ANNO XVII - N. 1
Reg. Trib. Arezzo 5/87 - 21 Aprile 1987
(50) GENNAIO-MARZO 2003
Sped. A.P. Legge 662/96 art. 2 comma 20/c Filiale Bologna
Direttore responsabile Arturo Conti
ACTA lancia con orgoglio
il suo cinquantesimo numero
e ricorda con devota
gratitudine i Direttori
responsabili Nino Capotondi
(Roma, 28 novembre 1987) e
Antonio Grande (Roma, 25
ottobre 1989) e i Direttori
Alfio Porrini (Roma, 26 aprile
1994) e Edoardo Sala
(Fresonara, 14 ottobre 1998).
CICOGNA di Terranuova Bracciolini (AR)
b
Il parco dell’Istituto Storico della RSI:
a) gli alberi ad alto fusto, ad est del giardino
b) l’accesso, dal giardino, ai vialetti del bosco
c) un vialetto che sarà percorso di rimembranza.
a
FOTO Cosimi
c
FOTO Fortunelli
FOTO Gori
GENNAIO-MARZO 2003
—2—
IN GERMANIA PER SOPRAVVIVERE
I
l docente e giornalista Giorgio Cucentrentoli di Monteloro sta scrivendo “naturalmente non in linea con l’andazzo attuale”
L’ULTIMA ETA’ DEGLI EROI (dalla nascita del Duce ad oggi), che conterrà il diario di Paolo Cavalletti (*).
ACTA riassume le quattordici pagine del diario (doc. A), ringrazia gli autori e aggiunge (tratta da SENTIRE-PENSAREVOLERE di S. Corbatti e M. Nava, Edizioni Ritter) la fotografia della Scuola di Mariano Comense (doc. B), sede della Cmp
Comando dell’81º Rgt-Waffen Gren D der SS 29 (it. 1) che nel ripiegamento su Erba, via Cantù, doveva essere raggiunta dal
Reparto di Paolo Cavalletti (1a Cmp-I Btg Fucilieri) di stanza a Meda.
Il pomeriggio del 26 aprile 1945, all’arrivo di Cavalletti, la Scuola era vuota come abbandonato era il Comando dell’81º Rgt
(Villa Besana). Il Comandante Degli Oddi, dopo un forte squagliamento attribuito alla mancanza di automezzi per ripiegare, era
prigioniero con 85 superstiti appena fuori Mariano Comense, verso Cabiate. Nello stesso pomeriggio del 26 il Comandante
Celebrano a Cantù consegnava il suo 82º Rgt ad una Missione US e al locale CLN. I due Comandanti ebbero salva la vita, ma non
altrettanto alcuni Ufficiali dipendenti. Per deporre le armi il Comando della Divisione attese ad Erba, con i Cacciatori di Carro del
Magg Martinelli, fino al 29 aprile quel IV Corps US al quale si era arreso a Melzo e Gorgonzola il combattivo KGr Binz.
(*) L’arguto artista Paolo Cavalletti, classe 1927, e il fratello Giorgio maggiore di due anni, sono fiorentini di S. Frediano.
A
di Paolo Cavalletti (riassunto)
All’inizio della seconda guerra mondiale avevo tredici anni. Mio
padre che era Ufficiale nella prima guerra mondiale arrivò alla
seconda come Centurione, cioè Capitano della controaerea. La sua
batteria dopo aver difeso Firenze senza sparare un colpo con le
vecchie Saint-Etienne francesi da 40 mm. fu trasferita in Sicilia:
là un milite calmo e con buona mira buttò giù ben otto aerei di cui
uno tedesco e uno italiano perché i nostri reparti controaerei non
possedevano schemi degli aerei e dei contrassegni amici e nemici
e pertanto sparavano a tutto ciò che volava. Ecco perché le nostre
navi erano pitturate con strisce bianco e rosso sia a prua che a
poppa: i più grossi rischi li subivano dai nostri aerei che non le
avrebbero riconosciute certamente dalle sagome. Quando avvenne lo sbarco in Sicilia, la batteria con mio padre si ritirò da Messina e su su per il litorale tirrenico fino a Firenze.
A Firenze si pativa la fame e pertanto, sia mio fratello che io,
fummo consigliati di andare a lavorare in Germania dove ci sarebbe stato da mangiare tutti i giorni. Così avvenne e andammo a
Francoforte sul Meno come disegnatori presso la F.M.A. Pokorny
e Wittekind dove si costruivano compressori. In questa città ho
vissuto oltre un anno di guerra e non sono stato male anche se il
periodo era violento, con frequenti bombardamenti. Una sera uno
spezzone incendiario mi sorprese a letto mentre dormivo. Notai
che alcune piastrine si erano sparse sul letto con una fiammella
ciascuna. Allora presi la coperta, la rigirai sullo spezzone come
un fagotto e gettai il tutto nel cortile. Quando feci vedere al direttore dell’albergo il foro esagonale nel soffitto e gli raccontai cosa
era successo si congratulò con me e mi regalò un distintivo raffigurante una casa: significava che avevo salvato un edificio.
Vari mesi dopo mi successe un fatto del quale tutt’oggi non so
dare una spiegazione. Eravamo alloggiati con tutto l’ufficio tecnico a dodici km. da Francoforte in un paesino del Taunus di nome
Nieder Hochstadt e la domenica si andava sempre in città. Una di
quelle domeniche ci sorprese un bombardamento simultaneo all’allarme, mentre eravamo da poco usciti da una chiesa. Presi dal
panico entrammo in una villetta per andare in cantina, precipitandoci per le scale, con nelle orecchie gli scoppi delle bombe. A
metà scale improvvisamente mi fermai, come colpito da un bagliore e con vigore dissi a mio fratello “vieni via, vieni via”. E
andammo nella cantina della villetta accanto. Finito il bombardamento notammo con grande sorpresa che la villetta dove eravamo
entrati ed usciti non esisteva più e c’erano morti tra le macerie.
Giorni dopo in una strada di Francoforte vedemmo un Ufficiale
con una valigia in mano fermarsi a guardare una casa distrutta,
con le macerie ben in ordine come era costume là. L’Ufficiale
chiese ad una donna dove erano andati gli abitanti della casa: quando
seppe che erano tutti morti, con molta calma prese la sua rivoltella e puntandosela alla tempia si sparò.
La città, una volta, subì tre giorni di continuo bombardamento e
tra un immenso cumulo di rovine la popolazione rimase anche
affamata. Ricordo che scavando, come facevano un po’ tutti, in
una strada trovai alcuni cadaveri e, accanto, viveri e pane. Pane
che divorai, dopo averlo appena spolverato: erano tre giorni che
non mettevo niente in bocca. In soccorso della popolazione arrivarono aiuti da Colonia e Magonza. La gente si metteva in coda
dietro a questi trasporti di viveri e ognuno diceva per quante persone ne voleva. Venivano distribuite fette di pane con marmellata. La prima volta chiesi per una persona. Ma sia io che mio fratello ci rimettemmo in coda e, chiedendo per tre persone, ottenemmo ciascuno altre tre fette di pane.
Dopo l’inverno 1944 facemmo di tutto per rientrare in Patria. La
propaganda italiana chiamava per combattere e difendere la propria terra invasa da molti nemici, per cui facemmo domanda per il
servizio militare volontario. Unico Corpo possibile, in Germania,
erano le SS, sigla che significava Squadre di sicurezza. Erano Truppe
speciali d’assalto dove la mortalità risultava assai elevata. Noi ci
presentammo ugualmente con l’incoscienza tipica del giovane, senza
fanatismi politici. Perché quando eravamo venuti via dall’Italia
non esistevano ideologie, ma soltanto una Nazione in guerra. Da
difendere. Tutt’al più vi erano bigi, cioè coloro che dubitavano
delle possibilità di vittoria contro imperialismi così potenti. Io
poi, prima di partire dall’Italia, avevo fatto domanda per arruolamento in Marina, ma ero stato scartato alla visita medica perché
avevo un piede più corto. Che tempi! Difatti dopo la guerra ho
potuto praticare tutti gli sport più impegnativi, anche se non professionalmente. Ma sempre con risultati e mai incidenti.
Da Fulda dove avevamo fatto domanda, risposero che saremmo
andati a Brescia, nelle SS Italiane, a motivo della lingua. Così
avvenne, in pochi mesi. Ricordo l’addio del paesino del Taunus
dove eravamo sfollati: vi erano tutti: anche il Bürgermeister e tante
ragazze, e alcune più interessate delle altre. Non avrei mai creduto che in poco tempo due stranieri potessero farsi tanti amici.
A Brescia trovammo un ambiente poco organizzato. Ci vestirono
ancora con le fasce gambiere. Penso siamo stati l’ultimo Reparto
in Italia ad usarle, perché poco dopo passammo ai calzini, ai pantaloni lunghi fino agli scarponi e alle giubbe senza colletto, di
foggia sahariana. Ricordo che occupammo un convento, costringendo i frati a concentrarsi in spazi più ridotti: facemmo a mezzo
delle celle e di tutti i luoghi abitabili del convento. Poche le cose
salienti di quei primi mesi. Una sera, al buio, una sentinella fu
fatta segno ad una scarica di mitra che non poteva raggiungerla
essendo in una posizione molto alta. Scattato l’allarme, tutti fuori
dal convento: furono rovistate le zone vicine, fu raddoppiata la
guardia e tornammo stanchi ma tranquilli a letto.
Fummo trasferiti a Meda al I Btg Fucilieri, già Debica, comandato dal Magg Paolo Comelli. L’addestramento fu più duro, con una
preparazione ad azioni di guerriglia contro mezzi corazzati. Così
prendemmo confidenza con la bomba oggi chiamata Molotov, da
gettare sul motore del carro armato, con il fascio di bombe a mano
da gettare tra i cingoli di qualsiasi mezzo avanzante, con il pugno
anticarro detto Panzerfaust e con il Panzerschrech (terrore dei
—3—
ACTA
POI MILITANZA NELLE SS ITALIANE
carri) chiamato in gergo Ofenrohr (tubo da stufa), che era uno
sviluppo del bazooka americano.
Il mio Tenente di Plotone fu Luigi Ippoliti, un Comandante severo ma al tempo stesso creatore di spiriti. Fu sempre solidale con
noi Soldati e ogni tanto umano e amico. Accettava lo scherzo anche se al momento opportuno sapeva mantenere le distanze. Al
rientro in caserma una sera fece un cicchetto ad un Commilitone
che si era comportato male in un bar e aveva bevuto troppo. Ippoliti
ci insegnò tattica notturna di avvicinamento al nemico e lo scavo
di fosse per nascondersi e poi sorprendere nell’attacco un carro
armato. Per abituarci agli scoppi prendeva un cubo pieno di un
Kg di polvere nera e con un foro centrale: lo faceva brillare vicino alle nostre teste munite di elmetto, una decina di noi sdraiati
intorno a un centro come una margherita. Alla fine eravamo pieni
di terra e la trovavamo in tasca e nelle mutande, per giorni.
Il nostro compito, oltre alle esercitazioni, non si discostava dalla
normale vita di caserma. Mai emozioni e mai fatti che ricordassero la guerra in corso. Mai visti i ribelli. Una volta giunse la notizia che una carretta con due nostri Soldati era stata mitragliata: la
scorta aveva risposto al fuoco uscendone indenne. La domenica
andavamo al cinema, mentre al mattino un Sacerdote diceva Messa in caserma. Poi un giorno uno dei nostri tornò da Milano e
raccontò che il Fronte a Bologna era stato sfondato e che la fine
della guerra e della nostra Repubblica erano imminenti.
Lo stesso giorno 22 aprile venne notizia che il nostro Reparto era
stato assalito a Barlassina. Corremmo là in soccorso con la nostra
1ª Compagnia. Durante la marcia ci spararono addosso da dietro
un muro. Ci appostammo per rispondere al fuoco. Dietro questo
muro vi erano alberi d’alto fusto e ci accorgemmo che molti colpi
provenivano dai rami di quegli alberi. Sparammo a caso contro
gli alberi e vedemmo cadere come mosche ribelli lì annidati. Uno
dei nostri, Gaetano Busano, arruolatosi per vendicare la morte del
fratello, si alzò in piedi e sparando si avvicinò al muro: fu colpito
mortalmente. Finito lo scontro perché cessarono i colpi contro di
noi e con il Tenente ferito ad un piede, tornammo a Meda. Dietro
di noi, sulla strada, un passante in bicicletta era rimasto ucciso
durante lo sparatoria. Io mi ero chinato su di lui e, preso il portafoglio che era pieno di denaro, lo avevo consegnato a persone li
vicino, dicendo di avvertire i parenti anche per il recupero del
portafoglio. Ritornando sul posto dopo una decina di anni, con
sorpresa trovai una targa che in sintesi diceva “ucciso barbaramente da nazifascisti”. Come potevamo averlo ucciso noi, se si
sparava oltre il muro, mentre gli assalitori sparavano a casaccio
sulla strada tanto che solo tre dei nostri rimasero colpiti?
Tornati a Meda trovammo la caserma in subbuglio. Nel cortile vi
erano vestiti e scarpe, e bustine a volontà. I Graduati ci dissero di
prendere ciò che volevamo. Quelli che non se n’erano andati via
furono riuniti in una Compagnia: l’ordine era di dirigersi a Mariano
Comense e a Cantù. Comandava un Tenente del quale non ricordo
il nome, perché il Ten Ippoliti, promosso Comandante di Compagnia, colpito ad un piede a Barlassina, era stato ricoverato in Ospedale
a Cantù insieme a un quindicenne di Roma. Seppi in seguito che i
due ricoverati in Ospedale furono presi di mira da borghesi armati. Entrati in corsia gridarono: “Dov’è il Ten Ippoliti?” e lui fieramente risposte, com’era tipico del suo carattere: “Sono qui!”. Lo
trascinarono via per fucilarlo nel cortile. Lo massacrarono di botte per le scale ed ebbe il colpo di grazia, in barella, a Meda il 5
maggio. Quando tentarono di prendere il quindicenne, una suora
infermiera si gettò su di lui dicendo “Se fucilate lui, fucilate anche me”. E si salvò.
Mentre marciavamo verso Cantù, passando per Mariano Comense,
con mio fratello ci domandammo cosa fare. Eravamo rimasti in
poche decine. Ci salutammo e a gruppetti entrammo nei boschi
per vie diverse.
Scelsi di stare soltanto con mio fratello ed uno di Milano. Prendemmo una direzione opposta da quella dove andavano quasi tutti
gli altri. Dopo un’ora di cammino giungemmo in una fattoria. I
contadini non si mostrarono troppo sorpresi di vederci. Ci dettero
B
sede CCR 81º Rgt SS Italiane e Casa del Balilla
abiti civili in cambio dell’uniforme e delle armi. Mangiammo polenta
e dormimmo in granaio.
Non ricordo come raggiungemmo Milano, ma ben ricordo che il
Commilitone milanese ci ospitò tre giorni. Così ebbi occasione di
vedere la grande sfilata dei vincitori. Fazzoletti verdi, rossi, viola, blu, celesti, bianchi e camion pieni di gente armata fino ai denti con mitragliere, lanciarazzi, parabellum e persino un connoncino
anticarro, ma pure semplici fucili e pistole. Sfilarono per ore.
Ci guardammo tra noi e venne da domandarci “Ma dov’erano?
Cosa facevano? Se si fossero fatti vivi, ci avrebbero spazzati via
in cinque minuti!”. Noi eravamo in trecento, armati quasi tutti
con fucili 91 e i Graduati con mitra insicuri e imprecisi. Poi, come
armi pesanti, alcune mitragliatrici.
Tornammo a Firenze con mezzi di fortuna e a piedi.
A Firenze non avemmo noie, anzi un mio amico (barbiere di mestiere) mi fece avere un foglio del Partito Comunista con il quale
veniva dichiarato e firmato dal segretario di zona che mai ero appartenuto ad organizzazioni fasciste. Foglio che conservo tuttora.
Va bene fare confusione, ma quanta ne facciamo noi italiani è una
cosa incredibile.
In seguito mi sono interessato soltanto di Storia e di Geografia.
Più volte mi sono domandato cosa avrei fatto se fossi potuto tornare indietro. So di sicuro che non sarei andato con i ribelli, perché sono stati la causa di tanti lutti. Interroghiamoci: quante sono
state le vittime italiane per poter uccidere un tedesco? Ammiro
quei popoli che non hanno patito fenomeni ribellistici, Germania
e Giappone in testa: si può perdere una guerra anche amaramente,
ma non si colpisce chi la combatte nell’illusione di salire sul carro del nemico vincitore.
La cosa che più mi è dispiaciuta è che gli appartenenti alle SS
siano stati considerati criminali di guerra. Non è conforme alla
realtà, almeno per quanti io ho personalmente conosciuto e rivisto dopo una decina di anni. Tutti ottimi cittadini, con posti di
responsabilità.
E’ evidente che oggi molte cose sono cambiate. Non esiste più il
concetto di Patria e l’Italia va avanti con un permissivismo pericoloso. Per questa Italia non rischierei neppure un dito, mentre a
17 anni andai volontario in un Corpo che pativa un numero di
Caduti altissimo, con un forte spirito e una fede indiscutibile verso la Patria.
Concludo con un auspicio. Verrà il giorno che riabiliterà tutti i
Combattenti in divisa e condannerà quelle forze improvvisate, mal
dirette, che una volta gettate nella mischia eseguono solo ordini
dettati in fretta da partiti che desiderano solo avere un gran numero di morti per poterli far pesare sul piano delle trattative al momento della spartizione dei poteri. Come è avvenuto esattamente
in Italia.
GENNAIO-MARZO 2003
—4—
I RAGAZZINI
Tratto dalle memorie dei Commilitoni del Btg Mameli Antonio
Giannotti, Gianfranco Lucato, Rino Montini e Fabio Zanatelli,
Antonio Liazza della 1ª Cmp riassume un episodio (doc. A) di
fine gennaio 1945 che ha come protagonisti i Bersaglieri della
2ª Cmp Gheza, Giannotti, Giachetti e Campetti.
A
B
Bersaglieri istriani della 2ª Cmp
di Antonio Liazza
FOTO Lucato
C
Mussolini in Romagna tra i Bersaglieri
(doc. B).
(doc. C).
FOTO P.K.
D
Jesolo Lido, Litorale del Cavallino
(doc. D).
FOTO Lucato
—5—
ACTA
DEL “MAMELI”
(doc. E).
E
corografia al 25.000 con in riquadro nero i fortini 8ª Armata
RIOLO BAGNI
in queste pagine 4 e 5:
A - lo scritto di Liazza, collaboratore di ACTA;
B - a Jesolo Lido, da sinistra: Cesare Clari, Nello Sangallo,
Pietro Apollonio (Serg) e Mario Vesnaver;
C - a Rimini il Duce, dopo il rompete le righe si intrattiene
con il Serg m Giuseppe Grindatto ponendo la mano sulla
sua spalla;
D - in attesa di combattere sul Fronte del Senio il furiere in
camicia nera Giovanni Negro (cadrà il 30 gennaio) è con
l’AU Alessandro Pellati: sono della 2ª Cmp, ancora in addestramento Witthöft in Veneto come tutto il Btg Mameli;
E - corografia Alto Senio, con M.o Costa, C. Pradella,
Mongardina, Gualdo di Sopra, Bosche di Sopra e Salvarelle.
GENNAIO-MARZO 2003
—6—
L’ ANR - FLAK SUL
I
l bolognese Alberto Pederzani
(doc. A), classe 1925, adempie
la leva militare in RSI dopo reclutamento nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana - 2ª Zona Aerea
Territoriale di Padova e inquadramento nell’Artiglieria Controaerea.
Viene preso in forza dal 3º Deposito di Bassano del Grappa come attesta il Libretto ARMA AERONAUTICA-Soldbuch LUFTWAFFE n. 29
del 6 novembre 1944 (doc. B), con
piastrina di riconoscimento 32945
e grado di Caporale (doc. C).
Trasferito dal 3 febbraio 1944 alla
Flak operante in Italia, dopo qualche esercitazione in ordine chiuso
e per l’incolumità personale secondo l’arte militare tedesca (doc. D)
inizia il servizio di Batteria con cannoni 8,8 cm (doc. E) in una postazione controaerea di Bologna, zona
Barca, lungo il fiume Reno (doc. F).
Viene adibito a compiti di telefonia,
perché parla in lingua tedesca, nella 1a Btr del 376º Gr-131º Rgt. In
seguito sarà anche telemetrista.
Dall’11 aprile è in zona d’operazioni
sul Fronte di Nettunia, in due
postazioni anticarro: la prima a
Pomezia e la seconda, dal 27 aprile, a Torretta (tra Campoleone e
Lanuvio). In seguito è sui Colli
Albani, a Sud del Lago di Nemi, dal
2 maggio. Infine presso Ciampino
dal 25 maggio, da dove ammalato
di nefrite viene ricoverato all’Ospedale tedesco di Roma M. Mario.
Raggiunta Bologna il 6 giugno in
modo fortunoso, continua ricovero
e cure fino ad agosto (Ospedale
Mazzacurati) che gli consentono ad
ottobre un provvisorio rientro, a San
Lazzaro di Savena, al 376º Gr. Reparto che nel frattempo, ripiegato
integro lungo la Cassia 2 e con tappa a Monterosi, aveva operato a
Pievepelago. Il 376º Gr lo reinquadra
nel dicembre, a S. Benedetto Po.
Il 26 gennaio 1945, siccome il 376º
Gr deve spostarsi sul Fronte russo,
tutti gli Artiglieri ANR passano alla
6a Btr del 354º Gr - 149º Rgt, anch’esso a San Benedetto Po e a
Quistello con molte mitragliere mm
20 (doc. G) e dove Pederzani fa da
maestro ai Militi della Div ETNA
(doc. H), da settembre 1944 affluiti nella Flak-Italia.
Il 376º Gr però non riesce a superare il Brennero. Allora il Comandante
Naust richiama nella sua 1a Btr, a
Caprino Veronese, i 26 Artiglieri
reduci dal Fronte di Nettunia, su 40,
e rimasti a S. Benedetto Po.
A
Pederzani nel 1945
B
esterno libretto ANR-Flak
C
interno libretto ANR-Flak
D
istruttore Flak con Artiglieri ANR
E
cannone 8,8 con serventi anche ANR
—7—
ACTA
TERRITORIO RSI
I
l 10 febbraio 1945 all’Aviere Scelto Alberto Pederzani, dallo Stato Maggiore ANR a firma T Col Giuseppe Baylon, Capo di S.M. dal 24 giugno 1944 e
a tutt’oggi Componente della Consulta d’Onore dell’Istituto Storico, è concessa la Medaglia di Bronzo al V.M. per una esemplare “prova di perizia, coraggio e fermezza d’animo” del 6 maggio 1944 (doc. I). La consegna della decorazione avviene a Caprimo Veronese a fine marzo 1945 con la 1 a Btr del 376º
Gr Flak, tedeschi e italiani, schierata al completo. La decorazione era pervenuta
dal vicino Comando AR.CO. di Albarè di Costermano.
La rituale licenzia premio, coincidente con la Pasqua 1945 e prolungata per necessarie visite di controllo in Ospedale, non consente a Pederzani di tornare tra
i suoi Commilitoni stante la repentina fine della guerra a Bologna.
F
F
H
Artiglieri ANR e GNR e il fiume Secchia
I
motivazione della M. di B. al V. M.
batteria controaerea a Bologna-Barca
postazione di mitragliera mm 20
in queste pagine 6 e 7:
A - Pederzani in uniforme ANR con al petto il nastrino della
Medaglia di Bronzo;
B - documento bilingue di riconoscimento: copertina;
C - documento bilingue di riconoscimento: frontespizio;
D - addestramento in assetto di marcia all’esterno della Batteria;
E - postazione 8,8 cm Flak-FlugAbwehrKanone;
F - batteria pesante pronta al tiro, con cannoni 8,8 cm mod.
37 (canna a tre sezioni e, per l’adeguamento ai comandi
della centrale di tiro, indici di coincidenza invece di luci
colorate da spegnere come nel mod. 36);
G- mitragliera ANR-Flak a S. Bendetto Po - Quistello;
H- un Milite ETNA con il reduce da Nettunia Pederzani;
I - il decreto di concessione della M. di B. “sul campo”.
GENNAIO-MARZO 2003
—8—
NOSTRI ARDITI
A confronto, in queste pagine 8 e 9:
A - la dedizione, con giovanile umanità, di un Paracadutista GNR nato a Bologna il 31 gennaio 1925 in una lettera alla madre,
l’ultima e per errore tra le LETTERE DEI CONDANNATI A MORTE DELLA RSI nell’edizione 1975 ristampata due volte
(per incidente, restò colpito dalla sua arma a Borgomanero, il 28 marzo 1945);
B - la denigrazione, con malcelata invidia, dei Paracadutisti perché valorosi Combattenti per l’Italia e per l’Onore da parte di
uno storico ostile al Soldato italiano e non agli art. “16”, da 60 anni potere dominante per aver servito gli invasori.
A
di Roberto Nanni, con una sua fotografia 1945 sopra una busta dove ha scritto i due nomi del suo Btg
—9—
ACTA
PARACADUTISTI
B
di Marco Di Giovanni (*)
I reparti paracadutisti che avevano seguito le unità tedesche in occasione
dell’8 settembre, avrebbero costituito il nucleo di partenza per la formazione, in parte spontanea e comunque inizialmente indipendente da qualsiasi apporto delle competenti autorità repubblicane, di unità poste alle
dirette dipendenze dei comandanti tedeschi al fronte sud.
Il Raggruppamento Rizzatti, rientrato nella penisola alla fine di settembre, era stato trasferito a sud di Roma, nella zona di Maccarese, dopo avere raccolto singoli militari e nuclei di paracadutisti sbandati. Ad esso vennero aggregati i nuclei provenienti dalla Calabria, agli ordini del capitano
Sala, e delle scuole laziali, guidati dal capitano D’Abbundio.
Centri di reclutamento del personale, brevettato o meno che fosse, vennero stabiliti a Roma e Firenze, con Pistoia e Padova come depositi provvisori. A Spoleto venne istituito un centro di costituzione ove i reparti sarebbero stati riorganizzati e addestrati da istruttori tedeschi, per essere poi
inquadrati da ufficiali dell’XI Fliegerkorps che incorporava quelle unità
italiane nella sua 4 a divisione paracadutisti. Fra la fine del 1943 ed i primi
mesi del 1944, sulla base di vari apporti di personale si venne così formando presso quel centro addestramento una unità organica, destinata ad
assumere, in una fase immediatamente successiva, la denominazione “Reggimento Italiano Paracadutisti presso l’XI Fliegerkorps”. Nei primi mesi
del 1944, un nucleo, forse una compagnia di formazione, del reparto venne addirittura inviato per un corso di paracadutismo alla Scuola tedesca di
Friburgo. Una decisione che tendeva, da un lato, alla formazione di base
del personale destinato ad azioni dietro le linee alleate, da un altro punto
di vista rivestiva carattere simbolico, venendo a costituire una garanzia di
continuità, seppure soltanto formale, alla tradizione del corpo. Stimolo
per i volontari in afflusso, garanzia di una funzione militare e cemento di
coesione per l’organismo in formazione. Segnale della serietà delle intenzioni di impegno mostrate dai tedeschi, ed anche della scarsa fiducia di
fondo nei confronti della preparazione dei quadri italiani, fu l’invio in
Francia di alcuni ufficiali paracadutisti, fra i quali lo stesso maggiore Rizzatti,
per un corso di perfezionamento.
Una prima occasione di impiego per i reparti in formazione a Spoleto fu
costituita dai tentativi controffensivi sviluppati dai tedeschi contro la testa
di ponte alleata ad Anzio. In tale occasione, a partire dal 12 febbraio, venne chiamato ad operare un nucleo di circa 300 uomini, il battaglione “Nembo”,
composto in parte da reduci dalla Sardegna ed in parte da personale reclutato nei mesi precedenti.
Tra il 16 e il 20 febbraio il reparto partecipò ai combattimenti subendo
forti perdite che imposero assai presto il suo ritiro in posizione arretrata
per riorganizzazione. Ad Ardea esso assunse la denominazione celebrativa
“compagnia Nettunia-Nembo”, e sarebbe stato rinforzato da complementi, non di rado assai giovani e privi di preparazione militare, provenienti
direttamente dal centro di reclutamento costituito a Roma.
Parallelamente agli sviluppi che abbiamo delineato, anche l’Aeronautica
repubblicana aveva intrapreso, autonomamente, la costituzione di reparti
paracadutisti. L’afflusso di un gruppo di istruttori delle scuole regie di
Tarquinia e Viterbo ai bandi del mese di ottobre, consentì la creazione del
nucleo di una nuova scuola di specialità, insediata nel corso di novembre
a Tradate, presso Varese, con attrezzature raccolte nel Lazio ed appoggiata per il settore di volo ai vicini aeroporti di Venegono e Lonate Pozzolo.
Presso il nuovo organismo-scuola, denominato inizialmente Centro Istruzione Paracadutisti, al comando del capitano Luigi De Santis, si procedette dunque alla costituzione di un “Raggruppamento Arditi Paracadutisti
dell’Aeronautica” posto al comando del Colonnello Dalmas e formato da
personale già brevettato o raccolto presso un centro di reclutamento a Milano. Nata probabilmente allo scopo di valorizzare una delle poche risorse
disponibili per sviluppare un contributo bellico per il quale scarseggiavano altri mezzi specifici per l’arma, la Scuola poté assumere una funzione
effettiva (seppur assai limitata) per il complesso dei reparti paracadutisti
della Repubblica Sociale solo a partire dalla primavera del 1944 e con
aerei concessi per l’occasione dai tedeschi, quando anche il reparto dell’Aeronautica, in corso di faticosa costituzione, venne destinato all’inserimento nel reggimento che l’XI Fliegerkorps stava formando a Spoleto.
A questi intenti rispose anche l’impulso di razionalizzazione che, relativamente ai mezzi disponibili, toccò la specialità, la cui appartenenza passò
all’Aeronautica repubblicana, da cui dipendevano Scuola e attrezzature e,
verosimilmente, l’aliquota più numerosa del personale in addestramento. Scelta
che, ricalcando il modello tedesco, tendeva a confermare, almeno sul piano
dell’immagine esterna, la plausibilità di un ruolo militare e di un’identità di
grande tradizione per quei reparti, il cui mito si rivelava ancora capace di
raccogliere e canalizzare le sempre più rare spinte favorevoli alla repubblica
ed al suo impegno militare a fianco dell’antico alleato.
Un mito che trova immediata conferma nella frequente presenza di reparti
qualificati come “paracadutisti” fra quelli che popolavano il confuso quadro delle forze armate della repubblica fascista, e che vengono qui ricordati solo per orientamento del lettore. Sin dal novembre del 1943 la Guardia Nazionale Repubblicana aveva costituito nei pressi di Brescia un reparto “paracadutisti”, denominato anch’esso inizialmente “Fulgor” e composto
solo in minima parte di paracadutisti brevettati, in parte “attirati” da altre
unità in costituzione. Il reparto avrebbe operato, sin dalla tarda primavera
del 1944, solo in operazioni antipartigiane anche se, in funzione essenzialmente simbolica. Una aliquota di esso effettuò un breve addestramento lancistico presso la Scuola di Tradate nel luglio del 1944.
Un altro accenno in merito alla nebulosa di questi reparti va fatto a proposito del reparto N.P. (nuotatori paracadutisti) inquadrato nella “Decima
Mas” e che aveva trovato inizialmente le sue basi in un piccolo nucleo del
battaglione specializzato costituito dalla regia marina in vista delle operazioni in Mediterraneo. In realtà esso costituì essenzialmente una unità di
fanteria, impegnata in azioni antipartigiane culminate nelle operazioni del
dicembre 1944 nei pressi di Gorizia, e condivise identità e destino della
“Decima”, che pure risultano in gran parte affini, quando non coincidenti,
con quelle dei reparti al centro della nostra attenzione. Solo un nucleo del
battaglione mantenne una relativa specificità d’arma, operando per singoli elementi con funzioni informative o di sabotaggio dietro le linee alleate.
Un’attività interessante più per i legami che rivela con piccoli ed isolati
gruppi di neofascisti al sud che per i riferimenti di fondo dei suoi protagonisti, in genere non incardinati ad una identità di carattere collettivo e di
corpo.
L’impegno bellico dei paracadutisti italiani al fronte sud, ed in generale
contro gli alleati, si sarebbe esaurito nel corso del breve ciclo di operazioni interno a Roma, che vide impegnati gli uomini del reggimento “Folgore” a copertura dell’arretramento generale del fronte. Anche in questa occasione i reparti, l’entità dei quali può essere stimata intorno alle 1.000
unità, avrebbero operato separatamente, impegnati per tamponare le falle
più larghe dello schieramento difensivo senza assolvere ad alcune funzione organica. Suddivisi tra Cisterna, Castel di Decima e Pratica di Mare i
reparti avrebbero subito dal 27 al 4 giugno perdite pesanti, cui si aggiunse
un’altissima quota di dispersi e prigionieri, tale da decurtarne pesantemente la consistenza. Raccolti e riordinati a Firenze, i resti dell’unità sarebbero rientrati a Tradate, in vista della costituzione di un nuovo reggimento. Il bilancio delle perdite dei paracadutisti nel corso di quel ciclo
operativo avrebbe trovato una enfasi particolare nella relazione stessa dal
generale Tessari al momento della sua sostituzione quale sottosegretario
all’Aeronautica, nell’agosto del 1944, che enfatizzava il ruolo di punta
attribuito a quei reparti nel contributo bellico dell’arma. I dati che ne emergevano
risultano comunque interessanti.
Sui 946 uomini del reggimento impiegati in linea, si segnalavano “40 caduti accertati”, “458 non rientrati”, “54 feriti”. Per quanto riguardava invece il battaglione “Nembo” nel complesso della sua partecipazione alle
operazioni, dal settembre del 1943 al giugno del 1944, sui 495 uomini
portati in linea si erano avuti “73 caduti”, “251 non rientrati”, “148 feriti”.
Un bilancio pesante nel suo complesso, e che indica nella sua struttura
l’obiettiva situazione di caos in cui quei reparti vennero a trovarsi soprattutto nelle operazioni finali, con una frantumazione che avrebbe favorito
numerosi cedimenti, testimoniati dalla rilevante quantità dei dispersi.
Fra i caduti era anche il maggiore Rizzatti, cui sarebbe stata concessa una
medaglia d’oro alla memoria. In effetti, nel corso di una cerimonia svoltasi nel mese di luglio presso la Scuola di Tradate, ai reparti vennero concesse numerosissime decorazioni, una vera pioggia di medaglie pari a circa il 20% della forza in linea, che segnala l’eccezionale enfasi istituzionale per quello che si era rilevato come uno dei rarissimi contributi reali alla
guerra contro gli alleati. Tale circostanza, che si intrecciava al solido mito
combattentistico che circondava la specialità e il nome della “Folgore”,
avrebbe favorito il consolidarsi di una tradizione interna destinata a tradursi in cupa epopea, tramandata nel dopoguerra, con autocompiaciuta
enfasi sui dati della morte e del sangue, attraverso i canali tutti interni
quanto solidi e duraturi della memoria dei reduci, e soprattutto degli apologeti,
della repubblica fascista.
(*) da I PARACADUTISTI ITALIANI, Capitolo settimo.
In oltre 300 pagine Marco Di Giovanni analizza, da antifascista, le gesta del
Corpo di élite più famoso delle nostre Forze Armate.
Il Capitolo settimo (pagine 291-317), dal quale ACTA trae i brani meno faziosi,
così inizia “Esula dagli intenti di questo studio una ricognizione puntuale delle vicende organizzative ed operative che riguardano le unità dei paracadutisti
italiani costituiti e comunque operanti sotto le insegne della RSI”.
GENNAIO-MARZO 2003
— 10 —
IL FRONTE SUD:
I
n Campania, Lazio e Abruzzo (ACTA Anno XIII, n. 1), esclusi Genieri (*) delle Fortificazioni campali e Artiglieri,
Legionari, Marò e Paracadutisti della Battaglia per Roma, presero parte ad operazioni e servizi delle prime linee
autunno 1943 - primavera 1944 oltre 12 mila italiani, il 15% delle Truppe combattenti tedesche.
Nella 2a G.M., il Fronte sud italiano si formò con schieramenti
difensivi d’emergenza sulle alture del Golfo di Salerno e lungo ogni
fiume più a nord e poi con i corpo a corpo di Ortona e quelli di
Cassino, epici e così prolungati da risultare decisivi per la buona
sorte del tremolante sbarco nemico a Nettunia. Dunque anche la
Battaglia di Nettunia appartiene al Fronte sud al pari delle azioni di
retroguardia, la più duratura a Firenze, improvvisate fino alle nuove difese della linea gotica, dalla Garfagnana all’Abetone, dal Fronte
bolognese a quello del Senio.
L’invasione della penisola, iniziata il 3 settembre a Gallico Marina
(RC), venne resa spedita dal poderoso sbarco tra Agropoli e Salerno
di 230 mila angloamericani, divenuto sicuro dal 16 settembre per
la preponderanza navale, mentre le Provincie ioniche e del basso
adriatico cadevano in mani britanniche senza scontri.
La prima difesa dell’appena costituita RSI, anche per il cameratismo di Kesselring, viene attuata sul Volturno e da lì per tappe sul
Garigliano, fino ad irrigidirsi sull’estremo nord campano, lungo la
Casilina 6, alla breccia di Mignano tra Monte Lungo e Monte Rotondo (doc. A) dove, cadendo sul campo, esaltò la sua convinta
lotta contro l’invasore il Cap Cesare Cozzarini (doc. B).
Agli ordini di Cozzarini, il Btg Volontari Mussolini, inquadrato
nel XIV Pzk alla fine del mese di ottobre, con 192 Caduti, aveva
A
il Fronte sud tirrenico
C
affrontato a Falciano-Monte Massico devastanti euforici mezzi corazzati del X BrCorps.
Ad inizio 1944 gli invasori attaccarono con tutte le forze disponibili
la linea Gustav (doc. C) combattendo per quattro mesi attorno a
Cassino (doc. D). Battaglia conclusasi con lo sfondamento dei coloniali francesi sui Monti Aurunici (17 maggio), premiato con stupri su
donne e uomini e la cattura dei loro beni ad Esperia (doc. E), e con la
conquista anglopolacca delle rovine di Montecassino (doc. F).
A questa prima strenua difesa del territorio RSI parteciparono italiani non sbandatisi l’8 settembre e poi affluiti in Unità tedesche
(doc. G) e Volontari repubblicani. Molti tra questi erano Militi dei
Comandi GNR del Centro Italia (doc. H) che, aggregati alla
gendarmeria tedesca, subirono molte perdite: per tutti ricordiamo
il Sten Gino di Renzo, abruzzese di Villamagna, del CP.CH-660° e
Caduto per bombardamento aereo il 28 febbraio 1944 tra Palena e
i Monti Pizi (CH) e il Ten Oreste Di Rocco, molisano di Mafalda,
del CP.FR-656° e Disperso il 13 giugno 1944 durante un
cannoneggiamento dell’8a Armata a Petrella-Lago del Salto (RI).
(*) senza addestramento, operano a ridosso delle prime linee: Kesselring,
dopo aver elogiato il comportamento sulla Maiella del CXI Btg, già Lancieri
di Firenze, il 10 maggio visitò e lodò a Pontecorvo il CVIII Btg di Perugia.
da MONTECASSINO, retrocopertina III
LE MAINARDE
B
disegno su Cozzarini
— 11 —
ACTA
GLI ITALIANI
D
E
copertina della relazione Squadrelli
F
da MONTECASSINO, retrocopertina II
G
da CASSINO 1944-1994, pag. 79
H
da REPUBBLICA SOCIALE, pag. 263
Esperia inferiore e, in alto, il Castello
in queste pagine 10 e 11, con la collaborazione di Pietro Cappellari:
A - da LA CAMPAGNA D’ITALIA 1943-1945, pagina 185;
B - da BEHIND ENEMY LINES, pagina 62;
C - la linea Garigliano-Rapido (oltre Le Mainarde si raccordava con difese sul Sangro): durò 6 mesi;
D - relazione su Cassino, presentata a Cicogna nel 1990: contiene
anche la ricerca D’Epiro sul contributo GNR alla Battaglia di Esperia (40 Militi, 5 Caduti);
E - frazioni e monti attorno Esperia (FR): furono teatro di scempi
e saccheggi ad almeno mille civili;
F - plastico di Cassino, compreso il Monastero;
G- italiano con panzerschrecht RPzB 54 anticarro 8,8 cm (un
bazooka di 1,35 m con scudo, razzo 600 gr, peso 11 kg e
gittata 180m);
H- Militi GNR aggregati a Plotoni Guardie (WacheZug).
GENNAIO-MARZO 2003
— 12 —
L’ ITALIA DEL SUD
Con la collaborazione del Legionario Pio Acquaroli di Caserta, Combattente Legione “M” Guardia del Duce.
Sull’esempio dei Paracadutisti del Btg Nembo-Nettunia (doc. A)
che raccolsero e celebrarono gli oltre 70 Caduti sul Fosso della
Moletta dando loro sepoltura campale nel Cimitero di Ardea e
con grata ammirazione sia per chi ha concorso alla erezione in
territorio di Nettuno del Campo della Memoria (doc. B), da tempo dedicato a tutti i Caduti della RSI, e sia per chi volontariamente ne ha cura, rendiamo Onori a Caduti rimasti finora senza
tomba. Sono le salme di sei Militi GNR: Emilio Baldazzi di Vergato,
Paolino Bartolomeo di Cosenza, Giuseppe Carta di Cagliari,
Principio Carotenuto di Frosinone, Nicola Pragliola di Cassino
A
da LA BATTAGLIA DI ESPERIA, pag. 140
e Pasquale Rampone di Verona deposte da ONORCADUTI nel
Cimitero militare italiano di Mignano (doc. C) in tombe, una di
fianco all’altra, lungo il Gradone O (doc. D).
Questo evento impone rinnovati Onori ai tanti Caduti del Fronte
sud che degnamente giacciono accanto a Commilitoni germanici
con i quali condivisero guerra e sconfitta fino alla morte. Per tutti
i Caduti italiani del Cimitero germanico di Caira di Cassino (doc.
E) ricordiamo l’Alpino Alfonso Boselli e per tutti i Caduti italiani del Cimitero germanico di Pomezia (doc. F) ricordiamo il Paracadutista Ezio Bonedini, ambedue aggregati Wehrmacht.
B
Nettuno, ingresso al CAMPO DELLA MEMORIA
A I D O N E S I E S A LTA N O I N S I C I L I A A N G E L I N A M I L A Z Z O E R O I N A
di SALVATORE CALI’ (riassunto)
11
Ausiliaria SAF
ANGELINA MILAZZO
Aidone (Enna) 18 aprile 1922
Garbagnate (Milano) 21 gennaio 1945
L’11 febbraio 1945 LA DOMENICA DEL
CORRIERE dedicava la prima pagina ad
Angelina Milazzo con queste parole “Abnegazione eroica: durante il mitragliamento
di un treno compiuto da caccia bombardieri nemici la giovane Ausiliaria dell’Esercito Repubblicano Angelina Milazzo, anziché cercare scampo, sprezzante del pericolo, si lancia in soccorso di due donne
ferite e con la sua persona fa scudo ad
una di esse in stato interessante. Colpita
da una scarica, cade salvando col suo sacrificio la vita di una madre”.
Angelina nacque nella casa che oggi è
di proprietà del concittadino Tommaso
Careri. Suo padre, Filippo, soprannominato
patacone forse per il suo fisico adiposo
e di corporatura bassa e curva, era mutilato di guerra e decorato al Valore Militare: gestiva assieme alla moglie Nerina
Bruno un negozio di stoffe. Il Parroco
Milazzo di Santa Maria La Cava, restauratore del Santuario di S. Filippo Apo-
stolo, era suo zio. Gli unici parenti rimasti in vita sono il concittadino Egidio Palermo e la moglie che era cugina della madre
Nerina.
Alta un metro e settanta e di raffinata eleganza, era all’epoca considerata una delle più belle ragazze di Aidone. Dotata di
rara intelligenza, conseguì il Diploma
Magistrale a 17 anni e subito andò ad insegnare in una scuola elementare di Bengasi.
A guerra iniziata, mentre rientrava in Sicilia con uno degli ultimi aerei civili, cedette il posto ad una madre e al suo bambino che erano rimasti a terra. Potè risalire a bordo per l’intervento dell’allora
Federale Barracu. Nel febbraio 1941 si
iscrisse alla Facoltà di Economia e Commercio di Catania inquadrandosi nel GUF
(1), ma nel 1942 si trasferì alla Bocconi
di Milano. Nel 1944 si arruolò nel SAF
partecipando al 3° Corso Nazionale. Fu
poi assegnata alla GNR, al 619° Comando Provinciale di Vicenza.
Per l’eroico atto compiuto a Garbagnate
il Comando Generale SAF avanzava pro-
— 13 —
ACTA
ONORA CADUTI RSI
C
Mignano, scalinata del Cimitero miitare
E
Cimitero germanico di Caira di Cassino
D
F
Mignano, il Gradone O
Cimitero germanico di Pomezia
D I U M A N A S O L I D A R I E T A ’ , S E P O LT A A L C A M P O X - M I L A N O
posta di M.d’O. alla memoria in una cerimonia a Padova. Dal 22 novembre 1986
la salma è al CAMPO X, loculo 1177,
del Cimitero Maggiore di MilanoMusocco.
Il CAMPO X, disconosciuto dalle Leggi
vigenti, raccoglie oltre 1200 Caduti della RSI, elencati anche con immagini dalla
pertinente pubblicazione Ritter del luglio
2002, con sottotitolo IL CAMPO DELL’ONORE (2)
Una Nazione che ignora tanti figli che
sono morti nel difendere la Bandiera italiana commette un atto deplorevole.
A Te, Angelina, che riposi al CAMPO X
accanto a Grandi della RSI, da Alessandro Pavolini ed Adriano Visconti, da Francesco Barracu ad Arnaldo Rosega, noi del
Fronte Nazionale ennese abbiamo intitolato la nostra Federazione, perché Tu sia
sempre presente nella nostra memoria.
Facciamo appello all’Amministrazione
civica del Suo paese natale, Aidone, affinché Le sia intitolata una strada a ricordo del Suo umano sacrificio.
2
GENNAIO-MARZO 2003
— 14 —
L E T T E R E
Pubblichiamo:
A
di Elvezio Borgatti
di Orazio Beltramo
A - auguri 2003 di Borgatti e di
Beltramo;
B - ricerche, a Spoleto, di Mazzoneschi;
C - onoranze El Alamei 2002, con un
commento di Fernando Rosati;
D - documenti Ragazzoni, padre (Caduto) e figlio, Bersagliere RSI in
Liguria;
E - immagine di Castellacci (collaborazione di Ugo Giannuzzi Savelli);
F - profilo anche politico di Rao Torres,
primo Capo Provincia di Arezzo.
B
di Alberto Mazzoneschi
Sopra: Testata del periodico RSI di Spoleto del 30 gennaio 1944
e titolo ed inizio di un articolo tratto da PROVINCIA LAVORATRICE (settimanale PFR Vercelli) sulle tre Camicie Nere spoletine
(altro Caduto fu Francesco Petucci) colpite nell’imboscata notturna del 6 gennaio a Serravalle Sesia mentre, di ritorno dal prelievo di coperte a Prai Biellese, stavano per salire su una corriera
per Vercelli.
E’ di Spoleto pure il Sten GNR Giacomi De Angeli, fucilato CSA
di Sondrio, il 30 marzo 1946, con richiesta di spese di giustizia.
A destra: Nel solco del servilismo all’invasore dell’Esercito del
Sud, coerente risposta del Commissario Onoranze Caduti che nega
la traslazione della salma di un Caduto RSI: è la conferma
dell’antipatriottismo dei Comandi delle Forze Armate del dopo 2
G.M., che purtroppo perdura.
C
Onoranze El Alamein 2002
Egitto, El Alamein 19 ottobre 2002 - Volontari del Rgt Giovani Fascisti
Deposizione di corona al Cimitero britannico (l’indomani al suono
di avevo un camerata onoranze a quello tedesco): da sinistra
Travaini, Fedeli, Rosati (Probiviro Istituto),
Cioci con la Fiamma (C.d.O. Istituto), Bellone e Mencarelli.
— 15 —
ACTA
A D A C T A
D
documenti Ragazzoni
E
il Milite-poeta Castellacci
1 - libertà di
servizio anche
durante il coprifuoco al T Col
A c h i l l e
Ragazzoni,
Comandante
del Deposito
14° Rgt Ftr di
Chieti (cade in
un agguato il 26
novembre
1943).
A.U. Mario Castellacci
2 - tesserini RSI (21 gennaio e 21 luglio 1944) di Gianluigi Ragazzoni del I Btg
3° Rgt Bersaglieri.
F
Il Sten GNR Mario Castellacci, scomparso a Todi (PG) il 4 novembre 2002,
ha scritto in RSI LA CANZONE STRAFOTTENTE (Le donne non ci vogliono
più bene perché portiamo la camicia nera) e nel dopoguerra LA MEMORIA BRUCIATA. Nel retaggio RSI resterà il poeta dei Combattenti dell’Onore.
di Stefano Greci, ricercatore storico aretino (riassunto)
Bruno Rao Torres è stato l’ultimo Federale del
P.N.F. aretino e il primo Capo Provincia di Arezzo
della Repubblica Sociale Italiana. Nacque a Torino il 24 giugno 1902 da genitori napoletani.
Suo padre era funzionario del Banco di Napoli.
Presto si trasferì con la famiglia a Milano dove
studiava quando l’Italia entrò in guerra. Di spirito intrepido e focoso, pur giovanissimo chiese di arruolarsi volontario. La sua richiesta fu
accolta ma mentre si trovava in addestramento
la Prima Guerra Mondiale finì.
In Etiopia meritò sul campo una medaglia d’argento e una di bronzo.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo
coinvolse ancora come volontario: alla fine del
1940 partecipò alla campagna in Albania e in
Grecia dove, nell’aprile 1941, venne proposto
per un’altra medaglia d’argento che gli verrà
conferita l’anno successivo. Tornato dalla Grecia, dopo una breve sosta a Milano, nel 1942
volle ripar tire per dare il suo contributo nella
campagna di Russia ma prima di par tire venne
richiamato dal Partito per un importante incarico: quello di Segretario Federale della Federazione fascista di Arezzo.
Alla fine dell’agosto del 1942 Giannino Romualdi
da tempo Federale dei fasci aretini venne promosso Prefetto di Chieti, e proprio Rao Torres
ha il temperamento giusto per sostituirlo.
I fascisti aretini lo accolsero benevolmente, ma
senza troppo entusiasmo. Egli però stabilirà con
la città legami di amicizia profonda e con i fascisti locali rapporti di stima e di fiducia.
Dopo la caduta del Governo Mussolini, rimase
qualche giorno in città poi tornò a Milano dove
rimase fino al settembre, però sempre in contatto con amici e camerati di Arezzo. L’8 settembre, alla notizia della resa, si trova ad Arezzo e
con altri camerati decide di prendere l’iniziativa
politica e militare in città. Infatti i tedeschi, il 13
settembre occupando la città, troveranno una Arezzo
con un presidio militare con il Tricolore issato
(senza più stemma sabaudo) e una autorità civile a cui riferirsi.
Dopo pochi giorni arriverà la nomina a Capo Provincia da par te di Mussolini e Rao Torres inizierà la sua attività in questo ruolo. Egli svolse il
suo compito in un modo deciso ma equilibrato
e, sebbene di par te, non fu mai fazioso. La sua
esperienza in Arezzo fu segnata da un grave e
profondo lutto per lui: il 2 dicembre 1943, sotto
uno dei più efferati bombardamenti aerei americani, sua moglie Ada, di appena 33 anni, venne
uccisa. Egli era legatissimo a lei e la sua scomparsa lo gettò in un profondo dolore da cui si
riprese con fatica e solo per il grande senso del
dovere che aveva. Nel gennaio 1944 la sua attività di Capo Provincia di Arezzo ritornò ad essere come quella di prima. Alla fine di aprile 1944
fu richiamato a Milano e sostituito da Melchiorre
Melchiorri, ma Arezzo rimase per lui un’esperienza impor tante considerato anche il par ticolare momento in cui l’aveva vissuta. Uno dei suoi
figli era nato lì, e lì era mor ta sua moglie; ad
Arezzo inoltre lasciò molti amici con cui rimarrà
in contatto anche in futuro. Nel 1945 viene arrestato a Milano. Processato per fatti accaduti nella
nostra città, rimarrà in carcere fino al totale
proscioglimento, nel 1950. Uscito di prigione riprenderà il suo vecchio lavoro e si occuperà dei
Cap. Rao Torres
suoi figli. E’ mor to a Milano il 23 maggio 1980.
Per descrivere la personalità di Bruno Rao Torres
non bastano queste poche righe, ma voglio qui
ricordare un episodio: quando, il 10 settembre
1943, alcuni uomini, giovani e meno giovani
tra cui Rao Torres, si ritrovarono in piazza Grande
ad Arezzo per affrontare le conseguenze del
tradimento badogliano e decidere cosa fare,
l’ultimo Federale d’Arezzo disse queste testuali
parole: Abbiamo cantato per vent’anni “sarem
noi fascisti che salverem l’Italia”, ora è arrivato il momento di salvarla.
E fu Repubblica Sociale.
GENNAIO-MARZO 2003
— 16 —
ACTA
XVII DI FONDAZIONE DELL’ISTITUTO STORICO RSI
Il 17 novembre 2002 si è tenuta a Cicogna una riunione
culturale per celebrare il XVII di Fondazione dell’Istituto
Storico della RSI. Al vivace uditorio si sono rivolti i tre
oratori annunciati e due improvvisati.
Il torpediniere Sergio Denti, con il seducente eloquio del
lupo di mare ha ripercorso le sue azioni di siluramento
con barchini, da Anzio alla Costa Azzurra, culminate con
l’evasione quasi a fine guerra dalla prigionia degaullista.
L’ardito Gianluigi Garulli ha ammesso che il Cap Pifferi
dovette rifiutare ordini d’inquadramento della Div ETNA
pur di schierare sulla linea gotica bolognese la sua Cmp
Arditi, apprezzata sul campo di battaglia dai tedeschi.
Il geniale Curzio Vivarelli ha deliziato tutti con la parata
dell’uva elbana, rimbalzata sui giornali livornesi (*).
Poi Luigi Fazzini ha ricordato l’estrema eroica difesa
di Tarnova della Selva sul Fronte goriziano da parte del
suo Btg Fulmine, mentre Mirko Cerati ha presentato il
suo UN BERSAGLIERE DELLA RSI, dove riferisce su
un episodio con mortaio non funesto come quello di
Licciana Nardi, vile anche se sotto minaccia: in quel
pomeriggio del 23 aprile 1945 (come scrive D. Del Giudice in PENNE NERE SULLE ALPI APUANE) due Alpini
vengono uccisi a Monti di Licciana da granate lanciate
da mortai di Bersaglieri arresisi al mattino.
Dopo un minuto di raccoglimento in memoria dei Caduti
RSI e dei Soci dell’Istituto Storico scomparsi, le comunicazioni del Presidente Conti:
- dono della Biblioteca Cesare Squadrelli da parte della
vedova Angela, dono che segue quello di libri e documenti da parte di Nino Arena, con vivi ringraziamenti
ad entrambi;
- conferma delle procedute per l’Atto Costitutivo della
Fondazione della RSI-Istituto Storico entro dicembre 2002
per poter avanzare domanda di riconoscimento ad inizio 2003 e rinvio di 6 mesi dell’Albo Caduti e Dispersi
della RSI nella fiducia di farlo uscire intestato alla Fondazione ormai con personalità giuridica.
La giornata, che è stata, la prima volta a Cicogna per il
Socio Giuseppe Moschella, mortaista del Btg Valanga, si
è conclusa con gli auguri per il 2003 e con un affettuoso
saluto agli assenti per malattia. Tutto preceduto da sobri
interventi di Cancemi, Ciaccia, D’Eufemia, Giorgi, Gori e
Zannoni che ha offerto all’Istituto copie della pubblicazione PER L’ITALIA del Circolo Corridoni di Parma.
(*) La vendemmia e il borgo del tempo è la festa annuale di Capoliveri (il Comune meridionale dell’Isola
d’Elba, con 3 mila abitanti) che vede competere su
rievocazioni locali i suoi
quattro rioni.
Quest’anno ha avuto come
tema il mancato arrivo a
Portoferraio, per incidente,
di un’immagine del Duce,
creata da chicchi bianchi e
neri, per la festa dell’uva del
1938 che si onorava della Il ritratto di Mussolini, fatto con chicchi di uva, circondato da camicie nere e ragazpresenza di Mussolini.
zini vestiti da balilla che cantano canzoni del Ventennio.
IL TIRRENO 2.10.2002
Il 29 settembre 2002 in una
festa dove ogni rione di
Capoliveri propone verità
del passato, tra seimila
plaudenti e sparuti contestatori, dietro una gigantografia composta d’uva e
facendo meritare al rione
Torre il 2° premio, con genitori e fratelli sono sfilati
in Via Roma, addobbata
anche d’una simbolica
Aquila RSI, perfetti Balilla
e Piccole Italiane.
Rievocazione popolare con
atmosfera storica.
Prossima attività 2003 dell’Istituto Storico RSI
a Cicogna, con inizio ore 10,30
13 aprile
-
ASSEMBLEA DEI SOCI
22 giugno
-
IL PROIETTILE DI CARTA - Tesi di Laurea in Storia delle Dottrine Politiche (B.
Pompei)
6 e 7 settembre -
SEMINARIO DI STUDI STORICI 2003 con lezioni sulla istituzione della RSI
e sui luoghi di culto dei Caduti RSI.
Bimestrale culturale scientifico informativo
Associazione Culturale
ISTITUTO STORICO DELLA RSI
52028 Cicogna, 27/E
Terranuova Bracciolini (AR)
Tel. 055 9703988
Fax 051 260248 e 051 240341
[email protected]
Anno XVII - N. 1
(50) Gennaio - Marzo 2003
Direzione:
Michele Tossani
Alda Paoletti
Cesio Santucci
Enrico Persiani
Tiratura:
10.100
Stampa: Officine Grafiche TDM