IL RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E

CAPITOLO VI
IL RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA
DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
di Claudio Miglio
SOMMARIO: 1. La presenza di figli nella famiglia di fatto. — 2. Il progressivo riconoscimento dell’unico status di figlio. Dalla filiazione illegittima alla filiazione
naturale. — 3. Segue: dalla filiazione naturale alla filiazione. — 4. La nuova
famiglia legale non fondata sul matrimonio. — 5. L’attuale portata del criterio di
“compatibilità” enunciato nell’art. 30, co. 3 Cost.: la filiazione nella c.d. famiglia
composita.
1. La presenza di figli nella famiglia di fatto.
La presenza di figli all’interno della coppia non sposata costituisce,
da un lato, il più importante indice di emersione della famiglia di fatto;
dall’altro, l’elemento che ha — più di ogni altro — costretto il
legislatore a considerare le relazioni familiari non formalizzate.
Nel momento, infatti, in cui dall’affectio scaturisce il rapporto di
filiazione, ciò che già poteva costituire “comunità familiare” si arricchisce di nuove relazioni che allargano il nucleo, ampliando la prospettiva dell’unione alla crescita, al mantenimento e all’educazione della
prole. Il progetto di vita comune alla coppia, cioè, necessariamente
assume diverse sfumature, quanto meno per rispondere ai diritti e
doveri che nascono dall’essere genitori (1).
Va da sé, inoltre, che se si discorre di “famiglia di fatto”, non
(1) Sebbene l’art. 250 c.c., in tema di riconoscimento, affermi che « il figlio nato
fuori del matrimonio può essere riconosciuto [...] », non si dubita che il figlio abbia,
infatti, un diritto perfetto al riconoscimento in funzione dell’identità personale ex art.
2 Cost., sub specie d’identità biologica. Cfr. in dottrina E. CARBONE, La filiazione
naturale, in Diritto di famiglia, in S. PATTI, M.G. CUBEDDU (a cura di), Milano, 2011, 823.
In giurisprudenza, cfr. Cass. 27 maggio 2008, n. 13830, in Foro it., 2008, I, 2457; Cass.
11 febbraio 2005, n. 2878, in Foro it., Rep., 2005, voce Filiazione, n. 25; Cass. 3
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possono sorgere dubbi sull’avvenuto riconoscimento del figlio da parte
dei genitori (2), trattandosi di un atto che rappresenta, più di ogni altro
comportamento, la riprova di voler costituire una famiglia con il
partner.
La filiazione nella famiglia di fatto, dunque, seppur si inserisce
nella vexata quaestio che ha interessato la filiazione naturale, riveste
caratteri peculiari, giacché pone l’esigenza di riconoscere tutela ai
diritti fondamentali del minore, non solo come “singolo”, ma anche
come membro della “formazione sociale” nella quale è inserito.
Non manca, anzi, chi sostiene che il rapporto di genitorialità valga
a rendere “legale” l’unione di fatto, fondata « non sul matrimonio ma
sulla generazione » (3).
Una simile riflessione, del resto, trova riscontro nella progressiva
giuridicità assegnata alla famiglia quale “formazione sociale”, in seno
alla quale l’interesse dei figli ad una sana e armonica crescita psicofisica
sovrasta il disfavore sociale ed ideologico un tempo riservato alla
convivenza more uxorio.
Così, se già nell’art. 317-bis c.c. — introdotto con la riforma del ’75
— era consentito alla coppia non sposata, ma convivente, di esercitare
congiuntamente la potestà sui figli, la novella del 2006 ha riconosciuto
il diritto alla bigenitorialità tanto nella fase fisiologica che patologica,
affermando perentoriamente che « la potestà genitoriale è esercitata da
entrambi i genitori » (art. 155, 3 co., c.c.).
Tuttavia, se in un recente passato si discuteva sul senso da attribuirsi alla portata delle citate norme, non essendo pacifico se esse
volessero riconoscere la famiglia di fatto (4), il nuovo art. 315-bis c.c.,
novembre 2004, n. 21088, in ibid., n. 26; Cass. 3 aprile 2003, n. 5115, id., Rep., 2003,
voce Filiazione, n. 37; Cass. 22 ottobre 2002, n. 14894, id., Rep., voce Filiazione, n. 32.
(2) L’accertamento dello status filiationis, anche alla luce della recente riforma,
resta uno dei pochi tratti differenziali tra filiazione nel matrimonio e al di fuori di esso,
stante l’impossibilità — in quest’ultimo caso — che la presunzione di paternità ex art.
231 c.c. possa valere.
(3) Così P. ZATTI, Familia, Familiae — Declinazione di un’idea, II, Valori e figure
della convivenza e della filiazione, in Familia, 2002, I, 358 ss. Secondo S. MASTROIANNI,
Filiazione e famiglia non coniugale, in F. ROMEO (a cura di), Le relazioni affettive non
matrimoniali, Torino, 2014, 364, « con riguardo ai figli, la famiglia di cui (...) questi
ultimi sono chiamati a essere componenti, rispetto a loro, non è più qualificabile come
“di fatto” bensì come “di diritto” ».
(4) Cfr. F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, 34,
secondo il quale sarebbe un errore individuare nell’art. 317-bis c.c. il tracciato per
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introdotto dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219, sembra fugare ogni dubbio
circa il formale riconoscimento della famiglia quale “formazione sociale”. Il diritto del figlio “di crescere in famiglia”, infatti — già peraltro
contenuto nell’art. 1 della legge sull’adozione e in diverse convenzioni
sovranazionali (5) — non può che alludere all’intenzione di voler dare
nuova “giuridicità” anche alla famiglia non fondata sul matrimonio.
Non deve essere confuso, dunque, il diritto del figlio “a crescere in
famiglia”, con un presunto “interesse del figlio alla coniugalità dei
genitori”, anche se la presenza dell’atto matrimoniale si pensa possa
costituire ragione di maggiore stabilità e serenità della comunità familiare (6).
Se la famiglia è il luogo privilegiato di formazione della personalità,
il suo essenziale ruolo non può mutare dalla presenza o meno dell’atto
matrimoniale. È evidente, allora, che sotto questo profilo la tutela che
deve riconoscersi alla famiglia di fatto non può che coincidere con
quella che l’ordinamento accorda alla famiglia fondata sul matrimonio.
Proprio tale necessità ha costituito il fattore che ha inciso, da un
lato, affinché, seppur gradualmente, venisse equiparata la filiazione nel
matrimonio con la filiazione naturale, dall’altro, affinché il legislatore si
riconoscere la famiglia di fatto, in quanto esso si limita a regolamentare l’esercizio
congiunto, o separato, della potestà genitoriale. Nello stesso senso F. D’ANGELI, La
tutela delle convivenze senza matrimonio, Torino, 2001, 48 ss.; F.D. BUSNELLI, M.
SANTILLI, La famiglia di fatto, in G. CIAN, G. OPPO, A. TRABUCCHI (a cura di), Comm. al
dir. it. della famiglia, Padova, 1993, VI, 1, 757 ss. Per l’opinione secondo la quale,
invece, dall’art. 317-bis c.c. emergeva un’ipotesi di famiglia di fatto, cfr. C. GRASSETTI,
voce Famiglia (diritto privato), in Noviss. dig. it., Appendice, III, Torino, 1982, 683 ss.;
F. RUSCELLO, La potestà dei genitori, in Il codice civile, Commentario fondato da P.
SCHLESINGER, diretto da F.D. BUSNELLI, Milano, 1996, 237; G. FERRANDO, Assegno di
divorzio e convivenza more uxorio, in Fam. e dir., 1997, 114 ss.; D. RICCIO, La famiglia
di fatto, Padova, 2007,41-42.
(5) Cfr. gli artt. 9 e 10 della Convenzione ONU del 20 novembre 1989 sui diritti
del fanciullo e l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
(6) Cfr. R. CARRANO, La revisione sistematica del codice e i nuovi rapporti tra
matrimonio e filiazione, in C.M. BIANCA (a cura di), La riforma della filiazione, Padova,
2015, 47, la quale parla dell’interesse alla coniugalità dei genitori « quale specificazione
del diritto di crescere nella propria famiglia » (...) « Sebbene la libertà matrimoniale
non possa essere giuridicamente vincolata, ciò non esclude che tale libertà debba
necessariamente confrontarsi con l’esistenza di un dovere morale del genitore nei
confronti dei propri figli. In particolare, l’atto matrimoniale dei genitori può senz’altro
essere qualificato come un dovere morale il cui adempimento corrisponde ad uno
specifico interesse del figlio » (50).
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occupasse espressamente della famiglia di fatto, così come è accaduto,
ad esempio, in tema di affidamento.
2. Il progressivo riconoscimento dell’unico status di figlio. Dalla
filiazione illegittima alla filiazione naturale.
La tutela dei diritti fondamentali del minore trova preciso riscontro
negli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. (7), negli artt. 315-bis c.c. e ss. nonché nelle
fonti comunitarie (artt. 21 e 24 Carta di Nizza) e sovranazionali (art. 8
e 14 CEDU e art. 3 Convenzione di New York del 1989, ratificata con
l. 176/1991).
Si può dunque sostenere che proprio tale copertura legislativa
multilivello fa sì che la filiazione nella famiglia di fatto presenti, come
si vedrà, i minori problemi in termini d’incertezza di disciplina.
Ciò, tuttavia, non è sempre stato così pacifico; infatti, nonostante la
nostra Carta costituzionale sia molto chiara nello stabilire all’art. 30, 1
co. che « è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare
i figli, anche se nati fuori dal matrimonio », è stata una certa lettura del
3co., a rendere la strada verso una parificazione dello status di figlio
lunga e tortuosa (8).
La lettera dell’art. 30, 3 co., « fra le meno felici della Costituzione » (9), assicurando « ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela
(7) Gli studî della dottrina che hanno proposto una lettura evolutiva delle
disposizioni costituzionali in tema di famiglia hanno avuto il merito di preparare e
accompagnare la grande riforma del 1975. Cfr., per tutti, M. BESSONE, Personalità del
minore, funzione educativa dei genitori e garanzia costituzionale dei diritti inviolabili, in
Giur. merito, 1975, I, p. 346; ID., Rapporti etico-sociali, in G. BRANCA (a cura di),
Commentario della Costituzione, sub artt. 29-31, Bologna-Roma, 1976, 86 ss.
(8) Per una chiara sintesi del dibattito che animò l’Assemblea costituente sul
punto, cfr. C. GRASSETTI, I principi costituzionali relativi al diritto familiare, in P.
CALAMANDREI, A. LEVI (a cura di), Commentario sistematico alla Costituzione italiana,
Firenze, 1950, I, 305 ss.; M. GIORGIANNI, Problemi attuali di diritto familiare, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1956, 749 ss. Cfr. G. FERRANDO, La filiazione naturale, in P. RESCIGNO
(diretto da), Tratt. dir. priv., IV, II ed., Torino, 1997, 109 ss.
(9) Così C. GRASSETTI, I principi costituzionali relativi al diritto familiare, 307. Cfr.
anche R. NICOLÒ, La filiazione illegittima nel quadro dell’art. 30 della Costituzione, in
Dem. dir., 1960, II, 7, secondo il quale « vero è che i costituzionalisti spesso accusano
civilisti e penalisti di una certa incomprensione delle norme costituzionali, ma non c’è
dubbio che molte di queste ultime hanno un aspetto ambiguo, hanno, cioè, l’aspetto di
norme che dicono molto e significano poco; tra queste, certamente, vi è il terzo comma
dell’art. 30 ».
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giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia
legittima », ha prestato — soprattutto nel passato (10) — il fianco ad
interpretazioni volte a sottolineare comunque la preminenza della
famiglia legittima (nel suo significato più stretto) (11) sulle altre formazioni sociali.
In un contesto così fortemente influenzato (12), si cercava attraverso il favor che il legislatore aveva per le situazioni familiari “legittime” di disincentivare scelte alternative al modello matrimoniale (13).
(10) Cfr. ad esempio, G. AZZARITI, Dichiarazioni costituzionali e riforme legislative
in tema di filiazione legittima, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, p. 827 ss.; V. DEL
GIUDICE, Sulla riforma degli istituti familiari, in Jus, 1950, 304; A. PINO, Ai margini di un
progetto di legge di riforma del diritto di famiglia, in Jus, 1961, 344; G. SCADUTO,
Filiazione naturale, famiglia legittima e adozione, in Iustitia, 1965, 205. Hanno, invece,
sostenuto la natura programmatica delle norme in tema di filiazione G.B. FUNAIOLI,
Corso di diritto civile. La filiazione naturale, Pisa, 1949-50, 147; D. BARBERO, I diritti
della famiglia nel matrimonio, in Jus, 1956, 63 ss.
(11) Cioè come nucleo familiare rappresentato dai coniugi e dai figli legittimi;
così C. GRASSETTI, I principi costituzionali relativi al diritto familiare, 307 ss.; M.
GIORGIANNI, Problemi attuali di diritto familiare, 752; R. NICOLÒ, La filiazione illegittima
nel quadro dell’art. 30 della Costituzione, 8. Cfr. anche Corte cost., 14 aprile 1969, n. 79,
in Giur. it., 1969, I, 1219; in Foro it., 1969, I, 1033 ss.
(12) Sin dal diritto romano si distinguevano filii iusti o legitimi e figli naturales o
vulgo concepiti. In particolare fu la legislazione francese, recepita poi dal codice civile
italiano del 1865, a dettare una disciplina fortemente discriminatoria per i figli nati
fuori dal matrimonio in ossequio al principio espresso dallo stesso Napoleone, secondo
il quale: « la società non ha veruno interesse perché i bastardi siano riconosciuti » (cfr.
J.G. LOCRÉ, Legislazione civile, commerciale e criminale, ossia commentario e compimento dei codici francesi, II, trad. it. a cura di G. Goffi, Napoli, 1840, 72). Per una più
approfondita disamina dell’evoluzione e delle ragioni della discriminazione tra figli
legittimi e naturali che, in questa sede porterebbe a distogliere l’attenzione dal
problema oggetto di trattazione, cfr. P. UNGARI, Il diritto di famiglia in Italia, Bologna,
1970, 67 ss.; G. FERRANDO, La filiazione naturale, 101 ss.
(13) Cfr. G. FERRANDO, Diritto di famiglia, Bologna, 2013, 144-145; ID., La
filiazione naturale, 106-107, la quale evidenzia che « la discriminazione della prole
naturale non era in funzione di tutela della famiglia legittima, ma aveva come scopo
immediato la repressione delle unioni non coniugali. Essa operava perciò nel senso di
un rafforzamento della famiglia intesa come istituzione con eminenti caratteri pubblicistici ». L’A. riporta il testo della Relazione a S.M. il Re Imperatore del Ministro
Guardasigilli Solmi, presentata nell’udienza del 12 dicembre 1938 per l’approvazione
del testo delle disposizioni sull’applicazione delle leggi in generale e del primo libro del
codice civile ove si osserva che: « (la ragione giustificativa delle norme del vecchio
codice) non consiste più essenzialmente nella tutela dell’individuo, bensì sempre ed in
ogni caso nella protezione degli interessi superiori e permanenti della comunità
nazionale, che trascendono la breve vita dei singoli ».
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Ciò ha riguardato — e ancora per molti profili riguarda — non
soltanto il rapporto giuridico tra i partner, ma soprattutto ha interessato
il rapporto di filiazione creando notevoli disparità tra figli legittimi e
figli naturali. Quasi che le colpe dei genitori dovessero ricadere giuridicamente sui figli (14).
Lo stesso attributo “illegittimo”, di antica tradizione (15), ben
evidenziava il principio secondo il quale, per essere conforme alla legge,
la filiazione presupponesse il vincolo matrimoniale tra i genitori e che
quindi rapporti di famiglia in senso proprio potessero radicarsi esclusivamente nell’ambito del matrimonio (16).
Nonostante i progressi del codice del 1942 rispetto alla previgente
legislazione (17), la pienezza dello status e l’inserimento nella famiglia
era attribuita alla sola filiazione legittima che godeva di ogni tutela: nei
confronti dei genitori obbligati al mantenimento, all’educazione ed
(14) Esemplare di tale pensiero sono le parole di S. LENER, Principi etici e di
diritto pubblico generale, in AA.VV., La tutela giuridica dei figli nati fuori del matrimonio,
Milano, 1966, 7, per il quale « è chiaro che tale diversità, e diciamo pure inferiorità di
posizione giuridico-familiare, non contrasta punto la con pari dignità di persona umana
spettante per nascita a tutti gli individui », e ancora: « gli illegittimi van detti bensì figli
nel senso biologico della parola, ma non anche in senso giuridico rigorosamente
scientifico » (p. 13).
(15) Per una chiara ricostruzione in chiave storica, dal Code Napoléon alla
riforma del ’75, cfr. G. FERRANDO, La filiazione naturale e la legittimazione, in P.
RESCIGNO (diretto da), Trattato dir. priv., Torino, 1997, 101 ss.; M. DOGLIOTTI, La
filiazione fuori del matrimonio, in Il codice civile, Commentario fondato da P. SCHLESINGER, diretto da F.D. BUSNELLI, Milano, 2015, 29 ss.
(16) Cfr. A. CICU, La filiazione, in F. VASSALLI (diretto da) Tratt. dir. civ. it., III,
2,1°, II ed., Torino, 1958, p. 5 ss.
(17) Cfr. F. SANTORO-PASSARELLI, La filiazione naturale nel progetto di codice civile,
in Studi Urbinati, 1930, fasc. 3-4, 1 ss.; R. NICOLÒ, La filiazione illegittima nel quadro
dell’art. 30 della Costituzione, 5-6. Il codice del 1942 ammetteva, per esempio, la ricerca
di paternità con maggiore ampiezza: ai casi di ratto e stupro violento previsti dal codice
del 1865, aggiungeva i casi elencati nell’art. 269 (notoria convivenza come coniugi dei
genitori, risultanza indiretta da sentenza civile o penale o da non equivoca dichiarazione scritta del genitore, ratto o violenza carnale, possesso di stato di figlio naturale).
Per il dibattito che ha preceduto l’approvazione del primo libro del codice civile, cfr.
M. BESSONE, V. ROPPO, Il diritto di famiglia. Evoluzione storica, principi costituzionali e
lineamenti della riforma, III ed., Torino, 1980, 333 ss.; U. MAJELLO, Profili costituzionali
della filiazione legittima e naturale, Napoli, 1965, 86 ss. Inoltre, in talune limitate ipotesi
consentiva l’accertamento di stato anche a favore di categorie di figli che per il passato
ne erano rigorosamente escluse (artt. 251 e 252). In ogni caso l’accertamento di stato
era ammissibile solo quando già a priori fosse esclusa qualsiasi possibilità di interferenza tra i diritti dei figli adulterini e i diritti della famiglia legittima.
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all’istruzione (art. 147 c.c.), degli ascendenti, anch’essi tenuti al mantenimento ex art. 148, ultimo comma, c.c., ed anche dei parenti,
soggetti in determinate circostanze all’obbligo alimentare (art. 433 c.c.).
Senza contare, inoltre, le forti differenze che si riscontravano in
ambito successorio ove ai figli legittimi era infatti riservata una quota
indisponibile dell’eredità, doppia rispetto a quella prevista per i figli
naturali e in tema di prova della filiazione, informato al principio per
cui alla verità biologica doveva preferirsi la tutela, sempre e comunque,
della famiglia legittima (18).
Il forte impulso della dottrina, così come del lavoro delle Corti, in
concomitanza con le rilevanti modificazioni della società e del costume
che hanno interessato il Paese, si è imposto su una lettura conservatrice
delle norme costituzionali, preparando il terreno per la grande riforma
del 1975 (19).
La dottrina maggioritaria (20) e l’orientamento pratico della giurisprudenza (21) interpretarono il 3 co. dell’art. 30 Cost. alla luce degli
(18) Non erano riconoscibili, ad esempio, i figli adulterini in favore dei quali in
origine era previsto esclusivamente un obbligo alimentare e un assegno vitalizio in sede
successoria, finché la Corte cost., con sent. 8 maggio 1974, n. 121 (in Foro it., 1974, I,
1981), non dichiarò la illegittimità costituzionale dell’art. 279 del codice civile « nella
parte in cui, nei casi previsti dall’art. 278 e in ogni altro caso in cui non possa più
proporsi l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, non riconosce al figlio
naturale, nelle tre ipotesi indicate nello stesso articolo e in aggiunta al diritto agli
alimenti, quello al mantenimento, alla educazione e all’istruzione ».
(19) Cfr. le posizioni della dottrina in AA.V.V., La riforma del diritto di famiglia
(Atti del Convegno di Venezia), Padova, 1972.
(20) Cfr. per tutti P. BARILE, La famiglia di fatto: osservazioni di un costituzionalista, in La famiglia di fatto (Atti del Convegno), Napoli, 1975, 4 ss.
(21) Si può ricordare, tra le prime pronunce, la sentenza della Corte costituzionale n. 54 del 6 luglio 1960 (in Foro it., 1960, I, c. 1068), ove si legge che: « quel che
si desume, sia dal testo dello stesso art. 30, co. 3, sia dal travaglio che portò,
nell’Assemblea costituente, alla sua formulazione definitiva, è [...] un innegabile favore
per la prole naturale ». Ne derivò, dunque, l’incostituzionalità di quelle disposizioni
intese a riservare alla prole naturale un trattamento discriminatorio: v. Corte cost., 14
aprile 1969, n. 79, con riguardo agli artt. 467, 468 e 577 c.c. (in Giur. it., 1969, I, 1219;
in Foro it., 1969, I, 1033 ss.); Corte cost., 30 aprile 1973, n. 50, relativamente agli artt.
539, 545 e 546 c.c. (in Foro it., 1973, I, 1684, con nota di A. PIZZORUSSO; in Giur. it.,
1973, I, 1223; in Dir. fam. pers., 1973, I, 616; in Giust. civ., 1973, III, 152); Corte cost.,
27 marzo 1974, n. 82, che si pronunciò sugli artt. 575 e 435 c.c. (in Foro it., 1974, I,
1293 ss.); Corte cost., 4 luglio 1979, n. 55 a proposito dell’art. 565 c.c. (in Foro it., 1979,
I, 1941; in Giur. it., 1979, I, 1684, con nota di A. ZORZI GIUSTINIANI; in Giust. civ., 1979,
III, 114; in Giur. it., 1980, I, 1222, con nota di G. FERRANDO). Per un’analisi ed
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artt. 2, 3 e 30, 1 co., Cost., ossia secondo un’interpretazione evolutiva
della Carta costituzionale affatto discriminatoria. Si affermò, infatti, che
l’art. 30 costituisce « principio sovrastante ad ogni altro alla luce del
quale bisogna ricostruire e chiarire il senso e la portata degli altri
comma della Costituzione » (22).
In quest’ottica la riforma del 1975 ha provveduto ad applicare i
principî enunciati negli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. procedendo, da un lato,
a rendere sostanziale l’eguaglianza tra coniugi nei rapporti personali,
patrimoniali e nei confronti dei figli (artt. 143 ss., 159 ss., 316, 320 e 324
c.c.), dall’altro, a parificare la posizione giuridica dei figli legittimi e
naturali (non più definiti illegittimi) (23).
In altre parole, mutò la concezione della famiglia, non più intesa
come “istituzione”, portatrice di interessi superiori o pubblici, ma
come “formazione sociale”, orientata alla protezione dei diritti della
persona (24), a prescindere dalla presenza dell’atto matrimoniale; e ciò
soprattutto in presenza di figli.
un’attenta rassegna della giurisprudenza costituzionale, v. F. UCCELLA, Appunti sulla
giurisprudenza costituzionale in tema di diritto di famiglia, in Giur. cost., 1978, I, 1059
ss.; P. VITUCCI, Il nuovo diritto di famiglia nella giurisprudenza della Corte cost., in Dir.
fam. pers., 1979, 304 ss.
(22) Così P. RESCIGNO, La tutela dei figli nati fuori del matrimonio, in Riv. dir.
matr.,1965, 35. V. anche M. GIORGIANNI, Problemi attuali di diritto familiare, cit., 751;
S. RODOTÀ, Intervento, in La riforma del diritto di famiglia, (Atti del I Convegno di
Venezia), Padova, 1967, 94; P. ZATTI, Rapporto educativo e intervento del giudice, in M.
DE CRISTOFARO, A. BELVEDERE (a cura di), L’autonomia del minore tra famiglia e società,
Milano, 1980, 212.
(23) Cfr. Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Giust. civ., 1998, I, 1759 ss.; in
Dir. fam., 1998, 1349 ss.; in Giust. cost., 1998, 1419; in Giur. it., 1998, 1783 ss. con nota
di R. COSSU; in Nuova giur. civ. comm., 1998, 678 ss., con nota di G. FERRANDO, secondo
la quale: « l’effettiva attuazione dei principi costituzionali a tutela della filiazione
naturale può ritenersi una delle principali caratteristiche della riforma del diritto di
famiglia, evidenziata dall’attribuzione di specifici contenuti al canone della equiparazione dei figli — naturali e legittimi — e dalla connotazione di assolutezza riferita al
valore della procreazione ».
(24) Sul punto cfr. G. FURGIUELE, Libertà e famiglia, Milano, 1979, 73 ss.; P.
RESCIGNO, La tutela della personalità nella famiglia, nella scuola, nelle associazioni, in
Studi in onore di G. Chiarelli, IV, Milano, 1974, 4003 ss.; G.B. FERRI, Persona umana e
formazioni sociali, in Iustitia, 1977, 88; P. PERLINGIERI, Riflessioni sull’« unità della
famiglia », in Dir. giur., 1970, 12; P. PERLINGIERI, La personalità umana nell’ordinamento
giuridico, Camerino-Napoli, 1972, 14; ID., Sui rapporti personali nella famiglia, in Dir.
fam. pers., 1979, 1254 ss.; P. PERLINGIERI, I diritti del singolo quale appartenente al
gruppo familiare, in Rass. dir. civ., 1982, I, 73; F. PROSPERI, La famiglia non « fondata sul
matrimonio », Camerino-Napoli, 1980, 71 ss.
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Può dirsi che a seguito della riforma, indipendentemente dalla
natura della filiazione, il figlio ha ricevuto piena tutela giuridica nei
confronti del proprio genitore, di guisa che il rapporto genitore-figlio
sin d’allora si presenta nella sostanza omogeneo, a prescindere dalla
sussistenza del vincolo matrimoniale. Attraverso il combinato disposto
degli artt. 261 c.c., 317-bis c.c. e 316 c.c., infatti, al riconoscimento
seguiva l’assunzione di tutti i diritti e i doveri genitoriali (25).
L’attuazione del principio di eguaglianza tra figli legittimi e naturali
è stata negli anni successivi ulteriormente sviluppata dalla Corte costituzionale per rimuovere residue disparità di trattamento, ancora presenti nella trama del codice civile o di leggi speciali (26), così come per
ampliare la possibilità di accertare la filiazione naturale (27).
Lo stesso è avvenuta anche nella giurisprudenza ordinaria, specie
con riguardo alle regole da applicarsi in seguito alla crisi della convivenza tra i genitori. Questioni non espressamente disciplinate, come
quelle dell’affidamento dei figli (28), del loro mantenimento (29), del(25) Cfr. ex plurimis Cass. 22 novembre 2000, n. 15063, in Giust. civ., 2001, I,
1296, secondo la quale: « nel nostro ordinamento il riconoscimento del figlio naturale
comporta, a norma dell’art. 261 c.c., tutti i doveri propri della procreazione legittima,
compreso quello dell’assunzione dello status genitoriale, e, quindi, dell’obbligo di
mantenimento, a partire, ovviamente, dalla nascita del figlio ».
(26) Cfr. Corte cost., 26 giugno 1997, n. 203, in Giur. it., 1998, I, 206, con nota
di L. PASOTTI, relativa al ricongiungimento familiare; Corte cost., 3 luglio 2000, n. 250,
in Foro it., 2001, I, 1100, relativa all’art. 803 c.c.; Corte cost., 24 luglio 2000, n. 332,
relativa ai requisiti necessari per essere reclutati nel Corpo della Guardia di Finanza;
Corte cost., 20 luglio 2004, n. 245, relativa all’art. 291 c.c.; Corte cost., 11 marzo 2009,
n. 86, a proposito della rendita INAIL a favore dei figli del lavoratore deceduto.
(27) Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Foro it., 2004, I, 1053 ss.; in Giur.
cost., 2002, 4068, con nota di C.M. BIANCA, La Corte costituzionale ha rimosso il divieto
di indagini sulla paternità e maternità di cui all’art. 278, comma 1, c.c. (ma i figli
irriconoscibili rimangono), in Guida al dir., 2002, 48, 44, con nota di A. FINOCCCHIARO,
in Fam. dir., 2003, 119, con nota di M. DOGLIOTTI, La Corte costituzionale interviene solo
a metà sulla filiazione incestuosa, in Familia, 2003, 841, con note di LANDINI e G.
FERRANDO, con la quale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 278 c.c. nella parte in cui
escludeva la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità e le relative
indagini, nei casi in cui il riconoscimento dei figli incestuosi era vietato. Cfr. anche
Corte cost., 10 febbraio 2006, n. 50, in Guida al dir., 2006, 9, 58 ss., con commento di
M. Finocchiaro, Un’inutile duplicazione di giudizi non più al passo con i tempi; in Corr.
giur., 2006, 497, con nota di V. CARBONE.
(28) V. subito infra § 6.
(29) Cfr. Cass. 20 aprile 1991, n. 4273, in Giur. it., 1991, I, 634; Cass. 26 giugno
1987, n. 5619, in Rep. Foro it., 1987, voce Filiazione, n. 90.
2139
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
l’esercizio della potestà, dell’assegnazione della casa coniugale (30),
della rilevanza degli accordi tra i genitori, sono state decise sul presupposto che i diritti dei figli debbano essere protetti in modo eguale nel
e fuori del matrimonio.
Il processo di parificazione dei figli naturali e legittimi è stato poi
ulteriormente proseguito dal legislatore del 2006 che, nel dettare le
norme in tema di affidamento condiviso (art. 4, 2 co., l. n. 54/2006), ha
unificato le regole sostanziali applicabili a seguito della disgregazione
della coppia genitoriale, sia essa o meno legata dal vincolo matrimoniale (31), confermando così un modello legale di famiglia squisitamente
“genitoriale”.
Nel momento della crisi della coppia v’è sempre, infatti, la necessità di salvaguardare in via prioritaria l’interesse dei figli, da intendersi
come sintesi di quel complesso di situazioni giuridiche soggettive a loro
afferenti, che riguardano non solo gli aspetti patrimoniali e personali,
ma anche quelle facoltà autodeterminative riconosciute pure in sede
processuale al minore.
Gli aspetti sostanziali (artt. 155 ss. c.c.) sui quali è intervenuta la
novella del 2006 hanno riguardato, in particolare: (i) l’affidamento dei
figli; (ii) l’esercizio della potestà nei loro confronti; (iii) l’assegnazione
della casa familiare; (iv) gli interventi correttivi e sanzionatori da parte
del giudice. Tutti aspetti che sono stati recepiti e sviluppati, in assenza
di una disciplina specifica, dalla dottrina e dalla giurisprudenza che
avevano elaborato regole operative per risolvere il conflitto tra genitori
non sposati.
Ancora restavano, tuttavia, evidenti situazioni discriminatorie,
(30) Cfr. Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, che ha stabilito che in presenza di
figli, nati da una convivenza more uxorio, la casa familiare, indipendentemente da chi
sia il titolare del diritto di proprietà, debba essere assegnata al genitore affidatario. Ciò
al fine di tutelare gli interessi primari della prole. Del pari, cfr. Corte cost., 21 ottobre
2005, n. 394, in Giur. cost., 2005, 5, secondo la quale « il dovere di mantenere, istruire
ed educare i figli e di garantire loro la permanenza nello stesso ambiente in cui hanno
vissuto con i genitori deve essere assolto tenendo conto, prima che delle posizioni di
terzi, del diritto che alla prole deriva dalla responsabilità genitoriale di cui all’art. 30
Cost. ».
(31) Cfr. G. FERRANDO, La filiazione: problemi attuali e prospettive di riforma, in
Fam. e dir., 2008, 637 ss.; M. SESTA, La nuova disciplina dell’affidamento dei figli nei
processi di separazione, divorzio, annullamento matrimoniale e nel procedimento riguardante i figli nati fuori del matrimonio, in M. SESTA, A. ARCERI (a cura di) L’affidamento
dei figli nella crisi della famiglia, Torino, 2012, 15.
2140
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
tanto in ambito successorio, quanto nel rapporto di parentela. Seppur
poteva discorrersi di famiglia di fatto, era ciononostante impedito ai
figli di avere legami giuridici con i parenti dei genitori (32).
3. Segue: dalla filiazione naturale alla filiazione.
Il percorso verso il riconoscimento di un unico status di figlio è
stato portato a termine con la l. 10 dicembre 2012, n. 219 ed il
successivo d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 (33) che, superando quella
(32) Il figlio naturale non aveva dunque diritti successori nei confronti dei
collaterali, salvo che nei confronti dei fratelli naturali in mancanza di altri successibili
all’infuori dello Stato (Corte cost., 4 luglio 1979, n. 55, cit.). V. anche Corte cost., 24
marzo 1988, n. 363, in Giur. cost., 1988, I, 1500; Corte cost., 12 aprile 1990, n. 184, in
Rass. dir. civ., 1991, I, 422, con nota di F. PROSPERI; Corte cost., 7 novembre 1994, n.
377, in Giust. civ., 1995, I, 84, in Fam. e dir., 1995, 5, la quale negava qualsiasi diritto
successorio ai parenti naturali dimostrando che non vi sarebbe stato contrasto con i
propri precedenti del 1979 e del 1990 in ragione del fatto che le decisioni anteriori
fondavano il diritto successorio del fratello naturale non sul rapporto di parentela, ma
sul fatto naturale della consanguineità. Ha confermato tale indirizzo anche Corte cost.,
15 novembre 2000, n. 352, in Giust. civ., 2001, I, 591, con nota di C.M. BIANCA, I
parenti naturali non sono parenti? La Corte costituzionale ha risposto: la discriminazione
continua; in Fam. e dir., 2001, 631, con nota di G. FERRANDO, Principio di uguaglianza,
parentela naturale e successione, in Familia, 2001, 498, con nota di M. DELLACASA, La
vocazione a succedere dei parenti naturali tra garanzie costituzionali e normativa codicistica, Nella giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. 10 settembre 2007, n. 19011, in
Giust. civ., 2008, I, 2477, in Fam. e dir., 2008, 21, con nota di A. RENDA, Le incerte sorti
della parentela naturale tra resistenze giurisprudenziali e prospettive di riforma. Si
discosta invece Cass. 6 ottobre 2006, n. 21628, in Mass. Giust. civ., 2006, la quale ha
ritenuto legittima l’interpretazione del giudice di merito riguardo all’art. 565 c.c. che,
nel determinare la portata precettiva della norma, ha ritenuto i parenti naturali
equiparati a quelli legittimi.
(33) L’art. 1, 11 co., della l. n. 219/2012 è norma immediatamente precettiva con
la quale si è stabilito che le parole “figli legittimi” e “figli naturali” contenute nel codice
civile siano sostituite dall’unica parola “figli”. Sotto questo profilo, dunque, l’adeguamento del codice civile è avvenuta automaticamente, al momento dell’entrata in vigore
della legge. Il legislatore ha fatto invece ricorso allo strumento della delega legislativa
laddove il processo di adeguamento era più ampio e complesso, richiedendo un’attenta
ricognizione normativa (anche extracodicistica), finalizzata ad adeguare tutta la disciplina vigente in materia di filiazione al nuovo schema concettuale introdotto dalla l. n.
219. Per un primo esame della riforma cfr. C.M. BIANCA, La legge italiana conosce solo
figli, in Riv. dir. civ., 2013, I, 1 ss.; A. GRAZIOSI, una buona novella di fine legislatura: tutti
i « figli » hanno eguali diritti dinanzi al tribunale ordinario, in Fam. e dir., 2013, I, 263
ss.; M. SESTA, L’unicità dello status di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari,
in Fam. e dir., 2013, 231; G. FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali,
2141
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
“discriminazione sistematica” (34) tra figli legittimi e figli naturali, ha
eliminato qualsiasi aggettivazione giuridica dello status filiationis,
dando così piena attuazione all’art. 30 Cost. e agli obblighi imposti a
livello comunitario ed internazionale (35).
Sotto quest’ultimo profilo, anzi, non può tralasciarsi il peso che ha
avuto la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (36), la
quale ha sancito univocamente e a più riprese l’assoluta uguaglianza di
diritti e di modalità di tutela tra tutte le categorie di figli nella relazione
con i genitori. Dalla giurisprudenza formatasi nell’ambito dell’art. 8
della Convenzione emerge chiaramente come non possa distinguersi tra
famiglia legittima e famiglia naturale per quanto riguarda il diritto dei
figli alla relazione con i genitori (37). D’altronde, l’art. 14 della medesima Convenzione vieta ogni discriminazione fondata sulla nascita.
ivi, 527 ss.; F. PROSPERI, Unicità dello « status filiationis », e rilevanza della famiglia non
fondata sul matrimonio, in Riv. crit. dir. priv., 2013, 273 ss. Si vedano, poi, i contributi
di C.M. BIANCA, M. VELLETTI, S. TROIANO, T. AULETTA, G. FREZZA, L. BALESTRA, M.
BIANCA, M. COSTANZA, G. BALLARANI, P. SIRENA, A. BELLELLI, M. PARADISO, in Nuove leggi
civ. comm., 2013, I, 437-648.
(34) Così si esprime la relazione illustrativa al d.lgs. 154 del 2013. Le differenze,
ad esempio, che vi erano nell’ambito del diritto successorio sono state ritenute tali per
cui, affermare « che la posizione dei figli naturali fosse equiparata a quella dei figli
legittimi e che i primi avessero i medesimi diritti dei secondi è parzialmente vero, anzi,
meno eufemisticamente, è falso ». Così V. BARBA, La successione mortis causa dei figli
naturali dal 1942 al disegno di legge recante « Disposizioni in materia di riconoscimento
dei figli naturali », in Fam. pers. e succ., 2012, 645 ss.
(35) Già altri Paesi europei, in ossequio all’art. 21 della Carta di Nizza che vieta
ogni discriminazione basata sulla nascita, avevano anticipato il legislatore italiano. Sulla
riforma tedesca del 25 settembre 1997, cfr. D. HENRICH, La riforma del diritto di
filiazione in Germania, in Annuario del diritto tedesco, a cura di S. Patti, 1998, 33; A.
DIURNI, La riforma del IV libro del BGB: il nuovo diritto di filiazione, ivi, 1998, 47. In
Francia, la l. 3 dicembre 2001, n. 2001-1135 ha eliminato ogni distinzione fra figlio
legittimo e figlio naturale dal punto di vista successorio e la l. 4 marzo 2002 ha
uguagliato tutte le forme di filiazione; successivamente, con l’ordonnance n. 2005-759
del 4 luglio 2005 (entrata in vigore il 1° luglio 2006) è stata eliminata dal codice civile
qualsiasi discriminazione tra figli. Anche nel Regno Unito, il Family Reform Act del
1987, nel disciplinare i rapporti tra genitori e figli, prescinde dal legame di coniugio tra
genitori.
(36) Cfr. sul tema G. FERRANDO, Il contributo della CEDU all’evoluzione del
diritto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2005, 263; G. ZAGREBELSKY, Corte,
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e sistema europea di protezione dei diritti
fondamentali, in Foro it., 2006, IV, 353.
(37) Così, ad esempio, la giurisprudenza della Corte EDU ha a più riprese
affermato l’illegittimità di quegli ostacoli, frapposti in base alla normativa nazionale,
per l’instaurarsi del vincolo di filiazione. Strasburgo ha più volte condannato gli Stati
2142
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo si pone così in perfetta
sintonia con la Consulta che, più volte, ha richiamato il concetto di responsabilità genitoriale per ribadire che i diritti dei figli devono essere
garantiti a prescindere dalla relazione giuridica tra i genitori, in quanto
« la condizione giuridica dei genitori tra di loro, in relazione al vincolo
coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli » (38).
Sebbene già la riforma del ’75 avesse, con la modifica dell’art. 261
c.c., “equiparato” il regime giuridico del rapporto genitore-figlio, la
recente novella ha provveduto alla “unificazione” degli status, alla quale
ha fatto seguito una rinnovata concezione del rapporto genitoriale
informato alla “responsabilità”. Si abbandona quella concezione del
minore come individuo sottoposto alla tutela genitoriale quasi come
fosse “oggetto di protezione”, per sposare, invece, quella dell’interesse
personalistico del figlio ad agire direttamente ogni qualvolta sia in gioco
una scelta che possa incidere nell’ambito dei rapporti di famiglia (39).
per le normative troppo restrittive in tema di accertamento della genitorialità o di
disconoscimento. Cfr. CEDU, 6 ottobre 2010, 36498/05, Backlund c. Finlandia; CEDU,
6 ottobre 2010, 17038/04, Gronmark c. Finlandia, ove la Corte ha ribadito che
l’applicazione di un termine rigido per l’esercizio della paternità, è contrario al vero
rispetto della vita privata e familiare. Interessante sotto il profilo della tutela della
bigenitorialità è CEDU, 7 ottobre 2010, 30078/06, Konstantin Markin c. Russia;
CEDU, 5 luglio 2005, 71099/01, Monory c. Romania e Ungheria.
(38) Così espressamente Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Fam. e dir., 1998,
3, 205, con nota di V. CARBONE, La Consulta non riconosce la famiglia di fatto, ma tutela
il diritto dei figli all’abitazione. Principio analogo in Corte cost., 18 aprile 1997, n. 99,
in Foro it., 1998, I, 3074, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 156 c.c. nella parte in cui non prevede espressamente che la
misura del sequestro conservativo, prevista a tutela degli obblighi di mantenimento in
favore dei figli di genitori separati, fosse applicabile anche a tutela degli obblighi di
mantenimento in favore dei figli naturali, ritenendo che la disposizione esprima principi
riguardanti la responsabilità genitoriale, che — in una lettura costituzionalmente
orientata — le misure del sequestro e della distrazione di somme ex art. 148 c.c. una
lettura costituzionalmente orientata imponga « che sia data tempestiva ed efficace
soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio (sentenza n. 258 del 1996), a
prescindere dalla qualificazione dello status ». Più di recente, Corte cost., ord. 20
novembre 2009, n. 310, in Fam. e dir., 2010, 5, 449, con nota di P. LAI, La Corte
costituzionale (non) si pronuncia sull’efficacia di titolo esecutivo delle statuizioni sul
mantenimento adottate dal giudice minorile, che fa applicazione di analogo principio
per invitare l’interprete a reperire i criteri per decidere dell’esecutività del decreto
emesso ai sensi degli artt. 737 e ss. c.p.c. dal Tribunale per i minorenni.
(39) Cfr. già F.D. BUSNELLI, Capacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam.
e pers., 1982, 56 ss. Il diritto all’ascolto del minore, codificato nell’attuale art. 315-bis,
co.3, c.c. e 336-bis c.c., già era stato introdotto nei procedimenti di divorzio con l’art.
2143
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
Del resto, in una materia — come quella del diritto di famiglia —
così influenzata da questioni sociali e culturali, anche il mutamento o
l’abbandono di una semplice etichetta può assumere notevole rilevanza.
Il superiore interesse del figlio costituisce la chiave di lettura con la
quale, dunque, risulta facile giustificare il definitivo tramonto di ogni
residua disparità tra figli nati nel matrimonio ovvero fuori di esso. A
prescindere dalle condizioni di nascita, ciò che giuridicamente rileva è
soltanto il rapporto genitoriale dal quale scaturisce sempre il medesimo
regime di diritti, doveri e responsabilità.
L’unicità di status è confermata dal rinvio che gli artt. 147 e 148 c.c.
fanno alle norme contenute nel nuovo Titolo IX intitolato “Della
responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio” (40).
6, l. 898/1970, ma si trattava di una mera facoltà del giudice. Tale disposizione peraltro
è stata superata dall’art. 155-sexies, introdotto dalla l. 54/2006, secondo il quale « il
giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni
dodici, e anche di età inferiore, ove capace di discernimento ». La giurisprudenza ha
precisato però che, a fronte dell’obbligatorietà dell’ascolto del minore, si pone l’altrettanto innegabile valore della possibilità di escluderlo tutte le volte in cui contrasti con
l’interesse del minore stesso, fatto salvo l’obbligo di motivazione. Cfr. Cass., sez. unite,
21 ottobre 2009, n. 22238, in Fam. e dir., 2010, 364, con nota di A. GRAZIOSI, Ebbene
sì, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo. Cfr. anche Cass. 16 giugno 2011,
n. 13241; Cass. 11 agosto 2011, n. 17201. Il nuovo art. 315-bis c.c., recependo l’art. 12
della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e gli artt. 3 e 6 della
Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, nonché l’art. 24 della Carta di
Nizza, riconosce il diritto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici — e
anche di età inferiore ove capace di discernimento — di essere ascoltato in tutte le
questioni e le procedure che lo riguardano. Si tratta di un diritto fondamentale della
persona umana (art. 24 Carta di Nizza) che, sul piano costituzionale, è riconducibile a
quell’insieme di situazioni giuridiche di natura esistenziale afferenti alla persona umana
(art. 2) e per le quali l’ordinamento non ammette deroghe né scarti sulla base delle
condizioni personali (art. 3 Cost. e 21 Carta di Nizza). D’altra parte il diritto all’ascolto
può farsi rientrare nella libertà di ciascuno di esprimere la propria opinione (art. 21
Cost. e 11 Carta di Nizza). Infine, considerare l’ascolto funzionale a garantire il sano e
armonico sviluppo psicofisico del minore, permette di ricondurlo all’art. 32 Cost. e art.
3 Carta di Nizza.
(40) Sembra lecito domandarsi, dopo l’unificazione dello status di figlio, che
utilità abbia aver mantenuto tra gli obblighi derivanti dal matrimonio quelli dei coniugi
nei confronti dei figli. Cfr. L. LENTI, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur.
civ. comm., 2013, II, 207; G. FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali,
in Corr. giur., 2013, 529; M. SESTA, L’unicità dello stato di filiazione e nuovi assetti delle
relazioni familiari, 236; M. DOGLIOTTI, Nuova filiazione: la delega al governo, in Fam. e
dir., 2013, 284; L. ROSSI CARLEO, La famiglia dei figli, in Giur. it., 2014, 1363. In senso
2144
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
Anche dal punto di vista formale, indipendentemente dal fatto che
i genitori siano coniugati o meno, saranno applicabili le norme contenute negli artt. 315 ss. c.c. che costituiscono il nuovo statuto giuridico
dello status di figlio che non ammette deroghe o eccezioni a seconda dei
vari modelli familiari in cui si inserisce.
Allo stesso modo sono state trasposte negli artt. 337-bis ss. c.c. le
norme riguardanti l’esercizio della responsabilità genitoriale « a seguito
di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi
ai figli nati fuori del matrimonio ».
Nondimeno una differenziazione a seconda che i genitori siano o
meno coniugati permane anche a seguito della recente riforma, ed è
legata alle differenti modalità attraverso le quali, a tutt’oggi, il nato
consegue lo status di figlio.
Qualora i genitori siano uniti in matrimonio, il rapporto di filiazione, sia nei confronti della madre, sia nei confronti del di lei marito
— reputandosi il matrimonio idoneo ad attribuire al marito della madre
la qualità giuridica di padre (art. 231 c.c.) — si costituisce infatti in
contrario, cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.1, La famiglia, V ed., Milano, 2014, 61.
Secondo A. BELLELLI, in M. Bianca (a cura di), 170, l’art. 147 c.c. « intende fissare un
dovere imposto dal matrimonio a ciascun coniuge [...] il dovere del genitore verso il
figlio è pertanto, allo stesso tempo, nell’ambito della famiglia fondata sul matrimonio,
anche dovere nei confronti dell’altro coniuge, il quale potrà far valere il corrispondente
diritto iure proprio e non solo in quanto rappresentante legale del figlio minore ». Cfr.
anche R. CARRANO, La revisione sistematica del codice e i nuovi rapporti tra matrimonio
e filiazione, 48; D. ACHILLE, Il diritto del figlio al mantenimento, all’istruzione e
all’educazione, in C.M. BIANCA (a cura di), La riforma della filiazione, 57-58. Tuttavia
anche nella coppia non sposata il dovere genitoriale di ciascun partner si traduce in un
obbligo nei confronti dell’altro. Tant’è che, nel caso in cui un genitore non abbia
riconosciuto il figlio, l’altro può agire con un’azione di regresso per ottenere il rimborso
delle spese di mantenimento che avrebbe dovuto sostenere in qualità, semplicemente,
di genitore. Cfr. ex plurimis: Cass. 4 novembre 2010, n. 22506, per la quale il genitore
che abbia provveduto al mantenimento anche per la parte di pertinenza dell’altro
genitore ha diritto di regresso nei confronti di quest’ultimo per la corrispondente
quota, in relazione al periodo intercorso tra la nascita del figlio e l’introduzione del
giudizio avente a oggetto la quantificazione dell’assegno di mantenimento). Sembra
allora cadere anche quella residua valenza giuridica che ancora parte della dottrina
vorrebbe assegnare all’art. 147 c.c. In altre parole la responsabilità genitoriale fa sorgere
sempre un dovere reciproco anche tra genitori, né la sua qualificazione come “dovere
coniugale” aggiunge nulla alla disciplina dell’addebito della separazione, in quanto è
evidente che l’inadempimento agli obblighi di cui all’art. 315 c.c. costituisce motivo di
intollerabilità della convivenza.
2145
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
modo pressoché automatico; automaticità che può esser esclusa nel
solo caso in cui la madre abbia deciso di avvalersi della facoltà di non
essere nominata, così come consentito dall’art. 30, co. 1, d.P.R. 3
novembre 2000, n. 396.
Invece, qualora i genitori non siano uniti in matrimonio, il rapporto
di filiazione si instaura in maniera distinta e autonoma nei confronti di
ciascuno di essi, in forza di un atto spontaneo e volontario, il riconoscimento (art. 250 c.c.) — che potrà provenire da entrambi o da uno
solo — ovvero in forza del positivo accertamento in sede giudiziale del
rapporto di paternità o di maternità (art. 269 c.c.).
4. La nuova famiglia legale non fondata sul matrimonio.
Una delle più importanti novità della riforma, in linea con lo spirito
innanzi illustrato, è la rinnovata concezione della famiglia parentale,
ormai slegata dai vincoli formali del matrimonio (41). Così come i figli
sono semplicemente “figli”, allo stesso modo i parenti sono tali per i
legami biologici che hanno con l’individuo e non perché sussiste il
vincolo matrimoniale dei genitori.
Se, in altre parole, prima della riforma, il rapporto di filiazione
naturale si caratterizzava per l’individualità e l’autonomia della relazione genitore-figlio, tanto che l’art. 258 c.c. stabiliva la produzione
degli effetti del riconoscimento esclusivamente in capo al genitore che
lo aveva effettuato (42), « salvo i casi previsti dalla legge » (43), esclu(41) M. SESTA, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, 239.
(42) Cfr. tuttavia l’opinione di M. SESTA, Verso l’unitarietà dello stato di filiazione,
in T. AULETTA (a cura di), Filiazione, adozione, alimenti, in Tratt. dir. priv., diretto da M.
Bessone, IV, Il diritto di famiglia, Torino, 2011, 21 ss., secondo il quale l’esclusività
degli effetti del riconoscimento andrebbero riferiti non già ai parenti di chi ha
effettuato il riconoscimento, ma ai genitori nei loro reciproci rapporti, nel senso che il
riconoscimento operato da uno dei genitori non produce, di norma, effetti nei
confronti dell’altro. Per una ricognizione delle diverse posizioni in dottrina, cfr. G.
GIACOBBE, Procreazione, filiazione e famiglia nell’ordinamento giuridico italiano, in Dir.
fam., 2006, 748.
(43) Alla parentela derivante dal riconoscimento (c.d. naturale) si riconosceva
rilevanza solo per gli effetti specificamente indicati dalla legge, in materia di impedimenti alla celebrazione del matrimonio (art. 87 c.c.); di concorso al mantenimento dei
figli o nipoti nati fuori dal matrimonio (art. 148 c.c. nel testo previgente, che stabiliva
il dovere degli ascendenti legittimi o naturali di fornire, in ordine di prossimità, ai
genitori privi di mezzi sufficienti quanto necessario affinché questi possano, a loro
2146
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
dendo conseguentemente l’instaurazione di un rapporto giuridico tra il
figlio ed i parenti del genitore, la novella del 2012 ha coinvolto anche
i parenti tra i destinatari degli effetti del riconoscimento (44).
Anche la Consulta nel passato aveva dato segni di apertura al
riconoscimento della rilevanza giuridica della parentela naturale (45);
restava tuttavia ferma l’interpretazione letterale dell’art. 258 c.c. (46), al
punto che si escludeva la configurabilità di un rapporto di parentela
anche tra fratelli naturali (47).
Il novello art. 74 c.c. stabilisce, invece, che « la parentela è il
vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso
volta, adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli); di individuazione dei soggetti
obbligati alla corresponsione di alimenti (art. 433 c.c.). Inoltre, l’art. 155, 1 co., c.c. nel
testo previgente, trovando applicazione anche alla filiazione naturale, stabiliva che,
anche in caso di separazione personale dei genitori, il minore ha diritto a mantenere
rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Infine, in tema di rappresentazione, l’art. 467 c.c. nel testo previgente riconosceva ai
figli naturali il diritto di succedere per rappresentazione in luogo del proprio ascendente che non volesse e non potesse accettare l’eredità.
(44) Anche in questo frangente la dottrina aveva già evidenziato che la regola
della esclusività del riconoscimento meritasse di essere riconsiderata, proprio alla luce
dell’ultimo inciso dell’art. 258, comma 1, c.c. e in ragione della circostanza che la
parentela, ex art. 74 c.c., non è legata al riconoscimento, bensì alla discendenza da uno
stipite comune. Cfr. F. PROSPERI, L’incerto incedere della Corte costituzionale, in Rass.
dir. civ., 1991, 435.
(45) Cfr. Corte cost., 4 luglio 1979, n. 55, in Foro it., 1979, I, 1941; in Giur. it.,
1979, I, 1684, con nota di A. ZORZI GIUSTINIANI; in Giust. civ., 1979, III, 114; in Giur.
it., 1980, I, 1222, con nota di G. FERRANDO.
(46) Corte cost., 12 aprile 1990, n. 184.
(47) Corte cost., 7 novembre 1994, n. 377, in Giust. civ., 1995, I, 84; Corte cost.,
23 novembre 2000, n. 532, in Giust. civ., 2001, 591, con nota di C.M. BIANCA; in Corr.
giur., 2001, 1034, con nota di E. GUERINONI, secondo la quale: « un ampio concetto di
“parentela naturale” non è stato recepito dal legislatore costituente, il quale si è limitato
a prevedere la filiazione naturale ed a stabilirne l’equiparazione a quella legittima,
peraltro con la clausola di compatibilità. Tale equiparazione, pertanto, riguarda
fondamentalmente il rapporto che si instaura tra il genitore che ha provveduto al
riconoscimento del figlio naturale (...) ed il figlio stesso. I rapporti tra la prole naturale
ed i parenti del genitore, invece, non trovano riferimenti nella Carta fondamentale e
restano quindi estranei all’ambito di operatività dell’invocato parametro ». V. anche
Cass. 10 settembre 2007, n. 19011, in Giust. civ., 2008, I, 2477, secondo la quale: « non
sussiste la possibilità di estendere, in via di interpretazione e con il richiamo agli artt.
3 e 30 Cost., la categoria degli eredi legittimi oltre le persone verso cui produce effetti
l’accertamento della filiazione naturale in base all’art. 258 c.c., sino a ricomprervi, oltre
i genitori naturali, anche tutti i parenti naturali ».
2147
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in
cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo ».
A detta disposizione si ricollega, infine, quella che modifica il testo
dell’art. 258 c.c., secondo il quale « il riconoscimento produce effetti
riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso ».
Ne consegue che, in forza delle citate disposizioni, il figlio, una
volta conseguito tale status per effetto del riconoscimento, diventa
parente delle persone che discendono dallo stipite di ciascun genitore,
con ciò ne consegue in tema di diritti successori (48).
La parentela, pertanto, sussiste non solo dal punto di vista dinamico relazionale e squisitamente affettivo, ma, anche e soprattutto, sul
piano giuridico formale, tra genitori e figli, tra fratelli, tra figlio e
ascendenti del genitore, tra figlio e fratelli del genitore e tra figlio e
cugini, a prescindere dal fatto che si verte in tema di figli nati dentro o
fuori del matrimonio.
Si esclude l’insorgenza di detto vincolo solo nell’ipotesi di adozione
di persone maggiorenni d’età di cui agli artt. 291 ss. c.c., poiché in tal
caso l’adottato diviene titolare di uno status aggiuntivo che non sostituisce, ma che si affianca a quello già esistente tra quest’ultimo e i suoi
effettivi genitori.
A seguito della nuova legge, il rilievo del vincolo coniugale rispetto
alla filiazione e, quindi, alla configurazione legale della famiglia, già
fortemente ridimensionato dall’introduzione del divorzio, dalla riforma
del diritto di famiglia e dalla legge sull’affidamento condiviso, è ora
definitivamente scemato, lasciando spazio ad un nuovo assetto legale
della famiglia, essenzialmente fondato sui legami di consanguineità.
Si inaugura così un concetto di famiglia “legale” che non appare
più necessariamente fondata sul matrimonio (49), e che, se da un lato si
pone in linea con la c.d. comunità familiare enunciata dagli artt. 9 della
Carta di Nizza e 8 CEDU, necessita di qualche chiarimento se rapportata all’art. 30 Cost.
(48) Il figlio nato fuori del matrimonio diventa successibile di ciascuno dei
parenti del proprio genitore e in senso inverso i parenti del genitore del figlio nato fuori
del matrimonio diventano successibili di costui e non soccombono più dinanzi allo
Stato.
(49) Cfr. M. SESTA, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, 233.
2148
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
5. L’attuale portata del criterio di “compatibilità” enunciato nell’art.
30, co. 3 Cost.: la filiazione nella c.d. famiglia composita.
La tanto proclamata equiparazione (rectius: unificazione) dello
status di figlio deve tuttavia confrontarsi con il 3 co., dell’art. 30 Cost.,
il quale pone espressamente un criterio di “compatibilità” nel riconoscere piena tutela alla filiazione fuori del matrimonio.
La dottrina, pur sensibile a ritoccare la disciplina per un miglioramento della posizione dei figli naturali, riteneva tuttavia che l’art. 30,
3 co., Cost. impediva una legge « che parificasse la condizione giuridica, personale o patrimoniale, del figlio naturale a quella dei figli, dei
membri della famiglia legittima, sia sul piano patrimoniale, ad esempio
sul piano successorio, sia sul piano personale, dando per esempio la
possibilità d’inserzione del figlio naturale nell’ambito della famiglia
legittima » (50).
Ciò ha fatto dubitare della stessa costituzionalità della recente
riforma laddove ha eliminato qualsiasi differenza tra figli nati nel e fuori
del matrimonio (51).
Certo è che il limite della compatibilità non potrebbe mai riguardare i diritti fondamentali — e, in particolare, quello allo sviluppo della
personalità — che devono essere necessariamente riconosciuti ai figli
nati fuori del matrimonio.
Il criterio della compatibilità, costituendo un modo di risoluzione
di un confronto tra situazioni diverse, presuppone, invece, la necessaria
compresenza di figli nati in costanza di matrimonio e fuori di esso.
Non v’è dubbio, dunque, che in assenza di un reale conflitto,
(50) Così R. NICOLÒ, La filiazione illegittima nel quadro dell’art. 30 della Costituzione, 10, il quale aggiunge che se non vi sono figli legittimi, « nessun ostacolo sussiste
perché la situazione dei figli naturali possa essere anche sostanzialmente migliorata
rispetto ad altre persone, sia pure in senso lato appartenenti alla famiglia legittima). V.
anche M. GIORGIANNI, Problemi attuali di diritto familiare, 752; L. BIANCHI D’ESPINOSA,
Intervento, in AA.VV., La tutela giuridica dei figli nati fuori del matrimonio, 257.
(51) V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di
legge recante « Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali », 645, il quale
non esita a definire ipocrita l’art. 30 Cost. soprattutto nell’ultima parte del 3 co., ove
appare il limite della compatibilità a segnare in negativo le sorti dell’equiparazione dei
figli nati nel matrimonio a quelli nati fuori di esso, tanto da ipotizzare che senza
l’abrogazione dell’art. 29 e dell’art. 30, comma 3, Cost. una disciplina che elimini ogni
residua differenza sarebbe sospetta di illegittimità costituzionale. In termini analoghi
cfr. G. BONILINI, Lo status o gli status di filiazione?, in Fam. pers. e succ., 2006, 686; M.
SESTA, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, 234.
2149
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
l’affermazione di un unico status giuridico di per sé non contrasta
affatto con l’art. 30, 3 co., Cost. La “compatibilità”, in altre parole,
della tutela della filiazione fuori del matrimonio non esclude che le si
riconosca eguale rilevanza giuridica. Occorre, soltanto, nelle ipotesi di
concorrenza e conflitto tra situazioni giuridiche facenti capo a figli nati
nel matrimonio e fuori di esso, tener presente il principio costituzionale
informato al criterio della “compatibilità”.
Il problema, pertanto, si pone con tutta evidenza nelle ipotesi di
c.d. famiglie composite, nelle quali — come visto nel Cap. III, I rapporti
tra famiglia legittima e famiglia di fatto — gli ex coniugi con prole
instaurano una nuova convivenza more uxorio dalla quale hanno nuovi
figli; o viceversa, laddove il partner con prole, dopo la crisi della
convivenza, contragga matrimonio allietato dalla nascita di altri figli.
In questi casi, evidentemente, si pone il problema della “compatibilità” di tutela del figlio nato fuori del matrimonio ex art. 30, 3 co.,
Cost. a proposito: (i) del suo inserimento nella famiglia legittima (art.
252, 2 co., c.c.) e (ii) della disciplina successoria applicabile (artt.
536-537).
Quanto al primo profilo, l’art. 252 c.c., che riguarda « l’affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e suo inserimento nella
famiglia del genitore », si fa carico proprio di contemperare gli interessi
dei componenti la famiglia del genitore con quelli del figlio nato fuori
del matrimonio attraverso la previsione del necessario « consenso
dell’altro coniuge e dei figli (legittimi) che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi, nonché dell’altro genitore che
abbia effettuato il riconoscimento ».
Ciò posto, però, il legislatore nulla dice a proposito dei rapporti
personali tra figli, così come circa i rapporti tra nuovo partner e i figli
di primo letto dell’altro (52). In particolare questo secondo aspetto può
(52) L’ordinamento consente la costituzione di un legame giuridico di “filiazione” tra il nuovo coniuge o convivente e il figlio dell’altro nato dalla precedente
unione. Ciò è dato dalla possibilità, per il nuovo coniuge, di procedere all’adozione del
figlio minore o maggiorenne dell’altro, nelle due forme dell’adozione in casi particolari
prevista dall’art. 44, 1 co., lett. b), l. 4 maggio 1983, n. 184 (come modificata dalla l. 28
marzo 2001, n. 149), e dall’adozione di persona maggiore d’età, disciplinata dall’art.
291 ss. c.c.; adozione quest’ultima consentita non solo al nuovo coniuge ma anche al
neoconvivente. La giurisprudenza è concorde nel ritenere la disposizione applicabile
anche nell’ipotesi di annullamento o scioglimento del precedente matrimonio tra i due
genitori di origine ove l’altro genitore consenta all’adozione. Cfr. A. e M. FINOCCHIARIO,
Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, Milano, 1983, 446; P. UBALDI,
2150
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
sollevare delicati problemi se solo si tiene conto del fatto che, benché
al partner non genitore non spetti l’obbligo di mantenimento del
minore, è tuttavia indubbio che, per effetto della convivenza, egli può
in concreto condividere con il genitore la sua cura, educazione ed
istruzione, soprattutto quando vi siano altri figli della coppia e ciò
nell’interesse del minore stesso.
Certamente la mancata giuridicizzazione del ruolo di genitore
sociale non impedisce il sorgere di doveri morali idonei a tradursi in
obbligazioni naturali (53), se non si ritiene addirittura che, con la
formazione di una vera e propria comunità familiare, sorgano egualmente diritti e doveri aventi la loro diretta fonte nel principio di
solidarietà.
Altrettanto certo, però, è che il genitore (biologico) non convivente
non può vedere il suo diritto-dovere di educare, istruire e mantenere i
figli limitato dalle scelte del nuovo partner convivente con il genitore
presso il quale i figli sono collocati (54). L’art. 316, 4 co., c.c., anzi,
rispetto al previgente art. 317-bis, 2 co., c.c., ha eliminato il requisito
della convivenza quale condizione per l’esercizio della responsabilità
genitoriale, sottolineando così che essa sorge per il semplice fatto
naturale della nascita.
Da qui una serie di problematiche: ci si chiede innanzitutto, se e
quale rilevanza giuridica vada riconosciuta al ruolo di fatto svolto dal
coniuge del genitore nella cura e nell’educazione del minore; come tale
ruolo vada poi coordinato con quello attribuito ai genitori ed in
L’adozione del figlio del coniuge come strumento adottivo « atipico », cit., 1015 ss.; L.
ROSSI CARLEO, L’affidamento e le adozioni, cit., 395. In giurisprudenza cfr. Cass. 26
ottobre 1992, n. 11604, in Giur. it., 1993, I, 2150, che ha dichiarato manifestamente
infondata, con riferimento all’art. 30 Cost., l’eccezione di illegittimità costituzionale
dell’art. 44, co. 1 lett. b) della l. n. 184/1983, nella parte in cui consente l’adozione di
un minore al coniuge di uno solo dei genitori del minore stesso, omettendo di regolare
il caso in cui esista anche l’altro genitore ». Sulla necessità del consenso dell’altro
genitore, cfr. in senso favorevole D. BUZZELLI, La famiglia “composita”, 180, secondo il
quale l’assenso all’adozione del proprio figlio da parte del coniuge dell’altro genitore è
richiesto in ragione della irrinunciabile funzione genitoriale attribuita ad entrambi i
genitori biologici. In senso contrario, invece, si afferma che soltanto « la comunanza di
vita e la conseguente conoscenza degli interessi e delle esigenze del minore rendono
rilevante il dissenso » (Cass. 26 ottobre 1992, n. 11604, in Giur. it., 1993, I, 2150).
(53) Cfr. T. AULETTA, La famiglia rinnovata: problemi e prospettive, in Familia,
2005, I, 41 ss.
(54) Cfr. G. BILÒ, I problemi della famiglia ricostituita e le soluzioni dell’ordinamento inglese, in Familia, 2004, 833.
2151
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
particolare a quello non convivente; se debba essere oggetto di tutela la
relazione affettiva che, nel corso della convivenza, si stabilisce tra il
minore e il coniuge o partner del genitore; se e in che modo il ruolo del
coniuge o partner del genitore e la relazione affettiva con il minore vada
tutelata nella crisi dell’unione (55).
Si tratta di questioni nelle quali, a ben vedere, il diritto può
rappresentare soltanto un argine rispetto a condotte che possono
pregiudicare l’interesse della prole, la cui tutela, ove sia necessario,
impone di regolamentare quei rapporti personali fonte di conflitti e di
disturbo per la serena crescita del minore.
Ulteriore dato certo è che l’obbligo di ciascun genitore di contribuire al mantenimento dei figli prescinde dalle sorti dell’unione coniugale e permane intatto nonostante le vicende dell’unione stessa.
L’art. 6 l. div., infatti, stabilisce l’obbligo di mantenere, educare ed
istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio, ancorché sia stato
pronunciato il suo scioglimento o la sua cessazione degli effetti civili e
a prescindere da nuove nozze di uno o entrambi i genitori.
La creazione di una nuova famiglia e la nascita di altri figli può
soltanto incidere sulle condizioni economiche del genitore, anche se la
giurisprudenza è ferma nello stabilire che « il nuovo impegno familiare
non può costituire ragione per un allontanamento delle responsabilità
genitoriali verso (i figli), in quanto la soddisfazione dei diritti economici
dei figli non può essere deteriore nella crisi della famiglia, rispetto a
quanto avviene nella famiglia unita: sicché, ove il contributo di mantenimento originariamente fissato dal giudice del divorzio sia stato
determinato in un importo adeguato alle necessità dei figli, ma inferiore
all’esborso che la capacità economica dell’obbligato avrebbe consentito, la richiesta riduzione non può essere disposta, a meno che il
contributo, così come in precedenza fissato, non trovi più capienza (e
ciò a causa dei doveri derivanti dal motivo sopravvenuto) nella capacità
economica dell’obbligato stesso, apprezzata anche alla luce dell’apporto del nuovo partner » (56).
6. L’affidamento dei figli.
Prima della novella del 2006, che ha esteso la disciplina dettata per
(55) Cfr. D. BUZZELLI, La famiglia “composita”, Napoli, 2012, 133.
(56) Cass. 24 gennaio 2008, n. 1595; Cass. 23 agosto 2006, n. 18367; Cass. 19
gennaio 1991, n. 512.
2152
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
la separazione legale alle ipotesi di “scioglimento, di cessazione degli
effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi
ai figli di genitori non coniugati”, non vi era una espressa disciplina in
tema di affidamento per i figli naturali.
L’art. 4 della l. 54/2006 estese, infatti, l’applicabilità delle norme in
essa contenute ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati,
sia relativamente ai rapporti personali (affidamento, residenza, attribuzione ed esercizio della potestà) che con riferimento ai rapporti economici e alle varie forme di tutela contro le inadempienze, previste
dagli artt. 156 c.c. e 8 l. div. Vennero così superati i problemi connessi
all’applicazione analogica di norme quali l’art. 143, utl. co. c.c. e l’art.
147 c.c. che avevano acceso il dibattito giurisprudenziale (57), anche se
ne nacquero altri in relazione al coordinamento tra gli artt. 155 ss. c.c.
e l’art. 317-bis c.c., non in linea con il principio della bigenitorialità
chiaramente espresso dal legislatore del 2006.
L’art. 317-bis, infatti, disciplinava l’esercizio della potestà sui figli
naturali a seconda del tipo di riconoscimento o del tipo di convivenza.
In particolare la norma distingueva a seconda che il riconoscimento
fosse effettuato da uno o da entrambi i genitori ed, in tal caso,
differenziava ulteriormente l’ipotesi in cui i genitori convivessero o
meno. Solo in quest’ultima evenienza l’esercizio della potestà spettava
al genitore con il quale il figlio convivesse ovvero, se non convivesse con
alcuno di essi, al primo che avesse fatto il riconoscimento.
Diversamente, in presenza di un fisiologico ed armonico svolgersi
del rapporto di fatto, il modello suggerito dall’articolo era quello della
famiglia legittima, come poteva desumersi dall’espresso riferimento
all’art. 316 c.c. che serviva così a rendere omogena la disciplina in tema
di esercizio della potestà genitoriale.
La nuova disciplina contenuta nella l. 54/2006 ha modificato
(57) Cfr. Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Giur. cost., 1988, I, 1762 ss., la
quale tuttavia precisò che « l’inapplicabilità della disciplina della separazione dei
coniugi alla cessazione delle convivenze di fatto, nel cui ambito sia nata la prole, non
equivale ad affermare che la tutela dei minori,nati dalla unione, resti priva di disciplina,
essendo invocabile l’intervento del giudice che, nella pronuncia dei provvedimenti
concernenti i figli, è tenuto alla specifica valutazione de gli interessi di questi ». La
mancanza di un’apposita disposizione di legge era vista quale il risultato di una scelta
di politica legislativa e come tale non era considerata lesiva di alcun principio
costituzionale. Non mancarono tuttavia pronunce volte a ricorrere a forme di affidamento congiunto anche con riguardo alla prole naturale: cfr. Trib. Perugia, 16 gennaio
1998, in Fam. e dir., 1998, 376 ss.
2153
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
tuttavia l’art. 155, 3 co., c.c., introducendo il principio secondo cui la
potestà doveva essere esercitata da entrambi i genitori, anche in caso di
cessazione della convivenza, abrogando così implicitamente l’art. 317bis c.c., incompatibile con il nuovo spirito informatore della bigenitorialità (58), confermato dal nuovo art. 337-ter, 2 co., c.c.
Pertanto, anche a seguito della crisi della famiglia naturale il
giudice, indipendentemente dal fattore della convivenza dei partner,
nel pronunciarsi in ordine all’affidamento, deve prioritariamente valutare la possibilità di disporre l’affidamento condiviso (art. 337-ter c.c.),
e solo ove lo stesso avesse contrastato con l’interesse morale e materiale
della prole, considerare il distinto istituto dell’affidamento esclusivo
(art. 337-quater c.c.).
7. Profili processuali.
Prima dell’entrata in vigore della novella del 2006, la competenza
a decidere sulle questioni afferenti i figli di genitori non coniugati era
caratterizzata da una netta ripartizione tra Tribunale per i minorenni e
Tribunale ordinario, a seconda che la controversia avesse ad oggetto
(58) Cfr. C. PALADINO, L’affidamento condiviso, Torino, 2006, 266; L. SALVANEAlcuni profili processuali della legge sull’affidamento condiviso, in Riv. dir. proc.,
2006, 1287. Secondo, invece, M. SESTA, L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la
l. n. 54/2006: quale sorte per l’art. 317 bis cod. civ.?, in Nuova giur. civ. comm., 2011,
I, 1206 ss., tra le due norme vi era un rapporto di complementarietà piuttosto che di
alternatività. Infatti, l’art. 317-bis, co. 2, c.c. sembrava diretto a disciplinare l’ipotesi in
cui i genitori non avessero mai convissuto, mentre gli artt. 155 ss. c.c. intendevano
regolare l’ipotesi di rottura della convivenza, i cui effetti sui figli erano trattati alla
stregua della separazione di genitori coniugati. Cfr. anche G. SALITO, L’affidamento
condiviso dei figli nella crisi della famiglia, in AA.VV., La separazione. Il divorzio. L’affido
condiviso, II ed., Torino, 2011, 521, per la quale l’art. 317-bis « sembra restare in vigore
per tutte quelle ipotesi nelle quali non si verta in tema di crisi del rapporto di fatto [...]
Parimenti, sembrerebbe potersi riconoscere efficacia alla norma in quei casi di rottura
della convivenza non accompagnati, tuttavia, dal ricorso all’autorità giudiziaria per la
regolamentazione dell’esercizio della potestà ». Sul punto cfr. Cass. 10 maggio 2011, n.
10265, in Corr. giur., 2012, I, 91 ss., con nota di G. FERRANDO, L’adozione in casi
particolari del figlio naturale del coniuge; in Fam. e dir., 2011, 1095 ss., con nota di G.
MANSI, Figli naturali e potestà genitoriale tra l’art. 317 bis c.c. e la l. n. 54/2006; in Nuova
giur. civ. comm., 2011, I, 1203 ss., secondo la quale « la l. n. 54 del 2006, pur non
interferendo sulla competenza del Tribunale per i minorenni, assume, anche per
quanto concerne la filiazione naturale, efficacia pervasiva, e, pertanto, implicitamente
abrogante di ogni contraria disposizione di legge », ivi compreso l’art. 317-bis, 2 co.,
c.c., salva la previsione dell’esercizio della potestà da parte dei genitori conviventi.
SCHI,
2154
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
l’affidamento oppure il mantenimento dei figli stessi e l’assegnazione
della casa familiare.
Tale netto riparto di competenze trovava il proprio fondamento
normativo nell’art. 38 disp. att., c.c., il quale stabiliva la competenza del
tribunale per i minorenni per i provvedimenti contemplati (anche)
nell’art. 317-bis c.c.
Nulla prevedeva, invece, in ordine agli aspetti patrimoniali (mantenimento e assegnazione della casa familiare), per i quali valeva la
disposizione dell’art. 261 c.c. che, equiparando la posizione del figlio
riconosciuto a quello del figlio legittimo, estendeva al figlio nato fuori
del matrimonio l’applicazione degli artt. 147 e 148 c.c. in tema di oneri
e doveri dei genitori verso la prole. Per le questioni economiche,
dunque, si era ritenuto che la competenza fosse da attribuirsi al
Tribunale ordinario e che il procedimento potesse svolgersi nelle forme
del procedimento ordinario e del rito speciale di cui all’art. 148 c.c.,
richiamato dall’art. 261 c.c.
Alla base di tale interpretazione, innanzitutto, l’inequivocabile
dettato normativo dell’art. 38, 2 co., disp. att., c.c., in forza del quale
rientravano nella competenza del Tribunale ordinario le materie non
espressamente devolute alla competenza del Tribunale per i minorenni (59).
D’altra parte, vi era la considerazione che il procedimento concernente l’entità del contributo al mantenimento della prole consistesse in
una controversia tra adulti, nell’ambito della quale il genitore richiedente agiva jure proprio, atteso che spetta al genitore, e non al figlio
minore, la titolarità del diritto azionato nei confronti dell’altro genitore (60).
Trattandosi di competenza funzionale e quindi inderogabile per
ragioni di connessione (61), non si ammetteva la cumulabilità della
domanda afferente gli aspetti patrimoniali con le domande di affidamento e regolamentazione del diritto di visita. Pertanto, prima dell’en(59) Cass. 7 maggio 2004, n. 88760, in Giust. civ. Mass., 2004, 5, secondo la quale
« considerato che a norma dell’art. 38 disp. att., c.c., la competenza del Tribunale per
i minorenni è delimitata dalle materie espressamente ad esso demandate dal 1 co., fra
le quali non rientra la determinazione dell’assegno di mantenimento per i figli naturali
riconosciuti, mentre per ogni altra materia, in mancanza di specifica previsione
legislativa è competente il Tribunale ordinario ».
(60) Cass. 20 aprile 1991, n. 4273, in Giust. civ., 1991, I, 2998.
(61) Così Cass. 8 marzo 2002, n. 3457; Cass. 15 marzo 2002, n. 3898.
2155
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
trata in vigore della novella del 2006, i genitori non coniugati si
trovavano costretti ad adire due diverse autorità giudiziarie per vedere
risolte, separatamente, le questioni dell’affidamento e del mantenimento della prole, con conseguente duplicazione dei procedimenti,
incremento dei costi e dilungamento dei tempi, a discapito dei principî
dell’unità del processo e della concentrazione delle tutele.
La dottrina non aveva mancato di rilevare la singolarità e l’incongruenza del sistema così delineato, sottolineando, la profonda sperequazione tra la tutela giurisdizionale attribuita al figlio naturale rispetto
a quella spettante al figlio legittimo, per il quale la competenza a
decidere contestualmente dell’affidamento e del mantenimento era
assegnata al Tribunale ordinario, in quanto giudice della separazione (e
del divorzio). Si era, altresì, evidenziata la sussistenza di una disparità
di trattamento dal punto di vista delle garanzie giurisdizionali, atteso
che i procedimenti innanzi al Tribunale per i minorenni si celebravano
nelle forme del rito camerale di cui all’art. 736 c.p.c. notoriamente
meno garantiste delle regole processuali che disciplinano la separazione
dei coniugi e il divorzio.
Ciononostante, il sistema del riparto di competenze tra Tribunale
per i minorenni e Tribunale ordinario superò il vaglio di legittimità
della Corte costituzionale: in tre diverse occasioni, infatti, la Consulta
ha ritenuto la suddivisione in parola compatibile con i dettami della
Carta costituzionale, evidenziando come il regime diversificato di tutela
giurisdizionale della filiazione naturale e della filiazione legittima non
fosse altro che una questione di politica legislativa, rientrante nella
piena discrezionalità del legislatore e non costituente, in sé, violazione
degli artt. 3, 24 e 30 Cost. (62). Secondo il Giudice delle Leggi la
sussistenza di un trattamento processuale diverso per i figli naturali
(62) Cfr. Corte cost., 5 febbraio 1996, n. 23, in Foro it., 1997, I, 61; Giust. civ.,
1996, I, 917, secondo la quale « per i figli legittimi — il cui mantenimento fin quando
esiste la convivenza matrimoniale è regolato di comune accordo dai genitori —
l’intervento del giudice si rende infatti necessario solo quando vengano a cessare (con
la separazione) la convivenza o (con il divorzio) il matrimonio dei genitori: per cui
appunto è la stessa coincidenza del provvedere sul rapporto tra coniugi e sull’affidamento e mantenimento dei figli che comporta, in questo caso, l’identità del giudice.
Diversamente, con riguardo ai figli naturali — poiché i genitori, ove pur abbiano in
precedenza convissuto, ben possono liberamente por fine a tale convivenza — manca
un processo necessariamente unitario che coinvolga il momento della separazione,
quello della sorte dei figli comuni e quello del regolamento dei rapporti patrimoniali sia
tra loro che relativamente al mantenimento della prole ». Negli stessi termini Corte
2156
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
rispetto ai figli legittimi trovava fondamento nelle caratteristiche ontologiche del sottostante rapporto tra i genitori: l’intervento del giudice è
imprescindibile per porre fine al legame tra i coniugi; al contrario, il
rapporto tra conviventi more uxorio può cessare in qualsiasi momento,
per libera scelta e senza necessità di provvedimento giudiziale.
8. Segue: il dibattito apertosi con la novella del 2006.
La novella del 2006, introducendo il principio della bigenitorialità,
da un lato, ma non abrogando espressamente l’art. 317-bis c.c. dall’altro, pose l’interrogativo della vigenza del riparto di competenze tra
tribunale per i minorenni e tribunale ordinario così come sopra delineato.
Prevalse l’opinione secondo la quale il legislatore del 2006 intese
superare il sistema dualistico previgente e concentrare le decisioni sull’affidamento e sugli aspetti patrimoniali in capo ad un’unica autorità
giudiziaria (63), individuata, secondo alcuni — tesi maggioritaria (64) —
cost., 30 dicembre 1997, n. 451, in Giust. civ., 1998, I, 913 e in Foro it., 1998, I, 1378;
Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Giust. civ., 1998, I, 1759.
(63) Cfr. GRAZIOSI, 2006, 21, secondo il quale « il nuovo art. 155, co. 2 c.c.
indubbiamente applicabile anche ai figli naturali, prescrive che quando il giudice
provvede sull’affidamento dei figli, fissi “altresì la misura e il modo con cui ciascuno di
essi deve contribuire al mantenimento (...)”. Se ne desume che dovranno essere
contestuali e contenute nello stesso provvedimento, le misure relative all’affidamento
(condiviso e non) dei figli e quelle economiche inerenti al loro mantenimento. Analoghe
indicazioni, sia pur in via indiretta, si traggono dal comma 4 dell’art. 155 c.c. che,
nell’autorizzare il giudice a disporre la corresponsione “di un assegno periodico” fa
implicito ma chiaro riferimento allo stesso organo che ha provveduto sulle questioni
dell’affidamento ».
(64) Cfr. Cass. ord. 3 aprile 2007, n. 8362, in Foro it., 2007, I, 2050, con nota di
G. CASABURI, La Cassazione sulla competenza a provvedere su affidamento e mantenimento dei figli naturali, in Corr. giur., 2007, 945, con note di L. SALVANESCHI, Ancora un
giudice diverso per i figli naturali e L. BALESTRA, Sul tribunale competente in ordine
all’affidamento e al mantenimento dei figli naturali: una condivisibile presa di posizione
della Cassazione; in Fam. e dir., 2007, 446, con nota di F. TOMMASEO, Filiazione naturale
ed esercizio della potestà: la Cassazione conferma (ed amplia) la competenza del tribunale
minorile; in Dir. fam., 2007, 1629, con nota di A. GRAZIOSI, Ancora rallentamenti sulla
via della piena equiparazione tra figli legittimi e figli naturali: la Cassazione mantiene
inalterata la competenza del tribunale per i minorenni; in Fam. pers. e succ., 2006, 508,
secondo la quale l’art. 4, 2 co., l. n. 54/2006 « ha il significato di estendere —
all’evidente fine di assicurare alla filiazione naturale forme di tutela identiche a quelle
riconosciute alla filiazione legittima — i nuovi principi e criteri sulla potestà genitoriale
2157
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
nel Tribunale per i minorenni (65), non essendo stati abrogati gli artt.
317-bis c.c. e 38 disp. att. c.c.; secondo altri, nel Tribunale ordinario (66),
e sull’affidamento anche ai figli di genitori non coniugati, senza incidere sui presupposti
processuali dei relativi procedimenti, tra i quali la competenza » Secondo l’interpretazione della Suprema Corte, l’art. 317-bis c.c. continua a costituire il referente normativo
per le decisioni relative all’esercizio della potestà ed all’affidamento nella filiazione
naturale, arricchendosi di nuovi contenuti, per effetto della l. n. 54/2006; « non solo
[...] dei nuovi principi sula bigenitorialità, sull’esercizio della potestà genitoriale e
sull’affidamento, ma anche della regola della inscindibilità della valutazione relativa
all’affidamento da quella concernente i profili patrimoniali dell’affidamento. Il giudice
specializzato, adito ai sensi dell’art. 317-bis c.c. e dell’art. 38 disp. att. c.c. è chiamato,
nell’interesse del figlio, ad esprimere una cognizione globale, estesa alla misura e al
modo in cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura,
all’istruzione e all’educazione, e quindi investente i profili patrimoniali dell’affidamento ». In senso conforme Cass. 21 settembre 2007, n. 19406; Cass. 7 febbraio 2008,
n. 2966; Cass. 8 giugno 2009, n. 13183. In dottrina cfr. F. DANOVI, Affidamento e
mantenimento dei figli naturali: la Cassazione sceglie il giudice minorile, in Fam. pers.
succ., 2007, 508.
(65) Cfr. Tribunale per i Minorenni di Trento, 10 aprile 2006; Tribunale
ordinario di Milano, 20 luglio 2006; Tribunale per i Minorenni di Napoli, 29 settembre
2006; Tribunale ordinario di Monza, 29 giugno 2006, secondo il quale non sussiste
affatto incompatibilità tra il nuovo art. 155 e l’art. 317-bis c.c., dal momento che il
giudice minorile era già investito della competenza a provvedere in ordine all’esercizio
della potestà parentale ed all’affidamento dei minori dall’art. 317-bis c.c.: « gli stessi
poteri potranno ora essere esercitati applicando la nuova disciplina sostanziale dell’affidamento condiviso, secondo le forme dei procedimenti camerali, che sono utilizzabili
anche nell’ambito dei procedimenti contenziosi, come accade davanti al Tribunale per
i minorenni per la pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 277, 2 co., c.c. in materia
di accertamento della filiazione naturale. Inoltre va osservato che le norme sulla
competenza sono di stretta interpretazione, trattandosi id materia in riserva assoluta di
legge, cosicché solo una norma di legge espressamente e chiaramente formulata
avrebbe potuto elidere la competenza per materia del giudice specializzato [...] il fatto
che il giudice chiamato a decidere sull’affidamento condiviso debba contestualmente
fissare anche “la misura e modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al
mantenimento, alla cura, all’istruzione ed all’educazione dei figli” [...] fa ritenere che
non sia più proponibile lo sdoppiamento di competenze tra Tribunale per i minorenni
e Tribunale ordinario, cosicché anche le determinazioni di ordine economico dovranno
essere adottate dal giudice minorile nell’ambito dei rapporti di sua competenza ».
(66) Cfr. Tribunale per i Minorenni di Milano, 12 maggio 2006, in Foro it., 2006,
I, 2204 ss., con nota di G. CASABURI, secondo il quale per effetto dell’art. 4, 2 co., l.
54/2006 “le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento,
cessazione degli effetti civili, nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai
figli di genitori non coniugati”. Vengono pertanto uniformati i procedimenti relativi
all’esercizio della potestà sui figli naturali a quelli relativi ai figli legittimi non solo sotto
il profilo sostanziale ma anche sotto il profilo processuale, con un richiamo generale che
2158
RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
dovendosi considerare tacitamente abrogato l’art. 317-bis per la sua parziale incompatibilità con l’art. 155 c.c. (67).
La Suprema Corte nello stabilire la competenza del Tribunale per
i minorenni a conoscere, contestualmente (68), dell’affidamento e del
mantenimento dei figli naturali, risolse la questione della compatibilità
del rito camerale, utilizzato nei procedimenti innanzi al Tribunale per
i minorenni, con le disposizioni istruttorie stabilite dalla novella del
2006 (69), lasciando, tuttavia, irrisolti altri pur importanti profili: la
competenza a decidere in ordine ai soli provvedimenti di carattere
economico; l’efficacia esecutiva dei provvedimenti adottati dal giudice
minorile; l’ammissibilità di provvedimenti urgenti nell’ambito del procedimento innanzi al Tribunale per i minori.
modifica la disciplina sino ad oggi applicata » [...] La l. n. 54/2006 prevede una
disciplina unitaria che si riferisce all’affidamento dei figli, al diritto di visita nonché al
mantenimento e all’assegnazione della casa: pertanto anche in relazione ai genitori non
coniugati la nuova normativa non sembra più consentire la scissione delle competenze,
superando le difficoltà che la precedente normativa aveva creato ai genitori naturali
costretti ad adire diversi Tribunali con evidente dilatazione di tempi e costi ». Cfr.
anche Tribunale per i Minorenni di Roma, 23 ottobre 2006.
(67) Cfr. Tribunale per i Minorenni di Milano, 12 maggio 2006, cit., il quale
rileva come « il giudice adito dai genitori per la regolamentazione dell’esercizio della
potestà dovrà, anche per i genitori non coniugati, fare riferimento agli artt. 155 ss., e
non più agli artt. 317-bis e 148 c.c. Tale richiamo comporta che parte del contenuto
dell’art. 317-bis c.c., relativa all’ipotesi di intervento del giudice su istanza dei genitori,
è stata assorbita dalle nuove disposizioni, trattandosi di norme assolutamente incompatibile con la novella ».
(68) Cfr. sulla necessità che le domande siano contestualmente proposte, Cass.
25 agosto 2008, n. 21754, in Foro it., 2008, I, 3110.
(69) Secondo Cass. ord. 3 aprile 2007, n. 8362, la disciplina processuale della
separazione dei coniugi di cui agli artt. 706 ss. c.p.c. non è applicabile alla crisi della
convivenza di fatto. Secondo la Suprema Corte, dunque, il procedimento avanti al
Tribunale per i minorenni deve continuare a svolgersi nelle forme del rito camerale di
cui agli artt. 336 c.c. e 736 c.p.c. compatibili con: 1) le disposizioni sui poteri istruttori
del giudice di cui al novellato art. 155, co. 6 c.c., che consente al giudice di ordinare,
nel caso in cui le informazioni economiche fornite dai genitori non siano sufficientemente documentate, accertamenti di polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto
della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi; 2) l’art. 155-sexies, co. 1 c.c.
laddove afferma la potestà del giudice di assumere, anche d’ufficio, i mezzi di prova,
nonché di disporre l’audizione del minore; 3) l’art. 709-ter c.p.c. che attribuisce il
potere al giudice di adottare le misure sanzionatorie/risarcitorie ivi previste. Non è
applicabile, invece, l’art. 708 c.p.c. sulla reclamabilità in Corte d’Appello dell’ordinanza presidenziale poiché esso presuppone « che un’ordinanza presidenziale vi sia
stata e che quindi il processo si sia svolto nelle forme di cui agli artt. 706 ss. c.p.c. ».
2159
VI.VI.
LA FAMIGLIA DI FATTO
Restava in ogni caso fermo il diritto vivente in base al quale,
nell’ipotesi di prole naturale, si radicava una competenza diversa a
seconda che venisse in questione l’esercizio della potestà unitamente
alla determinazione dell’assegno di mantenimento, oppure si richiedesse al giudice soltanto l’attribuzione di detto assegno (70).
9. Segue: la riforma del 2012.
Il sistema processuale, così come delineato, non consentiva una
piena ed effettiva tutela dei figli nati fuori dal matrimonio; tutela che
poteva essere garantita soltanto mediante la previsione di un procedimento unitario per affidamento e mantenimento, con le regole del rito
ordinario dinanzi al Tribunale ordinario alla stregua di quanto già
stabilito per i figli legittimi (71).
(70) Cfr. Corte cost., 5 marzo 2010, n. 82, in Foro it., 2010, I, 1064.
(71) L’applicazione del rito camerale alle questioni attinenti la filiazione naturale
è caratterizzato da minori garanzie rispetto ai procedimenti di separazione e divorzio
che regolano la posizione dei figli di genitori coniugati. Cfr. sul punto B. D’ANGELO, S.
DI MATTO, L’affidamento dei figli, Rimini, 2008, 712. Nella procedura in camera di
consiglio non è prevista l’udienza presidenziale che consente ai coniugi separandi o
divorziandi di ottenere sempre e comunque una disciplina provvisoria dei rapporti
familiari, idonea, tra l’altro a rimanere in vita in caso di estinzione del giudizio di merito
ai sensi dell’art. 189 disp.att. c.c. Nel rito camerale, inoltre, l’acquisizione delle prove
non è disciplinato dalle regole del rito ordinario, applicabile anche ai procedimenti di
separazione e divorzio con conseguenti minori garanzie sotto il profilo della corretta
formazione del materiale istruttorio sul quale il giudice dovrà formare il proprio
convincimento. Ulteriormente, si evidenzia che innanzi al Tribunale per i minorenni
non è obbligatoria la difesa tecnica. A differenza della sentenza di separazione o
divorzio, poi, il decreto emesso a conclusione del procedimento camerale non rientra
nei provvedimenti aventi efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 474 c.p.c. Da ultimo, anche
il sistema delle impugnazioni è meno tutelante, essendo esperibile il solo mezzo del
reclamo, ai sensi dell’art. 739 c.p.c. A tal proposito, tuttavia, cfr. Cass. 21 marzo 2011,
n. 6319, in Foro it., 2011, I, 2765, che ha affermatola natura sostanziale di sentenza del
decreto emesso ai sensi dell’art. 317-bis c.c., in quanto dotato del carattere della
decisorietà e della definitività con efficacia assimilabile a quella del giudicato. Sulla base
di tale affermazione, la Corte ha ritenuto applicabili in relazione a tale decreto gli
ordinari termini di impugnazione dettati dagli artt. 325 e 327 c.p.c., dovendosi dunque
parlare non tanto di reclamo, quanto di « appello mediante ricorso ». Del resto la
Suprema Corte aveva già riconosciuto l’impugnabilità ai sensi dell’art. 111 Cost. dei
provvedimenti emessi dalla Corte d’Appello, sezione per i minorenni, in sede di
reclamo avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 317-bis c.c. Cfr. Cass. 30
ottobre 2009, n. 23032, in Fam. e dir., 2010, 115; Cass. 4 novembre 2009, n. 23411, in
Foro it., 2010, I, 900; Cass. 19 aprile 2010, n. 11756, nonostante le Sezioni Unite in
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RAPPORTO DI FILIAZIONE NELLA FAMIGLIA DI FATTO E AFFIDAMENTO CONDIVISO
VI.VI.
Sulla questione è intervenuto il legislatore del 2012 il quale ha
stabilito che i procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei figli di genitori non coniugati, a partire dal 1° gennaio 2013
(data di entrata in vigore della l. 219/2012), saranno di competenza del
giudice ordinario.
La modifica dell’art. 38 disp. att. c.c., il quale ora omette il
richiamo all’art. 317-bis c.c. tra le fattispecie attribuite alla competenza
del tribunale per i minorenni, elimina finalmente l’ostacolo normativo
alla parificazione, anche sotto il profilo processuale, dei figli nati fuori
e nel matrimonio.
Con la riforma del 2012 si è dunque compiuto un significativo
passo verso l’unificazione dello status di figlio, attribuendo al giudice
ordinario tutti i procedimenti in materia di affidamento e mantenimento dei minori, tanto che si tratti di figli di genitori coniugati,
nell’ambito di un giudizio di separazione o divorzio, quanto nell’ipotesi
di figli di genitori non coniugati.
Infine, con riguardo ai problemi che aveva suscitato l’applicabilità
delle disposizioni sul rito camerale, la novella ha stabilito che « si
applicano in quanto compatibili, gli articoli 737 e ss. c.p.c. ».
precedenza avessero espresso parere diverso (Cass., sez. unite, 30 novembre 2007, n.
25008, in Fam. e dir., 2008, 464).
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