Analisi Dimensionale in azione di Germano D’Abramo* Introduzione Generalmente nella scuola superiore si fa cenno all'analisi dimensionale solo come strumento di controllo dei risultati degli esercizi di fisica, verificando la coerenza delle dimensioni fisiche del risultato ottenuto, con quelle della grandezza fisica richiesta. Tuttavia, nell'ambito della ricerca scientifica, l'analisi dimensionale costituisce un sorprendente e potente strumento di investigazione e scoperta. Ad esempio, dato un sistema fisico complesso, come la formazione di un'onda d'urto nucleare o la creazione di un cratere d'impatto, e definite tutte le variabili e le costanti fisiche che sembrano descrivere propriamente e completamente il processo, spesso risulta possibile, attraverso l'analisi dimensionale, scrivere in maniera univoca delle leggi matematiche (solitamente leggi di potenza) che forniscono la giusta dipendenza funzionale (dal punto di vista fisico) di una di queste variabili rispetto a tutte le altre. E questo può essere fatto semplicemente prendendo in considerazione le dimensioni fisiche fondamentali di variabili e costanti coinvolte: lunghezza, massa, tempo, carica elettrica (in alcuni casi specifici anche la temperatura) e le loro combinazioni. Parafrasando Michelangelo, forse poco rispettosamente, si potrebbe dire che spesso le leggi matematiche che descrivono i fenomeni fisici sono già scritte nelle unità di misura delle grandezze coinvolte. Un primo assaggio Veniamo ora ad un assaggio semplice e immediato delle potenzialità dell'analisi dimensionale. Supponiamo di non sapere molto di cinematica e di voler ottenere la relazione matematica che lega l'accelerazione centripeta, a, la frequenza di rotazione, ω (la frequenza di rotazione è definita come 2π , dove T è il periodo di rotazione), e la distanza dal centro, r, di un corpo che ruota a velocità T uniforme lungo una traiettoria perfettamente circolare. Euristicamente parlando (e anche in base alla nostra esperienza diretta), è ragionevole immaginare che a dipenda solo da ω e r. Consideriamo allora le dimensioni fisiche di a, ω e r: [a] = L ⋅ T −2 [ω ] = T −1 (1) [r ] = L Il segno [x] significa “le dimensioni fisiche di x”, invece L e T indicano rispettivamente l'unità di misura della lunghezza e l'unità di misura del tempo. Ora, il più semplice modo di ottenere le dimensioni di a è di combinare ω e r nella maniera che segue: ω 2r (2) Va notato che la quantità: a ω 2r (3) è adimensionale e quindi, cambiando l'unità di misura, ad esempio passando da metri a chilometri, risulta invariante. Quindi, abbiamo che la (3) è una costante: a ω 2r =k (4) Cioè: a = kω 2 r (5) che è proprio la dipendenza funzionale che si otterrebbe sviluppando matematicamente la teoria cinematica del moto circolare uniforme. Ovviamente, l'analisi dimensionale può fornire la dipendenza funzionale tra le variabili, ma non è capace di definire le costanti moltiplicative adimensionali (la costante k nel nostro caso). Per queste sono indispensabili una vera teoria fisica o un confronto diretto fra le relazioni ottenute e i dati sperimentali. Il limite di questo metodo di studio è che non sempre è possibile definire univocamente la relazione funzionale tra le variabili coinvolte; anche in questo caso è necessario, in mancanza di una vera teoria, un confronto diretto con i dati sperimentali. Per inciso, nel semplice caso analizzato sopra, vale esattamente a = ω 2 r (cioè la costante adimensionale k è proprio pari a 1). Nel seguito di questo articolo applichiamo le procedure dell'analisi dimensionale a due casi molto diversi fra loro (e con finalità diverse), ma entrambi piuttosto interessanti. Moviola sulla Luna Avete mai visto, proiettati a velocità doppia, i filmati degli astronauti che si muovono sulla superficie lunare? Se provate a farlo vi accorgerete sicuramente di una caratteristica stupefacente: sembrano girati sulla Terra. I movimenti degli astronauti, i sobbalzi del rover motorizzato etc. sembrano proprio quelli naturali che si avrebbero se le stesse operazioni venissero compiute sulla Terra. E’ questo un ulteriore elemento a favore della famigerata teoria secondo la quale la NASA non avrebbe mai portato l'uomo sulla Luna? Molto probabilmente no. In ogni caso qui di seguito mostriamo come questo curioso comportamento sia legato semplicemente alla gravità superficiale dei pianeti. In generale, ogni fenomeno dinamico la cui evoluzione nel tempo dipenda anche dalla gravità di un pianeta (ad esempio, un palazzo che crolla sotto il proprio peso, o una colata di magma che scivola a valle) ha un tempo caratteristico che dipende proprio dalla gravità superficiale. Il tempo caratteristico non è una costante fisica o un numero ben preciso, ma è un concetto generale. Per dare un idea, il tempo caratteristico della vita umana è circa 80 anni, mentre quello della dinamica orbitale dei pianeti interni del Sistema Solare è dell'ordine dell'anno (periodo di rotazione della Terra intorno al Sole). Ad esempio, una delle più semplici equazioni della cinematica ci dice che una biglia che cada da ferma in un campo gravitazionale costante g percorre nel tempo t uno spazio pari a: 1 (6) x = gt 2 2 Invertendo l'equazione (6), si ottiene il tempo in funzione dello spazio percorso: t= 2x g (7) L'equazione (7) ci mostra proprio la dipendenza del tempo caratteristico dalla costante gravitazionale g. Infatti, più grande è g e minore è il tempo impiegato dalla biglia per percorrere in caduta libera lo spazio x. In generale, quindi, i tempi caratteristici con cui si verificano i fenomeni dinamici sulle superfici planetarie con gravità superficiali g 1 e g 2 , scalano come: t1 = t2 g 2 2x g2 , cioè T1 = T2 g1 2 x g1 (8) Nel caso specifico dei filmati lunari il tempo caratteristico lunare T) è pari a: T) = T⊕ g⊕ 9.78 = T⊕ ≈ 2.45T⊕ (9) 1.62 g) Dove T⊕ , g ⊕ e g ) sono rispettivamente il tempo caratteristico terrestre, la costante di gravità superficiale terrestre e quella lunare (ricordiamo che la gravità superficiale lunare è circa 1/6 di quella terrestre). Quindi, T) è poco più di due volte maggiore del tempo caratteristico dei fenomeni dinamici sulla superficie terrestre. E dunque, se aumentiamo di due volte la velocità di proiezione dei filmati lunari, otteniamo proprio l'impressione che i fenomeni dinamici si svolgano con la stessa tempistica dei fenomeni terrestri! E’ necessario tenere presente che la relazione (9) vale solo per i fenomeni che sono soggetti alla forza di gravità: se fosse possibile intravederle, noteremmo che le palpebre degli astronauti battono ad una velocità innaturalmente doppia! In caduta libera Passiamo ora ad un problema fisico più complesso che, in linea di principio, richiederebbe conoscenze matematiche abbastanza sofisticate, ma che attraverso l'analisi dimensionale può essere risolto sorprendentemente in pochi passaggi. In cosmologia e in astrofisica stellare si presenta l'esigenza di stimare il tempo che una nube di gas sferica impiega a collassare idealmente in un punto a causa della sua stessa gravità, quello che si chiama tempo di “caduta libera”. L'approccio standard per risolvere il problema sarebbe quello di scrivere l'equazione del moto di una particella della superficie della nube di gas soggetta alla forza di gravità di tutta la nube, risolverla trovando la legge del moto della stessa e ricavare il tempo che essa impiega a percorrere una distanza pari al raggio della nube. Risolvere tale equazione del moto non è affatto semplice, neanche se si avesse a disposizione una solida preparazione universitaria (invito comunque i lettori più arditi a scrivere quanto meno la suddetta equazione del moto, ricordando che, poiché la nube collassa nel suo insieme, la forza di gravità che una particella più esterna avverte è sempre la forza prodotta da tutta la massa della nube). Attraverso l'analisi dimensionale invece si riesce ad ottenere rapidamente la dipendenza funzionale di questo tempo dai parametri fisici che caratterizzano la nube. Euristicamente ci aspettiamo che la massa M e il raggio R influiscano inevitabilmente sul tempo di caduta libera t cl , in quanto la prima Mm è legata alla forza di gravità ( F = G 2 ) e il secondo alla forza di gravità e alla distanza che la R particella superficiale deve percorrere nel suo moto di caduta. Passando alle costanti fisiche si vede che l'unica significativa per il problema è la costante di gravitazione universale G, dato che la sola forza in gioco nella nostra approssimazione è quella di gravità. Veniamo quindi alle dimensioni fisiche di tutti i parametri e costanti coinvolte: [t cl ] = T [R] = L [M ] = M [G ] = L3 ⋅ T −2 ⋅ M −1 (10) Dopo una rapida analisi delle equazioni (10), si deduce che il modo più semplice e meno ridondante di scrivere t cl in funzione delle altre grandezze è il seguente: t cl ∝ 1 M G 3 R (11) dove il simbolo ∝ significa “proporzionale a”, cioè uguale a meno di una costante moltiplicativa (ricordiamo che nel determinare il valore esatto di queste costanti l'analisi dimensionale non ci aiuta). M L'equazione (11) può essere ulteriormente snellita considerando che il rapporto 3 risulta essere R una quantità proporzionale alla densità iniziale ρ della nube (per una nube sferica, infatti, 3M Massa ), per cui: ρ= = Volume 4πR 3 t cl ∝ 1 Gρ (12) La relazione appena ottenuta corrisponde alla soluzione esatta del problema, a meno di una costante moltiplicativa. Link Utili: Free Fall Time, Wikipedia; http://en.wikipedia.org/wiki/Free-fall_time *Germano D'Abramo è ricercatore presso l'Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e autore di numerose pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali. E’ docente di Matematica e Fisica in un liceo della provincia di Roma.