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Sommario 1. Obbligazioni contrattuali. - 2. L’e-Commerce. - 3. Obbligazioni non con-
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trattuali.
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A) Generalità
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1. Obbligazioni contrattuali
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Anche nel sistema dell’attuale diritto internazionale privato è stata conservata, ai fini
della disciplina dei rapporti obbligatori, la tradizionale distinzione tra obbligazioni
contrattuali e non.
La scelta di fissare la disciplina delle obbligazioni in relazione alla loro fonte è stata,
peraltro, spesso contestata sulla base del rilievo che tale sistema preclude l’elaborazione di una disciplina realmente unitaria.
In particolare, poiché le disposizioni dell’art. 57 della Legge 218/1995 fanno letteralmente riferimento alla disciplina dell’obbligazione, ci si domanda se i criteri di collegamento validi per le obbligazioni siano anche validi per la disciplina delle genesi del
rapporto obbligatorio, e cioè del contratto.
Sembra preferibile la tesi secondo cui le norme in questione si applicano anche agli
elementi costitutivi del contratto, ma solo a quelli che non rientrano nella sfera d’operatività di altre norme di diritto internazionale privato (come avviene, ad esempio, in
materia di forma, capacità di agire, rappresentanza etc.).
Come già avvenuto in materia di tutela (cfr. Cap. I) il legislatore del 1995 ha scelto di
recepire e trasformare norme di conflitto adottate in via convenzionale in norme di
diritto internazionale privato ordinarie e comuni, applicabili in via generale. Per effetto di tale «nazionalizzazione» le norme della Convenzione, così assunta alle dignità di
norme di sistema, troveranno applicazione anche nei confronti di ordinamenti di Stati
non firmatori della stessa.
L’art. 57 della Legge 218/1995 stabilisce, infatti, che le obbligazioni contrattuali sono
in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980. Tale convenzione è entrata in vigore nel nostro ordinamento dal 1 aprile 1991.
La Suprema Corte ha ribadito, con la pronuncia 10994/2002 la natura di norma di
diritto internazionale privato dell’art. 57 della L. 218/1995 che, come tale, anziché
regolare la giurisdizione, ha il compito, all’interno della giurisdizione italiana, di indi-
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viduare la legge sostanziale, italiana o straniera che sia, più idonea a regolare i rapporti
contrattuali allorquando presentano elementi di estraneità.
Restano salve, in applicazione ad un principio già sancito come generale dall’art. 2, le
altre convenzioni internazionali eventualmente applicabili alla singola obbligazione
(ad esempio Conv. L’Aja del 1995 in materia di vendita, Conv. di Ottawa del 1988 in
tema di leasing e factoring internazionale, Conv. Varsavia del 1929 in materia di trasporto aereo internazionale).
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È opportuno ricordare che, in tema di vendita, sono state stipulate una quantità di convenzioni
internazionali (fra tutte si può ricordare quella dell’Aja del 1955) alle quali l’Italia ha aderito e che,
per la minuziosità e completezza della loro disciplina, sostituiscono del tutto la norma generale di
d. i. p. fino a creare una speciale figura di vendita cd. internazionale . Analogamente ha trovato una
articolata disciplina internazionalprivatistica convenzionale il contratto di trasporto internazionale
di merci (cfr. la Convenzione di Bruxelles del 25-8-1924, e successive modifiche, e la Convenzione
di Ginevra del 19-5-1956 e successive modifiche, entrambe rese esecutive anche per l’Italia).
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B) Contratto internazional-privatistico e Convenzione di Roma
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La norma dell’art. 57 della Legge 218/1995 ha sostanzialmente preso atto, ratificandola e riconoscendole dignità di legge ordinaria, della già realizzata armonizzazione con
i precetti della Convenzione di Roma.
La Convenzione prevede, nei suoi 33 articoli, una disciplina rinnovata ed organica del
diritto internazionale privato in materia contrattuale.
La portata di tale innovazione era particolarmente accresciuta dal fatto che alla Convenzione,
nonostante la partecipazione di un numero limitato di Stati, tra i quali naturalmente l’Italia,
era già stata riconosciuta un’efficacia tendenzialmente universale: le norme convenzionali si
applicavano (anche prima del 1995), infatti, anche nel caso in cui la legge, individuata dalle
norme di diritto internazionale privato generali, fosse quella di uno stato non contraente.
Ne consegue che può tranquillamente affermarsi che le disposizioni della Convenzione già sostituivano, quasi per intero, nel settore delle obbligazioni contrattuali, la norma dell’art. 25 delle disp. preliminari il cui ambito d’applicazione era così ristretto da
suggerire l’idea di una sua quasi abrogazione tacita.
Autorevole dottrina, proprio in considerazione di tale meccanismo estensivo della
Convenzione, ha affermato che con la sua entrata in vigore si è realizzata la più importante innovazione nel sistema italiano del diritto internazionale privato dalla sua prima
codificazione del 1865 (BALLARINO).
Sopravvivono all’entrata in vigore della Convenzione soltanto le norme di eventuali
altre convenzioni internazionali in tema di contratti di cui sia parte uno degli stati
contraenti e le materie che, per espressa indicazione dello stesso art. 1 della Convenzione, sono state escluse dal suo campo di applicazione.
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È il caso, ad esempio, delle obbligazioni contrattuali relative a testamenti, successioni o regimi
matrimoniali. Sono ugualmente escluse dalla sfera d’operatività della Convenzione le obbligazioni
derivanti da titoli di credito (cambiali, assegni, vaglia cambiari), le questioni inerenti il diritto delle
società, associazioni, persone giuridiche etc.
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C) Segue: i criteri di collegamento secondo la Convenzione
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Dal punto di vista dogmatico la Convenzione di Roma rappresenta un importante progresso lungo la strada della armonizzazione dei sistemi di diritto internazionale privato: per la prima volta, infatti, si realizza, attraverso la strada dell’accordo internazionale, un sistema uniforme e generale (le precedenti convenzioni avevano efficacia
limitata alle parti contraenti) di diritto internazionale privato.
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Il primo e principale criterio alla stregua del quale giungere all’individuazione della
legge applicabile al contratto che presenta elementi di internazionalità è rappresentato,
nel sistema della Convenzione di Roma, dalla volontà delle parti (art. 3).
La scelta della legge applicabile si configura come un vero e proprio negozio giuridico
e può essere compiuta dai contraenti, oltre che in forma espressa, anche in maniera
tacita purchè, in tal caso, essa risulti in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni
del contratto o dalle circostanze.
Così, ad esempio, potrebbe concludersi per la scelta della legge di un determinato
paese qualora le parti, pur non richiamandola per la disciplina complessiva del contratto, vi facciano ripetuto e costante riferimento per singoli aspetti di esso.
Le parti possono, inoltre, stabilire che la legge prescelta si applichi solo ad un’unica
parte e non a tutto il contratto.
La scelta è revocabile ma l’eventuale revoca, per ovvi motivi, non può pregiudicare la
validità formale del contratto concluso secondo le disposizioni della legge scelta in precedenza né può pregiudicare i diritti dei terzi sorti per effetto della scelta precedente.
In mancanza di scelta il contratto deve intendersi regolato dalla legge del paese con il
quale il rapporto negoziale presenta il collegamento più stretto (art. 4).
Consapevoli della genericità della formula utilizzata i partecipanti hanno precisato che
tale paese deve individuarsi in quello in cui risiede o ha la propria sede (se si tratta di
persone giuridiche o imprenditori) colui che deve eseguire la prestazione caratterizzante il contratto, dal punto di vista socio economico (criterio della residenza o sede
del debitore).
Il riferimento alla prestazione caratterizzante il contratto induce ad escludere che nei
contratti sinallagmatici possa venire in rilievo la residenza o sede di chi deve eseguire
una prestazione pecuniaria che è neutra per sua stessa natura. Nei contratti aventi ad
oggetto beni immobili il collegamento si stabilisce con il paese in cui il bene ha sede,
individuandosi in esso quello più vicino alla vera essenza dell’obbligazione.
Una disciplina differenziata viene riservata ai contratti conclusi dai consumatori ed ai
contratti individuali di lavoro (artt. 5 e 6).
In entrambi i casi, avuto riguardo alla posizione di strutturale inferiorità socio-economica di una delle parti rispetto all’altra (il consumatore rispetto all’imprenditore, il
lavoratore rispetto al datore di lavoro), viene limitata l’efficacia del criterio della libertà di scelta che in nessun caso può privare il consumatore o il lavoratore della tutela
assicuratagli da norme imperative dell’ordinamento che si applicherebbe in mancanza
di scelta.
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Così, ad esempio, nel contratto di lavoro concluso in Libia tra una azienda libica e tecnici
specializzati italiani il rinvio alla disciplina libica inserito nel contratto non varrebbe ad
escludere l’applicazione delle norme sulla tutela delle lavoratrici madri vigenti in Italia.
D) Segue: validità, forma e capacità
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I requisiti di validità e forma del contratto con elementi di internazionalità sono disciplinate dagli artt. 8 e 9 della Convenzione.
In particolare, per quel che riguarda la forma, la Convenzione adotta un’opportuno
criterio di conservazione dell’efficacia del contratto stabilendo che il contratto è
valido, non soltanto se possiede i requisiti di forma richiesti dalla legge che, in base ai
criteri della Convenzione, è destinata a regolarlo, ma anche se possiede i requisiti
necessari secondo la legge del luogo in cui è concluso, anche se la stessa non viene in
considerazione per la disciplina degli altri aspetti del contratto.
L’esistenza e la validità del contratto o di una sua disposizione si stabiliscono in base
alla legge che sarebbe applicabile in virtù della Convenzione stessa.
Così, ad esempio, nel caso in cui le parti rimandino, per la disciplina del contratto, alla
legge tedesca, è appunto alla stregua di tali norme che dovranno essere esaminate le
questioni, diverse dalla forma, relative all’esistenza e validità del contratto.
Fanno eccezione a tale regola le questioni attinenti la capacità (v. supra, Parte II, Cap. I).
Come per le norme generali del diritto internazionale privato, valgono anche per le
norme della Convenzione i limiti dell’ordine pubblico e delle norme di applicazione
necessaria.
Ai sensi degli artt. 7 e 16 della Convenzione, infatti, l’applicazione della legge straniera, designata dalle regole della Convenzione, resta esclusa se manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro ovvero se, in quella materia, il paese ha adottato
norme che regolano imperativamente il caso indipendentemente dal fatto che abbia o
meno elementi di internazionalità.
La Convenzione di Roma non si occupa della capacità (anzi figura tra le materie escluse) tuttavia all’art. 11 detta una norma in tema di incapacità il cui scopo è tutelare la
buona fede di chi ha contrattato con una persona che in base alla legge del paese del
negoziato aveva i requisiti di capacità richiesta ma che poi ha fatto valere un’incapacità discendente dalla sua legge nazionale.
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E) La disciplina comunitaria. Il Regolamento CE 593/2008
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La Convenzione di Roma è stata, di recente, sostituita, almeno in ambito comunitario,
dal Regolamento CE del 17 giugno 2008 (cd. Roma I) sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali.
Esso costituisce un’ulteriore manifestazione della forza espansiva dell’area comunitaria del diritto internazionale privato alla quale si è già fatto cenno in queste pagine e
che, di fatto, ha posto in dubbio le ragioni stesse di un’iniziativa legislativa nazionale
in tali materie.
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Le differenze con la Convenzione di Roma sono diverse ed attengono sia allo strumento normativo utilizzato che al contenuto.
Quanto al primo profilo, giova ricordare ancora una volta che il Regolamento comunitario è una fonte normativa primaria e non un accordo internazionale (qual’era, invece,
la Convenzione di Roma del 1980) con la conseguenza che non è possibile, in relazione ad esso, formulare da parte di alcun Stato delle riserve e che le sue disposizioni sono
immediatamente valide ed efficaci, senza necessità di atti di ratifica, nel territorio degli Stati dell’Unione Europea.
A ciò si aggiunga che l’interpretazione ed applicazione delle sue norme sono affidate,
al pari di quelle delle leggi nazionali, agli organi di giurisdizione ordinaria e non ad
appositi protocolli interpretativi od organi internazionali.
Sul fronte dei contenuti, invece, si deve, in primo luogo, registrare che l’entrata in
vigore delle sue disposizioni è fissata al 17 dicembre 2009 e, dunque, soltanto ai contratti stipulati dopo tale data.
Quanto alla designazione della legge applicabile è stato conservato come fondamentale il criterio della libertà di scelta delle parti (art. 3 Reg).
È stato, tuttavia, meglio chiarito, rispetto al testo della Convenzione di Londra, che la
scelta delle parti contraenti non può escludere l’applicazione delle norme di applicazione necessaria del Paese con il quale la fattispecie concreta presenta il maggior collegamento fattuale e delle norme comunitarie.
Anche il Regolamento prevede, come già faceva la Convenzione, una apposita disciplina per il caso in cui le parti non abbiano effettuato alcuna scelta. Nel sistema del
Regolamento, però, il criterio del paese con il quale il contratto presenta il collegamento più stretto si pone, verosimilmente per gli spazi di incertezza interpretativa che
portava con sé, effettivamente come residuale per avere il legislatore comunitario prescritto, per le varie tipologie contrattuali, criteri specifici (art. 4 Reg.).
Così, ad esempio, per la vendita di beni è stata designata come competente, in assenza
di una diversa scelta delle parti, la legge del paese di residenza abituale del venditore,
per il contrato di prestazione di servizi quella del paese di residenza abituale del prestatore, per quello di locazione, si fa riferimento, invece, al luogo in cui l’immobile è
situato (salvo i casi di locazioni transitorie).
Una dettagliata regolamentazione espressa è stata riservata ai contratti di trasporto e di
assicurazione.
Non è certamente questa la sede per approfondire, in dettaglio, l’analisi di questa disciplina.
Ci si limita, dunque, a ricordare che, a mente dell’art. 5 del Regolamento, la legge
applicabile al trasporto merci è quella della residenza del vettore a condizione che in
tale paese si trovino anche il luogo di carico o quello di consegna.
In mancanza di tali condizioni sarà applicabile la legge del luogo di consegna.
Per il trasporto di persone la norma comunitaria fissa particolari limitazioni alla scelta
delle parti manifestando, inoltre, una preferenza nei confronti dell’ordinamento di origine del passeggero purché in esso si possa collocare anche l’origine o la fine del viaggio.
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Nella disciplina del contratto di assicurazione l’art. 7 del Regolamento distingue a
seconda che si tratti di assicurazione danni oppure di assicurazione di altro genere, tra
cui quella sulla vita.
Nel prima caso la legge applicabile, in caso di mancanza di una scelta diversa delle
parti, è quella di residenza abituale dell’assicuratore. Nell’altro, invece, si dà rilievo,
sempre in assenza di una diversa volontà negoziale, al luogo in cui è situato il rischio
al momento della conclusione del contratto.
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F) La vendita internazionale
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Non è azzardato affermare che, dal punto di vista storico, sia stata proprio la vendita la
prima tra le possibili figure negoziali ad essere interessata alla ricerca di una regolamentazione giuridica non esclusivamente nazionale.
Gli scambi commerciali tra popoli lontani, spesso profondamente diversi per cultura e
civiltà non solo giuridiche, risale talmente indietro nel tempo da perdersi sino ad epoche di incerta documentazione.
Applicando ad essa le definizioni generali del diritto internazionale privato può dirsi
che la cd. vendita internazionale si risolve in una compravendita, ovvero uno scambio
tra la proprietà di un bene (o altro diritto su di esso) ed il pagamento di un prezzo, che
non si esaurisce nell’ambito di un solo Stato ma che presenta punti di collegamento
con più Stati.
È il caso, ad esempio della vendita, conclusa in Francia, tra una cittadina francese ed
una grande catena alberghiera americana, di immobili turistici situati in Italia oppure
della vendita ad una grande catena commerciale inglese di telefoni prodotti in Cina per
conto di un’azienda svedese.
Ferma restando l’applicabilità, in via generale, della disposizione dell’art. 57 della
legge 218 del 1995, va segnalata, in tale materia l’esistenza di specifiche Convenzioni
internazionali multilaterali alle quali hanno aderito,nel tempo, numerosissimi Stati.
Alcune di esse possono definirsi come Convenzioni di diritto internazionale privato in
senso stretto poiché dirette ad individuare, nelle differenti e possibili situazioni commerciali, l’ordinamento statale più idoneo ad essere applicato.
Si tratta, in particolare, della Convenzione dell’Aja del 15 giugno del 1955, relativa
alla legge applicabile alle vendite a carattere internazionale di oggetti mobili (resa
esecutiva in Italia con la legge n. 50 del 4 febbraio 1958) e della Convenzione dell’Aja
del 31 ottobre 1985, purtroppo non ancora in vigore per mancato raggiungimento del
numero minimo di adesioni, sulla legge applicabile ai contratti di vendita internazionale di merci.
Altre, invece, più che agire secondo gli schemi classici della norma di diritto internazionale privato, ovvero quelli del richiamo, hanno preferito procedere direttamente
alla regolamentazione giuridica dettagliata delle vendite cd. internazionali.
Esse, quindi, possono essere classificate (v. supra) come Convenzioni di diritto materiale uniforme.
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È il caso delle due Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1964 sulla vendita internazionale
di beni mobili (LUVI) e sulla formazione dei contratti di vendita internazionali (LUFC)
e, soprattutto, della fondamentale Convenzione di Vienna del 11 aprile del 1980 (resa
esecutiva in Italia con la legge 11 dicembre 1985 n. 765) che le ha interamente sostituite.
Per l’ampiezza delle adesioni (e dei richiami ad essa) nelle norme della Convenzione
di Vienna si individua,allo stato, la regolamentazione giuridica fondamentale della
vendita internazionale.
A tal proposito, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno più volte (v. per tutte Sez.
Un. 14837/02 e 18902/04) ribadito che le disposizioni della Convenzione di Vienna si
applicano, tra gli Stati che vi hanno aderito, a prescindere dalle norme di diritto internazionale privato degli Stati contraenti e, dunque, prevalgono, per l’Italia, sulla disciplina dettata, per le obbligazioni contrattuali in genere, dalla Convenzione di Roma del
19 giugno 1980 così come richiamata dall’art. 57 della L. 218/95.
Non può essere, infine, trascurato il ruolo che, proprio con diretto riferimento alle vendite internazionali, svolge la cd. lex mercatoria (v. supra Parte I, Capitolo Quinto, par. 6).
G) Rapporti di lavoro
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I rapporti di lavoro occupano nel panorama delle obbligazioni contrattuali, una posizione particolare in ragione della confluenza che in tale settore si registra tra norme di
d. i. p. e norme di matrice indubbiamente pubblicistica.
Proprio le difficoltà che si incontrano nel distinguere tra questi due aspetti ha indotto larga
parte della dottrina ad escludere l’applicabilità al lavoro prestato in Italia di norme straniere.
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Dottrina
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Tale risultato viene diversamente giustificato. Da
un lato vi è chi sostiene che l’ingresso nel nostro
paese di norme straniere in materia di lavoro resta
precluso a causa del limite dell’ordine pubblico.
Altri attribuiscono alle norme del diritto italiano in
materia di lavoro la qualifica di norme di applica-
zione necessaria (v. Parte I). Vi è, poi, chi ritiene di
applicare, in via analogica, a tutti i rapporti di lavoro il principio, sancito dall’art. 9 cod. nav. secondo
cui il criterio di collegamento valido per i rapporti
di lavoro relativi alla navigazione è quello della bandiera, cioè del luogo dove il rapporto si svolge.
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Non manca, peraltro, chi, forse in una prospettiva più ragionevole, ha ritenuto doveroso e possibile distinguere, nell’ambito della complessa articolazione del rapporto di
lavoro, tra aspetti pubblicistici, per i quali resta escluso ogni richiamo a norme straniere, ed aspetti privatistici, soggetti alla disposizione generale in materia di obbligazioni
derivanti da contratto.
Una posizione ancora differenziata viene occupata da quella dottrina che, partendo
dalla constatazione della decisa prevalenza, in relazione a rapporti di lavoro subordinato, della disciplina legale su quella convenzionale, assume l’applicabilità a tale categoria di rapporti del criterio di collegamento previsto dalla norma del comma 2, dell’art. 61 della Legge 218/1995 per le obbligazioni non contrattuali da atto lecito.
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Giurisprudenza
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secondo la quale il rapporto di lavoro sorto, eseguito e risolto negli Stati Uniti d’America ed in
relazione al quale, all’atto della stipulazione del
relativo contratto, le parti non abbiano esercitato
la facoltà di scelta di cui all’art. 3 della stessa Convenzione, è regolato dalla legge del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, salvo che
tale legge, che il giudice ha il dovere di accertare
d’ufficio a norma dell’art. 14, L. 218/1995, non
risulti manifestamente incompatibile con l’ordine
pubblico italiano che risulta violato da una legge
straniera che non preveda alcuna tutela a favore
del lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato. In tal caso il giudice dovrà applicare i criteri
di cui all’art. 4 della Convenzione di Roma.
se
Sia pure con riferimento a rapporti di lavoro svolti
all’estero, e precisamente negli Stati Uniti, tra soggetti italiani, deve registrarsi una recente presa di
posizione della Suprema Corte che si è pronunciata con la sentenza 11 novembre 2002, n. 15822.
La Suprema Corte ha statuito che, ai fini del d.i.p.,
la domanda con la quale il lavoratore chieda dichiararsi l’illegittimità del licenziamento e la reintegra nel posto di lavoro, in relazione a rapporto
di lavoro svolto all’estero, ivi eseguito e poi risolto, introduce una controversia relativa ad obbligazioni contrattuali ai sensi dell’art. 57, L. 218/1995.
Pertanto la legge applicabile a tale controversia
deve essere individuata in base alle disposizioni
della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980
H) Trasporto internazionale
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Il contratto di trasporto è, come è noto, il contratto mediante il quale una parte (vettore)
si obbliga, verso corrispettivo, a trasferire persone o cose da un luogo all’altro.
L’enorme sviluppo degli scambi commerciali internazionali, realizzatosi soprattutto
su gomma, portò, già nel primo dopoguerra, a porre il problema di approdare ad una
disciplina uniforme del trasporto internazionale di merci.
Questo tentativo condusse, infine, all’approvazione della Convenzione di Ginevra del
19 maggio 1956 sul trasporto internazionale di merci su ruota (CMR).
Il sistema delineato dalla Convenzione è caratterizzato dalla previsione della responsabilità del vettore per qualunque perdita, totale o parziale, o avaria intervenuta tra il
momento del ritiro della merce dal mittente e quello della consegna al destinatario.
Analoga responsabilità è prevista per il ritardo.
Purtuttavia, la Convenzione prevede delle ipotesi in cui il vettore viene considerato,
con presunzione relativa con onus probandi a carico del vettore, irresponsabile del
ritardo ovvero della perdita della merce ed altre situazioni in cui, in caso di ritardata
consegna, il risarcimento del danno è limitato ad una indennità non eccedente il prezzo
del trasporto e subordinato alla prova, posta a carico del destinatario, che quest’ultimo
abbia subito un danno effettivo per il ritardo.
È il caso, ad esempio, di merce con difetti di imballaggio, del trasporto di animali vivi
o di merci pericolose non esplicitamente indicate come tali dal mittente .
Ciò ha indotto taluni ad affermare che, di fatto, il trasporto internazionale di merci in
regime CMR è sottoposto ad una regolamentazione giuridica più favorevole al vettore
di quella tipica del nostro codice civile.
Specifica disciplina ricevono anche i documenti di accompagnamento delle merci (lettere di trasporto).
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Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte l’applicabilità della normativa della
Convenzione di Ginevra postula che le parti contraenti abbiano in tal senso manifestato la loro volontà.
Tale scelta può essere effettuata sia in forma espressa, con l’indicazione in calce alla
lettera di trasporto che il rapporto contrattuale è assoggettato al regime di cui alla
Convenzione, che, in mancanza della lettera di vettura, attraverso pattuizioni tra le
parti, anche orali, dimostrabili con qualunque mezzo di prova (Cass, III sez, 27 maggio 2005 n. 11282).
2. L’e-commerce
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A) Premessa
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Il termine e-commerce (abbreviazione di electronic commerce) va ad indicare quell’ampio e particolare fenomeno volto alla conclusione di transazioni commerciali tramite quel sistema informatico internazionale che, collegando milioni di computers tra
di loro, ha dato luogo ad una rete denominata Internet.
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La miglior definizione del termine di e-commerce resta quella fornita dalla Commissione europea
nella sua comunicazione del 15 aprile 1997 ove si afferma che «il commercio elettronico ha come
oggetto lo svolgimento degli affari per via elettronica. Esso si basa sull’elaborazione e la trasmissione elettronica delle informazioni, incluso testi, suoni e video-immagini. Il commercio elettronico
comprende molte attività diverse, quali la compravendita di beni e servizi per via elettronica, la
distribuzione in linea di contenuti digitali, il trasferimento elettronico di fondi, le contrattazioni elettroniche di borsa, le polizze di carico elettroniche, le gare di appalto e le vendite all’asta, il design
e la progettazione in collaborazione, la selezione in linea dei fornitori, il marketing diretto dei beni
e servizi per il consumatore, nonché l’assistenza post-vendita».
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La particolarità di Internet è quella di aver dato vita ad un mondo virtuale, il Ciberspazio, caratterizzato dal fatto che durante la cd. navigazione si esce fuori innumerevoli
volte dalle frontiere del proprio Stato senza neppure rendersene conto.
Proprio questa transazionalità, che è l’elemento caratterizzante Internet, ha portato i
Governi a ricercare soluzioni per armonizzare il fenomeno con la disciplina legislativa
del commercio in generale.
La possibilità fornita da Internet di concludere transazioni commerciali in tutti gli Stati
del mondo ha evidenziato l’insufficienza del diritto internazionale privato e processuale ad affrontare e risolvere le problematiche da ciò scaturenti.
Le operazioni legate all’e-commerce si svolgono in uno spazio non fisico ma virtuale. Tale «smaterializzazione» non si riferisce soltanto al luogo di formazione del
consenso contrattuale, che resta l’aspetto più evidente dei contratti cd. informatici,
ma può investire anche la fase dell’esecuzione (come avviene con il meccanismo del
download) o dello stesso pagamento del prezzo che sempre più spesso si effettua
mediante la comunicazione, anch’essa informatica, degli estremi della carta di credito dell’acquirente. Pertanto molte categorie elaborate dal diritto quali il luogo di