Messaggero Veneto 06/03/05 Foibe, nessuno bari sulla storia di Fulvio Salimbeni I RAPPORTI TRA L’ITALIA E LA SLOVENIA NELL’EUROPA UNITA Considerazioni sul rapporto di Forum 21 che il governo di Lubiana ha inviato a Ciampi Foibe, nessuno bari sulla storia LA VERITA’ SULLE FOIBE di FULVIO SALIMBENI Milan Kucan, già presidente della Slovenia, di recente ha inviato ai presidenti italiano Ciampi e sloveno Drnovsek un documento sulle questioni storiche italoslovene. Il documento è stato elaborato da Forum 21 di Lubiana, da lui fondato e diretto, che era stato previamente discusso in un convegno cui avevano partecipato studiosi di entrambi gli Stati. Oltre a ciò, è noto che la televisione d’oltre confine ha mandato in onda lo sceneggiato “Il cuore nel pozzo”, accompagnato da un dibattito sull’argomento, condotto con equilibrio, al quale erano state invitate personalità delle due nazionalità cointeressate, che hanno civilmente discusso i temi sottesi a quella trasmissione, mentre la componente slovena della commissione mista storico-culturale che a suo tempo stese una relazione sulla storia comune dei due popoli ha proposto, riprendendo un voto formulato da tutti i commissari alla conclusione dell’indagine, che si pubblichino i materiali preparatori o almeno le loro parti più significative, per mettere a disposizione degli storici la ricca messe di documentazione e di letteratura storiografica in tale occasione raccolta. Tale concomitanza d’iniziative, che è difficile ritenere casuale, pone in evidenza il problema delle relazioni non solo politiche ed economiche ma anche culturali tra Italia e Slovenia, tanto più importante in quanto oggi le due nazioni sono parte integrante dell’Unione europea, dove da tempo si ribadisce l’utilità e l’importanza d’una revisione e ripensamento condivisi delle vicende conflittuali che hanno segnato i rapporti tra tanti paesi membri (Francia e Germania, Italia e Austria, Germania e Polonia, Austria e Slovenia) onde forgiare un sentimento solido e fondato su rigorose basi storiche d’appartenenza a una comune civiltà europea. Un obiettivo, questo, che può essere raggiunto solo mediante un risoluto investimento educativo, che passi attraverso la stesura di manuali storici non nazionalistici, l’ approfondimento dei momenti e degli aspetti cruciali, analizzando e facendo conoscere le ragioni e le valutazioni degli uni e degli altri e la collaborazione non episodica di docenti e ricercatori, sulla falsariga di ciò che venne fatto, tra 1993 e 2000, dalla commissione di cui sopra, alla quale, infatti, nelle tre circostanze in precedenza menzionate s’è fatto costantemente riferimento. Spiace, però, rilevare rispetto alle posizioni nel documento espresse di dalla Forum 21 una storiografia sorta d’arretramento slovena nella relazione bilaterale e a talune dichiarazioni di una studiosa quale Milica Kacin Wohinz e del ministro Simoniti in merito alla necessità d’affrontare anche i punti più controversi e tormentati della recente storia nazionale, ivi inclusi quelli del tragico periodo 1941-1945. Se nulla, infatti, si può obiettare alla denuncia delle colpe e delle responsabilità italiane nella politica snazionalizzatrice nella Venezia Giulia durante il ventennio fascista e nel biennio dell’annessione della provincia di Lubiana (1941-1943), del resto ampiamente riconosciute e documentate da tempo dai nostri storici più accreditati, lascia perplessi il totale silenzio sulla violenza scatenata, tra 1943 e 1945, contro la componente italiana – non solo contro essa, in verità – dal movimento partigiano sloveno e croato nell ’area altoadriatica, che ha portato agli infoibamenti e all’esodo postbellico. Né, d’altro canto, è possibile ridurre tutto ciò, come molti hanno fatto in occasione del “Giorno del ricordo” e della proiezione di “Il cuore nel pozzo”, a periodo una legittima e comprensibile reazione popolare a un lungo d’oppressione e sopraffazione, in primo luogo perché quanto avvenne fu, però solo in parte, “furore contadino”, ma anche, e ancor più, manifestazione d’un meditato progetto di conquista rivoluzionaria del potere per instaurare un nuovo ordine socialista e d’espansione nazionalista su terre ritenute, a torto o a ragione, slovene e croate; il che comportava la spietata liquidazione d’ogni forma di possibile opposizione nazionale, ideologica e sociale. Va, inoltre, ribadito che la logica dell’“occhio per occhio, dente per dente”, se può aiutare a spiegare talune reazioni e comportamenti, non è ammissibile sia ritenuta valida contrapposizioni ancora e oggi, contrasti, allorché si continuando cerca a di ragionare superare nei le termini antiche di una dialettica tra bene e male. Se si ha la forza d’elevarsi dalla mera dimensione fattuale e cronachistica per ragionare sul piano dell’etica e della filosofia politica, bisogna riconoscere che uno dei risvolti più tragici del secondo conflitto mondiale è stato quello, denunciato da filosofi quali John Rawls e Michael Walzer, certo non sospettabili di simpatie totalitarie, per cui le potenze che proclamavano di battersi per i valori della libertà e della democrazia si sono abbassate a comportamenti tipici della mentalità del nemico, dai bombardamenti terroristici fini a se stessi alle deportazioni forzate di popolazioni, ai massacri etnici per “semplificare” il quadro demografico postbellico, tutti elementi, va ricordato, comuni all’intera Europa e non unici di quanto avvenuto al nostro confine orientale. D’altro canto, pure un intellettuale antifascista ungherese come Istvan Bibò nel 1946 ebbe a denunciare con amarezza la feroce politica di vendetta indiscriminata adottata dal governo cecoslovacco nei riguardi delle minoranze tedesche e magiare, screditando quella democrazia della quale pure si proclamava campione. Se, dunque, lodevolmente si vuole giungere a una storia condivisa delle relazioni italo-slovene, da far conoscere in particolare ai giovani in vista della costruzione d’un nuovo senso d’identità europea, è doveroso affrontarla in tutta la sua complessità e in tutte le sue componenti, altrimenti si continuerà a fare solo dell’abile e strumentale uso pubblico della storia, del quale non s’avverte la necessità.