TEORIA POLITICA

Direttori
Carla A
Università degli Studi di Macerata
Natascia M
Università degli Studi di Macerata
Comitato scientifico
Cristiano Maria B
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
José Francisco J D
Universidad Pablo de Olavide
Enrico G
Sapienza Università di Roma
Julien P
Université de Liège
Matteo T
Università di Parma
Gianluca V
Università degli Studi di Macerata
TEORIA POLITICA
L’apoliticità non esiste. Tutto è politica
— Thomas Mann
La collana di Teoria politica si propone di accogliere e pubblicare ricerche e
studi, in particolare monografie e volumi collettanei, dedicati alle trasformazioni del “politico” analizzato attraverso le pratiche, le istituzioni, il lessico,
le teorie e la storia delle idee. Si intende offrire spazio anche a lavori inediti
che ricostruiscano i mutamenti dello spazio politico attraverso temi quali la
sfera pubblica, i cambiamenti che investono le soggettività politiche (con
riferimento alle capacità e ai diritti), la fenomenologia rappresentativa, il
simbolismo e la comunicazione politica. Con questa iniziativa editoriale ci si
rivolge a quanti seguono le metamorfosi contemporanee del “politico” con
l’intento critico proprio degli studiosi, teso a intercettare le dinamiche che
si intrecciano nel rapporto società-politica-diritto, e con l’attenzione vigile
di quei lettori che vogliano orientarsi nella comprensione dei fenomeni
politici con strumenti concettuali adeguati alle sfide di un mondo che esige
uno sguardo locale, nazionale e globale.
Patrizia Salvatore
Prometeo e Cristo
Una riflessione politico–simbolica
Copyright © MMXVI
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio 
Al mio maestro Emanuele Lisi,
che vivendo attraversava la morte
e morendo ha conquistato la vita,
con l’amore anche di Andrea
6
Indice
11
Prefazione
13
Premessa
19
Introduzione
33
Capitolo I
Quale uomo?
L’ontologia antropologica di Felice Balbo
1.1. La ripresa della filosofia dell’essere. Approccio fenomenico e
approccio metafenomenico, 34 – 1.2. “Il futuro è il regno
dell’uomo”: libertà e liberazione, 56 – 1.3. Transfinitudine e
“integrazione umana cosmica”, 66 – 1.4. La vita oltre la morte.
Fondatezza di un’istanza inscritta nell'essere, 91.
109
Capitolo II
Prometeo e Cristo
2.1. La tensione polare tra identità e alterità, 109 – 2.2.
Immaginazione, Ideologia e Utopia, 113 – 2.3. Prometeo e Cristo.
Simboli politici, 131 – 2.4. Prometeo o Cristo? La risposta di J.
M. Lochman, 139 – 2.5. Prometeo o Cristo? La risposta di F.
Bartolone, 146 – 2.6. Politica tra Etica e Religione, 160.
167
Capitolo III
“Madre morte”, verità della vita
3.1. Sul metodo, 173 – 3.2. “La scommessa di Prometeo” di G.
Leopardi, 177 – 3.3. “La morte di Ivàn Il’íč”di Lev Tolstòj, 184 –
3.4. L’umiltà come “radice” dell’essere-per-l’altro, 209.
213
Conclusioni
233
Appendice
245
Riferimenti bibliografici
9
Prefazione
La tesi che l’autrice sostiene in questo lavoro è semplice, nel
senso evangelico del termine: non potremmo mai schierarci
dalla parte dell’amore e contro l’odio, dalla parte della pace e
contro la guerra, dalla parte della vita e contro la morte senza
avere radicalmente accettato la scommessa pascaliana sulla
esistenza di Dio. Soltanto a partire da questa scommessa, vera e
propria pietra d’inciampo, è possibile fondare e operativamente
sostenere nella quotidiana pratica empirica quella pretesa di
apertura all’altro che è condizione logica ed esistenziale di
qualsivoglia tentativo di fraterna convivenza degli individui e
pacifica coesistenza dei popoli.
Perché Prometeo e Cristo? Perché esaminare, quali paradigmi esistenziali di un possibile modello di rapporto
esistenziale, umano, sociale e politico con l’altro, questi due
simboli?
Certamente per segnarne la distanza strutturale e per segnalare l’esteriorità delle pur presenti analogie. Ma soprattutto per
proclamare l’incompatibilità di un’assolutezza che si declina, in
un caso, diabolicamente, come immanente delirio di onniscienza e onnipotenza, e nell’altro, simbolicamente, come tensione trascendente verso un sapere e un fare, la cui dimensione
misterica si disvela nel tempo e nello spazio solo alla perspicacia intuitiva di un’ermeneutica che intreccia il cuore e la
mente, un’ermeneutica paziente, proprio perché capace di patire
attivamente, e quindi far attraversare, le lacerazioni e i tormenti
della loro inevitabile confliggenza.
Senza infingimenti o mistificazioni, l’ampia e talvolta accorata argomentazione dell’autrice è volta a far riemergere dallo
scenario innegabilmente prometeico, sul quale la cosiddetta
società “moderna” proietta desideri speranze timori utopie e
soprattutto illusioni di una vita possibile, un modello forse fuori
moda, ma per l’autrice ineludibile, capace di superare la
chiusura dello spirito prometeico nella dimensione immanente
11
12
Prefazione
ed indicare la via della definizione di una originaria e recuperata
identità.
Sotto questo riguardo la presente appassionata riflessione,
nella sua essenza, evoca ed invoca i sempiterni interrogativi
sull’identità individuale e collettiva dell’uomo, ed in tal senso è
affrontata dall’autrice che nello svolgerla si avvale degli strumenti metodologici apprestati dall’ermeneutica della simbolica
politica la quale, al di là dei pregiudizi propri della epistemologia tradizionale, evidenzia l’importanza della sfera emozionale e dell’immaginazione collettiva nelle relazioni umane in
genere e nella costituzione degli ordinamenti politici all’interno
dei quali si intessono legami fondamentali per l’educazione e la
salvezza degli uomini.
A quest’approccio, che ha di mira il processo simbolico,
ovvero, il disvelamento del significato che si nasconde dietro ai
significanti storici, l’autrice accosta la sua personale concezione
del fondamento metafenomenico e trascendente di tale
disvelamento – una ben precisa forma di aletheia – che trova
appunto nel Cristo e non nel mito di Prometeo, il proprio
autentico significato e ripone nella libertà cristianamente
fondata, intesa come liberazione all’infinito, e non nella
indipendenza miticamente vagheggiata, il senso dell’identità
umana.
Domenica Mazzù
Premessa
Il rapporto tra identità e alterità è una delle questioni più
problematiche nel dibattito culturale odierno. Sul piano
psicologico, ad un più immediato livello di osservazione,
l’identità rimanda al processo di autoidentificazione di un
individuo con se stesso. Questo processo è la risultante del
rapporto dialettico tra autoimmagine ed eteroimmagine, sulla
base del fatto che «il mio campo di esperienze è riempito non
solo dalla mia percezione diretta di me stesso (ego) e dell’altro
(alter), ma da ciò che chiameremo meta-prospettiva, la mia
percezione delle percezioni che l’altro (tu, lui, lei, loro) ha di
me»1. In altri termini, l’identità propria di una persona non può
mai prescindere dall’identità per gli altri: dipendendo la sua
identità, in certa misura, da quella che gli altri gli attribuiscono,
nonché dalle identità che egli attribuisce agli altri, e in
definitiva dalla o dalle identità che egli suppone gli siano
attribuite2. Ma il processo di autoidentificazione dell’individuo,
per realizzarne l’autonomia, in vero, da un punto di vista
dinamico, non riduttivamente fenomenico e fenomenologico3,
deve fondarsi sulla capacità di continuare a sentirsi
singolarmente gli stessi in rapporto ai diversi ed innumerevoli
cambiamenti interni ed esterni. Questo sentimento fondamentale dell’essere sempre identico nel cambiamento, nonostante il,
o grazie al, divenire altro è la condicio sine qua non dello
sviluppo umano4. Così intesa, l’identità non è un dato fisso e
1
R. D. LAING, H. PHILLIPSON, A. R. LEE, Interpersonal perception, Tavistock,
London 1966, p. 4. 2
Cfr. R. D. LAING, L’io e gli altri, Sansoni, Firenze 1969; F. FERRAROTTI,
L’identità dialogica, Edizioni ETS, Pisa 2007; Z. BAUMAN, Intervista sull’identità,
Laterza, Roma-Bari 2003. 3
Sul piano psicologico un autore che validamente ha definito concettualmente
l’identità della persona umana, tenendo in debito conto sia l’impostazione
fenomenologica, sia quella dinamica, è ERIKSON E. H., in Gioventù e crisi di identità,
Armando, Roma 1974. 4
Di contro, nell’ambito della sindrome autistica, sameness è quell’atteggiamento di
fissazione patologica, alla base dell’angoscia disorganizzante la stessa struttura della
13
14
Premessa
statico, da costatare e di cui prendere atto una volta per tutte, ma
frutto di una creativa permanente conquista che si persegue
lungo tutto l’arco di vita. L’individuo, infatti, deve mettersi
sempre in discussione di fronte ai continui cambiamenti, interni
ed esterni, alla ricerca di una nuova identità, tale, cioè, che non
escludendo ciò che è stato e ciò che è, gli permetta, in
condizioni, sia esterne che interne, mutate, di aprirsi, appunto,
al nuovo per essere ciò che deve, può e vuole essere. In
particolare, ad ogni crisi dello sviluppo, quando si ripropone
fondamentalmente all’individuo il compito di integrare nuovi
elementi di identità con altri già esistenti, orbene, tutti i
potenziali negativi dell’identità acquisita e di quelli in fieri
riemergono dialetticamente nel corso della strutturazione della
personalità, in tensione polare con i potenziali positivi, talché il
risultato, quanto più sarà a vantaggio della disposizione
positiva, tanto più sarà un punto di forza per l’individuo come
arricchimento attuale della sorgente interiore della sua
creatività5.
Dunque l’uomo non sarebbe per nulla, se non fosse a un tempo
identità e novità, immobilità e mobilità, conservazione e rivoluzione
(o cambiamento). Non solo: è identico solo se si rinnova, immobile
solo se muta, conservato solo se cambiato. Se non si rinnovasse
rimarrebbe “uguale” ma non identico, se non mutasse rimarrebbe
“fermo” e “fisso” (materialmente) e non immobile, se non cambiasse
“cesserebbe” e non sarebbe conservato. Se non fosse identico non si
rinnoverebbe ma morirebbe, se non fosse immobile non muterebbe
ma morirebbe, se non si conservasse non cambierebbe ma
morirebbe. [...] Un’impostazione di questo genere ci consente di
personalità, che non tollera il cambiamento. Il corrispettivo termine italiano potrebbe
approssimativamente essere tradotto con “medesimezza” statica. Distinguendo fra la
modalità ipse e quella idem, e privilegiando la prima, Ricoeur si mette al riparo da un
concetto sostanzialistico di identità, che tenderebbe a farne un “nucleo immutabile della
personalità” (cfr. P. RICOEUR, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993). 5
Cfr. F. LISI, Per una “nuova” identità della e nella vita di coppia. Identità e/o
unicità dei partners nella diversità della specificità dei ruoli, in Psicologia e Società,
Rivista di psicologia Sociale, Istituto Superiore di Psicologia Sociale, Torino, XIV –
XXXVI, 3-4, 1989, p. 23. Premessa
15
distinguere chiaramente e necessariamente identico e uguale, essere
e stare, conservazione e fissità.6
Va da sé che l’uomo non può affermare alcunché né
affermarsi se non in qualche modo identificando ciò che in sé è
e va distinto: «l’identico, non l’uguale, l’essere non lo stare, la
conservazione non la fissità»7.
Basta questa preliminare osservazione esperienziale per
riflettere sul fatto che l’identità implica dialetticamente la stessa
alterità. Se l’identità ha bisogno della alterità è chiaro che
l’individuo si può formare originalmente solo uscendo da se
stesso, alienandosi direbbe Hegel, attraversando l’incontroscontro con gli altri, ma, per non tradire il senso di continuità di
se stesso nel divenire, deve liberamente quanto responsabilmente ancorarsi all’idea dell’Essere, tradurre8 in prassi il
simbolo nostalgicamente immaginato della radicale alterità cui
religiosamente tende per realizzarsi. «Esci dal tuo bozzolo, non
giocare con le cose che hai dentro di te, cose fatte per servire al
mondo umano: guarda fuori, gli uomini sono fuori e non dentro
di te […], ma possono fartisi interiori se tu ti scuoti, se tu li
salvi; tu sei il responsabile degli uomini»9, sembra con
insistenza dire la voce del volto10 dell’altro. Ma in un’altra
prospettiva gli altri possono diventare l’inferno11 e “vivi
nascosto” sembra l’appello non meno forte, ed a volte più
opportuno, che si preferirebbe seguire. Che l’incontro con
l’altro diventi occasione di crescita per ciascuno o guerra di tutti
contro tutti dipende dunque dai presupposti, più o meno
6
F. BALBO, Essere e progresso, in Opere 1945-1964, Boringhieri, Torino 1966, pp.
748, 750, passim. 7
Ivi, p. 751. 8
Circa il carattere etico del legame fra traduzione e ospitalità e il rapporto tra
tradurre e tradire, cfr. P. RICOEUR, La traduzione. Una sfida etica, Morcelliana,
Brescia 2001 e ID., Tradurre l’intraducibile. Sulla traduzione. Urbaniana University
Press, Città del Vaticano 2008.
9
F. BALBO, L’uomo senza miti, in op. cit., p. 9. 10
“Il volto parla”, ed ancora “l’occhio non brilla, parla” (E. LEVINAS, Totalità e
Infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 1990, pp. 64-65, passim). 11
“L’inferno sono gli altri” è il tema prevalente di Huis Clos (Cfr. J. P. SARTRE, Le
mosche. Porta chiusa, Bompiani, Milano 1995). 16
Premessa
consapevoli, della propria weltanschauung con particolare
riguardo al modo di vivere la morte. Al fine di affrontare lo
specifico della nostra tesi, riteniamo pertanto funzionale
innanzitutto chiarirli12. Nell’introduzione, dando uno sguardo
sofferto all’attualità, porremo le questioni da affrontare. Nel
primo capitolo avvieremo le nostre riflessioni sull’uomo e sulla
sua natura, nel contesto della filosofia dell’essere13, di una
ontologia antropologica, la cui validità riteniamo sufficientemente fondata negli scritti di Felice Balbo, in cui è criticamente
ripresa e portata avanti la concezione dell’uomo di Kant. La
caratterizzazione teorico-pratica del suo pensiero, la tesi che
tutto è politica, il rifiuto di una logica dicotomica nell’analisi
dei problemi, il concetto di libertà come liberazione, il tema
della realizzazione dell’identità dell’uomo intesa come dialettica integrazione, ovvero incontro di una complessa compresenza di distinzione e di unificazione, ci sollecitano a sceglierlo
quale autore di riferimento nel condurre la nostra ricerca.
Inoltre, ci siamo sentiti particolarmente stimolati, oltre che da
Heidegger e da Horkheimer, anche dagli scritti di Ricoeur e del
gruppo di studiosi del “Centro Europeo di Studi su Mito e
12
Soltanto un approccio riduttivamente scientistico ha la pretesa di fare a meno di
ogni presupposto. Il che equivarrebbe a cucire senza fare il nodo al filo, ovvero cucire
all’infinito senza cucire niente (Cfr. S. KIERKEGAARD, La malattia mortale, Sansoni,
Firenze 1965, p. 316). Cfr., altresì, D. MAZZÙ, Logica e mitologica del potere politico,
p. 47. In fondo, «chi non ha presupposti non pone neppure domande, chi non pone
domande non può formulare ipotesi, e dunque non cerca niente” (P. RICOEUR, Dal testo
all’azione, Jaca Book, Milano 1989, p. 315). 13
Ci conforta nella scelta della filosofia dell’essere Heidegger per il quale «pensare
la verità dell’essere significa ad un tempo pensare l’humanitas dell’homo humanus.
Bisogna porre l’humanitas al servizio della verità dell’essere» (M. HEIDEGGER, Lettera
sull’umanismo, in Segnavia, Adelphi, Milano 1988, p. 304). A sostenerci nella
decisione di scegliere Heidegger come autore da privilegiare, ai fini della nostra ricerca,
è G. Marcel. Egli, per un verso, ci riferisce, “per confessione” dello stesso Heidegger,
«che non è lecito includerlo tra gli atei o considerare la sua dottrina come ateismo» in
quanto «il suo pensiero – così gli disse – è come sospeso sul problema dell’esistenza di
Dio» e che «non è ancora certo di aver detto l’ultima parola». Per altro verso, così si
esprime sugli ultimi scritti di Heidegger: «la cosa certa è che nelle sue opere recenti, sia
nella Lettera sull’umanismo che nella Introduzione alla metafisica apparsa nel 1953 e
nella quale riprende lezioni tenute negli anni precedenti, insiste sul carattere sacro
dell’Essere e sulla necessità di ripristinare quel senso del sacro che lo sviluppo della
filosofia ha tentato di alterare o di abolire» (G. MARCEL, L’uomo problematico, Borla
Editore, Torino 1964, p. 117). Premessa
17
Simbolo»14. Mentre, per un orientamento diverso con cui
confrontarci, al fine di esercitare doverosamente l’esercizio del
“sospetto” nei confronti di rischiose tentazioni acriticamente
dogmatiche, abbiamo avuto come validi interlocutori Sartre,
Marx, Nietzsche, Freud. La scelta su di loro, in particolare,
ricade perché, come suggerisce Ricoeur, siamo consapevoli che,
in particolare, gli ultimi tre, «anziché essere dei detrattori della
“coscienza”, mirano a una sua estensione»15. Insomma, sul
piano filosofico-esperienziale, nella nostra ottica, non solo non
si tratta di eliminare, come superficialmente spesso è stato fatto,
il concetto di “coscienza”, ma avvedutamente, in maniera più
critica, di «sostituire a una coscienza immediata e dissimulante
una coscienza mediata e istruita dal principio della realtà»16.
Nel secondo capitolo, Prometeo e Cristo, ci proponiamo di
evidenziare la “tensione polare” nella compresenza dialettica,
che, a nostro avviso, esiste tra identità e alterità nella natura
umana. Chiariremo così il concetto di identità come
costitutivamente aperta alla totale alterità, sì da mettere in
evidenza che l’identificarsi per essere se stessi implica
onticamente il simbolizzare il totalmente Altro verso cui ci si
14
Tra gli scritti degli autori del Centro, nato alla fine degli anni ’70 presso
l’Università di Messina, che ha avuto il merito di aver esteso le ricerche sul simbolico al
campo della filosofia politica e del diritto, si distinguono quelli di Domenica Mazzù, da
noi particolarmente presi in esame anche per la chiarezza espositiva e concettuale: Il
complesso dell’usurpatore, Giuffré, Milano 1986; Logica e mitologica del potere
politico, Giappichelli, Torino 1990; Voci dal Tartaro, Ed. ETS, Pisa 1999; Tebe e
Corinto. Sul figlicidio, Giappichelli, Torino 2003; La metafora autoimmunitaria del
politico in D. MAZZÙ (a cura di), Politiche di Caino. Il paradigma conflittuale del
potere, Transeuropa, Ancona-Massa 2006.
15
Cfr. P. RICOEUR, Dell’interpretazione. Saggio su Freud, il Saggiatore, Milano
2002 (I ed. franc. 1965) p. 49. In fin dei conti «ciò che Marx vuole è liberare la praxis
mediante la conoscenza della necessità; ma questa liberazione è inseparabile da una
“presa di coscienza” che replichi vittoriosamente alle mistificazioni della falsa
coscienza. Ciò che Nietzsche vuole è l’aumento della potenza dell’uomo, la
restaurazione della sua forza; ma quel che vuole dire volontà di potenza deve essere
ricuperato dalla meditazione delle cifre del “superuomo”, dell’“eterno ritorno” e di
“Dioniso”, senza di che quella potenza sarebbe solo la violenza del di qua. Ciò che
Freud vuole è che l’analizzato, appropriandosi del senso che gli era estraneo, allarghi il
proprio campo di coscienza, viva in migliori condizioni e sia infine un po’ più libero e,
se possibile, un po’ più felice”» (ibidem). 16
Ibidem. 18
Premessa
sporge per attingerne l’essere di cui si è insaziabilmente
affamati. L’uomo è, infatti, caratterizzato da una strutturale
incompiutezza che ha bisogno di trascendere all’infinito. Nel
soffermarci sulla tensione naturalmente religiosa dell’uomo,
che si avvale dell’immaginazione creativa per rappresentare
l’assoluto, prenderemo in considerazione, quali suoi prodotti, il
mito e il simbolo, cogliendone le differenze strutturali e il loro
reciproco collegamento rispettivamente all’ideologia e alla
utopia, espressioni dialetticamente integrate dell’immaginario
socio-politico. Entrando nello specifico della nostra ricerca,
l’analisi delle ‘figure’ di Prometeo e Cristo alla luce delle
considerazioni di Lochman e Bartolone ci consentirà di
argomentare che solo il simbolo di Cristo rappresenta il
paradigma più significativo dell’umano, con particolare
riguardo al rapporto con l’altro. Infine, nel terzo capitolo,
attraverso il ricorso alla letteratura, quale luogo della
immaginazione del possibile reale, espressione della libertà
secondo la speranza, verificheremo esperienzialmente le
argomentazioni teoreticamente tracciate nei primi due capitoli
al fine di individuare i presupposti di una filosofia politica con
“orizzonte teologico”, che, a nostro avviso, epistemologicamente è aperta al piano educativo.
Introduzione
Sempre più complesso è l’incontro con l’altro in una realtà in
cui le migrazioni di interi popoli, gli integralismi religiosi e
politici, sfidando gli equilibri esistenti, sollecitano la ricerca di
adeguate risposte non riduttivamente dettate dall’emergenza
contingente. È un dato di fatto che i conflitti stanno affiorando
ed esplodendo anche a seguito dei processi di globalizzazione.
Nel mondo quale ‘villaggio globale’ le appartenenze, al di là
della considerazione comune secondo la quale si rafforzerebbero, in vero si allentano. Ora, non vi è dubbio che l’indebolimento dei ‘legami’ è un fenomeno essenzialmente positivo,
poiché riduce le barriere fra gli uomini: esso contrasta
l’esclusione e l’emarginazione, quindi la fabbricazione dei capri
espiatori. Ma negativi e violenti sono i suoi effetti, se non
adeguatamente affrontati sul piano politico, poiché con il crollo
delle barriere, diminuisce altresì la resistenza alle “rivalità
mimetiche”. Giacché non sono più separati gli uni dagli altri da
confini invalicabili, i gruppi e gli individui si imitano
freneticamente quanto meccanicamente generando conflitti che
si configurano come conflitti fra fratelli nemici. Bisogna ormai
prendere atto che la violenza si alimenta non con la forza ma
con la debolezza delle appartenenze. È perché esse sono in
piena disgregazione che le appartenenze “recitano” a se stesse
la “commedia” di una forza che non possiedono più1. In un
contesto così complesso e gravido di sfide, appena varcata la
1
R. GIRARD, Le appartenenze, in Politiche di Caino. Il paradigma conflittuale del
potere, Transeuropa, Ancona-Massa 2006, pp. 260-271. L’articolata prospettiva di
analisi fatta da Girard, per essere efficacemente approfondita, deve fondarsi, a nostro
avviso, su una filosofia dell’essere, che individui a quali condizioni è possibile
perseguire uno sviluppo globale in cui ciascuno da fratello-amico dell’altro cooperi
creativamente a costruire il bene di ciascuno e di tutti. In altri termini, si tratta di
rispondere a questioni cruciali quali: «come agire per lo sviluppo umano? Quali idee di
ordine teoretico ed etico sono necessarie per una ragionevole azione di sviluppo? Quali
sono i criteri di orientamento e di giudizio che consentono di determinare un vero
sviluppo umano della società?» (F. BALBO, Idee per una filosofia dello sviluppo umano,
in Opere 1945-1964, cit., p. 362). 19
20
Introduzione
soglia del terzo millennio, in modo tragico più che drammatico,
non possiamo fare a meno di continuare a domandarci se la
nostra struggente speranza di una convivenza fraternamente
pacifica sia un’istanza ragionevole.
E, più concretamente, ci chiediamo: a quali condizioni di
fondo possiamo veramente comunicare e comprenderci? Come
imparare a vivere su una terra abitabile realizzandoci nel
rispetto e nella stima reciproca, senza cedere alla tentazione di
spadroneggiare sull’altro? A quali fondamentali princìpi devono
ispirarsi i responsabili della politica, dell’economia, della
scienza, del diritto, delle fedi religiose per promuovere un
equilibrato sviluppo integralmente umano?2
La risposta consegnataci dalla tradizione della modernità è:
l’uomo criterio e fine. D’accordo. Ma quale uomo?3
La riflessione filosofica dà risposte diverse in base al
significato che si presuppone abbia la morte per la vita
dell’uomo. Il modo di viverla prima ancora che si verifichi,
persino e soprattutto quando di fatto se ne ignora la possibilità,
condiziona la stessa qualità dell’esistenza.
Nella concezione kantiana, l’uomo, animato da una
costitutiva tensione laico-religiosa, finito nel tempo e nello
spazio, transfinito nell’essere, riconoscendosi responsabile del
bene e del male da lui stesso compiuto, sceglie autonomamente
quanto soffertamente il dovere di trattare l’umanità sia in sé, sia
2
In vero, come dice Balbo, al di là della pluralità e varietà degli interrogativi «il
problema rimane sempre uno: ricercare quelle nozioni filosofiche che consentano il
primo, sufficiente trascendimento filosofico ed etico dell’attuale e tradizionale sistema
storico-sociale, che quindi siano in grado di permettere un’azione umana non più
necessariamente soggetta ai meccanismi contraddittori e involutivi del sistema storico
sociale, ma anzi capace di vivificarlo e di determinarne lo sviluppo» (F. BALBO, Idee
per una filosofia dello sviluppo umano, cit., p. 395). 3
E ciò ci chiediamo ritenendo di non poter fare a meno dell’approccio filosofico, in
un momento in cui, invece, la vita reale, così prorompente di indefinite possibilità, pur
essendo figlia della filosofia moderna, sta cacciando la stessa filosofia, perdendola
senza neanche riuscire a criticarla e senza risolverne i problemi..Non si può ignorare il
dato, infatti, «che la filosofia moderna intera ha fatto fallimento storico e tutta la
filosofia fino ad oggi esplicitamente espressa deve essere, in qualcosa di essenziale, o
erronea, o insufficiente, o tutte e due le cose insieme. Una ripresa storica del filosofare
che non muova da tale costatazione è, dunque, una falsa partenza» (F. BALBO, Idee per
una filosofia dello sviluppo umano, cit., pp. 385-386).