Metodologia: nel caso della ricerca condotta sul campo, nell’indagare l’esperienza di sofferenza dei soggetti afflitti, la Sindrome da Affaticamento Cronico si è presentata nei termini di una politica legata alla negoziazione del sapere intorno alla malattia. Nello svolgimento della ricerca mi sono avvalso della collaborazione con il C.R.O. (Centro di Riferimento Oncologico) di Aviano, e in particolare con l’Associazione malati di CFS di Pavia. Quasi tutte le interviste sono state condotte soltanto dopo avere contattato gli iscritti presso questa associazione. Dopo avere incontrato numerosi soggetti afflitti, ho condotto in maniera formale circa venti interviste con soggetti che al momento della discussione possedevano una diagnosi di CFS. Per condurre le interviste ho utilizzato un questionario semi strutturato, al fine di evidenziare il più possibile gli aspetti narrativi che veicolano l’esperienza di sofferenza, sottoponendo un questionario suddiviso in sezioni differenti che trattano la narrazione, in termini cronologici, dell’esperienza di sofferenza, la descrizione della malattia da parte degli afflitti, le loro risposte alle cure mediche e l’impatto che ha avuto la patologia nella quotidianità dei singoli. L’età dei soggetti che hanno collaborato alla ricerca variava dai ventotto ai cinquantotto anni, con una media generale di poco più di quaranta anni. Al momento del mio incontro con loro, nessun soggetto si è dichiarato guarito. La media della durata dei sintomi, al momento della ricerca, era di circa dieci anni. Non sono mancati, però, casi di afflitti da più di venti anni. RELAZIONE: L’antropologia medica è stata riconosciuta ufficialmente come una branca dell’antropologia da più di trent’anni. Il corpo umano, in stato di salute e malattia, è il punto di partenza della ricerca in questo ambito. Va sottolineato altresì che la ricerca nel campo delle scienze sociali è legata all’osservazione e alla comprensione dei fenomeni che riguardano la società, la contemporaneità, e non tanto alla effettiva spiegazione di tipo scientifico legata alla consequenzialità del rapporto causa/effetto. Da questa considerazione segue che la mia osservazione può offrire una chiave di lettura nella comprensione di alcune tematiche legate alla Sindrome da affaticamento cronico, senza però esprimersi se questa sia una patologia avente una causa piuttosto che un’altra. Dunque, nel caso della Sindrome da Affaticamento Cronico, condividere un’ottica antropologica può fornire un valido contributo per evidenziare le politiche che ruotano attorno alla malattia, ovvero l’esame delle relazioni che concorrono nel processo di definizione delle patologie e, in particolare, della realtà che caratterizza l’afflizione stessa. L’antropologia medica poggia su una teoria per la sua stessa comprensione fondamentale, ovvero l’incorporazione. Gli studi antropologici che trattano il corpo non analizzano semplicemente il corpo in sé, ma i modi in cui le persone abitano i propri corpi, ovvero le forme di incorporazione, il cui termine si riferisce alle abitudini apprese e alle tecniche culturalmente informate grazie alle quali gli esseri umani sono nei loro corpi e nel mondo. Seguendo il paradigma dell’incorporazione, il corpo non emerge soltanto come entità biologica, ma anche come fenomeno storico e culturale. Gli studi di antropologia medica evidenziano come il corpo non sia soltanto entità biologica, materiale, ma anche il prodotto di processi sociali, storici e culturali. La cultura modifica i corpi determinandone i gesti e i movimenti. Ma il corpo restituisce una conoscenza, non è semplicemente informato ma a sua volta informa. In antropologia, dunque, è una chiave di lettura essenziale il passaggio da una concezione puramente biologica della malattia a quella di un evento umano globale. Il corpo, infatti, non è soltanto riducibile alle somma delle sue componenti organiche. Questo è uno degli assunti fondamentali della mia ricerca, ovvero la lettura dell’afflizione, dell’esperienza di sofferenza da parte dei soggetti afflitti dalla CFS, e la narrazione stessa dell’esperienza di sofferenza degli afflitti. Il tema dell’esperienza di sofferenza degli afflitti riguarda e investe il tema legato al dolore. In seguito alle interviste che ho condotto, è possibile affermare che la sofferenza e la frustrazione non sono soltanto sentimenti individuali, ma sono anche comuni e sociali. Le cure alle quali sono sottoposti i soggetti afflitti, agiscono sul corpo di chi soffre di Sindrome da Affaticamento Cronico rendendolo il luogo figurato di una nuova identità prodotta dal rapporto di tensione tra il mondo locale, ovvero il mondo proprio del soggetto afflitto, e più ampi scenari storici, politici ed economici. Il vissuto di malattia risulta il momento di sintesi fra aspetti cognitivi ed emotivi, fra aspetti individuali e collettivi, che viene elaborato dall’essere umano nel corso di questa esperienza. Esso dipende da un lato dalla natura e dalla gravità della malattia, che può essere acuta o cronica, dalla sua prognosi, come dai suoi connotati specifici, ma dall’altro, dipende dalla personalità dell’individuo e dalle esperienze precedenti della sua storia personale e sociale. Se la salute si realizza e si manifesta non soltanto per l'assenza di malattia avvertita o rilevata, quanto come dispiegamento di tutte le proprie potenzialità fisiche e psichiche, ciò aumenta il distacco dal concetto di malattia come di un bioguasto, contribuendo ad accrescere la rilevanza della duplice soggettività, malato da un lato e medico dall’altro. E’ nella relazione tra i due soggetti appena menzionati che non possono darsi per scontate analisi ed ipotesi di soluzioni semplici e di validità universale. Sia il medico che il paziente sono due attori sociali, con specificità culturali proprie, ma proprio per questo differenti. Infatti è di fondamentale importanza conoscere quali sono gli orizzonti ideologici e i modelli di interpretazione, che in antropologia medica sono i cosiddetti modelli esplicativi, attraverso cui gli uomini vivono la condizione di malattia e qual è il codice culturale attraverso il quale esprimono i loro bisogni. La cultura di appartenenza determina il modo di sentire il proprio corpo, di sperimentare il dolore e la sofferenza, di descriverlo. Al linguaggio biomedico improntato sulla funzionalità, i soggetti afflitti oppongono un discorso che situa la loro sofferenza all’interno di un modo preciso di vivere il corpo. L’antropologia medica, attraverso la cosiddetta pratica della narratività, ovvero attraverso la narrazione dell’esperienza di sofferenza, indaga sui modi per sviluppare una relazione più efficace non solo con i corpi, ma anche con le persone malate. La malattia non è soltanto un accadimento a sé, di cui sono responsabili fattori biologici, ma si configura come esperienza rilevante nella vita dell'uomo colpito e non cancellabile dalla sua memoria emotiva, in particolare se si parla di una malattia come la Sindrome da Affaticamento Cronico che, al momento, non può essere guarita. Per comprendere il dolore del malato, occorre entrare in relazione con lui, riconoscere l’importanza del suo vissuto soggettivo, ascoltare ciò che egli ha da dire sulla sua condizione fisica. Talvolta, attraverso l’atto narrativo emerge il senso della drammaticità dell’esperienza: la malattia si presenta nella storia di una persona come evento che segna una discontinuità nella sua vita o come una strategia per mantenere un possibile equilibrio nel suo sistema vitale. La narrazione è forse la via migliore per accedere all’evento di malattia e all’esperienza di cura, come vissuti originari della persona. Da quanto emerso dalla ricerca, dunque, è utile raccontare l’intera esperienza di sofferenza, l’intero contesto in cui un atto si inserisce, poiché si è così obbligati a ricomporre e integrare criticamente in una visione d’insieme i particolari e gli elementi che l’analisi biomedica ha scisso. Dalle narrazioni dei soggetti afflitti emerge la condizione di precarietà che segue la malattia. Una precarietà non solo relativa ai loro impieghi, ma anche da un punto di vista affettivo: la Sindrome da Affaticamento Cronico causa la perdita del lavoro frantumando la loro identità di lavoratori, e il mancato riconoscimento della malattia implica nei rapporti sociali la negazione di una stabilità precedentemente acquisita. Chi è colpito da CFS vive inizialmente una condizione di parziale disabilità, spesso non immediatamente riconosciuta da conoscenti e familiari. Dunque, al centro della vicenda degli afflitti vi sono la perdita di identità, la riduzione delle relazioni sociali, la malattia stessa nonché la eventuale somministrazione di psicofarmaci che spesso ne riduce la combattività. La malattia vissuta dai soggetti ha a che fare con la biologia, ma riguarda anche - e soprattutto - fattori che parlano della vita: fattori quindi estremamente soggettivi, validi per un singolo individuo e non per altre persone pur affette dalla medesima patologia. Le storie di malattie hanno molteplici aspetti: dai fatti che vengono narrati risulta chiaro che il malato, quando si rapporta al medico, non è sempre disponibile a ricevere le spiegazioni che gli verranno date. La malattia descritta dal medico appare agli occhi del malato come avente una struttura lineare. Essa ha un nome, un decorso, un esito. Della malattia in quanto processo biologico, il medico sa tutto o quasi; della malattia come esperienza del paziente invece spesso conosce poco. Si tratta di un territorio ignoto: l’evento malattia infatti modifica il mondo del paziente determinando la dissoluzione del suo mondo.