Taccuino 2014 – n. 6 Verso le elezioni europee.
Siamo già in campagna elettorale per le elezioni europee. Vale allora la pena di dedicare qualche
riflessione all’Europa di oggi, ai suoi problemi e ai riflessi che essi hanno sulle nostre vicende.
Il corpo fisico non può fermare il tempo e lo stesso avviene per i corpi sociali, le culture e le
istituzioni. Mi torna l’immagine dell’ ”Angelo della storia” di Benjamin che si volta indietro e vede soltanto
macerie. L’Europa moderna è nata e si è sviluppata creando e estendendo la funzione pubblica del denaro,
dai Banchi di Cambio del primo Rinascimento fino alle potenti concentrazioni finanziarie di oggi. Oggi però
la differenza della funzione del denaro rispetto al passato risalta nettamente. Un tempo le società creavano
il denaro, simbolo e segno della loro forza e della loro crescita. Oggi è il denaro che crea le società e le
controlla come una potenza oggettiva che non ha regole e non ha limiti. La nostra Europa pubblica è infatti
fondata sul mercato (entità surreale), sul denaro e sulle banche.
Il denaro è fluido e misura la vitalità delle culture: dove si concentra attira energie umane, talenti,
tecnologie e innovazioni. Dove invece ristagna o si ritrae disperde gli individui, deprime le energie culturali
e ideali, provoca decadenza e rovina. Politicamente il denaro è neutro ma nei valori sociali esso si colloca al
di sopra della democrazia. Il denaro, ha scritto Marx, svolge una funzione fredda e oggettiva, libera la vita
da ogni significato soggettivo, trasforma le merci in segni di valore, le fissa come puri valori di scambio,
“astraendo dalla loro sostanza e da tutte le loro qualità naturali” (K. Marx, Il denaro. Genesi e essenza.
Roma, Editori Riuniti, 1990, p. 6).
Ma il denaro è forza solo se si associa ad una energia creatrice. La sua razionalità è debole. Per
questo è necessario che esso non assorba e neutralizzi le qualità umane, perché esso socializza gli uomini
solo in maniera formale e superficiale. Perciò se la sua funzione di socializzazione non è sostenuta da
qualità umane, alla solidarietà sociale si sostituisce un individualismo feroce e una aggressività che non
rispetta alcun limite. Così oggi l’eccessiva astrazione raggiunta dal denaro produce vincoli, impedimenti e
snaturamenti che frantumano la società è sgretolano alla base il sistema che esso ha creato. L’Occidente,
che ha concentrato se stesso nell’impero del denaro, va incontro ad un collasso inevitabile e progressivo.
Perde la linfa della sua esistenza e, mentre il denaro fluisce altrove, la nostra civiltà non ha più la capacità di
mobilitare l’elemento umano che la sosteneva, cioè l’unico elemento che potrebbe produrre nuova linfa nei
corpi sociali disfatti e decadenti.
La distanza che ha raggiunto il denaro dall’umano e dal sociale rappresenta l’inizio della fine di una
modernità nella quale esso ha giocato un ruolo essenziale. Quell’ Europa che ci chiama ora a eleggere i
nostri rappresentanti nelle sue istituzioni (peraltro con poteri molto limitati), ci chiama anche a giudicare un
sistema sociale e ideologico assorbito dalla funzione del denaro. Questa Europa mostra sempre più
chiaramente il fallimento degli scopi per i quali è nata. I mezzi si sono trasformati in fini solo per sostenere
lo sforzo di mantenere difficili equilibri e di ritardare il crollo del sistema e della classe politica che l’ha
costruito. Il mito dell’ Europa non regge più. Dà luogo solo a chiacchiere generiche e autoesaltanti alle quali
più nessuno crede. Promesse e proposte tentano di allettare i cittadini, ma è facile pensare che dopo le
elezioni queste non avranno più seguito.
Occorre che l’opinione pubblica europea si renda conto che questo progetto di Europa è fallito e
che noi paghiamo e continueremo a pagare il prezzo di questo fallimento. Quale potrebbe essere allora una
via d’uscita al di fuori del radicalismo antieuropeo? Possiamo abbandonarci al sogno dell’utopia, sempre
necessario nei momenti di decadenza. Due vie parallele e complementari andrebbero percorse, una di
valore ideale, l’altra affatto concreta. La prima con lo scopo di riportare il capitale umano, che l’ Europa
possiede, al centro del quadro ideologico di una nuova Europa. La seconda per capovolgere l’attuale
sistema economico. Così come l’ Europa deve ritrovare la sua forza morale e ideale nelle più piccole unità
territoriali, che sono per l’Italia i comuni, allo stesso modo occorre nel mondo economico ripartire dal
basso, ridando forza alle piccole unità imprenditoriali. Ma per far questo occorre sottrarre l’economia reale
non solo al soffocamento della burocrazia ma anche alla contabilità, al centralismo e al dirigismo degli stati,
ormai incapaci di trovare equilibri sociali equanimi e stabili. La speranza è che sia possibile ricostruire
l’attività economica europea dal basso, liberandola dalla schiavitù degli stati attraverso la costituzione di
leghe europee autoregolate e autogestite per ogni tipo di attività industriale o commerciale. Leghe europee
sul modello della Lega Anseatica del XIV secolo. In fondo ci troviamo anche noi in un surreale modello di
Medioevo! Imprenditorialmente o si entra in una lega o si muore, perché solo al suo interno sarebbe
possibile sviluppare e proteggere le proprie attività e mettere in gioco le proprie capacità e le proprie
iniziative. Liberiamo l’economia dalle catene ingombranti del dirigismo degli stati e la vedremo rifiorire. In
tempi come il nostro può essere solo un sogno, ma è ancora lecito sognare.
Per questo il rituale delle elezioni europee non può risolvere i problemi ideologici ed economici che
sono oggi davanti ai nostri occhi. Mentre la condizione sociale e umana si aggrava, mentre la classe
dirigente europea va verso la catastrofe con gli occhi bendati, è lecito sperare che le nuove generazioni
comprendano le ragioni di questa decadenza e si impegnino a porvi rimedio prima che sia troppo tardi.