pregiudizio del creditore pignorante. Per tal motivo al

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pregiudizio del creditore pignorante. Per tal motivo al creditore sequestrante non può essere opposta la compensazione tra il credito del proprio
debitore verso il terzo sequestrato ed altro credito da questo vantato verso
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1972, n. 2055, in Giust. civ., 1972, I, 1513; in Foro il., 1973, I, 1230).
TIsequestro conservativo di crediti si esegue notificando al sequestrato
ed al suo debitore l'atto di sequestro e si cita il terzo debitore a comparire
davanti al tribunale per dichiarare se è debitore di tale somma (art. 678
c.p.c.). Se il terzo dichiara di essere debitore, il sequestro è attuato. Se il
terzo, chiamato a comparire, non rende la dichiarazione, o la rende negativa, l'accertamento dell'obbligo del terzo resta sospeso fino all'esito del
processo di merito (cioè del processo relativo alla esistenza del diritto del
sequestrante verso il sequestrato), a meno che il terzo non chieda l'immediato accertamento (dell'inesistenza) dei propri obblighi. TIterzo (preteso)
debitore può infatti avere interesse a far accertare immediatamente che egli
non è debitore. Con le stesse modalità si esegue il sequestro di beni mobili
del debitore presso terzi, in analogia al pignoramento presso terzi (così
LUISO).
3.2.4.1.
Il sequestro di crediti in mani proprie.
È ritenuto ammissibile da Cass., 8 febbraio 1992, n. 1407 per la quale:
« In caso di sequestro conservativo in mani proprie del creditore - caratterizzato per il fatto che le somme sequestrate sono nella disponibilità del creditore
sequestrante il quale le deve al suo debitore, soggetto nei cui confronti il sequestro
deve eseguirsi - il richiamo che, ai fini della disciplina dell'esecuzione della misura
cautelare, l'art. 678 c.p.c. fa alle disposizioni che regolano il pignoramento presso
terzi, non comporta la necessità che il detto creditore si autociti ai sensi e per gli.
effetti dell'art. 547 C.p.c., in quanto la stessa istanza di sequestro in mani proprie
integra ed esaurisce la funzione ricognitiva dell'oggetto di detta misura cautelare,
mentre eventuali contestazioni relative alla natura del credito e dirette a farne valere la parziale insequestrabilità esorbitano dallo schema proprio del giudizio ipotizzato dall'art. 548 c.p.c. - concernente soltanto quelle contestazioni che coinvolgono situazioni giuridiche facenti capo al terzo debitore e che devono essere accertate anche nei suoi confronti - e si risolvano in mezzo di opposizione alla disposta cautela» (nella giurisprudenza di merito Trib. Milano, 12 dicembre 2003, in
Oriento giuro lav., 2003, I, 1015; Trib. Roma, 18 agosto 1994, in Giust. civ., 1995, I,
1931, con nota di SANTAGATA).
Oggetto di discussione sono tre questioni:
a) rapporti con la compensazione;
si è sostenuto in dottrina (ANDRIOLI) che se il creditore può opporre la
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compensazione, potrebbe ottenere la stessa tutela che gli deriverebbe dal
sequestro conservativo. In particolare, si è rilevato che l'art. 1243, comma
2, c.c., con il prevedere il potere del giudice di « sospendere la condanna
~-~pe-r-il-a--OOite~--f-ine--all'-a€C-e-rtament-e--è.el-c-r-edite-eplXtSt-e--in-eompefl'----------sazione », costituirebbe un limite normativo, nel senso che o si ricade in una
delle ipotesi ricomprese nell'art. 1243 cit., o in caso contrario, si sarebbe
privi di tutela. Si è, peraltro, opposto che l'utilità del sequestro in esame
sussisterebbe nei casi in cui non sono in grado di operare le condizioni previste dagli artt. 1243 ss. c.c., quando, cioè, il credito del debitore-creditore
sequestrante non solo non è liquido, ma neppure di pronta e facile liquidazione (P. POTOTSHINIG).
b) rapporti con il sequestro liberatorio;
si è sostenuto in giurisprudenza che la fattispecie in esame potrebbe
essere ricondotta a quella del sequestro liberatorio, in quanto il sequestrante
negherebbe, in sostanza, il proprio obbligo, che risulterebbe controverso.
Ma presupposto del sequestro in mani proprie è l'esistenza dell'obbligo del
sequestrante verso il sequestrato, nel senso che, proprio sul presupposto di
tale obbligo il primo invoca la tutela cautelare tipica, giacché l'adempimento
dello stesso metterebbe in pericolo la futura soddisfazione del proprio credito,
c) modalità di attuazione;
per quanto concerne le modalità di attuazione - l'incertezza sulle
quali rafforzerebbe la tesi dell'inammissibilità del sequestro in esame-,
esclusa l'applicabilità delle norme sull'esecuzione diretta contro il debitore,
si ritengono applicabili le norme in tema di esecuzione presso terzi, sul presupposto dell' assimilazione della posizione del sequestrante a quella del
terzo debitore del sequestrato, anche se talune norme - in specie quelle
sulla intimazione di non disporre, sulla dichiarazione del terzo ex art. 547 e
sull'accertamento dell'obbligo del terzo - sono considerate « inutili ». Infatti, con la semplice pronuncia del provvedimento di autorizzazione, il sequestrante verrebbe ad acquisire la qualità di custode, con la conseguenza
che sarebbe necessaria solo la notificazione al creditore-debitore sequestrato
dell'intimazione e del provvedimento di sequestro.
3.25.
Sequestro di titoli di credito.
L'art. 1997 c.c. dispone che il sequestro (oltre che il pegno) e ogni altro vincolo sul diritto menzionato in un titolo di credito o sulle merci da
esso rappresentate non hanno effetto se non si attuano sul titolo.
Secondo la giurisprudenza, l'osservanza delle forme previste dall'art.
1997 c.c. per l'imposizione del vincolo non è richiesta per la validità del
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vincolo stesso tra le parti, ma al solo scopo di renderlo efficace rispetto ai
terzi, affinché possa essere opposto ai nuovi possessori del titolo, con la
conseguenza che l'inosservanza delle forme richieste dal menzionato art.
------~l~W__e-.c-.-nen_puè-mai_pr-evoc-ilr-e--¥iflvalid-ità---del_pignoramento
e degli--att-i-------successivi, una volta verificatasi la conversione ai sensi dell'art. 686 C.p.c.
(Cass.,4 settembre 1996, n. 8060).
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3.2.6.
Sequestro conservativo di azioni.
In caso di sequestro conservativo di azioni, queste «vanno apprese
materialmente dall'ufficiale giudiziario che le consegna al cancelliere ex art.
520, comma 1, c.p.c. con successiva custodia nei modi determinati dal giudice ex artt. 520, comma 1, e 166 disp. atto C.p.c. » (PARTESOITI).
In relazione alle annotazioni del sequestro sul titolo e nel libro soci, è
stato attribuito alle stesse un significato di formalità facoltative, «praticamente opportune ma non necessarie per l'attuazione in senso stretto del
vincolo» (PARTESOITI).
D'altro canto il nostro ordinamento giuridico richiede l'esecuzione della doppia annotazione solo per i vincoli reali, e
quindi per l'usufrutto e il pegno e non anche per il sequestro (art. 3, comma
1, r.d. n. 239/1942). Le annotazioni possono comunque essere esegUIte dall'ufficiale giudiziario a seguito dell'ordine ricevuto dal giudice contestualmente al provvedimento, o anche successivamente con ordine al custode.
3.2.7.
Il sequestro conservativo di quota di s.r.l.
Com'è noto, l'art. 2471 c.c. consente espressamente l'esecuzione su
quota di S.r.l. e poiché il sequestro conservativo è la misura cautelare che
preclude alla esecuzione forzata, risolvendosi in un pignoramento anticipato, la predetta misura cautelare è ammissibile sulla quota di S.r.l. (così
MORERA,
RIVOLTA,
SANTINI,
Cass., 11 luglio 1962, n. 1835; Cass., 28 febbraio
1964, n. 454, in Giur. comm., 1964, I, 745; Trib. Roma, 19 aprile 1986, in
Le Società, 1986,893).
3.2.8.
Sequestro conservativo dell'azienda.
Discussa è l'ammissibilità del sequestro conservativo dell'azienda. Alcuni Autori non hanno difficoltà a riconoscere cittadinanza a tale fattispecie nel nostro ordinamento, ma la dottrina prevalente si è espressa in senso
contrario sul rilievo essenziale che il sequestro conservativo è preordinato al
pignoramento e questo non può invece avere per oggetto l'azienda.
Si osserva altresì, in proposito, che l'azienda, nel suo complesso unita-
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rio, non può essere soggetta ad esecuzione, in quanto non si estende a questa la rilevanza giudica del concetto di « universitas », e viene considerata
sintomatica la circostanza che il codice di procedura civile non preveda il
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progetti ad esso relatlvl'-1£c-::o-=ss=-=e::--c=co=-=n::-:it:-:::e=m=-----plata la possibilità di applicare questa misura all'azienda.
Viene ritenuta possibile, infine, la stipulazione del contratto di sequestro convenzionale disciplinato dall'art. 1798 c.c. come un contratto con il
quale « due o più persone affidano a un terzo una cosa o una pluralità di
cose, rispetto alla quale sia nata tra esse controversia, perché la custodisca
e la restituisca a quella a cui spetterà quando la controversia sarà definita.
controversia sarà definita ».
3.2.9.
La revoca del sequestro conservativo su cauzione.
L'art. 684 C.p.c., non abrogato né modificato dalla riforma del 1990,
prevede che « il debitore» possa ottenere dal giudice istruttore, con ordinanza non impugnabile, la revoca del sequestro conservativo, prestando
« idonea cauzione per l'ammontare del credito che ha dato causa al sequestro e per le spese, in ragione del valore delle cose sequestrate ».
La legge, operando un collegamento tra 1'ammontare dd credito dedotto (e non ancora accertato, essendo tuttora sub iudice) e delle spese con
«il valore delle cose sequestrate », attribuisce, al giudice istruttore della
causa di merito, il potere discrezionale di determinare l'ammontare della
cauzione tenendo conto dei beni in concreto sottoposti a sequestro: se il valore degli stessi supera quello del credito (e delle spese), l'importo della
cauzione non potrà superare quest'ultimo, mentre, se è inferiore, esso non
potrà che essere pari al valore dei beni sequestrati.
Secondo Cass., 21 maggio 1997, n. 4536, l'istanza di revoca in esame
- che, pur ricollegandosi alla misura cautelare in precedenza concessa,
apre un autonomo procedimento - « resta soggetta, ove presentata nel vigore della riforma introdotta dagli artt. 669-bis ss. C.p.c., alla relativa disciplina »; con la conseguenza che l'ordinanza di accoglimento o reiezione di
detta istanza, avendo la stessa natura e consistenza dell'originario provvedimento cautelare, con caratteristiche di provvisorietà e modificabilità necessariamente estese alla soluzione delle questioni pregiudiziali, quale quella
sulla competenza, non può assumere natura sostanziale di sentenza sulla
competenza medesima e non è impugnabile con il ricorso per regolamento
(v. anche Cass., 3 ottobre 1987, n. 7388).
Poiché la revoca ex art. 684 C.p.c. non si può equiparare ad un'ipotesi
di sopravvenuta reiezione della domanda cautelare, contro il relativo provvedimento non è esperibile reclamo al collegio.
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In questo senso si è pronunciato da ultimo Trib. Lanciano, 26 luglio
2002 (in Giur. il., 2003, con nota di FRUS).
Se all' esito di questo giudizio il creditore non vede riconosciuto il suo
diritto, il sequestro diventa immediatamente inefficace, indipendentemente
dal passaggio in giudicato della sentenza. Se invece tale diritto è riconosciuto, il sequestro conservativo si converte automaticamente in pignoramento. Ma, il sequestrante ha l'onere, fissato dall'art. 156 disp. attuaz.
C.p.c.:
a) di depositare copia della sentenza che definisce il giudizio di merito,
nella cancelleria del giudice competente per l'esecuzione, entro il termine di
60 giorni dalla comunicazione del deposito;
b) di procedere alle notificazioni ai creditori che hanno diritti di prelazione sui beni sequestrati, ex art. 498 C.p.c.;
c) nel caso in cui oggetto del sequestro siano beni immobili, il creditore deve procedere alla trascrizione della sentenza di merito entro il termine di gg. 60 presso la competente conservatoria.
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l'intervento nella procedura esecutiva di altri creditori.
n pignoramento derivante dalla conversione di sequestro conservativo
(art. 686 c.p.c.) non retroagisce, quanto ai suoi effetti, al momento della
concessione della misura cautelare. Da ciò consegue che il creditore intervenuto nella successiva esecuzione - sia questa promossa dallo stesso sequestrante o da altri - non può opporre gli effetti del pignoramento, di cui
agli artt. 2913 ss. c.c., agli atti pregiudizievoli in ordine ai beni del debitore,
. intervenuti tra la concessione del sequestro e il pignoramento: in particolare, !'ipoteca iscritta sull'immobile dopo la trascrizione del sequestro conservativo è inopponibile unicamente al creditore sequestrante e non anche
ai creditori intervenuti nell'esecuzione: in questo senso Cass., 20 agosto
1976, n. 3058, in Foro il., 1976, I, 2081.
Occorre, infine, ricordare che l'art. 156-bis disp. atto C.p.C., introdotto
dalla novella del 1990, prevede, nella duplice ipotesi in cui la causa di merito sia devoluta alla giurisdizione del giudice straniero ovvero sia compromessa in arbitri (ed il sequestro sia stato chiesto ed ottenuto dal giudice sia
anle causam sia in corso di causa), l'onere in capo al sequestrante, pena la
perdita di efficacia del sequestro, di proporre domanda di esecutorietà in
Italia della sentenza straniera o del lodo entro il termine perentorio di sessanta giorni (decorrente dalla pronuncia della sentenza esecutiva o dal ricevimento del lodo) e, nel comma 2, che la dichiarazione di esecutorietà
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« produce
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gli effetti di cui all'art. 686 », con conseguente applicabilità del
sopra esaminato art. 156, con ciò confermando il carattere automatico della
conversione che, in questi casi, la legge vuole che si produca solo al mom_ento--.de1lakhiarazione di esecutorietà del] a .sentenza-st-raniet-a--O--deLlodo,-----------Quale effetto determina sul convertito processo esecutivo l'omesso o
l'interpretativo compimento delle suindicate finalità?
I Supremi Giudici hanno da ultimo chiaramente stabilito che
« La conversione del sequestro conservativo in pignoramento si opera ipso
iure nel momento in cui il sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva, iniziando in quello stesso momento il processo esecutivo, di cui il sequestro stesso,
una volta convertitosi in pignoramento, costituisce il primo atto, mentre l'attività
imposta al sequestrante dall'art. 156 delle disposizioni di attuazione al C.p.c., da
eseguirsi nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di condanna esecutiva, è attività di impulso processuale che il sequestrante,
divenuto creditore pignorante, ha l'onere di compiere nel detto termine perentorio
e la cui mancanza comporta l'inefficacia del pignoramento. In tal caso l'estinzione
del processo esecutivo deve esser fatta valere dalla parte proponendo al giudice
dell'esecuzione la relativa eccezione, con la conseguenza che essendo tale istanza di
parte un atto giudiziario che introduce una specifica fase incidentale del processo,
si applicano le norme sul patrocinio (art. 83, comma 3, c.p.c.), restando giuridicamente inesistente l'istanza presentata dal sequestrato personalmente, in quanto proveniente da soggetto privo dello tUS postuumdi» (Cass., 29 aprile 2006, n. 10029).
Se sui medesimi beni concorrono:
1) più sequestri conservativi, non v' è priorità tra i sequestranti;
2) un sequestro conservativo ed un sequestro giudiziario, prevale quest'ultimo;
3) un sequestro conservativo ed un pignoramento; il concorso è risolto
dal comma 2, dell'art. 686 C.p.c. per il quale « se i beni sequestrati sono stati
oggetto di esecuzione da parte di altri creditori, il sequestrante partecipa
con essi alla distribuzione della somma ricavata ».
« Ovviamente la partecipazione del creditore sequestrante presuppone
che lo stesso abbia un titolo altrimenti si deve ricorrere all'applicazione dell'art. 512 c.p.c. con la conseguenza che il giudice dell' esecuzione o sospende
il relativo procedimento di esenzione in attesa che trovi definizione il giudizio di merito intercorrente tra il creditore sequestratario e il debitore sequestrato, oppure provvede ad una parziale distribuzione della somma ricavata
dall'esecuzione accantonando quanto di eventuale pertinenza del creditore
sequestratario»
(così DE CRESCENza).
3.3.
Il sequestro convenzionale.
D sequestro convenzionale è invece « il contratto con il quale due o più
persone affidano a un terzo una cosa o una pluralità di cose, rispetto alla
quale sia nata tra esse controversia, perché la custodisca e la restituisca a
quella a cui spetterà quando la controversia sarà definita» (art. 1798 c.c.).
A differenza del sequestro giudiziario e di quello conservativo che sono po-------------os,t-i-in--essere-in-virtù-dhnrintervemodel
giudice, il sequestro convenzionale -------è posto in essere a seguito di un accordo tra le parti. Anche per tale fattispecie è tuttavia esclusa l'apponibilità del vincolo derivante dallo stesso sul
titolo e sul libro soci tenendo in considerazione che si tratta di vincolo semplicemente obbligatorio, mentre quanto disposto dall'art. 3, comma 1, r.d.
n. 239/1942 è espressamente limitato ai vincoli reali (PARTEsom).
3.4.
Il sequestro c.d. liberatorio.
Si tratta di una fattispecie particolare di sequestro che si ha quando il
debitore o comunque il soggetto che ha la materiale disponibilità del bene
del quale chiede il sequestro, chiede al giudice di sottoporre a vincolo cautelare le somme o le cose che, nonostante l'offerta o la messa a disposizione,
siano rifiutate dal creditore.
Questo tipo di sequestro si caratterizza per una propria autonomia e
fisionomia e non è minimamente assimilabile alle altre figure di sequestro
giudiziario o conservativo (Trlb. Tormo, 9 marzo 1988, in Dir. e prato ass.,
1988,502).
L'art. 687 C.p.c. prevede la possibilità che il giudice istruttore (se la
domanda è proposta in corso di causa) ordini « il sequestro delle somme o
delle cose che il debitore ha offerto o comunque messo a disposizione del
creditore per la sua liberazione allorché sia controverso l'obbligo o il modo
del pagamento o della consegna o l'idoneità della cosa offerta ».
Quindi, il sequestro liberatorio può essere concesso solo se concorrono
le seguenti condizioni:
a) che il provvedimento sia chiesto dal debitore;
b) che sia controversa la sussistenza del debito o l'oggetto o il modo
della prestazione o la legittimazione del creditore a chiederla;
c) che vi sia stata da parte del debitore l'offerta formale o non formale
(messa a disposizione) delle somme o delle cose oggetto della prestazione
(Cass., 6 agosto 1965, n. 1879).
Con la richiesta di sequestro liberatorio il debitore chiede al giudice
una preventiva decisione, al fine di non incorrere negli effetti della mora debendi, nel caso in cui il giudice accerti che la prestazione è dovuta.
TI sequestro liberatorio è sicuramente una forma autonoma e distinta
dal sequestro probatorio e dal sequestro conservativo, sebbene la dottrina
lo abbia ricondotto a volte alla figura del sequestro giudiziario (CARNELUTII)
e a volte a quella del sequestro conservativo (Rocco).
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Sia che si accetti l'una o l'altra ipotesi è necessario sottolineare come,
mentre prima della novella del 1990 era stata sostenuta la necessità del giudizio di convalida anche per il sequestro liberatorio (Cass., 4 giugno 1992,
-~~8é9j,--eggi--nefl-puè--nefl-fÌteflefSi-c-he-il-pr-oc-eèi-mento-eaut-elarein~esame'--------~--presuppone necessariamente una controversia di merito in corso (e ciò anche nel particolare caso in cui l'obbligo della prestazione contestata sorga da
una sentenza esecutiva non passata in giudicato) o da iniziare (sia per l'accertamento dell' obbligazione, sia - in alternativa o in aggiunta - per l'accertamento delle modalità di pagamento o di consegna).
Secondo il Tribunale di Ragusa:
« Non è pensabile un procedimento di sequestro liberatorio non funzionale al
giudizio di merito.
L'unica particolarità è che l'istante non è il creditore come avviene normalmente (sia nel sequestro conservativo, sia in quello liberatorio), ma il debitore
(Cass., 6 agosto 1965, n. 1869; Casso n. 8577/1996 citata e dottrina assolutamente
prevalente: D'ONOFRIO, ANDRIOLI,CONIGLIO,SCAGLIONI,
REDENTI,Rocco, FALZEA,
]ANNUZZI).
A questo punto, resta da stabilire chi sia il giudice competente quando il sequestro liberatorio venga richiesto in corso di causa (di merito) e le norme regolatrici sono le medesime che disciplinano il sequestro giudiziario e quello conserva
tivo.
A norma dell'art. 669-quater C.p.C., giudice competente a conoscere della domanda cautelare in corso di causa è quello presso cui pende, appunto, la causa di
meritai esclusi i casi in cui penda avanti al giudice di pace (nel qual caso è competente il Pretore), avanti al giudice straniero (nel qual caso si applica il terzo comma
dell'art. 669-ter c.p.c.) o avanti alla Corte di Cassazione (nel qual caso nulla è previsto).
La norma succitata prevede, invece, al quarto comma, che, in pendenza dei
termini per proporre impugnazione, la domanda cautelare si pone al giudice che ha
emanato la sentenza impugnata.
L'ipotesi che possa essere attribuita alla Corte di Cassazione una competenza
in materia cautelare deve essere sicuramente scartata, anche perché l'art. 669-terdedes C.p.c., disciplinante il reclamo avverso i provvedimenti cautelari, non fa alcun
cenno all'ipotesi che essi siano stati emessi dalla Corte di Cassazione, alla quale non
attribuisce neppure la competenza a conoscere dei reclami avverso i provvedimenti
cautelari emessi dalla Corte di Appello (che sono decisi da diversa sezione della
stessa corte).
Allora, ammesso che sia possibile proporre ricorso cautelare in pendenza del
ricorso per cassazione (vedi CONSOLO,FRUSe ATTARDI,il secondo dei quali lo ipotizza nel caso di mutatio legis, per modifica normativa o intervento della Corte costituzionale, dopo la sentenza della Corte di appello) e ancorato lo stesso - necessariamente, anche nel caso del sequestro liberatorio, come detto prima - al giudizio di merito pendente, va ritenuto che competente a decidere sullo stesso deve ritenersi il giudice che ha emanato la sentenza impugnata» (Trib. Ragusa, ord. 3 novembre 1998).
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Ri5\'O€J'lTOftiA OllBUJi\IUA E FaLLII"Eh'¥7lt1tf!
Per opinione consolidata, il debitore può chiedere il sequestro liberatorio anche quando, contestando il suo obbligo di adempiere per exceptio
inadimpleti contractus ai sensi dell'art. 1490 c.c., ponga a disposizione la
.-----~SemllHl_e__la_rosa__pretesa-da:l:J:a-controparte
per evitare la fnUYlJ-debitrJrtr;ma
nel contempo ne chiede il sequestro perché l'effettiva attribuzione alla controparte in adempimento ovvero a se stessa in restituzione avvenga dopo la
decisione della relativa controversia.
Dottrina e giurisprudenza ritengono che solo il debitore possa ricorrere all'art. 687 C.p.C.,
« con finalità liberatorie (art. 1206 c.c.), qualora il creditore contesti o rifiuti
la prestazione offerta. Accanto a questa funzione, però, a formulazione equivoca
della norma, che risulta dalla fusione degli artt. 1875, n. 2, c.c. 1865 e 71 cod.
comm. 1882, appare consentire, sia pure con una lieve forzatura del detratto testuale, un utilizzo dell'istituto anche da parte del debitore che non intende affatto
adempiere, in quanto ... contesta la stessa esistenza della pretesa avversaria. Naturalmente in questa seconda ipotesi, poiché il bene, o la somma di denaro, non vengono in realtà consegnati, né offerti al creditore che li reclama, il sequestro non
varrà ad escludere la mora debendi, con tutte le relative conseguenze risarcitorie, ma
potrà comunque avere per il debitore un'apprezzabile utilità, consentendogli di tutelarsi dal rischio di una infmttllosa ripetizione in caso di successivo accertamento
della inesistenza dell'obbligo, e al tempo stesso dimostrare la propria solvibilità. in
entrambe le fattispecie indicate la concessione del sequestro sarà subordinata ad alcuni presupposti: anzitutto la sussistenza di una controversia, come preteso dall'art.
687 C.p.c., nonché, attesa la natura cautelare dell'istituto, ilfumus boni iuris ed il
pericolo in mora; il giudice dovrà pertanto verificare sia la fondatezza prima facie
della pretesa di merito dell'istante, sia la presenza di un rischio concreto ove il
provvedimento non venga concesso» (TARZIA, Il processo cautelare, Padova, 2004,
92).
Secondo il Trib. Milano, 3 marzo 1981, in Foro it., 1983, I, 443:
« '" ritenuto che la previsione dell'art. 687 C.p.C.non si identifica con le sole
ipotesi di mora credendi disciplinate dagli artt. 1206 ss. c.c. (che certamente sarebbero state richiamate ove il legislatore avesse inteso limitare in tal senso la previsione di sequestro speciale), sia perché prevede una messa a disposizione "comunque" anziché una offerta reale o per intimazione e successivo deposito (come in esse
previsto), sia infine perché non menziona la condizione che il creditore abbia precedentemente rifiutato l'offerta (come viceversa espressamente previsto dall' art.
1210 c.c. in relazione alla facoltà di deposito liberatorio e come avrebbe dovuto essere nella specie precisato se il legislatore avesse inteso riferirsi alle sole ipotesi di
mora eredendi); ritenuto pertanto che nell'ambito di operatività della norma in
esame può farsi rientrare anche l'ipotesi in cui sia lo stesso debitore ricorrente che,
contestando il suo obbligo di adempiere per effetto di exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c., ponga tuttavia a disposizione la somma o cosa pretesa dalla
controparte per evitare di incorrere nella mora debitoris, ma nello stesso tempo ne
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chieda il sequestro perché l'effettiva attribuzione (alla controparte in adempimento
o a sé in restituzione) avvenga dopo la risoluzione giudiziale della relativa controversia; ritenuto che nel senso predetto è manifestamente indicativa la stessa letterale
dizione dell'art. 687 C.p.c. laddove, tra le altre ipotesi (di controversie sulle "moda---~l~it~à"--rli
pagamento o di consegna o sulia1doneità della cosa offerta, comunem-e-n~t-e------------derivanti da contestazioni sollevate dal creditore, idonee per ciò stesso ad atteggiarsi
come casi di mora credendi), esso prevede la speciale cautela in esame anche quando
sia controverso "l'obbligo ... del pagamento o della consegna", ipotesi questa che viceversa è normalmente derivante da contestazione della sussistenza del debito da
parte del debitore (soltanto in casi limite potendosi ipotizzare una pretesa di essere
debitore contrastata dalla negoziazione del preteso creditore ed un interesse del
primo a far accertare una corrispondente mora credendO;ritenuto pertanto che la
generica previsione della norma in esame della sussistenza di controversia sull'obbligo di pagamento o di consegna costituisce univoco indizio della polivalenza della
norma stessa nel senso sopracitato; ... ritenuto infine non determinante il rilievo (che
pure si è formulato in dottrina per contrastare la interpretazione qui accolta) secondo cui parrebbe assurdo consentire uno strumento di liberazione dall'obbligazione che renda indisponibile per il creditore la somma o la cosa oggetto dell'obbligazione stessa, posto che da un lato la liberazione dall'obbligazione consegue
soltanto con effetto ex lunc dal passaggio in giudicato dalla sentenza (favorevole al
debitore) che decide sulla convalida e sul merito della controversia (restando il debitore immediatamente liberato soltanto dai rischi di conservazione dell'oggetto
della prestazione).., ».
L'orientamento espresso è stato confermato dallo stesso Tribunale di
Milano - Est. BICHI - con sentenza 13 dicembre 1990:
« ... appare in linea di principio concedibile il sequestro liberatorio laddove,
come nel presente caso, il debitore ponga in dubbio ed anzi contesti la sussistenza
del debito imputatogli e non creda perciò di dover senz' altro offrire il pagamento
incondizionato, ma intenda cautelarsi col chiedere in proposito una preventiva decisione del giudice senza, tuttavia e nel frattempo, incorrere nelle conseguenze di
una propria mora nel caso in cui venga accertata come dovuta la prestazione ».
Anche tale forma di sequestro presuppone la sussistenza, oltre che
della controversia (non necessariamente già pendente) sull'obbligo o modo
del pagamento o della consegna (o sull'idoneità della cosa offerta), sia del
fumus boni iuris sia del periculum in mora, consistente, quest'ultimo, nel
pregiudizio al diritto derivante dall'illegittimo rifiuto da parte del creditore
(ovvero, nell'ipotesi sopra richiamata, dal rischio di infruttuosa ripetizione).
Per la irrilevanza del periculum in mora ai fini della concessione di
questo tipo di sequestro speciale si è pronunciato Trib. Milano, 12 marzo
1991, secondo cui è indifferente lo stato patrimoniale del creditore.
Consegue l'inammissibilità della misura allorché sia stata già pronunciata sentenza di merito. Se, infatti, presupposto per la concessione del se-
.2334
bA -RE\'86J\'F8IHA
.6RfJIP4Hftin"'E fJd:LfMl!lq I A1l1!
questro liberatorio è una controversia circa l'obbligo di dare cose o somme
di denaro (o circa il modo di adempimento o l'idoneità della cosa), tale
forma di sequestro non è più ammissibile in presenza di titolo esecutivo
--------giudiziale--,re--e-ante-c--nndanna-al-pagamento-di-somma-di
danaroiEass.,
2t
aprile 1990, n. 3354).
Secondo Cass., 14 luglio 2003, n. 10992, il sequestro liberatorio può
essere ordinato dal giudice solo quando esso sia chiesto ad iniziativa, indispensabile ed insostituibile, del debitore, nel caso in cui il debitore medesimo, volendo contestare la sussistenza del debito o l'oggetto o il modo della
prestazione o avendo dubbi sull'individuazione della persona del debitore,
voglia cautelarsi in vista alla decisione del giudice al fine di non subire gli
effetti della mora. Nel caso in cui il giudizio si chiuda con una sentenza di
condanna per il debitore egli non può essere chiamato a rispondere anche
per gli interessi e la rivalutazione sulla somma dovuta (v. anche Cass., 28
settembre 1996, n. 8577).
Secondo Cass., 11 giugno 1987, n. 5078, in Giust. civ., 1987, I, 1376,
il sequestro liberatorio delle somme o delle cose che il debitore mette a disposizione del creditore per la propria liberazione può essere disposto ai
sensi dell' art. 687 quando sia controverso l'obbligo o il modo di pagamento
o ddla consegna o l'entità della cosa offerta e presuppone, perClO, che SIa
ancora in contestazione la sussistenza del debito o l'oggetto o il modo della
prestazione e che il debitore voglia nel frattempo evitare di incorrere nelle
conseguenze della mora, qualora il giudice ritenga poi sussistente il debito
e dovuta la prestazione. V. anche Trib. Milano, 12 marzo 1991, in Giust. civ.,
1991, I, 2818, secondo cui l'istituto del sequestro liberatorio non può identificarsi con la sola ipotesi della mora credendi di cui agli artt. 1206 ss. c.c.
e, pertanto, tale misura cautelare è ammissibile anche quando il debitore
contesti la stessa sussistenza del debito imputatogli.
Infine la giurisprudenza di merito si è pronunciata in senso positivo
sulla possibilità per il debitore che vanti nei confronti del creditore un controcredito tale da poter dar luogo all'estinzione del proprio debito per compensazione (Trib. Bolzano, 28 ottobre 2004, in Corr. giur., 2005, 1721).
Per quanto riguarda il procedimento, « benché la norma sia collocata
in chiusura della sezione, e non subito dopo gli artt. 670 e 671 C.p.C., si deve
ritenere che, trattandosi pur sempre di un provvedimento cautelare, ed in
particolare di sequestro, ad esso siano applicabili sia le norme generali contenute nella Sez. I del capo III, introdotte con la riforma del 1990, sia le
norme generali in tema di sequestri sopravvissute alla riforma stessa, ed in
particolare gli artt. 675 e 685. Rimane invece aperto, anche dopo la 1. n. 353,
il problema delle modalità di esecuzione di questo sequestro. A nostro avviso la peculiarità dell'istituto, definito oltretutto "speciale" dalla stessa ru-
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______________
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brica della norma, non dovrebbe consentire, come pure è stato proposto,
l'applicazione analogica delle norme espressamente dettate per il sequestro
giudiziario o per quello conservativo (art. da 676 a 679, tuttora vigenti). Sarà
--~p~e~rt~anro---nec-e-SSaOO-r-i,x)l'r~--r~sciplina---gMe--mle-pe--f
l'attuaz-iene~lle.-----------misure cautelari, contenuta nell'art. 669-duodecies C.p.c., facendo ovviamente riferimento alla seconda parte della norma, anche qualora l'oggetto
del provvedimento siano somme di denaro: scopo del sequestro è infatti la
custodia delle somme (o delle cose) offerte, e non la loro consegna all'istante» (TARZlA,Il processo cautelare, Padova, 2004, 94).
4.
L'esercizio dei diritti amministrativi
alle azioni sequestrate.
e dei diritti patrimoniali connessi
Bisogna distinguere tra sequestro conservativo e sequestro giudiziario.
a) Sequestro conservativo.
Nel caso di sequestro conservativo, il diritto di voto ed il diritto di impugnare le delibere assembleari annullabili spettano al custode delle azioni
(nell'interesse del creditore sequestratario). Nota App. Brescia 4 dicembre
1965 (in Foro [JfJd., 1966, I, 691 con nota di RAffAELU). « TI sequestro conservativo attribuisce al sequestratario il potere di amministrare le cose sequestrate (art. 676 c.p.c.); la misura cautelare ha come oggetto non tanto
l'azione come documento, quanto e soprattutto come complesso dei diritti
ad essa inerenti. In tale ipotesi, come è stato acutamente rilevato, il potere
di .amministrazione, dalla legge concesso al custode, non può intendersi limitato alla pura e semplice conservazione del documento, ma deve necessariamente estendersi all' esercizio di quei diritti (patrimoniali e potestativi),
che nel titolo sono incorporati: solo con l'esercizio di tali diritti, infatti, il
custode può attuare le esigenze dell' amministrazione, in relazione a quel
particolare bene sequestrato, che è l'azione.
L'esercizio dei diritti, inerenti al titolo, da parte del sequestratario, è in
armonia con la funzione del sequestro giudiziario, in quanto, privando temporaneamente il contestato titolare dell' azione dei diritti incorporati in essa,
si impedisce che il sequestrato possa recare pregiudizio (influendo sulle
maggioranze col diritto di voto, impugnando deliberazioni ecc.) alla consistenza patrimoniale del titolo, in attesa che la decisione della controversia
accerti definitivamente a quale dei contendenti (sequestrante o sequestrato)
spetti la titolarità o il possesso dell'azione.
In tal senso, per quanto specificamente concerne l'esercizio di diritto
di voto, è la giurisprudenza del Supremo Collegio (Cass., 22 febbraio 1952,
n. 481). Tra i diritti, inerenti all'azione sequestrata, il cui esercizio è consen-
2336
bA R£\'OaVFORtA
8ftBINAItiA E f'1\1::LIiVlI!J<JJJU<E
tito al custode, deve ritenersi compreso il potere di impugnare le deliberazioni adottate dalla società, in assenza o nel dissenso del medesimo, posto
che, con l'esercizio di tale potere, che integra il diritto di intervento e di
----------.r'v'(')t"()-nelie-assemblee,
si-consente al sequestratario d1ITIfelare l-a-c-o-n-s.l-s~te-n-z-a-------ed il valore dell'azione, nell'interesse di colui, che risulterà esserne titolare o
possessore ».
Un'altra opinione, facendo leva sul fatto che la proprietà delle azioni
rimane in capo al debitore sequestrato, attribuisce a questo sia il diritto di
voto sia il diritto di impugnare le deliberazioni dell'assemblea ordinaria,
mentre glieli nega, attribuendoli al custode, quando si tratta di votare nelle
assemblee straordinarie o di impugnare le relative deliberazioni (così PROVINCIALI,
CANTILLO
CATURANI)
e Trib. Monza, 11 gennaio 1996, in Le Società,
1996, 706).
b) Sequestro giudiziario.
Com'è noto, l'art. 676 C.p.c. stabilisce che il provvedimento che autorizza il sequestro giudiziario deve contenere: l) la nomina del custode; 2)
l'indicazione dei criteri e dei limiti dell'amministrazione delle cose sequestrate; 3) le particolari cautele idonee a rendere più sicura la custodia e ad
impedire la divulgazione dei segreti.
TI giudice può nominare custode:
- la parte che offra maggiori garanzie e dia cauzione (art. 676,
comma 2, c.p.c.);
- un terzo.
Se è nominato custode il creditore sequestratario, spetta a questo e non
al debitore sequestrato il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie e, conseguentemente, il diritto di impugnare le relative deliberazioni
ritenute nulle o annullabili (queste ultime se assunte con il suo dissenso o
nella sua assenza): App. Milano, 25 settembre 1987, in causa Bolzoni c.
S.p.a. Bolzoni, in Le Società, 1988, 161; Trib. Verona, 4 dicembre 1990, in
Le Società, 1991,973.
Se, invece, è nominato custode un terzo, a questo spettano tali diritti.
In caso di aumento del capitale a pagamento il diritto di opzione spetta
al sequestrato, ma esso è concretamente esercitato dal custode sequestratario, utilizzando le somme preventivamente fornitegli dal sequestrato (nel sequestro conservativo) o dalle parti (nel sequestro giudiziario o convenzionale).
« In assenza del versamento di tali somme, l'onere di conservazione che grava
sul custode, impone la vendita ... di tanti diritti quanti ne appaiono necessari per la
sottoscrizione delle nuove azioni» (così MARCHETTI).
I F
M'SIIPE-CAI!J;JJWRI bP'Ibl
2337
Salvo diversa convenzione, il sequestro si estende a tali nuove azioni.
Quanto all'esercizio del diritto di recesso nei casi di cui all'art. 2434
c.c., bisogna distinguere tra sequestro giudiziario e sequestro conservativo.
-----Ncl-Ga~tro
giuooiarie-il reeesso-non-può essere ese'"9">rcMi+-tarlt.,.,O"ITilé.------dal custode (perché il recesso è legato allo status di socio), né dal socio sequestrato (perché « la funzione del provvedimento cautelare - sequestro
giudiziario - è proprio quella di impedirgli, fino alla pronuncia definitiva
sul merito, l'esercizio dei diritti sociali» cosÌ PARTESOITI);
« si verifica, in
pratica, una sospensione dell'esercizio del diritto di recesso » (cosÌ FICO).
li socio le cui azioni sono sottoposte a sequestro conservativo può invece recedere dalla società; ma il sequestro si perpetua sulla somma liquidata al socio in conseguenza del recesso (art. 685 c.p.c.).
Quanto, infine, al sequestro convenzionale, l'art. 1799 c.c. stabilisce
che « gli obblighi, i diritti ed i poteri del sequestratario sono determinati dal
contratto »; in caso contrario il sequestratario stesso ha l'obbligo di amministrazione (art. 1830, comma 3, c.c.). Ne consegue che se nulla è stabilito
nel contratto di sequestro, il custode è legittimato all'esercizio dei diritti derivanti dalle azioni (PARTESorn).
4.1.
Aumento gratuito ed azioni gravate da vincoli (usufrutto, pegno e sequestro).
Nel caso che le azioni in circolazione siano gravate da usufrutto, pegno sequestro, ecc. in dottrina (DI SABATO,
PARTESorn,CERA)è pacifico che,
salve particolari pattuizioni convenzionali fra i soci ed i terzi, nel caso la società deliberasse un aumento gratuito il vincolo si estenda automaticamente
alle azioni di compendio dell'aumento stesso che, però, sono attribuite in
proprietà ai titolari delle azioni in circolazione.
In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza (Trib. Udine, 22 novembre 1983, in Giur. comm., 1984, II, 38 ed in Le Società, 1984, 198) secondo la quale « è legittima, e può essere omologata, la deliberazione di aumento di capitale (attuata utilizzando riserve straordinarie disponibili) con
la quale si dispone che il diritto di usufrutto gravante sulle precedenti azioni
venga proporzionalmente esteso alle azioni gratuite di nuova emissione ».
A giustificazione della soluzione che estende il vincolo alle nuove
azioni, si sottolinea (DI SABATO)che nel caso di aumento gratuito non si ha
alcun nuovo apporto, ma solamente un aumento del valore nominale complessivo rappresentato dalle azioni sottoposte a vincolo; del resto l'art. 2352
c.c. fa riferimento al solo caso dell'aumento di capitale a pagamento. Osserva infine la dottrina (CERA)che con tale soluzione « si contempera l'inte-
L
2338
I é
RJi"Q'A;QRalA QRBltJt:fYl.-E FAbblMEt1y/dl£
resse del terzo con quello del socio... a conservare inalterato il valore patrimoniale delle azioni soggette al vincolo ». Infatti, l'aumento gratuito del capitale comporta una modificazione del titolo giuridico in base al quale il so-------~c~ig---parte-c_ipe-r1Ì-al-r-ipa-rt-e-àel__patrimonio-sociale,_rna-non-rompoTta--akuna
modifica nel contenuto quantitativo di tale diritto; di conseguenza, solo con
l'estensione dell'usufrutto e del pegno alle azioni gratuite rimarrà economicamente inalterata la posizione dell'usufruttuario e del creditore pignoratizio. Le azioni gravate da usufrutto o date in pegno, infatti, godevano di un
dividendo proveniente anche dalla partecipazione alle riserve, partecipazione che deve essere mantenuta anche dopo l'aumento gratuito di capitale.
Infine, vi è da ricordare il caso in cui l'effetto del sequestro si estende
anche alle azioni su cui il custode non abbia esercitato il diritto di opzione.
Tale fattispecie è stata esaminata da Trib. Milano, 25 novembre 2002
(in Giur. it., 2003, 1885), che ha chiaramente affermato che « in presenza di
azioni sottoposte a sequestro giudiziario, in relazione alle quali il custode
non abbia esercitato il diritto di opzione per non avere ricevuto la prowista, il sequestro si estende alle nuove azioni inoptate sottoscritte da parte di
un socio in forza del diritto di prelazione, owero da parte di un terzo ».
5.
J.}assoggettabilitàa provvedimenti cautelari ed esecutivi della quota di
società di persone.
Com'è noto, relativamente alla società semplice, l'art. 2270, comma 1,
c.c. stabilisce:
« Il creditore particolare del socio, finché dura la società, può far valere i suoi
diritti sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest'ultimo nella liquidazione ».
Ed il comma 2, aggiunge:
« Se gli altri beni del (socio) debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi
crediti il creditore particolare del socio può inoltre chiedere (alla società), in ogni
tempo, la liquidazione della quota del suo debitore. La quota deve essere liquidata
(dalla società) entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento
della società ».
La disposizione del comma 1, dell'art. 2270 c.c. si applica a tutte le società di persone (S.s., S.n.c., S.a.s.).
L'autonomia patrimoniale della società (che il legislatore vuole preservare) implica che i rapporti tra i creditori particolari dei soci e la società
siano connotati dalla insensibilità del patrimonio sociale alle vicende personali dei singoli soci. Infatti la soggettività giuridica riconosciuta alle società
di persone consente di configurare l'esistenza di un patrimonio autonomo
---~di-èestinaziOfle-Il-creditOIe-paI
ticolare-dei socio potrà qwndCfar vaI-e-re-l-------------suoi diritti (in via esecutiva o cautelare) non sulla quota del suo debitore, ma
solo sugli utili maturatt: risultanti dal rendiconto-bilancio regolarmente approvato (Cass., 26 giugno 1976, n. 2409).
Ne consegue l'ammissibilità del sequestro conservativo, da parte del
creditore particolare del socio, della quota di liquidazione spettante al suo
debitore.
In questo senso si è espressa App. Milano, 23 marzo 1999, in Le società, 1999, 1202, che cosÌ motiva il suo pensiero:
« L'intangibilità del patrimonio sociale "finché dura la società" da parte dei
creditori personali del socio risponde invero al disegno legislativo di considerare .
tale patrimonio come autonomo e separato dal patrimonio dei soci, posto che con
il conferimento si determina il passaggio dei beni dalla sfera patrimoniale del singolo socio a quella del nuovo soggetto giuridico creato con il contratto sociale. Da
qui la conseguenza che i creditori particolari del socio non possono vantare alcun
diritto sui beni conferiti alla società e costituenti
atrimonio sociale né
concorrere sug i steSSi con i ere itori e a società sino a che, esaurite le operazioni
di liquidazione della società, non venga attribuita al socio la quota di liquidazione
ad esso spettante, sulla quale soltanto i suoi creditori particolari potranno far valere
i loro diritti.
Infine, da un punto di vista strettamente processualistico, va ribadito che il
sequestro conservativo ed il pignoramento, creando un vincolo di indisponibilità, si
configurano essenzialmente quali atti prodromici all'esecuzione, preordinati all'espropriazione forzata del bene. Se sequestro e pignoramento potessero essere annoverati tra gli atti conservativi di cui al comma 1, dell'art. 2270 c.c. rimarrebbe il
fatto che essi non potrebbero avere per oggetto la quota di partecipazione del socio debitore, bensì la quota spettante a quest'ultimo nella liquidazione, ossia quei
beni che, eventualmente, verrebbero attribuiti al socio in sede di liquidazione una
volta soddisfatti i creditori sociali. Ciò significa che si giungerebbe a riconoscere la
sequestrabilità della quota senza poterne ammettere la espropriabilità, con evidente
incongruenza posto che si dovrebbe affermare una finalità cautelare a sé stante di
quegli atti prodromici, avulsa ed isolata da quel complessivo iter esecutivo che gli
stessi sono volti ad assicurare e di cui in concreto fanno parte.
La finalità espropriativa tipica del pignoramento non può perciò essere ridotta, senza snaturare l'istituto, a mera finalità conservativa in vista di una futura
possibilità di soddisfazione su quella quota - allo stato attuale solo eventuale e comunque indeterminata - che spetterà al socio all' esito della liquidazione della società. TI sequestro finirebbe dunque per avere effetti differiti, per riguardare solo
una aspettativa del socio, sicché è la stessa sussistenza della concretezza e dell'attualità dell'interesse del creditore particolare del socio che viene ad esserne compromessa. In presenza di un provvedimento assicurativo di un bene che si esaurisce in se stesso, non potendosi esso concludere con 1'espropriazione del bene, si
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dovrebbe invero escludere la sussistenza dell'interesse del creditore ad un procedimento e ad un prowedimento privo di conseguenze pratiche immediate e certe ».
__~~~~~~~~~S_ul~2unto
occorre richiamare le motivazioni date da una recente pronuncia delle Suprema Corte, secondo la quale le quote di partecipazione di
una società di persone che per disposizione dell'atto costitutivo siano trasferibili con il solo consenso del cedente e del cessionario, salvo il diritto di
prelazione in favore degli altri soci, possono essere sottoposte a sequestro
conservativo ed essere espropriate a beneficio dei creditori particolari del
socio anche prima dello scioglimento della società (Cass., 7 novembre 2002,
n. 15606, in Le Società, 2003, 707, con nota di FUSI e in Dir. e prato SOC.,
2003, 3 60, con nota di LIACE).
Osserva la Corte in riforma della sentenza data dalla corte di seconda
cure:
«si è da tempo chiarito che le quote sociali, sia delle società di capitali che
delle società di persone, costituiscono posizioni contrattuali "obbiettivate ", suscettibili, come tali, di essere negoziate in quanto dotate di un autonomo "valore di
scambio" che consente di qualificarle come "beni giuridici" (Cass., 12 dicembre
1986, n. 7409; 23 gennaio 1997, n. 697; 30 gennaio 1997, n. 934; 4 giugno 1999, n.
54~4, 26 maggio 2000, n. 6957).
Le obiezioni mosse, in passato, alla possibilità che "situazioni giuridiche" soggettive possano essere assunte direttamente quale "oggetto" di rapporti giuridici,
del resto non da tutti condivise, sono ormai destinate a cadere di fronte all'esplicita
considerazione, da parte del legislatore, delle forme di investimento di natura finanziaria (che si configurano come rapporti contrattuali, per lo più atipici, aventi ad
oggetto lo scambio tra un bene presente, costituito da denaro, e un bene futuro, a
sua volta rappresentato da somme di denaro) quale prodotto finanziario (e, quindi,
come "entità" suscettibili di appartenenza e di negoziazione), a prescindere dalla
circostanza che esse siano, o meno, rappresentate da un documento (art. 1, d.lgs.
24 febbraio 1998, n. 58).
Non vi sono pertanto ostacoli ad annoverare anche le quote sociali tra i beni
che possono essere oggetto di espropriazione forzata (art. 2910 c.c., in relazione all'art. 2740 dello stesso codice) e di misure cautelari dirette a salvaguardare la garanzia patrimoniale del debitore (art. 2905 c.c.).
Ciò, del resto, è espressamente riconosciuto per le quote della società a responsabilità limitata (art. 2480 c.c.). Le quote delle società di persone non possono
tuttavia, quanto meno in linea di principio, essere espropriate finché dura la società
a beneficio dei creditori particolari dei soci. Di qui il dubbio, sciolto in senso negativo dalla sentenza impugnata, che esse possano, in detto periodo, essere oggetto
a sequestro conservativo, attesa la strumentalità di tale misura cautelare rispetto all'espropriazione.
TIprincipio non è enunciato espressamente in alcuna disposizione di legge, ma
si desume con sicurezza dalla disciplina complessiva delle società personali, tradizionalmente ispirata all'esigenza che i rapporti fra i soci siano caratterizzati da un
elemento fiduciario (il c.d. intuitus personae), il quale implica che, salvo diversa di-
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sposizione dell'atto costitutivo, le partecipazione sociale può essere trasferita solo
con il consenso di tutti i soci, ovvero di quelli che rappresentano la maggioranza
del capitale sociale (artt. 2252, 2284, 2322 c.c.).
L'espropriazione della quota, comportando l'inserimento nella compagine soclalecll un nuovo soggetto, prescmden:aodiilla
volontàCIegTIaItrì~
introd'-u-r---rebbe un elemento di "novità" incompatibile con i caratteri di tale tipo di società.
S'intende allora perché il legislatore, quando ha ritenuto di consentire ai creditori particolari del socio di soddisfarsi sui beni rappresentati dalla quota di partecipazione del loro debitore, abbia previsto la possibilità di richiedere (non già
l'espropriazione, ma) la liquidazione della quota che, pur intaccando il patrimonio
della società, non determina alcuna variazione nella composizione della compagine
sociale.
Questa scelta chiarisce, altresÌ, che l'inespropriabilità della quota non si ricollega ad un'esigenza di tutela dei creditori sociali (infatti la liquidazione della
quota, comportando la diminuzione del patrimonio sociale, è meno conveniente per
tali soggetti), ma è posta a protezione dei soci, in considerazione della particolare
rilevanza che l'individualità di ciascuno di essi assume nei loro reciproci rapporti.
La disciplina delle società di persone, per comune ammissione, lascia ampi
spazi all' autonomia privata per quel che riguarda i rapporti interni. Una conferma
di ciò si ha proprio con riferimento alle norme, già ricordate, che riguardano, più
o meno direttamente, il trasferimento della quota sociale. Esse, infatti, pur essendo
concordemente ispirate al principio dell'inidoneità del (solo) consenso del cedente
e del cessionario a disporre il trasferimento della quota, fanno salva, come si è visto, una diversa regolamentazlone den'atto COStitUtivo(artt. 2252 e 2322, comma 2,
c.c.).
In effetti, la prassi registra modelli di società personali diversi da quello tipico,
a struttura rigidamente chiusa, caratterizzati dalla predisposizione di forme di trasferimento della partecipazione sociale più agevoli di quelle stabilite dal legislatore,
come quelle caratterizzate dalla previsione della sua cedibilità sulla base del solo
consenso dei diretti interessati, temperata dall'attribuzione di un diritto di prelazione in favore degli altri partecipanti alla società.
La prelazione non incide, invero, sul potere di uscita del socio dalla società,
poiché limita solo le possibilità di scelta dell' aspirante socio. I titolari del relativo
diritto, se hanno il potere di esprimere un "preventivo giudizio di compatibilità,
con gli interessi del gruppo, delle attitudini personali" del cessionario, non hanno,
infatti, anche quello di impedire il trasferimento della quota e, quindi, l'uscita del
cedente dalla compagine sociale, anche quando la sua partecipazione assuma un rilievo fondamentale e quali che siano i motivi che possano averla determinata, che
non possono essere in alcun modo sindacati: la permanenza in società dei singoli
soci è cosÌ rimessa, in definitiva, alla esclusiva volontà di ciascuno di essi.
Alla stregua di tali considerazioni appare evidente l'errore commesso dalla
Corte territoriale quando ha affermato che una clausola siffatta è diretta a "salvaguardare" l'elemento "personalistico" della società. Tale affermazione, invero, può
essere ritenuta esatta solo se riferita a una clausola ricompresa nello statuto di una
società di capitali (nelle quali l'individualità dei singoli soci è tendenzialmente irrilevante, essendo esse organizzate secondo criteri capitalistici, che danno esclusivo
rilevo ai mezzi apportati); ma non anche quando la clausola riguardi, invece, una
società di persone, e cioè una società nella quale il rilievo dell'individualità dei singoli soci è cosÌ accentuato da richiedere, secondo lo schema tipico predisposto dal
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legislatore, il consenso di tutti soci (o, quanto meno, di quelli che rappresentano la
maggioranza del capitale: art. 2322, comma 2, c.c.) per il trasferimento delle quote:
in questa seconda ipotesi, !'inserimento nello statuto di una clausola di prelazione
comporta una "degradazione" del ruolo della volontà degli "altri" soci-è pertanto--------...Iiretta (non già a "salvaguardare", bensì) ad "attenuare" la rilevanza dell'elemento
personalistico. 1'espropriabilità delle quote delle società di società personali "liberamente" trasferibili è generalmente riconosciuta, sul rilievo che, in tal caso, viene
a mancare la ragione che, nelle previsioni del legislatore, ne giustifica l'inespropriabilità, in deroga al principio, sancito in via generale dall'art. 2740 c.c., che il debitore dell'adempimento delle obbligazioni con "tutti" i suoi beni.
Ma, per quanto si è detto, a conclusioni non diverse deve giungersi anche
quando la "libera" circolazione della quota è limitata dall'attribuzione di un diritto
di prelazione in favore degli "altri" soci.
L'accoglimento di questa conclusione potrebbe dirsi scortata se, aderendo ad
un orientamento interpretativo autorevole (anche se minoritario) alla clausola di
prelazione si attribuisse efficacia soia sul piano obbligatorio, poiché in tal caso la
preferenza accordata dalla clausola non potrebbe mai interferire con la posizione
dell'aggiudicatario, per definizione estraneo al suo ambito di applicazione.
Questa Corte ha però da lungo tempo optato per l'efficacia reale della clausola (Cass., lO ottobre 1957, n. 3702; 2 ottobre 1973, n. 2763, alle quali si richiama,
in motivazione, Cass., 3 aprile 1991, n. 3482) e da tale orientamento il Collegio non
ha motivo di discostarsi. Ma le conclusioni non mutano.
Non vi è dubbio, infatti che l'o onibilità
qum l anc e al ere itori particolari del socio) operi, non solo nei trasferimenti volontari, ma anche rispetto a quelli attuati in sede esecutiva, posto che, se cosÌ non
fosse, la partecipazione sociale verrebbe ad acquisire, in occasione della espropriazione forzata, un valore maggiore di quello che aveva nel patrimonio del debitore
esecutato, in palese contrasto con il riconoscimento alla prelazione di efficacia
"reale".
Del resto, l'operatività delle "limitazioni" alla circolazione delle partecipazioni
sociali anche in sede esecutiva è stata espressamente riconosciuta dal legislatore con
una disposizione (l'art. 2480, comma 2, c.c.) che, anche se dettata con specifico riferimento alle società a responsabilità limitata, non trova il suo fondamento nelle
peculiari caratteristiche di tale tipo sociale, poiché, come è stato posto in evidenza,
la sua collocazione sistematica è dovuta a un difetto di coordinamento nella stesura
del codice e non assume quindi alcun rilievo ai fini interpretativi.
Ciò spiega perché tale disposizione sia stata ritenuta applicabile anche alle società per azioni. Trattasi, pertanto, di una norma che non può essere considerata
eccezionale, ma va riguardata, piuttosto, come specificazione dei principi che disciplinano gli effetti traslativi della vendita forzata a norma dell'art. 2919 c.c. e che,
come tale, va ritenuta applicabile anche nel caso di specie.
Per la verità con la sent. n. 3482/1991, già ricordata, questa Corte, pur ribadendo l'efficacia reale delle clausole di prelazione, ha tuttavia affermato che esse
sarebbero sottratte all'applicazione della disposizione appena ricordata, sul rilievo
che essa riguarderebbe solo i vincoli posti a tutela di un interesse della società, tra
i quali non potrebbero essere ricompresi i limiti derivanti dalle clausole di prelazione, essendo essi diretti a tutelare solo l'interesse dei singoli soci.
Tale orientamento deve essere però riconsiderato. La norma in esame, infatti,
fa generico riferimento alle quote "non liberamente trasferibili" e non offre quindi,
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2}43
nelle sua formulazione testuale, elementi per distinguere le clausole di prelazione
dalle altre che, nella prassi statutaria, variamente condizionano la circolazione delle
partecipazioni sociali. Né, d'altro canto, può affermarsi che le clausole di prelazione
siano poste solo in funzione di un interesse dei soci, essendo invece innegabile che,
---~in~~q~u~a=ntoclìreneaa
assicurare l'omogeneiucaella compagme socla1~tc1ausol-e--------------siano destinate ad operare (anche) nell'interesse comune dei soci e, quindi, di un
interesse che trascende quello, individuale, di ciascuno di essi.
Non vi sono quindi ostacoli ad ammettere che anche le quote di una società
personale la cui circolazione sia limitata dall'attribuzione di un diritto di prelazione
in favore dei singoli soci possano essere oggetto di espropriazione forzata da parte
dei creditori particolari dei singoli soci anche prima dello scioglimento della società
o del singolo rapporto sociale.
L'impedimento che la Corte territoriale ha ritenuto di ravvisare all'ammissibilità di un sequestro conservativo di tali beni in favore del creditore particolare del
socio è, quindi, insussistente.
L'accoglimento del ricorso, per tale assorbente ragione, rende superfluo
l'esame delle ulteriori censure formulate dalla curatela del fallimento ».
TIcreditore particolare del socio può invece compiere atti conservativi
(non sulla detta quota ma) sulla quota spettante a ques(ultimo nella futura
liquidazione della società.
Le disposizioni dei commi 1 e 2 dell'art. 2270 sono egregiamente illustrati da FERRI:
«Nelle società organizzate su base personale la quota del socio, compresa
quella dell'accomandante,
non è liberamente cedibile: o è necessario a tal fine il
consenso di tutti i soci (art. 2252 c.c.) o, come è per la quota dell'accomandante, il
consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale sociale (art. 2322
comma 2, c.c.).
.
Da ciò deriva che la quota del socio neppure è assoggettabile ad esecuzione
da parte dei suoi creditori particolari. E anche quando si distingua la quota come
valore patrimoniale e la quota come posizione sociale e si ammetta la cedibilità della
prima, e quindi la sua assoggettabilità ad esecuzione, la conseguenza sarebbe pur
sempre quella che nell'ambito sociale poteri e diritti si puntualizzerebbero
pur
sempre sul socio debitore e non mai sull' acquirente in sede di espropriazione.
L'azione esecutiva del creditore particolare può quindi unicamente dirigersi sui diritti che competono al socio debitore e non anche determinare la sostituzione del
creditore del debitore nella posizione di socio.
Il creditore particolare del socio, oltre ad agire esecutivamente sugli utili spettanti al socio, può compiere atti conservativi sulla quota di liquidazione, naturalmente in quanto sussistano i presupposti per la concessione della misura cautelare
richiesti dalla legge. Pignoramento e sequestro debbono seguire nelle forme del pignoramento e del sequestro presso terzi. Anche in mancanza della personalità l'autonomia del patrimonio sociale basta a questa conseguenza.
I principi sopra enunciati sono affermati in tutto il loro rigore per le società
in nome collettivo e per le società in accomandita semplice registrate (art. 2305
c.c.); per la società semplice (art. 2370 c.c.) e per le collettive e in accomandita
2ì44
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semplice irregolari (art. 2298 c.c.; art. 2317 c.c.) è ammesso un temperamento nel.
!'ipotesi in cui gli altri beni del socio siano insufficienti a soddisfare i suoi creditori
particolari consentendosi a questi di chiedere la liquidazione della quota del loro
debitore. Attraverso questo temperamento non si modifica la posizione del socio ri.
-----~--~s~p=e""tt=o:--a=l
patrImOniOsoclale;USUOCIlrittOrimane limitato agli utili e alla quota di
liquidazione; si consente peraltro al creditore particolare del socio di realizzare il
valore economico della quota del suo debitore, anche prima che il vincolo di destinazione sia cessato, chiedendo alla società la liquidazione della quota del socio suo
debitore ».
Ma quali sono gli atti conservativi di cui parla il comma 1, dell' art.
2270
C.C.?
Secondo alcuni, oltre alle azioni revocatoria e surrogatoria, anche il sequestro conservativo.
Due illustri Autori (CANTlLLO-CABURANI)
sehematizzano, per la S.n.c. e
per la S.a.s. i seguenti casi di sequestro conservativo da parte del creditore
particolare del socio debitore: a) sequestro conservativo degli utili attribuiti
al socio secondo il contratto sociale (art. 2270, comma 1); b) sequestro conservativo della quota, rectius della somma corrispondente al valore della
quota di liquidazione, nel caso di scioglimento della società o del rapporto
sociale limitatamente al socio debitore (esclusione, recesso) (art. 2270,
comma 1, c.c.); c) sequestro conservativo della quota nel caso di proroga
espressa, qualora sia stata accolta l'opposizione alla delibera di proroga (art.
2307, commi 1 e 2, c.c.); d) sequestro conservativo nel caso di proroga tacita, qualora ricorrano i particolari presupposti di cui all'art. 2270, comma
2 (art. 2307, comma 3, c.c.).
TI sequestro va eseguito nelle forme del pignoramento (di crediti)
presso terzi (la società); in questo senso si esprime RUPERTo,annotando favorevolmente l'ord. 16 aprile 1951 del Preso del Trib. di Roma (in Foro il.,
1952, I, 1291)
« Come delineati nel codice di rito, sono applicabili al caso di specie perché
non sono diretti a privare il debitore della proprietà dei beni ma ad imporre un
vincolo di indisponibilità; la peculiarità rispetto al codice di procedura sta nella natura del bene sequestrando: trattandosi di mera aspettativa e non di un diritto di
credito, gli effetti del sequestro saranno differiti al momento in cui l'aspettativa diventerà credito, cioè quando verrà liquidata la quota del debitore; prima di allora,
l'effetto immediato è che dalla data di notifica dell'atto di sequestro la società è
vincolata agli obblighi imposti dalla legge al custode, ex art. 546 C.p.c. ».
In senso contrario si è pronunciato SCHERMI(in Giust. civ., 1977, 147
ss.) ritenendo che lo strumento più idoneo alla realizzazione dell'interesse
del creditore particolare del socio è il prowedimento
ex art. 700 C.p.c. Al
2345
giudice potrebbe essere chiesta l'emanazione di un provvedimento inibitorio volto a far sÌ che la società debba comunicare al creditore particolare del
socio lo scioglimento del rapporto sociale ovvero la liquidazione della so--~c~i~à--vie-tamlo_all~minist_rilter_e_il__pa~e--destinate--ahocio
debitore nonché - se si versasse nell'ipotesi di cui all'art. 2283 c.c. - la
consegna dei beni sociali. In tali ipotesi il creditore, avvertito dalla società
di quanto sopra, potrebbe chiedere il pignoramento, se munito di titolo
esecutivo ovvero il sequestro conservativo qualora ne fosse sfornito, senza
possibilità di vedersi eccepita l'illiquidità o la condizionabilità del credito
dal momento che la comunicazione dovrebbe contenere anche il quantum
del debito societario nei confronti del socio.
In tal modo verrebbe salvaguardata l'integrità della quota societaria
che rimarrebbe « intatta» sino al giorno dello scioglimento. Naturalmente
la finalità della misura in esame non potrebbe ritenersi vanificata da una
cessione della quota posta in essere successivamente all'ordinanza del giudice. Postulato che l'istante deve instaurare parallelamente il giudizio di
merito ai sensi dell'art. 702, comma 2, c.p.c., è evidente che alla fattispecie
potranno applicarsi le regole di cui all'art. 111 c.p.c. relative alla successione
a titolo particolare nel diritto controverso.
La sentenza dei giudice competente statuente sull'esistenza del diritto
fatto valere dall'istante costituisce il titolo esecutivo in base al quale il creditore potrà procedere al pignoramento del credito o dei beni spettanti al
socio.
5.1.
Modijicazioni dell' atto costitutivo ed opponibilità al creditore particolare
del socio.
Sempre a proposito degli atti conservativi sulla quota, deve tenersi
conto, per le società in nome collettivo e le società in accomandita semplice,
della regola di cui al comma 2, dell'art. 2300 c.c. secondo cui « le modificazioni dell'atto costitutivo, finché non sono iscritte, non sono opponibili ai
terzi, a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza ».
La norma ha suscitato incertezze sull'estensione della categoria dei
« terzi », nel senso che deve determinarsi se si tratti dei (soli) creditori della
società od anche dei creditori particolari del socio, il che rileva in pratica
anche ai fini del sequestro conservativo sotto il profilo dell'opponibilità o
meno dello scioglimento del rapporto sociale per recesso od esclusione del
socio (PAVONE
LAROSA1954).
In proposito, la giurisprudenza comprende fra i « terzi» cui si riferisce l'art. 2300 c.c. i creditori particolari del socio, purché abbiano in precedenza esercitato gli atti conservativi di cui abbiamo parlato:
2}46
, A R'7\lQCATOHU
"PO'NAUIA
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uUib'ToPF
« La ragione fondamentale per cui la deliberazione sociale, comportante modificazione dell'atto costitutivo di una società, pur se immediatamente valida ed efficace e vincolante nei rapporti interni fra i soci, non diviene operante all'esterno se
non previa idonea pubblicità, è quella di salvaguardare l'affidamento che i non soci
--------~s~o~n~o~legittimati
a fare sulle condizlom essenZla1i-aena struttura ed orgamzzazlone
della società, risultanti attraverso le prescritte forme di pubblicità e dalle quali dipende la possibilità di soddisfacimento di un loro diritto.
La legge intende tutelare l'ignoranza dei non soci di fronte alla mancanza di
pubblicità impedendo che essi siano pregiudicati dalla modificazione del contratto
sociale, quando siano comunque venuti in rapporto con la società, non conoscendo
che la modificazione era intervenuta e cioè facendo affidamento sulla situazione
precedente alla modificazione.
Pertanto, se è esatto che tale tutela non riguarda un terzo qualsiasi, un soggetto, cioè, del tutto estraneo al rapporto sociale, in tale posizione non si trova il
creditore particolare del socio di una società di persone il quale, avvalendosi della
facoltà attribuitagli dall'art. 2270 c.c., abbia fatto valere il suo diritto di credito sugli utili spettanti al suo debitore o abbia compiuto atti conservativi sulla quota del
medesimo.
lo tale caso la società è in forza di legge tenuta a rispondere nei confronti del
predetto creditore, mentre questi agisce legittimamente come terzo al fine di conseguire la realizzazione o la garanzia del suo diritto di credito.
lo tale ipotesi il vincolo, già intercorrente tra il socio ed il suo creditore, investe anche la società e gli atti di uesta, che incidono su tale vincolo con re iuIZIO
e ere itore partico are e socio riguardano i tre soggetti, ponendo in rapporto la società con il predetto creditore.
Ne segue che qualora uno di tali atti apporti una modificazione del contratto
sociale - il recesso o l'esclusione di un socio importa, nelle società di persone, una
modificazione statutaria - il creditore particolare del socio deve ritenersi il terzo ai
fini della tutela disposta dall'art. 2300 c.c. in favore di coloro che ignorano la modificazione in conseguenza della mancata pubblicazione.
Rettamente, dunque, la Corte di merito ha ritenuto che lo scioglimento del
rapporto sociale relativamente ad un socio di società di persone con contemporanea liquidazione e corresponsione della quota, fino a quando non sia iscritto nel registro delle imprese, è inopponibile al creditore particolare del socio che, a norma
dell'art. 2270 c.c., abbia agito per il sequestro conservativo degli utili spettanti al
socio e della quota sociale.
Ed in proposito va anche considerato che la non opponibilità al terzo della
modificazione statutaria non pubblicata, salvo il caso di sua consapevolezza, non
equivale ad inefficacia né tanto meno a nullità della modificazione stessa» (App.
Ancona, 27 dicembre 1965, in Giur. it., 1966, I, 2, 473; v. anche Cass., 3 gennaio
1970, n. 2, in Giur. comm., 1970, I, 725; in Foro it., 1970, I, 1162; in Giur. it., 1970,
I, 1, 875).
6.
Le misure cautelari nel fallimento: premessa.
L'art. 51 l.E. stabilisce che, salvo diversa disposizione ddla legge, dal
giorno ddla dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva
4J47
o cautelare può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.
Dato il tenore tassativo della norma si deve ritenere che gli atti esecutivi
compiuti su impwso d'ufficio o del singolo creditore dopo la dichiarazione
--~d~e-l-iallime-ate--èel----deaiter-e,
siano affetti da-m:ill:ità'-. ------------------~
L'art. 51 1.f., nel sancire il divieto in esame, ne precisa anche i limiti;
deve cioè trattasi di azioni esecutive che abbiano per oggetto beni compresi
nel fallimento. Certamente compresa nel divieto di quell'art. 51 è l'ingiunzione fiscale che, come è noto, cumwa in sé l'atto formale di accertamento
della pretesa fiscale ed il primo atto del procedimento coattivo per la riscossione. La norma dell'art. 51 vieta non solo l'inizio ma anche la prosecuzione
delle azioni individuali esecutive iniziate prima del fallimento.
TI divieto posto dall'art. 51 1.f. riguarda:
a) le espropriazioni mobiliari;
b) le espropriazioni immobiliari per le quali 1'art. 107 1.£. prevede la
sostituzione del curatore al creditore procedente nei processi in corso ed
anche il suo intervento nella fase di vendita; in questo caso viene data dallo
stesso art. 107 1.f. la possibilità al curatore - con istanza al Giudice delegato - di far dichiarare improcedibile l'esecuzione.
c) l'espropriazione forzata presso terzi;
d) il sequestro conservativo che, se già concesso alla data di fallimento,
si caduca perché assorbito nello spossessamento fallimentare, mentre è
inammissibile se non concesso; il sequestro conservativo di beni mobili è
precluso dal procedimento ex art. 103 1.£.; è invece consentito il sequestro
giudiziario di beni immobili, dato che alle controversie relative ad essi non
si applicano le regole del concorso.
6.1.
Sequestro giudiziario e fallimento.
Dottrina e giurisprudenza sono profondamente divise sw problema
dell'ammissibilità o procedibilità nel fallimento del sequestro giudiziario.
L'opinione affermativa si fonda sulle seguenti argomentazioni:
1) il sequestro giudiziario è ammissibile elo procedibile in quanto non
funzionalmente collegato con l'espropriazione del debitore (così SATIA);
2) secondo AzzOLINA: «se la proprietà o il possesso della cosa sono
controversi fra il terzo ed il fallito ed il possesso, con sequestro giudiziario,
è stato tolto ad entrambi i litiganti ed affidato al sequestratario, può darsi
che la cosa non debba essere compresa nel fallimento ai fini dell'espropriazione (se essa riswti di proprietà del terzo) né vi sia luogo a comprenderla
ai fini del rilascio, perché il fallito non la possiede né la detiene.
In tale ipotesi, quindi, poiché il curatore è custode ed amministratore
.2348
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dei soli beni compresi nel fallimento, non ricorre alcuna valida ragione per
cui il sequestro giudiziario, già attuato, venga assorbito da quello fallimentare. Ma anche posteriormente alla dichiarazione di fallimento il sequestro
~-----~gittdizialel'uò-essere~oncesso--ed--eseguito-sui-beni-def-fallito-;-~m::he~etenuti dal curatore, perché tra il vincolo esecutivo del fallimento e quello
cautelare del sequestro non esiste una incompatibilità funzionale ed anzi si
deve riconoscere che il sequestro può assolvere alla propria funzione cautelare in diretta correlazione con le vicende del vincolo fallimentare »;
3) a differenza del sequestro conservativo (che, strettamente legato al
timore di perdere la garanzia del proprio credito, si rende inconcepibile di
fronte ad un patrimonio già affidato ad organi pubblici per i fini di un' esecuzione collettiva destinata a garantire la parità di trattamento fra tutti i
creditori), nel caso di sequestro giudiziario, i fini cui esso tende non possono dirsi automaticamente assicurati dalla presenza dell'amministrazione
fallimentare la quale, nonostante la presunzione di oculatezza che l'accompagna, può, nell'esercizio di supposti diritti della massa, e proprio al fine,
comune ad ogni procedura esecutiva, di realizzare sui beni del debitore il
soddisfacimento dei creditori, eventualmente procedere all'alienazione o
trasformazione della cosa controversa e pregiudicare quindi gli eventuali diritti di terzi sulla cosa stessa (così Cass., 7 agosto 1950, n. 2426, cit., Trib.
Salerno, 16 novembre 1954, cit.; Trib. Milano, 22 febbraio 1988, in Fall,
1988, 997).
.
TI nostro favore va, invece, decisamente, all'opinione negativa (sostenuta in dottrina da PROVINCIALI,
PAlARDI,
DE SEMO,ed in giurisprudenza da
Cass., 14 aprile 1988, n. 2960 e da Cass., 23 ottobre 1993, n. 10558, in Fall.,
1994,278):
a) perché, in via di principio, « una misura tendente a sospendere la
disponibilità giuridica e materiale di un bene, sia pure relativamente al procedente, non ha senso alcuno quando il bene stesso è colpito da analoga e
concretamente ancora più energica misura relativa a tutti i creditori ...; bloccato il bene dall'ufficio fallimentare, non ha più senso un sequestro a favore
del rivendicante, il quale può agire ex artt. 93 -103 1.f., se cosa mobile, oppure ordinariamente, se immobile» (così acutamente PAJARDI,
op. cit., 322-
323);
perché, se scopo che la parte intende perseguire con il provvedimento di sequestro giudiziario è quello di sottrarre alla disponibilità del fallimento beni mobili che si ritengono essere stati ingiustamente o comunque
erroneamente appresi dal curatore, l'unico strumento previsto dalla legge
fallimentare è la domanda di rivendicazione, restituzione o separazione prevista dall'art. 103 1.f., la cui proposizione non consente il contemporaneo
b)
bI! t tISWRii bi W:rEb:'JU. 6WI~1
2349
svolgimento di analoghe azioni in sede contenziosa ordinaria (così, esattamente, Trib. Roma, 11 novembre 1968, in Dir.fall., 1969, II, 132);
c) perché «una volta instaurata la procedura concorsuale, tutte le
----istafire-r-i-velte-ad-accertare-l-'eststenza-dil::tfldiritto-di-crediro-ad-ottenere-fa-----------restituzione o la separazione di cose mobili, debbono essere proposte nelle
forme delle insinuazioni al passivo del fallimento (e se avanzate prima della
dichiarazione di fallimento, debbono essere riproposte a norma dell' art. 93,
giacché il giudizio iniziato nelle forme ordinarie divenute improseguibile);
ne deriva che non può trovare ingresso, in pendenza della procedura concorsuale, una domanda diretta ad ottenere la convalida di un sequestro
avente ad oggetto beni acquisiti dall'attivo del fallimento» (così esattamente
Trib. Roma, 11 novembre 1968, cit.);
d) perché i timori e gli inconvenienti esposti sub 3) da Cass., 7 agosto
1950, n. 2456, cit.) vengono fugati dall'esatto rilievo che «L'art. 103 1.£.attribuisce al giudice delegato il potere di sospendere in qualsiasi momento la
vendita delle cose rivendicate, chieste in restituzione o in separazione, anche nel caso che le domande a tal fine avanzate siano state proposte tardivamente e cioè a norma dell'art. 101 1.£.;è perciò di tutta evidenza che,
qualora nel corso di una procedura fallimentare sorga in un terzo il fondato
timore di veder lesi i suoi diritti sulla cosa ingiustamente acquisita alla
massa, lo stesso interessato può ottenere una valida ed immediata tutela
delle sue ragioni ricorrendo al giudice delegato a norma delle disposizioni
sopra citate ed invocando dallo stesso giudice il previsto provvedimento sospensivo della vendita, eventualmente già disposto» (così ancora Trib.
Roma, 11 novembre 1968, cit.).
Così stabilita l'inammissibilità e/o l'improseguibilità del sequestro giudiziario, a cagione della dichiarazione di fallimento del sequestrato, riteniamo di dover distinguere, a somiglianza di quanto scritto per il sequestro
conservativo, tra:
a) sequestro giudiziario contro il fallito;
b) sequestro giudiziario a favore del fallito.
Sequestro giudiziario contro il fallito.
Va ulteriormente distinto tra:
1) sequestro giudiziario concesso, ma non ancora eseguito prima delfallimento.
La misura cautelare diventa inutile e comunque inefficace a seguito
dell'inventariazione, da parte del curatore, dei beni oggetto della contestaZIOne;
2) sequestro concesso ed eseguito prima del fallimento, ma con giudizio
di merito:
a) non ancora proposto, nel qual caso la misura cautelare diventa
________ ~JLL.I.neffica.ccee;:----------------------------b) proposto ma non ancora concluso in primo grado, nel qual caso:
lb) se il procuratore del sequestrato dichiara in udienza o notifica
al sequestrante l'intervenuto fallimento del suo cliente, il processo va interrotto ex art. 300 C.p.c., con la conseguenza che il sequestrante può:
1) o riassumerlo nei confronti del sequestrato-fallito, nel qual
caso il processo continua al fine di ottenere una sentenza (di merito) da far
valere solo dopo la chiusura del fallimento del sequestrato;
2) nei confronti del curatore, nel qual caso il processo va dichiarato improcedibile, dovendo la domanda di rivendicazione, restituzione
o separazione di cose mobili sequestrate essere proposta esclusivamente
nelle forme previste dall'art. 103 1.f.e decisa dal giudice fallimentare;
2b) se non fa tale dichiarazione, il processo prosegue e la sentenza produce i suoi effetti esclusivamente nei confronti del fallito (e non
già della massa dei suoi creditori) successivamente alla chiusura del suo fallimento.
c) Proposto ma ancora pendente in appello; in questo caso'
lc) se il procuratore del sequestrato dichiara l'intervenuto falli-
mento del suo cliente, il processo va interrotto, con la conseguenza che esso
può essere riassunto dal sequestrante o dal cunltore e proseguito avanti al
giudice dell'impugnazione.
Se il sequestrante presenta domanda ex art. 103 1.£.,il relativo giudizio
va sospeso ex art. 295 C.p.c., fino alla definizione di quello d'appello.
L'eventuale sentenza favorevole al sequestrato, se non impugnata, vincolerà il giudice delegato nella decisione della domanda sospesa;
2c) se, invece, il procuratore del sequestrato non dichiara l'intervenuto fallimento del suo cliente, il giudizio prosegue nei confronti del fallito (salvo il caso di volontaria costituzione del curatore) e l'eventuale sentenza favorevole non sarà opponibile alla massa, ma solo al fallito, dopo la
chiusura del fallimento.
Sequestro giudiziario a favore del sequestrante fallito.
D fallimento del sequestrante non impedisce l'ammissibilità e/o proseguibilità del sequestro giudiziario a suo favore.
6.2.
Sequestro conservativo e fallimento.
La trattazione si svilupperà sul seguente schema:
~
hE- lllfiSèJR£ EA~'FEI::;'JH 6WILI
2351
a) sequestro conservativo contro l'imprenditore fallito;
b) sequestro conservativo a favore dello stesso fallito.
a)
Sequestro contro il fallito.
Riteniamo di dover distinguere tra:
1) sequestro conservativo contro il fallito per un rapporto patrimoniale
non compreso nel fallimento;
2) sequestro conservativo contro il fallito per un rapporto patrimoniale
compreso nel fallimento.
Ed all'interno di quest'tùtima categoria, riteniamo di dover distinguere
le seguenti fattispecie:
a) sequestro conservativo concesso, ma non ancora eseguito prima del
fallimento;
b) sequestro conservativo concesso ed eseguito prima del fallimento
con giudizio di convalida non ancora proposto, oppure con giudizio in
corso, ma non ancora concluso;
c) sequestro conservativo concesso, convalidato e convertito prima del
fallimento.
b)
Sequestro a favore dell'imprenditore fallito per la tutela.
1) Di un credito non compreso nel fallimento (art. 46 1.f.);
2) di un credito compreso nel fallimento.
A)
Sequestro contro il fallito.
Va innanzi tutto premesso che, dottrina e giurisprudenza concordano
nel ritenere che la sentenza di fallimento determina l'improponibilità o improseguibilità del sequestro conservativo (Cass., 21 maggio 1983, n. 3518) e
ciò per due ragioni:
1) perché, intervenuto il fallimento, è inutile la misura cautelare (concessa o da concedere) volta ad assicurare la conservazione del patrimonio
del debitore-fallito, per una futura esecuzione, quando il fallito è stato privato della capacità di compiere atti dispositivi del suo patrimonio e questo
è assoggettato al soddisfacimento dei creditori concorsuali, per effetto del
pignoramento determinato dalla sentenza dichiarativa di fallimento;
2) perché, avendo il giudizio di merito come oggetto l'accoglimento
della domanda di condanna del debitore al pagamento di una somma di denaro, siffatta domanda divenuta improcedibile, dovendo essere fatta valere
2352
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nei confronti del fallito, solo con l'esclusivo procedimento di verificazione
dei crediti. Ne consegue che l'improcedibilità di tale domanda di merito
(che non può più approdare ad una sentenza di condanna) ed il pignora--------------me-nte-gener-ale-èel--pat-rim<:lllffi--del-fallito, per effetto-dd-fallimento-;-ca-ducano la già concessa misura cautelare.
Ciò premesso, passiamo a verificare la sorte del:
a) sequestro conservativo concesso} ma non eseguito prima del fallimento.
La dichiarazione di fallimento, intervenuta prima dell'esecuzione del
concesso sequestro conservativo, rende inutile e comunque travolge la misura cautelare, in quanto crea un vincolo di indisponibilità a carico dell'intero patrimonio del fallito e non già dei singoli beni.
Quid iuris se il debitore, nelle more tra la concessione del sequestro e
la dichiarazione di fallimento, abbia alienato a terzi i suoi beni?
A nostro avviso, essendo quei beni usciti dal suo patrimonio, prima
dell' esecuzione della misura cautelare, la stessa rimarrà ineseguita e, quindi,
risulterà sostanzialmente inutile e processualmente improcedibile, per la
qual cosa si estinguerà.
b) Sequestro conservativo concesso ed eseguito prima del fallimento} ma
. d:"ZZZUal,. mento.
.
1) non ancora proposto;
2) oppure proposto ma non ancora concluso, in primo grado od in
grado d'appello.
Se, intervenuto il fallimento del debitore sequestrato, il sequestrante
non ha ancora radicato il giudizio di merito, la concessa misura cautelare
diventa inefficace e le domande di merito, inammissibili.
Se, invece, egli ha già radicato il detto giudizio, si possono verificare
varie ipotesi:
1) il procuratore del sequestrato dichiara in udienza o notifica al sequestrante, l'intervenuto fallimento del suo cliente; in questo caso, il processo deve essere interrotto ai sensi dell'art. 300 C.p.c.
Il sequestrante può riassumere il processo:
a) nei confronti del fallito: in questo caso, ferma restando la caducazione (nei confronti del fallimento) della concessa misura cautelare, il giudizio prosegue al fine di ottenere una sentenza di merito da far valere nei
confronti del debitore-sequestrato, dopo la chiusura del suo fallimento;
b) nei confronti del curatore, nel qual caso il processo va dichiarato
improcedibile, stante lo speciale ed esclusivo procedimento di accertamento
dei crediti in sede fallimentare; in questo caso, la misura cautelare viene assorbita e travolta dal pignoramento generale prodotto dalla sentenza dichiarativa di fallimento.
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2) TIprocuratore del sequestrato non dichiara l'intervenuto fallimento
del suo cliente; in questo caso, il giudizio prosegue nei confronti del fallito,
ma l'eventuale sentenza favorevole al creditore non sarà opponibile alla
massà-dei-Cf-edit-Q~i.~.----------------:------------------Quid iuris se, al momento della dichiarazione di fallimento del debitore sequestrato, il giudizio di merito pende in grado d'appello?
In questo caso:
a) se il procuratore del debitore sequestrato dichiara l'intervenuto
fallimento del suo cliente, il processo va interrotto, con la conseguenza che
esso può essere riassunto dal creditore o dal curatore e proseguito dinanzi
al giudice dell'impugnazione secondo la consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio (va però ricordato che, secondo Cass., 24 marzo 1975, n.
1105, il creditore già vittorioso in primo grado, non può riassumere nei
confronti del curatore il giudizio d'appello dichiarato interrotto, perché tale
iniziativa processuale spetta solo agli organi fallimentari). In questa ipotesi,
mentre la pronuncia del giudice d'appello, se non impugnata, vincolerà il
giudice delegato in sede di ammissione del credito al passivo del fallimento,
la misura cautelare sarà assorbita e travolta dal pignoramento generale determinato dalla sentenza dichiarativa di fallimento;
b) se, in\lece, il procUIatme del debitore sequestrato non dìcruara
l'intervenuto fallimento del suo cliente, il giudizio prosegue nei confronti di
quest'ultimo (salvo il caso di volontaria costituzione del curatore) e l'eventuale sentenza favorevole di merito non sarà opponibile alla massa, ma solo
al fallito, dopo la chiusura del suo fallimento. Comunque la concessa misura
cautelare diventa inefficace, nei confronti dei creditori, concorsuali, perché
assorbita e caducata dal pignoramento generale del patrimonio del debitore-fallito, determinato dalla sentenza dichiarativa di fallimento.
Quid iuris se il sequestrato, nelle more del giudizio di merito (poi conclusosi con la sua condanna), aliena a terzi il bene sequestrato o costituisce
a loro favore diritti reali di garanzia o di godimento?
In questi casi, il negozio di alienazione o costitutivo del diritto reale è
inopponibile al solo creditore sequestrante o anche all'intera massa dei creditori del fallito-sequestrato?
Per la prima alternativa propende BELVISO, per la seconda L. ANGELI.
BELVISO, facendo leva:
a) sul disposto del comma 1, dell'art. 2906, c.c. (che rende inopponibili gli atti di disposizione solo a favore del creditore sequestrante e non anche degli altri creditori dello stesso debitore);
b) sul rilievo che, convertito il sequestro in pignoramento ed eseguita
la vendita coattiva, la somma residuata a soddisfacimento del creditore procedente spetta al terzo acquirente del bene sequestrato; ricava, per l'esecu-
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zione individuale, la conclusione, condivisa dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, che «l'atto di disposizione è inopponibile al sequestrante ... e
dell'esecuzione potranno profittare solo i creditori del (nuovo) titolare del
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bene ».
Ciò premesso, l'illustre Autore si chiede se la suesposta conclusione
possa confermarsi anche nel caso di fallimento del debitore sequestrato, oppure si debba accedere all'opinione che estende gli effetti del sequestro a
tutti i creditori del fallito.
L'Autore ritiene di confermare, anche nell'ipotesi di fallimento, la conclusione sopra esposta con riferimento all'esecuzione individuale a carico
del debitore sequestrato.
A tale conclusione l'Autore perviene dopo un articolato discorso.
In primo luogo egli si chiede se sia possibile ritenere che !'inefficacia
limitata al creditore che ha agito in revocatoria o ha ottenuto il sequestro si
tramuti in un'efficacia estesa a tutti i creditori o, se si preferisce, a favore del
fallimento.
A tale domanda egli dà risposta negativa contestando, in principalità,
che il curatore possa proseguire l'azione revocatoria già iniziata, prima del
fallimento, da UII Cl editor e, ma anche ammesso, in via di mera ipotesI, la
proseguibilità di tale azione « non per questo potrebbe sostenersi che, se il
giudizio di revocatoria si è concluso prima della dichiarazione di fallimento,
il curatore può utilizzare i suoi risultati a vantaggio del fallimento. Una tale
conclusione viene a scuotere la stessa autorità del giudicato: la sentenza che
ha definito il giudizio di revocatoria ha dichiarato l'atto di disposizione
inefficace solo nei confronti del creditore, che l'azione revocatoria ha esperito; ed i limiti del giudicato non possono essere valicati solo perché la legge
consente al curatore di ottenere, esercitando un'autonoma azione, una dichiarazione di inefficacia estesa a tutti i creditori.
Il creditore che agisce esecutivamente su un bene del terzo, in forza di
una sentenza che abbia revocato l'atto di disposizione del suo debitore, agisce in definitiva facendo valere una responsabilità patrimoniale che il terzo
ha solo nei suoi confronti. Il bene non solo è del terzo ma il terzo può opporre al fallimento l'atto di acquisto, sino a quando il curatore non intraprenda ex novo e non conduca in porto vittoriosamente, un' azione di revoca ... ».
Secondo l'Autore, va riconosciuto, in via di principio, che il fallimento
non modifica la posizione dei terzi anteriormente alla dichiarazione del fallimento.
Sarebbe con ciò del tutto estravagante, in mancanza di qualsiasi norma
espressa, sostenere il recupero da parte del fallimento degli effetti di un se-
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