Interculturalità e riconfigurazione concettuale dell`ermeneutica 1

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GIUSEPPE CACCIATORE
Interculturalità e riconfigurazione concettuale
dell’ermeneutica
1 - Il rinnovamento del paradigma filosofico, richiesto dalla riflessione sui
temi e sulle problematiche interculturali, si ripercuote anche sulla
riconfigurazione concettuale dell’ermeneutica. Fornet-Betancourt ha
affermato che la “filosofia interculturale” «preferisce entrare nel processo
di ricerca creativa che ha luogo proprio quando la “interpretazione” del
proprio e dell’altro si manifesta come risultato di una interpretazione
comune, mutua, per cui la voce di ognuno è percepita nello stesso tempo
come modello di interpretazione ugualmente possibile»1. Il problema,
dunque, appare chiaramente posto nella evidente sottolineatura del dato
interrelazionale, cosicché un atteggiamento critico-filosofico verso la
propria appartenenza/identità culturale, mentre permette la
desacralizzazione del punto di origine (e dunque il distacco da ogni
etnocentrismo), non annulla, al tempo stesso, il legame storicosituazionale, ampliandolo consapevolmente e contaminandolo nella
intercomunicazione e nel transito reciproco dei modelli culturali.
D’altronde, come è stato da più parti osservato, nella stessa pregnanza
semantica del termine interculturalità è insita la “progettualità”, cioè una
dimensione di analisi e comprensione delle culture che non si limita alla
registrazione delle tipologie. L’accento cade sul significato non puramente
verbale del prefisso inter, sulla sua esplicita designazione di una situazione
storica, di una attività etico-politica e di una pratica metodologica ed
epistemologica che si fonda sul concetto di relazione2.
Si potrebbe dire che la “filosofia interculturale” è una radicalizzazione
dei principali motivi teorici posti a base delle filosofie storicistiche ed
ermeneutiche.. Essa, infatti, ha di mira una vera e propria trasformazione
dei paradigmi filosofici, a partire dalla «necessità di pluralizzare i luoghi di
1 R. FORNET-BETANCOURT, Trasformazione interculturale della filosofia, a cura di G.
Coccolini, Dehoniana, Bologna 2006, p. 30.
2 F. PINTO-MINERVA, L’intercultura, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 13 e ss.
Bollettino Filosofico 27 (2011-2012): 33-41
ISBN 978-88-548-6064-3
ISSN 1593-7178-00027
DOI 10.4399/97888548606433
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nascita della filosofia, di pluralizzare i suoi inizi, di pluralizzare e
diversificare i suoi metodi e le sue forme di articolazione». Tutto questo,
allora, riguarda gli stili teoretici, ma anche e forse soprattutto i profili
storici e narrativi, giacché si possono e devono ridiscutere le fonti e le
tradizioni, opere ed autori, anche classici.
La trasformazione interculturale della filosofia – scrive Fornet-Betancourt
– si impone, pertanto, come un programma di ricostruzione del passato e,
al contempo, di configurazione di un presente nel quale la filosofia si
riconosce come tale senza avere la necessità di installarsi preferenzialmente
in un sistema concettuale monoculturale, cioè, riconoscendo che
scaturisce e si articola a partire dalla comunicazione tra tradizioni distinte,
riconoscendo infine che non è monologica, ma polifonica3.
Per questo, allora, la “filosofia interculturale” aspira ad essere il
tentativo di superamento di ogni forma di monologo, ma intende proporsi
anche come qualcosa di più della pur auspicabile dialogicità “intraculturale”
che si può instaurare tra l’io e l’altro, tra l’identico e il diverso, tra il
proprio e l’estraneo. Essa, cioè, vuole andare oltre ciò che oggi si
manifesta in forme concettuali del tutto consumate dal modificarsi stesso
dei termini e dei contenuti con cui si definisce e si comprende una cultura.
«Il dialogo interculturale nel senso proprio del termine – scrive Pannikar –
ha luogo con lo straniero, che nel mondo moderno può essere il vicino
geografico, o spesso l’immigrante, il rifugiato o anche il lontano»4.
Si può, allora, certamente affermare che se la “filosofia interculturale” è
innanzitutto ricerca di nuovi paradigmi del pensiero, a partire dal
confronto e dal conflitto delle culture (se si tratti di dialogo/confronto o di
conflitto non è indubbiamente aspetto secondario, ma ciò tocca una sfera
pratico-politica e anche una opzione che pure appartiene, direi che è
consustanziale, al modello di “filosofia interculturale” di cui qui si sono
delineati i tratti5), allora anche l’ermeneutica deve essere ripensata. Anzi,
R. FORNET-BETANCOURT, Trasformazione interculturale della filosofia, cit., p. 9.
Cfr. R. PANIKKAR, Pace e interculturalità. Una riflessione filosofica, Jaca Book, Milano
2002, p.23
5 Condivido il convincimento degli studiosi e dei teorici dell’interculturalità per i quali
essa favorisce lo sviluppo di tutte le dimensioni (conoscitive, etiche e ideologiche) del
pluralismo. Questo fa sì – come giustamente si è osservato – che l’interculturalità è
coerentemente chiamata a dare il suo «apporto alle logiche che sono alla base della
democrazia. Essa contribuisce in maniera determinante alla definizione di una convivenza
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Interculturalità e riconfigurazione concettuale dell’ermeneutica
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la prima osservazione che si può suggerire è che un’alleanza strategica fra
“filosofia dell’interculturalità” ed ermeneutica è resa oggi ancor più
auspicabile proprio alla luce delle oggettive difficoltà che si manifestano nel
processo di individuazione di convergenze solidaristiche dei popoli,
specialmente quando questo processo voglia caratterizzarsi per una aperta
dialettica tra le specifiche differenze storico-culturali dei popoli e
l’individuazione di elementi comuni di universalismo6, ad esempio dei
diritti e della dignità dell’uomo.
Se, inoltre, si riflette sul fatto che nelle sue origini moderne
l’ermeneutica si è costituita in stretto contatto con una idea di topica
fondata, più che sulla sua funzione retorica, su quella filosoficognoseologica dell’invenire, del ritrovamento delle cose e dei significati
(anche e soprattutto attivando l’immaginazione più che l’astratta
razionalità, la fantasia più che il calcolo, l’invenzione più che il rigore
geometrico), diventa possibile scorgere una analogia tra il procedere
topico-ermeneutico e la “filosofia dell’interculturalità”, intesa – così come
sostengono alcuni suoi teorici7 – come comprensione delle culture in
quanto luoghi in cui si pratica la filosofia. Vi è filosofia non perché si parte
da un modello paradigmatico che si espande e si globalizza, ma perché vi
costruttiva, il cui obiettivo è la costituzione di una società che stabilisca una interazione fra le
differenze e costruisca un tessuto di relazioni fra differenti identità. Questo implica, per
chiunque, relativizzare i propri riferimenti culturali e de-costruire quanto di totalizzante vi è
insito». G. GENNAI, Lessico interculturale, EMI, Bologna 2005, p. 92.
6 Ho creduto di poter individuare uno dei fondamenti teorici per un ripensamento
dell’universalismo in una chiave non ontologica o metafisico-trascendentale nella
tradizione dello storicismo critico che prende le mosse dalla convezione vichiana della
storicità. Mi permetto di rinviare, tra gli altri contributi, a G. CACCIATORE, “Giambattista
Vico: l’ordine della ‘comunità’ e il senso comune della “differenza"”, in F. RATTO (a cura
di), All’ombra di Vico. Testimonianze e saggi vichiani in ricordo di Giorgio Tagliacozzo, Edizioni
Sestante, Ripatransone, s.i.d. 1999, pp. 191-199. Per la storia e la teoria dello storicismo
critico e problematico rinvio ai miei libri: Storicismo problematico e metodo critico, Guida,
Napoli 1993; L’etica dello storicismo, Milella, Lecce 2000; e ai miei saggi “Etica e filosofia
della storia nello storicismo critico”, in G. CANTILLO - F.C. PAPPARO (a cura di), Genealogia
dell’umano. Saggi in onore di Aldo Masullo, Guida, Napoli 2000, tomo II, pp. 473-499;
“Storicismo ed ermeneutica”, in G. CACCIATORE - P. COLONNELLO - D. JERVOLINO,
Ermeneutica Fenomenologia Storia, Liguori, Napoli 2001, pp. 55-74; “Lo storicismo come
scienza etica e come ermeneutica dell’individualità”, in Magazzino di filosofia, 8 (2002), pp.
120-133.
7 Su questo punto specifico cfr. R. FORNET- BETANCOURT, «Filosofia intercultural», in
R. SALAS ASTRAIN (a cura di), Pensamiento critico latinoamericano, vol. II, Ediciones
Universidad Católica Silva Henríquez, Santiago de Chile 2005, pp. 399 e ss.
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sono pratiche culturali della filosofia come esercizio concreto di pensare
che si fa carico della sua contestualità e storicità. Questo però significa che
ci può essere vera ermeneutica e autentica comprensione dell’altro solo
quando si abbia consapevolezza della pluralità dei luoghi possibili del
filosofare e, dunque, quando si attivi una radicale critica del pensiero
etnocentrico e occidentecentrico.
2 - Pluralità dei luoghi genetici del pensiero, relativizzazione (e non
relativismo) dei principi, sono compiti che assume su di sé chi riflette oggi
sull’interculturalità. Ma si tratta anche dei percorsi che deve attraversare
una ermeneutica che non voglia essere solo mera procedura metodica e
teoria gnoseologica, sia pur rinnovata, della filosofia. L’ermeneutica
contemporanea, da Schleiermacher a Dilthey, da Gadamer a Ricoeur, ci ha
mostrato il progressivo e necessario riorientamento del filosofare, il
ricollocarsi del suo centro dal mondo all’io, dalla cosmologia alla
umanologia, dall’universalità del cosmo all’individualità del Sé. Ma proprio
su questo punto la riflessione interculturale fa un decisivo passo in avanti
rispetto all’ermeneutica tradizionale, giacché non si tratta più del mero
processo di riconoscimento/comprensione del particolare costantemente
commisurato ad una presupposta universalità, ma della plausibilità di un
dialogo tra contesti parimenti comprensibili nel loro valore universale
proprio e sempre a partire dalla loro individualità. Una filosofia
ermeneutica preoccupata di definire e di comprendere il nesso tra le
individualità può, come si è detto, impegnarsi nell'opera di costituzione di
ambiti e finalità di una riflessione interculturale che non postula un astratto
dialogo con le culture, ma lo costruisce nella pratica di una interpretazione
e comprensione delle stratificazioni e delle articolazioni interculturali e
anche, e forse più, intraculturali, vista la composita fenomenologia
pluriculturale e plurirazziale delle metropoli contemporanee.
Per tale via, ermeneutica e interculturalità possono incontrarsi proprio
nell'assunzione del compito di oltrepassamento della situazione di mera
frammentazione degli universi culturali, per assolvere invece quello di
costruire (e non solo, dunque, trovare) nuove relazioni interidentitarie. Il
processo di traduzione da una cultura all'altra e viceversa sembra essere,
così, un reale e concreto terreno di comune lavoro teorico e di comune
pratica per l'ermeneutica e la riflessione interculturale. Una più
consapevole attenzione dell'ermeneutica contemporanea ai problemi della
traduzione - intesa non come meccanico trasferimento del testo da un
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linguaggio all'altro, ma come individuazione di un possibile luogo di
incontro tra lingue, mentalità, pratiche sociali e culture diverse8 - si
intreccia con l'essenziale finalità di una comprensione della interculturalità
che persegua la prospettiva di fondare un nuovo universalismo che non
annulli o mortifichi le differenze. Entrambi i paradigmi, quello
ermeneutico e quello interculturale, com'è facile vedere, si basano su una
comune idea dell'universalismo che, in tanto può apparire aperto al
continuo processo del farsi, in quanto spinge ai margini sia la pretesa di una
filosofia assoluta e monistica, sia la pretesa di una trasmissione dei linguaggi
e degli atti comunicativi che voglia stemperare o cancellare le diversità. La
traducibilità dei linguaggi, intesi come veicoli/contenitori delle culture, si
converte nella possibilità della relazione e, dunque, nella “relativizzazione”,
da non intendersi come relativismo etico e culturale, ma come nesso di
reciprocità tra entità storicamente determinate.
Il rapporto qui istituito tra traduzione e interculturalità può servire
anche a definire la modalità di una pratica del comprendere che può farsi
realmente e produttivamente interculturale nella misura in cui il fatto
dell'interpretazione e della comprensione delle culture non si basi su un
atteggiamento di passiva registrazione (sia pur descrittivamente e
comparativamente rigorosa) delle differenze e delle analogie, ma assuma
piuttosto un carattere dinamico9. L'altro, l'estraneo, il diverso, non sono
da considerarsi entità immobili o semplicemente catalogabili da ricondurre
o, peggio, da assimilare al nostro linguaggio, alla nostra cultura, in una
8 «Ogni traduzione è al tempo stesso un’attività ermeneutica che indaga l’intenzione
presente alla base dei termini. Con uno sforzo sincero, dunque, si può raggiungere la
concettualità transculturale, tanto necessaria alla filosofia comparata.Comprendere è più
che tradurre, è una prestazione intenzionale, la cui riuscita o il cui fallimento ci sono
originariamente dati. Per tale motivo anche il fraintendimento è suscettibile di
comprensione autentica». Cfr. R. A. MALL, Interculturalità. Una nuova prospettiva filosofica,
Ecig, Genova 2002, p. 44.
9 Si è opportunamente osservato che il processo di interazione delle culture, almeno a
livello di studi antropologici (e non soltanto) mette in campo una serie di elementi
dinamici che costituiscono l’essenziale aspetto differenziale tra multicultura e intercultura.
La sottolineatura della dinamicità, come è facile capire, vale ancor più se dal sapere
antropologico si passa all’analisi dei fenomeni sociali e politici. «Mentre quindi il termine
intercultura indica reciprocità di scambi e conoscenze, con conseguente arricchimento della
società nel suo insieme sulla base di incontri (in cui le mutue identità si ridefiniscono nella
persistente ricerca di nuovi stili di interazione), multiculturalità disegna all’opposto una
situazione statica e sostanzialmente immutabile». Cfr. G. GENNAI, Lessico interculturale, cit.,
p. 81.
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parola, alla nostra radice identitaria. Esse vanno, innanzitutto, sottratte ad
una tradizionale dialettica soggetto/oggetto e immesse, piuttosto, in un
nuovo tipo di connessione che è quella paritaria soggetto/soggetto.
Insomma, l'altro non può essere considerato come oggetto passivo di
analisi e di una pratica, sia pur importante, di descrizione e classificazione
(e persino di condiscendevole e tollerante accettazione nel proprio
universo), e neanche può essere più sufficiente il solo procedimento della
traduzione. L'altro deve trasformarsi (anche e soprattutto grazie al
rapporto dialogante) in soggetto attivo di trasmissione di atti linguistici e di
fatti sociali, cioè di tutto quello che definisce una identità propria, che può
essere capita e condivisa in un comune processo di comprensione e
interpretazione.
A giusta ragione, allora, alcuni esponenti della “filosofia
interculturale”10, hanno sostenuto che uno dei più significativi contrassegni
10 Specialmente nelle aree filosofiche tedesca e latinoamericana è in corso, da un paio
di decenni, un interessante dibattito storico e filosofico sulla interculturalità. F. WIMMER,
Interkulturelle Philosophie. Eine Einführung, Junius, Wien 2004; ID., Interkulturelle Philosophie.
Geschichte und Theorie, Passagen Verlag, Wien 1990; R. PANNIKAR, Pace e interculturalità.
Una riflessione filosofica, cit.; ID., Sobre el diálogo intercultural, San Esteban, Salamanca 1990;
R. FORNET-BETANCOURT, Transformación intercultural de la filosofía, Desclée De Brouwer,
Bilbao 2001; tr. it. Trasformazione interculturale della filosofia, cit.; R. A. MALL,
Interculturalità. Una nuova prospettiva filosofica, cit.; ID., Philosophie im Vergleich der Kulturen.
Eine Einführung in die interkulturelle Philosophie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
Darmstadt 1992; R. MALL (a cura di), Philosophische Grundlagen der Interkulturalität, Rodopi,
Amsterdam 1993; W. WELSCH, “Transkulturalität. Lebensformen nach der Auflösung der
Kulturen”, Information Philosophie, 2 (1992), pp. 5-20 (in tr. it. anche in Paradigmi, 30
(1992), pp. 665-689); R. FORNET-BETANCOURT, “Supuestos filosóficos del diálogo
intercultural”, Cultura Latinoamericana, Annali Istituto di Studi latinoamericani, 3 (2001),
pp. 251-271; ID., Interculturalidad y filosofía en America latina, Aachen 2003; ID., Filosofar
para nuestro tempo en clave intercultural, Aachen 2004; ID., Zur interkulturellen Kritik der
neueren lateinamerikanischen Philosphie, Nordhausen 2005; A. ROIG, Caminos de la filosofía
latinoamericana (in part. il cap. VI, Filosofía latinoamericana e interculturalidad) Universidad
del Zulia, Maracaibo 2001; R. SALAS ASTRAIN, “Problemas y perspectivas de una ética
intercultural en el marco de la globalización cultural”, Revista de Filosofía, Universidad del
Zulia, Maracaibo, 41 (2002), pp. 7-29; H. KIMMERLE, Interkulturelle Philosophie. Zur
Einführung, Junius, Hamburg 2002; F. PINTO MINERVA, L'intercultura, Laterza, Roma-Bari
2002; V. MARTIN FIORINO, Dall’etica della liberazione all’etica interculturale latinoamericana,
in P. COLONNELLO (a cura di), Filosofia e politica in America latina, Armando, Roma 2005,
pp. 127-132; G. FAVARO - L.LUATTI, L'intercultura dalla A alla Z, Franco Angeli, Milano
2004; G. GENNAI, Lessico interlturale, cit. Una serie di pubblicazioni degli ultimi anni, uscite
nell’ambito del gruppo di ricerca di rilevante interesse nazionale da me coordinato, hanno
affrontato la questione collegandola ai dibattiti internazionali sulla democrazia e i diritti
Interculturalità e riconfigurazione concettuale dell’ermeneutica
39
di essa consiste nell'idea che la comprensione di ciò che costituisce il
nucleo generativo e genealogico della identità di ciascuno si presenta come
un processo che esige la cosciente partecipazione interpretativa dell'altro.
Questo argomento della praticabilità di una ermeneutica che si faccia
filosofia e pratica della interculturalità, mi pare costituire oggi un aspetto
assai rilevante nella ricerca di una ricollocazione del pensiero filosofico nel
senso della capacità di offrire risposte ai problemi che, nelle società
contemporanee, sono sorti e sempre più sorgono e sorgeranno dalle
questioni aperte dal dibattito ormai ineludibile sull'assimilazione o sulla
integrazione dello straniero e dell'immigrato, dal confronto e, purtroppo,
anche dallo scontro tra differenti ordinamenti giuridici e differenti forme
di organizzazione politica, tra diverse identità culturali e religiose. Si può,
perciò, sostenere che i contenuti e le stesse modalità epistemiche
dell’interculturalità toccano saperi molteplici e singolari. Il che non solo fa
in modo che l’interculturalità possa costituirsi come una modalità che
investe la filosofia e l’etica, la storia e la sociologia, il diritto e la psicologia,
la letteratura e le arti, etc., ma possa anche favorire al massimo il
riconoscimento di una diversità che rivendica in prima istanza una uguale
dignità rispetto alle altre.
D’altronde, è proprio un corretto e riformulato uso del metodo
ermeneutico – inteso qui nel suo significato originario di comprensione dei
segni e dei testi che si depositano nella effettualità di una situazione storica
e culturale di individui, opere ed eventi – che può permettere l’attivazione
di un processo di analisi e di interpretazione delle esperienze di alterità ed
estraneità, liberate, per quanto possibile, da presupposti metafisici e da
principi onto-teologici, ma anche da pregiudizi ideologici. Cosicché,
l’ermeneutica che può fare, per così dire, da sponda alla filosofia
interculturale può essere solo quella che guarda a forme determinate di
diversità, storicamente e culturalmente legate alla situazione data, e non ad
astratti modelli di compatte e impenetrabili strutture culturali. Non è la
umani. Si veda: V.GESSA KUROTSCHKA, C. DE LUZENBERGER (a cura di), Immaginazione,
etica, interculturalità, Mimesis, Milano 2008; V. GESSA KUROTSCHKA (a cura di),
Interculturalità e questioni di genere, numero monografico di Filosofia e Questioni pubbliche,
1(2008); G. CACCIATORE - G. D’ANNA, Interculturalità. Tra etica e politica, Carocci, Roma
2010; G. CACCIATORE - R. DIANA, Interculturalità. Teologia politica e religione, Guida, Napoli
2010. Più in generale, per una bibliografia aggiornata sui temi dell'intercultturalità cfr. R.
CARBONE, “Una bibliografia ragionata sull'interculturalità”, in Appendice a G. CACCIATORE
- G. D'ANNA, Interculturalità. Tra etica e politica, cit., pp.155-198.
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Giuseppe Cacciatore
figura astratta del turco, dell’arabo, del cinese, dello slavo, di coloro cioè
che esistono e che operano con me fianco a fianco in un medesimo mondo
vitale e in uno stesso luogo geografico, che può essere adeguatamente
compresa e, di conseguenza, immessa in una situazione di dialogo
interculturale. Insomma, non è né la teoria dello scontro fra civiltà né il
generico e retorico appello alla coesistenza multiculturale, che possono
attivare un efficace e concreto processo di reciproca accettazione, ma la
percezione e la comprensione di una diversità che si esprime nei prodotti
storici concreti della lingua, delle condotte e degli stili di vita, delle
tradizioni religiose, dei principi etici, in una parola, delle culture e dei
modi in cui queste si sono contestualizzate e autointerpretate.
3 - La “filosofia dell’interculturalità”, dunque, non rinuncia ad utilizzare
le classiche categorie definite e costruite dall’ermeneutica ottonovecentesca: l’ermeneutica filologico-linguistica come atto di
comprensione e relazione interindividuale (Schleiermacher); la
comprensione tipica dell’umano come oggetto della Istorica e come
fondamento di una autonoma metodologia e enciclopedia dei saperi
(Boeckh e Droysen); il Verstehen come comprensione dell’esperienza di vita
e delle sue oggettivazioni nel mondo storico (Dilthey); il ripensamento in
senso esistenziale ed ontologico dell’esperienza ermeneutica a fronte delle
epocali e radicali fenomenologie della tecnica e dei suoi esiti nichilistici
(Heidegger); la rinnovata storicità del comprendere e la ricerca di una
nuova “fusione di orizzonti” nella relazione tra forme e vita, tra il metodo
della ricerca storico-linguistica e la dimensione etico-valoriale dell’atto
ermeneutico (Gadamer); la rinnovata dimensione pragmatica del
comprendere tra pragmatismo, etica del discorso e sociologia critica (Apel,
Rorty, Habermas); l’elaborazione di un concetto ermeneutico del Sé nella
esperienza vitale del racconto e dell’autobiografia (Ricoeur). Né rinuncia a
una pratica, per così dire, interdisciplinare nella misura in cui la
comprensione dell’altro si rivela innanzitutto come interpretazione di
strutture psicologiche ed entità emotive, ma anche come interpretazione di
un’opera, di un atto linguistico, di un testo, di una costituzione, di un
codice, di un ordinamento, di un fenomeno politico, di un legamento
sociale.
Queste categorie e questi saperi hanno ora bisogno di essere radicalmente
ricontestualizzati in una dimensione storica fortemente segnata dai fenomeni
della globalizzazione, della ibridazione culturale, degli ormai massicci flussi
Interculturalità e riconfigurazione concettuale dell’ermeneutica
41
migratori, dei nuovi universalismi fondamentalistici e dei rinnovati progetti
neoimperialistici, ma anche, naturalmente, dagli effetti che questi fenomeni
hanno sulla politica, sull’antropologia, sugli assetti sociali e sulle dinamiche
economiche, sulle stesse mobili e conflittuali articolazioni geopolitiche del
mondo contemporaneo. Non a torto, allora, Mall – filosofo indiano di nascita
ma di formazione filosofica europea e tedesca e che ha dato alcuni dei
contributi teorici più importanti alla filosofia dell’interculturalità – individua
nel difficile nesso tra comprensione dell’altro e autocomprensione uno dei
passaggi cruciali di un rinnovato rapporto tra ermeneutica e interculturalità. Si
tratta di portare alle sue coerenti conseguenze i principi della ermeneutica
“umanistica” (ma sarebbe più chiaro e meno concettualmente compromesso
l’aggettivo “umanologica”) di Dilthey, sviluppare cioè in una direzione
relazionale il fondamento interno (il vissuto e la sua esperienza, l’Erlebnis) della
comprensione, volgerlo verso il mondo storico e le sue pratiche senza mai
recidere il legame genetico con la propria individualità.
Cogliere l’interno è un obiettivo ermeneutico, scrive Mall, che tuttavia
non deve essere fissato né secondo una logica duale, né in maniera
monoculturale, né attraverso l’idealizzazione. Occorre invece tenere
presente che anche l’interno ha il suo contesto culturale […] Una filosofia
ermeneutica mirante alla comprensione interculturale deve attenersi a una
teoria secondo la quale né il mondo con cui ci confrontiamo [l’esterno], né
i concetti, i metodi e i sistemi che nel far questo sviluppiamo [l’interno]
rappresentano grandezze aprioristiche e storicamente immutabili11.
Abstract
The paper aims to analyze the issue of reconfiguration of the
philosophical paradigm of interpretation in the light of the proposal of
intercultural philosophy. The intercultural perspective seems to set in
motion a radicalization of the question of understanding, specifically in the
relationship between self-understanding and understanding of others. This
node appears due to a necessary depth of understanding of the issue as it
was developed by Dilthey in his work.
11
R. A. Mall, Interculturalità. Una nuova prospettiva filosofica, cit., p. 42.
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