Corso di astronomia, Lezione 2, 18/11/2010. Daniele Gasparri.

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Corso di astronomia, Lezione 2, 18/11/2010. Daniele Gasparri.
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• Le stelle
• Le nebulose
Gli ammassi stellari
Oltre il Sistema Solare, in viaggio nella nostra Galassia
Nel comune linguaggio degli astrofili, si definiscono oggetti deep-sky o del cielo profondo tutti quelli esterni
al sistema solare.
Oltre i confini del sistema solare esiste il vero Universo, uno spazio sterminato popolato da corpi celesti
enormi (le stelle, alcune anche 100 volte più grandi del Sole) che spesso fanno parte di gruppi più o meno
numerosi chiamati ammassi stellari, che possono essere globulari o aperti a seconda della loro forma, del
numero di componenti e della loro orbita, con dimensioni superiori a 100 anni luce.
Accanto agli agglomerati stellari esistono le nebulose, gigantesche distese di gas e polveri che a seconda del
modo con cui interagiscono con la luce si mostrano all’osservatore sottoforma di nebulose ad emissione,
dette anche regioni HII (HII denota l’idrogeno, l’elemento più abbondante, ionizzato, cioè privato del suo
unico elettrone), a riflessione, se diffondono la luce proveniente da stelle vicine, oppure oscure se la quantità
di polveri è elevata e non vi sono stelle nelle vicinanze. Vi sono anche altri tipi di nebulose, molto più
piccole, che rappresentano lo stadio finale della vita di una stella, che può avvenire in modo dolce
(formando le nebulose planetarie) o estremamente violento (resti di supernova).
Le nebulose e gli ammassi stellari che possiamo agevolmente osservare appartengono alla Via Lattea, la
nostra galassia, la quale è solamente una delle decine di miliardi che popolano l’Universo. Le galassie
osservabili sono qualche decina di migliaia e tutte si presentano spettacolari ed interessanti, ognuna diversa
dalle altre.
Gli oggetti più interessanti sono tutti di tipo diffuso, cioè che hanno un’estensione angolare apprezzabile in
modo da poter risolvere la loro forma.
In effetti, l’osservazione di singole stelle non è quasi mai consigliata perché fine a se stessa: una stella, se
non presenta particolarità (come variabilità o una o più compagne che le ruotano intorno) non è interessante.
Anche le più vicine a noi (la più vicina è Proxima Centauri) sono così lontane che il diametro angolare
sotteso dal loro disco è al di sotto del potere risolutivo di qualunque telescopio. In questo caso si afferma
(impropriamente) che le stelle non possono essere ingrandite: una stella vi apparirà sempre puntiforme e se
non lo dovesse essere ciò sarà causato dall’effetto della nostra atmosfera o dalle proprietà della luce.
L’osservazione di una stella singola quindi non è ne emozionante ne, tanto meno, utile ad una comprensione
del nostro Universo.
Avremo modo di vedere che esiste almeno una classe di oggetti puntiformi interessanti, almeno dal punto di
vista emotivo: i quasar, in apparenza delle stelle, in realtà nuclei galattici che emettono una quantità di
energia anche 1000 volte superiore a quella dell’intera galassia che li ospita e per questo visibili fino ai
confini dell’Universo osservabile, ad oltre 10 miliardi di anni luce dalla Terra.
Fortunatamente l’Universo è pieno di oggetti non stellari o di grandissimi agglomerati di stelle che hanno un
diametro apparente quasi sempre molto più grande di quello dei pianeti e che meritano di essere indagati con
la tecnica digitale per rivelare la loro natura, i loro dettagli e le loro caratteristiche fisiche, chimiche e
dinamiche.
Le stelle
Nel capitolo riguardante il Sole, nella passata lezione, abbiamo visto alcune caratteristiche che lo rendono
una stella; in particolare, abbiamo visto che una stella è una gigantesca sfera di gas incandescente, quindi che
emette luce propria, con una temperatura degli strati esterni di qualche migliaio di gradi, che aumenta
inesorabilmente verso il centro, cuore e motore dell’energia e della vita stessa di ogni stella. Nelle zone
interne di ogni stella, dette anche regioni nucleari, la temperatura supera i 10 milioni di gradi e la pressione è
miliardi di volte superiore a quella dell’atmosfera terrestre. In questo ambiente così estremo, il gas che forma
la stella, principalmente idrogeno (74%) ed elio (25%) si trova in uno stato particolare, quello di plasma.
Gli stati di aggregazione della materia sono di solito ben conosciuti; prendiamo ad esempio l’acqua sulla
Terra. Quando l’acqua si trova al di sotto di zero gradi congela, diventando solida: questo è uno degli stati di
aggregazione della materia. Se innalziamo la temperatura il ghiaccio si scioglie e l’acqua diventa liquida:
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secondo stato di aggregazione della materia. Se innalziamo la temperatura oltre i 100 gradi, l’acqua dopo un
po’ è scomparsa del tutto perché è evaporata, ovvero si è trasformata in gas: questo è il terzo stato di
aggregazione della materia. Ogni sostanza, dall’acqua ai metalli, può trovarsi in questi tre stati di
aggregazione, a seconda delle condizioni di temperatura e pressione.
Accanto a questi 3 stati ben conosciuti, che ricapitolando sono: solido, liquido e gassoso, esiste nell’Universo
un altro stato in cui la materia può trovarsi: il plasma.
Quando un gas viene riscaldato ad oltre 10000 gradi, esso assume delle proprietà particolari. Tutta la materia
infatti è costituita da molecole, le quali sono costituite da gruppi di almeno due atomi, aggregati elementari
formati da un nucleo, nel quale si trovano protoni e neutroni, ed un involucro esterno formato da particelle
molto piccole e leggere, denominate elettroni. I protoni del nucleo sono 2000 volte più pesanti degli elettroni
ed hanno carica positiva. Gli elettroni, nonostante siano molto più leggeri, hanno carica negativa uguale e
contraria a quella dei protoni. Attraverso una sorta di rotazione, gli elettroni riescono a non essere attratti
dalle cariche positive del nucleo e formano l’atomo così come lo conosciamo. Ogni atomo è composto da un
ugual numero di elettroni e protoni, così che la carica totale netta è nulla; questo è un fatto importante perché
ci dice che tutta la materia è elettricamente neutra.
Quando un gas viene scaldato a temperature elevatissime, ad un certo punto l’energia che viene fornita
attraverso il calore prima disgrega le molecole nei singoli atomi: il gas, qualsiasi gas diventa atomico, ovvero
formato da atomi e non più da molecole complesse. Aumentando il calore, oltre i 10000°C, i singoli atomi
cominciano a perdere gli elettroni: quando un atomo perde uno o più elettroni si dice ionizzato ed esso
diventa elettricamente carico, perché non possiede più lo stesso numero di particelle positive e negative.
Questo è lo stato di plasma: un gas così caldo che le molecole di cui è composto sono ormai disgregate in
singoli atomi, i quali inoltre sono ionizzati, ovvero protoni ed elettroni non stanno più insieme ma hanno una
vita separata; in altre parole non esistono più gli atomi come li conosciamo e di fatto tutta la materia è
disgregata nei costituenti principali, che sono elettroni e nuclei atomici.
Quando un gas è nello stato di plasma emette una grande quantità di radiazione elettromagnetica,
principalmente nell’ultravioletto e nei raggi X. Inoltre, poiché non è più elettricamente neutro, esso non sente
più solamente la presenza della forza di gravità, ma anche i campi magnetici che permeano praticamente
tutto l’universo. Un gas allo stato di plasma può essere anche molto più denso perché le singole particelle che
compongono gli atomi sono molto più piccole degli atomi stessi, quindi quando l’atomo si è disgregato il gas
può comprimersi almeno 1000 volte di più rispetto a quando non era nello stato di plasma. Questa maggiore
compressione è alla base dell’esistenza stessa delle stelle e dell’Universo, perché rende possibile il processo
di fusione nucleare con il quale le stelle brillano e quindi sopravvivono.
Sebbene questo particolare stato della materia sia pressoché assente sulla Terra, è lo stato nel quale si trova
circa il 99% di tutta la materia dell’Universo: ancora una volta, le nostre esperienze quotidiane non
rispecchiano il reale comportamento dell’Universo!
All’interno di ogni stella il gas non è più composto da atomi, ma da nuclei atomici, principalmente idrogeno
ed elio e da un mare di elettroni liberi. La grande temperatura e pressione comprime enormemente questa
miscela di particelle atomiche, arrivando a produrre il fenomeno della fusione nucleare.
E’ ben noto che quando avviciniamo due particelle aventi la stessa carica, esse si respingono. Si tratta di
un’esperienza simile a quella che potete fare con due calamite: se avvicinate due poli uguali essi si
respingono e non c’è speranza di farli unire.
Con le cariche elettriche succede la stessa cosa: due cariche dello stesso segno si respingono, tanto più
quando sono vicine. All’interno della stella, quindi, dove protoni ed elettroni sono molto compressi, vi
devono essere delle immense forza repulsive tra le singole particelle.
Questo è vero, ma fino ad un certo punto.
La Natura infatti ci stupisce ancora una volta con un fatto sorprendente, ma fondamentale per l’esistenza
stessa dell’Universo: quando due particelle cariche positivamente, come due protoni, vengono avvicinate più
di una certa soglia, invece di respingersi si attraggono e si fondono fino a formare un nucleo atomico
composto da due protoni, ovvero un nucleo di una nuova sostanza: l’elio.
Per capire bene l’esempio è come se facciamo scontrare due palle di gomma: maggiore è la forza che
imprimiamo, più violento è l’urto e le palle rimbalzeranno con maggiore forza, allontanandosi le une dalle
altre in modo sempre più veloce, fino ad un certo punto, quando la forza con cui le facciamo scontrare è così
grande che le palle invece di rimbalzare l’una contro l’altra e allontanarsi, si uniscono, si fondono senza
alcuna possibilità di separarsi.
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Il processo di fusione nucleare è simile: quando la temperatura supera i 10 milioni di gradi, gli urti tra i
protoni diventano così violenti che essi invece di respingersi si fondono formando un nuovo elemento, l’elio
e liberando un’immensa quantità di energia: l’energia delle stelle.
La luce delle stelle
Le stelle emettono radiazione elettromagnetica, parte della quale viene percepita come luce dai nostri occhi.
Che cosa è la luce? La luce, in realtà, è solamente una piccola parte dello spettro elettromagnetico, ovvero
della totalità delle onde emesse dai corpi dell’Universo. Lo spettro elettromagnetico contiene i raggi
infrarossi, le microonde (quelle che utilizzano i cellulari per comunicare), le onde radio (emesse dalle
stazioni radio e tv), tutte radiazioni invisibili ai nostri occhi, eppure presenti.
L’unica informazione che abbiamo dagli oggetti del cielo è la radiazione elettromagnetica che essi ci
inviano. Non possiamo raggiungerli (tranne alcuni pianeti vicini), non possiamo toccarli ne pesarli, ma solo
studiarli a distanza analizzandone la luce.
Il colore della luce delle stelle varia a seconda della lunghezza d’onda, un numero che misura la lunghezza
dell’onda elettromagnetica emessa. Per i nostri scopi è importante capire che ad una lunghezza d’onda
maggiore corrisponde un colore più “rosso”.
La luce è lo spettro elettromagnetico visibile ai nostri occhi, con lunghezze d’onda comprese tra 400 nm
(viola) e 700 nm (rosso). Nel mezzo ci sono tutti i colori che i nostri occhi possono percepire. Ogni tonalità
corrisponde ad una determinata lunghezza d’onda.
Le stelle nel cielo hanno colori diversi. Alcune appaiono bianche, altre arancio, altre ancora azzurre. Il colore
che percepiamo delle stelle dipende dalla loro temperatura superficiale, o meglio, dalla temperatura dello
strato gassoso che emette la luce che raggiunge la Terra. Una stella molto calda (35000°C) appare di colore
azzurro, mentre una a temperatura medio-bassa, come il Sole (5500°C), gialla. Una stella fredda (2000°C)
appare di una tonalità rossa. Tutte le stelle dell’Universo obbediscono a questa regola: il colore dipende
unicamente dalla loro temperatura; maggiore la temperatura, più azzurra è la stella.
La relazione tra la temperatura di un corpo qualsiasi (anche il corpo umano) ed il “colore” associato alla
radiazione elettromagnetica emessa dal corpo (meglio, la lunghezza d’onda), è detta relazione di corpo nero
ed è una delle leggi universali della Natura.
A seconda del colore delle stelle, esse sono state divise in diverse classi spettrali: OBAFGKM. Non è
importante ricordarsi in nomi, ma capire che ogni classe è definita da una particolare temperatura. Le stelle
più calde appaiono azzurre e sono quindi di classe O e B; il Sole è di classe G, mentre le stelle di colore
rosso sono di classe M. Il colore, oltre ad identificare la temperatura, determina anche la massa delle stelle,
ovvero quanta materia possiedono. Maggiore è la massa, maggiore è l’energia richiesta dalla fusione
nucleare, maggiore è la temperatura: le stelle più calde contengono anche molta più materia di quelle più
fredde, sono quindi più massicce. Una stella calda azzurra, quindi di classe O, può contenere anche 20 volte
più materia del Sole.
Attenzione: massa non significa dimensioni. Una stella molto massiccia spesso è più grande di una meno
massiccia, ma non sempre! Quando tra poco parleremo dell’evoluzione stellare, vedremo che stelle simili al
Sole, verso la fine della loro vita diventeranno delle giganti rosse 100 volte più grandi. Questo non significa
che cambia la quantità di materia, che resta sempre la stessa (anche perché da dove la prenderebbero!) è
semplicemente che, essendo costituite da gas, esso può essere più o meno compresso. E’ quindi il tasso di
compressione del gas, o meglio, la sua densità, a determinare le dimensioni di una stella, non la quantità di
materia presente, la massa, determinata dal colore della stella, quindi dalla sua temperatura!
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Il meccanismo fisico che associa una determinata emissione ad una certa temperatura è detto corpo nero.
Adesso che abbiamo capito quale è il meccanismo, possiamo studiarlo in dettaglio analizzando le normali
situazioni terrestri, che possiamo facilmente riprodurre e controllare, e poi applicare le conclusioni anche alle
stelle, visto che seguono lo stesso principio fisico!
Come funziona a grandi linee la teoria del corpo nero?
Per esempio, possiamo generalizzare l'esperienza del nostro pezzo di ferro riscaldato: perché esso emette
luce solamente sopra una certa temperatura? E' possibile che esso emetta radiazione elettromagnetica anche
per temperature più basse, solo che non la vediamo perché il nostro occhio non è sensibile?
In fin dei conti abbiamo visto che aumentando la temperatura aumenta l'intensità della luce emessa e,
soprattutto, diminuisce la lunghezza d'onda del punto di massimo dello spettro.
E' possibile che la luminosità che osserviamo sia influenzata dalla sensibilità dell'occhio umano.
Per averne la prova consideriamo un rilevatore ideale, sensibile, in egual misura, a tutto lo spettro
elettromagnetico, ed osserviamo il pezzo di ferro, posto al buio totale, al quale, mano a mano, aumentiamo la
temperatura.
In effetti possiamo osservare che l'emissione dell'oggetto è sempre presente. Quando ha una temperatura di
circa 30°C ha una debole emissione nel medio infrarosso, con un picco alla lunghezza d'onda di circa 9
micron. Mano a mano che aumentiamo la temperatura il picco dello spettro si sposta verso lunghezze d'onda
minori e cresce di intensità.
Addirittura, l'emissione del corpo è presente anche a temperature bassissime, ben sotto gli 0°C.
Se consideriamo la scala delle temperature assolute, i gradi Kelvin, ci accorgiamo che l'emissione tende a
zero e a lunghezze d'onda infinitamente grandi per la temperatura limite di 0 K, ovvero -273,16°C.
Paragone tra i colori e le dimensioni delle stelle nel cielo. A seconda della temperatura, quindi del colore, le stelle sono state divise in
gruppi. Il Sole appartiene alla classe G, ha un colore tendente al giallo ed è di taglia piccola. Le più grandi stelle appartengono alla
classe O, hanno temperature di circa 35000°C e appaiono azzurre. In realtà, gran parte della radiazione emessa appartiene
all’ultravioletto, che i nostri occhi non percepiscono.
Lo spettro delle stelle in dettaglio: la composizione chimica
Il passo successivo per capire come funzionano le stelle è osservare da più vicino il loro spettro, ovvero
scomporre ancora più in dettaglio la luce che ci inviano nei singoli colori, e vedere se vi sono altre
caratteristiche che possono interessarci.
In precedenza abbiamo visto che la forma dello spetto ci da indicazioni sulla temperatura delle stelle.
Maggiore temperatura significa una stella più grande; una temperatura bassa implica una stella meno
massiccia, ovvero composta da meno materia.
Se analizziamo bene lo spettro delle stelle, ci accorgiamo che esso è costellato da centinaia di sottili righe
scure, dette linee in assorbimento.
Da cosa sono causate queste linee sovraimpresse alla luce che ci invia la stella? Esse sono causate dalla
presenza di gas, molto rarefatto, tra lo strato che emette la luce che arriva a noi e noi stessi, in altre parole
dall’atmosfera delle stelle. Tutte le stelle hanno un’atmosfera molto rarefatta ma molto estesa, composta
dagli stessi gas di cui è composta la stella, solo che hanno una temperatura più bassa.
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In Natura quando un gas rarefatto e freddo viene fatto attraversare da una luce contenente tutti i colori dello
spettro elettromagnetico esso blocca alcune parti di questa luce. Se noi osserviamo lo spettro della sorgente
che attraversa questo gas freddo, possiamo vedere che mancano dei colori.
La cosa strana e molto molo utile per studiare le stelle e l’Universo stesso, è che ogni gas blocca dei
particolari colori. Siccome il colore della luce è identificato anche come la lunghezza d’onda, si dice, più
propriamente, che ogni gas freddo, posto davanti ad una sorgente di luce, come una stella, blocca sempre le
stesse lunghezze d’onda!
Questo è un fatto importantissimo, perché studiando quali sono le linee bloccate nello spettro, le linee in
assorbimento, possiamo capire subito quale tipo di gas causa l’assorbimento, proprio perché le linee di
assorbimento nello spettro elettromagnetico sono come impronte digitali uniche per ogni gas. Siamo giunti
ad un importante risultato: analizzando lo spettro delle stelle in dettaglio riusciamo a capire la sua
composizione chimica!
Classificazione delle stelle: classi spettrali e diagramma HR
A causa della diversa temperatura superficiale e del diverso spettro (presenza o meno di alcune linee in
assorbimento) tutte le stelle sono state classificate secondo 10 classi, come abbiamo visto proprio nelle prime
pagine. Partendo dalle componenti più calde (azzurre) fino alle più fredde (rosse) si hanno le seguenti classi:
OBAFGKMRNS. Ogni classe è suddivisa in 10 sottoclassi, contraddistinte da un numero da 0 a 9. Secondo
questo schema, il Sole risulta essere una stella di tipo G2, Vega, nella costellazione della Lira, di tipo A0. In
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pratica, queste sono le classi alle quali appartengono tutte le stelle dell’Universo. Nessun’altra combinazione
è possibile. Incredibile ma vero!
Nei primi anni del 900 due astronomi, Hertzsprung e Russell, in modo totalmente indipendente, compilarono
un diagramma oggi diventato strumento insostituibile nello studio delle stelle dell'universo.
Il diagramma HR è un semplice grafico nel quale in ascissa è riportata la temperatura delle stelle, la
classificazione spettrale o l'indice di colore, tutte quantità indicanti la temperatura, ed in ordinata la
luminosità assoluta, espressa in termini di magnitudine assoluta o luminosità solare.
Il grafico è chiamato anche diagramma colore magnitudine (C-M), per sottolineare le grandezze coinvolte
nella sua costruzione.
Questo grafico fu costruito per scoprire qualche correlazione tra varie grandezze fisiche stellari, alla ricerca
delle regole che la natura ha stabilito per il funzionamento e l'evoluzione di questi oggetti. E' bene
sottolineare, infatti, che nulla nell'universo è lasciato al caso, tutto si può descrivere attraverso leggi fisiche,
che vengono sempre rispettate. In un certo senso, possiamo dire che la natura ha un suo schema, delle regole
ben precise, spesso difficili da scoprire: questo è il lavoro di un astronomo.
Determinando la luminosità assoluta e la temperatura di un campione di stelle, Hertzsprung e Russell
scoprirono proprio alcune fondamentali proprietà delle stelle dell'Universo.
Un moderno diagramma HR è rappresentato dalla seguente figura, tratta da Wikipedia:
Come possiamo vedere, gran parte delle stelle si concentra in una sottile zona all'incirca diagonale, chiamata
sequenza principale (main sequence in inglese). Tutti gli astri passano oltre il 90% della loro vita in questa
zona del diagramma, bruciando nel loro nucleo l'idrogeno. Quando l'idrogeno si esaurisce, la struttura
stellare subisce notevoli modificazioni e, se la massa è superiore alle 0,5 volte quella del Sole, la stella riesce
a bruciare anche l'elio, uscendo dalla sequenza principale e dirigendosi lentamente verso la parte superiore
del diagramma, nel ramo delle giganti e supergiganti. In questa zona si trovano stelle giunte quasi al termine
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della loro esistenza, molte sono le cosiddette variabili intrinseche, cioè stelle che variano la loro luminosità
nel corso del tempo.
La cosa importante è osservare che nell'universo non troveremo mai, ad esempio, stelle con una temperatura
superficiale di 10000 K e una luminosità pari a quella solare, oppure che una stella di sequenza principale nel
corso del tempo occupi zone del diagramma non previste. Il fatto che tutte le stelle si trovino in zone ben
distinte, invece che sparse in modo casuale, suggerisce che tutte seguono delle regole ben precise, senza
eccezioni. Più in dettaglio, nel diagramma HR si sono classificate 5 classi di luminosità, ovvero 5 diverse
categorie di stelle, in base alle dimensioni e luminosità (quindi non considerando la temperatura).
Completando questa classificazione con la precedente, in base al colore (o temperatura), possiamo dire che il
Sole è una stella di tipo G2V, dove V indica l'appartenenza alla sequenza principale.
E' importante notare come tutte le stelle dell'Universo si comportino in questo modo, entrando nella sequenza
principale, come appartenenti alla classe V, e dirigendosi poi verso la parte alta del diagramma, verso classi
minori (in realtà le stelle estremamente rosse dei tipi NRS non raggiungono queste zone, a causa della massa
ridotta). La collocazione esatta ed il tempo di permanenza dipendono unicamente dalla massa.
Alla fine, molte di esse si trasformeranno in nane bianche, altre esploderanno come supernovae,
trasformandosi in stelle di neutroni o buchi neri.
In effetti, il diagramma HR può essere utilizzato anche come indicatore dell'evoluzione delle stelle.
Il tipo di diagramma analizzato fino ad ora è definito teorico, perché considera le luminosità assolute delle
stelle, le quali si conoscono solamente se si riesce a stimare la loro distanza. In questi casi, dalla conoscenza
anche della temperatura (attraverso lo spettro o l'indice di colore) di un campione significativo, si costruisce
questo grafico valido per ogni stella dell'universo, che può essere utilizzato per indagare le proprietà di tutte
le stelle. Una delle applicazioni più utili è la cosiddetta parallasse spettroscopica.
Determinare la distanza delle stelle è piuttosto difficile e si riesce, in modo diretto ed esatto, solo per astri
relativamente vicini alla Terra (metodo della parallasse trigonometrica, qualche centinaio di anni luce). Per
oggetti più distanti si devono usare altri sistemi, che richiedono una calibrazione.
Se disponiamo di un diagramma HR calibrato su stelle vicine, delle quali conosciamo bene la distanza,
quindi la luminosità assoluta, possiamo utilizzarlo per stimare la distanza di astri molto più lontani.
Attraverso lo studio dello spettro, riusciamo a capire se una stella appartiene alla sequenza principale, e
determinare la temperatura superficiale (questo anche con la fotometria). Se abbiamo a disposizione questi
dati, sappiamo sicuramente dove posizionare l'astro nel nostro diagramma HR teorico, in quanto
l'appartenenza alla sequenza principale e una temperatura fissata determinano un unico punto, al quale
corrisponde una fissata luminosità assoluta. In questo modo possiamo leggere direttamente la luminosità
assoluta della stella e scoprire quindi la distanza dalla Terra.
Questo metodo produce incertezze di circa il 20% (dovute al diverso contenuto in metalli e fase evolutiva
delle stelle), ma è comunque un ottimo indicatore di partenza per stimare la distanza di oggetti molto lontani
e fare da controllo per altri metodi (cefeidi in particolare)
Un altro tipo di diagramma HR è quello osservativo.
Un diagramma osservativo lo si costruisce per gruppi di stelle che possiamo considerare alla stessa distanza e
con la stessa età, ergo per tutti gli ammassi stellari (globulari e aperti).
La distanza dalla Terra (migliaia di anni luce) di questi oggetti è molto superiore rispetto alla diversa
posizione delle singole stelle (al massimo qualche decina di anni luce), tanto che, con ottima
approssimazione, possiamo considerarle tutte alla stessa distanza. In questo caso, la differenza che
misuriamo nella magnitudine apparente (luminosità delle stelle) è dovuta esclusivamente a differenze di
luminosità assoluta. In una situazione di questo tipo possiamo costruire un diagramma HR ponendo in
ascissa la solita temperatura (o indice di colore o classe spettrale) e in ordinata la magnitudine apparente, che
riusciamo a misurare accuratamente senza conoscere la distanza dell'oggetto, di ogni stella.
Sovrapponendo questo diagramma ad uno teorico, possiamo calibrarlo con le luminosità assolute e stimare
subito la distanza dell'ammasso stellare con il metodo della parallasse spettroscopica.
Inoltre, se supponiamo che tutte le stelle si siano formate all'incirca nello stesso periodo, analizzando la
forma della sequenza principale riusciamo a stimare l'età dell'ammasso stellare.
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Determinare l’età delle stelle
Quanto vive una stella? Sappiamo che le stelle azzurre sono molto più massicce, ovvero contengono molta
più materia di quelle rosse. Maggiore è la materia contenuta in una stella, più essa tende ad essere calda,
quindi ad apparire blu. Una stella che contiene molta materia, tuttavia, possiede una forza di gravità
maggiore di una stella piccola, quindi le reazioni di fusione nucleare devono avvenire in modo molto più
veloce se devono contrastare l’azione della forza di gravità che tende a far collassare la stella
indefinitamente. Ne consegue che le stelle con massa maggiore consumano molto più rapidamente il
combustibile nucleare (l’idrogeno) rispetto a quelle con massa minore e di fatto vinono sensibilmente di
meno. Le stelle azzurre, blu, quelle che possiamo identificare con la classe spettrale O, decine di volte più
massicce del Sole e con una temperatura superficiale superiore ai 35000°C, vivono appena qualche milione
di anni prima di terminare la loro esistenza con un’immane esplosione della supernova. Stelle con meno
materia, quindi più fredde, come il Sole, la cui temperatura superficiale è di 5500°C, quindi è una stella di
classe spettrale G, ha combustibile a sufficienza per brillare almeno 10 miliardi di anni!
Le stelle più piccole che conosciamo, molto rosse, quindi fredde (circa 2000°C), quindi di classe spettrale M,
consumano così poco combustibile che
possono vivere anche per 50 miliardi di anni!
Una stella è una macchina perfetta: consuma
solamente lo stretto necessario che le serve per
sopravvivere; l’energia richiesta è determinata
solo dalla massa, ovvero da quanta materia
contiene, per questo quando sappiamo quanta
materia è contenuta nella stella sappiamo già
per quanto tempo potrà vivere.
Le stelle più calde, quindi più massicce,
vivono sensibilmente meno di quelle meno
massicce
Se supponiamo che tutte si siano formate nella
stessa epoca, la sequenza principale di ogni
ammasso stellare si mostra interrotta in
prossimità di una certa classe spettrale. Questo Dal diagramma HR di un ammasso stellare, identificando il punto di
punto è chiamato punto di inversione: l'età inversione si capisce perfettamente l’età dell’ammasso stellare, quindi
dell'ammasso è tale per cui le stelle poste in delle stelle in esso contenute!
questa zona stanno uscendo dalla sequenza
principale. Se conosciamo la permanenza in sequenza principale in funzione della luminosità assoluta delle
stelle, allora possiamo stimare l'età dell'ammasso. Proprio in questo modo si è scoperta la differente età degli
ammassi aperti rispetto ai globulari, e come questi ultimi siano gli oggetti più antichi dell'Universo.
Negli ammassi globulari (quasi tutti), infatti, non esistono più stelle con massa superiore a quella Solare in
sequenza principale; poiché la nostra stella trascorre circa 10 miliardi di anni in questa zona, ne consegue che
(quasi) tutti gli ammassi globulari devono avere almeno 10 miliardi di anni.
La stima dell'età è fondamentale per cercare di determinare la nascita e l'evoluzione stessa dell'Universo.
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Nascita delle stelle
Vediamo molto brevemente ed in sintesi come avviene la nascita di una stella e la sua successiva
evoluzione fino alla morte. La descrizione che riportiamo è solo approssimativa essendo la realtà,
come sempre, molto più complessa di ogni modello possiamo noi creare.
Una enorme nube (nebulosa) costituita prevalentemente di idrogeno (l'elemento più diffuso
nell'universo) comincia a comprimersi grazie alla forza gravitazionale (sempre attrattiva) fra
gli atomi che la compongono.
Comprimendosi, la nube diviene sempre più densa e calda. Gli atomi di idrogeno, scaldandosi
sempre più (la temperatura è legata alla energia cinetica degli atomi, ovvero al loro grado di
agitazione) cominciano ad urtarsi con maggiore energia.
Ad un certo punto, a causa degli urti sempre più energetici, gli elettroni si staccano dagli atomi
di idrogeno e si forma un plasma (stato di aggregazione della materia in cui nuclei ed elettroni
sono mescolati in una specie di gas caldissimo).
A causa della gravitazione la nube diventa
sempre più densa e calda ed ad un certo punto i
protoni cominciano ad urtarsi con sempre
maggiore forza ed a raggiungere distanze
relative
molto piccole. Riescono allora, a causa
dell'enorme agitazione termica (energia) che
possiedono,
a vincere le forze di repulsione elettriche che a
distanze sempre più piccole diventano sempre
più grandi (inversamente proporzionali al
quadrato della distanza).
Quando le distanze fra i protoni diventano più piccole di un certo valore critico, "scattano" le forze nucleari.
La forza nucleare fra protoni fa sì che da nuclei di idrogeno si formino nuclei di elio. Questa
reazione si chiama fusione nucleare.
La reazione nucleare di fusione dell'idrogeno che avviene in una stella può essere così simbolicamente
indicata (in effetti è molto più complessa, ma a noi interessa capire il fenomeno a grandi linee) :
1 deuterio + 1 deuterio ===> 1 nucleo di
elio + energia .
La reazione per la creazione dell'elio a partire
dall'idrogeno ha una fondamentale caratteristica.
La massa di un nucleo di elio prodotto è
lievemente minore della massa dei quattro
nucleoni che l'hanno formato.
Secondo il principio di conservazione della
massa e dell'energia, se in una reazione si perde
massa essa si deve trasformare in energia.
L'energia che si libera in questa reazione è data
dalla nota formula di Einstein : E = m c ².
Sappiamo già (vedi precedente lezione, in
particolare il capitolo riguardante il Sole) che la produzione di energia dalla fusione nucleare è enorme.
La stella così si "accende" emettendo una enorme quantità di energia sotto forma di radiazione
elettromagnetica (di tutti i tipi, dalle frequenze radio ai raggi gamma) e di particelle (per il nostro
sole, è il cosiddetto vento solare).
La stella raggiunge allora l'equilibrio e cessa di comprimersi perché la pressione verso l'esterno
prodotta dalla fusione nucleare controbilancia la forza gravitazionale che tenderebbe a farla
comprimere su se stessa indefinitamente.
Ma l'idrogeno che costituisce il "combustibile", trasformandosi in elio, prima o poi si esaurisce. Dopo
milioni o miliardi di anni (a seconda della sua massa) una stella è destinata a morire.
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La morte di una stella
Avvengono allora tutta una serie di trasformazioni che portano la stella a diversi destini e ciò in
dipendenza della sua massa.
Schematizzando enormemente, si ha che se una
stella è più leggera di una certa massa critica
(circa 7 masse solari) una stella diventa prima
una gigante rossa e poi una nana bianca
rimanendo
tale fino alla sua completa morte.
Per le stelle di questo tipo, dopo che si è bruciato
tutto l'idrogeno, si comincia a bruciare l'elio
creando i nuclei fino al carbonio. A questo
punto la stella, divenuta una nana bianca, sarà
costituita da carbonio e così lentamente si
spegnerà.
Il nostro sole avrà questo destino !!! Nella fase
precedente
di
gigante
rossa
diventerà
così
grande
e caldo da inglobare e distruggere almeno i pianeti più vicini (compresa, ahimè, la nostra Terra).
Per le stelle dell'altra categoria (quelle con massa maggiore della massa critica) l'evoluzione è molto
più eclatante. Esse diventeranno giganti rosse e
poi,
esplodendo
con
una
immane
esplosione, (fase di supernova) diventeranno o
stelle di neutroni o buchi neri.
Durante la fase di gigante rossa, verranno creati
dalle enormi temperature anche gli atomi fino al
ferro.
Gli atomi più pesanti del ferro, però non possono
essere creati in quella fase. Non vi è energia
sufficiente. Quando tutta la materia si è
trasformata in ferro, non vi è più nulla da
bruciare (non vi è energia sufficiente per fondere
il ferro e creare atomi più pesanti). A questo
punto la stella "crolla su se stessa" non essendo
più la gravità controbilanciata dal calore prodotto dalla fusione nucleare.
Si ha così la creazione di una supernova con una immane esplosione. In pochi istanti tutta la massa della
stella collassa drammaticamente con emissione di grandi quantità di materia ed energia. Una supernova
è addirittura visibile in pieno giorno !!! (si ricordino le varie testimonianze storiche fra cui l'ultima , quella
di Tycho Brahe del 1572).
Durante l'esplosione che caratterizza la creazione di una supernova vengono messe in gioco energie così
alte (si tratta dei fenomeni energetici più intensi conosciuti) tali da produrre i nuclei più pesanti del ferro.
Abbiamo visto allora che i diversi tipi di atomo vengono creati a partire dall'idrogeno in quelle enormi
fucine che sono le stelle. Possiamo affermare quindi che veramente noi "siamo figli delle stelle" !!!
Sorge allora una domanda inquietante. Come è possibile che qui sulla terra esistano gli elementi più
pesanti del ferro quando il nostro sole non è in grado di produrli (appartenendo esso alla prima
categoria di stelle) ?
La risposta è che, probabilmente, la nebulosa da
cui si è generato il sole (e con esso il sistema
solare) è stata "inseminata" dall'esplosione di
una supernova che era nelle sue vicinanze.
Quando una stella massiccia (del secondo tipo)
muore, una sua parte, dopo l'esplosione
che produce la supernova, si trasforma in un
nucleo densissimo di neutroni.
Se, infatti, gli elettroni si fondono con i protoni,
si ottengono neutroni. Quindi, in certe
condizioni
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di pressione, la materia si trasforma in neutroni estremamente addensati. Tutta la massa di una
stella si riduce così in una "palla" di pochi chilometri di raggio !!! E' così che si forma una stella di neutroni.
Se poi, la densità di questa materia supera un certo valore, si ha un fenomeno che ha dell'incredibile.
Si ha la formazione di un buco nero che, secondo la teoria della relatività generale di Einstein,
incurva così tanto lo spazio intorno a sé da far sì che nemmeno la luce ne possa più uscire (da qui il nome).
Le nebulose
Nella nostra galassia, oltre alle miliardi di stelle vi sono grandi quantità di gas e polveri che danno vita ad
oggetti veramente spettacolari da osservare: le nebulose.
Le loro dimensioni variano da 1 anno luce (nebulose planetarie) fino ad oltre 100 (nebulose oscure). Le
diverse dimensioni sono un forte indizio che non tutte sono uguali sia come comportamento fisico-chimico,
sia per il modo in cui vengono create.
Possono essere divise in 5 classi: nebulose ad emissione, a riflessione, planetarie, resti di supernovae e
nebulose oscure. Ogni gruppo ha caratteristiche peculiari che analizzeremo brevemente nei rispettivi
paragrafi.
I punti in comuni ad ogni nebulosa sono:
• composizione chimica, principalmente idrogeno (oltre il 70%), elio (24%) ed il restante ossigeno e
tracce di altri gas e polveri (principalmente silicati)
• Densità: il gas di cui sono formate ha, nella migliore delle ipotesi, una densità di qualche miliardo di
atomi ogni centimetro cubo, contro le circa 1019 molecole presenti nell’aria al livello del mare.
Benché possano essere molto appariscenti, soprattutto in fotografia, sono oggetti almeno 10 milioni
di volte meno densi dell’aria, tanto che se il nostro Sole vi fosse posto all’interno probabilmente non
ce ne accorgeremmo. Valori di densità medi sono dell’ordine di 100 atomi (o molecole) ogni
centimetro cubo (più rarefatte del più spinto vuoto che si può creare artificialmente sulla Terra).
Ad esclusione di quelle oscure, le nebulose sono oggetti brillanti e spettacolari; quelle ad emissione ad
esempio sono molto calde (circa 10000 K) ed estese decine di anni luce, costituite da gas caldo che emette
luce principalmente rossa (prodotta dall’idrogeno) e verde (ossigeno).
Le nebulose purtroppo sono prive di colore all’osservazione visuale e piuttosto deboli, ben diverse dalle
splendide visioni fotografiche che si possono avere attraverso gli stessi strumenti.
Nebulose ad emissione
Sono sicuramente le più spettacolari da osservare con qualsiasi telescopio e anche delle importanti palestre
per affinare le tecniche di osservazione.
Le nebulose ad emissione brillano di luce propria, emessa
principalmente dall’idrogeno e dall’ossigeno ionizzati, cioè
privati di almeno un elettrone. Il meccanismo di emissione
è semplice da capire qualitativamente: la radiazione
luminosa ultravioletta delle giovani stelle nate al loro
interno è così intensa che strappa gli elettroni al gas,
ionizzandolo. Gli atomi ionizzati dopo breve tempo
recuperano l’elettrone perso (non necessariamente lo
stesso), e nel processo, detto ricombinazione, emettono luce
di lunghezza d’onda ben definita che dipende dalla specie
atomica (idrogeno, elio ossigeno…) e dal livello energetico
nel quale si posiziona l’elettrone catturato. Il processo di
ricombinazione produce delle emissioni con una ben
determinata lunghezza d’onda, creando quello che si
chiama spettro a righe.
Le nebulose ad emissione emettono solo a lunghezze
d’onda fissate, che nel visibile sono principalmente 3: riga
H-alpha, dell’idrogeno a 656,3 nm (rosso), la più intensa;
riga H-beta dell’idrogeno a 486,1 nm (azzurro); riga
dell’ossigeno ionizzato 2 volte, detto OIII, a 500,7 nm Il complesso nebulare nella costellazione di Orione, di
cui M42, in basso a destra, è solo la parte più evidente.
(verde).
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Ogni nebulosa ad emissione possiede al suo interno qualche giovane stella di grande massa (almeno 8 volte
maggiore di quella del Sole) e temperatura, in grado di emettere la radiazione ultravioletta necessaria ad
“accenderla”. Quando ciò non avviene il gas non si illumina di luce propria e può risplendere per riflessione
oppure non essere visibile affatto.
Sebbene l’osservazione visuale delle nebulose sia priva di dettagli e colori attraverso qualsiasi telescopio, la
loro visione, da un cielo scuro e con strumento di almeno 200 mm è sempre emozionante.
Nel cielo esistono decine di nebulose ad emissione, tutte appartenenti Via Lattea. Un osservatore esperto e
con uno strumento da almeno 250mm può osservare anche nebulose di altre galassie, come Andromeda, M33
nel Triangolo ed altre ancora.
La nebulosa ad emissione più famosa è sicuramente M42 nota anche come grande nebulosa di Orione, parte
più brillante di un gigantesco complesso nebulare che copre tutta la costellazione. M42 ha dimensioni di
circa 35 anni luce ed in cielo sottende un’area 4 volte maggiore di quella della Luna piena, con una
magnitudine di visuale di 4,5 che la rende ben visibile anche ad occhio nudo come una debole stella sfocata.
M42 è il primo obiettivo del cielo profondo di ogni telescopio.
E’ importante ricordare come l’osservazione di questi oggetti diffusi ed estremamente deboli deve essere
fatta a bassi ingrandimenti e da cieli estremamente scuri, altrimenti nessuno strumento sarà in grado di
rendere giustizia alla tenue e delicata bellezza di queste immense distese di gas e polveri.
La grande nebulosa di Orione è una brillante nube di gas, estesa per 35 anni luce, distante 1500. E’ visibile anche ad occhio nudo ma
rivela la sua estensione e i suoi colori solo in fotografia.
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Nebulose Planetarie
Sono oggetti piccoli ma con un’elevata luminosità superficiale e quindi facili da osservare in tutti i loro
dettagli.
Spesso le loro dimensioni sono angolarmente simili a
quelle dei pianeti più grandi (Venere, Giove e Saturno), da
qui il nome di nebulose planetarie.
Fisicamente le nebulose planetarie sono poste agli antipodi
di quelle ad emissione.
Se quelle ad emissione sono testimoni di un recentissimo
processo di formazione stellare, le planetarie sono l’atto
finale della morte di una stella con massa poco maggiore o
simile a quella solare (non oltre le 6-8 volte) che giunta al
termine della sua vita espelle gli strati esterni nello spazio
interstellare. Negli stessi istanti il nucleo si comprime e
diventa una nana bianca, una stella estremamente
La nebulosa planetaria NGC3242, soprannominata
compressa dalle dimensioni della Terra, che emette ingenti fantasma di Giove per la sua vaga somiglianza,
quantità di radiazione ultravioletta (UV) responsabile della nell’osservazione visuale, al gigante gassoso.
ionizzazione del gas espulso che quindi risplende con lo
stesso processo chimico delle nebulose ad emissione.
Solamente gli oggetti a noi più vicini sono visibili, alcuni apparentemente di aspetto stellare. Le planetarie
osservabili con strumentazione amatoriale sono almeno un centinaio e su di loro si possono effettuare
importanti studi statistici in merito a forma, luminosità, estensione angolare e distribuzione. La loro forma è
tipicamente a simmetria sferica ma non sempre; molto spesso si tratta di una combinazione tra la forma
originale e l’effetto della proiezione sulla sfera celeste.
Dobbiamo infatti tenere presente che noi vediamo tali oggetti (e in generale ogni corpo celeste) come se
fosse bidimensionale, o in alternativa come se la sua immagine fosse proiettata su uno sfondo scuro (la sfera
celeste) e di questo dobbiamo tenere conto quando vogliano estrapolare informazioni in merito alla forma
reale dell’oggetto osservato. Un esempio chiaro è quello di un guscio sferico: supponiamo che una nebulosa
planetaria sia perfettamente sferica e costituita da un guscio di gas che si espande. Qualsiasi osservatore
terrestre, che non può girarle intorno per studiare la sua forma tridimensionale, non vedrà un guscio sferico
ma un anello: una nebulosa ad anello, come può essere quella della Lira, (M57) è in realtà un guscio sferico.
L’effetto della proiezione sulla sfera celeste produce una forma particolare che però non rispecchia la realtà.
Trovare a partire da dati bidimensionali la forma tridimensionale di un corpo celeste è uno dei problemi
osservativi più difficili da risolvere.
L’utilizzo di filtri a banda stretta, soprattutto quelli centrati sulla dell’ossigeno ionizzato due volte (OIII), può
essere molto
utile e permette di enfatizzare dettagli difficilmente visibili, nonché di scurire il fondo cielo e di osservare
anche le parti meno brillanti.
la nebulosa planetaria M57, nella Lira. Le nebulose
planetarie sono abbastanza brillanti da poter essere
osservate anche con piccoli strumenti.
I resti di supernova
Anche in questo caso si tratta di gas proveniente da stelle morenti, solo che questa volta cambia il processo
che le genera. Se le nebulose planetarie sono costituite da gas rilasciato lentamente dalla stella centrale, i
resti di supernova sono il risultato di un’immane esplosione di una stella almeno 8 volte più massiccia del
Sole, che rilascia ogni secondo una quantità di energia paragonabile a quella di 10 miliardi di Soli,
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denominata supernova. Il gas è generalmente scagliato a velocità di qualche migliaio di km/s e temperature
di decine di migliaia di gradi. Al centro della nebulosa resta un oggetto dalle dimensioni di una decina di Km
ma con una massa maggiore di 1,5 volte quella solare: si tratta di una stella di neutroni, o a seconda
dell’orientazione verso il nostro pianeta di una pulsar, responsabile della ionizzazione e quindi della
luminosità del gas circostante. Nel giro di qualche migliaio di anni esso si sarà espanso, rarefatto e
raffreddato al punto che non sarà praticamente più visibile: come le nebulose planetarie, anche i resti di
supernova hanno vita relativamente breve.
Il resto di supernova sicuramente più famoso e luminoso è M1, detta nebulosa del granchio, generato
dall’esplosione di una stella avvenuta il 4 luglio 1054, alla distanza 6500 anni luce dalla Terra. La luminosità
della supernova in quei giorni aumentò di miliardi di volte, arrivando ad essere visibile anche in pieno giorno
(più luminosa di Venere). Il gas espulso alla velocità di circa 1000 Km/s e con una massa di 0,1 masse solari
è andato a formare la nebulosa che oggi possiamo ammirare. Al centro, nascosta dal gas, resta una stella di
neutroni che ruota su se stessa 30 volte al secondo ed emette raggi X ed onde radio (questo tipo di stelle è
detto anche pulsar).
M1 è un’eccezione tra questo tipo di nebulose. Il cielo è pieno di resti di antiche supernove che ormai si sono
espansi fino ad occupare un’area di svariati gradi: questo è il caso della nebulosa Velo nella costellazione del
Cigno o degli immensi resti nella costellazione della Vela, visibili solo dall’emisfero sud e con strumenti di
almeno 150 mm.
Il resto di supernova M1, detto nebulosa del granchio, ciò che resta di una stella esplosa nel 1054
Nebulose a riflessione
Sono nubi gassose a temperature intermedie tra le regioni HII (circa 10000 K) e le nebulose oscure (7-10 K)
e si rendono visibili attorno a stelle o ammassi stellari.
Sebbene la composizione sia la stessa degli altri tipi, si manifestano nel cielo a seguito di processi diversi.
Le stelle avvolte in queste nubi non hanno abbastanza energia per ionizzare il gas e quindi non possono
accendere l’idrogeno in esse contenuto, ma la loro luce attraversando la nube viene diffusa dalle polveri
presenti, principalmente silicati, nichel, ferro e carbonio (polvere di diamante) allo stesso modo di come la
luce del Sole viene diffusa dall’atmosfera terrestre conferendo al cielo una colorazione azzurra. Il
meccanismo è in effetti del tutto simile: la luce della stella attraversa le polveri che provvedono al processo
di diffusione, molto più efficiente per la radiazione blu rispetto a quella rossa, conferendo alla nube di gas
una tenue colorazione azzurro-blu. La luce della stella (o delle stelle) viene leggermente attenuata e arrossata
mentre la nebulosa tende ad assumere le delicate colorazioni del cielo diurno terrestre e lo spettro tipico di
quello stellare, cioè di corpo nero.
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Esistono tuttavia anche nebulose a riflessione rosso-arancio formate da stelle rosse che quindi non emettono
molta radiazione azzurra, come nel caso della stella Antares nella costellazione dello scorpione ,
sfortunatamente invisibile con gli strumenti amatoriali, anche a causa della poca sensibilità
dell’occhio alle lunghezze d’onda rosse quando è adattato al buio.
Le nebulose a riflessione sono molto difficili da osservare anche nelle immediate vicinanze del nostro
sistema solare a causa della loro debolezza intrinseca al processo di diffusione responsabile della luce da loro
emessa.
L’ esempio più bello e spettacolare della volta celeste è sicuramente costituito dall’estesa e tenue nebulosità
che avvolge l’ammasso aperto delle Pleiadi, facile da
osservare con strumenti da 150mm e cieli scuri.
Oggetti relativamente facili da osservare sono M78 in
Orione e la parte settentrionale della nebulosa Trifida
(M20) nel Sagittario, quest’ultimo un ottimo esempio
di coesistenza tra una regione ad emissione ed una
totalmente a riflessione.
Quasi ogni nebulosa a riflessione ha una componente
oscura più o meno marcata e questo è del tutto
consistente se si tiene presente il processo che
permette alla nube di risplendere: quando la luce
delle stelle contenute non è più sufficiente per
produrre una diffusione apprezzabile, la nube di gas e
polveri risulta oscura.
La luce delle stelle dell’ammasso aperto delle Pleiadi (M45)
Nebulose Oscure
viene diffusa dai grani di polvere di una nube galattica nella
Sono nubi di gas e polveri spesso molto più estese di quale l’ammasso sta casualmente passando.
quelle ad emissione, estremamente fredde.
La loro temperatura è dell’ordine di pochi gradi Kelvin (7-10) e quindi non emettono alcuna radiazione
visibile. La composizione chimica si trasforma da atomica a molecolare. Non è raro trovare molecole come
l’acqua (tra le molecole più abbondanti dell’Universo!), qualche zucchero e persino qualche idrocarburo.
Una componente non trascurabile è costituita da polveri (principalmente silicati) responsabili dell’oscurità
della nube, la quale spesso blocca completamente la luce delle stelle poste dietro di essa, producendo
l’effetto di un buco nel cielo.
Dalle nebulose oscure nascono le stelle, che una volta formatesi ionizzano il gas e lo fanno risplendere,
generando le nebulose ad emissione e/o a riflessione. In altre parole le nebulose oscure, ad emissione o a
riflessione sono fisicamente gli stessi oggetti visti in periodi diversi: quando all’interno non vi sono stelle la
nebulosa è oscura, quando vi sono stelle molto grandi essa diventa ad emissione, se invece vi sono stelle
simili al Sole allora la nebulosa sarà a riflessione.
Nel disco della Via Lattea, così come nei dischi delle altre galassie a spirale, vi sono grandi concentrazioni di
nebulose oscure.
Non serve un telescopio per osservare le nebulose oscure più belle ed imponenti del cielo: è sufficiente dare
uno sguardo alla Via Lattea estiva ad occhio nudo per accorgersi delle immense bande che attenuano in
modo sensibile la luminosità delle stelle, originando delle vere e proprie spaccature nel disco galattico.
Ci sono naturalmente anche moltissimi oggetti telescopici, alcuni dei quali veramente curiosi: il caso più
emblematico è costituito dalla nebulosa Testa di Cavallo (Barnard 33), dove una nube fredda e oscura, dalla
forma che ricorda quella della testa di un cavallo, si proietta sullo sfondo di una brillante nebulosa ad
emissione facente parte della gigantesca regione HII di Orione. Grazie allo sfondo particolarmente brillante
siamo in grado di ammirare per contrasto la nube oscura. Nelle fotografie a lunga posa la nebulosa appare
spettacolare, ma è molto evanescente all’osservazione visuale. Qualche osservatore afferma di averla
intravista con strumenti da 200mm ed un cielo trasparente e scuro come quello in alta montagna.
La presenza di nebulose oscure e di polveri è essenziale ai fini della formazione di nuove stelle ed ogni
oggetto che ne possiede in abbondanza è ancora attivo da questo punto di vista. Alcune galassie a noi vicine
come Andromeda ed M33 mostrano decine e decine di nubi di gas che si stagliano sullo sfondo costituito
dalle miliardi di stelle di cui sono composte. Altre galassie a spirale più distanti viste quasi di profilo
appaiono spesso tagliate in due da una linea scura: stiamo guardando lungo il bordo del disco nel quale si
concentrano tutte le grandi nubi molecolari fredde che si manifestano come una gigantesca striscia oscura.
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La nebulosa testa di cavallo è
formata da una componente
oscura (Barnard 33) che si
proietta sullo sfondo di una
nebulosa
ad
emissione
appartenente al complesso di
Orione, nei pressi della stella
Alnitak, nella cintura di Orione.
Ammassi aperti
Dalle grandi nubi molecolari oscure presenti in gran numero nella nostra Galassia possono nascere decine o
diverse centinaia di stelle gravitazionalmente legate, raggruppate in ammassi stellari chiamati aperti.
Contrariamente agli ammassi globulari quest’ultimi sono morfologicamente e fisicamente molto diversi.
Si tratta di oggetti generalmente giovani, nei quali si evidenzia la presenza di grandi e luminose stelle blu di
classe spettrale O-B che nascono e si sviluppano nel giro di qualche decina di milioni di anni nei bracci a
spirale delle galassie, (quasi) gli unici luoghi dell’Universo nei quali è ancora attiva la formazione di nuove
stelle.
Gli ammassi aperti sono generalmente costituiti da qualche centinaio di stelle confinate in pochi anni luce di
diametro, con una concentrazione molto minore rispetto a quella dei globulari. La loro vita all’interno del
disco delle galassie è di breve durata e per niente tranquilla. Le stelle più luminose e quindi più massicce
evolvono in fretta terminando in modo esplosivo la loro vita dopo qualche milione di anni; quelle meno
massicce continuano a sopravvivere ma il destino dell’ammasso è comunque segnato.
Gli ambienti galattici sono tutto fuorché tranquilli: l’incontro con nubi molecolari, polvere, eventuali stelle e
l’esplosione di quelle più giovani alterano il precario equilibrio che tiene insieme le stelle ed in qualche
centinaio di milioni di anni si saranno completamente disperse: esse continueranno ad esistere per altri
miliardi di anni (almeno quelle meno massicce) ma l’ammasso, inteso come gruppo di stelle legato
gravitazionalmente, non esisterà più.
L’ammasso aperto a noi più vicino è quello dell’Orsa Maggiore, ormai però quasi totalmente disperso,
costituito dalle stelle più vicine al Sole, tra le quali
Sirio.
La nostra stella si trova a transitare in mezzo alla
lunga coda di alcune sue componenti ma non vi fa
parte. L’ammasso aperto dal quale si pensa nacque si
è ormai dissolto ed è impossibile individuare le
componenti sparse lungo tutto il disco galattico.
Poiché dopo circa 1 miliardo di anni un ammasso
aperto si può considerare dissolto, quelli che
possiamo osservare sono oggetti relativamente
giovani; in generale maggiore è la concentrazione e
la presenza di stelle blu, minore è l’età dell’ammasso.
Quasi tutti quelli visibili dalla Terra sono oggetti di
qualche decina di milioni di anni; uno dei più giovani NGC 869-884 (doppio ammasso del Perseo) sono 2 ammassi
è il famoso M45, le Pleiadi.
aperti che ci appaiono prospetticamente vicini, l’uno distante
Le dimensioni quasi sempre superiori o paragonabili 6800 anni luce (NGC 869) e l’altro 7600. Si tratta di due
a quelle della Luna piena ne fanno gli obiettivi oggetti molto giovani, con un’età stimata intorno ai 5,6 milioni
preferiti dei piccoli strumenti o dei grandi binocoli, di anni (NGC 869) e solo 3,2 milioni di anni per NGC 884. Le
dimensioni sono di 30’ ciascuno e brillano di magnitudine 4.3,
con ingrandimenti compresi tra le 20 e le 50 volte.
facilmente visibili ad occhio nudo. Possiedono molte giovani e
calde stelle di classe spettrale B.
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Ammassi Globulari
Sono oggetti antichissimi composti da decine di migliaia, a volte milioni di stelle gravitazionalmente legate,
raggruppate in uno spazio di qualche decina o centinaio di anni luce (valore medio 150), orbitanti attorno al
centro della nostra galassia, in una zona chiamata alone. La Via Lattea si pensa possedere circa 200 ammassi
globulari, alcuni dei quali non sono stati ancora scoperti, ma essi sono comuni a tutte le galassie, sia ellittiche
che spirali; Andromeda ne dovrebbe contenere almeno 500, mentre le ellittiche giganti come M87 ne
possiedono diverse migliaia.
Un tipico ammasso globulare è un oggetto dalla forma sferoidale, con una concentrazione di stelle media
intorno alle 0,4 per parsec cubico (1 parsec = 3,26 anni luce), che al centro può arrivare fino a
1000stelle / pc 3 , maggiore di qualsiasi ambiente galattico.
Sono spettacolari da osservare visualmente.
M13 ed M22 sono molto brillanti e visibili, seppur a fatica, ad occhio nudo.
Le stelle più brillanti degli ammassi maggiori (M13 e M22) hanno magnitudini attorno a 11,5, alla portata di
strumenti di almeno 120 mm.
Con un telescopio da 200 mm, sotto un buon cielo, lo spettacolo è assicurato e potrete risolvere tutti i
principali globulari se utilizzate ingrandimenti di almeno 100 volte.
L’ammasso globulare M13 nella costellazione di Ercole dista 25000 anni luce dalla Terra ed è uno dei più belli e grandi da riprendere
nell’emisfero boreale. Brilla di magnitudine 5,7 ed è visibile, seppur a fatica, anche ad occhio nudo da un cielo molto scuro. Il suo
diametro apparente è simile a quello della Luna piena, mentre le dimensioni reali sono di 170 anni luce. L’età stimata è di circa 14
miliardi di anni: come ogni ammasso globulare, si tratta di un oggetto antichissimo. Le stelle più brillanti visibili in questa immagine
sono di magnitudine 11,5, le più deboli di magnitudine 22. La grande risoluzione e dinamica del sensore CCD ha permesso di
risolvere le singole componenti fino al denso centro dell’ammasso.
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