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UN CAFFÈ CON...
Massimo Somaglino
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RECENSIONI
Indemoniate
Goldoni terminus
Pagina 3
RETROSPETTIVA
Il teatro di Zara
Pagine 4-5
ALFATEATRO
B come
C come
Pagina 6
TEATRO RAGAZZI
Peter Pan
Pagina 7
NOTES
Novembre CI
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CARNET PALCOSCENICO
Il cartellone del mese
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2 palcoscenico
Martedì, 6 novembre 2007
Massimo Somaglino
UN CAFFÈ CON...
Massimo Somaglino
Di Rossana Poletti
C
ome mai avete scelto uno
spettacolo su un tema
come quello delle indemoniate?
Non esisteva un testo, ma
un progetto. Nel momento in
cui abbiamo deciso di lavorare su questa storia, non c’era
altro che la storia su cui costruire. Noi siamo un piccolo
nucleo di persone, composto
da Carlo Tolazzi, in primis,
Riccardo Maranzana, Giuliana Musso e il sottoscritto, che
da qualche anno sta seguendo un percorso di scavo nelle
storie friulane e più in generale del nord est per ricavarne
materiale da raccontare. Dapprima abbiamo fatto “Cercivento”, un lavoro sugli alpini
della prima guerra mondiale,
e “Resurequie” un’altra storia carnica. Quando ad un
certo punto delle nostre ricerche ci imbattiamo in un materiale storico che in partenza si
presenta come una bella storia
da raccontare allora su di essa
individuiamo dei percorsi artistici letterari e drammaturgici
per raggiungere un risultato
che ci soddisfi.
Veniamo allo spettacolo che
avete appena allestito “Le indemoniate”. Nella “cultura” dei
giorni nostri, quando si attacca
la chiesa generalmente, o una
qualsiasi altra istituzione, è difficile che si risparmi qualche
suo esponente, voi invece trattate molto bene il parroco della
comunità, l’unico esponente della chiesa in scena, per lui avete
quasi un occhio di riguardo.
Si, è vero. Questo è accaduto perché in realtà nell’allestimento delle Indemoniate
abbiamo cercato di assumere
il punto di vista della comunità. Quando abbiamo lavorato sul materiale che avevamo
trovato ci siamo resi conto che
i documenti che ci erano pervenuti erano totalmente maschili e, come posso dire, del
potere: c’erano i resoconti giudiziari dei carabinieri, le lettere del vescovo che scrive al
parroco, tutti i trattati scientifici e le relazioni del medico, il
dott. Franzolini, che scrive. Di
queste quaranta donne c’erano
solo due o tre nomi e niente più
e assolutamente non parliamo
neanche del loro punto di vista. Abbiamo quindi deciso di
assumerci in maniera anche
piuttosto arbitraria il punto di
vista loro, delle donne, delle malate. In
fondo anche
la storia della
psichiatria è
L’udinese Massimo Somaglino, classe 1960 è
teatrante dal 1979. Tra il 1980 ed il 2002 partecipa come attore a numerose produzioni teatrali
con compagnie nazionali tra cui: “Macbeth” diretto da Zlatko Bourek presente al Mittelfest del
1994, “I Turcs tal Friul” di Pier Paolo Pasolini e
“Caligola” di Albert Camus, entrambi con la regia di Elio de Capitani, “Bigatis” di Elio Bartolini e Paolo Patui al Mittelfest 2000 e poi “Ballando con Cecilia” di Pino Roveredo, per la regia
di Francesco Macedonio. Segue nel frattempo un
percorso personale che ora lo coinvolge in modo
esclusivo e di cui le tappe più significative sono:
“Zitto, Menocchio!”, di Renato Gabrielli al Mittelfest del 1996, “Caterina e il Mamaluc”, scritto con Eugenio Allegri , “Acqua, il sogno” di cui
è autore ed interprete, “La crudel zoiba grassa”,
scritto con Giuliano Bonanni, realizzato in coproduzione da l’Accademia de gli Sventati con il
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Nell’estauna storia di medici e non una
storia di malati. Quindi partendo dal punto di vista della
comunità, abbiamo prima demonizzato a nostra volta il parroco, tutta la religione e tutta
la cultura religiosa oppressiva
della montagna dell’ottocento,
naturalmente. Poi abbiamo rivalutato il parroco, perché ciò
te 2000 dirige ed interpreta per Avostanis la prima messinscena di “Infin il Cidinor”, testo realizzato per il friulano dal drammaturgo ungherese
Miklos Hubay. Nel dicembre seguente, dirige per
il Teatro Club Udine un’altra prima assoluta: Resurequie, testo in lingua carnica di Carlo Tolazzi. Nel 2001 scrive e realizza con Giuliana Musso “Nati in casa”, di cui dirige anche la versione video, trasmessa su Rai3 nel 2004 nell’ambito
del programma “Report”. Prosegue la sua attività con “Cercivento” di Carlo Tolazzi, prodotto da
Teatro Club Udine al Mittelfest del 2003, “Parlamentarmente”, studio teatrale realizzato con Riccardo Maranzana e Carlo Tolazzi, “Sexmachine”,
spettacolo di Giuliana Musso, di cui è regista; infine nel 2005 a Codroipo ha presentato il suo ultimo
lavoro “Achtung Banditi!”, concerto teatrale per
la Resistenza, di cui è regista ed interprete. Svolge
costante attività radiofonica come attore presso la
Rai e tiene laboratori e corsi di teatro.
che appare dalla ricerca è che
lui sia l’unico ad aver cercato
di assumere a sua volta il punto
di vista della comunità. Ha accettato cioè di fare quello che
la comunità stessa gli chiedeva
di fare, contrariamente invece
agli altri poteri forti, al potere
scientifico che noi in scena affidiamo al ruolo del dott. Franzolini, al potere politico con il
sindaco, che invece sono intervenuti in maniera esclusivamente repressiva. Non riabilitiamo il pensiero religioso che contraddistingue
il fondo della storia,
ma
sicuramente
alla fine del percorso ci è sembrato
che il parroco fosse
l’unico che riuscisse
realmente ad essere in contatto con la comunità a cui apparteneva.
Voi siete molto attenti al lato
umano delle persone, vere protagoniste della vicenda. Contano di
più per voi gli uomini che le ideologie e le guerre tra poteri.
Questo è il lavoro del teatro.
Tutte queste culture, questi pensieri, questa filosofia diventano
carne in scena, diventano persone che si fanno carico
di questo. Vuol dire
che ci siamo riusciti, questo è uno dei
più grandi complimenti che si
possa fare a chi
fa teatro.
Non sempre si
riesce: conta forse la struttura del
linguaggio che avete
usato.
Questa è una chiave
per l’autore; dal punto
di vista linguistico si può
attribuire questo tipo di
scelta a Carlo Tolazzi, che
è il Carnico della vicenda,
perché lo è di origine. In
questo percorso, che ha seguito anche in testi precedenti da un po’ di tempo
a questa parte, Tolazzi è
molto attento alla qualità del linguaggio. Sta
sempre attaccato ad
una sorta di forma
popolare del linguaggio, non ricerca un linguaggio auli-
co. La poesia nasce semmai dall’emozione. Adopera la lingua
abbassandone la parte culturale ma cercando di esaltarne la
parte poetica. Sta direttamente
in contatto con l’uomo. Questo
è intrinseco al suo modo di essere, Carlo si trova molto più a
suo agio se si pone direttamente
a contatto con le persone, senza sovrastrutture culturali e
anche senza porsi la questione
dal punto di vista poetico.
Come ti sei posto di fronte alla
regia dello spettacolo?
Intanto devo dire che la regia dell’allestimento finale è soltanto l’ultima tappa di un lunghissimo percorso che è iniziato
nel 2005 quando abbiamo cominciato a lavorare su questo
progetto. Non ci siamo divisi i
compiti subito: “tu fai la drammaturgia, io faccio la regia, lui
il protagonista”. Abbiamo viaggiato insieme a lungo con questo gruppo di persone cercando
di condividere il più possibile il
lavoro. È stata una regia molto
democratica che porta con sé il
contributo di tutti e tiene conto delle opinioni di tutti, anche
perché le opinioni si sono formate senza contrasti. Eravamo
sostanzialmente tutti d’accordo
rispetto a quanto affrontavamo,
quando compariva una nuova
intuizione rispetto ad una parte
del problema la facevamo subito nostra. Non ci sono stati contrasti interni, fatiche sì ma non
contrasti. C’è una locandina
che dice che la drammaturgia è
di questo, la regia di quello, ecc.
ecc. In realtà questo lavoro è
veramente un viaggio condiviso,
e di questo sono felice perché secondo me il teatro si fa così.
Una bella lezione, quindi, per
quanti si accingono a fare teatro
contemporaneo.
Non vogliamo dare lezioni a
nessuno, per l’amore del cielo, è
solo il nostro modo di lavorare.
La prossima tournée con lo
spettacolo?
Per ora abbiamo solo alcune
date, una compagnia di sei attori non è così facile da sostenere
a lungo. Individueremo dei periodi in cui lavorare assieme.
Vorrei tanto andare in tournée
perché non portiamo solo noi
nei teatri ma “una cultura”. C’è
una forte identificazione tra la
compagnia, la materia trattata
e la cultura di appartenenza e
quindi mi piacerebbe che questo
potesse essere visto.
palcoscenico 3
Martedì, 6 novembre 2007
Donne di fragilità vestite
LA RECENSIONE Indemoniate
Donne di fragilità vestite
C
ome pensare che fatti
realmente accaduti come
quello delle “Indemoniate” di Verzegnis, che ha debuttato alla sala Bartoli di Trieste e
prodotto dal Teatro Club di Udine, con la collaborazione dello
Stabile Regionale, non abbiano attinenza con la quotidianità, dopo che anche di recente
sono rimbalzate alla cronaca le
terribili testimonianze di bambini e ragazzi accusati di stregoneria in Congo. Come si fa
a chiudere gli occhi davanti a
fatti violenti come l’omicidio di
Hina, per mano del padre e dei
parenti maschi della famiglia,
e non pensare che questa è solo
una delle tante atrocità commesse in nome dell’ignoranza, della creduloneria, ma anche dell’esercizio del potere di chi domina e istiga con il ricatto della
fede, dell’onore e delle leggi della “tribù”. Ogni giorno donne e
bambini, da sempre gli elementi
più deboli della società, subiscono violenze inaudite, stupri, brutali aggressioni, costrizioni fisiche e psichiche nell’occidente
evoluto e civile; immaginiamoci
cosa può succedere nelle realtà
più povere e reiette.
Il fatto è che questo spettacolo
rinnova nello spettatore il dolore
per tanta fragilità umana con una
vivezza a cui siamo ormai poco
abituati. Ci sono molteplici elementi che contribuiscono a risvegliare questa sofferenza e a partecipare con la pietà umana. Uno di
questi è sicuramente il testo drammaturgico.
Carlo Tolazzi e Giuliana Musso hanno scritto un’opera che è
evidente frutto di una profonda e
meditata elaborazione. Sono riusciti a trarre dalla cronaca i fatti
salienti della vicenda e a infondere nei personaggi i sentimenti
e attraverso di essi l’analisi cruda
e reale della storia.
Verzegnis è un piccolo paese
della Carnia dove a partire dalla primavera del 1878 almeno
una ventina di donne si trovarono coinvolte loro malgrado in
una sorta di delirio collettivo. Una
dopo l’altra le poverine davano in
escandescenze, vomitavano, bestemmiavano, dicevano oscenità. Gli esorcismi di don Giovanni, prete del paese, furono vietati
dopo un tentativo di scacciare il
diavolo durante una cerimonia in
chiesa, esperimento che degenerò
in caos. Un conflitto tra potere ci-
LA RECENSIONE Goldoni terminus
Una soap secolare
Scuole e geografie diverse per leggere Goldoni.
Lavorando sui canovacci del Grande, Tena Štivičić
(Croazia), Edoardo Erba (Italia) e Rui Zink (Portogallo) hanno impastato “Goldoni terminus”, tratto,
ispirato da “Le avventure di Camilla e Arlecchino.”
Che avventure sono? Avventure da soap, si direbbe
oggi, con la TV che (mal) insegna. Un po’ di soldi,
un po’ di sesso, un po’ di intrighi, cospargere di musica, balli, infornare e lasciar cuocere per...
Due ore di spettacolo in un atto unico; per una
resa migliore, ci viene da dire, contro le tre ore (e
un po’) delle prime messinscena portate anche fuori casa, a Venezia alla Biennale, in altri teatri d’Italia e Portogallo. Decisamente troppo perchè è impossibile concentrarsi per tanto tempo e allora, per
l’impazienza, qualcosa deve pagare lo scotto con
tanto di perso per il progetto.
Ancora una volta, Venezia (e dove sennò, considerato che la materia prima l’ha messa Carlo Goldoni?), un albergo, il suo vecchiotto proprietario
(Pantalone), la sua famiglia (una moglie interessata ai soldi e non tanto a lui; un figlio più incapace
che intraprendente), la schiera di servitori (Camilla che Pantalone allegramente palpeggia mentre lei
altrettanto allegrammente lascia fare; Arlecchino
fidanzato di Camilla, ovviamente squattrinato) e
altri.
Come vuole il proverbio, i soldi fan guerra, creano i prepotenti e quelli che subiscono. La famiglia,
che alla morte di Pantalone si vede decurtata di
buona parte delle sostanze che vanno a Camilla, fa
di tutto, con l’aiuto di avvocati-avvoltoi, pur di toglierle i soldi. Anche Arlecchino, che pure di Camilla è innamorato, si lascia coinvolgere in una brutta trama di dritto e rovescio. Camilla, delusa, lascia
soldi e tutti e decide di realizzare il suo sogno, quello di cantare. Ma lo showbusiness è trappola che le
toglie, tanto per cominciare l’identità (può far strada una che si chiama così semplicemente Camila?
Noooo, ci vuole un nome più smaliziato), poi, cantare si trasforma da sogno in professione e allora,
delusa ancora una volta da tutto e da tutti, Camilla
sceglie la morte.
A secoli di distanza, Goldoni resta attuale. Ma
in fondo, in crinoline o in mutande, l’uomo è fatto
della stessa pasta.
Hanno fatto spettacolo, oltre alla rilettura, la
scena (essenziale: un parallelepipedo nel quale
scorrono gli sfondi, quasi fosse una gabbia), la musica (dai Bee Gees al fado ad un improbabile Elvis chitarrarmato in fugaci apparizioni), le danze,
il video (per il funerale sull’acqua di Pantalone). I
personaggi potrebbero avere nomi qualunque della
quotidianità. L’albergo potrebbe essere una qualsiasi azienda a conduzione famigliare. Il proprietario... la segretaria (un po’ di sesso, un po’ di soldi)...
un’apparizione TV per una trasmissione cerca-talenti, la macchina stritolatrice dell’universo spettacolo, tradimenti, gelosie e ci siamo. Dacci oggi la
nostra soap quotidiana.
Ottimo il cast. Prepotentemente in luce Elena
Brumini, in scena instancabilmente dall’inizio alla
fine in tutto quello che fa spettacolo, recitazione,
canto, danza.
Firma la regia Toni Cafiero, scene di Josè Manuel Castanheira e musica di Darko Jurkovic. Intrepreti Giovanni Battaglia, Leonora Surian, Mirko Soldano, Rosanna Bubola, Elena Brumini,
Rita Cruz, Woody Neri, Massimo Nicolini, Piergiuseppe di Tanno. Scritto a tre e prodotto a tre:
Dramma Italiano di Fiume, Teatro Stabile della
Sardegna e Teatro Nazionale “Doña Maria II”
(Lisbona).
vile e chiesa si scatenò di fatto e
la diatriba si trascinò anche sulle
pagine dei giornali locali, diversamente schierati.
In scena la vicenda è narrata
a partire dalla storia di Margherita Vidusson, ragazza da cui si
credeva fosse iniziata la possessione. Margherita è una giovane donna che alle soglie del matrimonio ha una paura terribile
del futuro marito che il padre le
ha destinato. Teme che sia violento, preferirebbe finire in convento piuttosto che sottoporsi a
tale prova. La fame, la carestia,
la povertà della Carnia di quegli
anni sono peraltro desolanti, sopravvivono soltanto i più forti, le
malattie si portano via uomini e
donne, giovani e vecchi. In questo contesto, il padre non vuole
e non può sentire ragioni, deve
liberarsi di una bocca da sfamare, ma nel contempo tenerla sufficientemente vicino a sé, perché
continui ad aiutare nei campi e in
casa. Gli uomini a quel tempo abbandonavano la famiglia da marzo a ottobre per andare a trovare
lavoro altrove e donne e bambini
accudivano le bestie e coltivavano la terra da soli, in un’epoca in
cui l’unica tecnologia conosciuta
era la forza delle braccia. Quando poi tornavano a casa d’inverno, lasciavano incinte le mogli
che avrebbero dovuto continuare
a farsi carico di tutto con un fardello in più. È un mondo, quello
descritto con veloci pennellate nei
dialoghi tra Margherita e la madre (Marta Cuscunà e Sandra
Cosatto), tra queste e il parroco
(Fabiano Fantini), in cui non
c’è speranza nel futuro, “è sempre stato così” dice alla figlia per
toglierle qualsiasi illusione che
per lei il futuro possa riservare
qualche cosa buona. È la filosofia dura e cruda del popolo carnico e friulano che ha sempre fatto
i conti con un territorio ingrato e
con una storia ingenerosa: la terra povera e la guerra che troppo
frequentemente faceva muovere
gli eserciti avanti e indietro depredando e devastando tutto. Non c’è
quindi da stupirsi che Margherita
preferisca questa strana malattia
demoniaca a quello che le hanno riservato la vita e la famiglia:
“nessuno mi sposerà finché sono
in questi stati, e a me va bene
così” le fanno dire i due autori. Il
parroco è un povero cristo, avul-
so dalle lotte del potere, sa di non
avere la forza per opporsi a questo male, ma sa anche che soltanto tenendo unito e solidale il suo
piccolo gregge, gli eviterà il peggio. Ma a niente valgono i suoi
sforzi perché il rimbalzare della
vicenda sulle cronache della città
indurranno il prefetto a mandare
in loco un medico, tal dott. Franzolini (Riccardo Maranzana), il
quale più attento al trionfo della
scienza che alle esigenze e alla
salute della gente, compirà l’atto
finale, facendo intervenire l’esercito e ricoverare diciassette donne
nel manicomio di Udine. Qui gli
stenti, i pidocchi, e i soprusi continueranno a perseguitare le sventurate su cui si abbatterà anche
la sciagurata sperimentazione
medica del Franzolini e dei suoi
colleghi che si glorieranno dell’aver tentato nuove tecniche per
ammorbidire le donne: l’estirpazione delle ovaie. Molte moriranno, alcune sopravviveranno agli
interventi pagando a caro prezzo
quell’esperienza. Il trionfo della scienza appare così effimero
e transitorio nelle gesta degli interpreti, e gli uomini, il podestà, il
prefetto e il vescovo, così meschini. Il linguaggio che i due autori
usano è scarno, asciutto, efficace.
Il tessuto linguistico lascia intravedere costruzioni ed espressioni
tipiche del friulano che rendono
ancor più originale ed espressivo
il testo, perché la lingua è l’anima
di un popolo, è attraverso questa
che esprime il proprio essere più
profondo. Gli attori di cui abbiamo già detto a cui si aggiungano
Federico Scridel, nella parte del
matto del villaggio, e Massimo
Somaglino, nei panni alternativamente del podestà e del secondo medico, sono bravi a tal punto
da non aver niente da invidiare a
nomi celebrati del teatro italiano,
il loro è inoltre un pregevole lavoro corale. La regia poi di Massimo Somaglino è veloce, non concede pause, non accenna a cadute, tiene sempre lo spettatore con
il cuore in gola e con la lacrima
in fondo all’occhio.
Senza scene se si esclude un
tavolo, una sedia e un lavandino,
per costumi gli stracci della povera gente (di Belinda De Vito), la
ricchezza dello spettacolo non è
in quello che si vede, ma in quello
che lo spettacolo è.
Rossana Poletti
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palcoscenico
Martedì, 6 novembre 2007
Martedì, 6 novembre 2007
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RETROSPETTIVA Il teatro di Zara
Dal Nobile al
Di Gastone Coen
«A
Zara non si frequenta il
teatro soltanto per convinzione o per abitudine: lo si frequenta per passione”
– constatava più di un secolo fa il
periodico “Scintille”.
Una passione plurisecolare che
sfociò nell’erezione del Teatro Nobile, in contrada S. Antonio, pressapoco dov’è oggi quello Nazionale, nel 1783.
Era un teatro sociale, con tre
ordini di palchetti (74 in tutto, più
quello di rappresentanza) e venne
a costare 3.000 zecchini. Era amministrato da due “nobili presidenti”,
eletti dall’assemblea annuale dei
compatroni, ed essi provvedevano
al repertorio, alla scritturazione
degli artisti e degli impresari. Curavano inoltre la stampa dei libretti delle opere liriche che venivano
rappresentate.
Il pubblico preferiva le opere
liriche e quelle buffe, specie quelle del Cimarosa, del Rossini, del
Bellini, del Donizetti, del Mercadante, che arrivavano sulle scene
zaratine solo uno o due anni dopo
la loro prima assoluta a Venezia o
a Milano.
Primarie compagnie di prosa
venivano dall’Italia con drammi e
commedie, tenendo aggiornato il
pubblico, sempre avido di novità.
Vi calcarono le scene Ernesto Rossi, il celebre caratterista Antonio
Papadopoli, zaratino, Ermete Novelli fanciullo, Eleonora Duse bambina. Vi ebbero luogo cavalchine e
veglioni.
L’attività centenaria del teatro venne dettagliatamente e magistralmente ricostruita da Giuseppe Sabalich nella sua “Cronistoria
aneddotica del Nobile Teatro di
Zara”, “gustoso affresco della vita
sociale d’una città di provincia, in
fondo calma e serena, in un secolo
tormentato“ (M. Perlini).
Il 18 gennaio 1882, dopo il disastroso incendio del Ring Theater
viennese, il Nobile, nel frattempo
diventato teatro della Società Filodrammatica Paravia, interdetto
per feste pubbliche e private, dovette chiudere i battenti.
Intanto, però, dopo che Spalato, l’eterna rivale, aveva inaugurato il suo Teatro Bajamonti (1859) e
Ragusa quello Bonda (1863), oggi
“Marin Držić”, la coscienza campanilistica zaratina fu scossa. E la
ducal città volle il suo nuovo, splendido teatro.
fidata all’ingegnere locale Miho
Klaić.
Dai conti Lantana fu acquistato, per 6.000 fiorini, un fatiscente
palazzotto, già dimora dei vescovi di Nona, attorniato da orti e catapecchie, al civ. n. 414 di Campo
Castello.
I lavori ebbero inizio il 25 aprile 1864, assai prima che da Vienna
giungesse il nulla osta.
La costruzione venne affidata all’imprenditore locale Angelo
Cantù (proti muratori Nicolò Trigari e Giovanni Mazzoni), l’ossatura interna a Francesco Fabbrovich, coadiuvato dai maestri d’ascia
Francesco Fisser, Guglielmo Zillio,
Giacomo Užigović, la decorazione
interna al triestino Leone Bottinelli
e al veneziano Carlo Franco, il palcoscenico a Jacopo Caprara.
Il teatro che era costato ben
110.000 fiorini era pronto ad accogliere il pubblico la sera del 10 settembre 1865, quando vi si dette una
festa di commiato per il governatore barone Lazzaro de Mamula. Fu
però inaugurato ufficialmente la
sera del 7 ottobre 1865, vigilia del
Santo patrone S. Simeone Giusto
profeta (quando, tradizionalmente, aveva inizio la stagione teatrale)
con l’opera “Un ballo in maschera”
di Giuseppe Verdi. Maestro concertatore e direttore d’orchestra di
questa stagione lirica era il mo Antonio Ravasio (1835-1912), allievo
del Conservatorio milanese, m.o di
capella della basilica metropolitana
di S. Anastasia, che scritturò in Italia i cantanti Lena Tencajoli, soprano, Fanny Guillemin, soprano leggero, Ercole Storti-Gozzi, baritono,
Giuseppe Wagner, basso.
Il teatro era lungo 44,50 metri.
La sua facciata principale (nell’ordierna Via Biankini, già del Teatro Nuovo) e quella che dava sullo
spiazzo del Castello (Trg 3 bunara)
erano neorinascimentali. Sopra i 5
finestroni principali che sormontavano le arcate del porticato, in cinque nicchie erano sistemati i busti
del Goldoni, del Rossini, dell’Alfieri, di Teobaldo Ciconi, in mezzo ai
quali troneggiava quello di Dante
piano). Al secondo piano, dalla
parte opposta del palcoscenico,
v’era la sala per i concerti della
Filarmonica (con 400 posti) e le
salette adiacenti. I tre ordini di
palchi, 25 per ognuno, circondavano a foggia di ferro di cavallo
la platea. Li sovrastava il loggione. I palchi erano sfarzosamente
decorati.
Magnifici i lampadari. Sul “plafond”, verso il boccascena v’era un
affresco allegorico di grandi dimensioni “Il trionfo del progresso”
del pittore triestino, allora abbastanza noto, Antonio Zuccaro. La
sala era stupendamente armonica.
Nella serata inaugurale, stando ai giornali dell’epoca: “La sala
teatrale presentava uno spettaolo
incantevole... lo spettatore poteva
ritenersi quasi magicamente trasportato in una grande città, sede
della moda e della ricchezza”.
Sfarzosamente fu addobbato
il Teatro per il galà offerto dalla
Società Filarmonica all’imperatore Francesco Giuseppe in visita
a Zara nel maggio del 1875 e che
assistette pure ai due primi atti de
“Un ballo in maschera” verdiano.
Per decenni e decenni, dalla
sera della sua inaugurazione quasi fino alla sua tragica fine, il teatro fu il fulcro della vita culturale, e
non solo culturale, zaratina. Vi ebbero luogo spettacoli di vario genere: opere liriche, operette e balletti, commedie e drammi, spettacoli
di varietà, film muti e sonori, balli
e veglioni. E da sei a otto concerti
annuali della Società Filarmonica
(fondata nel 1858), nella apposita sala capace di 400 posti a sedere, mentre il teatro poteva ospitare
1.500 spettatori (ben trecento il loggione) in una città che aveva sì e no
dai sette ai diecimila abitanti.
il termometro
dell’agiatezza
Si andava a teatro per passione dell’arte, per diletto e per svago,
ma anche per sfoggiare gli abiti testé arrivati da Vienna o da Parigi,
gli ori e gli gioielli di famiglia, per
Alighieri. Per le cinque porte d’ingresso si entrava nel vestibolo e nell’atrio, pure di stile rinascimentale.
A sinistra il caffè e le salette del “fumoir” a destra invece gli uffici della
direzione e gli uffici.
La platea e il sottoscena si trovavano al pianterreno. Due scalinate davano accesso ai palchi
di peppiano (mezzanino) e agli
ambulacri dei palchi di prima
fila (al primo piano), di seconda
fila e all’ampio loggione (al terzo
corteggiare o essere corteggiati, per
chiacchierare e spettegolare durante gli intervalli. Possedere un palco
era simbolo di decoro e di prestigio,
di appartenena all’élite cittadina.
Le solite “Scintille” constatavano:
“Al nostro teatro accedono dal professore al facchino, dalla presidentessa alla cameriera di birreria. Il
teatro per noi è il termometro dell’agiatezza. Chi non va a teatro dieci volte su venti è al secco di quattrini“.
Tra i grandi attori che Zara
ospitò in questo periodo segnaliamo Alda Borelli, Ferruccio Benini,
Eleonora Duse, Alfredo de Sanctis,
Alessandro Drago, Ferruccio Garavaglia, Irma Gramatica, Giovanni Grasso, Angelo Musso, Ermete
Novelli, Giacinto Pezzana, Italia
zettiana Lucia di Lammermoor e
ne calcarono le scene le cantanti
Ester Mazzoleni, sebenzana, e Albina Nagy, alias Nilba Agis, zaratina.
Parecchie le operette interpretate dalla compagnia di Jole Pacifici e Gino Bianchi, gli spettacoli della Filarmonica zaratina, diretta dai
maestri Luigi Colonna di Stigliano
e Fredi de Pauer Peretti, i concerti simfonici del rinomato Quartetto
triestino e le riviste “grottescomicosentimental danzanti” dei Castelli sen. e jun. con il corpo di ballo
delle Battara’s girls.
inagibile per vetustà
e difetti
palchettisti contribuivano al sostegno degli spettacoli con un canone
sociale, votato di anno in anno dall’assemblea annuale degli azionisti, convocata di regola il 20 marzo, e che eleggeva biennalmente, a
scrutinio segreto, la presidenza del
sodalizio, composto da 3 presidenti e 2 sostituti, alla quale era affidata la scelta del repertorio, degli
impresari, degli artisti e dei capocomici, i contatti con le agenzie
teatrali e con i teatri provinciali ed
esteri, le migliorie da farsi. Almeno uno dei presidenti doveva assistere alle prove generali di ogni
spettacolo.
La stagione lirica era sovvenzionata dalla Luogotenenza e dal
Municipio (successivamente dall’amministrazione provinciale e
comunale).
Nell’allestimento delle opere liriche, la direzione poteva fare affidamento su validissimi elementi
locali, su bravi maestri, violinisti
e professori d’orchestra, sui musicanti delle ottime i.r. bande reggimentali, sui provetti dilettanti della
Società Filarmonica, su ottimi cantanti e bravi coristi.
La stagione lirica era articolata
di regola su 24 rappresentazioni di
3 opere, delle quali una doveva essere nuova per Zara, una del repertorio moderno, ma già rappresentata, una di quello classico.
grandi nomi
e grandi titoli
secondi a nessuno!
Ne lanciò l’idea il musicista
e critico musicale Giovanni Salghetti Drioli, della famiglia dei
noti distillatori di maraschino, e
alcuni appartenenti della “crème
de crème” zaratina (tra cui l’avv.
Natale Filippi, il dott. Simeone
Cattich, il cav. Antonio de Stermich di Valcrociata, l’industriale Nicolò Luxardo, il possidente
Giuseppe Perlini) costituirono
una società per azioni, quella
del Teatro Nuovo, appunto. Venne eletta una commissione del sodalizio, che incaricò l’architetto
veneziano dott. Enrico Trevisanato, noto progettista di teatri, di
elaborare il progetto dell’edificio,
attenendosi però ai suggerimenti
della commissione stessa, mentre
la direzione dei lavori venne af-
Il Teatro Nuovo, dal 1901 Teatro Giuseppe Verdi, era, come
tanti altri dell’epoca, un teatro
sociale, proprietà degli azionisti,
posessori dei 48 palchi di prima
e seconda fila e di un quarantottesimo dell’edificio. Possedere un
palco era uno “status symbol”. I
Pur rimanendo fedele al repertorio lirico classico (Verdi, Rossini, Donizetti), il pubblico impazziva anche per Massenet, Gounod e
Bizet, applaudiva il “Tannhäuser”
wagneriano, nonchè le opere della
scuola verista italiana. La “Bohème” di Puccini, ad esempio, è sulle scene zaratine solo un anno dopo
il suo debutto torinese, mentre il
“Mefistofele” del Boito venne replicato ben 11 volte sera dopo sera.
Molto gradita pure la piccola lirica. Per quanto riguarda la prosa,
vennero recitate le produzioni di
tutto il teatro francese, molti capolavori di quello inglese, tedesco,
ibseniano, russo (“I piccoloborghesi” del Gorkij già nel 1904), per non
parlare di quello italiano. Il teatro
dannunziano non ebbe favorevole
accoglienza.
Vitaliani, Ermete Zacconi, Emilio
Zago. Qualche compagnia portò
sulle scene fatture di autori zaratini, particolarmente le commedie ed
i monologhi dialettali di Giuseppe
Sabalich.
La stampa, sia zaratina che
croata, seguiva attentamente i lavori del teatro.
la concorrenza
del “cine”
Dal 1918 il Teatro Verdi vegetò. Forte era la concorrenza del
cinematografo e del nuovo supermoderno Cineteatro Nazionale di
Aldo Mestrovich, sorto nel 1924
sulle spoglie del Nobile, con 800 posti. Che assecondando i gusti di larghi strati del pubblico, alternando
pellicole di prima visione, a spettacoli di varietà (con il celebre attore
triestino Cecchelin), riviste e operette dalla sfarzosa messa in scena.
Spesso a prezzi stracciati.
Gli azionisti del Teatro Verdi,
rovinati dal crollo della finanza austriaca, soppiantati da una nuova
classe dirigente d’estrazione piccolo borghese, non potevano più
far fronte alle cospicue spese per
il funzionamento regolare del Teatro. Il fondo teatrale, accumulato
per mezzo secolo e investito in titoli
di rendita austriaci, s’era volatilizzato. Le compagnie artistiche raramente s’avventuravano a compiere
tournée circoscritte alla sola Zara
per poche recite e scarso incasso.
Ciò nonostante il pubblico zaratino ebbe modo di conoscere il teatro contemporaneo di Sem Benelli,
Dario Niccodemi, Luigi Pirandello,
Pier Maria Rosso di San Secondo
e gli attori in ascesa Cesco Baseggio, Mario Calindri, Gino Cervi,
Nunzio Filogamo, Fosco Giachetti,
Emma e Irma Grammatica, Maria
Malato, Tatiana Pavlova, Emilio e
Gualtiero Zago.
A tener vivo l’interesse per la
prosa contribuirono le esibizioni,
sia al Verdi che al Nazionale, delle
ottime filodrammatiche locali.
Fino al 1937 venne rappresentata al Verdi una ventina di opere
liriche, tra cui alcune per la prima
volta a Zara, come la “Turandot”,
“I Rusteghi” di E. Wolf Ferrari, la
“Francesca da Rimini” di Riccardo
Zandonai. Nel 1932 la celeberrima
Toti dal Monte si esibì nella doni-
Ma, nell’autunno del 1936, il
Verdi “per vetustà, per difetti inerenti alla sua costruzione, non eliminabili se non a mezzo di una sua
radicale trasformazione” venne dichiarato inagibile dalla Questura,
mentre stagioni liriche si svolgono all aperto, in Piazza delle Erbe
e sullo spiazzo davanti la scuola
Bakmasz. Il Teatro intanto viene
espropriato e riscattato dal Comune (a cinquemila lire per azione).
Con delibera del podestà Giovanni Salghetti Drioli, nipote dell’ideatore del Teatro, la sua ricostruzione si affida all’architetto Vincenzo
Fascolo, spalatino, professore della Facoltà di Architettura a Roma,
membro dell’Accademia di San
Luca e della fabbriceria di San
Pietro, e a Paolo Rossi de Paoli,
costruttore della Bolzano Nuova.
Secondo il loro progetto che “doveva salvare quanto del vecchio edificio era ancora utilizzabile” il teatro
doveva avere la facciata principale
rivolta verso Campo Castello, essere costruito con criteri modernissimi, avere 1.400 posti a sedere e una
sala pure di caratteristiche e stile
moderno, un palcoscenico profondo 15 metri. La spesa complessiva
preventivata era di 8 milioni novecentomila lire, già assicurate dal
Comune, con il concorso dello Stato. Nell’autunno del 1942 i lavori
preparatori s’erano già iniziati.
la condanna dal cielo
Ma il 16 dicembre 1943 e il 22
febbraio 1944, nel corso dei bombardamenti alleati, il Nazionale fu
danneggiato e il Verdi colpito. Una
bomba aveva fatto uno squarcio di
3-4 metri di diametro sul tetto sovrastante la platea, ma erano rimasti in piedi i muri, la bella facciata
neorinascimentale, buona parte
dell’interno. Tanto che dalle sue occhiaie, ormai vuote, si potevano intravvedere gli stucchi dei palchetti
e le eleganti poltroncine rosse.
Mentre il Nazionale, rabberciato alla meglio, rientrò in funzione il 27 marzo 1945, il Verdi fu
lasciato deperire. Erano riparabili
sia il tetto che le altre sue strutture,
ma l’assessore alla cultura Vlado
Pilepić vi s’oppose. La polizia chiuse non uno ma tutt’e due gli occhi,
mentre la gente faceva man bassa
di tutto quello che era asportabile
dal Teatro ferito. Poi le autorità ordinarono di asportarne le massicce
travi di sostegno per costruire un
ponticello sul torrente Karinšćica
nei pressi del villagio di Karin. Demolitene le strutture, nel centenario dell’inaugurazione, sorse al suo
posto un’orrenda dozzinale casa
popolare.
6 palcoscenico
Martedì, 6 novembre 2007
Personaggi del palcoscenico dall’A alla Z
«B»
come
...
«B» come ... ...Balanzone
...Brighella
Il destino nel nome: Brighella
deriva da “briga” ed è personaggio
attaccabrighe, insolente e dispettoso; per Arlecchino, un compare su
misura. Servo della commedia dell’arte, nasce a Bergamo. Ma a differenza del compare, Brighella non
si limita a fare il servo e si allarga a
mestieri non sempre leciti ed onesti.
Comprensibile quindi che si trovi
sempre in mezzo ai guai, ma siccome la necessità aguzza l’ingegno, se
ne esce sempre. Indaffarato, quindi, prima ad escogitare intrighi ed
inganni per abbindolare il prossimo, deve poi trovare la ricetta per
salvarsi. È intrigante, furbo e senza scrupoli, bugiardo (anzi, bugiardissimo) con convinzione, abile nel
cantare, suonare e ballare. Veste
giacca e pantaloni decorati di galloni verdi, scarpe nere con pon pon
verdi. Su tutto, un mantello bianco
con due strisce verdi, maschera e
cappello neri.
«C»
come
«C» come ...
Balanzone - anche Dottor Balanzone (deriva da balanza, bilancia, allegoria della Giustizia), è maschera di origine bolognese ed è
un “vecchio” della Commedia dell’Arte.
È serio, sapientone e presuntuoso e spesso si lancia in verbosi discorsi infarciti di citazioni colte in latino maccheronico.
Pignolo, cavilloso, prodigo di inutili insegnamenti e di consigli
inappropriati, trova scuse per iniziare infiniti sproloqui dotti. Si vanta dei suoi titoli, dice di conoscere ogni campo della scienza umana:
legge, medicina, astrologia, filosofia; di esse parla in maniera noiosa, mescolandole in un groviglio inestricabile.
Ha guance rubizze, veste sempre di nero ed ha una grossa pancia; gesticola molto ed è, nei gesti, molto autorevole. La maschera,
piccola, ricopre solo le sopracciglia e il naso, appoggiandosi su due
grandi baffi. Indossa la divisa dei professori dello Studio di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, gran cappello, giubba e
mantello.
... Colombina
... Cyrano
Cyrano de Bergerac: segni particolari,
scontroso spadaccino dal lunghissimo naso,
scrittore e poeta in bolletta. Ugualmente bravo con la spada e con la penna. Con la prima
ferisce fisicamente, con la seconda - attraverso giochi di parole - mette in ridicolo i suoi
nemici, numerosi visto il caratteraccio che si
ritrova.
Spavaldo e scontroso, ha un lato gentile
e sentimentale: Rossana, sua cugina, della
quale è segretamente innamorato. Che storia sarebbe se lei, invece, non amasse un altro? Cristiano, giovane cadetto bello fin che
si vuole ma un po’ ...vuoto. Cyrano con la
sua intelligenza e Cristiano con la sua bellezza farebbero l’uomo ideale. Si alleano per
conquistare il cuore della bella tanto che Cristiano appare e Cyrano dichiara, diventando
“suggeritore”, scrivendo lettere e poesie per
conto di Cristiano e continuando a sospirare
per Rossana. Cristiano (o Cyrano) ce la fa ma
l’amore con la bella è contrastato da De Guiche, il solito prepotente antipatico che spedisce Cyrano e Cristiano al fronte. E come tutte le storie, finisce male. Cristiano muore in
guerra, Cyrano molto più avanti e solo.
“Amante - non per sé - molto eloquente
Qui riposa Cirano
Ercole Saviniano
Signor di Bergerac
Che in vita sua fu tutto
e non fu niente!”
Scaltra, maliziosa, è la fidanzata di Arlecchino che con espedienti
tipicamente femminili, fa ballare come vuole ottenendo sempre tutto. Non resiste alle sue grazie e al suo fascino nemmeno il padrone
Pantalone: Colombina non si tira indietro guadagnandoci e accendendo la gelosia di Arlecchino.
È personaggio della Commedia dell’arte che sul palcoscenico ha
avuto nomi disparati: Colombina, Franceschina, Corallina, Ricciolina, Spinetta, Smeraldina e a volte anche Arlecchina.
palcoscenico 7
Martedì, 6 novembre 2007
TEATRO RAGAZZI
Peter Pan, peccato
crescere!
NOTES
Novembre
nella CI
A cura di Daniela Rotta
Stoiljković
CI BUIE
24 novembre ore 17 concerto umanitario dei Minicantanti delle CI
di Buie e Momiano e del gruppo corale “Forever” della CI di
Buie
CI PIRANO
5 novembre ore 17 in Casa Tartini
“L’ora della fiaba” con Daniela Paliaga
9 novembre ore 14,30 al parcheggio antistante il ristorante “Primorka”, esibizione del gruppo
mandolinistico “Serenate” e del
“Trio mandolino” della CI, all’apertura della “Festa dei cachi”
ore 17 laboratorio artistico per ragazzi con “L’ora della fiaba”
guidati da Gloria Frlič, Apolonija Krejačič e Fulvia Zudič
10 novembre ore 18, a Momiano,
esibizione del gruppo mandolinistico “Serenate” e del “Trio
mandolino” con la mandolinistica “Doremi” alla “Festa di
S.Martino”
12 novembre ore 17, in Casa Tartini “L’ora della fiaba” con Gloria Frlič
14 novembre ore 19, nella Sala delle vedute di Casa Tartini “Recital
di viola – solo” del solista Francesco Squarcia. In programma
musiche di Giuseppe Tartini,
Max Reger, Fritz Kreisler
15 novembre ore 18, nella Sala Tintoretto del Palazzo Comunale,
presentazione del volume “Diego De Castro”, nel centenario
della nascita, a cura di Ondina
Lusa e Kristjan Knez
19 novembre ore 17, in Casa Tartini per “L’ora della fiaba”, “Filastrocche dell’abc” di Carlo Miel
- illustrazioni di Valeria Ricciardi, con Elena Bulfon
24 novembre ore 19 partecipazione del gruppo mandolinistico “Serenate” all’Incontro
regionale sloveno di mandolini “Tamburaši« a Šmartno pri
Litiji
T
rieste. Teatro Rossetti. Le luci si
abbassano, si apre il sipario, un
enorme boato si leva dalla platea e
mille luci fosforescenti si accendono (una
specie di bacchetta magica distribuita all’ingresso). Questo succede ogni sera da
quando Peter Pan va in scena, all’inizio
dello spettacolo. C’è da dire che il pubblico per un buon settanta per cento è composto da bimbi e ragazzi. Capita di rado
di vedere tanti giovani tutti insieme a teatro, e questo miracolo lo compie ormai da
qualche anno il musical, genere ripescato
da Londra e New York e prodotto qua in
casa, non ancora, bisogna pur dirlo, con i
livelli qualitativi che si conoscono nei teatri inglesi ed americani.
La storia del “bambino che non voleva crescere mai”, ripresa dal capolavoro
di James Matthew Barrie, ha incontrato
molto spesso il mondo dello spettacolo:
tutti penseranno al celeberrimo cartoon
Disney, ma – più recentemente – anche
alla versione cinematografica di Steven
Spielberg intitolata Hook, con Robin Williams nei panni di Peter Pan e Julia Roberts in quelli di Campanellino, o a quella
delicata e commovente che riecheggia in
Neverland, in cui – a cent’anni dal debutto teatrale del testo – Johnny Deep dava
vita a Barrie. Il capolavoro nacque infatti
come opera teatrale e solo dopo divenne
l’amato romanzo che ogni bambino legge. L’autore ha donato i diritti dell’opera al Great Ormond Street Hospital, per
aiutare i suoi piccoli pazienti. È proprio
il Great Ormond Street Hospital, ad aver
concesso i diritti per la produzione tutta
italiana del musical, messo in scena grazie alla collaborazione di ATI Il Sistina
con Teatro Delle Erbe – Officine Smeraldo.
In questo musical nostrano ci sono alcuni ingredienti interessanti e di qualità.
Primo fra tutti il protagonista Manuel
Frattini nei panni di Peter Pan, uno degli artisti di maggior completezza e preparazione nel campo del musical italiano,
già applaudito dal pubblico dello Stabile
regionale nei panni di Pinocchio. Qui appeso ad un cavo vola letteralmente dalla
scena sulla platea, mandando in visibilio
i già eccitati spettatori del Rossetti. Affianco a lui brilla, e non poteva che essere
così, il non più giovane Riccardo Peroni,
che nei panni di Spugna, il pirata brac-
cio destro di Capitan Uncino, diverte palesando la grande esperienza acquisita
sul campo di tante operette e commedie
musicali della sua carriera. Sono straordinari i ballerini che eseguono ottime coreografie a tempo di rock. Bellissime le
affascinanti scene, che cambiano in continuazione passando velocemente dalla
cameretta dei bimbi alla foresta dell’Isola
che non c’è, alla nave dei pirati. Le luci,
gli effetti raggiungono gli effetti desiderati. E là dove peccano per povertà la trama e la storia, sicuramente suppliscono
le musiche e le canzoni nate dalla verve creativa di Edoardo Bennato, che per
questo spettacolo ha preso alcuni dei suoi
pezzi più belli e famosi (Sono solo canzonette, Viva la mamma per citarne alcune)
ai quali ha aggiunto nuove melodie, sempre a ritmo di rock.
Il tutto esaurito per molte delle recite,
alcune straordinarie, dimostra che ai giovani può ancora piacere andare a teatro.
E non importa se all’inizio ci vanno per
un musical, fatto un passo è sempre possibile farne un altro, magari per qualcosa
di più impegnativo.
Rossana Poletti
CI POLA
8 novembre ore 18,30 concerto
d’autore - Ive Josipović
8 novembre ore 20 dal laboratorio Cantus - Srđan Dedić, Frano Đarović, Arnold Schonberg,
Dubravko detoni
9 novembre ore 12 concerto d’autore - Josip Magdić
9 novembre ore 20 Concerto del
Cantus Ansamble
9 novembre ore 21,30 concerto di
Dani Bošnjak e Edin Karamazov
10 novembre ore 12 concerto dedicato a Nello Milotti
10 novembre ore 20 concerto dell’orchestra della RTV croata
10 novembre ore 21,30 hommage a
Mate Balota
13 novembre ore 18,30 concerto - Regata violinistica nel Mar
Musica del Maestro Francesco
Squarcia
CI UMAGO
17 novembre ore 18 al Teatro cittadino, Seconda Rassegna artistico - culturale delle CI organizzata dal Settore Teatro, Arte e
Spettacolo dell’Unione Italiana.
24 novembre ore 18, Spettacolo
nella ricorrenza del 60.esimo
anniversario della fondazione
della CI di Umago. Partecipano Coro, Minicantanti, Gruppo
ritmico, Giovani cantori, Blue
dream, Filodrammatica e Sezione sportiva
8 palcoscenico
Martedì, 6 novembre 2007
CARNET PALCOSCENICO rubriche a cura di Carla Rotta
TEATRO Il cartellone del mese
IN CROAZIA
IN ITALIA
Teatro Nazionale Ivan de Zajc - Fiume Teatro lirico Giuseppe Verdi - Trieste
10, 12, 13, 14, 15 novembre
ore 19,30
Othello di W. Shakespeare. Regia Diego De Brea. Interpreti Adnan Palangić, Zdenko
Botić, Eduard Černi, Denis
Brižić, Alen Liverić, Damir Orlić, Mislav Čavajda,
Predrag Sikimić, Dražen
Mikulić,
Csilla
Barath
Bastaić, Tanja Smoje, Nastazija Balaž Lečić
23, 24, 27, 28 e 29 novembre
ore 19,30
Romeo e Giulietta balletto di S.
Prokofjev. Regia Staša Zurovac. Interpreti - Corpo di
Ballo del teatro “I. de Zajc”
2 novembre ore 20,30
Mozart in jazz con il Michele di Toro Jazz Trio
22, 23, 27, 28 e 30 novembre ore 20,30; 24 novembre ore 17; 25 novembre ore 16
Ernani di Giusepe Verdi. Regia Pier Luigi Pizzi. Interpreti Roberto Aronica, Boiko Zvetanov, Sondra Radvanosky, Latonia Moore, Ferruccio Furlanetto, Raphal Siwek, Franco Vassallo, Angelo
Veccia. Dirige Stefano Ranzani
27, 28, 29 e 30 novembre ore 20
ZAJC OFF /Filodrammatica
Nedjeljni ručak dramma di Ivica Prtenjača. Regia Tomislav
Pavković. Interpreti Zdenko
Botić, Olivera Baljak, Damir
Orlić, Jelena Lopatić, Žarko
Radić
Teatro cittadino - Pola
15, 16 e 17 novembre ore 20
Ferocemente tenero di Martin Crimp. Regia Lawrence Kiiru. Interpreti Suzana
Nikolić, Frane Perišin, Rade
Radolović, Damir Šaban, Filip Nola, Romina Vitasović,
Mia Krajcar, Nina Kaić,
Nancy Abdal Sakhi, Filip
Lugarić, Igor Galo
Ciclo: Prosa
13, 15, 16 e 17 novembre ore 20,30; 14 e 18 novembre ore 16
I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni. Regia
Antonio Calenda. Interpreti: Massimo Dapporto
Ciclo: Altri Percorsi
1, 4 e 11 novembre ore 17; 2, 3, 5, 6, 7, 8 e 10 novembre ore 21; 9 novembre ore 19
Indemoniate drammaturgia di Giuliana Musso,
Carlo Tolazzi. Regia Massimo Somaglino. Interpreti Sandra Cosatto, Marta Cuscunà, Riccardo Maranzana, Federico Scridel, Massimo Somaglino, Giovanni Battista Storti
10 novembre ore 20,30; 11 novembre ore 16
La variante di Lunenberg dal romanzo di Paolo
Maurensig. Adattamento teatrale Paolo Maurensig. Interpreti Milva e Walter Mramor
Maksim Mrvica
20 novembre ore 20
La quarta sorella di Janusz Glowatzky. Regia Samo
Strelec. Interpreti Jelena
Politeama Rossetti - Trieste
Miholjević, Nataša Janjić,
Bojana Gregorić Vejzović,
Ivica Vidović, Dubravka
Miletić, Nenad Cvetko, Boris Svrtan, Nenad Cvetko,
Siniša Ružić, Vanja Drach, Ozren Grabarić, Hrvoje
Klobučar, Franjo Dijak
20, 21, 22, 23 e 24 novembre ore 21; 22, 24 e 25
novembre ore 17
Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello.
Regia Arturo Cirillo. Interpreti Arturo Cirillo e
Monica Piseddu
Ciclo: Musical e grandi eventi
1, 3 e 4 novembre ore 16; 1, 2 e 3 novembre ore
20,30
Peter Pan - Il Musical ispirato al romanzo di
J.M.Barrie. Regia Maurizio Colombi. Interpreti
Manuel Frattini,
Claudio Castrogiovanni, Alice Mistroni e la partecipazione di Riccardo Peroni
20, 21, 22, 23 e 24 novembre ore 20,30; 25 novembre ore 16
Jekyll e Hyde - Il musical musiche Frank Wildhorn
libretto Lesile Bricusse. Regia Federica Ferrato, Valeria Bafile. Interpreti Giò Di Tonno, Ilaria
Deangelis, Nejat Isik Belen, Simona Molinari,
Alberto Martinelli
29 e 30 novembre ore 20,30
Se stasera sono qui di Riccardo Cassini e Loretta Goggi. Regia Gianni Brezza. Interpreti Loretta Goggi
21 novembre ore 20
Concerto di Maksim Mrvica
IN SLOVENIA
Teatro cittadino - Capodistria
7 e 8 novembre ore 20
Don Chisciotte di Mihail A.
Bulgakov. Regia Jaka Ivanc.
Interpreti Vladimir Vlaškalič,
Gregor
Zorc,
Gorazd
Žilavec, Mojca Fatur, Danijel Malalan, Vesna Maher,
Vesna Zornik, Davor Herceg
13 novembre ore 20
Come abbiamo amato il
compagno Tito di Radoslav Zlatan Dorić. Regia
Marjan Bevk. Interpreti Gojmir Lešnjak – Gojc,
Teja Glažar, Miha Nemec,
Branko Ličen
17 novembre ore 10 e 11,30
Topolino spettacolo per ragazzi di Josip Ribičič – Rokgre
– Jurij Souček. Regia Robert Waltl. Interpreti Jurij
Souček, Karin Komljanec /
Vesna Slapar, Emir Jušič Piber / Igor Štamulak
9, 10, 11, 15 novembre ore 20
Eurofilia di Richard Bean. Regia Boris Kobal. Interpreti Renato Jenček, Barbara
Vidovič, Lučka Počkaj, Tarek Rashid, Jagoda, Miro Podjed, Rastko Krošl, Barbara Medvešček, Igor Sancin,
Zvone Agrež
10 novembre ore 17
Letterolandia spettacolo per
ragazzi di Gregor Geča In
Maja Gal Štromar. Interpreti Gregor Geča In Maja Gal
Štromar
20 novembre ore 20
Il malloppo di Joe Orton. Regia Boris Cavazza. Interpreti Dare Valič, Maja Martina
Merljak, Gorazd Žilavec,
Primož Ekart, Jaša Jamnik,
Jaka Varmuž
23 novembre ore 20
Concerto evergreen con Milka
Cočeva, Mojca Maljevec e
Jernej Kuntner
24 novembre ore 20
Dove sei amico mio concerto
con il duo Silence
29 novembre ore 20
Fuori servizio spettacolo ospite dell’Associazione culturale Domovina
Ciclo: Fuori abbonamento
7 novembre ore 21
Ornella Vanoni in concerto
8 novembre ore 20,30
Shaolin e Woodang Kung fu, l’altra faccia della Cina
16, 17 e 19 novembre ore 21; 18 novembre
ore 17
Lei dunque capirà di Claudio Magris. Regia Antonio Calenda. Interpreti Daniela Giovanetti
Ciclo: Danza & dintorni
27 e 28 novembre ore 20,30
Be extraordinary when you can be yourself di Daniel Ezralow e Arabella Holzbog. Regia Daniel
Ezralow. Interpreti Erin Elliot, Marcus Bellamy,
Djassi Dacosta Johnson, Santo Giuliano, Tyler
Gilstrap, Anthony Heinl, Jeremy Hudson, Roberta Miolla, Ryan Novak, Jessica Vilotta
La Contrada - Trieste
13, 14, 15, 16 e 17 novembre ore 20,30; 18 novembre ore 16,30
Il sottotenente Gustl dal racconto di Arthur Schnitzler. Regia Francesco Macedonio. Interpreti Marco Sgrosso
23, 24, 28, 29 e 30 novembre ore 20,30; 25 e 27
novembre ore 16,30
Antigone di Sofocle. Regia Giulio Bosetti. Interpreti Giulio Bosetti, Marina Bonfigli e Sandra Franzo
Anno III / n. 9 6 novembre 2007
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: PALCOSCENICO
Redattore esecutivo: Carla Rotta / Impaginazione: Andrea Malnig
Collaboratori: Rossana Poletti, Daniela Rotta Stoiljković
Foto: Belinda De Vito
Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n. 1868
del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana.