DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww palcoscenico An no 7 III • 200 e r n. 9 • b Martedì, 6 novem Sipario UN CAFFÈ CON... Massimo Somaglino Pagina 2 RECENSIONI Indemoniate Goldoni terminus Pagina 3 RETROSPETTIVA Il teatro di Zara Pagine 4-5 ALFATEATRO B come C come Pagina 6 TEATRO RAGAZZI Peter Pan Pagina 7 NOTES Novembre CI Pagina 7 CARNET PALCOSCENICO Il cartellone del mese Pagina 8 2 palcoscenico Martedì, 6 novembre 2007 Massimo Somaglino UN CAFFÈ CON... Massimo Somaglino Di Rossana Poletti C ome mai avete scelto uno spettacolo su un tema come quello delle indemoniate? Non esisteva un testo, ma un progetto. Nel momento in cui abbiamo deciso di lavorare su questa storia, non c’era altro che la storia su cui costruire. Noi siamo un piccolo nucleo di persone, composto da Carlo Tolazzi, in primis, Riccardo Maranzana, Giuliana Musso e il sottoscritto, che da qualche anno sta seguendo un percorso di scavo nelle storie friulane e più in generale del nord est per ricavarne materiale da raccontare. Dapprima abbiamo fatto “Cercivento”, un lavoro sugli alpini della prima guerra mondiale, e “Resurequie” un’altra storia carnica. Quando ad un certo punto delle nostre ricerche ci imbattiamo in un materiale storico che in partenza si presenta come una bella storia da raccontare allora su di essa individuiamo dei percorsi artistici letterari e drammaturgici per raggiungere un risultato che ci soddisfi. Veniamo allo spettacolo che avete appena allestito “Le indemoniate”. Nella “cultura” dei giorni nostri, quando si attacca la chiesa generalmente, o una qualsiasi altra istituzione, è difficile che si risparmi qualche suo esponente, voi invece trattate molto bene il parroco della comunità, l’unico esponente della chiesa in scena, per lui avete quasi un occhio di riguardo. Si, è vero. Questo è accaduto perché in realtà nell’allestimento delle Indemoniate abbiamo cercato di assumere il punto di vista della comunità. Quando abbiamo lavorato sul materiale che avevamo trovato ci siamo resi conto che i documenti che ci erano pervenuti erano totalmente maschili e, come posso dire, del potere: c’erano i resoconti giudiziari dei carabinieri, le lettere del vescovo che scrive al parroco, tutti i trattati scientifici e le relazioni del medico, il dott. Franzolini, che scrive. Di queste quaranta donne c’erano solo due o tre nomi e niente più e assolutamente non parliamo neanche del loro punto di vista. Abbiamo quindi deciso di assumerci in maniera anche piuttosto arbitraria il punto di vista loro, delle donne, delle malate. In fondo anche la storia della psichiatria è L’udinese Massimo Somaglino, classe 1960 è teatrante dal 1979. Tra il 1980 ed il 2002 partecipa come attore a numerose produzioni teatrali con compagnie nazionali tra cui: “Macbeth” diretto da Zlatko Bourek presente al Mittelfest del 1994, “I Turcs tal Friul” di Pier Paolo Pasolini e “Caligola” di Albert Camus, entrambi con la regia di Elio de Capitani, “Bigatis” di Elio Bartolini e Paolo Patui al Mittelfest 2000 e poi “Ballando con Cecilia” di Pino Roveredo, per la regia di Francesco Macedonio. Segue nel frattempo un percorso personale che ora lo coinvolge in modo esclusivo e di cui le tappe più significative sono: “Zitto, Menocchio!”, di Renato Gabrielli al Mittelfest del 1996, “Caterina e il Mamaluc”, scritto con Eugenio Allegri , “Acqua, il sogno” di cui è autore ed interprete, “La crudel zoiba grassa”, scritto con Giuliano Bonanni, realizzato in coproduzione da l’Accademia de gli Sventati con il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Nell’estauna storia di medici e non una storia di malati. Quindi partendo dal punto di vista della comunità, abbiamo prima demonizzato a nostra volta il parroco, tutta la religione e tutta la cultura religiosa oppressiva della montagna dell’ottocento, naturalmente. Poi abbiamo rivalutato il parroco, perché ciò te 2000 dirige ed interpreta per Avostanis la prima messinscena di “Infin il Cidinor”, testo realizzato per il friulano dal drammaturgo ungherese Miklos Hubay. Nel dicembre seguente, dirige per il Teatro Club Udine un’altra prima assoluta: Resurequie, testo in lingua carnica di Carlo Tolazzi. Nel 2001 scrive e realizza con Giuliana Musso “Nati in casa”, di cui dirige anche la versione video, trasmessa su Rai3 nel 2004 nell’ambito del programma “Report”. Prosegue la sua attività con “Cercivento” di Carlo Tolazzi, prodotto da Teatro Club Udine al Mittelfest del 2003, “Parlamentarmente”, studio teatrale realizzato con Riccardo Maranzana e Carlo Tolazzi, “Sexmachine”, spettacolo di Giuliana Musso, di cui è regista; infine nel 2005 a Codroipo ha presentato il suo ultimo lavoro “Achtung Banditi!”, concerto teatrale per la Resistenza, di cui è regista ed interprete. Svolge costante attività radiofonica come attore presso la Rai e tiene laboratori e corsi di teatro. che appare dalla ricerca è che lui sia l’unico ad aver cercato di assumere a sua volta il punto di vista della comunità. Ha accettato cioè di fare quello che la comunità stessa gli chiedeva di fare, contrariamente invece agli altri poteri forti, al potere scientifico che noi in scena affidiamo al ruolo del dott. Franzolini, al potere politico con il sindaco, che invece sono intervenuti in maniera esclusivamente repressiva. Non riabilitiamo il pensiero religioso che contraddistingue il fondo della storia, ma sicuramente alla fine del percorso ci è sembrato che il parroco fosse l’unico che riuscisse realmente ad essere in contatto con la comunità a cui apparteneva. Voi siete molto attenti al lato umano delle persone, vere protagoniste della vicenda. Contano di più per voi gli uomini che le ideologie e le guerre tra poteri. Questo è il lavoro del teatro. Tutte queste culture, questi pensieri, questa filosofia diventano carne in scena, diventano persone che si fanno carico di questo. Vuol dire che ci siamo riusciti, questo è uno dei più grandi complimenti che si possa fare a chi fa teatro. Non sempre si riesce: conta forse la struttura del linguaggio che avete usato. Questa è una chiave per l’autore; dal punto di vista linguistico si può attribuire questo tipo di scelta a Carlo Tolazzi, che è il Carnico della vicenda, perché lo è di origine. In questo percorso, che ha seguito anche in testi precedenti da un po’ di tempo a questa parte, Tolazzi è molto attento alla qualità del linguaggio. Sta sempre attaccato ad una sorta di forma popolare del linguaggio, non ricerca un linguaggio auli- co. La poesia nasce semmai dall’emozione. Adopera la lingua abbassandone la parte culturale ma cercando di esaltarne la parte poetica. Sta direttamente in contatto con l’uomo. Questo è intrinseco al suo modo di essere, Carlo si trova molto più a suo agio se si pone direttamente a contatto con le persone, senza sovrastrutture culturali e anche senza porsi la questione dal punto di vista poetico. Come ti sei posto di fronte alla regia dello spettacolo? Intanto devo dire che la regia dell’allestimento finale è soltanto l’ultima tappa di un lunghissimo percorso che è iniziato nel 2005 quando abbiamo cominciato a lavorare su questo progetto. Non ci siamo divisi i compiti subito: “tu fai la drammaturgia, io faccio la regia, lui il protagonista”. Abbiamo viaggiato insieme a lungo con questo gruppo di persone cercando di condividere il più possibile il lavoro. È stata una regia molto democratica che porta con sé il contributo di tutti e tiene conto delle opinioni di tutti, anche perché le opinioni si sono formate senza contrasti. Eravamo sostanzialmente tutti d’accordo rispetto a quanto affrontavamo, quando compariva una nuova intuizione rispetto ad una parte del problema la facevamo subito nostra. Non ci sono stati contrasti interni, fatiche sì ma non contrasti. C’è una locandina che dice che la drammaturgia è di questo, la regia di quello, ecc. ecc. In realtà questo lavoro è veramente un viaggio condiviso, e di questo sono felice perché secondo me il teatro si fa così. Una bella lezione, quindi, per quanti si accingono a fare teatro contemporaneo. Non vogliamo dare lezioni a nessuno, per l’amore del cielo, è solo il nostro modo di lavorare. La prossima tournée con lo spettacolo? Per ora abbiamo solo alcune date, una compagnia di sei attori non è così facile da sostenere a lungo. Individueremo dei periodi in cui lavorare assieme. Vorrei tanto andare in tournée perché non portiamo solo noi nei teatri ma “una cultura”. C’è una forte identificazione tra la compagnia, la materia trattata e la cultura di appartenenza e quindi mi piacerebbe che questo potesse essere visto. palcoscenico 3 Martedì, 6 novembre 2007 Donne di fragilità vestite LA RECENSIONE Indemoniate Donne di fragilità vestite C ome pensare che fatti realmente accaduti come quello delle “Indemoniate” di Verzegnis, che ha debuttato alla sala Bartoli di Trieste e prodotto dal Teatro Club di Udine, con la collaborazione dello Stabile Regionale, non abbiano attinenza con la quotidianità, dopo che anche di recente sono rimbalzate alla cronaca le terribili testimonianze di bambini e ragazzi accusati di stregoneria in Congo. Come si fa a chiudere gli occhi davanti a fatti violenti come l’omicidio di Hina, per mano del padre e dei parenti maschi della famiglia, e non pensare che questa è solo una delle tante atrocità commesse in nome dell’ignoranza, della creduloneria, ma anche dell’esercizio del potere di chi domina e istiga con il ricatto della fede, dell’onore e delle leggi della “tribù”. Ogni giorno donne e bambini, da sempre gli elementi più deboli della società, subiscono violenze inaudite, stupri, brutali aggressioni, costrizioni fisiche e psichiche nell’occidente evoluto e civile; immaginiamoci cosa può succedere nelle realtà più povere e reiette. Il fatto è che questo spettacolo rinnova nello spettatore il dolore per tanta fragilità umana con una vivezza a cui siamo ormai poco abituati. Ci sono molteplici elementi che contribuiscono a risvegliare questa sofferenza e a partecipare con la pietà umana. Uno di questi è sicuramente il testo drammaturgico. Carlo Tolazzi e Giuliana Musso hanno scritto un’opera che è evidente frutto di una profonda e meditata elaborazione. Sono riusciti a trarre dalla cronaca i fatti salienti della vicenda e a infondere nei personaggi i sentimenti e attraverso di essi l’analisi cruda e reale della storia. Verzegnis è un piccolo paese della Carnia dove a partire dalla primavera del 1878 almeno una ventina di donne si trovarono coinvolte loro malgrado in una sorta di delirio collettivo. Una dopo l’altra le poverine davano in escandescenze, vomitavano, bestemmiavano, dicevano oscenità. Gli esorcismi di don Giovanni, prete del paese, furono vietati dopo un tentativo di scacciare il diavolo durante una cerimonia in chiesa, esperimento che degenerò in caos. Un conflitto tra potere ci- LA RECENSIONE Goldoni terminus Una soap secolare Scuole e geografie diverse per leggere Goldoni. Lavorando sui canovacci del Grande, Tena Štivičić (Croazia), Edoardo Erba (Italia) e Rui Zink (Portogallo) hanno impastato “Goldoni terminus”, tratto, ispirato da “Le avventure di Camilla e Arlecchino.” Che avventure sono? Avventure da soap, si direbbe oggi, con la TV che (mal) insegna. Un po’ di soldi, un po’ di sesso, un po’ di intrighi, cospargere di musica, balli, infornare e lasciar cuocere per... Due ore di spettacolo in un atto unico; per una resa migliore, ci viene da dire, contro le tre ore (e un po’) delle prime messinscena portate anche fuori casa, a Venezia alla Biennale, in altri teatri d’Italia e Portogallo. Decisamente troppo perchè è impossibile concentrarsi per tanto tempo e allora, per l’impazienza, qualcosa deve pagare lo scotto con tanto di perso per il progetto. Ancora una volta, Venezia (e dove sennò, considerato che la materia prima l’ha messa Carlo Goldoni?), un albergo, il suo vecchiotto proprietario (Pantalone), la sua famiglia (una moglie interessata ai soldi e non tanto a lui; un figlio più incapace che intraprendente), la schiera di servitori (Camilla che Pantalone allegramente palpeggia mentre lei altrettanto allegrammente lascia fare; Arlecchino fidanzato di Camilla, ovviamente squattrinato) e altri. Come vuole il proverbio, i soldi fan guerra, creano i prepotenti e quelli che subiscono. La famiglia, che alla morte di Pantalone si vede decurtata di buona parte delle sostanze che vanno a Camilla, fa di tutto, con l’aiuto di avvocati-avvoltoi, pur di toglierle i soldi. Anche Arlecchino, che pure di Camilla è innamorato, si lascia coinvolgere in una brutta trama di dritto e rovescio. Camilla, delusa, lascia soldi e tutti e decide di realizzare il suo sogno, quello di cantare. Ma lo showbusiness è trappola che le toglie, tanto per cominciare l’identità (può far strada una che si chiama così semplicemente Camila? Noooo, ci vuole un nome più smaliziato), poi, cantare si trasforma da sogno in professione e allora, delusa ancora una volta da tutto e da tutti, Camilla sceglie la morte. A secoli di distanza, Goldoni resta attuale. Ma in fondo, in crinoline o in mutande, l’uomo è fatto della stessa pasta. Hanno fatto spettacolo, oltre alla rilettura, la scena (essenziale: un parallelepipedo nel quale scorrono gli sfondi, quasi fosse una gabbia), la musica (dai Bee Gees al fado ad un improbabile Elvis chitarrarmato in fugaci apparizioni), le danze, il video (per il funerale sull’acqua di Pantalone). I personaggi potrebbero avere nomi qualunque della quotidianità. L’albergo potrebbe essere una qualsiasi azienda a conduzione famigliare. Il proprietario... la segretaria (un po’ di sesso, un po’ di soldi)... un’apparizione TV per una trasmissione cerca-talenti, la macchina stritolatrice dell’universo spettacolo, tradimenti, gelosie e ci siamo. Dacci oggi la nostra soap quotidiana. Ottimo il cast. Prepotentemente in luce Elena Brumini, in scena instancabilmente dall’inizio alla fine in tutto quello che fa spettacolo, recitazione, canto, danza. Firma la regia Toni Cafiero, scene di Josè Manuel Castanheira e musica di Darko Jurkovic. Intrepreti Giovanni Battaglia, Leonora Surian, Mirko Soldano, Rosanna Bubola, Elena Brumini, Rita Cruz, Woody Neri, Massimo Nicolini, Piergiuseppe di Tanno. Scritto a tre e prodotto a tre: Dramma Italiano di Fiume, Teatro Stabile della Sardegna e Teatro Nazionale “Doña Maria II” (Lisbona). vile e chiesa si scatenò di fatto e la diatriba si trascinò anche sulle pagine dei giornali locali, diversamente schierati. In scena la vicenda è narrata a partire dalla storia di Margherita Vidusson, ragazza da cui si credeva fosse iniziata la possessione. Margherita è una giovane donna che alle soglie del matrimonio ha una paura terribile del futuro marito che il padre le ha destinato. Teme che sia violento, preferirebbe finire in convento piuttosto che sottoporsi a tale prova. La fame, la carestia, la povertà della Carnia di quegli anni sono peraltro desolanti, sopravvivono soltanto i più forti, le malattie si portano via uomini e donne, giovani e vecchi. In questo contesto, il padre non vuole e non può sentire ragioni, deve liberarsi di una bocca da sfamare, ma nel contempo tenerla sufficientemente vicino a sé, perché continui ad aiutare nei campi e in casa. Gli uomini a quel tempo abbandonavano la famiglia da marzo a ottobre per andare a trovare lavoro altrove e donne e bambini accudivano le bestie e coltivavano la terra da soli, in un’epoca in cui l’unica tecnologia conosciuta era la forza delle braccia. Quando poi tornavano a casa d’inverno, lasciavano incinte le mogli che avrebbero dovuto continuare a farsi carico di tutto con un fardello in più. È un mondo, quello descritto con veloci pennellate nei dialoghi tra Margherita e la madre (Marta Cuscunà e Sandra Cosatto), tra queste e il parroco (Fabiano Fantini), in cui non c’è speranza nel futuro, “è sempre stato così” dice alla figlia per toglierle qualsiasi illusione che per lei il futuro possa riservare qualche cosa buona. È la filosofia dura e cruda del popolo carnico e friulano che ha sempre fatto i conti con un territorio ingrato e con una storia ingenerosa: la terra povera e la guerra che troppo frequentemente faceva muovere gli eserciti avanti e indietro depredando e devastando tutto. Non c’è quindi da stupirsi che Margherita preferisca questa strana malattia demoniaca a quello che le hanno riservato la vita e la famiglia: “nessuno mi sposerà finché sono in questi stati, e a me va bene così” le fanno dire i due autori. Il parroco è un povero cristo, avul- so dalle lotte del potere, sa di non avere la forza per opporsi a questo male, ma sa anche che soltanto tenendo unito e solidale il suo piccolo gregge, gli eviterà il peggio. Ma a niente valgono i suoi sforzi perché il rimbalzare della vicenda sulle cronache della città indurranno il prefetto a mandare in loco un medico, tal dott. Franzolini (Riccardo Maranzana), il quale più attento al trionfo della scienza che alle esigenze e alla salute della gente, compirà l’atto finale, facendo intervenire l’esercito e ricoverare diciassette donne nel manicomio di Udine. Qui gli stenti, i pidocchi, e i soprusi continueranno a perseguitare le sventurate su cui si abbatterà anche la sciagurata sperimentazione medica del Franzolini e dei suoi colleghi che si glorieranno dell’aver tentato nuove tecniche per ammorbidire le donne: l’estirpazione delle ovaie. Molte moriranno, alcune sopravviveranno agli interventi pagando a caro prezzo quell’esperienza. Il trionfo della scienza appare così effimero e transitorio nelle gesta degli interpreti, e gli uomini, il podestà, il prefetto e il vescovo, così meschini. Il linguaggio che i due autori usano è scarno, asciutto, efficace. Il tessuto linguistico lascia intravedere costruzioni ed espressioni tipiche del friulano che rendono ancor più originale ed espressivo il testo, perché la lingua è l’anima di un popolo, è attraverso questa che esprime il proprio essere più profondo. Gli attori di cui abbiamo già detto a cui si aggiungano Federico Scridel, nella parte del matto del villaggio, e Massimo Somaglino, nei panni alternativamente del podestà e del secondo medico, sono bravi a tal punto da non aver niente da invidiare a nomi celebrati del teatro italiano, il loro è inoltre un pregevole lavoro corale. La regia poi di Massimo Somaglino è veloce, non concede pause, non accenna a cadute, tiene sempre lo spettatore con il cuore in gola e con la lacrima in fondo all’occhio. Senza scene se si esclude un tavolo, una sedia e un lavandino, per costumi gli stracci della povera gente (di Belinda De Vito), la ricchezza dello spettacolo non è in quello che si vede, ma in quello che lo spettacolo è. Rossana Poletti 4 palcoscenico Martedì, 6 novembre 2007 Martedì, 6 novembre 2007 5 RETROSPETTIVA Il teatro di Zara Dal Nobile al Di Gastone Coen «A Zara non si frequenta il teatro soltanto per convinzione o per abitudine: lo si frequenta per passione” – constatava più di un secolo fa il periodico “Scintille”. Una passione plurisecolare che sfociò nell’erezione del Teatro Nobile, in contrada S. Antonio, pressapoco dov’è oggi quello Nazionale, nel 1783. Era un teatro sociale, con tre ordini di palchetti (74 in tutto, più quello di rappresentanza) e venne a costare 3.000 zecchini. Era amministrato da due “nobili presidenti”, eletti dall’assemblea annuale dei compatroni, ed essi provvedevano al repertorio, alla scritturazione degli artisti e degli impresari. Curavano inoltre la stampa dei libretti delle opere liriche che venivano rappresentate. Il pubblico preferiva le opere liriche e quelle buffe, specie quelle del Cimarosa, del Rossini, del Bellini, del Donizetti, del Mercadante, che arrivavano sulle scene zaratine solo uno o due anni dopo la loro prima assoluta a Venezia o a Milano. Primarie compagnie di prosa venivano dall’Italia con drammi e commedie, tenendo aggiornato il pubblico, sempre avido di novità. Vi calcarono le scene Ernesto Rossi, il celebre caratterista Antonio Papadopoli, zaratino, Ermete Novelli fanciullo, Eleonora Duse bambina. Vi ebbero luogo cavalchine e veglioni. L’attività centenaria del teatro venne dettagliatamente e magistralmente ricostruita da Giuseppe Sabalich nella sua “Cronistoria aneddotica del Nobile Teatro di Zara”, “gustoso affresco della vita sociale d’una città di provincia, in fondo calma e serena, in un secolo tormentato“ (M. Perlini). Il 18 gennaio 1882, dopo il disastroso incendio del Ring Theater viennese, il Nobile, nel frattempo diventato teatro della Società Filodrammatica Paravia, interdetto per feste pubbliche e private, dovette chiudere i battenti. Intanto, però, dopo che Spalato, l’eterna rivale, aveva inaugurato il suo Teatro Bajamonti (1859) e Ragusa quello Bonda (1863), oggi “Marin Držić”, la coscienza campanilistica zaratina fu scossa. E la ducal città volle il suo nuovo, splendido teatro. fidata all’ingegnere locale Miho Klaić. Dai conti Lantana fu acquistato, per 6.000 fiorini, un fatiscente palazzotto, già dimora dei vescovi di Nona, attorniato da orti e catapecchie, al civ. n. 414 di Campo Castello. I lavori ebbero inizio il 25 aprile 1864, assai prima che da Vienna giungesse il nulla osta. La costruzione venne affidata all’imprenditore locale Angelo Cantù (proti muratori Nicolò Trigari e Giovanni Mazzoni), l’ossatura interna a Francesco Fabbrovich, coadiuvato dai maestri d’ascia Francesco Fisser, Guglielmo Zillio, Giacomo Užigović, la decorazione interna al triestino Leone Bottinelli e al veneziano Carlo Franco, il palcoscenico a Jacopo Caprara. Il teatro che era costato ben 110.000 fiorini era pronto ad accogliere il pubblico la sera del 10 settembre 1865, quando vi si dette una festa di commiato per il governatore barone Lazzaro de Mamula. Fu però inaugurato ufficialmente la sera del 7 ottobre 1865, vigilia del Santo patrone S. Simeone Giusto profeta (quando, tradizionalmente, aveva inizio la stagione teatrale) con l’opera “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi. Maestro concertatore e direttore d’orchestra di questa stagione lirica era il mo Antonio Ravasio (1835-1912), allievo del Conservatorio milanese, m.o di capella della basilica metropolitana di S. Anastasia, che scritturò in Italia i cantanti Lena Tencajoli, soprano, Fanny Guillemin, soprano leggero, Ercole Storti-Gozzi, baritono, Giuseppe Wagner, basso. Il teatro era lungo 44,50 metri. La sua facciata principale (nell’ordierna Via Biankini, già del Teatro Nuovo) e quella che dava sullo spiazzo del Castello (Trg 3 bunara) erano neorinascimentali. Sopra i 5 finestroni principali che sormontavano le arcate del porticato, in cinque nicchie erano sistemati i busti del Goldoni, del Rossini, dell’Alfieri, di Teobaldo Ciconi, in mezzo ai quali troneggiava quello di Dante piano). Al secondo piano, dalla parte opposta del palcoscenico, v’era la sala per i concerti della Filarmonica (con 400 posti) e le salette adiacenti. I tre ordini di palchi, 25 per ognuno, circondavano a foggia di ferro di cavallo la platea. Li sovrastava il loggione. I palchi erano sfarzosamente decorati. Magnifici i lampadari. Sul “plafond”, verso il boccascena v’era un affresco allegorico di grandi dimensioni “Il trionfo del progresso” del pittore triestino, allora abbastanza noto, Antonio Zuccaro. La sala era stupendamente armonica. Nella serata inaugurale, stando ai giornali dell’epoca: “La sala teatrale presentava uno spettaolo incantevole... lo spettatore poteva ritenersi quasi magicamente trasportato in una grande città, sede della moda e della ricchezza”. Sfarzosamente fu addobbato il Teatro per il galà offerto dalla Società Filarmonica all’imperatore Francesco Giuseppe in visita a Zara nel maggio del 1875 e che assistette pure ai due primi atti de “Un ballo in maschera” verdiano. Per decenni e decenni, dalla sera della sua inaugurazione quasi fino alla sua tragica fine, il teatro fu il fulcro della vita culturale, e non solo culturale, zaratina. Vi ebbero luogo spettacoli di vario genere: opere liriche, operette e balletti, commedie e drammi, spettacoli di varietà, film muti e sonori, balli e veglioni. E da sei a otto concerti annuali della Società Filarmonica (fondata nel 1858), nella apposita sala capace di 400 posti a sedere, mentre il teatro poteva ospitare 1.500 spettatori (ben trecento il loggione) in una città che aveva sì e no dai sette ai diecimila abitanti. il termometro dell’agiatezza Si andava a teatro per passione dell’arte, per diletto e per svago, ma anche per sfoggiare gli abiti testé arrivati da Vienna o da Parigi, gli ori e gli gioielli di famiglia, per Alighieri. Per le cinque porte d’ingresso si entrava nel vestibolo e nell’atrio, pure di stile rinascimentale. A sinistra il caffè e le salette del “fumoir” a destra invece gli uffici della direzione e gli uffici. La platea e il sottoscena si trovavano al pianterreno. Due scalinate davano accesso ai palchi di peppiano (mezzanino) e agli ambulacri dei palchi di prima fila (al primo piano), di seconda fila e all’ampio loggione (al terzo corteggiare o essere corteggiati, per chiacchierare e spettegolare durante gli intervalli. Possedere un palco era simbolo di decoro e di prestigio, di appartenena all’élite cittadina. Le solite “Scintille” constatavano: “Al nostro teatro accedono dal professore al facchino, dalla presidentessa alla cameriera di birreria. Il teatro per noi è il termometro dell’agiatezza. Chi non va a teatro dieci volte su venti è al secco di quattrini“. Tra i grandi attori che Zara ospitò in questo periodo segnaliamo Alda Borelli, Ferruccio Benini, Eleonora Duse, Alfredo de Sanctis, Alessandro Drago, Ferruccio Garavaglia, Irma Gramatica, Giovanni Grasso, Angelo Musso, Ermete Novelli, Giacinto Pezzana, Italia zettiana Lucia di Lammermoor e ne calcarono le scene le cantanti Ester Mazzoleni, sebenzana, e Albina Nagy, alias Nilba Agis, zaratina. Parecchie le operette interpretate dalla compagnia di Jole Pacifici e Gino Bianchi, gli spettacoli della Filarmonica zaratina, diretta dai maestri Luigi Colonna di Stigliano e Fredi de Pauer Peretti, i concerti simfonici del rinomato Quartetto triestino e le riviste “grottescomicosentimental danzanti” dei Castelli sen. e jun. con il corpo di ballo delle Battara’s girls. inagibile per vetustà e difetti palchettisti contribuivano al sostegno degli spettacoli con un canone sociale, votato di anno in anno dall’assemblea annuale degli azionisti, convocata di regola il 20 marzo, e che eleggeva biennalmente, a scrutinio segreto, la presidenza del sodalizio, composto da 3 presidenti e 2 sostituti, alla quale era affidata la scelta del repertorio, degli impresari, degli artisti e dei capocomici, i contatti con le agenzie teatrali e con i teatri provinciali ed esteri, le migliorie da farsi. Almeno uno dei presidenti doveva assistere alle prove generali di ogni spettacolo. La stagione lirica era sovvenzionata dalla Luogotenenza e dal Municipio (successivamente dall’amministrazione provinciale e comunale). Nell’allestimento delle opere liriche, la direzione poteva fare affidamento su validissimi elementi locali, su bravi maestri, violinisti e professori d’orchestra, sui musicanti delle ottime i.r. bande reggimentali, sui provetti dilettanti della Società Filarmonica, su ottimi cantanti e bravi coristi. La stagione lirica era articolata di regola su 24 rappresentazioni di 3 opere, delle quali una doveva essere nuova per Zara, una del repertorio moderno, ma già rappresentata, una di quello classico. grandi nomi e grandi titoli secondi a nessuno! Ne lanciò l’idea il musicista e critico musicale Giovanni Salghetti Drioli, della famiglia dei noti distillatori di maraschino, e alcuni appartenenti della “crème de crème” zaratina (tra cui l’avv. Natale Filippi, il dott. Simeone Cattich, il cav. Antonio de Stermich di Valcrociata, l’industriale Nicolò Luxardo, il possidente Giuseppe Perlini) costituirono una società per azioni, quella del Teatro Nuovo, appunto. Venne eletta una commissione del sodalizio, che incaricò l’architetto veneziano dott. Enrico Trevisanato, noto progettista di teatri, di elaborare il progetto dell’edificio, attenendosi però ai suggerimenti della commissione stessa, mentre la direzione dei lavori venne af- Il Teatro Nuovo, dal 1901 Teatro Giuseppe Verdi, era, come tanti altri dell’epoca, un teatro sociale, proprietà degli azionisti, posessori dei 48 palchi di prima e seconda fila e di un quarantottesimo dell’edificio. Possedere un palco era uno “status symbol”. I Pur rimanendo fedele al repertorio lirico classico (Verdi, Rossini, Donizetti), il pubblico impazziva anche per Massenet, Gounod e Bizet, applaudiva il “Tannhäuser” wagneriano, nonchè le opere della scuola verista italiana. La “Bohème” di Puccini, ad esempio, è sulle scene zaratine solo un anno dopo il suo debutto torinese, mentre il “Mefistofele” del Boito venne replicato ben 11 volte sera dopo sera. Molto gradita pure la piccola lirica. Per quanto riguarda la prosa, vennero recitate le produzioni di tutto il teatro francese, molti capolavori di quello inglese, tedesco, ibseniano, russo (“I piccoloborghesi” del Gorkij già nel 1904), per non parlare di quello italiano. Il teatro dannunziano non ebbe favorevole accoglienza. Vitaliani, Ermete Zacconi, Emilio Zago. Qualche compagnia portò sulle scene fatture di autori zaratini, particolarmente le commedie ed i monologhi dialettali di Giuseppe Sabalich. La stampa, sia zaratina che croata, seguiva attentamente i lavori del teatro. la concorrenza del “cine” Dal 1918 il Teatro Verdi vegetò. Forte era la concorrenza del cinematografo e del nuovo supermoderno Cineteatro Nazionale di Aldo Mestrovich, sorto nel 1924 sulle spoglie del Nobile, con 800 posti. Che assecondando i gusti di larghi strati del pubblico, alternando pellicole di prima visione, a spettacoli di varietà (con il celebre attore triestino Cecchelin), riviste e operette dalla sfarzosa messa in scena. Spesso a prezzi stracciati. Gli azionisti del Teatro Verdi, rovinati dal crollo della finanza austriaca, soppiantati da una nuova classe dirigente d’estrazione piccolo borghese, non potevano più far fronte alle cospicue spese per il funzionamento regolare del Teatro. Il fondo teatrale, accumulato per mezzo secolo e investito in titoli di rendita austriaci, s’era volatilizzato. Le compagnie artistiche raramente s’avventuravano a compiere tournée circoscritte alla sola Zara per poche recite e scarso incasso. Ciò nonostante il pubblico zaratino ebbe modo di conoscere il teatro contemporaneo di Sem Benelli, Dario Niccodemi, Luigi Pirandello, Pier Maria Rosso di San Secondo e gli attori in ascesa Cesco Baseggio, Mario Calindri, Gino Cervi, Nunzio Filogamo, Fosco Giachetti, Emma e Irma Grammatica, Maria Malato, Tatiana Pavlova, Emilio e Gualtiero Zago. A tener vivo l’interesse per la prosa contribuirono le esibizioni, sia al Verdi che al Nazionale, delle ottime filodrammatiche locali. Fino al 1937 venne rappresentata al Verdi una ventina di opere liriche, tra cui alcune per la prima volta a Zara, come la “Turandot”, “I Rusteghi” di E. Wolf Ferrari, la “Francesca da Rimini” di Riccardo Zandonai. Nel 1932 la celeberrima Toti dal Monte si esibì nella doni- Ma, nell’autunno del 1936, il Verdi “per vetustà, per difetti inerenti alla sua costruzione, non eliminabili se non a mezzo di una sua radicale trasformazione” venne dichiarato inagibile dalla Questura, mentre stagioni liriche si svolgono all aperto, in Piazza delle Erbe e sullo spiazzo davanti la scuola Bakmasz. Il Teatro intanto viene espropriato e riscattato dal Comune (a cinquemila lire per azione). Con delibera del podestà Giovanni Salghetti Drioli, nipote dell’ideatore del Teatro, la sua ricostruzione si affida all’architetto Vincenzo Fascolo, spalatino, professore della Facoltà di Architettura a Roma, membro dell’Accademia di San Luca e della fabbriceria di San Pietro, e a Paolo Rossi de Paoli, costruttore della Bolzano Nuova. Secondo il loro progetto che “doveva salvare quanto del vecchio edificio era ancora utilizzabile” il teatro doveva avere la facciata principale rivolta verso Campo Castello, essere costruito con criteri modernissimi, avere 1.400 posti a sedere e una sala pure di caratteristiche e stile moderno, un palcoscenico profondo 15 metri. La spesa complessiva preventivata era di 8 milioni novecentomila lire, già assicurate dal Comune, con il concorso dello Stato. Nell’autunno del 1942 i lavori preparatori s’erano già iniziati. la condanna dal cielo Ma il 16 dicembre 1943 e il 22 febbraio 1944, nel corso dei bombardamenti alleati, il Nazionale fu danneggiato e il Verdi colpito. Una bomba aveva fatto uno squarcio di 3-4 metri di diametro sul tetto sovrastante la platea, ma erano rimasti in piedi i muri, la bella facciata neorinascimentale, buona parte dell’interno. Tanto che dalle sue occhiaie, ormai vuote, si potevano intravvedere gli stucchi dei palchetti e le eleganti poltroncine rosse. Mentre il Nazionale, rabberciato alla meglio, rientrò in funzione il 27 marzo 1945, il Verdi fu lasciato deperire. Erano riparabili sia il tetto che le altre sue strutture, ma l’assessore alla cultura Vlado Pilepić vi s’oppose. La polizia chiuse non uno ma tutt’e due gli occhi, mentre la gente faceva man bassa di tutto quello che era asportabile dal Teatro ferito. Poi le autorità ordinarono di asportarne le massicce travi di sostegno per costruire un ponticello sul torrente Karinšćica nei pressi del villagio di Karin. Demolitene le strutture, nel centenario dell’inaugurazione, sorse al suo posto un’orrenda dozzinale casa popolare. 6 palcoscenico Martedì, 6 novembre 2007 Personaggi del palcoscenico dall’A alla Z «B» come ... «B» come ... ...Balanzone ...Brighella Il destino nel nome: Brighella deriva da “briga” ed è personaggio attaccabrighe, insolente e dispettoso; per Arlecchino, un compare su misura. Servo della commedia dell’arte, nasce a Bergamo. Ma a differenza del compare, Brighella non si limita a fare il servo e si allarga a mestieri non sempre leciti ed onesti. Comprensibile quindi che si trovi sempre in mezzo ai guai, ma siccome la necessità aguzza l’ingegno, se ne esce sempre. Indaffarato, quindi, prima ad escogitare intrighi ed inganni per abbindolare il prossimo, deve poi trovare la ricetta per salvarsi. È intrigante, furbo e senza scrupoli, bugiardo (anzi, bugiardissimo) con convinzione, abile nel cantare, suonare e ballare. Veste giacca e pantaloni decorati di galloni verdi, scarpe nere con pon pon verdi. Su tutto, un mantello bianco con due strisce verdi, maschera e cappello neri. «C» come «C» come ... Balanzone - anche Dottor Balanzone (deriva da balanza, bilancia, allegoria della Giustizia), è maschera di origine bolognese ed è un “vecchio” della Commedia dell’Arte. È serio, sapientone e presuntuoso e spesso si lancia in verbosi discorsi infarciti di citazioni colte in latino maccheronico. Pignolo, cavilloso, prodigo di inutili insegnamenti e di consigli inappropriati, trova scuse per iniziare infiniti sproloqui dotti. Si vanta dei suoi titoli, dice di conoscere ogni campo della scienza umana: legge, medicina, astrologia, filosofia; di esse parla in maniera noiosa, mescolandole in un groviglio inestricabile. Ha guance rubizze, veste sempre di nero ed ha una grossa pancia; gesticola molto ed è, nei gesti, molto autorevole. La maschera, piccola, ricopre solo le sopracciglia e il naso, appoggiandosi su due grandi baffi. Indossa la divisa dei professori dello Studio di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, gran cappello, giubba e mantello. ... Colombina ... Cyrano Cyrano de Bergerac: segni particolari, scontroso spadaccino dal lunghissimo naso, scrittore e poeta in bolletta. Ugualmente bravo con la spada e con la penna. Con la prima ferisce fisicamente, con la seconda - attraverso giochi di parole - mette in ridicolo i suoi nemici, numerosi visto il caratteraccio che si ritrova. Spavaldo e scontroso, ha un lato gentile e sentimentale: Rossana, sua cugina, della quale è segretamente innamorato. Che storia sarebbe se lei, invece, non amasse un altro? Cristiano, giovane cadetto bello fin che si vuole ma un po’ ...vuoto. Cyrano con la sua intelligenza e Cristiano con la sua bellezza farebbero l’uomo ideale. Si alleano per conquistare il cuore della bella tanto che Cristiano appare e Cyrano dichiara, diventando “suggeritore”, scrivendo lettere e poesie per conto di Cristiano e continuando a sospirare per Rossana. Cristiano (o Cyrano) ce la fa ma l’amore con la bella è contrastato da De Guiche, il solito prepotente antipatico che spedisce Cyrano e Cristiano al fronte. E come tutte le storie, finisce male. Cristiano muore in guerra, Cyrano molto più avanti e solo. “Amante - non per sé - molto eloquente Qui riposa Cirano Ercole Saviniano Signor di Bergerac Che in vita sua fu tutto e non fu niente!” Scaltra, maliziosa, è la fidanzata di Arlecchino che con espedienti tipicamente femminili, fa ballare come vuole ottenendo sempre tutto. Non resiste alle sue grazie e al suo fascino nemmeno il padrone Pantalone: Colombina non si tira indietro guadagnandoci e accendendo la gelosia di Arlecchino. È personaggio della Commedia dell’arte che sul palcoscenico ha avuto nomi disparati: Colombina, Franceschina, Corallina, Ricciolina, Spinetta, Smeraldina e a volte anche Arlecchina. palcoscenico 7 Martedì, 6 novembre 2007 TEATRO RAGAZZI Peter Pan, peccato crescere! NOTES Novembre nella CI A cura di Daniela Rotta Stoiljković CI BUIE 24 novembre ore 17 concerto umanitario dei Minicantanti delle CI di Buie e Momiano e del gruppo corale “Forever” della CI di Buie CI PIRANO 5 novembre ore 17 in Casa Tartini “L’ora della fiaba” con Daniela Paliaga 9 novembre ore 14,30 al parcheggio antistante il ristorante “Primorka”, esibizione del gruppo mandolinistico “Serenate” e del “Trio mandolino” della CI, all’apertura della “Festa dei cachi” ore 17 laboratorio artistico per ragazzi con “L’ora della fiaba” guidati da Gloria Frlič, Apolonija Krejačič e Fulvia Zudič 10 novembre ore 18, a Momiano, esibizione del gruppo mandolinistico “Serenate” e del “Trio mandolino” con la mandolinistica “Doremi” alla “Festa di S.Martino” 12 novembre ore 17, in Casa Tartini “L’ora della fiaba” con Gloria Frlič 14 novembre ore 19, nella Sala delle vedute di Casa Tartini “Recital di viola – solo” del solista Francesco Squarcia. In programma musiche di Giuseppe Tartini, Max Reger, Fritz Kreisler 15 novembre ore 18, nella Sala Tintoretto del Palazzo Comunale, presentazione del volume “Diego De Castro”, nel centenario della nascita, a cura di Ondina Lusa e Kristjan Knez 19 novembre ore 17, in Casa Tartini per “L’ora della fiaba”, “Filastrocche dell’abc” di Carlo Miel - illustrazioni di Valeria Ricciardi, con Elena Bulfon 24 novembre ore 19 partecipazione del gruppo mandolinistico “Serenate” all’Incontro regionale sloveno di mandolini “Tamburaši« a Šmartno pri Litiji T rieste. Teatro Rossetti. Le luci si abbassano, si apre il sipario, un enorme boato si leva dalla platea e mille luci fosforescenti si accendono (una specie di bacchetta magica distribuita all’ingresso). Questo succede ogni sera da quando Peter Pan va in scena, all’inizio dello spettacolo. C’è da dire che il pubblico per un buon settanta per cento è composto da bimbi e ragazzi. Capita di rado di vedere tanti giovani tutti insieme a teatro, e questo miracolo lo compie ormai da qualche anno il musical, genere ripescato da Londra e New York e prodotto qua in casa, non ancora, bisogna pur dirlo, con i livelli qualitativi che si conoscono nei teatri inglesi ed americani. La storia del “bambino che non voleva crescere mai”, ripresa dal capolavoro di James Matthew Barrie, ha incontrato molto spesso il mondo dello spettacolo: tutti penseranno al celeberrimo cartoon Disney, ma – più recentemente – anche alla versione cinematografica di Steven Spielberg intitolata Hook, con Robin Williams nei panni di Peter Pan e Julia Roberts in quelli di Campanellino, o a quella delicata e commovente che riecheggia in Neverland, in cui – a cent’anni dal debutto teatrale del testo – Johnny Deep dava vita a Barrie. Il capolavoro nacque infatti come opera teatrale e solo dopo divenne l’amato romanzo che ogni bambino legge. L’autore ha donato i diritti dell’opera al Great Ormond Street Hospital, per aiutare i suoi piccoli pazienti. È proprio il Great Ormond Street Hospital, ad aver concesso i diritti per la produzione tutta italiana del musical, messo in scena grazie alla collaborazione di ATI Il Sistina con Teatro Delle Erbe – Officine Smeraldo. In questo musical nostrano ci sono alcuni ingredienti interessanti e di qualità. Primo fra tutti il protagonista Manuel Frattini nei panni di Peter Pan, uno degli artisti di maggior completezza e preparazione nel campo del musical italiano, già applaudito dal pubblico dello Stabile regionale nei panni di Pinocchio. Qui appeso ad un cavo vola letteralmente dalla scena sulla platea, mandando in visibilio i già eccitati spettatori del Rossetti. Affianco a lui brilla, e non poteva che essere così, il non più giovane Riccardo Peroni, che nei panni di Spugna, il pirata brac- cio destro di Capitan Uncino, diverte palesando la grande esperienza acquisita sul campo di tante operette e commedie musicali della sua carriera. Sono straordinari i ballerini che eseguono ottime coreografie a tempo di rock. Bellissime le affascinanti scene, che cambiano in continuazione passando velocemente dalla cameretta dei bimbi alla foresta dell’Isola che non c’è, alla nave dei pirati. Le luci, gli effetti raggiungono gli effetti desiderati. E là dove peccano per povertà la trama e la storia, sicuramente suppliscono le musiche e le canzoni nate dalla verve creativa di Edoardo Bennato, che per questo spettacolo ha preso alcuni dei suoi pezzi più belli e famosi (Sono solo canzonette, Viva la mamma per citarne alcune) ai quali ha aggiunto nuove melodie, sempre a ritmo di rock. Il tutto esaurito per molte delle recite, alcune straordinarie, dimostra che ai giovani può ancora piacere andare a teatro. E non importa se all’inizio ci vanno per un musical, fatto un passo è sempre possibile farne un altro, magari per qualcosa di più impegnativo. Rossana Poletti CI POLA 8 novembre ore 18,30 concerto d’autore - Ive Josipović 8 novembre ore 20 dal laboratorio Cantus - Srđan Dedić, Frano Đarović, Arnold Schonberg, Dubravko detoni 9 novembre ore 12 concerto d’autore - Josip Magdić 9 novembre ore 20 Concerto del Cantus Ansamble 9 novembre ore 21,30 concerto di Dani Bošnjak e Edin Karamazov 10 novembre ore 12 concerto dedicato a Nello Milotti 10 novembre ore 20 concerto dell’orchestra della RTV croata 10 novembre ore 21,30 hommage a Mate Balota 13 novembre ore 18,30 concerto - Regata violinistica nel Mar Musica del Maestro Francesco Squarcia CI UMAGO 17 novembre ore 18 al Teatro cittadino, Seconda Rassegna artistico - culturale delle CI organizzata dal Settore Teatro, Arte e Spettacolo dell’Unione Italiana. 24 novembre ore 18, Spettacolo nella ricorrenza del 60.esimo anniversario della fondazione della CI di Umago. Partecipano Coro, Minicantanti, Gruppo ritmico, Giovani cantori, Blue dream, Filodrammatica e Sezione sportiva 8 palcoscenico Martedì, 6 novembre 2007 CARNET PALCOSCENICO rubriche a cura di Carla Rotta TEATRO Il cartellone del mese IN CROAZIA IN ITALIA Teatro Nazionale Ivan de Zajc - Fiume Teatro lirico Giuseppe Verdi - Trieste 10, 12, 13, 14, 15 novembre ore 19,30 Othello di W. Shakespeare. Regia Diego De Brea. Interpreti Adnan Palangić, Zdenko Botić, Eduard Černi, Denis Brižić, Alen Liverić, Damir Orlić, Mislav Čavajda, Predrag Sikimić, Dražen Mikulić, Csilla Barath Bastaić, Tanja Smoje, Nastazija Balaž Lečić 23, 24, 27, 28 e 29 novembre ore 19,30 Romeo e Giulietta balletto di S. Prokofjev. Regia Staša Zurovac. Interpreti - Corpo di Ballo del teatro “I. de Zajc” 2 novembre ore 20,30 Mozart in jazz con il Michele di Toro Jazz Trio 22, 23, 27, 28 e 30 novembre ore 20,30; 24 novembre ore 17; 25 novembre ore 16 Ernani di Giusepe Verdi. Regia Pier Luigi Pizzi. Interpreti Roberto Aronica, Boiko Zvetanov, Sondra Radvanosky, Latonia Moore, Ferruccio Furlanetto, Raphal Siwek, Franco Vassallo, Angelo Veccia. Dirige Stefano Ranzani 27, 28, 29 e 30 novembre ore 20 ZAJC OFF /Filodrammatica Nedjeljni ručak dramma di Ivica Prtenjača. Regia Tomislav Pavković. Interpreti Zdenko Botić, Olivera Baljak, Damir Orlić, Jelena Lopatić, Žarko Radić Teatro cittadino - Pola 15, 16 e 17 novembre ore 20 Ferocemente tenero di Martin Crimp. Regia Lawrence Kiiru. Interpreti Suzana Nikolić, Frane Perišin, Rade Radolović, Damir Šaban, Filip Nola, Romina Vitasović, Mia Krajcar, Nina Kaić, Nancy Abdal Sakhi, Filip Lugarić, Igor Galo Ciclo: Prosa 13, 15, 16 e 17 novembre ore 20,30; 14 e 18 novembre ore 16 I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni. Regia Antonio Calenda. Interpreti: Massimo Dapporto Ciclo: Altri Percorsi 1, 4 e 11 novembre ore 17; 2, 3, 5, 6, 7, 8 e 10 novembre ore 21; 9 novembre ore 19 Indemoniate drammaturgia di Giuliana Musso, Carlo Tolazzi. Regia Massimo Somaglino. Interpreti Sandra Cosatto, Marta Cuscunà, Riccardo Maranzana, Federico Scridel, Massimo Somaglino, Giovanni Battista Storti 10 novembre ore 20,30; 11 novembre ore 16 La variante di Lunenberg dal romanzo di Paolo Maurensig. Adattamento teatrale Paolo Maurensig. Interpreti Milva e Walter Mramor Maksim Mrvica 20 novembre ore 20 La quarta sorella di Janusz Glowatzky. Regia Samo Strelec. Interpreti Jelena Politeama Rossetti - Trieste Miholjević, Nataša Janjić, Bojana Gregorić Vejzović, Ivica Vidović, Dubravka Miletić, Nenad Cvetko, Boris Svrtan, Nenad Cvetko, Siniša Ružić, Vanja Drach, Ozren Grabarić, Hrvoje Klobučar, Franjo Dijak 20, 21, 22, 23 e 24 novembre ore 21; 22, 24 e 25 novembre ore 17 Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello. Regia Arturo Cirillo. Interpreti Arturo Cirillo e Monica Piseddu Ciclo: Musical e grandi eventi 1, 3 e 4 novembre ore 16; 1, 2 e 3 novembre ore 20,30 Peter Pan - Il Musical ispirato al romanzo di J.M.Barrie. Regia Maurizio Colombi. Interpreti Manuel Frattini, Claudio Castrogiovanni, Alice Mistroni e la partecipazione di Riccardo Peroni 20, 21, 22, 23 e 24 novembre ore 20,30; 25 novembre ore 16 Jekyll e Hyde - Il musical musiche Frank Wildhorn libretto Lesile Bricusse. Regia Federica Ferrato, Valeria Bafile. Interpreti Giò Di Tonno, Ilaria Deangelis, Nejat Isik Belen, Simona Molinari, Alberto Martinelli 29 e 30 novembre ore 20,30 Se stasera sono qui di Riccardo Cassini e Loretta Goggi. Regia Gianni Brezza. Interpreti Loretta Goggi 21 novembre ore 20 Concerto di Maksim Mrvica IN SLOVENIA Teatro cittadino - Capodistria 7 e 8 novembre ore 20 Don Chisciotte di Mihail A. Bulgakov. Regia Jaka Ivanc. Interpreti Vladimir Vlaškalič, Gregor Zorc, Gorazd Žilavec, Mojca Fatur, Danijel Malalan, Vesna Maher, Vesna Zornik, Davor Herceg 13 novembre ore 20 Come abbiamo amato il compagno Tito di Radoslav Zlatan Dorić. Regia Marjan Bevk. Interpreti Gojmir Lešnjak – Gojc, Teja Glažar, Miha Nemec, Branko Ličen 17 novembre ore 10 e 11,30 Topolino spettacolo per ragazzi di Josip Ribičič – Rokgre – Jurij Souček. Regia Robert Waltl. Interpreti Jurij Souček, Karin Komljanec / Vesna Slapar, Emir Jušič Piber / Igor Štamulak 9, 10, 11, 15 novembre ore 20 Eurofilia di Richard Bean. Regia Boris Kobal. Interpreti Renato Jenček, Barbara Vidovič, Lučka Počkaj, Tarek Rashid, Jagoda, Miro Podjed, Rastko Krošl, Barbara Medvešček, Igor Sancin, Zvone Agrež 10 novembre ore 17 Letterolandia spettacolo per ragazzi di Gregor Geča In Maja Gal Štromar. Interpreti Gregor Geča In Maja Gal Štromar 20 novembre ore 20 Il malloppo di Joe Orton. Regia Boris Cavazza. Interpreti Dare Valič, Maja Martina Merljak, Gorazd Žilavec, Primož Ekart, Jaša Jamnik, Jaka Varmuž 23 novembre ore 20 Concerto evergreen con Milka Cočeva, Mojca Maljevec e Jernej Kuntner 24 novembre ore 20 Dove sei amico mio concerto con il duo Silence 29 novembre ore 20 Fuori servizio spettacolo ospite dell’Associazione culturale Domovina Ciclo: Fuori abbonamento 7 novembre ore 21 Ornella Vanoni in concerto 8 novembre ore 20,30 Shaolin e Woodang Kung fu, l’altra faccia della Cina 16, 17 e 19 novembre ore 21; 18 novembre ore 17 Lei dunque capirà di Claudio Magris. Regia Antonio Calenda. Interpreti Daniela Giovanetti Ciclo: Danza & dintorni 27 e 28 novembre ore 20,30 Be extraordinary when you can be yourself di Daniel Ezralow e Arabella Holzbog. Regia Daniel Ezralow. Interpreti Erin Elliot, Marcus Bellamy, Djassi Dacosta Johnson, Santo Giuliano, Tyler Gilstrap, Anthony Heinl, Jeremy Hudson, Roberta Miolla, Ryan Novak, Jessica Vilotta La Contrada - Trieste 13, 14, 15, 16 e 17 novembre ore 20,30; 18 novembre ore 16,30 Il sottotenente Gustl dal racconto di Arthur Schnitzler. Regia Francesco Macedonio. Interpreti Marco Sgrosso 23, 24, 28, 29 e 30 novembre ore 20,30; 25 e 27 novembre ore 16,30 Antigone di Sofocle. Regia Giulio Bosetti. Interpreti Giulio Bosetti, Marina Bonfigli e Sandra Franzo Anno III / n. 9 6 novembre 2007 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: PALCOSCENICO Redattore esecutivo: Carla Rotta / Impaginazione: Andrea Malnig Collaboratori: Rossana Poletti, Daniela Rotta Stoiljković Foto: Belinda De Vito Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n. 1868 del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana.