale dei miofilamenti, con distacco dell'actina dalla miosina. Diversi fattori influenzano la comparsa, l’entità ed il decorso della rigidità cadaverica. Tali fattori possono essere distinti in estrinseci ed intrinseci. Tra i fattori estrinseci rientra principalmente la temperatura ambientale. ‐ Una temperatura ambientale bassa ritarda infatti la comparsa e la diffusione della rigidità cadaverica, ma la conserva più a lungo. ‐ Una temperatura ambientale elevata, invece, accelera l’andamento del rigor mortis, facendolo prima comparire e prima risolvere. I fattori intrinseci sono costituiti da condizioni individuali e dal tipo di morte. Ad esempio, quanto più la muscolatura è valida, tanto più intensa sarà la rigidità cadaverica. Relativamente al tipo di morte, nelle morti violente, la rigidità cadaverica è più spiccata, ma compare più tardi; nelle morti lente di persone defedate, invece, è più precoce, ma meno intensa e durevole. WWW.SUNHOPE.IT 8 Materiale elaborato da Luigi Aronne Notevole importanza nella comparsa della rigidità cadaverica ha inoltre lo sforzo sopportato dal muscolo prima della morte. Uno sforzo intenso prima della morte accelera, infatti, l’inizio del rigor che può essere così precoce da far conservare al cadavere lo stesso atteggiamento degli ultimi momenti di vita. Si parla, in questo caso, di rigidità catalettica, che può insorgere anche dopo traumi al capo. 4. Ipostasi Sono prodotte – venuta meno la contrazione del cuore – dal deflusso passivo, per gravità, del sangue nelle parti declivi del cadavere, dove riempiendo i vasi del derma, induce la comparsa, sulla cute, di una colorazione generalmente rosso‐vinosa, che rende manifesto il fenomeno all’esterno. La sede delle ipostasi varia a seconda della posizione assunta dal corpo dopo la morte (che così può essere desunta): ‐ Nella posizione supina, esse, si formano alla nuca, alle orecchie, al dorso ed alla faccia posteriore degli arti ‐ Nella posizione prona, le ipostasi sono ventrali ‐ Nel decubito laterale, interessano l’emi‐fianco di decubito N.B. i punti di appoggio vengono tipicamente risparmiati, poiché, a questo livello, i vasi del derma sono compressi. Possibile comunque è anche il riscontro di ipostasi anti‐gravitarie, localizzate cioè in zone non declivi, la cui comparsa dipende da un ostacolo al deflusso ematico verso le regioni declivi. Tale ostacolo può dipendere da: ‐ Lacci ed indumenti stretti ‐ Aumento delle resistenze del piccolo circolo, ad esempio per l’edema polmonare acuto che accompagna le morti asfittiche, e responsabile della comparsa di ipostasi anti‐gravitarie a mantellina in corrispondenza di volto, collo e terzo superiore del torace. Per quanto riguarda l’entità del fenomeno, le ipostasi sono scarse quando c’è poco sangue nei vasi (caso di morte dopo lunghe malattie o emorragie profuse); sono, invece, abbondanti nelle morti improvvise ed asfittiche, data la maggiore fluidità del sangue. Cronologia delle ipostasi In linea generale, quando non si vedono ipostasi sul corpo, è possibile supporre che siano trascorse meno di 2 h dal momento della morte (fanno eccezione le morti improvvise o asfittiche nelle quali, per la maggiore fluidità del sangue, la comparsa delle ipostasi è più precoce). Una volta manifestatesi, le ipostasi attraversano 4 fasi successive: 1. Fase della migrabilità assoluta o totale Muovendo il cadavere, le ipostasi possono spostarsi completamente dalla prima sede e ricomparire nella nuova sede declive. In questo caso, è lecito pensare che non siano trascorse più di 6‐8 h dal momento della morte. 2. Fase della migrabilità parziale Muovendo il cadavere, le macchie ancora si spostano, ma solo parzialmente. Ciò depone per un maggior tempo trascorso rispetto al momento del decesso: solitamente, da 8 a 12 h. WWW.SUNHOPE.IT 9 Materiale elaborato da Luigi Aronne 3. Fase della fissità relativa Si estende dalla 12a alla 72a h. In questa fase, le macchie ipostatiche possono ancora spostarsi dalla posizione originaria ma solo esercitando un’azione pressoria locale, più o meno intensa (digitopressione). 4. Fase della fissità assoluta Parte dalla 72a h successiva alla morte. La migrabilità delle ipostasi è segno che il sangue è ancora nei vasi. La progressiva acidificazione dei tessuti, dipendente dall’assenza di ossigeno, porta alla morte delle cellule, comprese quelle costituenti le pareti dei vasi, consentendo il passaggio dei globuli rossi nel tessuto sottocutaneo, con riduzione della migrabilità delle ipostasi. Il fenomeno interessa, prima, le pareti dei capillari con la conseguenza che, al variare del decubito del cadavere, il sangue si sposta esclusivamente nei vasi di calibro maggiore (fase della migrabilità parziale). La necrosi si estende quindi anche alle pareti dei vasi più grandi, consentendo lo spostamento delle macchie ipostatiche solo mediante digitopressione (fase della fissità relativa). Con la degradazione dell’emoglobina, infine, la fissità delle ipostasi diviene assoluta. Sebbene le ipostasi generalmente siano di colore rosso‐vinoso, possono assumere un colorito: ‐ Rosso ciliegia, nell’avvelenamento da CO ‐ Rosso vivo, nell’avvelenamento da cianuro ‐ Bruno, nell’avvelenamento da metaemoglobinizzanti (vapori nitrosi, anilina) ‐ Pallido, nelle morti da shock emorragico ‐ Verdastro, nello stadio colorativo della fase putrefattiva, per la formazione di solfoHb 5. Disidratazione Consiste nella perdita di liquidi, che si verifica per evaporazione, con conseguente disseccamento post‐mortale. Assume aspetti particolarmente evidenti a livello oculare, dove viene suggerita da: ‐ Tela di Winslow ovvero opacamento corneale ‐ Macchie sclerali ‐ Infossamento del bulbo e riduzione della tensione endoculare: segno di Louis Viene condizionata da vari fattori, principalmente ambientali. È, ad esempio, molto rapida in climi asciutti, caldi e ventilati dove può produrre uno stato di mummificazione naturale. 6. Acidificazione È dovuta all’accumulo di acido lattico, provocato dalla cessazione dei meccanismi ossido‐riduttivi cellulari. Inizia precocemente e si completa tra le 4 e le 7 h dopo la morte. Cessa con il sopraggiungere della putrefazione, che alcalinizza i tessuti. Può essere valutata producendo un’escoriazione e saggiando, con una cartina al tornasole, la superficie scoperta del derma. WWW.SUNHOPE.IT 10 Materiale elaborato da Luigi Aronne SEGNI POSITIVI o TRASFORMATIVI 1. Autolisi Per autolisi, s’intende un fenomeno di autodistruzione indipendente dall’azione microbica. È sostenuta da enzimi lisosomiali che si liberano dopo la morte della cellula. 2. Putrefazione Processo di distruzione cadaverica dovuto all’azione di microrganismi Attraversa 4 periodi successivi: 1. Periodo cromatico 2. Periodo gassoso 3. Periodo colliquativo 4. Periodo della scheletrizzazione Periodo cromatico Si caratterizza per la comparsa, verso il II‐III giorno dalla morte, della cdt “macchia verde putrefattiva” sulla cute della fossa iliaca destra, corrispondente alla sede del cieco, dove pullulano germi anaerobi che conoscono un intenso sviluppo nel momento in cui i tessuti consumano tutto l’ossigeno disponibile. Quest intenso sviluppo riguarda, per primi, il Clostridium perfringens ed il butirrico. Tali microrganismi, venuta meno dopo la morte l’azione di barriera della parete intestinale, possano all’interno dei addominali in cui trovano un ambiente molto favorevole per la loro riproduzione e, nel moltiplicarsi, si spingono sempre più verso la superficie corporea (andamento centrifugo della putrefazione). La loro azione principale consiste nel degradare ulteriormente le sostanze proteiche, già scisse dall’autolisi, trasformandole in composti sempre più semplici, fino alla costituzione di liquidi e gas, come l’idrogeno solforato (H2S). Quest ultimo, reagendo con l’emoglobina, la converte in solfo‐ e solfometaemoglobina responsabili del colorito verdastro. N.B. La macchia verde può esordire anche in altri punti, oltre che all’addome. Ad esempio, si costituiscono macchie verdastre laddove esistono raccolte purulente o stravasi sanguigni sottostanti. N.B. Nei feti e nei neonati che non hanno ancora deglutito, il fenomeno inizia in corrispondenza degli orifizi respiratori a causa della sterilità del canale digerente. Dopo la sua comparsa, la macchia verde si estende a tutto il corpo, non per continuità diretta, ma seguendo il decorso dei vasi venosi superficiali, che si rendono evidenti sotto forma di arborizzazioni di colorito verdastro (reticolo venoso putrefattivo). Le maglie della rete divengono via via più fitte, con la tinta verdastra che confluisce in aree sempre più estese, interessando, infine, l’intera superficie corporea. N.B. La tinta verde risulta più intensa dove maggiore è il contenuto di pigmento ematico e, quindi, nelle aree ipostatiche. Il periodo cromatico dura un paio di gg, in estate; oltre 2 settimane, in inverno. Periodo gassoso o enfisematoso Inizia verso il III‐IV giorno dalla morte, in estate; entro il 15°‐20° giorno, in inverno. È caratterizzato dal fatto che la produzione di gas putrefattivi (come l’idrogeno solforato) ad opera di germi anaerobi gasogeni (Clostridium perfringens e butirrico) raggiunge il suo picco massimo. A causa dei gas putrefattivi, il cadavere assume un aspetto gigantesco o batraciano, con faccia rigonfia, occhi che fuoriescono dalle orbite, lingua tumefatta che protrude dalle arcate dentarie, addome disteso, iniziale e diffuso distacco dell’epidermide. WWW.SUNHOPE.IT 11 Materiale elaborato da Luigi Aronne La pressione dei gas provoca, inoltre, lo spostamento del sangue dentro i vasi (cdt circolazione post‐ mortale), il sanguinamento delle ferite, la perdita di feci, il prolasso del retto e della vagina e, nelle donne morte gravide, l'espulsione del feto (cdt “parto nella bara”). Periodo colliquativo È caratterizzato dalla colliquazione del cadavere (malacia cadaverica) che si rende manifesta, in estate, verso il 2° mese; in inverno, solo dopo 4 mesi o più dalla morte. La colliquazione del cadavere inizia con lo scollamento dello strato epidermico che consente l’accesso di germi aerobi provenienti dall’esterno. I germi aerobi diffondono dalla superficie in profondità, conferendo alla putrefazione un andamento centripeto. I germi anaerobi, invece, non trovano più condizioni favorevoli al loro sviluppo, con la produzione di gas che si riduce per poi cessare. Durante il periodo colliquativo, ‐ il cadavere perde l’aspetto gigantesco, per la diminuita sintesi di gas putrefattivi; ‐ il suo colorito, da verdastro, diventa bruno, per formazione di ematina; ‐ il cuore ed i grossi vasi perdono il loro contenuto ematico; ‐ i visceri si rammolliscono, con progressiva trasformazione dei tessuti in un liquame nerastro, di odore prima putrido, poi tipicamente ammoniacale. N.B. Tra i diversi organi, il cervello è fra i primi organi a ridursi in una poltiglia omogenea, mentre l’utero e la prostata si dimostrano i più resistenti, consentendo di identificare il sesso, quando ormai i genitali esterni sono distrutti. Periodo della scheletrizzazione Si completa in genere dopo 3‐5 anni dalla morte. È più precoce nei cadaveri interrati; più tardivo, nei cadaveri sepolti in casse di zinco. La putrefazione viene influenzata da diversi fattori, distinguibili in: ‐ Intrinseci ‐ Estrinseci Fattori intriseci ‐ Età La putrefazione è, infatti, rallentata nei feti, per la sterilità del canale digerente ‐ Costituzione fisica La putrefazione è, infatti, più rapida nei soggetti pletorici rispetto a quelli magri, per la maggiore quantità di liquidi presente nei tessuti ‐ Tipo di morte La putrefazione è precoce e rapida nei soggetti defedati ed in quelli deceduti a seguito di infezioni sistemiche. Anche le morti asfittiche accelerano i processi putrefattivi, poiché lo stato fluido del sangue favorisce la moltiplicazione e la diffusione dei germi. Per contro, vi sono cause di morte e condizioni che ritardano la putrefazione, caso di morte per anemia acuta, intossicazione acuta da acido fenico, sali di mercurio, formalina, terapia antibiotica. WWW.SUNHOPE.IT 12 Materiale elaborato da Luigi Aronne Fattori estrinseci Sono quelli che maggiormente influenzano l’andamento della putrefazione ed includono: ‐ Temperatura ambientale Quella compresa tra i 25° e i 35 °C è ottimale per lo sviluppo dei germi putrefattivi. Il freddo, invece, permette un’ottima conservazione del cadavere, inibendo la moltiplicazione batterica. Si ritiene infatti che il grado di putrefazione raggiunto in un'ora nel periodo estivo equivalga a quello di un giorno nel periodo invernale. ‐ Umidità Favorisce la putrefazione, mentre un clima secco la rallenta. Pertanto, salme tolte dall’acqua vanno in rapida putrefazione mentre, fin tanto che vi restano immerse, si conservano meglio. Infatti, 1 g di esposizione all’aria equivale a 2 gg di permanenza nell’acqua ed a 4 di permanenza sotto terra. ‐ Ventilazione Contrasta la putrefazione, riducendo l’umidità dell’aria e può portare ad una forma anomala di decomposizione: la mummificazione. N.B. Nel periodo della putrefazione, inoltre, il cadavere viene aggredito da numerosi parassiti animali, principalmente insetti di diversa specie ed in ondate successive. Nelle fasi più precoci, si osservano larve di mosche. Il rinvenimento di mosche allo stadio larvale, infatti, indica che sono passate almeno 10h dalla morte. Il raggiungimento del successivo stadio ninfale o pupale indica che è trascorso un tempo maggiore dalla morte (10‐15 gg). Le pupe o ninfe sono racchiuse nei pupari. Se in un cadavere si trovano dei pupari già vuoti si può affermare che, dalla morte, è passato un tempo > 15 gg. Forme anomale di decomposizione Si osservano in peculiari condizioni ambientali ed includono: Macerazione Interessa cadaveri che giacciono in ambienti umidi o liquidi, pressoché asettici (dove i processi autolitici prevalgono su quelli putrefattivi). La macerazione è pertanto tipica dei feti morti in utero ed ivi trattenuti, essendo il sacco amniotico un ambiente sterile. Fenomeni di macerazione, comunque, si osservano anche in cadaveri rimasti immersi nell’acqua. La macerazione consiste nella progressiva imbibizione idropica dei tessuti che, a livello cutaneo, riguarda soprattutto lo strato corneo dell’epidermide, causandone rigonfiamento. La macerazione cutanea pertanto comincia e si rende maggiormente manifesta laddove lo strato corneo è più spesso e privo di ghiandole sebacee: palma delle mani e pianta dei piedi. Più precisamente, esordisce già dopo poche h, con un colore biancastro della cute dei polpastrelli. Compaiono, quindi, raggrinzimenti, con lo strato corneo che, imbibito d’acqua, aumenta di volume. Il fenomeno poi si estende a resto delle dita, mani e piedi, interessando, successivamente, la loro superficie dorsale, i polsi e le caviglie. L’epidermide così imbibita infine si distacca “a guanto” o “a scarpa” oppure cade a pezzi, per l’effetto di urti. WWW.SUNHOPE.IT 13 Materiale elaborato da Luigi Aronne N.B. Lo stato di macerazione della cute può essere valutato per stabilire la durata dell’immersione di un corpo. È stato infatti calcolato che la macerazione cutanea, per estendersi al dorso della mano, impiega circa 5‐8 gg, mentre il completo distacco dell’epidermide avviene in 2‐4 settimane. Tuttavia, nell’interpretare la macerazione cutanea, occorre considerare una serie di fattori che influenzano l’andamento del fenomeno: Temperatura dell’acqua (per imbiancare completamento il palmo delle mani, infatti, bastano 5‐6 h d’estate e 3‐4 gg, d’inverno) Contenuto di sale, dato che l’acqua dolce macera più rapidamente di quella marina Presenza o meno di indumenti, ed in particolare delle scarpe, che rallentano la macerazione della cute Saponificazione È un processo trasformativo che si verifica nei cadaveri esposti ad elevata umidità ambientale e scarsa ventilazione o che restano per molto tempo sott’acqua. Interessa pertanto: ‐ Corpi inumati in terreno umido, per la superficialità della falda freatica ‐ Cadaveri custoditi in tombe chiuse e bagnate ‐ Soggetti morti per annegamento e rimasti in acqua ‐ Cadaveri sommersi Il processo – sempre preceduto da un certo grado di putrefazione – si caratterizza per la formazione dell’ “adipocera”, un sapone calcico insolubile, di aspetto lardaceo ed untuoso, di colore bianco‐grigiastro e di odore sgradevole, derivante dalla combinazione dei grassi neutri dei tessuti con i sali di calcio presenti nell'acqua o nel terriccio umido, in cui il cadavere giace. Il processo inizia dal tessuto sottocutaneo, per poi diffondersi al tessuto adiposo periviscerale. Si rende evidente dopo alcune settimane e si completa in 6 mesi – 1 anno. Mummificazione Avviene quando il cadavere si trova in un ambiente asciutto, molto caldo e ben ventilato. In tali condizioni, infatti, il corpo va incontro ad una rapida e massiva perdita di liquidi, assumendo un colorito bruno pergamenaceo, a tipo “cuoio vecchio”, differente da quello lucente – a tipo “cuoio di concia recente”, caratteristico della corificazione. Il processo si realizza a distanza di 1 anno dalla morte. Corificazione Consiste in un marcato rallentamento dei processi trasformativi che interessa salme riposte in casse metalliche, ermeticamente chiuse, specie se di zinco. In tale circostanza, la cute si avvalla ed assume l’apparenza del cuoio di concia recente (diverso quindi dal cuoio vecchio della mummificazione). Può osservarsi tra il I ed il II anno di inumazione. WWW.SUNHOPE.IT 14 Materiale elaborato da Luigi Aronne PUNIBILITÀ La punibilità di un soggetto viene esclusa da: 1. Esimenti che assolvono da una condizione di antigiuridicità e, cioè, di contrasto tra un fatto ed una norma giuridica 2. Esimenti dalla colpevolezza 3. Non imputabilità del soggetto al momento del fatto Esimenti che assolvono da condizione di antigiuridicità Si distinguono in: ‐ Generali ‐ Speciali ‐ Non codificate Esimenti generali 1. Consenso dell’avente diritto (art. 50 CP) “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”. Affinché il consenso abbia efficacia scriminante è necessario che: ‐ Sia valido, ossia che provenga dal legittimo titolare del diritto e risulti libero o spontaneo ‐ Abbia ad oggetto diritti disponibili Rispetto al bene dell’integrità personale, l’art. 5 del C.C. stabilisce che il consenso è irrilevante e privo di efficacia rispetto a lesioni produttive di una diminuzione permanente dell’integrità fisica o contrarie alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. N.B. Tra i beni disponibili non rientra quello della vita: il nostro ordinamento giuridico prevede, infatti, come reato la fattispecie dell'omicidio del consenziente e dell'istigazione al suicidio. 2. Adempimento di un dovere 3. Esercizio di un diritto 4. Legittima difesa 5. Uso legittimo delle armi 6. Stato di necessità Esimenti speciali 1. Omissione di referto, nel caso in cui si esponga la persona assistita a procedimento penale oppure sé stessi o un proprio congiunto ad un grave ed inevitabile nocumento della libertà o dell’onore 2. Prestata assistenza a duellanti 3. Soppressione della coscienza o volontà altrui a scopo scientifico o di cura WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne Esimenti non codificate Sono riconducibili a: 1. Teoria dello scopo: si basa sul principio del giusto mezzo per un giusto fine e considera non contrarie al diritto quelle azioni che perseguono un fine giusto. 2. Teoria del bilanciamento degli interessi: quando vi sono due beni‐interessi giuridici in collisione è consentito sacrificare quello di valore minore a vantaggio di quello di valore prevalente. Esimenti dalla colpevolezza 1. Caso fortuito, inteso come l'insieme dei fattori causali sopravvenuti, preesistenti o simultanei che hanno eccezionalmente reso possibile il verificarsi di un evento che, al momento della condotta, si presentava come inverosimile 2. Forza maggiore Consiste in un evento di una forza alla quale non è oggettivamente possibile resistere. Tale evento, per la sua forza intrinseca, induce la persona a compiere un atto positivo o negativo in modo necessario ed inevitabile. 3. Violenza fisica Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi. In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l'autore della violenza 4. Errore sul fatto Consiste in una falsa rappresentazione della realtà di fatto. Non imputabilità del soggetto al momento del fatto Secondo l’art. 85 del CP, “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere” Capacità di intendere È l’attitudine a prevedere la portata e le conseguenze della propria condotta. Può essere quindi intesa come la coscienza dell'agire. Pertanto, il soggetto agente, dotato della capacità di intendere, è in grado di stabilire correttamente se le sue azioni siano buone o cattive (valore morale), siano lecite o illecite (valore giuridico), siano utili o dannose all'interesse comune (valore sociale). Capacità di volere È la facoltà di autodeterminarsi e di scegliere liberamente la condotta adatta ad uno scopo. Può essere quindi intesta come la libertà dei propri atti. Pertanto, l‘imputabilità consiste nell’idoneità di un soggetto ad essere imputato di un reato e, cioè, nella condizione occorrente per attribuire, al soggetto agente, il fatto da lui commesso e mettergli in conto le conseguenze giuridiche della sua condotta. N.B. Cosa diversa è l’imputazione, che consiste nell’attribuzione di un reato, da parte del un Pubblico Ministero, a conclusione delle indagini preliminari. WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne Nel soggetto adulto, che ha più di 18 anni, l’imputabilità è sempre presunta dal codice e quindi ne viene sempre data per scontata la sussistenza. Cause di esclusione dell’imputabilità Si distinguono in: Fisiologiche 1. Età < 14 anni (art. 97 CP) Per i minori di anni 14, infatti, sussiste sempre la presunzione assoluta della non imputabilità. 2. Età < 18 anni (art. 98 CP) È tuttavia imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, pur essendo minore di anni 18 e maggiore di anni 14, aveva capacità di intendere e di volere. La pena è comunque diminuita. Per coloro che hanno un’età compresa tra 14 e 18 anni, pertanto, non esiste né presunzione di non imputabilità (come per i minori di anni 14), né presunzione di imputabilità (come per gli adulti). L’imputabilità va accertata caso per caso. N.B. Secondo il CC, il minore è di diritto emancipato con il matrimonio, per poter esercitare la potestà genitoriale sui figlio, divenendo, al contempo, imputabile. Patologiche 1. Vizio totale di mente (art. 88 CP) Non è imputabile chi, al momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d'intendere o di volere. 2. Vizio parziale di mente (art. 89 CP) Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita. Il giudizio sull’effettiva esistenza del vizio totale o parziale di mente è di tipo “storico”, nel senso che deve essere riferito, dal perito, al preciso momento in cui quella data persona ha commesso il fatto. In riferimento a tale preciso momento, occorre innanzitutto valutare la presenza di un disturbo di un mente che possa qualificarsi come infermità in senso giuridico, e cioè capace di escludere o diminuire la capacità di intendere e di volere. Pertanto, anche disturbi della personalità non inquadrabili nelle figure tipiche della nosografia clinica possono acquisire rilevanza se di consistenza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere. N.B. La sola diagnosi non è tuttavia sufficiente a produrre un giudizio di difetto di imputabilità. Tale giudizio può essere infatti formulato solo dimostrando la derivazione causale diretta del comportamento delittuoso in discussione dal vizio di mente obiettivato. Ad esempio, se un paranoico delirante, affetto da delirio di persecuzione, uccide il suo presunto persecutore, non vi potranno essere dubbi circa l’esistenza del vizio totale di mente. Sarà diversamente valutata l’imputabilità nel caso che lo stesso personaggio risulti responsabile di un delitto che si collochi al di fuori del suo nucleo delirante. WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne Il CP, inoltre, precisa l’impatto sull’imputabilità di altre condizioni, quali: Incapacità procurata (art. 86 CP) Se taluno mette altri nello stato d’incapacità di intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato d’incapacità. Incapacità preordinata (art. 87 CP) Chi si è messo in stato di incapacità di intendere o volere, al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa, è imputabile. con la pena che risulta aumentata. Stati emotivi o passionali (art. 90 CP) Gli stati emotivi o passionali non escludono, né diminuiscono l'imputabilità. Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore (Art. 91 CP) Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d'intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore. Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere o di volere, la pena è diminuita. Classico è l’esempio della rottura di recipienti contenenti alcool, con conseguente inalazione di vapori Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata (Art. 92 CP) L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità. Se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata. Si parla di ubriachezza volontaria, quando il soggetto vuole ubriacarsi e sa di poterlo fare bevendo una certa quantità di alcol. Si parla di ubriachezza colposa, quando, pur risultando assente la volontà di ubriacarsi, esisteva una chiara prevedibilità dell’evento. Si parla di ubriachezza preordinata, quando il soggetto non solo beve per ubriacarsi ma vuole farlo proprio allo scopo di commettere un reato o di prepararsi una scusante. In questo caso, l’imputabilità non solo viene ammessa, ma la pena è aumentata. Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti (Art. 93 CP) Ubriachezza abituale (art. 94 CP) Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza e questa è abituale, il soggetto che lo ha commesso è imputabile e la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcoliche ed in stato frequente di ubriachezza. L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte dell’articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti, da chi è dedito all’uso di tali sostanze. Cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti (art. 95 CP) Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti si applicano le disposizioni contenute negli art. 88 ed 89 del CP (vizio totale e vizio parziale di mente). WWW.SUNHOPE.IT 4 Materiale elaborato da Luigi Aronne N.B. l’intossicato cronico va considerato un malato a tutti gli effetti e pertanto non occorre verificare ulteriormente quale sia l’origine dello stato di intossicazione. Nei primi periodi, quando il decadimento volitivo ed intellettuale non è molto accentuato, si potrà prospettare l’esistenza del vizio parziale di mente. Nei casi avanzati, invece, si potrà configurare il vizio totale. Sordomutismo (art.96 C.P.) Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità di intendere o di volere WWW.SUNHOPE.IT 5 Materiale elaborato da Luigi Aronne LESIONI DA ENERGIA MECCANICA 1 LESIONI DA CORPI CONTUNDENTI Si determinano per l’azione di corpi dotati di superficie piana o curva, talora di spigoli, ma mai di margini taglienti o punte, atti a traumatizzare. Tra essi rientrano: ‐ Mezzi di offesa e di difesa naturali, come mani, piedi, gomiti e ginocchia ‐ Strumenti contundenti destinati ad offendere, come mazze e sfollagenti ‐ Oggetti contundenti usati occasionalmente per nuocere o che ledono in seguito ad accidente: bastoni, pietre, martelli, chiavi inglesi I corpi contundenti possono agire per: Gravità Stato di moto Resistenza opposta a corpi in movimento Le lesioni da corpi contundenti includono: 1. Irritazioni Lesioni cutanee che si producono quando l’azione esercitata dal mezzo lesivo non supera la specifica resistenza della cute. Si realizzano per un meccanismo di percussione o di sfregamento. Un tipico esempio di irritazione da percussione è quella dovuta ad uno schiaffo. Tale evenienza provoca, localmente, una reazione vasomotoria, con impallidimento e successivo arrossamento della cute, ed una sensazione di bruciore, seguita da torpore ed ipoestesia. Lo schiaffo, pertanto, va inteso come un’azione violenta responsabile di alterazioni anatomiche, non accompagnate da alcun disturbo funzionale. Il fatto, quindi, non generando una malattia penalmente rilevante, configura un delitto di percosse e non di lesione personale. L’irritazione da sfregamento può essere acuta, con eritema e formazione di vescicole sierose sottoepidermiche, oppure cronica, per uno stimolo ripetuto e prolungato nel tempo, con ispessimento della cute e callosità. 2. Escoriazioni Consistono nell’asportazione o distruzione dell’epidermide da parte di forze lesive che agiscono tangenzialmente (strisciamento). Si distinguono tre gradi di escoriazione: ‐ Primo grado, in cui il distacco è limitato all’epidermide, con esposizione del derma, che non viene interessato. Determinano uno stillicidio linfatico che porta alla formazione di una sottile crosta sierosa giallastra. ‐ Secondo grado, in cui la lesione interessa anche le papille dermiche che s’insinuano negli strati profondi dell’epidermide. La lacerazione dei capillari in esse presenti, provoca piccole emorragie, con formazione di una crosta siero‐ematica. ‐ Terzo grado, in cui la lesione si estende più profondamente nel derma, causando la lacerazione di vasi di calibro maggiore, con emorragia copiosa e formazione di una spessa crosta ematica. 1 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne La forma è spesso irregolare. Esistono, tuttavia, escoriazioni figurate che riproducono la morfologia del mezzo lesivo, come: ‐ Disegno degli pneumatici ‐ Forma “a nastro” dei colpi di frusta Varietà di escoriazioni figurate, inoltre, sono: ‐ Unghiature, derivanti dalla pressione del margine libero ungueale e che mostrano una tipica forma semilunare. ‐ Graffiature, prodotte dallo strisciamento dell’unghia sulla pelle e che si presentano come strie lineari sottili e parallele. Per quanto riguarda la sede, escoriazioni – come graffiature da unghia – al collo, si osservano in caso di strozzamento; in regione genitale e sulla faccia mediale delle cosce, nella violenza sessuale; agli arti superiori ed al viso in caso di colluttazione; in regione periorale, nelle manovre di soffocamento. La direzione secondo la quale ha agito in mezzo contundente può essere desunta qualora siano rilevabili piccole esfoliazioni cutanee (lembetti epidermici) che formano, con la superficie escoriata, un angolo aperto verso la direzione da cui si è mosso lo strumento lesivo. La DD tra escoriazioni prodotte in vita e dopo la morte si basa sulla presenza della crosta: quelle che si formano nel cadavere, infatti, ne sono sempre prive. 3. Ecchimosi Vanno intese come uno stravaso di sangue in ambito tissutale, prodotto dalla rottura di vasi sanguigni, senza lacerazione dei tessuti sovrastanti. Quando il sangue, anziché infiltrare i tessuti, forma raccolte voluminose si parla di ematoma. Meccanismi di formazione: Schiacciamento, per lacerazione della parete vasale tra tessuti compressi Trazione, per lo stiramento tissutale Suzione o decompressione, per diminuzione della pressione esterna, con sovradistensione dei vasi sanguigni e loro rottura Sforzo, per brusco aumento della pressione sanguigna Le ecchimosi possono essere: Superficiali, sottocutanee Profonde, muscolari e viscerali Ecchimosi superficiali Si presentano sotto forma di macchie di varia estensione, con margini sfumati, non rilevate sulla cute – che appare integra – e di colore variabile in rapporto all’età della lesione: ‐ La lesione, inizialmente, è di colore rosso, per la presenza, nei tessuti, di Hb ossigenata ‐ Una lesione verificatasi da alcune h, è di colore rosso‐violaceo, per la presenza di Hb deossigenata ‐ Una lesione vecchia di 5‐6 gg, è di colore verdastro, per la trasformazione dell’Hb in biliverdina ‐ Una lesione vecchia di 8‐9 gg, è di colore giallastro, per la riduzione della biliverdina in bilirubina Le modificazioni cromatiche iniziano alla periferia e progrediscono verso il centro dell’ecchimosi. La tempistica della variazione cromatica risulta utile per datare l’evento traumatico. 2 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Di solito, la sede dello stravaso sanguigno sottocutaneo coincide con quella dove è stata esercitata l’azione contusiva. Talora, comunque, sono riscontrabili ecchimosi superficiali in sedi diverse dal punto di applicazione della forza lesiva per un meccanismo di migrazione gravitazionale del sangue lungo vie anatomiche preformate (dalla base cranica anteriore alle palpebre, dal cuoio capelluto alla nuca, dalle spalle e dai fianchi, rispettivamente, alla piega del gomito e del ginocchio). Un dato che attesta la migrazione di un’ecchimosi consiste nella comparsa della stessa con un colore che indica la già iniziata trasformazione del pigmento sanguigno. Le ecchimosi superficiali solo di rado riproducono con sufficiente approssimazione la forma dell’oggetto contundente o della parte di esso cha ha colpito la pelle. Quando ciò si verifica, le ecchimosi vengono dette figurate. Ecchimosi figurate sono ad esempio quelle prodotte dall’urto contro il volante di un’automobile. N.B. Va detto, tuttavia, che anche quando al tempo del traumatismo la somiglianza esiste, essa progressivamente svanisce per il successivo estendersi e diffondersi dello stravaso. Ecchimosi profonde Le ecchimosi profonde – muscolari o viscerali – in genere si formano a causa di grandi traumatismi contusivi e, meno frequentemente, di colpi localizzati. Le ecchimosi muscolari possono realizzarsi per: ‐ Azione diretta sul muscolo, specie se contratto, anche senza lesione della cute sovrastante, qualora il corpo contundente presenti una superficie ampia ed una consistenza soffice (caso di sacchetti di sabbia) ‐ Trazione, con rottura dei vasellini decorrenti tra i singoli fasci, durante una brusca e violenta contrazione muscolare. Le ecchimosi viscerali generalmente riguardano visceri addominali, cervello e polmoni. Possono verificarsi per: ‐ Diretta trasmissione della violenza al viscere, manifestandosi in stretta connessione topografica con la sede colpita ‐ Contraccolpo, manifestandosi in un punto opposto a quello che ha subito il trauma Nel vivente, la presenza di ecchimosi profonde è sospettabile solo se causano turbamenti funzionali; nel cadavere, invece, sono facilmente diagnosticabili all’esame microscopico. Le ecchimosi sono sempre lesioni pre‐mortali – dato che lo stravaso del sangue richiede una certa pressione – e vanno poste in DD con le ipostasi (raccolta di sangue, per gravità, in distretti vascolari declivi rispetto alla posizione assunta dal corpo dopo la morte, venuta meno la contrazione del cuore). La DD si basa sul fatto che le ecchimosi, dopo incisione, mostrano una colorazione rossastra della superficie di taglio, non completamente asportabile con il lavaggio, in quanto i tessuti sono infiltrati dal sangue stravasato. Le ipostasi, invece, presentano superfici di taglio biancastre e lavabili, per mancanza di infiltrazione ematica dei tessuti, con fuoriuscita di gocce di sangue dai vasi recisi. 3 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 4. Ferite lacere e lacero‐contuse Soluzioni dei continuo della cute, ed eventualmente anche delle parti molli sottostanti, prodotte da un corpo contundente. ‐ Nelle ferite lacere, prevalgono i meccanismi di trazione ‐ Nelle ferite lacero‐contuse, sono in gioco anche meccanismi di compressione e strisciamento che rendono pesti e cincischiati i margini della lesione. Talora, si determinano anche effetti di scoppio allorché un oggetto privo di spigoli agisca con un meccanismo di percussione su di una superficie corporea convessa, ricca di tessuto adiposo o connettivo lasso sottocutaneo, come il cuoio capelluto. Caratteristiche morfologiche comuni: 1. Irregolarità dei margini, che appaiono tanto più pesti e cincischiati (spiegazzati) quanto maggiore è l’azione di compressione e strisciamento esercitata dal mezzo contundente. 2. Scollamento della cute rispetto ai piani sottostanti 3. Fondo anfrattuoso 4. Infiltrazione ematica di margini e fondo 5. Presenza, tra i bordi della ferita, di ponti di tessuto più o meno integro che hanno resistito all’azione discontinuante del mezzo lesivo. Ciò rappresenta il più importante elemento di diagnosi differenziale rispetto a ferite da taglio, in cui l’azione recidente della lama elimina ogni possibilità di formazione di residui tissutali tra i due margini della lesione. La forma delle ferite lacero‐contuse, in genere, non consente di risalire a quella dello strumento adoperato. Alcune ferite lacero‐contuse, comunque, mostrano aspetti peculiari. È questo il caso di: ‐ Ferite su cresta ossea (cresta tibiale e cresta sopracciliare), nelle quali la cute, compressa contro la superficie ossea, viene lesa dall’interno verso l’esterno. ‐ Lesioni da morso di animale o di uomo, specie se prodotte da denti incisivi. Nei morsi umani, la forma corrisponde a quelle delle arcate dentarie, disposte secondo due curve che si guardano con le parti concave. I morsi di cavallo hanno un aspetto simile, ma dimensioni maggiori. I morsi di cane, invece, producono due filiere rettilinee, tendenti alla convergenza. N.B. La morfologia delle morsicature consente, non soltanto, di riconoscere la specie animale responsabile ma, in molti casi di morsi umani, anche di identificare l’individuo che le ha prodotte. 6. Rottura di visceri Si produce per meccanismi di pressione, trazione, scoppio. I visceri più frequentemente interessati sono: encefalo, polmoni, cuore, fegato e milza. ‐ A livello encefalico, la lesione può verificarsi nel punto di applicazione della forza, oppure, in caso di spostamento per inerzia della massa cerebrale all’interno del cranio, nel punto opposto. ‐ A livello polmonare, la lesione è spesso causata dall’azione diretta delle coste fratturate sul parenchima. ‐ La rottura del cuore può determinarsi per compressione della gabbia toracica. ‐ Il fegato e soprattutto la milza possono andare incontro ad una “rottura in 2 tempi”, per traumi toraco‐addominali. In tal caso, si forma, prima, un ematoma sottocapsulare, che aumenta gradualmente di volume, con sovradistensione della capsula e successiva rottura della stessa, causa di emoperitoneo. 4 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 7. Fratture ossee Possono essere: ‐ Dirette, se si verificano nel punto di applicazione della forza ‐ Indirette, se si verificano a distanza dal punto di applicazione della forza, per flessione, torsione, trazione, trasmissione di forza (caso di sfondamento dell’acetabolo in seguito ad un urto sul ginocchio flesso). Relativamente alle FRATTURE CRANICHE, tra quelle dirette si distinguono: ‐ Fratture da violenza diffusa Sono quelle causate dall’urto tra il capo ed una superfice estesa (come il suolo). Presentano una o più linee di frattura che si dipartono a raggiera dal punto colpito (cdt “fratture meridianiche”). Tali linee corrispondono al cedimento dei tavoli ossei, prima di quello interno, poi di quello esterno. Contestualmente, è anche possibile osservare rime di frattura dall’aspetto di anelli o semicerchi concentrici al punto di impatto. Si tratta delle cdt “fratture equatoriali”, nelle quali il tavolato esterno è il primo a rompersi. La combinazione di fratture meridianiche e di fratture equatoriali produce fratture tipiche, definite “a ragnatela” o “a mappamondo”. ‐ Fratture da violenza circoscritta Conseguono all’azione di corpi contundenti con superficie relativamente contenuta. Sono anche dette “a stampo”. Se causate da uno spigolo, assumono un aspetto a scalino che riproduce l’inflessione dell’osso (“fratture a terrazzo”). Le fratture craniche indirette sono quelle che si verificano a distanza dal punto di applicazione della forza. Un esempio è rappresentato dalle fratture della base cranica per caduta sul podice. Peculiari fratture craniche sono quelle bipolari, tipiche dello schiacciamento. In tale circostanza, il capo si trova sottoposto all’azione di due forze opposte, di cui una agisce come potenza e, l’altra, come resistenza. 5 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 2 LESIONI DA ARMA BIANCA Sono la conseguenza dell'azione violenta di mezzi dotati di margini affilati o/e di punte acuminate 1. Ferite da punta Sono dovute a mezzi puntuti, distinguibili in tipici (come chiodi, aghi, frecce, fioretti) ed atipici (come punte di bastone ed ombrello). Le lesioni da essi provocate si realizzano mediante un meccanismo di pressione e divaricamento dei tessuti attraversati. In questo tipo di ferite, la profondità prevale sulle altre dimensioni. L’orifizio d’entrata assume una forma ovalare o ellittica ‐ mai rotonda ‐ anche quando il mezzo puntuto ha sezione circolare. Accollando i margini, non si nota perdita di sostanza. Le sue dimensioni sono lievemente inferiori rispetto alla sezione dello strumento vulnerante, per la distensione e la successiva retrazione della cute, che si verificano in corso di penetrazione. Le lesioni da punta possono essere a fondo cieco o trapassanti. La direzione del tramite, essendo influenzata dalla diversa fendibilità dei tessuti attraversati, non sempre rispecchia il reale angolo di penetrazione dell’agente lesivo. Possono osservarsi in caso di accidente/suicidio/omicidio. Nel suicidio, ad essere interessate sono soprattutto regioni auto‐aggredibili, come quella precordiale. Nell’omicidio, le lesioni sono in genere molteplici e si associano molto frequentemente a lesioni “da difesa”. 2. Ferite da taglio Consistono in soluzioni di continuo della cute e dei tessuti molli prodotte da mezzi taglienti. Questi ultimi possono essere tipici (caso di bisturi, rasoi, coltelli, spade) o atipici (caso di lamiere metalliche, frammenti di vetro). L’azione lesiva si esplica con un duplice meccanismo: di pressione, che tende a far affondare lo strumento nei tessuti e di scorrimento, che fa progredire il mezzo lungo la direzione del filo tagliente. Le caratteristiche delle ferite da taglio sono: 1) Estensione in superficie, con la lunghezza che si dimostra maggiore della profondità 2) Regolarità e nettezza dei margini 3) Sezione completa dei tessuti a tutti i livelli, senza formazione di ponti o briglie tra i margini 4) Estremità acute 5) Presenza di “codette” e, cioè, di prolungamenti superficiali del taglio, in entrata ed in uscita All’entrata, essendo più intensa la pressione esercitata, il mezzo affonda rapidamente e la codetta è breve; più lunga è invece la codetta in uscita. Talora, le codette, sono presenti ad una sola estremità, di norma interpretabile come punto di uscita del tagliante. Nel caso in cui siano coinvolte superfici curve, come il collo o gli arti, le codette possono mancare del tutto o presentare un aspetto differente, con maggiore lunghezza in entrata (fenomeno dell’inversione delle codette). 6 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 6) Fondo regolare 7) Forma delle ferite lineare Costituiscono varietà tipiche delle ferite da taglio: Ferite da difesa Indicative di omicidio. Si producono sul palmo della mano della vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione. Peculiari ferite da difesa sono quelle “a lembo” – caratterizzate, cioè, da un margine libero fluttuante – che si formano qualora la vittima cerchi di afferrare l’arma dell’aggressore. Ferite da svenamento Indicative di suicidio. Si rilevano in zone auto‐aggredibili (polsi, pieghe dei gomiti, regioni inguinali) nelle quali i vasi decorrono in posizione relativamente superficiale. Sono generalmente multiple, ravvicinate, parallele tra di loro e di profondità differente. Le più superficiali corrispondono alle cdt “ferite di prova”, ossia a tentativi autolesivi che il suicida si infligge prima del colpo o dei colpi decisivi. Ferite da scannamento o sgozzamento Si osservano nella regione cervicale. Risultano rapidamente mortali quando si verifica la sezione della carotide, che provoca un’intensa emorragia, con conseguente shock emorragico. Anche le emorragie più lievi possono condurre al decesso, per sommersione interna, se il sangue penetra nelle vie respiratorie. Più raramente, la morte è causata da embolia gassosa, per penetrazione di aria nella giugulare interna. Lo scannamento si osserva come eventualità sia omicidiaria che suicidiaria. Depongono per un’evenienza omicidiaria: ‐ Ampia distribuzione delle lesioni, con riscontro di ferite, oltre che al collo, anche in altri distretti corporei, specie se in regioni difficilmente autoaggredibili ‐ Presenza di ferite da difesa Depongono per un’evenienza suicidiaria: ‐ Presenza delle cdt “ferite di prova” ‐ Assenza di ferite da difesa ‐ Concentrazione delle lesioni ‐ Andamento parallelo delle stesse Ferite da sventramento Sono prodotte dal filo di un rasoio o di una lama ricurva (sciabola), come nel karakiri, in cui si determina, a scopo suicida, un largo squarcio nella parete addominale, con fuoriuscita dei visceri. 7 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 3. Ferite da fendente Sono provocate da strumenti taglienti, dotati di lama pesante (come scuri e mannaie) che agiscono con un meccanismo combinato, recidente e contundente. Possono assumere un aspetto: ‐ lineare, quando il mezzo incontra perpendicolarmente il piano cutaneo ‐ a lembo, quando il mezzo vulnerante è impiegato tangenzialmente al piano cutaneo ‐ mutilante, quanto il mezzo vulnerante provoca il distacco di arti, singole dita, parti corporee sporgenti. Rara è la formazione di codette. 4. Ferite da punta e taglio Consistono in soluzioni di continuo della cute e dei tessuti sottostanti dovute a strumenti dotati di un’estremità acuminata e di almeno un filo tagliente. Tali strumenti possono essere tipici (spade, pugnali, coltelli da cucina) o atipici (schegge di vetro, frammenti ossei appuntiti e taglienti, forbici). La ferita si determina per la contemporanea azione penetrante, della punta e recidente, del filo tagliente. Le caratteristiche morfologiche principali sono: 1. Nettezza e regolarità dei margini (a meno che la lama non abbia una superficie irregolare) 2. Divaricazione degli stessi, per retrazione dei tessuti 3. Prevalenza della profondità rispetto alla lunghezza La lunghezza della ferita equivale pressappoco alla larghezza della porzione di lama penetrata se quest’ultima entra ed esce dalla cute senza che si produca alcuno spostamento lungo l’asse di penetrazione. Tuttavia, più frequentemente, accade che, nell’estrazione, la lama venga spostata, facendosi strada dal lato del taglio ed estendendo la ferita in quella direzione. In questo caso, pertanto, la lunghezza della ferita supera la larghezza della lama. 4. Presenza di un’estremità acuta, corrispondente al filo tagliente della lama e di un’estremità ottusa, corrispondente al dorso della stessa, se la lama è monotagliente, con la ferita che assume la forme di un triangolo isoscele allungato. Se la lama è bitagliente, invece, entrambe le estremità sono ad angolo acuto, con la ferita che assume una forma ad asola. Le estremità della ferita mancano di codette, se il filo agisce sulla cute perpendicolarmente. Se un’estremità della ferita mostra una codetta, è segno che lama è emersa obliquamente rispetto alla superficie cutanea da quell’estremità. Siccome, nell’uscire, la lama viene spesso ruotata rispetto alla posizione d’entrata, ne consegue che lungo uno dei margini della ferita può manifestarsi un’incisura laterale. Questa incisura laterale, anche nota come “intaccatura complementare a codetta”, è di solito prossima ad una delle estremità della ferita ed indica da che lato si trovava il filo della lama (nei casi di lama monotagliente). L’incisura laterale consente, inoltre, di stabilire se la mano che impugnava l’arma era la destra o la sinistra, poiché la rotazione della lama – da cui dipende la sua comparsa – avviene sempre nel senso della flessione della mano, per prevalenza dei muscoli flessori sugli estensori, all’atto dell’estrazione della lama. Se l’arma era afferrata come si tengono i pugnali – in modo, cioè, da sporgere dalla parte del mignolo –, una rotazione oraria depone per l’uso della mano sinistra; una rotazione antioraria, per l’uso della destra. Il contrario avviene se l’arma era impugnata come una spada, in modo, cioè, da sporgere dalla parte del pollice. 8 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Il tramite è per lo più a fondo cieco, rettilineo, con pareti nette e regolari, in quanto non rispetta le linee di fendibilità dei tessuti: lo strumento da punta e taglio, infatti, non divarica ma recide. Per tale motivo, a differenza delle lesioni da punta, la direzione del tramite rispecchia piuttosto fedelmente l’angolo di penetrazione dell’arma nei tessuti. La lunghezza del tramite non corrisponde quasi mai all’asse maggiore della lama: è più lungo, se la parte colpita è cedevole; più corto, se l’arma incontra una resistenza ossea, dove si possono formare intaccature a stampo. L’eventuale lesione di uscita, nel caso di ferite trapassanti, è in genere di dimensioni minori rispetto a quella di ingresso, perché prodotta dall’estremità distale dello strumento. Ferite da punta e taglio con morfologia peculiare sono quelle prodotte da forbici. ‐ Se le branche dello strumento, al momento dell’infissione, risultano chiuse, si genera una soluzione di continuo a forma di losanga, seguita da un tramite unico. ‐ Se le branche sono aperte, invece, lo strumento determina una coppia di soluzioni di continuo triangolari e simmetriche che si continuano in due tramiti divergenti. Lesioni da punta e taglio si osservano con maggiore frequenza in occasione di omicidi ed accidenti. Più raramente vengono auto‐inferte a scopo suicida. Depongono per una dinamica omicidiaria: ‐ Ampia distribuzione delle lesioni, con riscontro di ferite, oltre che al collo, anche in altri distretti corporei, specie se in regioni difficilmente autoaggredibili ‐ Presenza di ferite da difesa Si producono sul palmo della mano della vittima durante i tentativi di resistenza all’aggressione. Peculiari ferite da difesa sono quelle “a lembo” – caratterizzate, cioè, da un margine libero fluttuante – che si formano qualora la vittima cerchi di afferrare l’arma dell’aggressore. Per quanto riguarda la diagnosi differenziale tra lesioni in vita e post‐mortali, segni di vitalità della lesione sono: ‐ Infiltrazione emorragica dei margini ‐ Retrazione degli stessi ‐ Presenza di un tappo emostatico all’esame istologico 9 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 3 LESIONI DA ARMA DA FUOCO Le armi da fuoco sono congegni meccanici capaci di lanciare a distanza proiettili, grazie all’energia sviluppata dall’espansione dei gas che si generano per la combustione di miscugli esplosivi. Raggiunto il corpo umano, il proiettile vi esercita un’azione contundente (azione di martello), percuotendo ed introflettendo la cute; quindi la divarica, con un’azione di cuneo. Può aggiungersi un effetto di scoppio qualora l’energia posseduta dall’agente balistico venga ceduta in quantità elevata al bersaglio. FERITE D’ARMA DA FUOCO A PROIETTILE SINGOLO Consistono in soluzioni di continuo dei tessuti distinguibili in: Ferite penetranti Possono essere: ‐ A fondo cieco, in cui si osservano un foro di entrata ed un tramite incompleto, con ritenzione del proiettile. ‐ Trapassanti o trasfosse, in cui la ferita è costituita da un foro d’entrata, un tramite completo ed un foro d’uscita. Il termine trasfosse andrebbe riservato a quelle ferite trapassanti che attraversano una fossa naturale dell’organismo (come la fossa cranica). ‐ A setone, in cui si osservano un foro d’entrata, un tramite corto ed un foro d’uscita. Differiscono dalle altre poiché il tramite consiste in un breve percorso che il proiettile scava nel tessuto sottocutaneo. Ferite non penetranti Sono anche definite ‐ A doccia o a semicanale Si producono allorché i proiettili colpiscano la cute in corrispondenza di una superficie curva, “di striscio”, scavando una sorta di canale, senza penetrare al di sotto dei tegumenti. CARATTERISTICHE DEL FORO D’ENTRATA Variano in rapporto alla distanza dalla quale è stato esploso il colpo. Bisogna pertanto distinguere tra: 1) Colpi da lontano Il proiettile perfora la cute e produce una ferita di forma circolare o ovalare, con margini finemente sfrangiati, talora visibilmente introflessi. La soluzione di continuo vera e propria è circondata da un cercine o orletto di escoriazione. L’orletto di escoriazione ha dimensioni di alcuni mm e colore rosso scuro. Si determina per l’azione del proiettile che, prima di perforare la cute, la infossa “a dito di guanto”, creando un cono di depressione, all’interno del quale escoria tutte le porzioni di tessuto stirato ma perfora solo l’apice del cono. Il cercine sarà concentrico, se il proiettile colpisce la cute in direzione perpendicolare, eccentrico, se la direzione è obliqua. In quest’ultimo caso, risulta più esteso dal lato di provenienza. Intorno al foro d’entrata del proiettile, si può evidenziare anche il cosiddetto orletto di detersione. Esso consiste in un alone untuoso, di colore nerastro, costituito dal materiale grassoso che il proiettile raccoglie nel passaggio attraverso la canna dell’arma e deposita sul bersaglio. 10 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Si osserva bene sugli indumenti ma è generalmente poco apprezzabile intorno alla ferita, perché mascherato dall’orletto di escoriazione. La sua presenza, inoltre, è incostante perché le moderne cariche di lancio sporcano di meno. Può essere messo in evidenza e differenziato dall’orletto di escoriazione lavando, per almeno 12 ore in acqua fredda, il frammento cutaneo comprendente la ferita. In tal modo, si asporta l’infiltrazione emorragica che circonda la lesione potendo osservare l’orletto di detersione sotto forma di un anello nerastro grassoso che risulta insolubile in acqua. La conferma può essere ricercata istologicamente mediante idonee colorazioni per i lipidi (Sudan III) 2) Colpi da vicino ed a contatto Sono quelli esplosi nell’arco di 40‐50 cm. Possono essere schematizzati in tre classi: 1. Colpi a contatto 2. Colpi a bruciapelo 3. Colpi in vicinanza Colpi a contatto Sono quelli sparati da un’arma in diretto contatto con la cute. In tale circostanza, il foro di entrata mostra: Dimensioni superiori al calibro del proiettile Aspetto irregolare e frastagliato, con discontinuazione secondaria dei margini, che conferiscono alla ferita una forma stellare. Quando infatti la bocca dell’arma è applicata sulla cute al momento dello sparo, i gas che escono dalla canna a forte pressione, penetrano con il proiettile e si espandono nel sottocutaneo. Ciò comporta lo scollamento della cute in prossimità della ferita, che risulta interessata da fenditure a raggiera. Intorno al foro d’entrata, inoltre, si apprezza, non solo l’orletto di escoriazione, ma anche l’impronta a stampo, totale o parziale, della bocca dell’arma o di parti prossime ad essa. Caratteristico è lo stampo prodotto dall’asta di guida dell’otturatore rinculante posta sotto la canna di molte pistole semiautomatiche (segno di Werkgartner). Se il contatto è completo mancano gli effetti secondari della carica di lancio, come l’affumicatura ed il tatuaggio, peraltro riscontrabili nella porzione iniziale del tramite. Se, invece, il contatto è angolare sarà possibile osservare: ‐ Impronta parziale dell’arma ‐ Cono affumicato, con vertice prossimale e base distale, dove i gas, anziché insinuarsi all’interno della ferita, urtano la cute, formando un’area contusa, giallo‐bruna, di consistenza pergamenacea. Colpi a bruciapelo Sono così definiti in quanto la distanza di sparo è tale da consentire il manifestarsi di effetti di ustione. In questo caso, il foro d’entrata appare netto ed intorno ad esso si riscontrano, procedendo dall’interno verso l’esterno: 1) Orletto di escoriazione 2) Eventuale orletto di detersione (se non sono frapposti indumenti) 3) Alone denso, irregolarmente circolare, che può raggiungere anche le dimensioni di alcuni cm, in cui si apprezzano i cdt “effetti secondari dello sparo”. 11 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Gli effetti secondari dello sparo includono: ‐ Fenomeni di affumicatura Dipendono dal deposito, intorno al foro d’entrata, di residui solidi combusti della carica di lancio e sono asportabili mediante lavaggio. ‐ Tatuaggio È prodotto da granuli incombusti della carica di lancio che si infiggono nella cute intorno alla ferita. La colorazione è persistente e non scompare con il lavaggio. ‐ Ustione È dovuta all’azione di fiamma che può esprimersi mediante la bruciatura di formazioni pilifere. ‐ Fenomeni di contusione del gas Si caratterizzano per presenza di un’area contusa, giallo‐bruna, intorno al foro di entrata, causata dalla colonna dei gas che escono a forte pressione dalla canna. N.B. se la cute è rivestita da indumenti, l’affumicatura, il tatuaggio e l’azione di fiamma vanno ricercati su questi ultimi. Gli effetti secondari dello sparo sono osservabili tutti insieme fino a distanze di 5‐10 cm, per armi caricate con polveri nere; fino a distanze di 5‐6 cm, per armi caricate con polveri infumi. Colpi in vicinanza Sono caratterizzati dall’assenza dell’azione di fiamma (ustione) e dal fatto che l’affumicatura, i fenomeni di contusione dei gas ed il tatuaggio risultano più estesi, sebbene più sfumati. Entro 15 cm, il tatuaggio, l’affumicatura e l’alone di contusione coesistono. Tra i 15 ed i 40‐50 cm è apprezzabile solo il tatuaggio. CARATTERI DEL TRAMITE Il tramite è rappresentato dal tragitto che il proiettile compie nel bersaglio a causa della forza viva posseduta. Può essere: ‐ A fondo cieco, con proiettile ritenuto nel fondo ‐ Completo, comunicante con il foro d’uscita Esso si presenta come un canale scavato nello spessore dei tessuti, delimitato da pareti anfrattuose ed infiltrate di sangue. Il canale è virtuale all’interno del tessuto muscolare, reale a livello degli organi parenchimatosi e, soprattutto, delle ossa. Nelle ossa, il tramite assume un aspetto tipicamente imbutiforme, slargandosi verso l’uscita. Tale fenomeno, ben osservabile a livello delle ossa piatte (come quelle del cranio), è di grande importanza per stabilire la direzione del colpo, soprattutto nei casi in cui i reperti cutanei siano alterati. Il tramite assume particolari connotazioni qualora prodotto da proiettili ad alta velocità. In questi casi, la penetrazione attraverso i tessuti, determina, non solo, effetti di distruzione diretti, ma anche lesioni secondarie, dipendenti dalla cessione di elevate quantità di energia ai tessuti stessi. 12 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Dal punto di vista morfologico, il tramite in questione presenterà una zona centrale di distruzione tissutale (tubo di necrosi) ed una zona periferica (manicotto di devitalizzazione), in cui si esprimono gli effetti traumatici dovuti alla dispersione di energia: fratture di ossa non direttamente colpite dal proiettile, scoppio di organi cavi ripieni di liquido e raggiunti dall’onda d’urto. CARATTERI DEL FORO D’USCITA Il foro di uscita NON va differenziato dal foro di entrata per forma e dimensioni, che sono variabili, ma per: 1. Elementi di carattere negativo ‐ Assenza dell’orletto di escoriazione e degli effetti secondari della carica di lancio Va detto, comunque, che talora sono rilevabili fenomeni contusivi intorno al foro di uscita, simulanti la presenza di un orletto di escoriazione. Ciò si verifica quando, all’uscita, il proiettile incontra una resistenza esterna (cintura, parete, pavimento). In particolari condizioni, inoltre, si possono osservare fenomeni di affumicatura in uscita. Si tratta di casi nei quali il fumo, penetrato in un tramite corto, fuoriuscendo all’esterno, viene trattenuto dagli indumenti e si deposita sulla cute, intorno al foro di uscita. 2. Estroflessione dei margini Nei casi di DD difficoltosa tra foro d’entrata e foro d’uscita, si procede alla ricerca di tracce di polvere da sparo – indicative di foro d’entrata – in corrispondenza della lesione o degli indumenti. La ricerca può essere effettuata mediante: ‐ Reagenti chimici per nitriti e nitrati ‐ Metodiche che consentano la dimostrazione dei contenuti dei moderni inneschi (piombo, antimonio e bario). Tali metodiche si avvalgono di microscopio elettronico a scansione + microanalisi (SEM‐EDX). 13 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne FERITE D’ARMA DA FUOCO A PROIETTILI MULTIPLI Tipicamente consistono nelle lesioni prodotte dai comuni fucili da caccia. Un cartuccia da caccia, infatti, contiene numerosi pallini che escono dalla canna, ammassati “a palla”. Dopo circa 1‐2 m di traiettoria, i pallini si distanziano, formando la rosata, che va sempre più allargandosi, fino a raggiungere la massima estensione (cono diretto). A questo punto, la rosata si restringe, perché perde progressivamente i pallini periferici, che non hanno sufficiente energia per raggiungere il bersaglio, con conseguente riduzione della superficie colpita (cono inverso). Si possono pertanto osservare diverse tipologie di lesioni: 1. Breccia unica, con margini festonati, prodotta dai pallini ancora ammassati 2. Breccia centrale, contornata da ferite puntiformi, quando è appena iniziata la formazione della rosata 3. Ferite multiple a rosata, osservabili quando i pallini sono totalmente discostati tra loro. La forma della rosata è circolare, se il colpo viene esploso perpendicolarmente al bersaglio; ovalare o allungata, se il tiro è obliquo. Le distanze alle quali sono rilevabili tali quadri lesivi variano a seconda dell’arma e della carica. Considerando canne di calibro 12, caricate con pallini di medio diametro (2,3‐2,5 mm), ‐ fino ad 1‐1,5 m, la breccia risulta unica ‐ a 5 m, diviene visibile una rosata di 15‐20 cm di diametro ‐ a 10 m, una rosata di 30‐40 cm ‐ a 20 m, di 50‐70 cm ‐ a 30 m, di 80‐100 cm Se si impiegano pallettoni (il cui diametro è di 5 mm), alle medesime distanze le dimensioni della rosata si riducono di circa la metà. È inoltre possibile apprezzare: ‐ Nei colpi esplosi a contatto, l’impronta del piano di volata e, talora, della doppia canna ‐ Nei colpi esplosi da vicino (specie se con polveri nere), effetti secondari della carica di lancio, in particolare: Ustione e contusione dei gas, fino a 5‐10 cm Affumicatura, fino a 50 cm‐1 m Tatuaggio, fino a 1‐1,5 m N.B. colpi esplosi da vicino anche la borra (stoppaccio di materiale feltroso frapposto fra la carica esplosiva e la pallottola) ed eventualmente il cartoncino possono penetrare nella breccia ed essere rinvenuti al suo interno, fornendo indicazioni utili sul tipo di cartuccia. Raro è il riscontro di fori di uscita, poiché la forza viva posseduta dal singolo agente balistico è tale da esaurirsi all’interno dei tessuti colpiti. 14 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Nel caso di lesioni da arma da fuoco, la dd tra omicidio, suicidio ed accidente, si basa su di una valutazione complessiva degli elementi di indagine, che sono di natura biologica e circostanziale. Elementi utili ai fini della dd, sono: 1. Sede della ferita 2. Distanza da cui è stato esploso il colpo 3. Direzione del proiettile 4. Numero dei colpi 5. Eventuale denudamento della parte colpita 6. Rinvenimento dell’arma nell’ambiente 7. Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima 8. Presenza di tracce di polvere da sparo sulla mano della vittima, ricercate mediante il metodo tradizionale del guanto di paraffina o con l’impiego di un apposito tampone adesivo (“stub”) Sede della ferita Il suicida predilige regioni che garantiscano un decesso sicuro e rapido, quali regioni laterali del capo e precordio. Lesioni a carico di distretti non auto‐aggredibili ed arti superiori, invece, depongono per omicidio. Distanza da cui è stato esploso il colpo È deducibile in base ai caratteri del foro di entrata. Nel suicidio, la distanza è breve, in quanto non può superare la lunghezza del braccio. Pertanto, i caratteri del foro d’entrata, sono quelli del colpo a contatto o a bruciapelo. Direzione del proiettile È deducibile valutando: ‐ Posizione del foro d’entrata e di quello di uscita ‐ Caratteristiche del tramite che, ad esempio, nelle ossa piatte, assume un tipico aspetto imbutiforme, slargandosi verso l’uscita Nel suicidio, presumendo che il soggetto sia destrimane e che prescelga la regione laterale dx del capo, la traiettoria intracranica del proiettile sarà diretta da dx verso sin, dal basso verso l’alto e dall’avanti all’indietro. Per quanto riguarda i colpi esplosi nella cavità orale, in caso di suicidio, il tramite sarà obliquo dall’avanti all’indietro e dal basso verso l’alto; in caso di omicidio e di accidente, invece, il tramite sarà orizzontale. Numero dei colpi Non rappresenta un elemento diagnostico differenziale decisivo, sebbene la molteplicità dei fori di ingresso deponga, in genere, per omicidio, soprattutto se le ferite interessano anche gli arti superiori (lesioni da difesa) e regioni non auto‐aggredibili. Il suicidio solitamente avviene mediante un colpo unico ma si possono osservare anche casi suicidiari in cui sono stati esplosi più colpi. In tali circostanze, comunque, i colpi vengono sparati tutti da vicino, generalmente nella stesse sede e per ledere organi vitali. Denudamento della parte colpita Rinvenimento dell’arma nell’ambiente Suggeriscono una dinamica Presenza di schizzi di sangue sull’arma e sulla mano della vittima suicidiaria Affumicatura del dorso della mano della vittima Ulteriore elemento indicativo di suicidio, apprezzabile sulla mano della vittima: ‐ Segno di Felc Piccola lesione lineare escoriata in corrispondenza del solco interdigitale, tra pollice ed indice, che può formarsi per il pizzicamento della cute tra il carrello ed il corpo di un’arma automatica. 15 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 4 GRANDI TRAUMATISMI Sono eventi traumatici caratterizzati da gravità, molteplicità, multiformità e multipolarità delle lesioni corporee. Nell’ambito dei grandi traumatismi rientrano: 1. INCIDENTI DEL TRAFFICO STRADALE Comprendono ogni evento sfavorevole derivante dal movimento di mezzi su strada, tra cui: A) Investimento di pedone Può essere tipico o atipico Per investimento tipico s’intende il complesso delle lesioni contusive direttamente o indirettamente esercitate su di una persona da un veicolo in movimento. Si definisce investimento atipico, l’urto del corpo in movimento contro un veicolo fermo. Investimento tipico La dinamica dell’investimento tipico può essere schematizzata in cinque fasi successive: 1. Urto, momento del contatto tra veicolo e corpo umano 2. Proiezione ed abbattimento al suolo del corpo urtato, che può avvenire anteriormente o lateralmente al veicolo 3. Propulsione, per l’azione di spinta in avanti che il veicolo esercita sul corpo abbattuto al suolo 4. Arrotamento o sormontamento, in cui il veicolo transita con le ruote sul corpo steso al suolo 5. Trascinamento, che può avvenire quando il corpo rimane impigliato in parti sporgenti del veicolo 1. Nella fase dell’urto, predominano lesione dirette, in particolare fratture del bacino e degli arti inferiori. Possibili sono anche lesioni “a stampo”, come l’impronta del paraurti. 2. Nella fase di proiezione, predominano lesioni indirette da caduta: escoriazioni, ferite lacero‐ contuse del cuoio capelluto, fratture craniche. 3. Nella fase di propulsione, si verificano ferite lacere e lacero‐contuse, con ampi scollamenti dei margini, poiché la cute è sottoposta a fenomeni di trazione tra suolo e ruote. 4. Nella fase di arrotamento, si verificano: escoriazioni ed ecchimosi figurate – che riproducono il disegno degli pneumatici – e lesioni da schiacciamento, tra cui fratture pluriframmentarie e spappolamento di organi interni. 5. Nella fase di trascinamento, si possono realizzare ampie discontinuazioni cutanee, con esposizione di piani muscolari ed ossei. Talora, se il corpo viene urtato al di sotto del baricentro, da un veicolo che ha un frontale basso, anziché abbattersi in avanti, può essere proiettato sul cofano o sul parabrezza (caricamento). In tal caso, si osservano soprattutto lesioni contusive del capo e del collo. Nel caso del ritrovamento del cadavere di una persona investita, è importante stabilire se l’investimento sia avvenuto in vita oppure in morte. Se l’investimento è avvenuto in vita, le lesioni prodotte dal veicolo avranno carattere vitale. 16 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Se l’investimento è invece avvenuto in morte (caso di persona uccisa e poi esposta all’investimento di un veicolo o di persona morta su strada per malore improvviso e poi investita), le lesioni attribuibili all’arrotamento – unica fase osservata dato che il corpo si trova già disteso al suolo – avranno caratteristiche non vitali. Può capitare, inoltre, che l’investimento interessi una persona poco prima vittima di un incidente stradale (caso ad esempio di un motociclista caduto e rimasto esanime sull’asfalto). In tale circostanza, è possibile distinguere quale dei due incidenti sia stato mortale, qualora si rilevi il carattere vitale delle lesioni da caduta, tipiche del primo incidente ed il carattere non vitale, delle lesioni da sormontamento, tipiche del secondo. La diagnosi differenziale risulta impossibile qualora i due incidenti abbiano provocato lesioni dello stesso tipo. B) Lesioni degli occupanti di un autoveicolo Sono dovute ad urti contro le strutture interne dell’abitacolo o a fattori di decelerazione. Il conducente dell’automezzo, specie in caso di scontro frontale, presenta elettivo interessamento del torace e del capo, per urto contro il volante ed il parabrezza. Il passeggero anteriore, spesso va incontro a lesioni cranio‐facciali, per impatto contro il parabrezza. Talora, in caso di notevole decelerazione a cosce flesse e gambe estese, si realizza una lussazione bilaterale dell’anca. I passeggeri posteriori, possono presentare lesioni del volto, per urto contro gli schienali dei sedili anteriori; lussazione dei gomiti, per trasmissione di energia agli arti superiori protesi in avanti a protezione. Particolare interesse medico‐legale assumono i traumi indiretti del rachide cervicale (da “colpo di frusta”). Questi traumi interessano gli occupanti di una vettura che subisce un urto improvviso da tergo. In tale circostanza, il capo, per inerzia, si sposta violentemente all’indietro e poi rimbalza in avanti. N.B. Una sorta di colpo di frusta alla rovescia accade anche nelle persone che occupano la vettura investitrice. In questo caso, tuttavia, vi è prima l’iperflessione e poi, per rimbalzo, l’estensione. I traumi indiretti del rachide cervicale, da colpo di frusta, possono produrre gravi conseguenze quali: lussazioni, fratture cervicali, rotture del legamento cervicale posteriore, danni midollari. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le lesioni consistono in distorsioni muscolari e legamentose di scarsa entità, che si risolvono favorevolmente dopo alcuni giorni. Comunque, la probabilità che un tamponamento produca un traumatismo cervicale importante negli occupanti del veicolo tamponato è tanto più alta quanto maggiore è la massa del veicolo tamponante rispetto al primo. N.B. Le lesioni da colpo di frusta sono risarcite solo se la loro esistenza viene visivamente o strumentalmente accertata nel corso di una visita medico‐legale. 17 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 2. PRECIPITAZIONE Consiste nel passaggio di un corpo, privo di appoggio, da un piano superiore ad uno inferiore, per l’azione della forza di gravità o di un’eventuale altra forza che ad essa può aggiungersi. Va distinta dalla caduta, in cui il corpo urta ugualmente il suolo, ma a partire da una posizione nella quale mantiene un contatto con il suolo stesso. La precipitazione può verificarsi da: ‐ Piccola o media altezza (non superiore a 10 metri) ‐ Grande altezza (superiore a 10 metri) Meccanismi lesivi: 1. Urto del corpo contro il piano di arresto 2. Repentina decelerazione subita dal corpo, che interviene soprattutto nelle precipitazioni da grande altezza. In tal caso, l’arresto del corpo nella sede di impatto non si accompagna all’arresto simultaneo di tutti gli organi interni, che proseguono, per inerzia, il loro movimento, potendo subire lacerazioni o rotture a livello degli apparati di sostegno. Qualora la precipitazione avvenga da centinaia o migliaia di metri, è presente anche una lesività da decompressione, dovuta ad una minore solubilità ematica dell’azoto, con fenomeni di aeroembolismo. N.B. Un corpo che precipiti da un’altezza superiore a quella atmosferica, inoltre, quando entra in atmosfera, brucia. Ciò dipende dalle temperature elevate che si sviluppano per l’attrito con le particelle che compongono l’atmosfera. L’attrito, infatti, comporta la dispersione dell’energia cinetica in calore. Le conseguenze traumatiche della precipitazione sono condizionate da: ‐ Rigidità del piano di arresto (un piano d’arresto elastico, infatti, minimizza gli effetti lesivi) ‐ Energia cinetica che il corpo acquista in funzione di massa e velocità; Ec = massa x v2/2 velocità, a sua volta, in rapporto di proporzionalità diretta con v = √h x 2 g l’altezza dalla quale avviene la precipitazione e con l’accelerazione p = massa x g gravitazionale. Al momento dell'impatto, infatti, l’energia cinetica si trasforma in forza meccanica che, sommandosi al peso, incrementa il danno. Tipica è la sproporzione tra l’entità delle lesioni esterne e quella delle lesioni interne, soprattutto quando la superfice d’urto è pianeggiante e non presenta asperità. Le lesioni cutanee, infatti, sono relativamente scarse e di solito consistono in: ‐ Ferite lacere‐contuse, da urto diretto o da esposizione di monconi ossei ‐ Escoriazioni, da strisciamento contro pareti, durante la caduta Le lesioni scheletriche più caratteristiche sono: ‐ Fratture craniche “a mappamondo”, da urto del cranico contro una superficie estesa, come il suolo. Sono costituite da linee che si dipartono “a raggiera” dal punto di impatto – fratture meridianiche – e da uno o più anelli di linee ad esso concentriche – fratture equatoriali. ‐ Frattura indiretta “ad anello” della base cranica, per caduta sulle natiche. ‐ Sfondamento dell’acetabolo da parte della testa del femore, per trasmissione di un urto a carico dei piedi. 18 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Possibile è inoltre il riscontro di fratture da strappamento, dovute ad una violenta contrazione dei muscoli, durante la precipitazione, con distacco osseo, per lo più parcellare, in corrispondenza delle loro inserzioni. Questo tipo di frattura è indicativo di una precipitazione in stato cosciente, perché, solo se lo stato di coscienza è conservato, la contrazione muscolare può essere cosi violenta. A carico dei visceri, si notano rotture parenchimali e strappi dei legamenti di sostegno. Ciò accade per: ‐ Urto diretto, caso dello scoppio del cuore da impatto sul torace ‐ Azione di stiramento, dato che, al momento della collisione, sebbene il corpo subisca un arresto improvviso (decelerazione), i singoli organi interni continuano, per inerzia, il moto nella direzione della caduta. In tal modo, possono verificarsi: Distacco del cuore, dai grossi vasi Distacco dei polmoni, dall’ilo Rottura da flessione della superficie del fegato e stravasi sanguigni nei suoi legamenti sospensori La DD deve essere principalmente posta con l’investimento. La scarsità delle lesioni cutanee e la concentrazione di quelle più gravi in un punto depongono per la precipitazione. Talvolta, però, nella caduta, il corpo incontra ostacoli che producono lesioni. In questo caso, per la DD, occorre valutare il senso delle escoriazioni e compiere una minuziosa indagine sul luogo della presunta caduta. Le precipitazioni avvengono, in genere, per suicidio o accidente. L’omicidio (defenestrazione) è molto raro e difficilmente l’esame necroscopico può fornire elementi decisivi per dare corpo all’ipotesi delittuosa, salvo che non si rinvengano segni di colluttazione ed in generale di violenza. Meno difficoltosa è la diagnosi di proiezione di cadavere, in cui saranno osservabili: ‐ Carattere non vitale delle lesioni ‐ Presenza di modalità di offesa alternative 3. SCHIACCIAMENTO Consiste nella compressione del corpo tra una forza di pressione ed un piano fisso Si parla di schiacciamento propriamente detto, quando il corpo rimane compresso tra un piano orizzontale ed una forza che agisce dall’alto (caso di crolli di edifici, compressione da parte di macchine industriali). Nel tamponamento, invece, il corpo è compresso contro un piano verticale (tipico infortunio dei ferrovieri). Nel seppellimento, il corpo rimane interrato da cumuli di terra o di pietrisco, a seguito di frane e smottamenti. Se il seppellimento è completo, al fattore traumatico, di tipo meccanico, si possono aggiungere fenomeni asfittici. 19 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 4. ESPLOSIONE Consiste in una violenta e repentina espansione di gas o di fluidi, che induce un brusco aumento di pressione nell’ambiente circostante, con trasmissione di onde d’urto e creazione di uno spostamento d’aria, denominato “vento di scoppio”. L’azione esplodente può verificarsi per deflagrazione o per detonazione. Nella deflagrazione, la combustione è graduale, con progressiva elevazione della pressione. Nella detonazione, la combustione è quasi istantanea e si accompagna alla propagazione di una vibrazione – “onda esplosiva” – responsabile degli effetti meccanici sull’ambiente circostante. Gli effetti lesivi dipendono, non solo, dalle caratteristiche intrinseche dell’esplosione, ma anche dall’ambiente in cui si verifica. In ambienti chiusi, i danni sono maggiori, perché la dispersione di energia è inefficace. L’onda d’urto, infatti, incontrando un maggior numero di ostacoli, si riflette, dando luogo a punti in cui l’onda di propagazione e quella di riflessione si uniscono, con moltiplicazione degli effetti ed aumento della capacità di distruzione (effetto Mach). I maggiori danni per l’organismo riguardano i tessuti disomogenei, ossia caratterizzati da variazioni di densità all’interno della loro struttura, come i polmoni, a carico dei quali si osservano: emorragie sotto‐ pleuriche o intrapolmonari ed emo‐pneumotorace. Anche l’apparato gastroenterico risulta particolarmente esposto, con possibilità di emorragie sottosierose e discontinuazione delle pareti dello stomaco e dell’intestino. Frequenti, inoltre, sono lesioni uditive (rotture della membrana timpanica), oculari (distacco della retina), commozioni e contusioni cerebrali. Le lesioni cutanee dipendono, non solo, dall’onda d’urto, ma anche dalla proiezione di oggetti solidi che essa provoca. Agli effetti meccanici possono, infine, aggiungersi: ‐ Effetti termici, dipendenti dalla combustione delle miscele esplosive ‐ Effetti tossici, derivanti dai fumi venefici che si sviluppano per gli incendi 20 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne LESIONI DA ENERGIA ELETTRICA Quelle da energia elettrica di uso industriale o domestico vengono indicate con i termini di folgorazione o elettrocuzione. In riferimento alle lesioni da elettricità atmosferica, si preferisce parlare di fulminazione. Gli effetti lesivi delle correnti elettriche dipendono da una serie di variabili, quali: 1. Caratteristiche della corrente, in particolare tipo, voltaggio, intensità e durata 2. Fattori propri del conduttore, in particolare resistenza al passaggio della corrente 3. Tipo di contatto (mono o bipolare) Relativamente al tipo di corrente – continua o alternata – le più pericolose sono le correnti alternate, specie se di frequenza compresa fra i 30 ed i 60 Hertz, che sono poi quelle impiegate in ambito industriale e domestico. Le correnti alternate, infatti, inducono contrazioni tetaniche muscolari che impediscono alla vittima di staccarsi dalla sorgente di elettricità, aumentando, quindi, la quantità di corrente assorbita. Inoltre, la ciclicità della corrente alternata incrementa la probabilità che essa giunga al miocardio durante il periodo vulnerabile (ripolarizzazione dei ventricoli), scatenando una fibrillazione ventricolare. Considerando l’intensità della corrente (Ampere, A) che circola in un conduttore (come può essere inteso il corpo umano), secondo la Legge di Ohm, essa è tanto più alta, quanto maggiore è la differenza di potenziale applicata agli estremi del conduttore (voltaggio, V) e quanto minore è la sua resistenza (R). I = V/R La resistenza che il corpo umano offre al passaggio della corrente elettrica varia tra i diversi tessuti, in rapporto al loro contenuto d’acqua. La cute, specialmente nelle aree in cui è più spesso lo strato corneo e sono meno numerose le ghiandole sudoripare, offre la resistenza maggiore, rispetto a tutti gli altri tessuti, proprio per lo scarso contenuto di acqua. Tuttavia se il corpo è sudato o bagnato o se sono presenti soluzioni di continuo, la resistenza si riduce notevolmente è l’intensità della corrente che lo attraversa è più elevata. Per quanto riguarda il tipo di contatto, quest ultimo può essere: ‐ Unipolare, se il corpo stabilisce un corto circuito tra un conduttore di corrente elettrica e la terra. In tale circostanza, la corrente, dopo il passaggio attraverso il corpo, si scarica al suolo. ‐ Bipolare, se il corpo stabilisce un corto circuito tra 2 conduttori. In tale circostanza, la corrente circola continuamente attraverso il corpo. N.B. Dal tipo di contatto, dipendono le linee di attraversamento del corpo e, quindi, gli organi che la corrente elettrica incontra e su cui produce i suoi effetti lesivi. Il contatto bipolare mano‐mano o mano‐piede, soprattutto mano sinistra‐piede destro, è quello più pericoloso in quanto il passaggio della corrente elettrica interessa il cuore, potendo provocare una fibrillazione ventricolare. 21 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne MECCANISMI LESIVI DELLA CORRENTE ELETTRICA Le lesioni prodotte dalla corrente elettrica sono essenzialmente dovute a: ‐ Fenomeni elettrotermici (effetto Joule ed arco elettrovoltaico) ‐ Polarizzazione elettrolitica ‐ Azione elettro‐meccanica Fenomeni elettrotermici Effetto Joule Consiste nel fatto che l’elettricità, attraversando il corpo, produce calore, proporzionalmente alla resistenza incontrata, all’intensità della corrente ed al tempo di contatto. Arco elettrovoltaico Si forma a causa della ionizzazione dell’aria interposta tra un conduttore ad alta tensione e la cute, con produzione di fiamma. Ciò determina ustioni estese e profonde, con perdita di sostanza e zone di carbonizzazione tissutale. Polarizzazione elettrolitica È causata dai campi elettrici che si creano nell’organismo al passaggio della corrente. Tale fenomeno induce: ‐ Alterazione dei potenziali delle membrane cellulari con più severe ripercussioni sui tessuti eccitabili ‐ Denaturazione delle proteine ad alto PM Azione elettro‐meccanica Consiste nella cessione, ai tessuti corporei attraversati, dell’energia cinetica degli elettroni. EFFETTI SULL’ORGANISMO UMANO Considerando le correnti alternate, Intensità 0,9‐1,2 mA 5‐15 mA 15‐20 mA 25‐80 mA 80 mA‐3 A 3‐8 A Effetto Formicolio al punto di contatto Contratture muscolari deboli con il soggetto che è ancora in grado di controllare i movimenti e di abbandonare la presa del conduttore Contratture muscolari intense, con il soggetto che non riesce a mollare la sorgente della corrente elettrica se la sta stringendo Tetanizzazione prolungata dei muscoli respiratori, con asfissia acuta Fibrillazione ventricolare Determinare la paralisi dei centri bulbari, con arresto cardio‐respiratorio immediato; N.B. se il cuore è situato entro le linee di attraversamento della corrente elettrica, aritmie fatali possono esser causate anche da correnti alternate con intensità di soli 10 mA. Gli effetti sull’organismo delle correnti continue sono sovrapponibili, ma necessitano di valori più elevati di intensità. 22 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Cause di morte per folgorazione ‐ Asfissia, per spasmo dei muscoli respiratori ‐ Arresto cardiaco, per fibrillazione ventricolare ‐ Paralisi dei centri nervosi bulbari ‐ Shock primario Gli elettro‐traumi ad elevate tensioni, infatti, dopo una vasocostrizione massiccia, determinano una imponente vasodilatazione periferica, con collasso cardio‐circolatorio ‐ Shock secondario Dipende dal fatto che il tetano elettrico protratto determina lesioni muscolari diffuse con liberazione di eccessive quantità di mioglobina, responsabile di una necrosi tubulare acuta renale LESIONI CUTANEE DA ELETTRICITÀ Ustioni Le ustioni elettriche riconoscono come causa la notevole quantità di calore che si sviluppa per l’elevata resistenza offerta dalla cute al passaggio della corrente elettrica, in accordo con l’effetto Joule. Differiscono dalle comuni ustioni da fiamma perché: 1. Ben delimitate 2. Indolori 3. Prive di essudazione e perché 4. la cute appare secca e di aspetto pergamenaceo. Ciò è dovuto ad un’intensa necrosi coagulativa dei tessuti, con rapida disidratazione, che si verifica per surriscaldamento endogeno, in assenza di ossigeno libero. Ne risulta un vero e proprio processo di mummificazione localizzato. 4. Le cicatrici da ustione elettrica, inoltre, sono di colore biancastro, regolari e scarsamente retraenti, perché ricche di fibre elastiche. N.B. Oltre alle ustioni elettriche propriamente dette, sono possibili: ‐ Ustioni da arco voltaico che, agendo come sorgente esogena di calore, induce – in presenza di ossigeno atmosferico – una combustione completa, con eventuale carbonizzazione ‐ Ustioni a stampo, da conduttore elettrico reso rovente ‐ Ustioni dovute all’incendio delle vesti o dell’ambiente, indotto da una scarica elettrica Marchio elettrico È la lesione autenticamente elettrospecifica in quanto attribuibile solo alla coagulazione degli elementi cellulari, indotta dalla corrente elettrica. Si localizza, in genere, a livello del punto di contatto fra la cute ed il conduttore di elettricità. Specie con correnti continue, può anche essere riscontrato in corrispondenza del punto cutaneo di scarico dell’energia elettrica (di solito la pianta dei piedi). Il marchio elettrico è molto resistente ai fenomeni putrefattivi e, quindi, spesso ben riconoscibile anche quando il cadavere viene rinvenuto a distanza di tempo dalla morte. La sua assenza non consente tuttavia di escludere una morte da folgorazione. Può infatti non formarsi allorché ‐ la corrente possieda un basso voltaggio (caso ad esempio delle correnti domestiche) ‐ penetri in un punto del corpo dove la resistenza cutanea è molto ridotta (cute sudata o bagnata), ad esempio per immersione del corpo in una vasca da bagno. In tale circostanza, infatti, il marchio elettrico è raramente osservabile e, quasi sempre, si tratta di marchi lineari corrispondenti al livello dell’acqua. 23 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Il marchio elettrico ha una forma irregolarmente rotondeggiante e non di rado può riprodurre a stampo quella del conduttore. Se ne distinguono 2 tipi fondamentali: ‐ Primo tipo, senza perdita di sostanza È costituito da un rilievo cutaneo, di forma variabile, delle dimensioni di pochi millimetri, a margini netti, depresso al centro, di consistenza pergamenacea e di colorito giallo‐grigiastro. Tale aspetto riconosce come causa lo scollamento degli strati profondi dell’epidermide, per formazione di vacuoli contenenti aria, con integrità del rivestimento corneo. Tali vacuoli si sviluppano per l’evaporazione – indotta dal surriscaldamento endogeno dei liquidi cellulari ed interstiziali. ‐ Secondo tipo È caratterizzato da una perdita di sostanza a spese dell’epidermide e del derma. La lesione, pertanto, si presenta come un cratere con margini sottominati. Nella sede di contatto con il conduttore elettrico, si possono anche osservare fenomeni di metalizzazione, originati dalla formazione di archi voltaici, che inducono la fusione dei metalli dei conduttori i quali si depositano sulla cute o sugli indumenti. Vi sono varie metodiche utilizzabili per la rilevazione della metalizzazione. Quelle maggiormente impiegate consistono in metodi istochimici. N.B. Il fenomeno di metallizzazione cutanea si associa ad una perdita di sostanza metallica a carico del conduttore. Ciò consente di individuare il conduttore da cui è originata la scarica di elettricità. FULMINAZIONE Le lesioni causate dalla fulminazione sono dovute principalmente a fenomeni elettrotermici, sebbene non siano trascurabili effetti meccanici indiretti. Si possono quindi produrre tanto ustioni – che vanno da forme lievi all’incenerimento – quanto lesioni da energia meccanica, quali ecchimosi, ferite lacero‐contuse, ferite da scoppio. La fulminazione è un evento accidentale, il cui rischio risulta generico, incombendo su qualsiasi individuo. In sede infortunistica lavorativa può tuttavia assumere connotati di rischio generico aggravato per categorie lavorative, come agricoltori e boscaioli, che ne sono maggiormente esposte. 24 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne LESIONI DA ENERGIA TERMICA Possono essere distinte in: 1. USTIONI 2. LESIONI DA CALORE PROPRIAMENTE DETTE (crampo da calore, colpo di calore, colpo di sole, collasso da calore) 3. LESIONI DA FREDDO (congelamento, perfrigerazione, assideramento) USTIONI DA CALORE Possono esser provocate da: ‐ Fiamme ‐ Corpi solidi arroventati ‐ Liquidi, gas e vapori surriscaldati Vengono classificate in 4 gradi di gravità crescente: Ustioni di I grado Si caratterizzano per la comparsa di un eritema cutaneo, da iperemia attiva. I margini della lesione sono sfumati e degradano progressivamente verso la cute sana circostante, che si dimostra pallida, per vasocostrizione. Guariscono in 4‐5 gg, senza reliquati. Ustioni di II grado Si caratterizzano per un’intensa essudazione intraepidermica, con formazione di flittene, circondate da un alone iperemico. La guarigione, se non sopravvengono infezioni del contenuto liquido, avviene in due o tre settimane, con restitutio ad integrum. Se, tuttavia, ad essere interessato è anche il derma, si forma una cicatrice. Ustioni di III grado Hanno come elemento caratterizzante la necrosi, che interessa la cute e, talora, anche i tessuti profondi. Si formano, quindi: Escare secche, di colore rosso‐bruno ed a margini netti, se l’ustione è stata prodotta dalla fiamma Escare umide, di colore giallastro ed a margini sfumati, se l’ustione è stata causata da liquidi o vapori surriscaldati. Le escare vanno incontro ad un progressivo rammollimento e, dopo 2‐3 settimane, cadono, rivelando un tessuto di granulazione facilmente infettabile, da cui origina il processo di cicatrizzazione. Poiché la necrosi interessa tutti gli elementi epiteliali, non vi è possibilità di riepitelizzazione. Residua, pertanto, una cicatrice spessa, aderente ai piani sottostanti, retratta, che può evolvere in cheloide. Ustioni di IV grado Sono caratterizzate dalla carbonizzazione dei tessuti, che assumono un aspetto nerastro e friabile. Perché avvenga la carbonizzazione, è necessario che si verifichi una combustione completa, in presenza di una adeguata quantità di ossigeno libero e con una temperatura non inferiore a 300 °C. Le aree interessante dalla carbonizzazione sono alternate a zone di necrosi e di ustioni di grado minore (aspetto “a pelle di leopardo”). La contemporanea presenza di ustioni di I, II e III grado, ma non di IV grado, produce un aspetto “a carta geografica”. 25 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Per stabilire la % di superficie corporea interessata dall’ustione si fa riferimento ad una suddivisione della superficie corporea in multipli di 9 Al capo ed al collo, viene attribuito un valore del 9% Il tronco viene suddiviso in una parte anteriore ed in una posteriore, ciascuna equivalente al 18% Ogni arto superiore equivale al 9% Ogni arto inferiore equivale al 18% L’area del perineo, genitali compresi, equivale all’1% N.B. per valutare la gravità di un’ustione bisogna stabilire, non solo la % di superficie corporea interessata, ma anche il grado di sviluppo dell’ustione. Ad esempio, un’ustione di III grado va considerata grave anche se interessa solo il 10% della superficie corporea. Se l’ustione interessa almeno il 15‐20% della superficie corporea, possono aversi effetti sistemici. Inizialmente, s’instaura uno shock ipovolemico, dovuto alla perdita di sali minerali ed albumina dalle aree ustionate che, per motivi osmotici, trascinano con sé acqua. All’ipovolemia, contribuisce anche il richiamo di liquidi nell’interstizio, per riduzione della pressione oncotica del plasma, dipendente dalla perdita di albumina. Si hanno, pertanto, ipotensione arteriosa, tachicardia, sudorazione algida ed ipotermia. L’ipovolemia, per la conseguente emoconcentrazione, produce uno stato di ipercoagulabilità, che può esitare nello sviluppo di una CID. ↓ dopo 48‐72 h, si passa a: Fase della tossicosi È legata al riassorbimento di sostanze tossiche dai tessuti ustionati. Può protrarsi per 15‐20 gg ed è caratterizzata da febbre remittente o continua, associata a nausea, cefalea, segni di sofferenza poliviscerale. ↓ Tra la seconda e la terza settimana successiva all’ustione, può sopraggiungere Fase della sepsi La sepsi si verifica alla caduta delle escare, per la comparsa di un tessuto di granulazione, facilmente infettabile Particolare importanza medico‐legale ha l’identificazione del mezzo urente: 1. Nelle lesioni prodotte dall’azione diretta della fiamma, si osservano: Ustioni estese, con direzione dal basso verso l’alto Peli e capelli completamente bruciati L’azione ustionante della fiamma è facilitata dalla presenza di indumenti infiammabili. Tuttavia, alcune parti corporee possono essere risparmiate dall’azione della fiamma, grazie alla presenza di indumenti poco infiammabili, come cinture e scarpe. 2. Ustioni prodotte da corpi solidi arroventati Si caratterizzano per un’estensione limitata che riproduce “a stampo” la forma dell’agente ustionante. I peli della zona ustionata non sono bruciati, ma ritorti lungo il proprio asse e con disorganizzazione strutturale. 3. Ustioni determinate da liquido bollente 26 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Hanno sempre una direzione discendente, per la forza di gravità che porta verso il basso il liquido. Ciò può risultare determinante per valutare la posizione del corpo o di parti di esso al momento del trauma. Non sono particolarmente profonde, per la tendenza allo scorrimento del liquido. Danneggiano maggiormente le regioni corporee rivestite da indumenti, per il fatto che i vestiti si impregnano del liquido bollente, causando così un prolungamento dell’azione ustionante. Non provocano alterazioni apprezzabili di peli e capelli 4. Ustioni da gas e vapori surriscaldati Hanno dimensioni sono variabili, anche se risultano assai estese quando i vestiti si impregnano del gas o del vapore surriscaldato, prolungando il tempo di contatto con il mezzo urente. Non sono particolarmente profonde Non provocano alterazioni apprezzabili di peli e capelli È possibile fornire indicazioni circa la cronologia delle lesioni da energia termica. Nelle ustioni datate meno di 36 ore, le flittene NON sono infette In quelle comprese fra 36 ore ed alcuni giorni, le flittene contengono pus e mancano dell’alone di iperemia che circonda inizialmente la lesione. La presenza di croste indica lesioni evolute già da qualche giorno: quelle superficiali, cadono in circa una settimana; quelle più profonde, nell’arco di due settimane. Pertanto, il riscontro di un tessuto di granulazione libero da croste, indica una lesione vecchia di più di due settimane. Diagnosi differenziale fra ustioni vitali e post‐mortali ‐ Nelle ustioni di I grado, l’eritema, essendo espressione di iperemia attiva, si osserva solo se lesione è avvenuta in vita. Dopo la morte, esso tende a scomparire, nelle zone epistatiche, per il defluire del sangue verso le regioni declivi; nelle zone ipostatiche, per il mascheramento esercitato dalle ipostasi. ‐ Nelle ustioni di II grado, la presenza di una reazione infiammatoria intorno alle flittene ha un valore di vitalità, ma solo in regioni non ipostatiche. Ulteriori segni di vitalità della lesioni sono: Contenuto essudatizio delle flittene, con prova di Rivalta positiva Presenza di pus al loro interno Tale reperto, oltre ad indicare la vitalità dell’ustione, depone anche per una lesione datata non meno di 36h. Caratteri delle flittene prodotte per ustione del cadavere, sono invece: Assenza di reazione infiammatoria periferica Contenuto gassoso In caso di contenuto liquido, quest ultimo è di natura trasudatizia, con prova di Rivalta negativa ‐ Nelle ustioni di III grado, la presenza di una reazione infiammatoria intorno alle escare ha un valore di vitalità, ma solo in regioni non ipostatiche. Aspetti peculiari di un cadavere carbonizzato 27 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 1. Riduzione di volume della superficie corporea, in rapporto all’azione disidratante della fiamma ed alla retrazione muscolare 2. Intensa rigidità, sempre per disidratazione e retrazione muscolare. Il cadavere pertanto assume una posizione definita “a lottatore” per l’atteggiamento in flessione degli arti. 3. Cute secca e di colore nerastro 4. Presenza di soluzioni di continuo, prive di caratteri vitali, a livello delle pieghe flessorie delle articolazioni, da retrazione cutanea. Sono simili alle ferite da taglio rispetto alle quali differiscono per l’assenza di codette e per la presenza di ponti di tessuto sul fondo, apprezzabili mediante osservazione microscopica. 5. Formazioni pilifere scarse o assenti 6. Bocca aperta con denti ben visibili, per retrazione labiale 7. Cornea di aspetto opalescente e di colore azzurrognolo 8. Cristallino con cataratta coagulativa 9. Fratture craniche da scoppio per espansione dei gas prodottisi all’interno della scatola cranica 10. Formazione di raccolte di sangue nello spazio epidurale, per suzione provocata dalla riduzione di volume dell’encefalo e della dura madre (“falso ematoma epidurale”) 11. Amputazioni degli arti, per una loro completa carbonizzazione, che può condurre al loro distacco dalla superficie corporea 12. Il sangue è spesso coagulato e di colore rosso scuro per formazione di metaHb o per esposizione della carbossiHb ad elevate temperature È importante stabilire se la carbonizzazione sia avvenuta in vivo o dopo la morte. Depongono per una carbonizzazione in vivo: 1. Presenza di fuliggine nelle vie aeree, indice di una attiva inalazione di fumi 2. Percentuale di carbossiHb superiore al 10%, anch’essa segno di attiva aspirazione dei fumi. La determinazione della carbossiHb andrebbe effettuata sul sangue prelevato dal cuore o dai grossi vasi, in quanto possibile, a livello dei vasi periferici, la combinazione post‐mortale tra Hb e CO 3. Riscontro di embolie adipose polmonari, indice della sussistenza del circolo ematico al momento della produzione di emboli adiposi, per effetto del calore sul tessuto sottocutaneo LESIONI DA CALORE PROPRIAMENTE DETTE 28 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Consistono in modificazioni patologiche dell’omeostasi generale dell’organismo, determinate dall’esposizione ad elevate temperature: Collasso da calore Si verifica per esposizione ad elevate temperature di individui scarsamente acclimatati. Sotto il profilo patogenetico, non vi è un’alterazione dei meccanismi termoregolatori ma una notevole diminuzione delle resistenze vascolari periferiche, con riduzione del ritorno venoso al cuore e della gittata cardiaca. Ne consegue un collasso cardiocircolatorio. Tipicamente la cute appare pallida, fredda e sudata, per attivazione simpatica. Colpo di calore Si verifica soprattutto nei soggetti anziani ed in condizioni che favoriscono una rapida ed intensa sudorazione. Presumibilmente s’instaura per un progressivo esaurimento funzionale delle ghiandole sudoripare, con blocco della sudorazione e conseguente impossibilità di cedere calore all’ambiente. Ciò produce una rapida ipertermia, con la temperatura corporea che raggiunge i 40‐44 °C, altamente pericolosa per il SNC. A differenza del collasso da calore, ‐ La cute è arrossata e secca, per blocco della sudorazione ‐ Non vi è emoconcentrazione, né un evidente deplezione di sodio e cloro. In caso di morte per colpo di calore, il raffreddamento del cadavere è rallentato; intense e precoci sono la rigidità e la putrefazione; abbondanti e diffuse risultano le ipostasi. Colpo di sole Si verifica quando l’individuo espone lungamente, all’azione dei raggi solari, il capo ed in particolare il rachide cervicale. Si ritiene che le radiazioni solari, agendo soprattutto sui centri diencefalici, alterino la regolazione del circolo e del respiro. La temperatura corporea risulta elevata, come nel colpo di calore, ma la cute è calda e sudata. 29 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne LESIONI DA ESPOSIZIONE A BASSE TEMPERATURE L’esposizione a basse temperature viene contrastata dall’organismo mediante la produzione di calore endogeno (termogenesi) e la limitazione della dispersione calorica. Quando tale equilibrio non è più sostenibile, si verificano effetti locali (congelamento) o generali (assideramento). Congelamento Si ha quando l’esposizione a basse temperature riguarda regioni circoscritte del corpo, in genere quelle periferiche (mani, piedi, orecchie e naso). Può realizzarsi per temperature comprese tra ‐10°C ed alcuni gradi > 0. L’effetto locale del freddo inizialmente consiste in uno spasmo arteriolare, seguito, per l’ipossia e l’accumulo di metaboliti acidi, da una vasodilatazione paralitica veno‐capillare, responsabile di edema interstiziale. Successivamente, per il rallentamento del flusso sanguigno e l’aumento della viscosità ematica, si formano trombi endo‐capillari. I trombi endo‐capillari possono indurre: ‐ Necrosi tissutale e gangrena secca, se l’ostruzione vasale è completa ‐ Gangrena umida, se l’ostruzione vasale è incompleta. N.B. La gangrena umida risulta più severa, perché favorisce il passaggio in circolo di tossine batteriche e di prodotti di degenerazione tissutale. Il freddo intenso è anche capace di provocare un danno tissutale diretto, ossia non mediato da fattori vascolari, in quanto determina la formazione di cristalli che ledono le membrane cellulari, con conseguente perdita dei gradienti ionici trans‐membrana. Per il congelamento, si distinguono 3 gradi di gravità crescente: I grado È caratterizzato da parestesie, ipo‐anestesia, dolore ed impaccio motorio, eritema di colore rosso‐violaceo, con lieve edema locale II grado È caratterizzato dalla comparsa di un intenso edema cianotico e di flittene dermo‐epidermiche, a contenuto sieroso o siero‐ematico. III grado È caratterizzato da una necrosi superficiale o profonda dei tessuti. L’interessamento del derma genera escare, alla cui caduta, si formano piaghe che esitano in cicatrici retraenti. Frequente è un quadro sistemico, con febbre e stato tossico generale, soprattutto nelle forme umide di gangrena. Nel piede da trincea e nel piede da immersione, le estremità inferiori sono esposte lungamente all’azione del freddo umido. Ciò determina un ipossia locale dovuta sia alla vasocostrizione indotta dalla bassa temperatura, sia al protratto mantenimento della stazione eretta. Il quadro clinico non si differenzia da quello dei vari gradi di congelamento. 30 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne LESIONI DA ENERGIA BARICA Si verificano per variazioni della pressione ambientale in conseguenza di un repentino passaggio da un ambiente ipercompresso a condizioni pressorie normali (Iperbaropatie), oppure da condizioni pressorie normali a condizioni di bassa pressione (Ipobaropatie) Iperbaropatie Riguardano soggetti che praticano particolari attività lavorative o sportive (caso di palombari, cassonisti, sommozzatori, pescatori, subacquei) Disturbi possono insorgere sia nella fase di compressione che in quella di decompressione Nella fase di compressione, l’immissione troppo rapida di aria compressa nei cassoni o nelle apparecchiature subacquee può determinare la comparsa di sintomi quali dolori auricolari (per aumento della pressione endotimpanica), acufeni, bradicardia, ipotensione. Inoltre, durante l’immersione a grandi profondità, può manifestarsi la cosiddetta “sindrome degli alti fondali” causata dall’azione dell’azoto inalato a forte pressione che determina senso di euforia e di eccitazione, seguito da attenuazione dell’attenzione ed incoordinazione motoria. I disturbi più severi tuttavia compaiono nella fase di decompressione, qualora non venga effettuata con la dovuta gradualità. In questo caso, la maggiore quantità di azoto che, durante la fase di compressione, si era disciolta nei tessuti (con particolare riferimento a quello adiposo), si libera sotto forma di bolle gassose, che entrano in circolo, determinando fenomeni di aeroembolismo. Clinicamente, vengono distinte: Forme lievi, dominate da dolori articolari interessanti le ginocchia, i polsi, i gomiti e le spalle, talora associati ad epistassi. I sintomi possono comparire anche diverse ore dopo la decompressione. Forme gravi, in cui prevale una sintomatologia cerebrale (emiplegia, convulsioni e coma) o midollare (paraplegia e disturbi sfinterici) Forme fulminanti, caratterizzate da una sintomatologia asfittica, dovuta ad embolismo polmonare massivo. Nei casi mortali, l’indagine autoptica va condotta con particolari accorgimenti. Il cuore deve essere aperto sott’acqua, curando di non ledere le vene giugulari e le succlavie, durante la sternotomia. In alternativa, si possono asportare in blocco cuore e polmoni, dopo legatura dei grossi vasi in prossimità del cuore. In caso aeroembolismo, l’incisione dell’atrio dx e dell’arteria polmonare determina la fuoriuscita di bollicine gassose. Il significato diagnostico di tale prova è vanificato in presenza di putrefazione. L’indagine va pertanto completata mediante analisi gas‐cromatografica del gas cardiaco con l’intento di ricercare idrogeno solforato, indicativo della componente putrefattiva. Il quadro anatomo‐patologico è comune a quello delle altre sindromi asfittiche. 31 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne N.B. Gli operai che hanno lavorato a lungo nei cassoni, possono sviluppare, con il tempo, una forma di osteo‐ artropatia cronica deformante soprattutto a carico delle articolazioni coxo‐femorali e scapolo‐omerali. Tale condizione, sotto il profilo radiografico, si manifesta, in fase iniziale, con piccole immagini pseudocistiche epifisarie, esito di necrosi ossea. In fase avanzata, compaiono deformazione dei capi ossei, con restringimento della rima articolare. Ipobaropatie Malattia degli aviatori Si verifica durante il volo in quota (oltre i 7000 metri), per carente pressurizzazione. A tali altitudini, infatti, la bassa pressione atmosferica riduce la solubilità ematica dell’azoto, con formazione di bolle gassose che entrano in circolo, determinando fenomeni di aeroembolismo. Mal di montagna È causato da una combinazione di fattori quali: Diminuzione della pressione atmosferica Carenza di ossigeno nell’aria Abbassamento della temperatura Effetto dei raggi solari I primi disturbi possono comparire già a 1500‐2000 m, sotto forma di dispnea e stato di ebbrezza, ma si fanno più evidenti oltre i 3500 m allorché si manifestano tachipnea, tachicardia, acufeni. 32 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne ASFISSIOLOGIA FORENSE Il campo d’interesse dell’asfissiologia forense è costituito dalle: ASFISSIE MECCANICHE VIOLENTE Forme di insufficienza respiratoria determinate da un impedimento alla penetrazione dell’aria nell’albero respiratorio, come conseguenza dell’azione di una causa generalmente esterna all’organismo, di natura meccanica e che si estrinseca con consistente energia, in tempi brevi (pertanto violenta). Caratteri comuni a tali sindromi asfittiche sono quindi: 1. primitività del processo, che deve cioè dipendere da un’azione violenta direttamente esercitata sull’apparato respiratorio 2. violenza dell’azione, che deve cioè esaurirsi rapidamente 3. natura meccanica dell’ostacolo alla respirazione Esulano pertanto da questo ambito tutte quelle sindromi che, pur condividendo una condizione di anossia e, cioè, di mancanza di ossigeno a livello tissutale e cellulare, riconoscono come cause: ‐ Fenomeni intrinseci dell’organismo, come patologie respiratorie, cardio‐circolatorie, neurologiche, muscolari, ematologiche ‐ Intossicazioni acute ‐ Carenza di ossigeno nell’aria respirata, come accade nel caso del confinamento* e dell’ascensione ad alta quota Le asfissie meccaniche violente possono esser dovute a: 1. Occlusione degli orifizi respiratori, caso del soffocamento 2. Compressione delle vie respiratorie, caso di: strozzamento, strangolamento, impiccamento, compressione atipica del collo 3. Ostruzione delle vie respiratorie dall’interno, caso di: Annegamento, in cui mezzo occludente è l’acqua, dolce o salata Intasamento, in cui il mezzo occludente è di natura solida (come terriccio, pezzi di stoffa, oggetti di uso domestico, alimenti) Sommersione interna, in cui il mezzo occludente è un fluido di provenienza endogena (come vomito, sangue, pus, liquido idatideo) 4. Impedimento degli atti respiratori, per immobilizzazione del torace, caso di: morte nella folla, seppellimento, crocifissione WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne Tutte le sindromi asfittiche meccaniche violente – fatta eccezione per l’annegamento – attraversano 4 FASI SUCCESSIVE: I fase, della dispnea inspiratoria, in cui il soggetto tenta di vincere l’ostacolo alla respirazione e di introdurre aria nei polmoni. Alla dispnea inspiratoria, si associano: ‐ Aumento della frequenza del polso ‐ Diminuzione della pressione arteriosa, per vasodilatazione periferica ‐ Cianosi del volto Il soggetto va incontro, più o meno rapidamente, a perdita di coscienza, con cessazione dei movimenti volontari. II fase, della dispnea espiratoria, in cui l’ipercapnia, per l’associata acidosi, stimola il centro del respiro ad indurre espirazione, con lo scopo di eliminare l’eccesso di CO2 (e, quindi, di acidi volatili). In questa fase, ‐ il polso rallenta per poi crescere di nuovo in frequenza ed ampiezza; ‐ la pressione arteriosa aumenta notevolmente e ciò viene ritenuto responsabile delle caratteristiche ecchimosi puntiformi sotto‐congiuntivali, sotto‐pleuriche, sotto‐epicardiche; ‐ i reflessi non sono più evocabili; ‐ gli sfinteri anale e vescicale si rilasciano, con possibile perdita di feci ed urine; ‐ si hanno convulsioni, per l’eccitazione dei centri motori corticali, legata all’ipercapnia III fase, dell’apnea, in cui gli atti respiratori cessano, per danno irreversibile dei centri nervosi bulbari, con immobilità del torace e del diaframma. Il polso diviene sempre più raro e piccolo. La pressione arteriosa comincia a diminuire. IV fase, del boccheggiamento, in cui compaiono movimenti delle pinne nasali e delle labbra, inefficaci ai fini della respirazione e prodotti da residui stimoli terminali dei centri nervosi bulbari. Tale fase si conclude con l’arresto cardiaco che interessa prima il ventricolo dx e, poi, il sin. La sindrome asfittica ha una durata di circa 4‐6 min che comunque varia in rapporto alla resistenza individuale. QUADRO ANATOMO‐PATOLOGICO DELL’ASFISSIA MECCANICA VIOLENTA Segni esterni 1. Cianosi del volto, del collo e, talora, del terzo superiore del torace (“a mantellina”) Riconosce come causa il ristagno di sangue ipossico – con Hb ridotta > 5 g/dL – nel territorio della vena cava superiore, per l’ingorgo delle sezione dx del cuore che consegue all’aumento delle resistenze del piccolo circolo. L’aumento delle resistenze del piccolo circolo, a sua volta, dipendente dai fenomeni di enfisema polmonare, edema polmonare acuto, infiltrazione emorragica dei polmoni che accompagnano le asfissie meccaniche violente. La stasi del distretto venoso cervico‐facciale, ‐ Nello strozzamento e nello strangolamento, è dovuta anche alla compressione delle giugulari ‐ Nell’impiccamento, è modesta per la contemporanea ostruzione del circolo arterioso ‐ Nell’immobilizzazione del torace, raggiunge la massima entità poiché viene impedito l’aumento della pressione negativa endotoracica N.B. La cianosi diviene presto indistinguibile da ipostasi antigravitarie, sempre con distribuzione “a mantellina” e sempre riconducibili al difficoltoso scarico delle sezioni dx del cuore, per l’aumento delle resistenze del piccolo circolo. Alla stasi venosa cervico‐facciale è ascrivibile anche l’incostante protrusione dei globi oculari. WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne 2. Macchie ipostatiche precoci ed abbondanti, per l’elevata fluidità del sangue, che ne facilita lo spostamento verso le parti declivi del cadavere. Tale reperto è comune a tutte le morti rapide, senza emorragia anche se la distribuzione delle ipostasi può essere peculiare ed orientare circa determinate tipologie di asfissia meccanica violenta (vedi impiccamento). 3. Fuoriuscita di schiuma dagli orifizi respiratori ‐ cdt “fungo schiumoso” ‐ di colorito biancastro ed aspetto cotonoso, specie dopo essiccamento. Si produce nelle lume tracheo‐bronchiale a causa del miscuglio di aria e secrezione mucosa, indotto dagli atti respiratori dispnoici. Qualora una sindrome una sindrome asfittica prolungata determini la rottura, su base anossica, dei capillari polmonari, è possibile che la schiuma assuma, un colorito tenuemente rossastro, da cui la denominazione di “fungo rubro schiumoso”. Il fungo schiumoso è più frequente e maggiormente evidente nell’annegamento perché favorito dalla penetrazione di acqua nell’albero respiratorio. Compare a distanza di tempo variabile dal decesso, per effetto di: ‐ Retrazione elastica del parenchima polmonare ‐ Rigidità cadaverica ‐ Putrefazione I gas putrefattivi, infatti, distendendo lo stomaco e le anse intestinali, spingono verso l’alto il diaframma che comprime il parenchima polmonare N.B. Il fungo schiumoso, al pari delle ipostasi anti‐gravitarie “a mantellina” e delle macchie ipostatiche precoci ed abbondanti è apprezzabile in diverse forme di morti rapide da anossia come quelle che si verificano per insufficienza acuta del ventricolo sinistro e per intossicazione acuta da oppioidi. 3 4. Ecchimosi puntiformi, specie sottocongiuntivali, dovute all’ aumento di pressione nelle venule post‐ capillari ed al danno delle pareti vascolari su base anossica. 5. Lentezza del raffreddamento del cadavere 6. Rigidità cadaverica intensa e precoce 7. Putrefazione accelerata, per la particolare fluidità del sangue che agevola la diffusione di germi putrefattivi. Sono inoltre osservabili segni esterni di specifiche forme asfittiche. Segni interni 1. Enfisema polmonare acuto, conseguente agli atti respiratori dispnoici, che inducono una notevole dilatazione delle cavità alveolari, le cui pareti subiscono iperdistensione ed interruzione. I polmoni enfisematosi appaiono voluminosi ed espansi e non si acquattano, come di norma, nelle docce paravertebrali, dopo rimozione del piastrone sternale. Sulla loro superficie, inoltre, appare impresso il disegno delle coste. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne 2. Edema polmonare acuto, di tipo lesionale, da danno della membrana alveolo‐capillare, su base anossica. 3. Petecchie emorragiche viscerali, specie sotto‐pleuriche e sotto‐epicardiche, riconducibili a: ‐ Rialzo pressorio nelle venule post‐capillari ‐ Danno delle pareti vascolari su base anossica ‐ Aumento della pressione negativa endo‐toracica, che si verifica nella fase della dispnea inspiratoria, poiché l’espansione del torace e la discesa del diaframma non sono accompagnate da un’espansione consensuale dei polmoni, per ostruzione delle vie aeree superiori. 4. Dilatazione delle sezione destre del cuore e ristagno in esse di sangue, per incremento delle resistenze vascolari polmonari. 5. Iperemia viscerale diffusa, conseguente all’ingorgo ematico delle sezioni destre del cuore, che impedisce il drenaggio del sangue dai territori delle vene cave. A livello della milza, invece, si riscontra un’anemia da splenocontrazione adrenergica. 6. Fluidità e colore rosso scuro del sangue La fluidità del sangue sarebbe determinata da un’alterazione del processo coagulativo, per immobilizzazione di ioni calcio, secondaria agli elevati livelli ematici di CO2 e da un’esaltata fibrinolisi. L’aspetto piceo, invece, è ascrivibile allo stato di ipossiemia. 4 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne TIPOLOGIE DI ASFISSIA MECCANICA VIOLENTA SOFFOCAMENTO Forma di asfissia meccanica violenta dovuta all’occlusione degli orifizi respiratori, attuata esercitando, contemporaneamente, sulla bocca e sulle narici, un’intensa pressione, mediante l’impiego di tutte e due le mani oppure di un altro mezzo idoneo allo scopo. È un’evenienza soprattutto omicidiaria e costituisce la modalità con cui più frequentemente viene realizzato l’infanticidio. Nel neonato e nel lattante, è inoltre frequente un soffocamento accidentale, per l’incapacità di rimuovere dagli orifizi respiratori eventuali mezzi occludenti. Un soffocamento accidentale, comunque, può anche verificarsi negli adulti, qualora si determini uno stato di incoscienza o di sonno profondo. Ciò riguarda: epilettici, dopo una crisi di grande male, soggetti in stato di ubriachezza, soggetti che hanno assunto farmaci ad azione ipnotica o sostanze stupefacenti. IMPICCAMENTO È una forma di asfissia meccanica violenta la cui causa risiede nella compressione delle vie respiratorie, pratica, a livello del collo, dall’estremità annodata ad ansa di un laccio – precedentemente fissato ad un sostegno – che si tende a causa del peso del corpo. Può essere: ‐ Tipico ‐ Atipico L’impiccamento tipico è quello in cui, il pieno dell’ansa, corrisponde alla faccia anteriore del collo, con il nodo scorsoio situato in sede occipito‐nucale. L’impiccamento è invece atipico quando il nodo scorsoio si viene a trovare in posizione diversa da quella occipito‐nucale. Può essere inoltre: ‐ Completo ‐ Incompleto L’impiccamento si definisce completo, quando tutto il corpo rimane sospeso, gravando quindi, con l’intero peso, sul sistema di ancoraggio del laccio. Si definisce incompleto, invece, quando il corpo poggia su qualche sostegno. Ciò è possibile in quanto, per produrre i meccanismi lesivi dell’impiccamento, è sufficiente che sul collo gravi, tramite il laccio, un peso anche di soli 3‐5 Kg. Meccanismi lesivi dell’impiccamento 1. Asfissia, determinata dallo spostamento verso l’alto e l’indietro dell’osso ioide che solleva la base della lingua e l’epiglottide, portandole contro la parete posteriore della faringe ed il palato molle, con conseguente chiusura delle vie aeree. 2. Alterazioni circolatorie, per ostruzione da stiramento sia delle giugulari che delle carotidi, con conseguente arresto della circolazione cerebrale. 3. Alterazioni nervose, per compressione e stiramento delle aeree reflessogene del seno carotideo, con induzione di un meccanismo inibitorio sincopale WWW.SUNHOPE.IT 5 Materiale elaborato da Luigi Aronne Segni esterni L’elemento caratterizzante il quadro lesivo esterno dell’impiccamento consiste nel 1. solco e, cioè, nel segno lasciato dal laccio sulla cute del collo, per lo spostamento dei liquidi tissutali verso gli strati più profondi. Il solco dell’impiccamento risulta: 1. Obliquo, dall’avanti all’indietro e dal basso verso l’alto, nelle forme tipiche; con altra direzione, ma sempre obliqua ed ascendente, nelle forme atipiche. 2. Discontinuo, con interruzione in corrispondenza del nodo. 3. A profondità diseguale, maggiore in corrispondenza del pieno dell’ansa. 4. Localizzato al di sopra della cartilagine tiroidea 5. Spesso unico 6. Di consistenza dura o molle ‐ Un solco duro viene prodotto da lacci ruvidi, capaci di azione escoriante (caso, ad esempio, di una corda di canapa). In questo caso, si verifica, infatti, un intenso essicamento post‐mortale della lesione, la cui consistenza pertanto aumenta. ‐ Un solco molle è invece prodotto da un lacci morbidi, privi di potere escoriante (caso, ad esempio, di una calza di tessuto sintetico o di una sciarpa). In questo caso, l’essiccamento post‐mortale è meno accentuato con la lesione che conserva una consistenza non dissimile da quella della cute sana circostante Nel contesto del solco, inoltre, è possibile apprezzare creste o punteggiature emorragiche e vescichette sierose o siero‐ematiche, che starebbero a dimostrare la vitalità della lesione, favorendo la DD tra impiccamento e sospensione di cadavere. N.B. Queste lesioni si osservano soprattutto quando il laccio presenta notevoli caratteristiche di ruvidità e si compone di gruppi di fibre attorcigliate, tra cui la cute resta pizzicata. 6 Nel quadro lesivo esterno dell’impiccamento, ad essere peculiare è anche la distribuzione delle macchie ipostatiche. ‐ Se l’impiccamento è completo, le ipostasi si localizzano infatti a livello di: arti inferiori, regione plantare compresa (ipostasi “a calza”) estremità degli arti superiori (ipostasi “a guanto”) N.B. la replezione ipostatica dei corpi cavernosi può inoltre indurre turgore penieno. ‐ Se invece l’impiccamento è incompleto, le macchie ipostatiche si evidenziano nelle zone del corpo rese declivi dalla modalità di espletamento, con risparmio dei punti di appoggio. Ciò permette di risalire alla dinamica dell’evento. Altri segni esterni dell’impiccamento, peraltro incostanti sono: ‐ Sporgenza della lingua, derivante dallo spostamento verso l’alto degli organi del collo. ‐ Presenza di sperma all’orifizio uretrale esterno, attribuito al rilasciamento sfinterico ed alla contrazione agonica delle vescichette seminali Il quadro lesivo esterno dell’impiccamento infine comprende: ‐ Eventuali lesioni di tipo contusivo, dovute ai movimenti convulsivi che fanno oscillare il corpo, con urti, specie degli arti inferiori, contro ostacoli dell’ambiente circostante. ‐ Segni comuni ad altre forme di asfissia meccanica violenta. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Segni interni Sono spesso rappresentati dai soli reperti generici dell’asfissia. In alcuni casi, tuttavia, emergono segni caratteristici a carico degli organi del collo: 1. Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari (specie dello SCM) 2. Lesioni trasversali dell’intima delle carotidi (segno di Amussat) e del nervo vago 3. Piccole emorragie della parete delle carotidi, al di sotto dell’avventizia, e dei linfonodi situati in prossimità del laccio 4. Ecchimosi retrofaringea, per compressione da parte della base della lingua Possibile è, inoltre, il riscontro di fratture o lussazioni delle prime vertebre cervicali e di frattura del dente dell’epistrofeo, con compressione bulbare. Quest’ultima lesione è costante e costituisce la causa della morte nell’IMPICCAGIONE, intesa come modalità d’esecuzione capitale. Trattandosi di una sentenza giudiziaria è richiesto, infatti, che la morte arrivi in maniera subitanea, evitando la sindrome asfittica, della durata di 4‐6 min. Ciò viene ottenuto facendo precipitare il soggetto con il cappio al collo, attraverso una botola, per diversi metri (circa 4). In questo modo, quando la corda entra in tensione, l’energia cinetica acquisita dal corpo durante la caduta si trasforma in forza meccanica che, tramite il laccio, provoca la frattura del dente dell’epistrofeo o, meglio, il suo distacco, con conseguente compressione bulbare. L’impiccamento è, di norma, un’evenienza suicidaria. L’accidente è l’evento più frequente dopo il suicidio e può verificarsi nel corso di particolari attività ludiche e di pratiche erotiche in cui, mediante l’uso di lacci, si cerca di stimolare, per stiramento, il midollo spinale lombare. In tal caso, l’impiccamento accidentale risulterà generalmente incompleto ed il sopralluogo potrà di solito fornire chiarimenti decisivi circa la dinamica letale. Estremamente rare sono le forme omicidiarie che richiedono un’assoluta sproporzione di forza tra aggressore e vittima oppure che quest’ultima si trovi, al momento del fatto, in stato di incoscienza. Possibile è inoltre l’eventualità che il cadavere di un soggetto morto per un’azione delittuosa, sia successivamente impiccato, allo scopo di simulare un suicidio (SOSPENSIONE DI CADAVERE). Orientano verso la sospensione di cadavere: 1. Presenza di segni di azione lesiva di altro tipo 2. Mancanza dei segni generici di asfissia, come petecchie emorragiche sottocongiuntivali (a patto che l’omicidio non sia stato precedentemente attuato mediante altra forma di asfissia meccanica violenta) 3. Distribuzione delle ipostasi non compatibile con un impiccamento, che risulta evidente qualora il cadavere sia stato sospeso nella fase di fissità delle ipostasi 4. Assenza di lesioni esterne ed interne della regione cervicale con carattere vitale ‐ Lesioni esterne della regione cervicale, a carattere vitale, sono: creste o punteggiature emorragiche e vescichette sierose o siero‐ematiche, in corrispondenza del solco prodotto dal laccio ‐ Lesioni interne della regione cervicale, a carattere vitale, sono: Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari (specie dello SCM) Lesioni trasversali dell’intima delle carotidi, che avverrebbe solo a vaso pieno. Piccole emorragie della parete delle carotidi, al di sotto dell’avventizia, e dei linfonodi situati in prossimità del laccio Ecchimosi retrofaringea, per compressione da parte della base della lingua WWW.SUNHOPE.IT 7 Materiale elaborato da Luigi Aronne STRANGOLAMENTO Forma di asfissia meccanica violenta la cui causa risiede nella compressione delle vie respiratorie, effettuata, a livello del collo, mediante l’uso di un laccio o di un altro mezzo equivalente sul quale viene applicata una forza agente secondo un piano trasversale rispetto all’asse maggiore del collo. Differisce dall’impiccamento, in quanto non vi è sospensione totale o parziale del corpo. Differisce dallo strozzamento, per l’utilizzo di un qualsiasi mezzo meccanico agente circolarmente, in senso centripeto, sul collo. Lo strangolamento è definito tipico o completo quando l’azione lesiva si estrinseca sul collo, in ogni parte della sua circonferenza. Si definisce atipico o incompleto quando l’azione meccanica, pur agendo a livello del collo, viene attuata con lacci non completamente avvolti o con mezzi che, pur produrre un effetto costrittivo sovrapponibile a quello dei lacci, non sono in grado di cingere il collo in ogni porzione della sua circonferenza (è questo il caso di bastoni applicati a comprime il collo in senso antero‐posteriore). Talvolta, la costrizione viene esercitata torcendo il laccio con un'asta (GARROTTAMENTO). Nello strangolamento, poiché la forza agisce secondo un piano trasversale rispetto all’asse maggiore del collo, non avviene la dislocazione del laccio fin sotto la mandibola e lo spostamento verso l’alto degli organi del collo risulta minore. Pertanto, l’occlusione delle vie respiratorie è spesso incompleta, con la conseguenza che la sindrome asfittica dura più a lungo. Ciò spiega perché molti dei suoi segni, come esempio le ecchimosi puntiformi, sia più marcati di quelli che si osservano nell’impiccamento. Al meccanismo asfittico puro possono aggiungersi o sostituirsi alterazioni nervose e circolatorie. Segni esterni Segno esterno caratteristico dello strangolamento è il solco cutaneo, che differisce da quello dell’impiccamento perché: 1. È orizzontale 2. Risulta continuo, interessando tutta la superfice del collo; fanno eccezione i casi di strangolamento atipico, in cui si reperta un solco incompleto esclusivamente nella regione anteriore del collo. 3. Ha uguale profondità in tutto il suo percorso, dato che il laccio esercita un’omogenea azione compressiva. 4. Si localizza in posizione generalmente più bassa, di solito a livello o al di sotto della cartilagine tiroidea 5. Può essere singolo o multiplo, a seconda del numero di giri del laccio (con frequente riscontro di un tratto in cui diventa doppio, per la sovrapposizione dei due capi del laccio che avviene quando si esercita su di essi trazione). Inoltre, dato che lo strangolamento è di natura prevalentemente omicidiaria, risulta più frequente, rispetto all’impiccamento, il riscontro, in prossimità del solco, di lesioni da difesa – come unghiature – che la vittima si auto‐infligge nel tentativo di allontanare il laccio. A seconda della consistenza, il solco può essere duro o molle. ‐ Un solco duro viene prodotto da lacci ruvidi, capaci di azione escoriante (caso, ad esempio, di una corda di canapa). In questo caso, si verifica, infatti, un intenso essicamento post‐mortale della lesione, la cui consistenza pertanto aumenta. WWW.SUNHOPE.IT 8 Materiale elaborato da Luigi Aronne ‐ Un solco molle è invece prodotto da un lacci morbidi, privi di potere escoriante (caso, ad esempio, di una calza di tessuto sintetico o di una sciarpa). In questo caso, l’essiccamento post‐mortale è meno accentuato con la lesione che conserva una consistenza non dissimile da quella della cute sana circostante Al solco, infine, si associano segni esterni apprezzabili nelle altre forme di asfissia meccanica. Segni interni Sono analoghi a quelli presenti nelle altre forme di asfissia meccanica. Lo strangolamento, più frequentemente, è di natura omicidiaria. Lo strangolamento omicidiario, comunque, richiede una rilevante sproporzione di forza tra vittima ed aggressore, affinché quest ultimo possa effettuare una costrizione del collo sufficientemente prolungata. La dinamica omicidiaria prevede, pertanto, quasi sempre il fattore sorpresa, che permette di realizzare una violenta ed inaspettata costrizione del collo, con rapida perdita di coscienza e conseguente impossibilità della vittima di attuare una valida difesa. Altre volte l’aggressore rende la vittima impotente somministrandole droghe o alcool oppure tramortendola con colpi al capo. Sono quindi sempre necessari un accurato esame esterno del cadavere ed un esame tossicologico. Rari risultano lo strangolamento suicidiario e quello accidentale. Quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, si verifica per l’intrappolamento di un laccio, che il soggetto porta al collo, all’interno di un mezzo meccanico in movimento. 9 STROZZAMENTO È forma di asfissia meccanica violenta la cui causa risiede nella compressione delle vie respiratorie, praticata, a livello del collo, mediante l’impiego di una o di entrambe le mani. L’occlusione delle vie aeree si verifica per azione diretta sulla laringe e ciò giustifica il più frequente riscontro di fratture del suo scheletro – in particolare della cartilagine tiroidea – più frequenti negli anziani, a causa della calcificazione delle loro strutture cartilaginee. N.B. Nello strozzamento, la sindrome asfittica è protratta, potendo richiedere anche 15‐20 min per causare la morte, poiché la persona aggredita, dibattendosi, interrompe di tanto in tanto la chiusura delle vie aeree. Talora, l’azione compressiva sul collo coinvolge aree reflessogene (seno carotideo) la cui stimolazione può indurre fenomeni inibitori a livello cardiaco in grado di provocare l’exitus, anche indipendentemente dai meccanismi asfittici. Le alterazioni circolatorie sono meno rilevanti poiché le mani difficilmente possono comprimere, in maniera durevole, i fasci vascolari del collo. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Segni esterni che depongono per strozzamento ‐ Ecchimosi localizzate sulle superfici antero‐laterali del collo e spesso di tipo figurato, riproducendo la forma delle dita o dei polpastrelli dell’aggressore. ‐ Escoriate lineari o a forma di semiluna, prodotte dalle unghie dell’aggressore, sempre sulle regioni antero‐laterali del collo. Quindi, nel caso in cui si sospetti che un individuo sia l’esecutore materiale di un omicidio per strozzamento è estremamente utile ricercare in sede sub‐ungueale frustoli di materiale dermo‐ epidermico appartenenti alla vittima. Sono inoltre comuni: ‐ Lesioni contusive su tutto il corpo della vittima, espressione di un’avvenuta colluttazione, tenendo conto che, in corso di strozzamento, non si ha una rapida perdita di coscienza e possono essere necessari anche 15‐20 minuti per causare la morte. N.B. Brandelli di cute dell’aggressore possono essere rinvenuti nella regioni sub‐ungueali della vittima. Segni interni che depongono per strozzamento ‐ Infiltrazione emorragica dei fasci muscolari e del fascio vascolo‐nervoso del collo ‐ Fratture delle strutture cartilaginee laringo‐tracheali (facilitata negli anziani dalla loro calcificazione) e dell’osso ioide Lo strozzamento è un’evenienza tipicamente omicidiaria che, per essere attuata, richiede una notevole sproporzione di forza tra vittima ed aggressore che consenta, a quest’ultimo, di mantenere la stretta al collo per un periodo sufficientemente lungo da poter realizzare il meccanismo asfittico. COMPRESSIONE ATIPICA DEL COLLO Si tratta di una forma di asfissia meccanica violenta realizzata mediante peculiari modalità d’azione, difficilmente inquadrabili nei classici schemi dello strozzamento, dello strangolamento e dell’impiccamento, ma che comunque producono la sindrome asfittica per compressione delle vie respiratorie a livello del collo. Esempi: ‐ Compressione con l’avambraccio, in senso antero‐posteriore del collo della vittima, da parte di un soggetto che agisce alle sue spalle ‐ Compressione esercitata sul collo della vittima, in genere stesa a terra, da parte del ginocchio o del piede dell’aggressone. ANNEGAMENTO Forma di asfissia meccanica violenta causata dall’ingresso di un mezzo liquido esterno all’organismo nell’albero respiratorio, con sostituzione del contenuto aereo dei polmoni ed impedimento dei normali scambi gassosi. L’annegamento viene distinto in: ‐ Tipico ‐ Atipico WWW.SUNHOPE.IT 10 Materiale elaborato da Luigi Aronne L’annegamento è definito tipico se la superficie corporea che si trova totalmente o per la maggior parte sommersa dall’acqua. L’annegamento atipico, invece, consegue alla brusca chiusura della glottide, che si verifica per un fenomeno riflesso, indotto dalla presenza nella laringe di acqua, anche in minima quantità. Ciò accade quando solo gli orifizi respiratori sono immersi nel liquido e vi permangono per un tempo sufficientemente lungo a causa della impossibilità del soggetto di sottrarsi a tale posizione. Si tratta, in realtà, di forme atipiche di soffocamento in cui il meccanismo asfittico è favorito dall’azione del mezzo liquido. N.B. La qualità del liquido che penetra nei polmoni influenza la fenomenologia dell’annegamento. Un liquido ipotonico, come l’acqua dolce, passa velocemente nel sangue e lo diluisce, causando ipervolemia ed anemia da emodiluizione. Contemporaneamente, si ha emolisi, con liberazione del potassio eritrocitario. L’iperpotassiemia, unitamente all’anossia, induce fibrillazione ventricolare, con morte in 3‐5‐ minuti. Un liquido ipertonico, come l’acqua salata, invece, richiama negli alveoli plasma dai capillari, determinando: ‐ Edema polmonare acuto ‐ Emoconcentrazione ed ipovolemia, responsabile di un progressivo deficit della pompa cardiaca. La morte interviene pertanto più lentamente, nel giro di 6‐8 minuti. Nell'annegamento, è possibile distinguere 5 fasi successive: 1. Fase della sorpresa Si caratterizza per un unico atto inspiratorio riflesso che l'individuo compie appena caduto in acqua. 2. Fase della resistenza o dell’apnea volontaria in cui il soggetto chiude volontariamente la glottide per evitare la penetrazione del liquido. Dura da un minimo di 30 sec ad un massimo di 1‐2 min, nel corso dei quali l'individuo si agita e cerca di riemergere. 3. Fase della dispnea respiratoria Si realizza quando non è più possibile trattenere il respiro, per l'ipercapnia sopraggiunta, con l’individuo che rilascia la glottide e che effettua affannose respirazioni sott'acqua. In questa fase, che dura circa 1 min, una grande quantità di liquido penetra nei polmoni e nel tubo digerente (intestino compreso). 4. Fase apnoica, caratterizzata da perdita di coscienza, abolizione dei riflessi, arresto del respiro. 5. Fase terminale, in cui si hanno boccheggiamento ed arresto cardiaco Segni esterni Tra i diversi segni esterni osservabili in cadaveri rinvenuti nell’acqua, quello maggiormente suggestivo di annegamento, perché espressione di morte asfittica, è il cdt fungo schiumoso o mucoso da intendere come la presenza di una schiuma mucosa biancastra agli orifizi respiratori. Nel caso dell’annegamento, si forma, a livello della trachea e dei bronchi, per la commistione, indotta dagli atti respiratori dispnoici, del liquido annegante con muco aerato. In genere, appare agli orifizi respiratori dopo che il corpo viene estratto dall’acqua, per la spinta verso l’alto che i fenomeni putrefattivi gassosi esercitano sul diaframma. Non è tuttavia distinguibile da quello osservato nelle altre forme di morte asfittica. WWW.SUNHOPE.IT 11 Materiale elaborato da Luigi Aronne L’esame esterno di cadaveri tolti dall’acqua può inoltre evidenziare: ‐ Cute anserina, dovuta alla contrazione dei muscoli piloerettori, indotta da stimoli termici o meccanici, verso cui rimangono sensibili per diverse ore dopo la morte. Tale reperto, quindi, non indica necessariamente che la persona fosse in vita al momento dell’immersione. ‐ Modificazioni tanatologiche dipendenti dalla permanenza in acqua del cadavere (non specifiche quindi di annegamento) Ipostasi Di colore rosso‐vivo, per la ri‐ossigenazione che il sangue subisce in ambiente umido e localizzate elettivamente al viso, agli arti ed al terzo superiore della superficie anteriore del torace, per la posizione che il cadavere di solito assume nell’acqua: prona, con il capo e gli arti semiflessi in posizione declive rispetto al resto del corpo. Ciò è dovuto al fatto che l’addome, per il suo contenuto gassoso, rappresenta la parte più leggera del corpo, che tende a portarlo in superficie. Rapido raffreddamento del corpo Trasparenze e lucentezza di cornea e congiuntiva, dato che non subiscono evaporazione post‐ mortale Diverso andamento della putrefazione Le salme tolte dall’acqua, infatti, vanno in rapida putrefazione mentre, fin tanto che vi restano immerse, si conservano meglio. Macerazione cutanea che consiste in un rigonfiamento, per imbibizione d’acqua, dello strato corneo della cute. Pertanto comincia e si rende maggiormente manifesta laddove lo strato corneo risulta più spesso e privo di ghiandole sebacee: palmi delle mani e piante dei piedi. Più precisamente, esordisce già dopo poche h, con una colorazione biancastra della cute dei polpastrelli. Compaiono, quindi, raggrinzimenti, con lo strato corneo che, imbibito d’acqua, aumenta di volume. Il fenomeno poi si estende al resto delle dita, alla palmo delle mani ed alla pianta dei piedi, interessando, successivamente, la loro superficie dorsale, i polsi e le caviglie. L’epidermide infine si distacca “a guanto” o “a scarpa” oppure cade a pezzi, per l’effetto di urti. Lo stato di macerazione della cute viene valutato per stabilire la durata dell’immersione. È stato infatti calcolato che la macerazione cutanea, per estendersi al dorso della mano, impiega circa 5‐8 gg, mentre il completo distacco dell’epidermide avviene in 2‐4 settimane. Tuttavia, nello stimare la macerazione della cute, occorre considerare che una serie di fattori influenzano l’andamento del fenomeno: Temperatura dell’acqua (per imbiancare completamente il palmo delle mani, infatti, bastano 5‐ 6 h d’estate e 3‐4 gg, d’inverno) Contenuto di sale, dato che l’acqua dolce macera più rapidamente di quella marina Presenza o meno di indumenti, ed in particolare delle scarpe, che rallentano la macerazione della cute Saponificazione Richiede l’immersione del corpo per alcuni mesi, che non deve entrare in contatto con l’aria. Avviene in acque particolarmente ricche di calcio e porta alla formazione di un sapone calcico insolubile, di aspetto lardaceo ed untuoso e di odore sgradevole, detto adipocera, per la combinazione dei sali di calcio disciolti nell’acqua con i grassi neutri dei tessuti. Il processo inizia dal tessuto sottocutaneo per poi diffondersi al tessuto adiposo periviscerale. La saponificazione si realizza più facilmente d’inverno poiché, in tale stagione, il cadavere tende a rimane sott’acqua. WWW.SUNHOPE.IT 12 Materiale elaborato da Luigi Aronne D’estate, invece, la salma tende ad affiorare in superficie, poiché le temperature più elevate favoriscono la proliferazione batterica e la produzione di gas putrefattivi. Viene quindi a mancare la condizione necessaria per la produzione del fenomeno: assenza di aria. Segni Interni All’esame interno di un cadavere rinvenuto nell’acqua, compatibile con l’annegamento del soggetto, è il riscontro di segni generici di asfissia. La diagnosi di annegamento, comunque, necessita della dimostrazione di: 1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del dx, per il passaggio del liquido annegante dai polmoni al torrente circolatorio. Tale fenomeno è dimostrabile, in sede autoptica, mediante prova cartometrica che consiste nel far cadere gocce di sangue, prelevate separatamente dai due ventricoli, su di un foglio di carta bibula, osservando poi la grandezza dei relativi aloni. In caso di emodiluizione, il sangue del ventricolo sin lascerà un alone di diametro più grande ed avrà un colore rosso più chiaro. N.B. La diluizione del sangue e la sua diversa concentrazione salina, in funzione del liquido annegante, comporta anche un cambiamento del delta crioscopico e della conducibilità elettrica. Infatti, il punto di congelamento del sangue si abbassa e la sua conducibilità elettrica aumenta se il contenuto di sali del liquido annegante è alto. N.B. La putrefazione della salma non consente l’indagine, poiché le cavità cardiache risultano, in genere, vuote. 2. Presenza di plancton nel parenchima polmonare e, soprattutto, negli organi irrorati dal grande circolo, in particolare, fegato, reni e midollo osseo Per plancton, s’intendono corpuscoli sospesi nel liquido annegante ed incapaci di movimento proprio. Questi possono essere di natura animale (zooplancton), vegetale (fitoplancton) o minerale (geoplancton). La ricerca viene effettuata distruggendo chimicamente le componenti organiche dei visceri. L’oggetto della ricerca è quindi costituito solo da fitoplancton, dotato di guscio calcareo e particolarmente resistente al trattamento chimico. Un esempio è costituito dalle diatomee che, avendo struttura cristallina, sono visibili al microscopio polarizzatore. Tali reperti stanno a dimostrare che, quando il mezzo liquido ha inondato i polmoni, l’attività cardiocircolatoria era efficiente e che, quindi, il soggetto era in vita, favorendo, pertanto, la DD tra annegamento e sommersione del cadavere L’annegamento è un’evenienza prevalentemente suicidaria ed accidentale. L’evenienza omicidiaria è rara, almeno nell’adulto, in considerazione della sproporzione di forze che deve sussistere tra l’aggressore e la vittima. Nel sospetto di annegamento omicidiario, particolare attenzione deve essere posta alla presenza di eventuale lesività traumatica suggestiva di difesa da parte della vittima. Dall’annegamento va distinta la SOMMERSIONE DI CADAVERE. In un cadavere rinvenuto nell’acqua, permettono di escludere una morte per annegamento, l’assenza di segni generici di asfissia. Tuttavia, la conferma che la morte asfittica sia dovuta ad annegamento viene fornita solo da: 1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del ventricolo dx 2. Rinvenimento di plancton nel parenchima polmonare e, soprattutto, negli organi irrorati dal grande circolo, in particolare fegato, reni, midollo osseo. WWW.SUNHOPE.IT 13 Materiale elaborato da Luigi Aronne Inciso Dall’annegamento va distinta la MORTE IN ACQUA o IDROCUZIONE: morte che consegue all’immersione in acqua senza riconoscere una genesi asfittica. I meccanismi ritenuti alla base di questa forma di decesso sono di tipo: nervoso circolatorio immunitario Meccanismo nervoso Consiste in un riflesso naso‐laringo‐cardiaco, secondo cui la stimolazione della mucosa nasale e faringo‐ laringea da parte dell’acqua fredda può portare ad arresto cardiaco. Il meccanismo nervoso può conoscere attivazione anche in seguito a cadute dall’alto, con brusco e violento impatto dell’addome sulla superficie liquida, per stimolazione del plesso solare. Meccanismo circolatorio Interviene soprattutto durante la fase digestiva e consiste in un insufficiente ritorno venoso al cuore, dato che il sangue, già sequestrato nel distretto gastro‐intestinale con finalità digestive, viene richiamato dalla muscolatura degli arti, impiegata per mantenere il galleggiamento. Meccanismo immunitario Consiste in una massiccia liberazione di istamina e di sostanze istamino‐simili che, in soggetto predisposti, può essere innescata dal contatto della cute con l’acqua fredda, con conseguente shock anafilattico (crioanafilassi). La diagnosi di morte in acqua è essenzialmente di esclusione e si basa sulla mancanza di segni di morte asfittica per annegamento. In alcuni casi, tuttavia, la reazione sincopale iniziale, pur di per sé non mortale, determinando la caduta in acqua in fase di compromissione dello stato di coscienza, può facilitare il successivo annegamento del soggetto. Nel caso del rinvenimento di un cadavere in acqua, ci si può trovare di fronte a tre diverse evenienze: Annegamento (morte per l’acqua) Idrocuzione (morte in acqua) Sommersione di cadavere All’esame esterno ed interno del cadavere la mancanza di segni generici di asfissia, permette di escludere l’ipotesi dell’annegamento. In loro presenza, tuttavia, la conferma che la morte sia avvenuta per annegamento, viene fornita solo dal riscontro di: 1. Maggiore diluizione del sangue del ventricolo sin rispetto a quello del ventricolo dx 2. Rinvenimento di plancton nel parenchima polmonare e, soprattutto, negli organi irrorati dal grande circolo, in particolare fegato, reni, midollo osseo. WWW.SUNHOPE.IT 14 Materiale elaborato da Luigi Aronne ASFISSIA DA ASPIRAZIONE o INTASAMENTO Si caratterizza per l’ostruzione delle vie aeree dall’interno, come conseguenza della penetrazione in esse di corpi estranei di natura eterogenea. Tali mezzi occludenti sono accomunati da: ‐ Provenienza esterna rispetto all’organismo ‐ Consistenza solida La diagnosi medico‐legale risulta agevole se si rinviene il corpo estraneo che ha causato l’asfissia. SOMMERSIONE INTERNA Consiste nell’inondazione delle vie respiratorie ad opera di un fluido proveniente dall’interno dell’organismo. Caratteri distintivi sono, dunque: ‐ Fluidità del mezzo occludente ‐ Natura endogena dello stesso Il fluido più frequentemente responsabile è il sangue, proveniente, ad esempio, da ferite che interessano contemporaneamente i grossi vasi del collo e le vie respiratorie, come può avvenire nello scannamento o in ferite da arma da fuoco. Anche altri fluidi endogeni possono produrre lo stesso meccanismo asfittico. È questo il caso di: ‐ Pus, proveniente dall’apertura di raccolte ascessuali ‐ Liquido idatideo, per rottura di cisti di echinococco ‐ Contenuto gastrico che, con il vomito, risale in esofago e si riversa in trachea 15 IMMOBILIZZAZIONE TORACICA Forma di asfissia meccanica violenta dovuta ad un’insufficiente ventilazione polmonare, per l’impedimento dei normali movimenti respiratori. Come segno esterno è frequente, a causa del notevole aumento pressorio nel distretto venoso della cava superiore, il riscontro della cdt maschera ecchimotica, caratterizzata da un’intensa cianosi del volto, del collo e delle regioni superiori del torace, con disposizione a mantellina. Si associano ecchimosi diffuse ed emorragie congiuntivali. Il quadro anatomopatologico è comune a quello delle altre morti asfittiche. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne *ASFISSIA DA SPAZIO CONFINATO o CONFINAMENTO Può aver luogo qualora uno o più individui si trovino chiusi in uno spazio circoscritto, privo di ricambio d’aria. È questo il caso di: 1. Bambini che restano chiusi in cassapanche 2. Soggetti che affollano ambienti angusti e non ventilati 3. Individui che restano intrappolati sotto le macerie di edifici crollati 4. Soggetti che entrano in containers carichi di grano o di altre graminacee, che consumano ossigeno, cedendo anidride carbonica Si tratta, pertanto, di un’evenienza prevalentemente accidentale. Le prime manifestazioni cliniche compaiono quando l’ossigeno contenuto nell’aria scende al di sotto del 7%. La morte sopraggiunge se tale percentuale diviene minore del 3%. Agli effetti nocivi della carenza di ossigeno possono aggiungersi quelli causati dall’eccesso di anidride carbonica e dall’aumento della temperatura ambientale. La diagnosi si basa su: ‐ Segni generici di asfissia ‐ Elementi di carattere circostanziale 16 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne DELITTI DI PERCOSSE E DI LESIONE PERSONALE I delitti di percosse e di lesione personale sono collocati fra i delitti contro la persona e, precisamente, fra quelli contro la vita e l’incolumità individuale. DELITTO DI PERCOSSE (ART. 581 CP) Per il configurarsi del delitto di percosse sono richiesti 3 elementi: 1. Condotta violenta diretta a percuotere 2. Effetto materiale dell’atto (sofferenza fisica arrecata) 3. Dolo e, cioè, intenzione di cagionare tale sofferenza N.B. Dal fatto non deve derivare una malattia del corpo o della mente. In caso contrario si configura il delitto di lesione personale. Il delitto di percosse è punibile a querela della persona offesa. DELITTO DI LESIONE PERSONALE (ART. 582 CP) Per configurarsi il delitto di lesione personale è sufficiente che la condotta, anche se non violenta (come ad esempio la somministrazione di cibi nocivi), si trovi in relazione causale con il verificarsi di una condizione di malattia del corpo o della mente. Per malattia penalmente rilevante s’intende una modificazione peggiorativa dello stato anteriore, avente carattere dinamico (soggetta cioè ad evoluzione ovvero a cronicizzazione) e recante un disordine funzionale apprezzabile di una parte o di tutto l’organismo che si ripercuote sulla vita organica e, soprattutto, di relazione dell’individuo e che necessita di un intervento terapeutico, anche modesto Le mere alterazioni anatomiche che non interferiscano in alcun modo con il profilo funzionale della persona non possono configurare una condizione di malattia penalmente rilevante ma possono costituire fonte di danno risarcibile in sede civile. CLASSIFICAZIONE Le lesioni personali possono essere classificate sulla base di: Elemento psicologico del delitto Durata della malattia In base all’elemento psicologico del delitto, si distinguono: 1. lesione personale volontaria o dolosa 2. lesione personale colposa Differisce da quella dolosa poiché, nelle lesioni colpose, manca la volontà di produrre l’evento (malattia). L’evento malattia, quindi, anche se prevedibile o previsto, non è voluto dall’agente ma si verifica a causa di negligenza, imperizia o imprudenza oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La lesione personale colposa è perseguibile solo a querela della persona offesa, derivando, da ciò, l’esenzione dall’obbligo dI referto. Tuttavia, l’art. 590 stabilisce che il delitto è perseguibile d’ufficio, con conseguente obbligo di referto, qualora si tratti di lesioni personali colpose gravi o gravissime, conseguenti a fatti compiuti con violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, all’igiene del lavoro o a seguito dei quali si sia manifestata una malattia professionale. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne In base alla durata della malattia, si distinguono: 1. Lesione personale lievissima, se la durata della malattia non è > 20 gg. In tal caso, il delitto è perseguile a querela della persona offesa. 2. Lesione personale lieve, se la malattia ha una durata > 20 gg, ma non > 40 gg. Ove si tratti di lesione personale volontaria, si procede d’ufficio. Sussiste, quindi, per il medico, l’obbligo di presentare referto. L’obbligo del referto non sussiste, invece, se la lesione personale lieve è colposa e quindi perseguibile a querela di parte. 3. Lesione personale grave, se la durata della malattia o della capacità di attendere alle ordinarie occupazioni è > 40 gg o se si realizza alcun altra delle seguenti circostanze aggravanti previste dall’art. 583 del CP: ‐ Dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa ‐ Dal fatto si produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo Per questo tipo di lesione si procede d’ufficio, con obbligo di referto da parte del medico, se dolosa o se colposa e conseguente a fatti compiuti con violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, all’igiene del lavoro o a seguito dei quali si sia manifestata una malattia professionale. 4. Lesione personale gravissima, se si configura una delle seguenti delle circostanze aggravanti, previste dall’art. 583 del CP: ‐ Malattia certamente o probabilmente insanabile ‐ Perdita di un senso ‐ Perdita di un arto ‐ Mutilazione che renda l’arto inservibile ‐ Perdita dell’uso di un organo ‐ Perdita della capacità di procreare ‐ Permanente e grave difficoltà della favella ‐ Deformazione ovvero sfregio permanente del viso Per questo tipo di lesione si procede d’ufficio, con obbligo di referto da parte del medico, se dolosa o se colposa e conseguente a fatti compiuti con violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, all’igiene del lavoro o a seguito dei quali si sia manifestata una malattia professionale. La distinzione tra lesione personale grave e gravissima, pertanto, viene fatta non solo sulla base della durata della malattia, ma anche della natura e della gravità delle conseguenze della lesione. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Circostanze aggravanti previste dall’articolo 583 CP che definiscono il reato di lesione personale grave Malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa Sotto il profilo medico‐legale, il giudizio di malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa deve essere inteso come un giudizio diagnostico, espresso sulla base dell’effettiva realtà e gravità della compromissione delle funzioni cardiaca, respiratoria e nervosa. Poiché si tratta di un giudizio diagnostico e non di una prognosi quod‐vitam, il pericolo per la vita della persona offesa deve esser attuale e non solo genericamente potenziale o desunto sulla base di prevedibili complicanze future. Esempio di malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa è lo shock emorragico. Malattia o incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 gg Nel computo del periodo occorre tener conto anche dell’eventuale maggiore durata che, pur indipendente dal fatto del colpevole, sia stata determinata da preesistenti condizioni patologiche della vittima, da fatti patologici concomitanti o da complicazioni sopravvenute. Anche in questi casi non viene escluso il nesso di causalità con il fatto lesivo a meno che non si tratti di concause sopravvenute, del tutto indipendenti dal fatto del colpevole e da sé sole sufficienti a determinare la maggiore durata del periodo. Nel computo della durata rientra anche il periodo di convalescenza, poiché, come nella malattia, anche durante questa fase il soggetto è costretto a limitare la propria vita di relazione e la propria capacità di espletare le abituali attività della vita quotidiana. Per ordinarie occupazioni non si devono intendere solo quelle professionali ma occorre tener conto di qualsiasi altra occupazione, materiale o intellettuale, che la persona in esame svolge, purché sia abituale e lecita. Indebolimento permanente di un senso o di un organo In ambito medico‐legale, nel parlare di senso ci si riferisce ad un mezzo attraverso cui viene percepito il mondo esterno; nel parlare di organo non ci si riferisce al viscere in sé bensì alla funzione da esso espletata. Per alcune funzioni, possono configurarsi due differenti ipotesi: indebolimento e perdita, come nel caso delle funzioni uropoietica, riproduttiva e masticatoria; per altre, invece, si può parlare solo di indebolimento, perché la loro perdita coinciderebbe con la morte, caso delle funzioni cardiovascolare, nervosa e respiratoria. L’indebolimento si realizza quando la lesione riduca di almeno il 10% la funzione considerata o il senso interessato. Al di sopra del 90%, il deficit funzionale si qualifica come perdita, definendo una condizione di lesione personale gravissima. N.B. Ai fini valutativi in sede penale deve essere presa in esame la “funzione naturale”, senza considerare eventuali trattamenti terapeutici o protesici ed eventuali correzioni chirurgiche. Le ragioni di ciò sono: ‐ nessuna persona può essere costretta, contro la propria volontà, a sottoporsi ad alcun trattamento, per emendare o contenere un certo danno ‐ nessun trattamento medico‐chirurgico può dare la certezza del risultato ‐ eventuali protesi artificiali sarebbero sostitutive ma non capaci di ripristinare interamente la funzione naturale L’indebolimento obiettivato può essere ritenuto permanente qualora il medico abbia la certezza che esso sia durevole nel tempo. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne che definiscono il reato di lesione personale gravissima Malattia certamente o probabilmente insanabile Viene ritenuta tale quando non si conoscono rimedi efficaci e quando il processo patologico diventa cronico, così da escludere con certezza la possibilità di restitutio ad integrum. Il Legislatore ha considerato equivalenti la malattia certamente insanabile e quella che può essere definita tale solo in via di probabilità, trattandosi di un giudizio prognostico. Esempi di malattia certamente o probabilmente insanabile sono: emisezione traumatica del midollo spinale, nefrite cronica traumatica, AIDS nella fase di malattia conclamata. Perdita di un senso Tale circostanza si configura se dal fatto deriva la riduzione di una funzione sensoriale superiore o uguale al 90%. Perdita di un arto Viene intesa non solo come l’asportazione totale di esso (amputazione) ma anche come l’impossibilità assoluta di utilizzarlo (paralisi). Mutilazione che rende l’arto inservibile Tale ipotesi si verifica quando un arto, superiore o inferiore, sia privato di una parte importante come, ad esempio, la mano o il piede. Perdita dell’uso di un organo Poiché, in medicina‐legale, con il termine di organo ci si riferisce alla funzione da esso espletata, per poter parlare di perdita dell’uso di un organo è richiesta la cessazione definitiva di una ben precisa funzione. Pertanto, la perdita di un occhio costituisce indebolimento permanente della funzione visiva e non perdita dell’uso di un organo. Allo stesso modo, sono classificabili la perdita di un rene, a rene adelfo integro; la perdita di un testicolo, con l’altro vicariante; la perdita monolaterale dell’udito. Esempi di perdita dell’uso di un organo sono, invece, la perdita del rene, nel soggetto monorenico; la perdita dell’udito, nel sordo monolaterale; la perdita dell’altro occhio, nel monoculo. Perdita della capacità di procreare Nel maschio, la perdita della capacità di procreare può verificarsi a causa di impotentia coeundi e di impotentia generandi. Nella donna, si deve tener conto dell’impotentia coeundi, generandi, gestandi, partoriendi. Esempio: donna che, in esito ad una grave frattura del bacino con viziatura pelvica e conseguente impervietà assoluta o relativa del canale del parto, sia capace di partorire solo mediante taglio cesareo. Si parlerà in tal caso di lesione personale gravissima, per perdita della capacità di procreare, dovendosi considerare il taglio cesareo un rimedio artificiale. N.B. La capacità di procreare può esser persa anche a causa di menomazioni che non interessano direttamente, ma solo indirettamente, l’apparato genitale. Ad esempio, nell’uomo, compromissione dei centri nervosi cerebrali e spinali dell’erezione; nella donna, anchilosi coxo‐femorale bilaterale. Permanente e grave difficoltà della favella Per favella, s’intende il linguaggio parlato. Assumeranno, pertanto, notevole valore i disturbi afasici, disartrici e quelli nei quali il danno foniatrico consegue a menomazioni permanenti e gravi dell’apparato fonatorio, sia a livello periferico che centrale. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Deformazione o sfregio permanente del volto Per sfregio, s’intende qualsiasi minorazione del fregium e, cioè, dell’armonia o della bellezza del volto. Per deformazione, invece, s’intende un sovvertimento strutturale e, cioè, una deturpazione del volto tale da renderlo disgustoso. Quanto ai limiti del volto, essi risultano ben definiti dalla giurisprudenza, secondo cui il volto è delimitato, in alto, dall’attaccatura del capillizio; in basso, dal margine inferiore della mandibola e del mento; ai lati, dai due padiglioni auricolari. N.B. per il configurarsi dell’ipotesi sia di sfregio che di deformazione, non è necessario che la menomazione interessi direttamente il volto quanto che faccia risentire, su di esso, i suoi effetti sfregianti o deturpanti. Ad esempio, può verificarsi che il soggetto presenti un deficit paretico del VII, a causa di una frattura della rocca petrosa della mastoide; che vi siano esiti cicatriziali del collo, con effetti retraenti sulla cute del viso, per ustioni o causticazioni; che il soggetto abbia riportato una lesione traumatica del simpatico cervicale, con conseguente sindrome di Claude‐Bernard‐Horner (miosi, enoftalmo, ptosi palpebrale). Anche in relazione al problema del danno estetico, vale il principio generale che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento medico o chirurgico. Il medico, pertanto, terrà conto, nella sua valutazione del danno, della “funzione naturale”, a prescindere quindi da eventuali miglioramenti ottenibili con interventi medico‐chirurgici. Inciso In diritto penale la procedibilità d'ufficio è la qualità di alcuni reati a seguito della perpetrazione dei quali l'azione penale deve essere avviata al mero ricevimento della notitia criminis. A differenza di quanto accade per i reati perseguibili a querela della parte offesa, perciò, non si richiede che taluno che ne abbia legittimazione debba sollecitare l'avvio dell'azione penale, ma l'autorità giudiziaria deve immediatamente perseguire il colpevole non appena acquisisca la relativa denuncia, indipendentemente dalla eventuale lesione di diritti di terzi e dalla loro eventuale facoltà di rivalsa. Inoltre, l'azione avviata d'ufficio è irretrattabile, non è dunque possibile interromperla come avviene nel caso di remissione della querela. DIFFERENZE TRA DELITTO DI PERCOSSE E QUELLO DI LESIONE PERSONALE Elemento psicologico del reato Condotta Evento Punibilità Referto WWW.SUNHOPE.IT Percosse Dolo Attiva Assenza di malattia A querela della persona offesa Esenzione Lesione personale Dolo o colpa Attiva‐omissiva Malattia A querela o di ufficio Esenzione o obbligo Materiale elaborato da Luigi Aronne INFANTICIDIO IN CONDIZIONI DI ABBANDONO MATERIALE E MORALE DELLA MADRE Art. 578 CP La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. Perché vada a configurarsi la fattispecie delittuosa dell’infanticidio, e non quella dell’omicidio, sono richiesti due requisiti: 1. Uccisione, da parte della madre, del neonato immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto 2. Dimostrazione delle condizioni di effettivo abbandono materiale e morale della donna Il Codice Penale, pertanto, estende la sua tutela anche al feto durante il parto, pur non potendo quest ultimo considerarsi nato ai sensi del Diritto Civile, in quanto non ha ancora respirato e, quindi, vissuto di vita autonoma, cosa che lo rende privo di capacità giuridica. Occorre comunque dimostrare che il prodotto del concepimento 1.sia in possesso della capacità di vita autonoma extrauterina, la cui assenza configurerebbe l’ipotesi dell’aborto e non quella del feticidio. Requisiti necessari affinché un prodotto del concepimento possa essere ritenuto capace di vita autonoma extrauterina sono: 1) Raggiungimento della cdt “soglia di vitalità cronologica”, fissata dopo la fine del 6° mese. Il raggiungimento di tale soglia viene denunciato dal riscontro del nucleo di ossificazione dell’astragalo 2) Sufficiente sviluppo degli organi essenziali in grado di assicurare le funzioni vitali 3) Assenza di patologie o malformazioni che non permettano il mantenimento della vita extrauterina Bisogna quindi: 2. Valutare se vi è stata vita post‐natale e, in caso affermativo, qual è stata la sua durata. La prova della vita extrauterina viene fornita dalla dimostrazione dell’avvenuta respirazione polmonare, ottenibile mediante le cdt docimasie respiratorie. Raggiunta la prova che vi è stata vita extrauterina, sorge l’esigenza di stabilire la sua durata. Ciò risulta rilevante poiché il Legislatore ammette solo nell’immediatezza del parto la possibile esistenza di uno shock psichico tale da giustificare, sia pure in parte, il comportamento criminoso della donna. Se, infatti, la donna uccide il neonato diverso tempo dopo il parto, si configurerà il reato di omicidio e non quello di infanticidio La durata effettiva della vita extrauterina può essere dedotta valutando: ‐ Presenza del tumore da parto, che scompare entro 2‐3 gg ‐ Presenza di meconio nell’intestino, che scompare dopo 3‐4 gg ‐ Presenza del funicolo ombelicale, che si distacca intorno al 10° giorno ‐ Aspetto macroscopico del funicolo che, alla nascita, risulta molle e di colorito bianco perlaceo, trasformandosi, nel volgere dei gg, in un cordone nastriforme e bruno. 3. Accertare la causa della morte, che può essersi verificata per un evento delittuoso, accidentale o patologico. Nei casi di infanticidio, la causa della morte può essere ascrivibile a comportamenti omissivi (come abbandono del neonato in un cassonetto) o a comportamenti attivi che realizzano l’ipotesi delittuosa soprattutto mediante forme di asfissia meccanica violenta tra cui quelle più frequentemente attuate sono il soffocamento e l’annegamento. Meno comuni, invece, risultano modalità traumatiche contusive, trauma cranico in primis. 1 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Il secondo requisito per il configurarsi di un delitto di infanticidio consiste nella dimostrazione delle condizioni di effettivo abbandono materiale e morale della donna Le due condizioni devono sussistere congiuntamente ed oggettivamente, non potendo essere semplicemente supposte Esse si riferiscono soprattutto a quello stato di particolare solitudine e di reale emarginazione in cui la donna, specie se minore, può trovarsi all’interno della famiglia. 2 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne DELITTO DI VIOLENZA SESSUALE Il comportamento sessuale non è soggetto a particolari limitazioni giuridiche, purché: i soggetti che compiono gli atti sessuali siano capaci liberamente di autodeterminarsi tale comportamento non arrechi offesa alla collettività tale comportamento non cagioni danno alla persona del partner e ne si rispetti il consenso Sec. l’art. 609 bis del CP (violenza sessuale), chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da 5 a 10 anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1. abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto 2. traendo in inganno la persona offesa per essersi sostituito ad altra persona Nei casi di minore gravità, la pena è diminuita in misura non eccedente i 2/3. “Chiunque” significa che il delitto può essere commesso anche da parte del marito sulla moglie, del cliente sulla prostituta, dell’amante sul partner, ecc… Può realizzarsi anche fra due donne o di una donna sull’uomo. Il colpevole, insomma, è colui che pretenda e realizzi un atto sessuale non liberamente voluto o accettato dall’altro e, quindi, in assenza o oltre i limiti del suo valido consenso. Nel riferirsi alla vittima, il Codice parla di “taluno” senza alcuna limitazione. Né ha importanza verificare, ai fini del realizzarsi del fatto delittuoso, se la vittima abbia poi concorso al compimento dell’atto. Ciò che conta è che quest ultima non abbia prestato libero consenso all’atto sessuale Tale norma riconduce all’unica ipotesi di “violenza sessuale” le due tipologie di reati previste dal vecchio regime: congiunzione carnale violenta (violenza carnale) ed atti di libidine violenti, equiparando le sanzioni penali per esse erogate. In sede peritale e nello svolgimento del processo non vi è quindi più alcuna necessità di stabilire se vi sia stata o meno congiunzione carnale, o solo atti di libidine violenti, con i conseguenti riflessi positivi sulla tutela della dignità personale e del diritto alla riservatezza della vittima. La norma, inoltre, nella sua genericità ed estensività, può includere non solo la congiunzione carnale e gli atti di libidine, ma anche altre condotte offensive del diritto alla libertà sessuale della persona, sino alle cdt molestie sessuali. Segni fisici della violenza subita In ogni caso di stupro, l’esame clinico deve essere effettuato il più prontamente possibile e prima che la vittima si lavi (ad esempio per il prelievo di eventuali tracce di liquido seminale). I segni lesivi possono riguardare qualsiasi sede extra‐genitale, ma, con maggiore frequenza, sono a carico delle regioni genitali. Più spesso si tratta di escoriazioni, abrasioni, graffiature, unghiature, ecchimosi soprattutto in corrispondenza del collo, delle regioni anteriori del torace, della radice degli arti inferiori e di lacerazioni o abrasioni in sede genitale ed anale. Le lacerazioni acquisite del disco imenale sono profonde ed arrivano sino al bordo fisso del disco stesso, i loro margini combaciano e sono ecchimotici e contusi. Quelle congenite, invece, hanno profondità diversa, ma non raggiungono la zona aderente, sono irregolari, hanno margini che generalmente non combaciano e non presentano soffusioni ecchimotiche. Di frequente osservazione sono, inoltre, lesioni di tipo contusivo a carico delle cosiddette zone erogene: mammelle, capezzoli, glutei, cosce, bocca. Lesioni da difesa possono essere ricercate a livello delle mani. Sotto le unghie della vittima si possono trovare piccoli frustoli di cute, utili ai fini dell’identificazione dell’aggressore. WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne N.B. Non è richiesta alcuna prova dell’esistenza dei segni fisici della violenza subita quando si tratti di “violenza presunta” o di “violenza subita” Violenza sessuale presunta Secondo l’art.609 quarter del CP, soggiace alla stessa pena prevista, dall’art.609 bis, per la violenza sessuale, chiunque compia atti sessuali con persona, che al momento del fatto: Non abbia compiuto 14 anni Non abbia compiuto 16 anni, qualora il colpevole sia una persona a cui il minore è affidato (…) o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza. In tutti questi casi si dà per scontato che non vi sia consenso valido da parte della vittima con la conseguenza che l’atto sessuale sarà sempre qualificato come violento (lesivo cioè della libertà personale della vittima). Non vi è dunque alcuna necessità di provare l’esistenza dei segni obbiettivi della violenza subita. Qualora questi siano evidenziati, è da ritenere che vi sia stato anche dissenso, da cui la più grave violenza fisica e psichica subita. Tali segni costituiranno, pertanto, circostanza aggravante del delitto. Un’ulteriore circostanza aggravante è rappresentata da un’età della vittima minore di 10 anni. In tutti i casi, vi è l’obbligo di referto per il medico che abbia prestato la propria assistenza, trattandosi di delitto perseguibile d’ufficio. Violenza sessuale abusiva Si parla di abuso quando il soggetto compie l’atto sessuale abusando della propria autorità oppure delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima, condizioni che devono provarsi esistenti al momento in cui il fatto è stato commesso. In questi casi, il consenso della vittima al momento del fatto, pur se esistente, non è ritenuto valido poiché viziato da fattori estrinseci (condotta abusante del colpevole) e da fattori intrinseci (condizioni di inferiorità fisica o psichica esistenti al momento del fatto) Occorrerà pertanto valutare, caso per caso, se il colpevole abbia effettivamente abusato della propria autorità o delle condizioni di inferiorità della persona offesa al momento del fatto. Circostanze aggravanti il reato di violenza sessuale 1. Violenza sessuale compiuta su persona che non abbia ancora 14 anni di età o che non abbia ancora 16 anni qualora il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo o il tutore. 2. Violenza sessuale condotta mediante l’uso di armi o di sostanze alcooliche, narcotiche o stupefacenti oppure con l’uso di altri strumenti o sostanze gravemente lesive della salute della persona offesa 3. Violenza sessuale condotta da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio 4. Violenza sessuale compiuta su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale Atti sessuali tra minorenni Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609 bis (violenza sessuale), compia atti sessuali con un minore che abbia compiuto anni 13, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni. È prevista una reclusione da 7 a 14 anni, se la persona offesa non ha compiuto i 10 anni. Ignoranza dell’età della persona offesa Qualora i delitti sessuali siano commessi in danno di persona minore di anni 14, anche se consenziente, il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa. WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne Violenza sessuale di gruppo Essa consiste nella partecipazione di più persone ad atti di violenza sessuale. È punita dall’art. 609 octies. La pena consiste nella reclusione da 6 a 12 anni ed è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall’art. 609 ter. Il delitto è perseguibile d’ufficio. È inoltre previsto che l’imputato, anche non consenziente, sia obbligato a sottoporsi ad accertamenti atti ad accertare l’eventuale esistenza di malattie a trasmissione sessuale, qualora, per le modalità del fatto, sussista un fondato rischio di trasmissione. Querela di parte I delitti sessuali sono generalmente punibili a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è stato prorogato a 6 mesi. È inoltre stabilito che la querela, una volta proposta, sia irrevocabile. Quesiti posti dal magistrato I quesiti che più frequentemente il magistrato pone al perito medico‐legale in materia di violenza sessuale sono: 1. Accertare la natura e l’entità degli eventuali segni di violenza ed a quale epoca essi risalgono 2. Stabilire se il soggetto al momento del fatto era in una condizione di inferiorità fisica o psichica e se vi è stato abuso di tali condizioni. 3. Stabilire se siano state utilizzate armi o altri mezzi di offesa o se vi sia stato uso di sostanze alcooliche o di altre sostanze gravemente lesive della persona offesa 4. Verificare quali siano al momento della visita lo stato di coscienza e le capacità di orientamento della vittima 5. Determinare se il soggetto attivo e/o quello passivo siano affetti da una malattia a trasmissione sessuale 6. Precisare se i dati obiettivi riscontrate all’esame della parte lesa si accordino con le modalità del fatto indicate negli atti processuali 7. Definire quali siano l’età della vittima e quella dell’aggressore, ove sussistano dubbi sulla realtà anagrafica delle stesse WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne TRAPIANTI D’ORGANO Prelievo da viventi Non sono consentiti i prelievi d’organo da viventi quando causino una diminuzione permanente dell’integrità fisica e psichica del donatore. Ad essere consentita è la donazione di: sangue, lembi di pelle, frammenti di osso, midollo osseo, cartilagine, capelli. La persona può disporre di tali parti, ma solo a titolo gratuito, senza cioè ricevere alcun compenso. È permessa inoltre, per espressa deroga di legge, la donazione del rene. La deroga vale per i genitori, i figli, i fratelli germani e non germani del pz e, solo nel caso di loro assenza o quando nessuno di essi sia idoneo o disponibile, l’espianto può riguardare altri parenti o donatori estranei al nucleo parentale. In ogni caso, è necessario il consenso esplicito, libero ed informato della persona che viene sottoposta a prelievo e tale consenso non può essere sostituito da alcuno stato di necessità. La deroga è stata estesa anche a parti di fegato. Prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico Sono prelevabili, a scopo di trapianto di terapeutico, tutti gli organi del cadavere, fatta eccezione per l’encefalo e per le ghiandole della sfera genitale e della procreazione. Prelievi e trapianti non sono consentiti a scopo di sperimentazione. È necessario che l’accertamento della morte cerebrale ed il consenso alla donazione rispettino le procedure stabilite dalle leggi vigenti. L’accertamento della morte cerebrale è subordinato alla verifica della coesistenza dei seguenti dati: 1. Stato di incoscienza 2. Assenza dei riflessi del tronco (riflesso corneale, fotomotore, oculo‐cefalico, oculo‐vestibolare, reazioni a stimoli dolorifici nel territorio del trigemino, riflesso carenale) 3. Assenza di respiro spontaneo dopo sospensione della ventilazione artificiale fino al raggiungimento di ipercapnia accertata di 60 mmHg, con pH ematico minore di 7.4 4. Silenzio elettrico cerebrale La contemporanea presenza dei segni citati deve essere accertata per tutto il periodo di osservazione: 6 ore, nei bambini con più di cinque anni e negli adulti; 12 ore, nei bambini di età compresa tra uno e cinque anni; 24 ore, nei bambini di età inferiore ai 12 mesi. A provare e certificare la morte cerebrale sarà un collegio di tre medici nominato dalla Direzione Sanitaria: 1. Medico‐legale o, in mancanza, medico della direzione sanitaria o anatomo‐patologo 2. Medico specialista in anestesia e rianimazione 3. Neurofisiopatologo o, in mancanza, neurologo esperto in elettroencefalografia. I componenti dell’equipe devono essere dipendenti delle strutture sanitarie pubbliche appositamente autorizzate e indipendenti dall’equipe che effettuerà il prelievo. Sarà il magistrato che, a conclusione del periodo di osservazione, autorizzerà o meno l’espianto sulla base dei dati che gli vengono forniti dal Collegio. I verbali scritti, il cui originale sarà conservato nell’Archivio dell’Ospedale, andranno trasmessi, entro le 48 ore dal loro completamento, alla ASL competente e al Procuratore della Repubblica, per il controllo della legittimità delle operazioni di accertamento della morte. È fondamentale accertare, inoltre, che il donatore sia esente da malattie virali, tumorali o infettive. Consenso alla donazione d’organo Le nuove regole, dettate dalle L. n. 91 del 1 Aprile del 1999, introducono il principio del silenzio‐assenso informato secondo cui è la persona in vita ad essere chiamata a decidere, e non i familiari dopo la morte, se mettere a disposizione a scopo terapeutico i propri organi in caso di decesso. 1 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne A tal fine, ogni cittadino, compiuto il 16° anno di età verrà informato sull’argomento e sarà chiamato ad esprimere la propria volontà. In caso di rifiuto, dovrà rendere nota la sua decisione, con l’obbligo da parte della competente autorità sanitaria, di trascriverla nel libretto sanitario individuale o su altri documenti di identità, ove verrà riportata la scelta “n.d.” (non donatore). Se la persona, dopo l’informativa e la richiesta di pronunciarsi al riguardo, si astiene dal manifestare la sua volontà entro un termine di 90 giorni, non verrà riportato sul documento alcuna dicitura e quindi si darà per scontato l’assenso all’eventuale prelievo di organo (principio del silenzio‐assenso informato). In ogni momento della sua vita il cittadino potrà cambiare parere. Al di sotto del 16° anno, qualsiasi decisione verrà presa dai genitori o dai rappresentanti legali. La Legge n. 91 del 99 prevede inoltre: 1. Istituzione di un centro nazionale trapianti, di centri interregionali e di centri regionali che presiedano alla gestione delle liste di attesa e all’assegnazione degli organi 2. Definizione della figura del coordinatore delle attività di prelievo, finalizzata alla gestione dei rapporti con i familiari ed all’incremento delle donazioni d’organo. 3. Verifica dell’idoneità degli organi e dei tessuti prelevati che devono essere esenti da malattie trasmissibili al ricevente 4. Realizzazione di un sistema informatico nazionale dedicato alla gestione ed al coordinamento di tutte le attività connesse al trapianto 5. Definizione di regole e metodologie condivise ed attuate da tutto il sistema trapianti in modo trasparente in conformità con i dispositivi di legge Fino al momento in cui il sistema informatico nazionale non sarà funzionante, è previsto un regime transitorio durante il quale il prelievo di organi o tessuti potrà essere effettuato se la persona candidata alla donazione non abbia espressamente negato in vita il proprio assenso e se, nel corso del periodo di osservazione obbligatorio, il coniuge non separato o, in mancanza, i figli maggiorenni o in mancanza di questi ultimi il rappresentante legale, non abbiano fatto pervenire in tempo utile opposizione scritta. 2 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Trattamenti sanitari volontari e non Tutti i trattamenti sanitari sono volontari e necessitano, pertanto, della libera partecipazione di colui che li riceve. Eccezioni sono: 1. Trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale Secondo l’art. 34 della legge 833 del 1978, perché si disponga un trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale, in regime di degenza ospedaliera, occorre la coesistenza delle seguenti condizioni: 1) Il pz deve presentare alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici 2) Gli stessi interventi non vengono accettati dall’infermo, perché questi non è in condizioni di comprenderne la natura, il significato, la necessità 3) Non è possibile adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra‐ospedaliere Il ricovero deve avvenire rispettando le seguenti modalità: Proposta motivata da parte del medico curante, che va inoltrata all’ASL Convalida della proposta da parte di un medico dell’ASL Invio della proposta motivata al Sindaco, che disporrà il ricovero con ordinanza Convalida, entro 48h, dell’ordinanza del sindaco da parte del giudice tutelare 2. Trattamenti ed accertamenti sanitari resi obbligatori da disposizioni di legge ‐ Vaccinazioni obbligatorie ‐ Trattamenti relativi a malattie infettive e diffusive, come isolamento e contumacia ‐ Verifica periodica dell’uso recente di alcol e di sostanze stupefacenti in lavoratori dediti a mansioni che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi ‐ Accertamenti tesi a verificare l’adesione di soggetti tossicodipendenti al programma terapeutico di recupero 3. Accertamenti ordinati dall’Autorità giudiziaria Un esempio consiste nella misurazione della temperatura corporea, durante l’epidemia Ebola, in tutti i soggetti provenienti dai Paesi colpiti, come presupposto per entrare in territorio italiano. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA Secondo l’art.4 della legge n.194 del 1978, per l’interruzione volontaria di gravidanza, entro i primi 90 gg, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbe un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, può rivolgersi ad un consultorio pubblico, ad una struttura socio‐sanitaria abilitata dalla regione o ad un medico di sua fiducia. In pratica, durante i primi 90 gg, la decisione di abortire, spetta esclusivamente alla donna. Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro, il medico del consultorio o della struttura socio‐sanitaria, o il medico di fiducia, rilascia alla gestante copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per 7 gg. Nel documento, il medico è tenuto ad accertare e certificare: 1. Identità della donna 2. Esistenza della gravidanza 3. Epoca della stessa e che quindi non siano trascorsi i 90 giorni 4. Età della donna 5. Richiesta e motivi 6. Avvenuta informazione sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale a cui può fare ricorso. Si deve cioè attestare l’avvenuta attività dissuasiva. 7. Avvenuta informazione sui consultori nonché sulle strutture socio‐sanitarie o gli ospedali dove, dopo il termine di 7 gg, la donna potrà rivolgersi 8. Data del rilascio Trascorsi i 7 gg, la donna può presentarsi per ottenere l’interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole, presso una delle sedi autorizzate. Il padre del concepito potrà essere sentito solo quando la donna lo consenta. Sec l’art. 6 della legge, l’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi 90 gg, può essere praticata: ‐ quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna ‐ quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. I processi patologici che configurano i casi previsti per l’interruzione volontaria di gravidanza dopo il 90° giorno, devono essere accertati da un medico dello stesso servizio ostetrico‐ginecologico dell’ente ospedaliero in cui andrà praticato l’intervento, che ne certifica l’esistenza. L’art. 7 della legge stabilisce che, qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo di vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure previste negli altri casi ed al di fuori delle sedi autorizzate. L’eventuale obiezione di coscienza da parte del personale sanitario non può essere mai invocata quando la donna avversi in siffatte condizioni (art.9). Interruzione della gravidanza e minore età Per le minori, è necessario l’assenso di entrambi i genitori o di chi esercita, sulla donna, la potestà o la tutela. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne Nei primi 90 gg, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure se queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri difformi, il consultorio, la struttura socio‐sanitaria o il medico di fiducia, dovrà rilasciare alla donna una copia del certificato, da cui risulta l’avvenuta richiesta, e trasmettere, entro 7 gg, lo stesso, corredato di un proprio parere, al giudice tutelare (pretore del luogo dove egli esercita la sua professione) Il magistrato convocherà la minore, ma questa potrà anticiparlo, recandosi di persona al suo ufficio. Sarà quindi il giudice che, entro 5 gg dalla data in cui ha ricevuto la documentazione medica, potrà autorizzare l’interruzione della gravidanza. Se il giudice nega tale autorizzazione, la donna potrà far ricorso al tribunale per i minorenni che deciderà con procedura d’urgenza. Se sussistono condizioni di urgenza, il medico rilascerà subito la certificazione che autorizza l’interruzione, anche senza il consenso dei genitori e senza il parere del giudice tutelare. Oltre i 90 gg la procedura è identica a quella per le donne di maggiore età. Interdizione ed i.v.g. Se la donna è interdetta, la richiesta di i.v.g. può essere presentata: ‐ Personalmente ‐ Dal tutore ‐ Dal marito che non sia legalmente separato In queste due ultime ipotesi, la gestante deve comunque confermare la richiesta. Pertanto, anche l’eventuale pronuncia di interdizione (perdita della capacità di agire) non pregiudica che la donna sia chiamata a convalidare la richiesta avanzata da altri. In questi casi, l’autorizzazione all’interruzione viene rilasciata unicamente dal giudice tutelare. Quando sussiste possibilità di vita autonoma del feto (età minima della vita intrauterina di 180 gg), fermo restando che l’interruzione può essere praticata solo se la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, il medico che esegue l’intervento deve fare tutto il necessario per salvare la vita del feto. Obiezione di coscienza Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prender parte alle procedure per l’interruzione della gravidanza quando abbia sollevato abiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione va cioè presentata prima che il medico si trovi di fronte alla situazione concreta. La dichiarazione, per avere effetti pratici, deve essere comunicata all’autorità competente (direttore sanitario dell’Ospedale) entro 1 mese dall’assunzione. Costituisce un diritto fondamentale del sanitario. Non può essere invocata qualora la donna versi in imminente pericolo di vita. Aborto illegale È quello effettuato su donna consenziente, senza tener conto dei dettami previsti dalla legge 194; quando cioè: ‐ è stato ottenuto senza osservare le procedure ed i limiti imposti dalla legge ‐ è stato effettuato fuori dalle sedi autorizzate Aborto criminoso Si parla di aborto criminoso quando: 1) l’interruzione della gravidanza è la conseguenza di una lesione personale (dolosa o colposa) 2) l’interruzione della gravidanza è ottenuta con azione dolosa del soggetto attivo diretta ad interrompere la gravidanza, senza o contro il consenso della donna La legge prevede sanzioni sino a 12 anni di reclusione o a 16 se si verifica la morte della donna. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) TOSSICOLOGIA Scienza che studia l’interazione dei tossici con la materia vivente Al suo interno rientra: Tossicologia forense È quella disciplina che ha per oggetto di studio la chimica analitica dei veleni, contenuti in qualsiasi materiale, la cui ricerca venga eseguita a fini di giustizia. In essa, sia la produzione del dato analitico che la sua interpretazione sono finalizzate alla produzione della prova ed alla verifica del nesso causale, ovvero alla dimostrazione dell’osservanza o meno di una norma. Campi di studio della tossicologia forense 1. Abuso e misuso di droghe, farmaci, sostanze dopanti 2. Avvelenamenti acuti accidentali, volontari, a scopi terroristici 3. Tossicologia iatrogena (che si occupa principalmente del monitoraggio di farmaci) 4. Patologie professionali 5. Tossicologia ambientale 6. Tossicologia alimentare Obiettivi della diagnostica tossicologica con finalità medico‐legale in materia di abuso e misuso di droghe, farmaci, sostanze dopanti 1. Diagnosi di drug‐free È richiesta con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità a: Guida, da parte delle Commissioni Mediche Locali (CML) nei casi di ritiro, revisione, sospensione o revoca della patente Mansioni militari Mansioni lavorative che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi Adozione di minori Porto d’armi 2. Diagnosi di uso recente e valutazione dell’impairment (alterazione psico‐comportamentale legata all’abuso di una determinata sostanza) Vengono richieste con l’intento di: Dimostrare una condizione di guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti Monitorare lavoratori addetti a mansioni che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi 3. Diagnosi di uso abituale È richiesta per disporre misure cautelari alternative al carcere per documentare lo stato di tossicodipendenza di militari e di lavoratori in genere per valutare il rispetto dell’obbligo di terapia nel sospetto di doping WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Per VELENO, s’intende ogni sostanza naturale (minerale, vegetale, animale) o sintetica (organica o inorganica), solubile o atta a divenirlo che, introdotta nell’organismo in quantità relativamente piccola, provoca avvelenamento e, cioè, l’alterazione di un equilibrio preesistente, a cui consegue uno stato morboso di varia natura ed gravità, potenzialmente mortale. N.B. Le sostanze comunemente definite “farmaci/droghe/veleni” non sono le uniche che possono provocare danni. Ogni sostanza chimica conosciuta ha, infatti, la potenzialità di produrre, attraverso vari meccanismi, un danno o la morte. Risulta, pertanto, più corretto parlare di lesività da noxa chimica o di effetto tossico. L’effetto tossico può assumere diverse connotazioni, quali: 1. Effetto rivelatore di una malattia clinica ad uno stadio precoce 2. Effetto difficilmente reversibile, che riflette un indebolimento della capacità dell’organismo di mantenere l’omeostasi 3. Effetto rinforzante la sensibilità dell’individuo ad altri inquinanti o ad altre sostanze tossiche 4. Effetto che sposta al di fuori della norma diversi parametri biochimici, che rappresentano segni precoci di alterazione di una determinata funzione 5. Effetto che segnala alterazioni metaboliche e biochimiche importanti Va detto che non è la sola dose ad influenzare la tossicità di una sostanza introdotto nell’organismo. Essa viene infatti influenzata da diversi fattori, distinguibili in: Fattori legati alla sostanza 1. Caratteristiche fisiche (come volume delle particelle) 2. Caratteristiche chimiche (come pH, idro o liposolubilità) 3. Tipo di veicolo 4. Eccipienti 5. Presenza di impurità o contaminanti Fattori legati alla modalità d’esposizione 1. Dose Indici che correlano la dose della sostanza all’effetto prodotto sono: ‐ Dose letale 50 (DL50): dose della sostanza capace di indurre la morte del 50% degli animali da esperimento a cui è stata somministrata. Quanto più bassa è la DL50, tanto maggiore sarà la tossicità della sostanza. N.B. Quando la dose che ricevono gli animali in fase di sperimentazione non è facilmente determinabile (caso di sostanze presenti nell’aria o nell’acqua) va impiegato, come indice di tossicità, l’LCt50: concentrazione del gas o del liquido in grado di uccidere il 50% delle cavie in un certo lasso di tempo. ‐ Dose effetto 50 (DE50): dose della sostanza che provoca l’effetto desiderato nel 50% degli animali a cui è stata somministrata 2. Via attraverso cui si verifica l’esposizione ‐ Percutanea ‐ Parenterale ‐ Enterale ‐ Inalatoria 3. Durata e frequenza dell’esposizione 4. Momento della somministrazione (ora del giorno, stagione) WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Fattori legati all’individuo 1. Etnia (ad esempio, gli indiani d’America ed i cinesi, essendo poveri di alcol‐deidrogenasi, hanno un ridotto metabolismo dell’etanolo) 2. Età (i bambini minori 10 anni, ad esempio, mancano di alcol‐deidrogenasi) 3. Sesso (le donna, ad esempio, hanno ¼ delle alcol‐deidrogenasi contenute nella mucosa gastrica degli uomini. Sono pertanto più sensibile all’intossicazione acuta, perché una maggiore quantità di etanolo passa in circolo, raggiungendo il cervello ed a quella cronica, perché il fegato viene sovraccaricato 4 volte in più di quello di un uomo) 4. Peso corporeo 5. Grado di abitudine Introducendo, infatti, piccole dosi di veleno, in modo costante, l’effetto si riduce, per adattamento del sistema detossificante dell’organismo, con aumento della velocità di escrezione. Tale fenomeno prende il nome di tolleranza o assuefazione. Nei soggetti assuefatti ad una determinata sostanza, per ottenere gli stessi effetti di soggetti non assuefatti è necessario aumentare le dosi. La tolleranza interessa consumatori di stupefacenti, fumatori ed alcolisti. 6. Eventuale idiosincrasia Ipersensibilità, geneticamente determinata, verso particolari sostanze. 7. Stato fisiologico e nutrizionale 8. Condizioni patologiche pre‐esistenti Fattori legati all’ambiente 1. Temperatura 2. Umidità (coloro che lavorano in serre molto umide, ad esempio, hanno un maggiore assorbimento attraverso la cute di anticrittogamici) 3. Pressione barometrica 4. Composizione atmosferica 5. Luce ed altre forme di radiazioni WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Classificazione dei veleni Può far riferimento a diversi criteri. Quella adottata in tossicologia forense tiene conto delle loro caratteristiche chimico‐fisiche, che ne condizionano le modalità di estrazione. Tale classificazione suddivide i veleni in 7 gruppi: ‐ Gruppo 1: gas (come CO, acido cinadrico, gas bellici) ‐ Gruppo 2: sostanze volatili (come glicoli, fenoli, anilina, nitrobenzene) ‐ Gruppo 3: farmaci ‐ Gruppo 4: metalli (come arsenico, mercurio, piombo, tallio) ‐ Gruppo 5: pesticidi (come quelli organo‐fosforici) ‐ Gruppo 6: anionici (come nitrati, solfiti ed ipocloriti) ‐ Gruppo 7: miscellanea Gas Le manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da gas generalmente sono: dispnea, asfissia, vomito, colorazione rosa o rossa della cute (nell’avvelenamento da CO e da acido cianidrico) Esodio dei sintomi: molto rapido Ambienti in cui più frequentemente si verifica l’intossicazione: abitazioni, officine meccaniche, automobili, miniere, siti industriali, ospedali (nel caso di avvelenamento da gas anestetici). Categorie lavorative a rischio: meccanici, minatori, lavoratori dell’industria chimica, addetti alla pulizia di cisterne. Materiali su cui viene condotta l’analisi: ‐ Aria, prelevata da ambienti chiusi e da veicoli ‐ Vestiario, se macchiato o impregnato di odori particolari ‐ Campioni biologici post‐mortem, di cui i più probanti sono quelli di polmoni e cervello Metodo analitico: gascromatografia, con la tecnica detta “analisi dello spazio di testa” Questa tecnica prevede l’introduzione in colonna non del campione bensì dei vapori da esso sviluppati in una fiala chiusa esposta ad un temperatura definita, per un tempo prefissato. Sostanze volatili Le manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da sostanze volatili generalmente sono: dolori addominali (presenti nell’intossicazione fenoli), convulsioni (presenti nell’intossicazione da glicoli), segni e sintomi da ubriachezza – come sonnolenza, atassia, disturbi del linguaggio e della vista – ittero (presente nell’anilina e nitrobenzene), tremori e vomito Comparsa dei sintomi: rapida, se le la sostanza volatile viene inalata; più lenta, se viene invece assunta per via orale. L’anamnesi è spesso positiva per alcolismo e per l’abitudine di sniffare colla Scene più comuni dell’avvelenamento da sostanze volatili: ambienti domestici, ospedali e laboratori di ricerca, siti industriali. WWW.SUNHOPE.IT 4 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Elementi della scena suggestivi di avvelenamento da sostanze volatili: presenza di liquori; presenza di colle e di prodotti per la pulizia, in buste di plastica. Categorie lavorative a rischio: addetti alle pulizie, lavoratori dell’industria chimica Materiali su cui viene condotta l’analisi ‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine ‐ Campioni post‐mortem, di cui i più probanti sono quelli di polmoni, cervello e corpo vitreo (particolarmente indicato se il corpo è decomposto) ‐ Contenuto di bottiglie ritrovate vicino alla vittima ‐ Vestiario, se macchiato o impregnato di odori particolari Metodo analitico: gascromatografia, con la tecnica detta “analisi dello spazio di testa” Questa tecnica prevede l’introduzione in colonna non del campione bensì dei vapori da esso sviluppati in una fiala chiusa esposta ad un temperatura definita, per un tempo prefissato. Farmaci La sintomatologia dell’avvelenamento da farmaci è variabile. ‐ Nell’avvelenamento da FANS si hanno: ematemesi e melena secondarie ad irritazione gastrica, ematuria, sudorazione, convulsioni, coma. ‐ Nell’avvelenamento da oppioidi si hanno: miosi, bradipnea, bradicardia, ipotensione, coma ‐ Nell’avvelenamento da sedativi ed ipnotici si hanno: atassia, stupore, sopore e coma ‐ Nell’avvelenamento da stimolanti ed anti‐depressivi si hanno: midriasi, secchezza delle mucose, tachicardia, tremori, convulsioni 5 Esordio della sintomatologia: lento, a meno che la sostanza non sia stata iniettata o inalata Scene più frequenti dell’avvelenamento da farmaci: ambiente domestico, discoteche e club. Elementi della scena suggestivi di avvelenamento da farmaci: presenza di sostanze illecite, soprattutto se l’intossicato ha un’età compresa tra 16 e 30 anni. Nell’intossicato anziano, invece, sulla scena si riscontrano, di solito, i farmaci da esso abitualmente assunti. Materiali su cui viene condotta l’analisi: ‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine, se la vittima giunge in ospedale. ‐ Tamponi nasali, matrici biologiche convenzionali e non, dopo la morte La procedura analitica prevede: ‐ Screening iniziale, mediante tecniche immunologiche (come immunoassay). ‐ Conferma e dosaggio, mediante spettrometria di massa Metalli Le manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da metalli generalmente comprendono: anemia, crampi, salivazione, sapore metallico, dolore gastrico, diarrea, perdita di peso, paralisi, neurite periferica, caduta di peli e capelli (presente nell’intossicazione da tallio e selenio). Comparsa della sintomatologia: solitamente dopo diverse ore. La morte può verificarsi entro 24h ma, più frequentemente, sopraggiunge dopo alcuni giorni. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Scena dell’avvelenamento: industrie e laboratori Materiali su cui viene condotta l’analisi: ‐ Campioni ante‐mortem di sangue ed urine ‐ Campioni post‐mortem, di cui i più probanti sono quelli di contenuto gastrico, rene, capelli, unghie ed ossa Metodo di analisi: spettroscopia di assorbimento atomico. Pesticidi Le principali manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da pesticidi sono: vomito e convulsioni. Si osservano, inoltre, nell’avvelenamento da composti organo‐fosforici, miosi, salivazione, sudorazione, dispnea e cianosi; nell’avvelenamento da fenoli e cresoli, febbre, sudorazione, ittero, ematuria. Esordio della sintomatologia: rapido (entro 30 min), se la sostanza è inalata o se contiene un solvente derivato dal petrolio. In caso contrario, è lenta (da 1 a 6 h). Scena dell’avvelenamento: fattorie ed aziende agricole Metodi di analisi: Test colorimetrici Test di inibizione della colinesterasi Gascromatografia 6 Anioni Le principali manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da anioni sono: vomito violento, diarrea, dolori addominali, cianosi (secondaria a metaemoglobinemia da agenti ossidanti), colorazione di cute e mucose. Comparsa della sintomatologia: in genere entro 1h. La morte può verificarsi entro diverse h. Scena più comuni dell’avvelenamento da anioni: ambienti domestici, lavanderie, aziende agricole, industrie. N.B. Nel sospetto di avvelenamento da anioni, la ricerca del tossico va estesa anche a tracce di vomito, vestiti macchiati, tazze, presenti in prossimità della vittima. Informazioni dirimenti, comunque, sono generalmente fornite dall’analisi del liquido di lavanda gastrica, nel vivente e del contenuto dello stomaco, nel cadavere. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Diagnosi di avvelenamento Si basa su di una serie di criteri, nessuno dei quali è da solo sufficiente per porre diagnosi. Tali criteri sono: 1. Criterio circostanziale Tiene conto dell’insieme dei dati che emergono dalle indagini relative alle circostanze spazio‐temporali del presunto contatto con il tossico. In particolare, da tali indagini – tra cui rientrano raccolta di testimonianze e sopralluogo giudiziario – si possono apprendere: ‐ Circostanze, come ingestione di cibi e bevande, assunzione di farmaci, abitudini di vita e di lavoro, correlabili con l’eventuale intossicazione. ‐ Informazioni utili ad indirizzare i successivi accertamenti tecnici. ‐ Elementi che permettano di ricostruire la dinamica (accidentale, colposa o dolosa) dell’evento nonché di risalire alla tipologia, alla causa ed ai mezzi d’intossicazione. 2. Criterio clinico‐anamnestico Tiene conto della sintomatologia che il soggetto ha manifestato – rilevata da un medico o riportata da testimoni – e di condizioni antecedenti al fatto, come esposizione professionale a sostanze tossiche, uso pregresso di farmaci, trascorsi di tossicodipendenza. Talora, la sintomatologia del paziente è utile, non solo ad indurre il sospetto di avvelenamento, ma anche ad individuare il tipo di veleno coinvolto. Ad esempio: Fame d’aria, convulsioni, midriasi, colorazione rosso vivo della cute, rapido decorso degli eventi avvelenamento da cianuri Irritazione gastrointestinale, paralisi acuta ascendente, disturbi psichici, caduta di peli e capelli avvelenamento da tallio N.B. Il criterio clinico non sempre è esaustivo perché alcuni avvelenamenti possono decorrere silenziosamente o con scarsa sintomatologia oppure perché i sintomi non sono stati apprezzati o sono stati valutati come espressione di altri processi morbosi, indipendenti dall’avvelenamento. 3. Criterio anatomo‐patologico Tiene conto delle informazioni fornite dall’esame esterno e da quello interno del cadavere. Permette di orientare le indagini in due direzioni: ‐ Allontanare l’ipotesi dell’intossicazione acuta quale causa del decesso, nel caso in cui venga diagnosticata una patologia da sé sola capace di determinare la morte e non correlabile ad una determinata noxa chimica. ‐ Rafforzare l’ipotesi dell’intossicazione acuta quale causa del decesso, nel caso in cui vengano evidenziate lesioni anatomiche correlabili a specifiche noxae chimiche o suggestive di intossicazione acuta mortale. WWW.SUNHOPE.IT 7 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) All’esame esterno, è necessario 1. Analizzare i fenomeni cadaverici, quali: ‐ Raffreddamento del cadavere che se rallentato, è compatibile con una morte in ipertermia, secondaria ad intossicazione acuta da amfetamine se accelerato, invece, è compatibile con una morte in ipotermia, secondaria ad intossicazione acuta da etanolo, arsenico, fosforo ‐ Rigidità, che risulta precoce, negli avvelenamenti da tossici agenti a livello della giunzione neuromuscolare (come nicotina, stricnina, atropina) tardiva, negli avvelenamenti da oppiacei e narcotici, arsenico e fosforo ‐ Ipostasi, che appaiono: di colore rosso ciliegia, nell’avvelenamento da CO di colore rosso vivo, nell’avvelenamento da cianuri ed acido cianidrico di colore bruno, nell’avvelenamento da metaemoglobinizzanti (vapori nitrosi, anilina) ‐ Disidratazione, che risulta accelerata da tossici, quali Hg, Br ‐ Putrefazione, che si dimostra precoce, negli avvelenamenti da oppiacei e da veleno di serpente ritardata, negli avvelenamenti da formalina ed antibiotici 2. Ricercare ‐ segni di agopuntura, che depongono per un’intossicazione acuta da stupefacenti, oppioidi in particolare; ‐ odori peculiari nella zona del cavo orale Ad esempio, un odore agliaceo, depone per un avvelenamento da fosforo ed esteri organo‐fosforici; di mandorle amare, per un avvelenamento da cianuri e nitrobenzolo. Un odore “sui generis” è invece apprezzabile nell’avvelenamento da alcool, etere, cloroformio, trielina, benzolo. ‐ lesioni cutanee o della mucosa orale Eruzioni cutanee, sono osservabili, ad esempio, negli avvelenamenti da cromo, sulfamidici, antibiotici, salicilati Escare a carico di labbra e mucosa orale si apprezzano nell’ingestione di caustici ‐ alterazioni degli annessi cutanei Un’alopecia si riscontra nell’avvelenamento da tallio; alterazioni ungueali, nell’avvelenamento da arsenico. All’esame interno, bisogna valutare: Presenza di odori particolari: ‐ Un odore di mandorle amare, è apprezzabile nell’avvelenamento da cianuri e da nitrobenzolo ‐ Un odore agliaceo, nell’avvelenamento da esteri organo‐fosforici ‐ Un odore “sui generis”, nell’avvelenamento da etanolo, cloroformio, trielina Fluidità ed aspetto del sangue N.B. Normalmente, il sangue di un cadavere non coagula ed appare come un’emulsione densa e di colore bruno, per la degradazione emoglobinica. Nell’intossicazione acuta da CO, invece, il sangue appare di colore rosso ciliegia, risulta poco denso e non bagna la provetta. Colorazione dei visceri, che risulta: ‐ Nerastra, nell’avvelenamento da acido solforico ‐ Verdastra, nell’avvelenamento da solfato di rame Sussistenza di quadri lesivi, anche aspecifici, ma compatibili con particolari intossicazioni acute Ad esempio: ‐ ulcerazioni del tratto prossimale tubo digerente, si apprezzano nell’ingestione di caustici ‐ un edema polmonare acuto è riscontrabile nelle intossicazioni acute da gas, vapori irritanti, oppioidi ‐ una necrosi epatica si osserva nelle intossicazione acuta da alcool, amanita falloides, fosforo, piombo ed arsenico ‐ un’aplasia midollare è presente nelle intossicazioni acute da benzolo, sali d’oro ed antimitotici WWW.SUNHOPE.IT 8 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) L’autopsia, infine, deve essere completata dall’esame istologico dei visceri che può consentire il riconoscimento di tossici, in particolare metalli pesanti, nelle strutture cellulari colpite. In corso d’esame autoptico, inoltre, vanno prelevati materiali da avviare alle indagini chimico‐ tossicologiche. 4. Criterio chimico‐tossicologico Si fonda sull’identificazione ed il dosaggio del tossico in matrici biologiche ed in altri reperti e sull’interpretazione del dato analitico, sia esso positivo che negativo. Reperti utilizzabili sono: ‐ Campioni biologici ‐ Miscele, soluzioni, materiale vegetale ‐ Farmaci ‐ Alimenti ‐ Polveri, aria, acqua e rifiuti N.B. Nelle diverse matrici biologiche, il tossico va sempre quantizzato, perché: ‐ la semplice identificazione qualitativa dello xenobiotico non è sufficiente per formulare la diagnosi di avvelenamento ‐ la determinazione quantitativa poli‐distrettuale della sostanza è indispensabile per giudicarne l’idoneità lesiva. Nel cadavere, sono da indirizzare alle indagini chimico‐tossicologiche: 1) campioni di sangue, che va analizzato in toto, avendo l’indagine finalità forense. Il sangue intero, infatti, contenendo sia la sostanza concentrata all’interno degli eritrociti che quella legata alle proteine plasmatiche, costituisce il campione di scelta per provare la presenza di una sostanza tossica nel sangue. Il sangue intero, tuttavia, a differenza del plasma e del siero, risulta ricco di interferenti. I campioni ematici, inoltre, andrebbero prelevati dai vasi femorali. Il sangue femorale e, più in generale quello periferico, infatti, riflette maggiormente la concentrazione ematica ante‐mortem, perché meno soggetto alla ridistribuzione post‐mortale della sostanza, dato che quest’ultima potrebbe provenire solo dal tessuto muscolare adiacente e dal grasso. La ridistribuzione post‐mortem verso i vasi centrali è, invece, maggiore, in quanto si verifica a partire dai cdt “organi di deposito”, tra cui rientrano gli organi cavi, come quelli che compongono il tratto GI, e gli organi dotati di un’alta capacità concentrativa, quali fegato, polmone e miocardio. 2) campioni di urina 3) tutto il contenuto gastrico 4) bile, prelevando l’intero quantitativo presente nella colecisti che, se contiene alte concentrazioni di morfina coniugata, suggerisce un abuso cronico di eroina. 5) umor vitreo, distretto dell’organismo molto protetto che risente, meno degli altri, del processo di putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere. 6) campioni di organi, quali ‐ fegato ‐ reni ‐ milza ‐ encefalo ‐ polmone N.B. Frammenti di tessuto polmonare sono particolarmente utili nel sospetto di intossicazione da gas e sostanze volatili WWW.SUNHOPE.IT 9 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) 7) liquido pericardico 8) 9) 10) 11) adipe sottocutaneo capelli unghie denti Nel vivente, invece, si analizzano: 1. Aria espirata (caso dell’alcolimetria mediante etilometro) 2. Sangue ‐ ‐ 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Nei casi con finalità forense, l’indagine viene solitamente condotta su sangue intero dato che, in questo campione, sarà presente, e quindi analizzabile, sia la sostanza concentrata all’interno degli eritrociti, sia quella legata alle proteine plasmatiche. Le indagini con finalità clinica, invece, vengono generalmente eseguite su plasma o siero. Ciò dipende dal fatto che quasi tutte le concentrazioni terapeutiche dei farmaci, riportate in letteratura, fanno riferimento al plasma o al siero, in quanto contengono meno sostanze interferenti rispetto al sangue intero. Urine Eventuali campioni di vomito Liquido di lavanda gastrica Saliva Sudore Meconio Capelli 10 L’indagine chimico‐tossicologica, con finalità medico‐legali, può essere: ‐ Generica ‐ Mirata Risulta generica, in caso di: ‐ Assenza di dati circostanziali, clinici ed anamnestici ‐ Aspecificità dei reperti anatomo‐patologici Quando generica, sono richieste tecniche preliminari di screening, più sensibili che specifiche e volte ad identificare grandi gruppi di sostanze. Permettono di stabilire, in riferimento a cut‐off predeterminati, la negatività o la positività di un campione. Sono essenzialmente rappresentate da metodiche immunochimiche. Tali metodiche si basano sulla competizione, nei confronti di un anticorpo specifico, tra la sostanza da identificare all’interno del campione in esame e la stessa sostanza marcata con isotopi radioattivi, enzimi, fluorescenza o particelle di lattice. Vantaggi ‐ Possibilità di condurre l’indagine sul campione biologico tal quale ed in piccole quantità ‐ Elevata sensibilità ‐ Possibilità di ricercare gruppi di sostanze con un’unica procedura ‐ Bassi costi di esercizio ‐ Rapidità d’esecuzione WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Svantaggi ‐ Sensibilità non univoca all’interno della stessa classe di sostanze ‐ Bassa specificità ‐ Possibilità di risposte falsamente positive o falsamente negative. I falsi positivi derivano dalla reazione crociata, con l’anticorpo impiegato, di molecole strutturalmente simili alla sostanza ricercata. I falsi negativi, invece, derivano dalla possibilità di falsare il risultato analitico, intervenendo sulle caratteristiche chimico‐fisiche del campione biologico utilizzato (generalmente urina), mediante aggiunta di acqua, sapone, tensioattivi in genere, succo di limone. ‐ Prevalente validazione su matrice urinaria N.B. Un risultato positivo ottenuto con un'analisi di screening non può assumere valenza forense e necessità di conferma mediante analisi dotate di una maggiore specificità. Generalmente si utilizzano una o più tecniche cromatografiche abbinate alla spettrometria di massa, l’unica metodica analitica in grado di confermare la struttura chimica della sostanza. La determinazione deve essere effettuata in riferimento a standard certificati delle sostanze stupefacenti e dei relativi metaboliti. L’indagine chimico‐tossicologica risulta, invece, mirata, in caso di concreta indicazione circa la natura della sostanza tossica. In questo caso, la procedura analitica potrà essere ottimizzata sulla base dalle conoscenze relative a: ‐ Caratteristiche chimico‐fisiche della sostanza, come liposolubilità e volatilità ‐ Via di introduzione ‐ Farmacocinetica ed in particolare assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione 11 N.B. Confermare o escludere la presenza di un determinato tossico nell’organismo non costituisce un dato sufficiente per formulare o negare la diagnosi di avvelenamento. Ci si può infatti trovare di fronte a due condizioni peculiari: ‐ Veleno senza avvelenamento ‐ Avvelenamento senza veleno Si parla di “veleno senza avvelenamento” qualora il tossico sia stato rinvenuto nel cadavere ma non abbia costituito causa di morte. Possibili spiegazioni: 1. Il veleno è stato introdotto in vita ma in dosi NON sufficienti a causare l’intossicazione 2. Il veleno è stato ingerito in vita – dimostrandosi quindi reperibile nel tratto gastro‐intestinale – ma non è stato assorbito e trasportato, attraverso il circolo ematico, fino agli organi o agli atri siti recettoriali, dove esercita i propri effetti 3. Il veleno è stato assorbito dopo la morte, dal cadavere, per trattamento conservativo con formalina, interramento in terreni ricchi di arsenico (contaminazione ambientale) 4. Il veleno è stato introdotto in modo fraudolento nel cadavere, per simulare un suicidio, un avvelenamento accidentale, un avvelenamento da parte di un terzo In questo caso il veleno, sarà riscontrabile solo nella sede di somministrazione, risultando assente nei fluidi biologici e nei vari organi e tessuti. Non saranno inoltre dimostrabili suoi metaboliti. 5. Formazione, nei tessuti dei cadaveri in decomposizione, di sostanze organiche azotate, chimicamente simili agli alcaloidi vegetali, dette ptomaine (caso di aconitina cadaverica). WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Si parla di “avvelenamento senza veleno” qualora il quadro clinico sia suggestivo di intossicazione ma le indagini tossicologiche non abbiano dimostrato la presenza del tossico corrispondente. Possibili spiegazioni: 1. Veleno di composizione sconosciuta e non facilmente identificabile 2. Sostanze che agiscono a dosi tanto basse da essere difficilmente reperibili alle analisi tossicologiche (es. LSD) 3. Eliminazione del veleno prima della morte 4. Profonda modificazione metabolica del veleno tale da non consentire l’identificazione della sostanza assunta 5. Criterio della sperimentazione fisiotossica Tiene conto della tossicità osservata in animali di laboratorio a cui è stato somministrato lo xenobiotico sospettato o materiale ottenuto dal cadavere, come il contenuto gastrico. Risulta utile soprattutto nel sospetto che l’intossicazione sia stata sostenuta da tossine difficilmente dimostrabili, come quelle di alimenti. Limiti di tale criterio sono: ‐ Refrattarietà di alcuni animali verso determinati veleni ‐ Capacità di sostanze derivanti dalla putrefazione cadaverica (come le ptomaine) di produrre effetti tossici negli animali, indipendentemente dalla presenza di veleni esogeni, nel campione biologico ad essi somministrato. N.B. La probabilità che un giudizio diagnostico sia corretto è tanto maggiore, quanto più ampia è la convergenza di tali criteri. Compiti del medico in caso di avvelenamento Il medico è tenuto ad informare, mediante referto o rapporto, l'autorità giudiziaria, in caso di: ‐ Intossicazione dolosa o colposa che abbia avuto come conseguenza la morte o una lesione personale perseguibile d'ufficio. ‐ Suicidio tentato o consumato, potendosi configurare l'istigazione da parte di terzi. Le intossicazioni professionali verificatesi negli addetti ai lavori agricoli e industriali, comportano, l’obbligo per il medico, di segnalazione secondo le disposizioni del T. U. per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Altre denunce richieste sono: 1. Denuncia di intossicazione da antiparassitari 2. Denuncia di persone tossico‐dipendenti 3. Denuncia dei fatti interessanti la sanità pubblica Riferimenti legislativi In ambito penalistico, l’utilizzo di sostanze venefiche configura un delitto contro la persona (di lesioni personali o di omicidio). In particolare, nei casi di omicidio, l’impiego di sostanze venefiche costituisce una circostanza aggravante, dato che presuppone premeditazione, da cui scaturisce la pena dell’ergastolo (art. 577) Il CP prevede, inoltre, anche delitti contro la pubblica incolumità (caso di avvelenamento delle acque e di sostanze alimentari; adulterazione e contraffazione di alimenti) e vari altri reati di pericolo (come contraffazione di medicinali e doping). WWW.SUNHOPE.IT 12 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) AVVELENAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO È una delle cause più comuni di morte accidentale e suicidaria. Il monossido di carbonio si forma ogni qual volta avvenga una combustione incompleta di sostanze carboniose, siano esse solide, liquide o gassose. Fonti antropiche di monossido di carbonio sono: traffico veicolare, impianti di riscaldamento domestico, inceneritori di rifiuti, centrali termo‐elettriche, industrie siderurgiche e raffinerie di petrolio. Tra le fonti antropiche rientra anche il fumo di sigaretta che contiene il 3‐6% di monossido di carbonio. Questo spiega gli elevati livelli di HbCO (1,9‐3%) riscontrati nel sangue dei fumatori, considerando che il contenuto ematico di HbCO dei soggetti non esposti a CO non eccede l’1%. Un’ulteriore fonte antropica di monossido di carbonio è il cloruro di metile, utilizzato come solvente e diluente per vernici. Il cloruro di metile, infatti, una volta assorbito per via inalatoria o per contatto cutaneo, viene convertito dal fegato a monossido di carbonio. Fonti naturali di monossido di carbonio sono: attività vulcanica, incendi, decomposizione della vegetazione. Patogenesi Il CO, inalato ed assorbito attraverso la membrana alveolo‐capillare, si lega reversibilmente all’Hb, formando COHb. L’affinità mostrata dal CO per l’Hb è 240 volte superiore a quella dell’ossigeno. Ciò fa sì che possa essere raggiunta una percentuale del 50% di HbCO quando l’aria ambientale presenta una concentrazione di monossido di carbonio 240 volte più bassa di quella dell’ossigeno, pari cioè allo 0,08% (o ad 800 ppm). La saturazione del sangue in HbCO, comunque, è determinata, non solo dal contenuto in CO dell’aria ambientale, ma anche dal tempo di esposizione e dalla ventilazione polmonare. La saturazione del sangue in HbCO, infatti, sarà tanto più alta quanto più lungo è il tempo di esposizione e quanto maggiore è la ventilazione polmonare. Poiché la HbCO non è capace di trasportare ossigeno ai tessuti, s’instaura un’ipossia tissutale. L’ipossia tissutale viene accentuata dal fatto che la presenza in circolo di HbCO interferisce con la liberazione dell’ossigeno da parte dell’ossiemoglobina residua, per spostamento a sinistra della curva di dissociazione di quest’ultima. All’ipossia tissutale, si aggiunge l’azione istotossica diretta del CO, dipendente dal blocco di tutti i complessi enzimatici contenenti ferro, come i citocromi. L’intossicazione ACUTA da CO può essere accidentale o suicidiaria. La frequenza dell’intossicazione accidentale si è ridotta rispetto al passato per la sostituzione, con metano, del cdt “gas illuminante” o “di città”, una miscela gassosa contenente CO. Attualmente, le principali cause di intossicazione acuta accidentale da CO sono: ‐ Scaldabagni, caldaie a gas, stufe a legna e camini con tiraggio inadeguato, per scarsa manutenzione o difetto dell’impianto ‐ Veicoli con motore tenuto acceso a lungo in ambienti confinati, come le autorimesse. ‐ Presenza di numerosi fumatori in ambienti chiusi e non ventilati ‐ Incendi Per quanto riguarda, invece, la dinamica suicidiaria, il suicida più spesso ricorre all’inalazione dei gas di scarico di autoveicoli. WWW.SUNHOPE.IT 13 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Le manifestazioni cliniche dell’intossicazione acuta da CO variano in rapporto alla % di HbCO: ‐ 0‐10% non ci sono segni clinici ‐ 11‐20% emicrania modesta, dispnea, vasodilatazione cutanea ‐ 21‐30% emicrania, pulsazione alle tempie ‐ 31‐40% emicrania, disturbi visivi, nausea e vomito, adinamia ‐ 41‐50% sincope ‐ 51‐70% coma, convulsioni, depressione cardio‐respiratoria ‐ >70% morte che spesso sopraggiunge per ischemia miocardica. N.B. Maggiormente sensibili agli effetti tossici del CO sono quei soggetti con più elevate richieste tissutali di ossigeno, come: ‐ Bambini ‐ Anemici ‐ Cardiopatici ‐ Pz affetti da patologie stimolanti il metabolismo basale Se l’avvelenamento acuto non è stato letale, le condizioni del pz possono ritornare nella norma, anche se uno stato comatoso che sia durato più di 24 h lascia regolarmente segni irreversibili a carico del SNC. Per quanto riguarda l’approccio terapeutico, in caso di avvelenamento acuto da CO bisogna: ‐ Allontanare il soggetto dall’ambiente contenente CO ‐ Evitare alla vittima sforzi muscolari, che aumenterebbero la richiesta tissutale di ossigeno ‐ Far respirare al soggetto aria fresca, sufficiente se la concentrazione di HbCO non supera il 15%. Quando il livello eccede il 15%, va somministrato ossigeno puro. Al di sopra del 40%, è necessaria un’ossigeno‐terapia iperbarica. Reperti autoptici suggestivi di avvelenamento acuto da CO, sono: ‐ Colore rosso ciliegia delle ipostasi ‐ Colore rosa brillante dei parenchimi e dei muscoli, alla sezione ‐ Colore rosso brillante del sangue, che appare poco denso e che non bagna la provetta ‐ Polmoni edematosi e con petecchie sottopleuriche ‐ Edema cerebrale La determinazione della COHbemia, con metodo spettroscopico, fornisce una diagnosi inequivocabile di intossicazione acuta. L’avvelenamento CONICO da CO si manifesta con: emicrania, anemia, tachicardia, palpitazioni, dolori precordiali, depressione, irritabilità. Più esposte all’avvelenamento cronico sono le persone che lavorano in ambienti contenenti alte concentrazioni di CO: garage, officine, autostrade. WWW.SUNHOPE.IT 14 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) DIAGNOSTICA TOSSICOLOGICA L’indagine tossicologica può avere una finalità: 1. Clinica 2. Medico‐legale ed amministrativa Indagini tossicologiche con finalità clinica sono quelle eseguite 1) nei casi di emergenza tossicologica, 2) per il monitoraggio terapeutico di farmaci (come, ad esempio, digitale e Li) e 3) nell’ambito di programmi di dissuefazione da sostanze d’abuso*. * Relativamente al trattamento di dissuefazione da sostanza d’abuso, è indispensabile effettuare indagini tossicologiche ‐ in via preliminare, per verificare l’abitudine assuntiva del pz ed impostare la terapia ‐ nel corso del programma terapeutico, per: implementare la terapia controllare l’adesione del pz al programma scongiurare l’eventualità di overdose o di inefficacia terapeutica, come conseguenza dell’interazione con altri farmaci Ad esempio, i farmaci che acidificano o alcalinizzano le urine possono avere un effetto importante sulla farmacocinetica del metadone, in quanto ne modificano l’escrezione urinaria, che aumenta, a pH acido; si riduce, a pH alcalino. Inoltre, farmaci che fungono da induttori enzimatici – caso di antiepilettici, come carbamazepina, fenobarbital, fenitoina, e di alcuni antibiotici, come la rifampicina – esaltando il metabolismo del metadone, ne riducono le concentrazioni plasmatiche e, quindi, gli effetti farmacologici, con possibile sindrome di astinenza. Farmaci, invece, che fungono da inibitori enzimatici dei citocromi CYP1A2 e CYP3A4 – caso di alcuni antidepressivi come la fluoxetina – riducendo il metabolismo del metadone, ne incrementano le concentrazioni plasmatiche e, quindi, gli effetti farmacologici, con possibile overdose. ‐ al termine del programma terapeutico ed a distanza di esso, per tenere sotto controllo l’eventuale assunzione da parte del pz sia della sostanza verso cui si era instaurata la dipendenza che di altre sostanze. Le indagini tossicologiche con finalità medico‐legale sono quelle effettuate in applicazione di norme giuridiche ed hanno il compito di fornire elementi utili per una corretta diagnosi a valenza medico‐legale. Ciò richiede: ‐ Conoscenza della norma giuridica ‐ Appropriatezza dell’analisi ‐ Correttezza dell’interpretazione Obiettivi della diagnostica tossicologica con finalità medico‐legale, nelle circostanze di abuso e misuso di droghe, farmaci e sostanze dopanti sono: 1. Diagnosi di drug‐free È richiesta per esprimere un giudizio di idoneità a: Guida, da parte delle Commissioni Mediche Locali (CML) nei casi di ritiro, revisione, sospensione o revoca della patente Leva Mansioni militari Mansioni lavorative che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi Adozione di minori Porto d’armi 1 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) 2. Diagnosi di uso recente e valutazione dell’impairment Vengono richieste per: Dimostrare una condizione di guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (art. 186, 186 bis e 187 del C.d.S) Monitorare lavoratori addetti a mansioni che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi 3. Diagnosi di uso abituale È richiesta per disporre misure cautelari alternative al carcere per valutare il rispetto dell’obbligo di terapia per documentare lo stato di tossicodipendenza di militari e di lavoratori in genere nel sospetto di doping Poiché il dato tossicologico può essere utilizzato come prova in sede legale, le indagini tossicologiche devono necessariamente attenersi ad una rigorosa procedura analitica che può essere scomposta in tre fasi successive: ‐ Fase pre‐analitica ‐ Fase analitica ‐ Fase post‐analitica FASE PRE‐ANALITICA Tra le problematiche da affrontare in fase pre‐analitica vi sono: 1. Scelta del campione biologico IN TEORIA, tutte le matrici biologiche sono idonee alla rilevazione di sostanze d’abuso e, più in generale, di sostanze tossiche; quel che cambia è la finestra metabolica – o di rilevabilità – da esse offerta. IN PRATICA, la scelta viene condizionata da: ‐ Finalità dell’indagine, che può essere: Clinica Forense ‐ Necessità di dimostrare un’intossicazione in atto o pregressa ‐ Caratteristiche chimico‐fisiche della sostanza – come la sua eventuale liposolubilità – che ne influenzano l’organo‐tropismo ‐ Via di introduzione della stessa ‐ Disponibilità dei vari campioni biolohici ‐ Praticabilità del prelievo ‐ Strumentazioni tecnologiche possedute Le matrici biologiche utilizzabili si suddividono in: Matrici convenzionali, rappresentate da: ‐ Sangue ‐ Urine ‐ Contenuto gastrico 2 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Matrici alternative, rappresentate da: ‐ Capelli ‐ Saliva ‐ Sudore ‐ Meconio ‐ Umor vitreo, limitatamente al cadavere Matrici convenzionali Sangue Gli analiti ricercati nel sangue sono costituiti dalla sostanza tal quale e dai suoi metaboliti, presenti in concentrazioni basse o moderate. Il tempo di permanenza nel sangue di tali analiti (finestra metabolica) è di alcune ore, con il sangue che viene quindi impiegato per porre diagnosi di intossicazione in atto. N.B. la concentrazione ematica della sostanza si trova in rapporto di proporzionalità diretta con la quantità della stessa presente a livello dei siti recettoriali. Ciò consente di dedurre la gravità dell’intossicazione dal tasso ematico della sostanza, comparato alla dose letale, alla dose tossica ed a quella terapeutica. Nell’interpretare il tasso ematico della sostanza, tuttavia, bisogna conoscere la distribuzione dei tossici all’interno dell’organismo, che può non essere uniforme. Infatti, i tossici che presentano uno spiccato tropismo per un determinato tessuto, avranno, in quella sede, una concentrazione molto più alta rispetto a quella riscontrata nel sangue (organotropismo). Ad esempio, i solventi e le altre sostanze liposolubili (come i pesticidi) si accumulano preferenzialmente nel tessuto adiposo ed in quello cerebrale; la digossina e gli altri glucosidi cardiaci, conoscono accumulo soprattutto in ambito miocardico; sostanze escrete dal fegato, sotto forma di glicuronidi, come la morfina, mostrano concentrazioni biliari superiori a quelle ematiche. Nel sangue, inoltre, la sostanza può concentrarsi prevalentemente all’interno del plasma o degli eritrociti. Pertanto, se la sostanza si concentra prevalentemente negli eritrociti, come l’acetazolamide, l’analisi del plasma darà un valore molto più basso. In particolare, il rapporto eritrociti/plasma varia con: ‐ Natura della sostanza ‐ Presenza di contaminanti (come plastificanti contenuti in alcuni tipi di Vacutainer che possono spostare farmaci basici dai loro siti di legame con le glicoproteine) ‐ Tempo necessario per raggiungere l’equilibrio Tenendo conto della distribuzione eritrociti/plasma delle diverse sostanze, nei casi con finalità forense, l’indagine viene condotta su sangue intero dato che, in questo campione, sarà presente, e quindi analizzabile, sia la sostanza concentrata all’interno degli eritrociti, sia quella legata alle proteine plasmatiche. Le indagini con finalità clinica, invece, vengono generalmente eseguite su plasma o siero. Ciò dipende dal fatto che quasi tutte le concentrazioni terapeutiche dei farmaci, riportate in letteratura, fanno riferimento al plasma o al siero, visto che contengono meno sostanze interferenti del sangue intero. Il principale limite legato all’impiego del sangue consiste nel fatto che la tecnica di campionamento risulta invasiva, con necessità di acquisire preliminarmente il consenso informato del soggetto in esame. Il prelievo, inoltre, espone gli operatori sanitari a rischio biologico. 3 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Urina È un campione biologico utile per valutare l’eliminazione di una sostanza tossica. I vantaggi legati all’impiego dell’urina come matrice biologica sono: 1. Facilità del prelievo, che risulta non invasivo 2. Grande quantità di campione biologico disponibile 3. Bassa interferenza, dato che tale matrice biologica è libera da proteine 4. Elevata concentrazione degli analiti, che consistono prevalentemente nei metaboliti della sostanza tossica 5. Finestra metabolica maggiore di quella del sangue. Il tempo di permanenza nelle urine dei metaboliti della sostanza tossica oscilla, infatti, tra 2 e 7 gg dall’ultima assunzione. 6. Rapidità dei risultati e disponibilità di cut‐off condivisi, che rendono l’urina utilissima per condurre indagini di screening 7. Validazione dei risultati da parte di studi clinici Svantaggi sono: 1. Mancato rispetto della privacy in occasione del campionamento, che deve avvenire in presenza di un operatore per ridurre il rischio di adulterazione del campione. 2. Possibilità di adulterare il campione urinario, per: Ottenere un risultato negativo Ottenere un risultato positivo, al fine di beneficiare di agevolazioni legislative Invalidare l’indagine Modalità di adulterazione del campione urinario sono: ‐ Adulterazione esterna, mediante Diluizione con acqua Addizione di interferenti (come ossidanti, acidi, basi e detergenti) ‐ Adulterazione interna, mediante ingestione di diuretici, acqua, bicarbonato ‐ Sostituzione 3. Dato urinario non correlabile con gli effetti prodotti. Relativamente all’interpretazione del risultato, ‐ un accertamento urinario positivo dà indicazioni solo circa l’abitudine assuntiva del soggetto, ma non sulla dose impiegata, sul preciso momento in cui questa è stata assunta o sulle modalità d’assunzione. ‐ un accertamento urinario negativo può dipendere da: Assunzione saltuaria o non recente Tempo intercorso tra assunzione e prelievo superiore alla finestra di rilevabilità, che può essere molto ristretta nel caso di sostanze a breve emivita (come alcune BDZ e barbiturici a breve durata d’azione) Bassa sensibilità del metodo analitico Cut‐off non idoneo Adulterazione del campione Contenuto gastrico Presenta alte concentrazioni del tossico immodificato, se assunto per os. Può fornire indizi immediati circa la natura del tossico, deducibile dall’odore e dagli eventuali alimenti in esso riscontrati. Un risultato negativo indica che l’assunzione non è avvenuta per via orale. Un risultato positivo, invece, non indica necessariamente che la sostanza sia stata ingerita. Basse concentrazioni possono essere infatti osservate per la diffusione di droghe basiche dal sangue al contenuto gastrico. 4 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Matrici biologiche alternative Sono state affiancate a quelle convenzionalmente usate in tossicologia (come sangue ed urine) poiché presentano numerosi vantaggi, quali: 1. Campionamento non invasivo 2. Difficoltà di adulterazione, non richiedendo, quindi, una speciale supervisione durante il campionamento 3. Aumento considerevole della finestra metabolica o di rilevabilità per numerose droghe 4. Possibilità, nel caso della saliva, di correlazione con la concentrazione ematica e con i principali effetti clinici di droghe e di molte classi di farmaci Ciò rende tali matrici utili per effettuare controlli su guidatori e su lavoratori impegnati nelle cdt mansioni lavorative a rischio. Al loro interno, tuttavia, le sostanze sono presenti in basse concentrazioni imponendo, pertanto, l’utilizzo di tecniche analitiche altamente sensibili. Capelli Al loro interno, la sostanza tal quale prevale sui suoi metaboliti ed è presente in basse concentrazioni. Permettono un campionamento non invasivo. Risultano utili per dimostrare un uso pregresso. Consentono infatti di monitorare l’assunzione di droghe, farmaci e sostanze dopanti in un arco temporale che si estende da settimane a molti mesi, in funzione della loro lunghezza. Ad esempio, un capello di 8 cm fornisce informazioni circa le abitudini voluttuarie del soggetto negli ultimi 8 mesi, considerando che i capelli dei caucasici crescono di 1 cm/mese. Ulteriori vantaggi sono: ‐ Difficoltà di adulterazione ‐ Facilità di conservazione Limiti sono: ‐ Impossibilità di correlare l’indagine con la condizione clinica al momento del prelievo ‐ Possibile contaminazione ambientale ‐ Bias razziali ‐ Influenza di trattamenti cosmetici Saliva Al suo interno, la sostanza tal quale prevale sui metaboliti ed è presente in basse concentrazioni. Permette un campionamento non invasivo Consente di dimostrare un uso recente, che va da poche h a 2 gg. La concentrazione salivare della sostanza è inoltre correlabile con le alterazioni psico‐comportamentali del soggetto al momento del prelievo, dato che la saliva costituisce un ultrafiltrato del sangue, sufficientemente libero da interferenti. Limiti sono: ‐ Possibile contaminazione, nei casi di assunzione orale, per fumo o intranasale ‐ Assenza di sistemi standardizzati per il campionamento della saliva. Il prelievo, infatti, con tamponi o mediante vari metodi di stimolazione si è rivelato poco affidabile poiché, mentre il primo sistema sequestra nel tampone fino a 30% dell’analita, la stimolazione incrementa il pH della saliva, portandolo su livelli prossimi a quelli plasmatici e rendendo così insufficiente il gradiente di pH che media il trasferimento della sostanza dal sangue verso il fluido salivare. 5 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Sudore Nel suo contesto, la sostanza tal quale prevale rispetto ai relativi metaboliti e presenta basse concentrazioni. Permette un campionamento non invasivo che avviene mediante patch. Il tempo di permanenza in esso delle diverse sostanze oscilla tra 24 h ed 1 settimana dall’ultima assunzione. La concentrazione della sostanza nel sudore non è tuttavia correlabile con la dose assunta e con la frequenza dell’uso. Ulteriori limiti sono: ‐ Quantità minima di prelievo ‐ Necessità di GC e di MS, non disponibili su larga scala Meconio Riflette l’esposizione pre‐natale a farmaci e droghe. Ciò consente, al momento della nascita, di prevedere l’insorgenza di sindromi astinenziali e, successivamente, di modulare interventi sociali e sanitari Ulteriori problematiche da affrontare in fase pre‐analitica: 2. Scelta della tecnica di campionamento, che può avvalersi di vials, siringhe, contenitori. N.B. Solventi vanno raccolti in contenitori ermetici di nylon, dato che quelli di plastica sono ad essi permeabili. 3. Eventuale aggiunta di additivi e conservanti Ad esempio, il fluoruro di sodio è richiesto per prevenire la degradazione di tossici, come la cocaina, da parte di esterasi ematiche e la fermentazione dell’alcol. 4. Definizione della cdt “catena di custodia”, intesa come quella procedura finalizzata a garantire: ‐ Integrità del campione ‐ Corretta identificazione del soggetto donatore ‐ Conservazione dell’aliquota necessaria per l’analisi di revisione ‐ Trasparenza degli atti e rintracciabilità dell’operato e dell’operatore 5. Etichettamento del campione mediante codice alfanumerico 6. Raccolta di elementi circostanziali, come terapie in corso 7. Scelta della modalità di trasporto 8. Scelta della temperatura di conservazione delle matrici biologiche Per i solventi e le sostanze volatili, è richiesto il congelamento immediato delle matrici biologiche. Nel sospetto che l’intossicazione sia stata causata da cianuri, il campione biologico va conservato a temperatura di refrigerazione. Sono stati infatti descritti fenomeni di neoformazione di cianuri sia a temperatura ambiente che dopo congelamento a ‐20 °C. 6 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) FASE ANALITICA Le tipologie di analisi disponibili in fase analitica sono: ‐ Analisi di screening ‐ Analisi di conferma ‐ Tecniche specifiche Analisi di screening Analisi preliminari (di I livello) – più sensibili che specifiche – volte Sensibilità: esprime la più piccola quantità di sostanza che il metodo riesce a dosare. ad identificare grandi gruppi di sostanze. All’aumentare della sensibilità del metodo Il loro impiego risulta indispensabile: analitico quindi si riduce la quantità di sostanza ‐ nei casi di emergenza clinica, per la possibilità di ottenere, in dosabile. È influenzata dal marker usato. Specificità: è la capacità del metodo analitico di poco tempo, una grande quantità di informazioni dosare solo il composto in esame. Dipende dal ‐ quando vi è la necessità di analizzare un alto numero di tipo di anticorpo utilizzato campioni in tempi brevi Accuratezza: è la differenza tra valore reale e valore medio ottenuto da un certo numero di ‐ quando si ha a disposizione poco campione biologico misurazioni ‐ in assenza di dati circostanziali Precisione: indica la concordanza tra misure Come metodi di screening, ci si avvale di metodi DIRETTI, ripetute sullo stesso campione generalmente rappresentati da tecniche immunochimiche che si basano sulla competizione, nei confronti di un anticorpo specifico, tra la sostanza da identificare all’interno del campione in esame e la stessa sostanza marcata con isotopi radioattivi, enzimi, fluorescenza o particelle di lattice. Vantaggi 1. Possibilità di condurre l’indagine sul campione biologico tal quale ed in piccole quantità 2. Elevata sensibilità 3. Possibilità di ricercare gruppi di sostanze con un’unica procedura 4. Bassi costi di esercizio 5. Rapidità d’esecuzione Svantaggi 1. Sensibilità non univoca all’interno della stessa classe di sostanze 2. Bassa specificità 3. Possibilità di risposte falsamente positive o falsamente negative. I falsi positivi derivano dalla reazione crociata, con l’anticorpo impiegato, di molecole strutturalmente simili alla sostanza ricercata. I falsi negativi, invece, derivano dalla possibilità di falsare il risultato analitico, intervenendo sulle caratteristiche chimico‐fisiche del campione biologico utilizzato (generalmente urina), mediante aggiunta di acqua, sapone, tensioattivi in genere, succo di limone. 4. Prevalente validazione su matrice urinaria N.B. I metodi di screening, per le loro caratteristiche intrinseche, producono esclusivamente un risultato di tipo presuntivo, vale a dire la probabile presenza o assenza di un analita o di una classe di sostante, in riferimento a cut‐off prestabiliti. Il cut‐off rappresenta un limite di concentrazione (valore soglia) scelto, appunto, per stabilire se un campione sia positivo o negativo. Viene utilizzato tanto per le procedure di screening quanto per i metodi di conferma. Varia in funzione di: ‐ matrice biologica ‐ metodologia utilizzata ‐ finalità dell’indagine Deve essere condiviso ed omogeneamente applicato da tutti i laboratori coinvolti nelle stesse tipologie di analisi. Va chiaramente indicato nel referto. 7 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Pertanto, un risultato positivo ottenuto con un'analisi di screening non può assumere valenza forense e va necessariamente verificato mediante un’analisi di conferma. Analisi di conferma Analisi (di II livello) dotate di una maggiore specificità, da eseguire obbligatoriamente su tutti i campioni risultati positivi alle analisi di screening, con lo scopo di confermare, appunto, la presenza di una sostanza o dei suoi metaboliti e di stabilirne la quantità. A differenza dei metodi di screening – che costituiscono metodi DIRETTI – prevedono: ‐ Estrazione dell’analita dalla matrice biologica ‐ Aggiunta della standard interno ‐ Confronto con standard di riferimento certificati Va effettuata con spettrometria di massa, l’unica metodica analitica in grado di confermare la struttura chimica della sostanza, accoppiata a gascromatografia o a cromatografia liquida. FASE POST‐ANALITICA È quella in cui si procede all’interpretazione del dato analitico. In caso di esito negativo, bisogna valutare la possibilità che la sostanza: ‐ non sia stata assunta ‐ sia stata eliminata dai trattamenti ospedalieri ‐ sia stata degradata ‐ si sia dimostrata tecnicamente non rilevabile per: Campionamento non corretto Non corretta temperatura di conservazione del campione Bassa sensibilità del metodo analitico Ricerca generica non sufficientemente ampia In caso di esito positivo, bisogna valutare sei dati di laboratorio siano: ‐ congruenti con quanto indicato nella letteratura scientifica ‐ concordanti con gli altri criteri medico‐legali N.B. In ogni caso, l’approccio metodologico – pur se diversificato a seconda della finalità dell’indagine – non può prescindere dall’applicazione della classica criteriologia medico‐legale su cui si basa la diagnosi di avvelenamento e che correla il dato chimico‐tossicologico con i dati derivanti da un’attenta valutazione di altri criteri – come quello circostanziale, clinico‐anamnestico ed anatomo‐patologico (su cadavere) – capaci, tra l’altro, possono orientare l’indagine tossicologica verso una determinata causa d’intossicazione. Solo la concordanza tra i diversi criteri potrà fornire la certezza della diagnosi. 8 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) INDAGINE TOSSICOLOGICA POST‐MORTEM Viene richiesta qualora si sospetti l’intervento di una noxa chimica nel determinismo della morte e risulta indispensabile per stabilire se alcol, droghe o altre sostanze tossiche possano aver causato o contribuito alla morte di un soggetto. Morte da droga Nell’ambito delle morti droga‐correlate rientrano: 1. Morti per intossicazione acuta da stupefacenti o narcotismo acuto, dovuto all’assunzione – volontaria o accidentale – di una dose di una sostanza risultata letale in funzione del grado di tolleranza dell’assuntore (overdose). 2. Morti legate ad abuso protratto, per patologie associate, come epatiti e miocarditi. 3. Suicidi ed omicidi connessi con la tossicodipendenza 4. Morti per eventi accidentali causati dalla droga, come incidenti stradali e sul lavoro. N.B. La definizione di “narcotismo acuto” è andata nel tempo modificandosi, ‐ per la relatività del concetto di “overdose”, che varia in rapporto a sensibilità, grado di dipendenza e di tolleranza dell’assuntore; ‐ perché non sempre si evidenziano livelli sierici e tissutali di droga tali da giustificare il decesso. Attualmente, quindi, si preferisce parlare di “reazione acuta alla droga” intesa come un’abnorme reattività dell’organismo alla sostanza. Tale evenienza può dipendere – oltre che dall’assunzione di una dose della sostanza in quel momento eccessiva per la tolleranza del soggetto – anche da: 1. Poliassunzione 2. Sofferenza epatica, con diminuzione della sintesi degli enzimi necessari alla metabolizzazione delle droghe, con conseguente aumento delle loro concentrazioni ematiche e della loro emivita. 3. Assunzione endovenosa, anche di droghe che tradizionalmente venivano assunte per via inalatoria o per via orale (cocaina, metadone e psicofarmaci). L’assunzione endovenosa può infatti determinare: Variazione della dose letale Complicanze infettive, come epatite virale acuta, infezione tetanica Fenomeni embolici, provocati da eccipienti per compresse destinate all’uso orale 4. Condizioni fisiche del soggetto assuntore favorenti l’effetto tossico della sostanza stupefacente. Una sostanza stupefacente, quindi, può provocare la morte anche in dosi sub‐letali, che sarebbero inidonee a giustificare il decesso. 9 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Diagnosi di morte da droga È posta seguendo lo stesso schema criteriologico a cui si ricorre ogniqualvolta venga considerata l’ipotesi di un’intossicazione acuta. Richiede la partecipazione di un’equipe multidisciplinare – composta da tossicologo, medico legale ed anatomo‐patologo – dove ognuno, nell’ambito della propria competenza specifica, apporta il suo contributo. L’approccio tossicologico per un’indagine post‐mortem prevede: 1. Studio degli atti 2. Valutazione dei dati circostanziali e clinico‐anamnestici 3. Richiesta di campioni biologici con indicazione del sito di prelievo 4. Esecuzione di indagini di screening e di conferma 5. Valutazione del dato I campioni post‐mortem possono essere numerosi e variabili e vengono scelti in base alla storia del caso ed ai quesiti posti dal magistrato. Durante l’autopsia, sono routinariamente raccolti: ‐ Campioni di sangue, con l’indagine che, avendo finalità forense, viene eseguita su sangue intero. Il sangue intero, infatti, contenendo sia la sostanza concentrata negli eritrociti che quella legata alle proteine plasmatiche, costituisce il campione di scelta per provare la presenza di una droga nel sangue ‐ Campioni di urina ‐ Intero quantitativo di bile presente nella colecisti, che se contiene alte concentrazioni di morfina coniugata suggerisce un abuso cronico di eroina. ‐ Campioni di organi, in particolare del fegato ‐ Tutto il contenuto gastrico L’indagine può essere completata dalla raccolta di campioni supplementari e di matrici alternative come: ‐ Capelli ‐ Unghie ‐ Umor vitreo, distretto dell’organismo molto protetto che risente meno degli altri del processo di putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere. ‐ Campioni di pelle È necessario prelevare campioni da diversi distretti corporei al fine di valutare se la distribuzione dello xenobiotico sia polidistrettuale. Ciò risulta infatti indispensabile per giudicarne l’idoneità lesiva. Comunque, l’eventuale degradazione post‐mortale, con i suoi cambiamenti autolitici e putrefattivi, potrebbe limitare la selezione e l’utilità dei campioni biologici. Un’ulteriore problematica risiede nel fatto che la concentrazione ematica post‐mortem non sempre riflette la concentrazione effettiva della sostanza al momento della morte, perché condizionata dal fenomeno di ridistribuzione post‐mortale (PMR). Per PMR, s’intende il movimento della sostanza all’interno del corpo dopo la morte, con conseguente aumento della sua concentrazione ematica a livello centrale. 10 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) I fattori che favoriscono la PMR sono: 1. Rilascio passivo delle sostanze dai cdt “organi di depositi”, tra cui rientrano: gli organi cavi, come quelli che compongono il tratto GI, e gli organi dotati di un’alta capacità concentrativa, quali fegato, polmone e miocardio. La ridistribuzione da questi organi può avvenire per: ‐ Diffusione attraverso i vasi sanguigni ‐ Diffusione trans‐parietale verso i tessuti circostanti 2. Cambiamenti del pH e della struttura delle proteine, con conseguente rottura del legame farmaco‐ proteico 3. Persistenza di processi metabolici subito dopo la morte 4. Natura e proprietà chimico‐fisiche della sostanza Le sostanze che più comunemente vanno incontro a PMR sono le basi con grandi volumi di distribuzione (intendendo, per volume di distribuzione la quantità di sostanza presente nel corpo intero rispetto a quella presente nel sangue). È questo il caso di ADT, antistaminici, analgesici narcotici, digossina. Altri fattori che possono influenzare l’entità della PMR, sono: 1. Temperatura del corpo La PMR viene, infatti, ritardata dalla refrigerazione a 4 °C 2. Tempo intercorso dall’exitus La PMR, infatti, aumenta con il ritardo dell’autopsia 3. Condizioni patologiche pre‐esistenti A causa della ridistribuzione post‐mortale, il campione ematico di scelta per le analisi tossicologiche nel cadavere è il sangue femorale. Il sangue femorale e, più in generale quello periferico, infatti, riflette maggiormente la concentrazione ematica ante‐mortem della sostanza, perché meno soggetto alla ridistribuzione post‐mortale della stessa, dato che quest’ultima potrebbe provenire solo dal tessuto muscolare e da quello adiposo adiacente. Fattori critici che influenzano l’interpretazione del dato analitico sono: 1. Correttezza del campionamento 2. Tolleranza individuale 3. Variabilità biologica inter‐individuale 4. Interazione tra droghe e farmaci 5. Presenza o meno di patologie pre‐esistenti 6. Tempo di sopravvivenza 7. Stabilità delle droghe Ad esempio: la cocaina viene idrolizzata, in vivo ed in vitro dalle colinesterasi sieriche. Per questo, nella valutazione, bisogna tener conto anche della concentrazione dei metaboliti; la morfina glicuronide, nel sangue cadaverico, può essere convertita in morfina libera, in caso di contaminazione da parte di batteri che scindono il legame con l’acido glicuronico; l’LSD, viene degradata dalla luce. 11 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Differenze esistenti tra indagine tossicologica su vivente con finalità clinica ed indagine tossicologica post‐mortem 1. 2. 3. 4. 5. Indagine tossicologica su vivente con finalità Indagine tossicologica post‐mortem clinica Viene solitamente eseguita in condizioni di 1. Supporta il medico legale nella diagnosi di urgenza avvelenamento Supporta il clinico nei casi di avvelenamento 2. Si effettua su sangue intero dato che in esso è Prevede che l’analisi del campione ematico presente e, quindi, analizzabile sia la sostanza venga condotta sul siero o sul plasma. contenuta all’interno degli eritrociti che quella Al siero ed al plasma, infatti, cui fa riferimento legata alle proteine plasmatiche. Ciò lo rende – la quasi totalità delle concentrazioni sebbene ricco di interferenti – il campione di terapeutiche dei farmaci riportate in scelta per provare la presenza di una droga nel letteratura, dato che essi contengono meno sangue. sostanze interferenti del sangue intero 3. Non sempre permette di stabilire l’effettiva Premette di dedurre la gravità concentrazione ematica della sostanza al dell’intossicazione dal tasso ematico della momento della morte. sostanza, comparato alla dose terapeutica, alla La concentrazione ematica post‐mortem può dose tossica ed a quella letale infatti variare in rapporto a fenomeni di Rende possibile risalire alla quantità di sostanza ridistribuzione post‐mortale (PMR). L’influenza della PMR può comunque essere assunta limitata prelevando il campione ematico dai vasi femorali visto che il sangue femorale e, più in generale, quello periferico, è meno soggetto a tale fenomeno in quanto la sostanza potrebbe provenire solo dal tessuto muscolare e da quello adiposo adiacente. Il sangue femorale, pertanto, riflette maggiormente la concentrazione ematica ante‐ mortem della sostanza 12 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) TOSSICODIPENDENZE Secondo la definizione dell’OMS, la tossicodipendenza è uno stato di intossicazione cronica le cui caratteristiche sono: 1. Desiderio invincibile da parte del soggetto di fare uso della sostanza (craving) 2. Dipendenza psichica e poi eventualmente fisica dagli effetti della sostanza. 3. Tendenza ad aumentare la dose per ottenere gli stessi effetti (tolleranza). 4. Grave compromissione della salute, della vita di relazione e della validità individuale. La dipendenza psichica è una condizione che comporta uno stato di profondo disagio in seguito alla brusca interruzione del consumo di una sostanza chimica, verso cui l’individuo è stato cronicamente o ripetutamente esposto. Lo stato di disagio viene alleviato dalla rinnovata assunzione della sostanza o di un’altra, purché provvista di effetti farmacologici simili. Può essere isolata o associarsi a dipendenza fisica. La dipendenza fisica è una condizione secondo cui l’organismo, per il mantenimento dell’omeostasi, necessita della presenza della sostanza chimica, verso cui l’individuo è stato cronicamente o ripetutamente esposto. Qualora l’assunzione della sostanza venga bruscamente interrotta, si manifestano i segni ed i sintomi della sindrome di astinenza, generalmente di segno opposto agli effetti della sostanza. Si accompagna sempre al fenomeno della tolleranza ma non sempre si verifica il contrario. Una dipendenza psichica grave associata a dipendenza fisica viene osserva con: ‐ Oppioidi ‐ Alcool etilico ‐ Barbiturici ‐ Benzodiazepine Una dipendenza psichica marcata associata a lieve dipendenza fisica si osserva con: ‐ Agonisti‐antagonisti oppioidi (nalorfina, levallorfano, pentazocina) ‐ Anfetamine ‐ Cocaina ‐ Metilfenidato Una dipendenza psichica isolata viene osservata con: ‐ Cannabis, allucinogeni tipo LSD, solventi, nicotina, caffeina WWW.SUNHOPE.IT 1 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) OPPIO ED OPPIOIDI L’OPPIO viene ottenuto dal succo lattiginoso delle capsule immature ed incise del Papaver somniferum album, coltivato nel Medio e nell’Estremo Oriente. I costituenti farmacologicamente attivi dell’oppio sono di natura alcaloidea e vengono distinti i 2 categorie chimiche: ‐ Derivati fenantrenici, quali morfina (costituente il 10% del peso in grammi dell’oppio), codeina e tebaina ad effetto euforizzante, analgesico e narcotico ‐ Derivati benzilisochinolinici, quali papaverina, noscapina e narceina, ad effetto spasmolitico sulla muscolatura liscia. Con il termine di OPPIOIDE s’intende qualsiasi sostanza che produca effetti simili a quelli della morfina. Tali sostanze includono: ‐ Peptidi oppioidi endogeni (endorfine, encefaline, dinorfine) ‐ Molecole esogene Naturali (come la stessa morfina, la codeina e la tabaina, anche indicate con il termine di OPPIACEI) Semisintetiche (come eroina, buprenorfina, idromorfone, ossicodone) Sintetiche (come metadone, pentazocina, meperidina, propossifene) Eroina Si tratta di un oppioide semisintetico (3,6‐diacetilmorfina), ottenuto dalla morfina, acetilando sia l’ossidrile fenolico che quello alcolico. La doppia acetilazione aumenta la liposolubilità della sostanza, consentendone un più rapido passaggio, attraverso la barriera emato‐encefalica, nel SNC. Ciò rende l’eroina, a parità di dose, più attiva della morfina e ne incrementa la tossicità – misurata come DL50 – di circa 7 volte. In base alla modalità di preparazione, si distinguono due 2 tipi eroina: ‐ Eroina bianca, che appare come una polvere bianca cristallina ‐ Eroina scura (brown sugar), che appare come granuli di colore bruno L’eroina bianca è ottenuta estraendo, dall’oppio, esclusivamente la morfina che viene purificata e poi doppiamente acetilata. L’eroina scura è invece ottenuta estraendo, dall’oppio, tutti gli alcaloidi, che vengono poi sottoposti ad un’acetilazione indiscriminata. Il composto risultante, pertanto, contiene non solo i derivati acetilati della morfina (eroina e monoacetilmorfina) ma anche gli altri alcaloidi dell’oppio e le impurità di origine. N.B. Sulla base di tali impurità d’origine è possibile tracciare la provenienza della sostanza. Generalmente, l’eroina viene venduta in singole dosi efficaci – contenenti % variabili di eroina – tagliate con sostanze farmacologicamente attive (come procaina e caffeina) o con sostanze inerti (come talco, acido tartarico, mannite, ecc…). L’eroina da strada è, pertanto, una miscela di sostanze. N.B. la miscela contenente eroina, cocaina ed altre sostanze farmacologicamente attive va sotto il nome di “speedball”. Oltre alle singole dosi efficaci, circolano anche “ovuli” di eroina, nei quali la sostanza è racchiusa in stati di materiale impermeabile, capaci di resistere al pH acido dello stomaco ed a quello alcalino dell’intestino, dopo deglutizione. Si tratta, pertanto, di una modalità di confezionamento finalizzata al trasporto (cdt “body‐packing”). WWW.SUNHOPE.IT 2 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Farmacodinamica L’eroina, e più in generale gli oppioidi esogeni, producono i loro effetti farmacologici, per interazione con i recettori dei peptidi oppioidi endogeni. Tali recettori appartengono a 5 famiglie: ‐ , responsabili di analgesia sovraspinale, euforia, depressione della motilità intestinale, effetto emetico ‐ ,che mediano la dipendenza e la depressione respiratoria ‐ , responsabili di analgesia, sedazione, disforia e miosi ‐ , che mediano l’analgesia spinale ‐ , che producono disforia ed allucinazioni Tali recettori sono accoppiati a proteine Gi che: ‐ Inibiscono l’attività dell’adenilato ciclasi, riducendo i livelli intracellulari di cAMP ‐ Attivano correnti in uscita di K+ ‐ Sopprimono correnti in entrata di Ca2+ Ciò produce un’iperpolarizzazione della membrana plasmatica che blocca il rilascio di NT e la conduzione dello stimolo doloroso in diverse vie neuronali. L’uso voluttuario dell’eroina può avvenire per: ‐ Iniezione endovenosa ( cdt “buco”), attraverso cui l’effetto compare in pochi minuti (flash) e dura circa due ore. Tale modalità di assunzione, prevalente in passato, è stata attualmente ridimensionata per l’alto rischio di trasmissione parenterale di malattie infettive, correlato allo scambio di siringhe. Continua comunque ad essere adottata soprattutto dai consumatori cronici di eroina. ‐ Inalazione di polvere (sniffing) o fumi (snorting) Costituisce la più recente modalità di assunzione dell’eroina e giustifica la possibile assenza del segno dell’agopuntura nei soggetti deceduti per overdose della sostanza. Viene principalmente adottata dai consumatori saltuari di eroina. N.B. Sebbene l’assorbimento dell’eroina assunta per via inalatoria sia rapido, gli effetti prodotti sono pari al 10‐20% di quelli che si osservano dopo assunzione della stessa dose per via endovenosa. Metabolismo L’eroina viene de‐acetilata, rapidamente (10‐15 min), a 6‐monoacetilmorfina e poi, più lentamente (4‐6 h), a morfina, da parte di esterasi presenti nel sangue ed in distretti corporei quali SNC e fegato. La morfina così ottenuta è, per la maggior parte, metabolizzata, in ambito epatico, mediante coniugazione con acido glucuronico, promossa da glucuronil‐trasferasi. I metaboliti che si formano sono morfina‐3‐ glucuronide, ed in misura minore, morfina‐6‐glucuronide. I derivati glucuronati della morfina vengono eliminati, principalmente, per via urinaria e, solo in piccola parte, per via biliare. N.B. La quota biliare di morfina coniugata aumenta significativamente nell’assuntore cronico di eroina. Pertanto, il riscontro all’esame autoptico, di elevate concentrazioni biliari di morfina coniugata consente la diagnosi di abuso cronico di eroina. Metaboliti minori dell’eroina sono: ‐ Normorfina, per demetilazione della morfina ‐ Codeina, per metilazione dell’atomo di ossigeno in posizione 3 della morfina WWW.SUNHOPE.IT 3 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Matrici biologiche su cui effettuare le indagini chimico‐tossicologiche Diagnosi di uso recente Un uso recente di eroina può essere dimostrato ricercandone i metaboliti nelle urine del presunto assuntore. Tra i diversi metaboliti urinari dell’eroina, l’unico ad indicare con certezza che il soggetto abbia fatto un uso recente della sostanza è la 6‐monoacetilmorfina, il cui tempo di permanenza nelle urine, tuttavia, è di sole poche ore dall’ultima assunzione e varia in funzione della frequenza dell’abuso. Altri metaboliti dell’eroina, reperibili nelle urine più a lungo (anche fino a 4‐5 gg dall’ultima assunzione, qualora si tratti di un consumatore abituale), sono: ‐ Morfina‐3‐glucuronide, che rappresenta il 90% dei metaboliti urinari dell’eroina ‐ Morfina‐6‐glucuronide ‐ Morfina libera in percentuali molto piccole ‐ Codeina Tali metaboliti urinari, tuttavia, a differenza 6‐monoacetilmorfina, non sono esclusivi dell’eroina dato che possono essere rinvenuti anche nel caso dell’assunzione di altri oppioidi, come ad esempio, la codeina, contenuta in alcuni preparati analgesici ed in alcuni sciroppi per la tosse. La codeina, infatti, viene, per circa il 10%, demetilata a morfina, riscontrabile nelle urine, come tale, e come morfina coniugata. Va detto, comunque, che ad orientare circa un’assunzione recente di codeina e non di eroina è un quadro urinario caratterizzato da: ‐ Alte concentrazioni di codeina con un rapporto codeina/morfina > 2 ‐ Basse concentrazioni di morfina ‐ Assenza di 6‐monoacetilmorfina In ogni caso, per la diagnosi differenziale tra consumo voluttuario di eroina ed assunzione terapeutica di farmaci a base di codeina, alle matrici biologiche tradizionali vengono attualmente preferite matrici alternative, come il capello perché, nel suo contesto, è reperibile la sostanza tale quale, con eventuale presenza di piccole quantità dei suoi metaboliti. Pertanto, diagnostico dell’assunzione terapeutica di un farmaco a base di codeina è il riscontro, all’interno del capello, di codeina tal quale e di piccolissime quantità di morfina, con assenza totale di 6‐ monoacetilmorfina e di eroina. Diagnostico, invece, dell’assunzione di eroina è il riscontro, nel capello, di eroina tal quale e di basse concentrazioni di 6‐monoacetilmorfina e di morfina. N.B. Le matrici biologiche alternative, come il capello, inoltre, permettono di ottenere informazioni circa l’uso pregresso di eroina. La possibilità di retrodatare l’abuso della sostanza stupefacente varia in funzione della lunghezza del capello: ad esempio, un capello di 8 cm, consente di valutare le abitudini voluttuarie del soggetto negli ultimi 8‐9 mesi, dato che i capelli dei caucasici crescono di circa 1 cm al mese. L’intossicazione acuta da eroina e, più in generale, da oppioidi viene anche indicata come “Acute Narcotism”. Tale condizione riconosce come cause: 1. Assunzione di una dose della sostanza in quel momento eccessiva per la tolleranza del soggetto (overdose). Ciò può verificarsi per: ‐ Cambio di fornitore, che procura al tossicodipendente una dose più ricca di principio attivo. ‐ Consumo della stessa dose, dopo un periodo di astinenza (determinato, ad esempio, da custodia cautelare in carcere o da soggiorno in comunità) durante il quale il grado di tolleranza si è ridotto. ‐ Rottura di ovuli trasportati nel tubo digerente da body‐packers 2. Assunzione combinata con altre sostanze ad effetto depressivo centrale, come BDZ ed alcol WWW.SUNHOPE.IT 4 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) L’intossicazione acuta da oppioidi è caratterizzata dalla seguente sintomatologia: ‐ Miosi, con pupille a capocchia di spillo ‐ Prurito ‐ Sonnolenza ‐ Diminuzione della frequenza e dell’ampiezza del respiro ‐ Bradicardia ‐ Ipotensione ‐ Diminuzione della temperatura corporea Tale sintomatologia può evolvere in depressione respiratoria, apnea, coma e morte Il trattamento d’urgenza prevede: ‐ Ventilazione del pz, il cui respiro è primariamente depresso dagli oppioidi ‐ Somministrazione di naloxone (Narcan), antagonista dei recettori degli oppioidi. Il naloxone è infatti capace di spiazzare tutti gli oppioidi, esogeni ed endogeni, dai corrispondenti recettori, mostrando, per tali recettori, un’affinità maggiore. Ne consegue un recupero pressoché immediato. Tuttavia, poiché la durata d’azione del Naloxone è inferiore a quella degli agonisti oppioidi, i sintomi di overdose possono ripresentarsi nel giro di poche h. Si richiedono, pertanto, somministrazioni ripetute dell’antagonista ed un periodo di osservazione > 12 h. Diagnosi di morte da acute narcotism Si basa sugli stessi criteri utilizzati per la diagnosi di avvelenamento: 1. Criterio circostanziale Tiene conto dell’insieme dei dati che emergono dalle indagini relative alle circostanze spazio‐temporali del presunto contatto con il tossico. Applicando il criterio circostanziale, depongono per una morte da acute narcotism: ‐ Testimonianze relative all’acquisto ed al consumo dello stupefacente da parte del soggetto ‐ Rinvenimento, durante le indagini di sopralluogo, di siringhe, residui di polvere, ecc… 2. Criterio clinico‐anamnestico Tiene conto della sintomatologia che il soggetto ha manifestato e di condizioni antecedenti al fatto. Applicando il criterio clinico‐anamnestico, suggeriscono una morte da acute narcotism: ‐ Storia di consumo cronico o occasionale di eroina, precedenti trattamenti di dissuefazione, ricoveri ospedalieri in seguito a pregressi episodi di intossicazione acuta rivelatisi non fatali. ‐ Evidenza clinica, precedente al decesso, di segni e sintomi di intossicazione acuta da oppioidi. 3. Criterio anatomo‐patologico Tiene conto delle informazioni fornite dall’esame interno ed esterno del cadavere. All’esame esterno del cadavere, qualora si sospetti una morte da acute narcotism, vanno innanzitutto ricercati segni di agopuntura, non solo nelle classiche sedi di iniezione endovenosa (quali piega del gomito, dorso della mano e dorso del piede), ma anche in sedi insolite (quali vena peniena, vena giugulare, vene interdigitali dei piedi). In presenza di un segno di agopuntura, è necessario valutare se la lesione sia recente – e quindi direttamente correlabile alla morte – o pregressa. Per far ciò, va praticato un piccolo taglio sulla cute, nella sede dell’agopuntura, con successiva eversione dei lembi cutanei. Depongono per una lesione prodotta in vita di recente, l’infarcimento emorragico del tessuto sottocutaneo attraversato dall’ago e la presenza di un coagulo ematico lungo il tragitto dello stesso. Tali reperti, tuttavia, perdono il loro valore diagnostico qualora il soggetto sia stato soccorso e trasportato in ospedale poiché una delle prime manovre consiste nel reperimento di un accesso venoso. WWW.SUNHOPE.IT 5 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Il riscontro, nella sede dell’agopuntura, non di segni di lesione recente, ma di cicatrici cutanee pigmentate e di indurimento delle pareti venose, depone invece per un’iniezione pregressa e ripetuta in quella stessa sede che, sebbene non direttamente correlabile alla morte, suggerisce un consumo abituale della sostanza. N.B. L’assenza di segni di agopuntura non consente tuttavia di escludere una morte per intossicazione acuta da eroina, in quanto la sostanza può anche essere stata assunta per via inalatoria, evenienza dimostrabile mediante tampone nasale. Comunque, anche in caso di assunzione della sostanza per via inalatoria, il tampone nasale può risultare negativo a causa dell’azione di lavaggio esercitata dal cdt “fungo schiumoso”: fuoriuscita, cioè, di una schiuma di colorito bianco‐rosaceo e di aspetto cotonoso dagli orifizi respiratori. Il fungo schiumoso costituisce un reperto di frequente riscontro nelle morti da acute narcotism, per la condizione di edema polmonare lesionale che si realizza in questo tipo di morte. Tale condizione è responsabile, inoltre, della comparsa di ipostasi anti‐gravitarie a mantellina, per ristagno di sangue nel territorio della vena cava superiore, secondario alla difficoltà di scarico delle sezione destre del cuore. All’esame interno del cadavere, tipico è il riscontro di un edema polmonare acuto (EPA). L’EPA in questione è di tipo lesionale – dovuto cioè ad un aumento di permeabilità della membrana alveolo‐capillare – che si verificherebbe per l’ipossia determinata dalla depressione respiratoria. Il polmone edematoso si presenta aumentato di volume, pallido, di consistenza pastosa e scarsamente crepitante. La digitopressione lascia sul viscere un’impronta persistente. Dalla superficie di sezione, umida, fuoriesce abbondante liquido sieroso, finemente schiumoso, incolore o roseo. Possibile è inoltre osservare spazi cistici “a nido d’ape” più marcati in corrispondenza della periferia dei lobi inferiori ed espressione di una fibrosi polmonare dipendete dalla deposizione, nei polmoni, di polveri inerti, come il talco, introdotte attraverso il circolo ematico. Tale reperto suggerisce l’utilizzo di droghe per via endovenosa da molto tempo. Il sangue è tipicamente fluido e non bagna la provetta, data la natura asfittica della morte. A carico del SNC, si riscontrano: edema cerebrale acuto, iperemia e petecchie emorragiche. In corso di autopsia, è necessario inoltre procedere al campionamento di matrici biologiche tradizionali e non, da avviare alle indagini tossicologiche. In particolare, si prelevano: Campioni di: ‐ sangue, prediligendo quello femorale, meno soggetto a fenomeni di ridistribuzione post‐ mortale; ‐ urina ‐ bile, che, se contiene alte concentrazioni di morfina coniugata, suggerisce un abuso cronico di eroina; ‐ organi, come il fegato; ‐ umor vitreo, distretto dell’organismo molto protetto che risente meno degli altri del processo di putrefazione e di un’eventuale carbonizzazione del cadavere. Tutto il contenuto gastrico Capelli ed unghie, importanti soprattutto per dimostrare un abuso cronico . È necessario prelevare campioni da diversi distretti corporei al fine di valutare se la distribuzione della morfina, metabolita dell’eroina, sia polidistrettuale, condizione richiesta per la diagnosi di acute narcotism. 4. Criterio chimico‐tossicologico, Si fonda sull’identificazione e la quantificazione del tossico in matrici biologiche ed in altri reperti e sull’interpretazione del dato analitico, sia esso positivo che negativo. WWW.SUNHOPE.IT 6 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) N.B. Un giudizio conclusivo circa la causa della morte viene formulato integrando le evidenze emerse dall’applicazione dei vari criteri. Il consumo cronico di eroina produce uno stato di dipendenza psichica grave associata a dipendenza fisica. Diagnosi di dipendenza da oppioidi su vivente Secondo il DM n. 186 del 1990 deve basarsi su: 1. Riscontro documentale di trattamenti socio‐sanitari per le tossicodipendenze presso strutture pubbliche e private, di soccorsi ricevuti da strutture di pronto soccorso, di ricovero per trattamento di patologie correlate all'abuso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope, di precedenti accertamenti medico‐legali 2. Constatazione di segni di assunzione abituale della sostanza 3. Evidenza di sintomi fisici e psichici di intossicazione in atto 4. Constatazione di una sindrome di astinenza in atto, la cui intensità va valutata. Ciò può essere effettuato mediante varie scale di misurazione, come quella clinica, proposta da Wesson e Ling, denominata COWS: Clinical Opiate Withdrawal Scale. Tale scala tiene conto di: 1) Frequenza cardiaca a riposo, che risulta aumentata in corso di sindrome di astinenza da oppioidi 2) Sudorazione nell’ultima mezz’ora 3) Irrequietezza 4) Ansia o irritabilità 5) Midriasi pupillare 6) Disturbi gastrointestinali (come nausea, vomito, diarrea, crampi addominali) 7) Tremore 8) Sbadiglio 9) Rinorrea o lacrimazione 10) Pelle d’oca 11) Dolori osteoarticolari A ciascuno di questi segni e sintomi viene assegnato un punteggio, tanto più alto, quanto maggiore è la loro entità. Dalla somma dei singoli punteggi, se ne ottiene uno totale che consente di esprimere un giudizio circa presenza ed intensità della sindrome di astinenza: 1‐10 = s. di astinenza assente 1‐20 = s. di astinenza moderata > 20 = s. di astinenza conclamata N.B. Qualora, al momento dell’esame, non sia presente una sindrome di astinenza è possibile provocarla, tenendo il soggetto isolato per 10‐12 h, oppure evocarne solo determinate manifestazioni, mediante l’impiego locale di antagonisti dei recettori degli oppioidi – in particolare del naloxone – nell’ambito di test specifici, come il pupil test. Il pupil test prevede la somministrazione topica di un collirio a base di naloxone nella congiuntiva di uno dei due occhi del soggetto esaminato. WWW.SUNHOPE.IT 7 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) In caso di dipendenza da oppioidi, il naloxone provoca, nell'arco di 30‐60 minuti, una netta midriasi, che contrasta visibilmente con la miosi dell'occhio controlaterale. Ciò si verifica in quanto il naloxone, spiazzando gli oppioidi dai loro recettori, determina una caduta del tono parasimpatico, cronicamente esaltato nel soggetto dipendente da oppioidi, con conseguente prevalenza della stimolazione adrenergica sul muscolo dilatatore della pupilla. In un soggetto non dipendente da oppioidi, invece, non produce alcun cambiamento. 5. Presenza di sostanze stupefacenti e dei loro metaboliti in matrici biologiche del soggetto, dimostrata mediante indagini chimico‐tossicologiche La diagnosi di tossicodipendenza da oppioidi – e più in generale da sostanze stupefacenti – è richiesta per: ‐ Concedere misure cautelari alternative al carcere a soggetti tossicodipendenti che accettino di seguire programmi di riabilitazione ‐ Concedere un’aspettativa dal lavoro a lavoratori tossicodipendenti che decidano di effettuare un programma di riabilitazione della durata massima di 3 anni Lo svezzamento dalla dipendenza da eroina può essere ottenuto con: ‐ Metadone ‐ Buprenorfina Metadone È un oppioide di sintesi, con effetto farmacologico molto simile a quella della morfina. Viene impiegato per il divezzamento dell’eroinomane poiché presenta, rispetto all’eroina, una serie di vantaggi: 1. Si assume per via orale. Ciò, oltre a prevenire la patologia collaterale da uso di siringhe infette, determina un decondizionamento dal "buco". 2. Ha un effetto farmacologico prolungato, che dura circa 24 ore, consentendo, così, una singola somministrazione giornaliera. 3. Si associa ad un minor grado di tolleranza verso i suoi effetti farmacologici Lo svezzamento metadonico dell’eroinomane, che può durare anni, si attua mediante una somministrazione a scalare, iniziando con la dose minima sufficiente per prevenire la crisi da astinenza. Tale dose viene quindi ridotta progressivamente fino a cessarne del tutto la somministrazione. Se, durante la disassuefazione, il tossicodipendente riprende ad assumere eroina, si vanifica la terapia in corso ed è necessario ricominciare tutto dall’inizio. Per questi motivi, è necessario che la terapia metadonica di mantenimento sia sempre supportata da adeguati interventi di tipo psicologico o socio‐riabilitativo. Buprenorfina È un oppioide semisintetico (analogo della tebaina) che agisce da agonista parziale dei recettori , verso cui mostra un’elevata affinità. La disponibilità di formulazioni retard, che rendono possibile la somministrazione mono o bisettimanale del farmaco, costituisce un vantaggio rispetto al metadone (la cui somministrazione risulta giornaliera), poiché permette di ridurre la frequentazione dei SERT e, quindi, degli altri tossicodipendenti, cosa che funge da rinforzo alla tossicodipendenza. WWW.SUNHOPE.IT 8 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Ulteriori vantaggi: ‐ Dipendenza fisica di minore entità e durata rispetto a quella prodotta dal metadone ‐ Blanda sintomatologia astinenziale che si manifesta con ritardo (da 2 gg a 2 w) e che persiste per 1‐2 w Nel soggetto ex‐tossicodipendente, perfettamente disintossicato, per prevenire le ricadute, si somministra naltrexone, antagonista dei recettori degli oppioidi a lunga durata d’azione. Il suo uso consente di bloccare gli effetti farmacologici degli oppioidi esogeni eventualmente assunti. COCAINA La cocaina è il principale alcaloide estraibile dalle foglie di Erythroxylon coca, pianta originaria del Perù e della Bolivia. La cocaina è disponibile come: ‐ Cocaina cloridrato o solfato ‐ Base libera (crack) ‐ Cocaina “superspeed” (addizionata ad amfetamine) ‐ Crude coca paste (altamente neurotossica perché contenente residui di kerosene) La cocaina cloridrato o solfato si presenta sotto forma di una polvere bianca cristallina che può essere assunta: ‐ per sniffing, fiutando, cioè, la polvere ‐ per via endovenosa, da sola o mescolata ad eroina (speed‐ball). Si parla di “stereo‐injection” quando, in un braccio, venga iniettata cocaina ed in un altro eroina. La base libera della cocaina (crack), invece, si presenta sotto forma di cristalli e può essere assunta esclusivamente inalando il fumo prodotta dal riscaldamento degli stessi in apposite pipe. Tale operazione provoca gli scricchiolii che danno origine al suo nome. La cocaina, quando assunta per via generale (inalatoria o endovenosa), agisce sul SNC dove aumenta la velocità di produzione e di liberazione delle catecolamine (in particolare di dopamina e noradrenalina), bloccandone, al contempo, la ricaptazione. L’eccessiva immissione ed il mancato recupero, portano ad un progressivo impoverimento delle riserve catecolaminiche, fino al loro azzeramento. Il cocainomane, quindi, non ottiene più gli effetti desiderati ed è costretto ad un periodo di astinenza, necessario per consentire la ricostituzione delle riserve catecolaminiche. Gli effetti della cocaina sono dose‐dipendenti. In particolare, al crescere delle dose, sia hanno: ‐ Sindrome euforica, caratterizzata da: Euforia Iperattività Insonnia Ipersessualità Tendenza al comportamento aggressivo WWW.SUNHOPE.IT 9 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) ‐ ‐ ‐ Sindrome disforica, caratterizzata da: Ansia Pianto immotivato Anoressia Apatia Incapacità di concentrazione Psicosi paranoide, i cui aspetti sono: Delirio di persecuzione Allucinazioni uditive, visive ed olfattive Comportamento violento Convulsioni Morte per arresto cardiaco, da fibrillazione ventricolare ‐ Intossicazione acuta In USA, l’intossicazione acuta da cocaina è la causa più frequente di morte droga‐correlata e la prima causa di decesso nei soggetti di età < 35 anni (soprattutto quando assunta come Crack). In EUROPA, invece, l’intossicazione acuta da cocaina costituisce la seconda causa di morte droga‐correlata, dopo quella da eroina. La situazione, tuttavia, è ancora incerta poiché: ‐ Le morti da cocaina non sono rapportabili alla dose assunta ‐ L’overdose da sola cocaina è rara, trattandosi più spesso di una poliassunzione Gli elementi caratterizzanti l’overdose da cocaina sono: ‐ Rapidità di insorgenza ‐ Convulsioni tonico‐cloniche ‐ Arresto cardiaco, per fibrillazione ventricolare L’intossicazione acuta da cocaina può inoltre indurre una sindrome coronarica acuta, potenzialmente mortale. Il decesso per intossicazione acuta da cocaina può pertanto essere attribuito ad un “attacco cardiaco”. Da qui la necessità di un’indagine tossicologica nei casi che lascino presumere l’intossicazione. N.B. La fisiopatologia dell’ischemia miocardica da cocaina è multifattoriale. I fattori coinvolti sono: ‐ Aumento della richiesta miocardica di ossigeno, per incremento di frequenza e contrattilità cardiaca e per elevazione della pressione arteriosa ‐ Riduzione dell’apporto miocardico di ossigeno ‐ Accelerazione dei fenomeni aterosclerotici ‐ Stato pro‐trombotico Intossicazione cronica L’abuso cronico di cronico di cocaina produce una forte dipendenza psichica, con modesta tolleranza e dipendenza fisica. La dipendenza da cocaina è denunciata da una sindrome d’astinenza psichica che può comparire sia dopo un prolungato periodo d’uso a dosaggi elevati, che dopo qualche gg di uso compulsivo. WWW.SUNHOPE.IT 10 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) La sindrome d’astinenza psichica da cocaina attraversa tre fasi successive: Prima fase o del crollo (crash), caratterizzata da esaurimento psico‐fisico, per deplezione acuta di neurotrasmettitori. In essa, si hanno: ansia, agitazione, depressione, sonnolenza ed intenso craving. Si estende da qualche h a qualche gg, a seconda della durata e dell’intensità dell’uso. Seconda fase o dell’astinenza (withdrawal), in cui il soggetto presenta: apatia, abulia, ridotta risposta emotiva agli stimoli gratificanti, sindrome amotivazionale, moderato stato ansioso, modesto craving. Qualora l’uso non venga rinnovato, la sintomatologia si riduce, fino ad esaurirsi, nel giro di qualche settimana. Terza fase o dell’estinzione (extinction) Manca di una sintomatologia caratteristica. In essa, l’individuo è capace di reinserirsi completamente nel contesto sociale anche se mantiene una particolare sensibilità verso situazioni correlate all’uso di cocaina, che possono indurre la ricomparsa di craving. La durata di questa fase è di mesi o anni. L’uso cronico d cocaina è inoltre responsabile di: ‐ Danni locali, legati all’assunzione della sostanza per sniffing. La cocaina, infatti, provoca un’intensa vasocostrizone che, nel tempo, può portare alla necrosi della mucosa ed alla tipica perforazione del setto nasale. ‐ Profonde alterazioni a carico di SNC, apparato CV e fegato che sarebbero la conseguenza di un alto grado di sensibilizzazione. La sensibilizzazione, anche nota come tolleranza inversa, consiste nella capacità di una stessa dose della sostanza stupefacente di produrre, dopo un uso prolungato, effetti più marcati. A carico del SNC, si possono avere: Alterazioni psichiche Psicosi paranoide associata ad euforia e disforia, per inibizione della ricaptazione della dopamina e sensibilizzazione dei recettori dopaminergici Alterazioni cliniche Emorragia subaracnoidea Rottura di aneurismi basilari Convulsioni Ipertermia Tali eventi sono riconducibili all’effetto simpaticomimetico indiretto della cocaina. A carico dell’apparato CV, possono verificarsi: Infarto Aritmie Rottura dell’aorta ascendente Rottura di aneurismi Miocardite, con necrosi dei cardiomiociti A carico del fegato, può insorgere una: Necrosi epatica da radicali liberi Ciò accade qualora la cocaina percorra una via ossidativa minore che prevede la trasformazione della norcocaina in norcocaina nitrossido, ad opera del citocromo P‐450. La norcocaina nitrossido può, infatti, tossificarsi, per perdita di un elettrone, in un radicale libero, capace di indurre deplezione di glutatione, con conseguente necrosi epatica da lipoperossidazione. WWW.SUNHOPE.IT 11 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Altri possibili effetti dell’uso cronico di cocaina sono: ‐ Bronchite cronica ‐ Edema polmonare ‐ Ipertonia simpatica, che si manifesta con: tachicardia, ipertensione arteriosa, ipertermia, midriasi, iperglicemia, aumento del metabolismo basale, vasocostrizione alle estremità ‐ Diminuzione della secrezione gastrica ed intestinale ‐ Rallentamento della peristalsi ‐ Anoressia Metabolismo della cocaina La cocaina viene metabolizzata nel plasma e nel fegato da alcuni enzimi, le esterasi, che la trasformano, per idrolisi, in benzoilecgonina – suo principale metabolita – ed in altri metaboliti minori, quali l’ecgonina metil‐estere e l’ecgonina. Una via secondaria di metabolizzazione della cocaina consiste nella sua conversione in norcocaina, per metilazione dell’atomo di azoto. N.B. Metaboliti differenti si formano in seguito al consumo della cocaina base, crack, per fumo. Tali metaboliti sono la metilecgonidina e l’ecgonidina. Un’importante interazione metabolica si verifica quando cocaina ed alcol sono assunti contemporaneamente. In questo caso, infatti, una parte della cocaina viene trans‐esterificata, dalle carbossilesterasi, a cocaetilene, metabolita attivo, potente quanto la cocaina nel bloccare la ricaptazione delle CA. Ne consegue un prolungamento degli effetti, con maggiore tossicità a carico di SNC, cuore e fegato. L’approccio tossicologico per dimostrare un uso recente di cocaina, prevede, innanzitutto, un’indagine di screening, condotta su urina, mediante tecniche immunochimiche (immunoassay), che permettono di definire, in riferimento a cut‐off prestabiliti, la positività o la negatività del campione urinario per: ‐ Cocaina, la cui permanenza nelle urine oscilla tra le 6 e le 12 h dall’ultima assunzione ‐ Suoi metaboliti, come: Benzoilecgonina, reperibile nelle urine per 2‐4 gg dall’episodio di abuso N.B. la positività del campione urinario anche per cocaetilene suggerisce un’assunzione combinata di cocaina ed alcol. N.B. Un risultato positivo all’indagine di screening non può assumere valenza forense e richiede necessariamente conferma. Per conferma, si effettuano determinazioni quantitative, mediante spettrometria di massa, su sangue intero, quando l’indagine ha finalità forense; su plasma e siero, quando, invece, ha finalità clinica. N.B. Il prelievo va necessariamente addizionato con fluoruro di sodio per prevenire la degradazione della cocaina da parte di esterasi. N.B. la determinazione quantitativa è indispensabile per l’interpretazione tossicologica del caso. Il riscontro di misurabili quantità di droga costituisce una prova di assunzione recente. WWW.SUNHOPE.IT 12 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) AMFETAMINE Si caratterizzano chimicamente per la presenza del nucleo amfetaminico. Costituiscono il primo gruppo di sostanze stupefacenti ad essere state completamente sintetizzate in laboratorio. Si trovano sotto forma di pasticche, assunte per os. Hanno un’intensa azione stimolante sul SNC, per potenziamento della neurotrasmissione noradrenergica, dopaminergica e serotoninergica. Tali sostanze, infatti, facilitano il rilascio delle amine biogene, ne riducono la ricaptazione e ne ostacolano la degradazione, inibendo le monoamino‐ossidasi (MAO). Effetti: ‐ Diminuzione dell’appetito, della sete, della stanchezza e del desiderio di dormire ‐ Aumento dello stato di vigilanza e dell’attenzione ‐ Senso di benessere ‐ Incremento dell’empatia verso gli altri ‐ Riduzione della capacità di stimare i rischi connessi a determinati comportamenti (come, ad esempio, guida veloce) L’intossicazione acuta si manifesta con un quadro sovrapponibile a quello del colpo di calore (ipertermia) L’uso prolungato induce una marcata dipendenza psichica associata ad una lieve dipendenza fisica. Come per la cocaina è inoltre possibile osservare il fenomeno della tolleranza inversa o sensibilizzazione secondo cui, una stessa dose della sostanza stupefacente, può produrre, nel tempo, effetti più intensi, con conseguente aumento della tossicità. L’anfetamina di più largo consumo in Europa ed in Italia – dove è venduta sotto forma di pillole – è l’ ecstasy [Metilen‐Diossi‐Meta‐Amfetamina (MDMA)]. L’ecstasy agisce principalmente esaltando il rilascio di serotonina nel SNC, da cui la possibilità di causare danni irreversibili a carico dei neuroni serotoninergici cerebrali. Le amfetamine sono rilevabili in tracce nelle urine a distanza di 48 h dall’assunzione e per 2‐4 gg. METACLOROFENILPIPERAZINA Molecola di sintesi appartenente alla classe delle fenilpiperazine in grado di produrre effetti antidepressivi e stimolanti. Viene usata a scopo ricreativo in discoteche e rave party. Alterando la neurotrasmissione serotoninergica, può causare ansia, attacchi di panico, confusione, tremori, vomito, emicrania, ipersensibilità a luce e rumori. WWW.SUNHOPE.IT 13 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) CANNABIS La Cannabis (sativa, indica e ruderalis) è una pianta originaria dell’Asia Centrale di cui si utilizzano, come sostanze stupefacenti: ‐ Foglie ed inflorescenze femminili, essiccate e sminuzzate (marijuana pd) ‐ Resina estratta dai fiori, che si presenta come una tavoletta di colore variabile chiamata hashish ‐ Olio di hashish Il principio attivo, con effetto stupefacente, della cannabis è il ‐9‐tetraidrocannabinolo, più concentrato nell’hashish e, soprattutto, nell’olio di hashish (in cui può anche essere maggiore del 30%). N.B. (Va detto che) la Cannabis attualmente circolante contiene una quantità di ‐9‐tetraidrocannabinolo più alta che in passato e > 10%, con piccole quantità di cannabinolo (il precursore) e di cannabidiolo (il succedaneo). Ciò è stato reso possibile dalla selezione genetica delle piante e dalla loro coltivazione con tecnica idroponica, fuori suolo, in condizioni ambientali controllate. Cannabis e derivati sono principalmente utilizzati insieme al tabacco per confezionare i cosiddetti “spinelli”, che vengono fumati. Quando la Cannabis viene fumata, gli effetti si manifestano dopo pochi minuti e la loro durata è di due‐ quattro ore. Tali effetti includono: ‐ Euforia, associata a sensazione di benessere fisico e psichico Ciò si verifica in quanto il ‐9‐THC blocca il rilascio di GABA, da parte di neuroni GABAergici inibitori, la cui funzione è quella di modulare negativamente la liberazione di dopamina, ad opera di altri neuroni, nel sistema limbico. Tali neuroni liberano, quindi, una maggiore quantità di dopamina, a cui è legato l’effetto euforizzante. ‐ Diminuzione delle inibizioni, con aumento della socializzazione e della loquacità ‐ Riduzione della risposta a stimoli acustici e visivi ‐ Alterazione dei processi di memorizzazione ‐ Aumento dell’appetito ‐ Elevazione della frequenza cardiaca Il diametro pupillare resta invariato N.B. La cannabis ha anche effetti antidolorifici mediati da: ‐ Recettori CB1 ‐ Recettori CB3 Tramite i recettori CB1, il THC produce un effetto antidolorifico centrale derivante da: ‐ Innalzamento della soglia dolorifica sia a livello cerebrale che spinale ‐ Promozione del rilascio di oppioidi nel sistema discendente di controllo del dolore Ciò si dimostra efficace nel controllo del dolore neuropatico. Tramite i recettori CB3, il THC produce un effetto antidolorifico periferico di tipo antinfiammatorio, dovuto all’inibizione del rilascio di sostanza proinfiammatorie algogene da parte di cellule del sistema immunitario. L’intossicazione acuta da cannabis si manifesta sotto forma di una psicosi tossica, caratterizzata da: ‐ Stato ansioso, fino all’attacco di panico, con sensazione di morte imminente ‐ Stato paranoideo, con deliri di persecuzione ‐ Allucinazioni ricorrenti WWW.SUNHOPE.IT 14 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Vi è accordo sul fatto che il consumo di cannabis generi, con il passare del tempo, un certo grado di tolleranza. Non si associa però dipendenza fisica anche se sono stati descritti casi di forte dipendenza psichica. Il consumo abituale di cannabis ha, inoltre, ripercussioni negative su diversi organi ed apparati. In particolare, apparato CV, predisponendo all’angina ed all’infarto del miocardio, per aumento delle richieste miocardiche di ossigeno, dipendente dall’elevazione della frequenza cardiaca. apparato respiratorio, a carico del quale si hanno: ‐ Aumento del rischio di BPCO e carcinoma polmonare, causato sia dai cancerogeni che si liberano per la combustione del tabacco che da cancerogeni specifici, assenti nel fumo di tabacco ‐ Formazione di vescicole sottopleuriche (blebs) che, per rottura, inducono PNX apparato genito‐urinario, dove si determinano: ‐ Aumento del rischio di malformazioni embrionali ‐ Riduzione della capacità spermatogenica SNC, a carico del quale possono aversi: ‐ Perdita della memoria recente ‐ Smascheramento di psicosi pre‐esistenti ‐ Sindrome amotivazionale ‐ Atrofia cerebrale apparato endocrino, dove si determinano: ‐ Riduzione dei livelli di testosterone, GH, LH, FSH ‐ Ginecomastia ‐ Incremento del cortisolo apparato immunitario, con depressione dell’immunità cellulo‐mediata occhio, a carico del quale si hanno: ‐ Iperemia congiuntivale ‐ Fotofobia ‐ Riduzione del potere di accomodazione ‐ Diminuzione della pressione endoculare ll delta9‐tetraidrocannabinolo è rilevabile nelle urine anche per molti giorni dall’ultima assunzione. WWW.SUNHOPE.IT 15 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) ALLUCINOGENI L’allucinogeno più attivo è l’LSD, dietilammide dell’acido lisergico, alcaloide della segale cornuta, un fungo che parassita la segale ed altre graminacee. La sostanza può presentarsi sotto forma di un liquido incolore, simile all’acqua, oppure di piccoli cristalli bianchi. Nel commercio clandestino si trova distribuito in piccole ampolle, in capsule gelatinose, spalmato sui francobolli. Effetti ‐ Confusione cognitiva e percettiva ‐ Perdita dei confini spazio‐temporali ‐ Allucinazioni geometriche ‐ Flash di colori ‐ Difficoltà di distinguere l’immaginario dalla realtà I consumatori descrivono l’esperienza di consumo della droga come viaggi o “trip”. La dipendenza da allucinogeni è esclusivamente di tipo psichico. L’uso prolungato determina disturbi psicotici. L’LSD agisce a dosaggi talmente bassi (25 microngrammi) da risultare estremamente difficoltoso il rilevamento di tracce del tossico nei liquidi organici e nei tessuti. KETAMINA Anestetico per uso sia veterinario che umano, recentemente oggetto di abuso perché a piccole dosi causa dissociazione psichica e lieve analgesia. Dosaggi sub‐anestetici sono infatti capaci di indurre forti allucinazioni visive ed uditive, definite come di “pre‐morte”, con apparenti visioni del futuro (flashforward) e vista del proprio corpo dall’esterno. Nella fase di risveglio possono manifestarsi: ‐ Eccitazione ‐ Sogni vividi ‐ Confusioni mentale ‐ Comportamento irrazionale ‐ Aumento del tono della muscolatura scheletrica con comparsa di movimenti tonici e clonici, simili alle convulsioni NUOVE SOSTANZE PSICOATTIVE (NPS) Hanno le seguenti caratteristiche: 1. Natura sintetica ma, in % minore, anche vegetale 2. Notevole potenza ed elevata tossicità 3. Effetti e danni principali su psiche, sistema nervoso e cuore 4. Numero elevato (oltre 1000), con varianti facilmente ottenibili 5. Facile reperibilità, per la possibilità di essere vendute, su Internet e negli smart shop, “mimetizzate” in co‐marketing con altre sostanze e merci varie 6. Assuntori di età compresa tra 15 e 55 anni, spesso inconsapevoli dei reali contenuti 7. Di difficile individuazione laboratoristica e diagnosi nelle emergenze 8. Non ancora rese illegali in molti paesi 9. Rapida diffusione a livello internazionale WWW.SUNHOPE.IT 16 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) LEGISLAZIONE IN TEMA DI STUPEFACENTI Riferimenti normativi ‐ DPR n°309/90 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) ‐ DL n°60/93 (contenente modifiche al DPR 309/90 in materia di provvedimenti restrittivi da adottare nei confronti di tossicodipendenti o alcoldipendenti che abbiano in corso programmi terapeutici) ‐ Legge n°49/2006 – cdt “Fini‐Giovanardi” – che include disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al DPR n°309/90 ‐ Legge n°38/2010 (relativa alla dispensazione di farmaci per la terapia del dolore) ‐ Sentenza della Corte Costituzionale n°32, del 12 febbraio del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa sugli stupefacenti contenuta nella Legge n°49/2006, per violazione dell’articolo 77 della Costituzione. La riforma del DPR n°309 del ‘90, infatti, era stata attuata inserendo, in un DL concernente il finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino, norme che il Parlamento stava esaminando da tempo e prive della minima coerenza con l’oggetto del provvedimento d’urgenza adottato dal Governo. ‐ Legge n.79/2014, promulgata per: superare la situazione di incertezza giuridica dovuta alla pronuncia di incostituzionalità della Legge n°49/2006, da parte della Corte Costituzionale, con la sentenza n°32, del 12 febbraio 2014. evitare che sfuggissero al controllo del Ministero della Salute quelle sostanze psicoattive introdotte nel sistema tabellare, sulla base delle nuove acquisizioni scientifiche, tra la data di entrata in vigore della Legge n°49/2006 e quella di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte Costituzionale. La Legge in questione contiene: Modifiche al DPR 309/90 Rideterminazione delle tabelle L’attuale sistema tabellare, così come modificato dalla Leggen°79/2014, identifica 5 tabelle: ‐ Le prime 4, si riferiscono a sostanze stupefacenti e psicotrope in grado di indurre dipendenza ‐ La quinta, a farmaci contenenti sostanze capaci di produrre dipendenza Tabella I 1. Oppio ed oppioidi 2. Foglie di coca ed alcaloidi ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale da queste estraibili 3. Sostanze di tipo amfetaminico ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale 4. Ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore a quelle precedentemente indicate 5. Indolici – sia triptaminici che lisergici – e derivati feniletilamminici, che abbiano effetti allucinogeni o che possano provocare distorsioni sensoriali 6. Sostanze sintetiche o semisintetiche, che siano riconducibili, per struttura chimica o per effetto farmaco‐tossicologico, al tetraidrocannabinolo 7. Ogni altra pianta, sostanza naturale o vegetale in grado di produrre allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali WWW.SUNHOPE.IT 17 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Tabella II 1. Cannabis e prodotti da essa ottenuti Tabella III 1. Barbiturici con notevole capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe, nonché altre sostanze con effetto ipnotico‐sedativo ad essi assimilabili. Sono pertanto esclusi i barbiturici a lunga durata d’azione e di accertato effetto antiepilettico ed i barbiturici a breve durata d’azione – impiegati come anestetici generali – sempre che tali sostanze non comportino pericoli di dipendenza. Tabella IV 1. Sostanze per le quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze elencate nelle tabelle I e III Tabella V o “dei medicinali” Viene suddivisa in 5 sezioni, in relazione al decrescere del loro potenziale di abuso Sezione A 1. Sostanze analgesiche oppiacee 2. Farmaci riportati nell’allegato III bis al T.U. impiegati per il trattamento del dolore severo (come morfina, idromorfone, codeina ossicodone, fentanyl) e della tossicodipendenza da oppiacei (come metadone e buprenorfina) 3. Barbiturici capaci di indurre una grave dipendenza psico‐fisica ed altre sostanze con effetto ipnotico‐sedativo ad essi assimilabili 4. Sostanze di corrente impiego terapeutico capaci di indurre una grave dipendenza psico‐fisica Sezione B 1. Sostanze di corrente impiego terapeutico capaci di indurre una dipendenza fisica o psichica di intensità minore a quella prodotta dai medicinali elencati nella sezione A 2. Barbiturici ad azione antiepilettica e barbiturici con breve durata d'azione 3. Benzodiazepine che possono dar luogo ad abuso e farmacodipendenza Sezione C 1. Composizioni medicinali contenenti le sostanze elencate nella sezione B, da sole o in associazione con altri principi attivi, per i quali sono stati accertati concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica. Sezione D 1. Medicinali contenenti le sostanze elencate nelle sezioni precedenti, da sole o in associazione con altri principi attivi, quando, per la loro composizione qualitativa e quantitativa o per le loro modalità d’uso, presentino rischi di abuso o di farmacodipendenza di grado inferiore. 2. Composizioni medicinali per uso parenterale a base di benzodiazepine 3. Composizioni medicinali, per uso diverso da quello iniettabile, le quali, in associazione con altri principi attivi non stupefacenti, contengono alcaloidi totali dell'oppio con equivalente ponderale in morfina non superiore allo 0,05 per cento in peso; le suddette composizioni medicinali devono essere tali da impedire praticamente il recupero dello stupefacente con facili ed estemporanei procedimenti estrattivi. Sezione E 1. Medicinali contenenti le sostanze elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A o B, da sole o in associazione con altre sostanze attive ad uso farmaceutico, quando per la loro composizione qualitativa e quantitativa o per le modalità del loro uso, presentino rischi di abuso o di farmacodipendenza di grado inferiore a quelli dei farmaci elencati nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C o D. Prescrizione dei medicinali tabellati La prescrizione dei medicinali elencati nella sez. A va effettuata su ricetta ministeriale speciale a ricalco, di colore rosso, dispensata ai medici che ne fanno richiesta. Per i medicinali iscritti nell’allegato III bis al T.U., la prescrizione può essere effettuata anche su ricettario del SSN, a patto che il SSN dispensi il farmaco prescritto. WWW.SUNHOPE.IT 18 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) La prescrizione dei medicinali indicati nella sezione A può comprendere un solo medicinale, per una cura di durata non superiore a 30 giorni. La prescrizione dei farmaci contenuti nell’allegato III bis al T.U. viene invece agevolata e può riguardare: un medicinale a due diversi dosaggi oppure due diversi medicinali, per una terapia non > 30 gg. Nella ricetta bisogna indicare: ‐ Cognome e nome dell'assistito ‐ Dose prescritta, posologia e modo di somministrazione ‐ Indirizzo e numero telefonico professionali del medico chirurgo da cui la ricetta è rilasciata ‐ Data ‐ Firma del medico chirurgo prescrittore ‐ Timbro personale dello stesso La ricetta deve essere compilata in duplice copia a ricalco, per i medicinali non forniti dal SSN e in triplice copia a ricalco, per i medicinali forniti in regime di SSN: ‐ l’originale è destinata al farmacista (che la deve conservare per due anni dall’ultima registrazione, eseguita nel registro) ‐ una copia va al SSN (per le prescrizioni in regime di SSN). ‐ una copia deve essere sempre conservata dall’assistito, per giustificare il possesso di tali medicinali. N.B. La prescrizione dei medicinali compresi nella sezione A, qualora utilizzati per il trattamento di disassuefazione dagli stati di tossicodipendenza da oppiacei o di alcool‐dipendenza, va effettuata nel rispetto del piano terapeutico predisposto da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata autorizzata. La persona alla quale sono consegnati in affidamento i medicinali è tenuta ad esibire, su richiesta di pubblici ufficiali, la prescrizione medica o il piano terapeutico in suo possesso. 19 I medici sono autorizzati ad approvvigionarsi dei medicinali contenuti nell'allegato III‐bis, attraverso autoricettazione – utilizzando la stessa ricetta ministeriale a ricalco – per uso professionale urgente. In questo caso, una copia della ricetta va conservata dal medico che deve tenere un registro delle prestazioni effettuate, annotandovi le movimentazioni, in entrata ed uscita, dei medicinali di cui si è approvvigionato e che successivamente ha somministrato. Il registro delle prestazioni non è di modello ufficiale e deve essere conservato per 2 anni a far data dall'ultima registrazione effettuata; le copie delle autoricettazioni vanno conservate, come giustificativo dell'entrata, per lo stesso periodo del registro. Per i medicinali contenuti nelle sezioni B , C e D, la prescrizione va effettuata su ricetta non ripetibile, che deve essere trattenuta da parte del farmacista. I medicinali inclusi nella sezione E sono prescrivibili mediante ricetta ripetibile fino a 5 volte, in 30 giorni; se viene prescritta più di una confezione, tuttavia, la ricetta diventa non ripetibile. N.B. È fatto divieto di consegnare sostanze e preparazioni riportate nella tabella dei medicinali a persona minore o manifestamente inferma di mente. Nel caso di persona inferma di mente, si consegna il medicinale al tutore o si somministra al pz la singola dose, aspettando che quest’ultimo l’assuma. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Registro di entrata e uscita I responsabili delle farmacie aperte al pubblico e delle farmacie ospedaliere devono dotarsi di un registro di carico e scarico su cui va annotato, in ordine cronologico, il movimento, in entrata ed in uscita, dei farmaci appartenenti alle sezioni A, B e C della tabella dei medicinali. Tale registro deve essere conservato per 2 anni dal giorno dell’ultima registrazione. Anche le UO delle strutture sanitarie pubbliche e private e dei servizi territoriali delle ASL sono obbligate a detenere il medesimo registro di carico e scarico. Il registro va vidimato dal direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione. Il registro deve essere conservato, in ciascuna UO, dal responsabile dell'assistenza infermieristica, per 2 anni dalla data dell'ultima registrazione. Il dirigente medico dell’UO è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale dei medicinali di cui alle sezioni A, B e C della tabella dei medicinali. Il direttore responsabile del servizio di farmacia compie periodiche ispezioni per accertare la corretta tenuta dei registri di reparto e redige apposito verbale da trasmettere alla direzione sanitaria. Sanzioni Le sanzioni applicate all’utilizzo illecito delle sostanze stupefacenti o psicotrope possono essere di natura: ‐ Penale (art. 73) ‐ Amministrativa (art. 75) La discriminante tra sanzione penale e sanzione amministrativa risiede nell’uso personale della sostanza. La sanzione penale scatta, infatti, per chiunque illecitamente detenga sostanze stupefacenti o psicotrope in quantità maggiori di quelle massime detenibili ad uso personale* – fissate con decreto del ministero della salute – oppure se le modalità di presentazione o le circostanze dell’azione fanno presuppore un uso non personale. *La quantità massima di sostanza detenibile ad uso personale viene calcolata stabilendo, innanzitutto, la singola dose media in mg della sostanza intesa come la quantità di principio attivo, per singola assunzione, idonea a produrre un effetto stupefacente in un tossicodipendente medio (non si fa quindi riferimento alla dose farmacologicamente attiva, dato che l’effetto stupefacente viene condizionato dal grado di tolleranza dell’individuo). Alla singola dose media della sostanza si applica quindi un fattore di moltiplicazione, che indica il numero di dosi detenibili dal soggetto. La sanzione penale viene inoltre applicata a chiunque detenga illecitamente farmaci inclusi nella sez. A della tabella dei medicinali, in quantità superiori a quelle prescritte dal medico curante. La si applica anche a chiunque illecitamente produca o commercializzi sostanze chimiche di base o precursori utilizzati nella produzione clandestina di stupefacenti. Con la legge n°79/2014, le sanzioni penali vengono rese più miti per le sostanze elencate nelle tabelle II e IV, in termini sia di durata della reclusione che di ammontare della multa. Qualora, invece, si configuri una condizione di uso personale, il soggetto viene convocato dal prefetto, il quale: 1. Valuta le sanzioni amministrative da applicare e la loro durata sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla; sospensione della licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla; sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli; sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario. WWW.SUNHOPE.IT 20 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) 2. Invita l’interessato a seguire un programma di riabilitazione presso una struttura qualificata. Se l’interessato si sottopone al programma di riabilitazione, con esito positivo, le sanzioni amministrative vengono revocate. Nel caso in cui l’interessato non si presenti al colloquio con il prefetto, quest’ultimo procede all’applicazione delle sanzioni amministrative. Con la legge n°79/2014, la durata delle sanzioni amministrative viene resa più breve per le sostanze elencate nelle tabelle II e IV Permangono provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica, art.75‐bis, secondo cui, qualora in relazione alle modalità o alle circostanze dell’uso personale possa derivare un pericolo per la sicurezza pubblica, l’interessato che risulti già condannato (per reati contro la persona o il patrimonio, spaccio di stupefacenti, infrazione del CdS) può essere sottoposto ad una o più delle seguenti misure: ‐ Obbligo di rientrare nella propria abitazione entro una determinata ora e di non uscirne prima di un ora prefissata ‐ Divieto di frequentare determinati locali pubblici ‐ Divieto di allontanarsi dal comune di residenza ‐ Divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore ‐ Obbligo di comparire presso comandi di Polizia o Carabinieri negli orari di entrata e di uscita dalle scuole Se l’interessato si sottopone al programma riabilitativo con esito positivo, tali provvedimenti vengono revocati. 21 Tutela del tossicodipendente In tema di tutela del tossicodipendente, al fine di consentire l’adesione a programmi terapeutici di dissuefazione da sostanze stupefacenti o abitudini alcoliche, nonché a programmi socio‐riabilitativi di recupero e reinserimento sociale, il Legislatore ha previsto una serie di agevolazioni per il tossico/alcol dipendente che è intenzionato a curarsi. Tali agevolazioni includono: 1. Arresti domiciliari, come alternativa alla custodia cautelare in carcere, quando imputata è una persona tossicodipendente o alcol‐dipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero e l'interruzione del programma, come conseguenza della carcerazione, possa pregiudicare il recupero dell'imputato. Ciò vale anche se una persona tossicodipendente o alcol‐dipendente, che è in custodia cautelare in carcere, intenda sottoporsi ad un programma di recupero, previa istanza dell’interessato e certificazione attestante l’uso abituale o lo stato di dipendenza da alcol e/o stupefacenti (diagnosticabile mediante la procedura prevista dal Decreto ministeriale n. 186 del 1990). In questo caso, il Giudice dispone i controlli necessari per accertare l’adesione al programma terapeutico. Il responsabile della struttura presso cui si svolge il programma terapeutico di recupero e socio‐ riabilitativo è tenuto a segnalare all'autorità giudiziaria eventuali violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma che comportano la revoca o la sospensione delle agevolazioni. 2. Affidamento in prova al Servizio Sociale 3. Sospensione della pena detentiva WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Tutela della collettività Gli articoli del DPR 309/90 finalizzati alla tutela della collettività, invece, sono: ‐ Art. 108: Azione di prevenzione ed accertamenti sanitari in occasione delle selezioni per la leva o per l’idoneità a mansioni militari ‐ Articolo 109: Stato di tossicodipendenza degli arruolati o dei militari in servizio permanente ‐ Articolo 124: Aspettativa dal lavoro per il lavoratore tossicodipendente che si sottopone ad un programma terapeutico o di riabilitazione, della durata massima di 3 anni ‐ Articolo 125: Accertamenti di assenza di tossicodipendenza in lavoratori destinati a mansioni che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi Le categorie lavorative su cui effettuare accertamenti di assenza di tossicodipendenza sono state delineate nella tabella stilata dalla conferenza stato‐regioni (CSR) del 2007. Tra esse rientrano: ‐ Mansioni inerenti le attività di trasporto ‐ Impiego di gas tossici ‐ Fabbricazione e uso di fuochi di artificio ‐ Posizionamento e brillamento mine ‐ Direzione tecnica e conduzione di impianti nucleari A stabilire, in tali categorie lavorative, i tempi e le modalità dell’accertamento è il DL n. 81 del 2008 (TU in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). Secondo l’art. 41 (sorveglianza sanitaria) del DL, infatti, la verifica dell’assenza di condizioni di alcol‐ dipendenza e di assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope va effettuata dal medico competente – con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità alla mansione – in occasione di: ‐ Visita medica preventiva (post‐assuntiva) ‐ Visita medica periodica ‐ Visita medica su richiesta del lavoratore ‐ Visita medica in occasione del cambio della mansione ‐ Visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro Dal 2009, sono state introdotte anche: ‐ Visita medica preventiva, in fase pre‐assuntiva ‐ Visita medica precedente alla ripresa del lavoro, dopo un periodo di assenza per motivi di salute della durata superiore ai 60 giorni continuativi Il medico competente (MC), per accertare che il lavoratore non assuma sostanze stupefacenti e psicotrope, deve innanzitutto indagare circa: ‐ Pregressi trattamenti per tossicodipendenza ‐ Infortuni lavorativi ed incidenti avvenuti in ambito lavorativo e non ‐ Ritiro della patente di guida o del porto d’armi a seguito di precedenti verifiche medico‐legali ‐ Presenza di segni obiettivi di assunzione abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope ‐ Presenza di segni e sintomi suggestivi di intossicazione in atto da parte delle stesse sostanze Il MC, qualora rilevi alla visita elementi clinico‐anamnestici indicativi d’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, rilascia un giudizio di “temporanea inidoneità alla mansione” e invia il lavoratore al SERT per ulteriori accertamenti, non richiedendo, in tal caso, esami complementari tossicologici di laboratorio. WWW.SUNHOPE.IT 22 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Qualora, invece, NON rilevi segni e sintomi suggestivi di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, procede con accertamenti tossicologici di primo livello che comprendono un test di screening ed un eventuale test di conferma, in caso di non negatività del primo. Tali indagini tossicologiche vengono praticate su di un campione urinario di cui il MC è responsabile della raccolta, che andrà effettuata a vista, per garantirne identità, autenticità e integrità. Il test di screening può essere praticato dallo stesso MC mediante kit immunochimico di diagnostica rapida oppure demandato al laboratorio di riferimento regionale. In caso di negatività del test di screening per ogni classe di sostanze, il MC comunica, per iscritto, al datore di lavoro ed al lavoratore, un giudizio di “idoneità alla mansione in assenza di altre controindicazioni”. In caso di non negatività del test di screening per una o più classi di sostanza, il MC deve richiedere esami di conferma che andranno eseguiti dal laboratorio di riferimento regionale con tecnica cromatografica in fase gassosa o liquida, accoppiata a spettrometria di massa. Se la positività del campione viene confermata, il MC comunica, per iscritto, al datore di lavoro ed al lavoratore, un giudizio di “temporanea inidoneità alla mansione” e invia il lavoratore alla struttura sanitaria competente (Ser.T.), per gli accertamenti di secondo livello, il cui scopo è quello di dimostrare una condizione di tossicodipendenza. Qualora non venga diagnosticata una condizione di tossicodipendenza, il lavoratore sarà comunque sottoposto ad uno specifico monitoraggio individualizzato, per almeno sei mesi, a cura del MC. Qualora, invece, venga diagnosticato uno stato di tossicodipendenza, il lavoratore, per essere riammesso all’esercizio della mansione, dovrà sottoporsi ad un programma terapeutico individualizzato. L’esito positivo del programma terapeutico potrà essere certificato dal Ser.T. solo dopo almeno dodici mesi di remissione completa dall’uso di sostanze tabellate. 23 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) ALCOLISMO Per alcolismo, s’intende uno stato di intossicazione acuta o cronica determinata dall’abuso di bevande alcoliche. Secondo la legge quadro n. 125 del 2001, per bevanda alcolica, s’intende ogni prodotto contenente alcol alimentare con gradazione superiore all’1,2% di alcol in volume e, per bevanda superalcolica, ogni prodotto con gradazione superiore al 21% di alcol in volume. Intossicazione acuta da alcol Può verificarsi sia per ingestione di bevande alcoliche o superalcoliche (modalità di assunzione più frequente) sia per inalazione di vapori di etanolo (quest’ultima evenienza riguarda soprattutto soggetti che vi sono esposti per motivi professionali). Assorbimento L’alcol etilico, assunto per os, viene assorbito, per il 20%, dallo stomaco e, per il restante 80%, dall’intestino. Tra i fattori che influenzano l’assorbimento gastro‐intestinale dell’alcol rientrano: ‐ Quantità di bevanda ingerita ‐ Grado di concentrazione alcolica della bevanda assunta: l’assorbimento è, infatti, tanto maggiore quanto più elevata è la concentrazione di alcol ‐ Concomitante ingestione di cibo che, ritardando lo svuotamento gastrico, rallenta l’assorbimento dell’alcol. Il picco di concentrazione plasmatica dell’etanolo viene infatti raggiunto in 5‐10 min, se l’individuo è a stomaco vuoto; in 40 min, se l’individuo è a stomaco pieno. ‐ Stato della mucosa gastrica che, quando infiammata o lesa, esalta l’assorbimento dell’alcol. I livelli ematici di etanolo sono, inoltre, condizionati da un metabolismo di primo passaggio, che si realizza ad opera dell’alcol‐deidrogenasi, presente sia nella mucosa dello stomaco che nel fegato. N.B. Il metabolismo gastrico di primo passaggio dell’etanolo avviene in misura minore nelle donne che negli uomini e ciò giustificherebbe la maggiore sensibilità mostrata dalle prime verso gli effetti della sostanza. Il 90‐98% della dose assunta di etanolo viene eliminato per metabolismo epatico, principalmente (90%) promosso dall’alcol‐deidrogenasi, che converte l’etanolo in acetaldeide, e dall’acetaldeide deidrogenasi, che trasforma l’acetaldeide in acido acetico, a sua volta, immesso nel ciclo di Krebs. Ogni passaggio metabolico richiede l’apporto di NAD+, la cui disponibilità limita il metabolismo dell’etanolo a circa 8 g o 10 mL l’ora, in un individuo adulto di 70 kg. Il metabolismo dell’etanolo ad opera dell’alcol‐deidrogenasi è influenzato da vari fattori quali: ‐ Età I bambini fino ai 10 anni, infatti, mancano di alcol‐deidrogenasi ‐ Etnia Ad esempio, gli indiani d’America e gli asiatici presentano un’isoforma dell'alcol deidrogenasi con ridotta attività Negli epatociti, il catabolismo dell’etanolo, oltre che dall’alcol‐deidrogenasi, può anche essere mediato da: ‐ Sistema microsomiale di ossidazione dell’etanolo (MEOS), 8% ‐ Catalasi, 2% Sebbene si tratti di vie cataboliche minori, l’attivazione dei MEOS può aumentare, in caso di sovraccarico funzionale da ingestione di alcol, sino al 25% o sino al 50%, nell’alcolista cronico. Il restante 2‐10% dell’etanolo ingerito viene eliminato immodificato attraverso i reni, i polmoni e la cute. WWW.SUNHOPE.IT 24 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Curva alcolemica La concentrazione ematica dell’etanolo segue una curva caratterizzata dalla relativa rapidità della parte ascendente, che corrisponde alla fase di assorbimento post‐ingestione, e dalla lentezza della parte discendente, che corrisponde alla fase di degradazione. Tale andamento indica che, dopo l’ingestione, la concentrazione dell’alcol nel sangue cresce rapidamente, mentre il ritorno ai valori normali avviene in modo più lento. Ciò giustifica il pericolo, anche mortale, legato all’ingestione troppo rapida di elevate quantità di etanolo. La lentezza della fase di degradazione rende infatti conto del pericoloso fenomeno dell’accumulo, che può portare al raggiungimento della dose tossica mortale. Meccanismo d’azione sul SNC L’alcol è un depressore del SNC che agisce stimolando la neurotrasmissione inibitoria, per attivazione dei recettori GABAA e riducendo quella eccitatoria, per inibizione dei recettori NMDA del glutammato. Ciò produce: ‐ Effetti ansiolitici ‐ Innalzamento della soglia di percezione del dolore e del freddo ‐ Diminuzione della coordinazione motoria ‐ Euforia e stimolazione comportamentale, attraverso meccanismi di disinibizione dell’attività di alcuni centri nervosi, per depressione di quelli più elevati deputati al controllo inibitorio Le manifestazioni cliniche dell’intossicazione acuta da alcol variano principalmente in rapporto alla sua concentrazione ematica ma, anche, ad altri fattori, quali: ‐ Tolleranza individuale ‐ Età e stato anteriore del soggetto 25 Alcolemia (g/L) 0,2 0,5‐0,8 0,8‐1,5 > 1,5 > 2,5 Socievolezza, espansività, rossore del volto Diminuzione dei freni inibitori, per azione depressiva sui centri superiori della corteccia cerebrale Deficit delle prestazioni intellettive e sessuali Restringimento del campo visivo Disturbi dell’equilibrio e dei movimenti Aggravamento del deficit delle prestazioni intellettive Allungamento dei tempi di reazione Torpore e sonnolenza Stato conclamato di ubriachezza con atassia ed agrafia Stato prima stuporoso e poi comatoso fino alla morte che si verifica per paralisi dei centri respiratori Ebbrezza patologica Si parla di ebbrezza patologica quando, in un certo individuo, esiste un’abnorme reattività all’alcol. L’ebbrezza può pertanto essere provocata da dosi minime della sostanza. L’esordio è generalmente brusco, con agitazione psicomotoria e disturbi dello stato di coscienza. Frequentemente si verificano disturbi mnesici, per cui il soggetto può perdere completamente o parzialmente i ricordi relativi a fatti commessi durante tale stato. WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Intossicazione cronica da alcol L’intossicazione cronica si manifesta con un lento, ma progressivo, degrado fisico e psichico dell’assuntore, correlato ad uno stato di dipendenza fisica e psichica dall’alcool (sindrome da dipendenza alcolica). Le caratteristiche dell’alcolismo cronico ricalcano quelle proprie di qualsiasi altro stato di tossicodipendenza: 1. Desiderio invincibile di alcolici (craving) 2. Tolleranza, ovvero necessità di aumentare progressivamente le dosi di alcol per ottenere gli stessi effetti (addiction) 3. Dipendenza, prima, psichica e, poi, anche fisica nei confronti dell’alcol (obligation) 4. Comparsa di crisi di astinenza, in caso di brusca sospensione dell’assunzione cronica di alcol; è una conseguenza dello stato di dipendenza fisica. 5. Comparsa di disturbi comportamentali nocivi alla vita di relazione dell’alcoolista ed alla collettività. I diversi quadri clinici dell’intossicazione cronica da alcol si caratterizzano per la coesistenza di alterazioni somatiche e psichiche, di varia importanza e gravità. Tra le alterazioni somatiche più rilevanti rientrano: ‐ Epatopatia alcolica, fino a quadri conclamati di cirrosi epatica ‐ Gastrite cronica ‐ Pancreatite cronica ‐ Miocardiopatia tossica ‐ Alterazioni endocrine (amenorrea ed ipotrofia dei testicoli ‐ Polinevrite alcolica ‐ Alterazioni dei riflessi ‐ Incertezza della deambulazione, del mantenimento della stazione eretta e della coordinazione motoria Per quanto riguarda le sindromi psichiatriche da dipendenza alcolica, vanno menzionate: ‐ Alterazione organica della personalità o pseudo‐psicopatia alcolica. Si manifesta con: Compromissione dei poteri intellettivi e volitivi Deperimento del proprio ruolo lavorativo e familiare ‐ Delirium tremens È caratterizzato da: Allucinazioni a contenuto terrifico, zoopsie e microzoopsie (i malati vedono, cioè, sul proprio corpo mostri, animali ed insetti immondi) Grave episodio di tremore Insonnia ‐ Psicosi di Korsakow Consiste in una sindrome amnesica, con incapacità di ricordare esperienze recenti ‐ Allucinazione alcolica È caratterizzata da allucinazioni prevalentemente uditive (voci) generalmente vissute in condizioni di lucidità di coscienza e correlate a deliri di tipo persecutorio o a contenuto sessuale ‐ Sindrome di Wernicke Consiste nell’associazione di: oftalmoplegia, atassia, disturbi mentali di tipo onirico‐confusionale È stata ricondotta ad un’avitaminosi B1. Può evolvere verso il coma e la morte. ‐ Demenza alcolica ‐ Delirio di gelosia ‐ Malattia di Marchiafava‐Bignami Si tratta di un’encefalopatia da avitaminosi B1. Il quadro clinico è quello di una demenza progressiva WWW.SUNHOPE.IT 26 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) ‐ Sindrome da astinenza alcolica Colpisce l’alcolista cronico in seguito alla brusca sospensione dell’assunzione di alcol. È una conseguenza dello stato di dipendenza fisica. Si manifesta con: Tremori grossolani più frequentemente a carico della lingua e delle mani Ansia Angoscia Insonnia Convulsioni Stato confusionale Ipertensione arteriosa Allucinazioni uditive e visive Diagnosi medico‐legale di abuso di sostanze alcoliche Un abuso RECENTE di sostanze alcoliche può essere dimostrato mediante la determinazione dell’etanolo su: ‐ Sangue ‐ Aria espirata ‐ Saliva ‐ Urina Nel sangue, la concentrazione dell’alcol (alcolemia) è direttamente proporzionale alla quantità assorbita e risulta in equilibrio con l’alcol presente nell’encefalo, responsabile degli effetti sulla persona. La principale problematica correlata all’utilizzo di tale matrice biologica consiste nell’invasività del prelievo che non può prescindere dall’acquisizione preliminare del consenso informato dell’interessato. Il dosaggio dell’alcol sull’aria espirata, mediante etilometro – alcolimetria – risulta particolarmente utile in quanto permette di estrapolare, in maniera indiretta, il livello di alcol nel sangue, senza ricorrere a procedure di prelievo invasive. È noto, infatti, che tra la concentrazione dell’etanolo nel sangue e la concentrazione dello stesso nell’aria espirata vi è un rapporto costante di 1:2100. La quantità di alcol contenuta in 2100 ml di aria alveolare espirata è cioè equivalente a quella presente in 1 ml di sangue. Risulta pertanto necessario che il soggetto espiri almeno 2100 ml di aria. In passato, ciò veniva verificato mediante il riempimento di un palloncino. I moderni etilometri, invece, sono capaci di controllare elettronicamente che il volume dell’aria soffiata nell’etilometro sia quella richiesta al fine di una corretta esecuzione del test diagnostico. La saliva è stata considerata in passato un potenziale campione biologico alternativo al sangue perché è noto il rapporto esistente tra la concentrazione alcolica del siero e quella della saliva. Attualmente, tuttavia, l’uso di questo campione è stato sorpassato, in termini di praticità, dall’impiego dell’aria espirata. Possibili, inoltre, sono contaminazioni salivari da parte dell’alcol appena introdotto nel cavo orale. L’urina consente soltanto un’identificazione qualitativa. WWW.SUNHOPE.IT 27 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Markers di abuso cronico di alcol 1. Gamma‐glutammil‐trasferasi (gamma‐GT) 2. Volume corpuscolare medio degli eritrociti (MCV) 3. Transaminasi (AST ed ALT) 4. Trasferrina carente di carboidrati (CDT) Gamma‐GT Aumenta dopo circa 5 settimane di consistente abuso alcolico (> 60 gr/die uomo; > 40 gr/die donna) Ha una buona sensibilità ed è in grado di indicare un costante abuso alcolico anche a distanza di 1‐2 mesi dall’inizio di un’eventuale fase astinenziale. Manca tuttavia di specificità. MCV L’abuso cronico di alcol ne induce un aumento, per deficit di acido folico. Anche la specificità di tale marker è bassa. Transaminasi È stato dimostrato che la frazione mitocondriale dell’AST aumenta significativamente negli alcolisti e che un rapporto AST/ALT > 2 può discriminare tra danno epatico indotto da abuso alcolico e non. Tuttavia, la sensibilità di questi parametri è piuttosto scarsa CDT Costituisce il marker più sensibile e specifico di abuso cronico di alcol etilico. L’aumento relativo dell’isoforma “disialo” della trasferrina è evidente già dopo 1‐2 settimane di abuso alcolico e rimane apprezzabile anche dopo circa 15 gg di astinenza. 28 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) LEGISLAZIONE IN TEMA DI ALCOLISMO Legge n.125, 30 marzo 2001: legge quadro in materia di alcol e di problemi alcol‐correlati Le finalità che tale legge intende perseguire sono: 1. Tutelare il diritto delle persone, ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all'abuso di bevande alcoliche e superalcoliche 2. Favorire l'accesso delle persone che abusano di bevande alcoliche e superalcoliche e dei loro familiari a trattamenti sanitari ed assistenziali adeguati 3. Favorire l'informazione e l'educazione sulle conseguenze derivanti dal consumo e dall'abuso di bevande alcoliche e superalcoliche; 4. Promuovere la ricerca e garantire adeguati livelli di formazione e di aggiornamento del personale che si occupa dei problemi alcol‐correlati 5. Favorire le organizzazioni del privato sociale senza scopo di lucro e le associazioni di auto‐mutuo aiuto il cui intento è quello di prevenire o ridurre i problemi alcol‐correlati. La Legge modifica alcune norme del codice della strada portando, in particolare, il livello di concentrazione alcolemica tollerabile da 0,8 g/l a 0,5 g/l. Relativamente alla sicurezza sul lavoro, nelle attività lavorative dove sussiste un elevato rischio di infortunio o per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi viene fatto divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche. Per tali mansioni sono quindi previsti controlli alcolimetrici nei luoghi di lavoro, con tasso alcolemico ammesso pari a 0, praticabili esclusivamente dal medico competente o dai medici dei servizi per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro. Le categorie lavorative per le quali è fatto divieto assoluto di assunzione di alcol – e per le quali, quindi, vengono previsti controlli alcolimetrici – sono riportate nella tabella stilata dalla conferenza stato‐regioni (CSR) del 2006. Tra esse rientrano: ‐ Mansioni sanitarie svolte in strutture pubbliche e private ‐ ‐ Vigilatrice di infanzia o infermiere pediatrico e puericultrice, addetto ai nidi materni e ai reparti per neonati e immaturi Mansioni sociali e socio‐sanitarie svolte in strutture pubbliche e private ‐ Attività di insegnamento nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado ‐ Mansioni comportanti l’obbligo della dotazione del porto d’armi, ivi comprese le attività di guardia particolare e giurata ‐ Mansioni inerenti attività di trasporto Ecc.. A stabilire, in tali categorie lavorative, i tempi e le modalità dell’accertamento è il DL n. 81 del 2008 (TU in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). Secondo l’art. 41 (sorveglianza sanitaria) del DL, infatti, la verifica dell’assenza di condizioni di alcol‐ dipendenza e di assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope va effettuata, dal medico competente – con l’intento di esprimere un giudizio di idoneità alla mansione – in occasione di: ‐ Visita medica preventiva (post‐assuntiva) ‐ Visita medica periodica ‐ Visita medica su richiesta del lavoratore ‐ Visita medica in occasione del cambio della mansione ‐ Visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro WWW.SUNHOPE.IT 29 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Dal 2009, sono state introdotte anche: ‐ Visita medica preventiva, in fase pre‐assuntiva ‐ Visita medica precedente alla ripresa del lavoro, dopo un periodo di assenza per motivi di salute della durata superiore ai 60 giorni continuativi Ai lavoratori affetti da patologie alcol‐correlate, che intendano accedere a programmi terapeutici e di riabilitazione, si applica l’art.124 del DPR 309/90: diritto alla conservazione del posto di lavoro per tutta la durata del periodo riabilitativo. 30 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) CODICE DELLA STRADA Alcol e Codice della Strada La guida in stato di ebbrezza è sanzionata dagli articoli 186 e 186 bis del Codice della Strada. Secondo l’articolo 186 del CdS, viene fatto divieto di guidare veicoli con un tasso alcolemico > 0,5 g/L. Va detto, comunque, che il tasso alcolemico ammesso è stato portato a 0 g/L in alcune categorie di conducenti, definiti “particolari”, dall’articolo 186 bis del CdS, introdotto nel 2010. I conducenti in questione sono quelli: ‐ professionali ‐ di mezzi pesanti ‐ con età < 21 anni ‐ che hanno conseguito la patente B negli ultimi 3 anni L’articolo 186 bis del CdS depenalizza inoltre – da sanzione penale ad amministrativa – la guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 0,5 ma inferiore a 0,8 g/L. Per riconoscere lo stato di ebbrezza, gli organi di Polizia possono sottoporre i conducenti ad una valutazione indiretta, non invasiva, del tasso alcolemico, mediante la misura della concentrazione dell’alcol nell’aria alveolare espirata (alcolimetria), effettuata con uno strumento definito etilometro. Il razionale della metodica è costituito dal fatto che tra la concentrazione dell’etanolo nel sangue e la concentrazione dello stesso nell’aria espirata vi è un rapporto costante di 1:2100. La quantità dell'alcol contenuta in 2100 ml di aria alveolare espirata è cioè equivalente alla quantità di alcol presente in 1 ml di sangue. È pertanto necessario che il soggetto espiri almeno 2100 ml di aria. In passato, ciò veniva verificato mediante il riempimento di un palloncino. I moderni etilometri, invece, sono capaci di controllare elettronicamente che il volume dell’aria soffiata nell’etilometro sia quella richiesta al fine di una corretta esecuzione del test diagnostico. Tali strumenti necessitano comunque di una taratura periodica, che deve essere certificata. Il conducente, al momento del fermo, può chiedere di esaminare il certificato di revisione dello strumento. Oltre alla perdita di taratura, un’ulteriore fonte di errore risiede nell’incapacità del soggetto di espirare 2100 ml di aria, per condizioni morbose (come l’enfisema polmonare) o per lo stress e le eventuali lesioni che si determinano in conseguenza di un incidente stradale. L'esame deve essere ripetuto due volte, a distanza di 5‐10 minuti l'una dall'altra. Ciò consente di stabilire, in linea di massima, quanto tempo è passato dall’ultima assunzione di alcol, considerando che la curva alcolemica presenta una morfologia a campana con un tratto ascendente, un picco (steady state) ed un tratto discendente. ‐ Se la seconda misurazione è superiore alla prima, ci si trova nel tratto ascendente della curva ‐ Se le due misurazioni sono uguali, ci si trova al picco ‐ Se la seconda misurazione è inferiore alla prima, ci si trova nel tratto discendente della curva La determinazione indiretta non invasiva dell’alcolemia con etilometro (alcolimetria) ha valore legale e non necessita di conferma mediante dosaggio diretto della concentrazione di etanolo su campione ematico. Un conducente risultato positivo all’alcolimetria può comunque chiedere di sottoporsi, con finalità di tutela personale, ad un prelievo ematico di conferma presso una struttura sanitaria, dato che il dosaggio diretto della concentrazione ematica di etanolo risulta attendibile, riproducibile e privo delle fonti di errore esistenti per l’alcolimetria. WWW.SUNHOPE.IT 31 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Il rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico è reato ed è punito con le stesse pene previste per chi guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: ‐ ammenda da 1500 a 6000 euro ‐ arresto da 6 mesi ad un anno ‐ sospensione patente da 1 a 2 anni ‐ sequestro preventivo del veicolo ‐ confisca del veicolo Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche, l'accertamento del tasso alcolemico viene effettuato da parte delle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate, mediante prelievo ematico. A questo proposito, va detto che il prelievo ematico è sempre consentito se persegue finalità di pronto soccorso, assolvendo i sanitari dall’obbligo di munirsi preventivamente del consenso dell’interessato, dato che la circostanza configura uno stato di necessità. I risultati di tale prelievo ematico sono sfruttabili, nei confronti dell’imputato, per l’accertamento del reato, trattandosi di elementi di prova e restando irrilevante, ai fini dell’utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso. Il prelievo ematico praticato con esclusive finalità processuali ed estraneo alla normale procedura di pronto soccorso, invece, necessita sempre del consenso dell’interessato. In sua assenza, il prelievo risulta illegittimo e quindi inutilizzabile ai fini del procedimento penale 32 WWW.SUNHOPE.IT Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) Sostanze stupefacenti e Codice della Strada Il codice della strada fa riferimento alle sostanze stupefacenti nell’art.187 (guida in stato di alterazione psico‐fisica per uso di sostanze stupefacenti) secondo cui: chiunque guidi in stato di alterazione psico‐ fisica, dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, è punito con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e con l'arresto da sei mesi ad un anno. All'accertamento del reato, consegue, in ogni caso, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Al fine di accertare una stato di alterazione psico‐fisica per uso di sostanze stupefacenti, gli organi di Polizia possono sottoporre i conducenti ad un’analisi estemporanea, non invasiva, su campioni di saliva. Tale analisi, tuttavia, a differenza dell’alcolimetria, non ha valore legale è costituisce solo una procedura preliminare per stabilire quali soggetti condurre presso la più vicina struttura sanitaria, dove dovranno sottoporsi a prelievi di sangue e di urina. L’accertamento della presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope in campioni di liquidi biologici del conducente, non necessita del consenso di quest’ultimo, solo se rientra nell’ambito di un percorso diagnostico‐terapeutico di Pronto Soccorso, avviato in seguito ad incidente stradale. Quando invece è estraneo alle normali procedure di Pronto Soccorso ed effettuato con esclusiva finalità giudiziaria, invece, non può prescindere dal consenso dell’interessato. In caso di rifiuto dell’accertamento, comunque, il conducente è soggetto alle sanzioni previste per chi guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: ‐ ammenda da 1500 a 6000 euro ‐ arresto da 6 mesi ad un anno ‐ sospensione patente da 1 a 2 anni ‐ sequestro preventivo del veicolo ‐ confisca del veicolo WWW.SUNHOPE.IT 33 Materiale elaborato da Luigi Aronne (2015) In materia di CdS, le finalità delle indagini tossicologiche sono: 1. Diagnosi di attualità d’uso 2. Giudizio di idoneità alla guida Diagnosi di attualità d’uso È quella richiesta nell’immediatezza del fermo. Giudizio di idoneità alla guida Viene formulato dalle Commissioni Mediche Locali per la ri‐attribuzione della patente ed è subordinato alla verifica di una condizioni di drug‐free, di uso abituale o di dipendenza da alcol e/o stupefacenti. 34 WWW.SUNHOPE.IT