La sentenza “Houdinì” della Corte Costituzionale sul contratto a

GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
Apposizione del termine
La sentenza “Houdinì”
della Corte Costituzionale
sul contratto a tempo determinato
CORTE COSTITUZIONALE, 14 luglio 2009, n. 214 - Pres. Amirante - Est. Mazzella - Poste Italiane s.p.a.
c. G.R. ed altri
I
Contratto di lavoro a termine - Art. 4 bis, D.Lgs. 368/2001 (introdotto dall’art. 21 comma 1 bis del D.L.
112/2008, conv. in L. n. 133/2008) - Previsione di modesta indennità economica al posto della conversione per
contratto illegittimo - Illegittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost.
(Cost. art. 3; D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 4 bis)
È illegittimo, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 4 bis del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (introdotto
dall’art. 21, comma 1 bis, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modd. dalla L. 6 agosto 2008, n.
133), per aver discriminato senza ragionevolezza situazioni di fatto identiche con discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e
risarcimento del danno; dall’altro, erogazione di una modesta indennità economica), per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data del 22 agosto 2008, anch’essa sganciata da
qualsiasi ragione giustificatrice.
II
Contratto di lavoro a termine - Art. 4 bis, D.Lgs. 368/2001 (introdotto dall’art. 21, comma 1 bis del D.L.
112/2008, conv. in L. n. 133/2008) - Inammissibilità per difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3, 10, 11, 24, 111 e 117, comma 1, Cost.
(Cost. artt. 3, 10, 11, 24, 111 e 117, comma 1; D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 4 bis)
Sono inammissibili, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 24, 111 e 117, comma 1, Cost., le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 bis del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (introdotto dall’art. 21 comma 1
bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133), per insufficiente motivazione sulla rilevanza da parte delle ordinanze di remissione.
III
Contratto di lavoro a termine - Artt. 1, commi 1 ed 11, D.Lgs. n. 368/2001 - Infondatezza della questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 76, 77 e 117, comma 1, Cost.
(Cost. artt. 76, 77 e 117, comma 1; D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 4 bis)
Sono non fondate, in riferimento agli artt. 76, 77 e 117 comma 1 Cost., le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 ed 11 del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 in quanto l’onere di specificazione delle ragioni del contratto di lavoro a termine previsto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001 implica
necessariamente, in caso di ragioni sostitutive, anche l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione, imponendo alle parti l’obbligo di assicurare la trasparenza e la
veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto.
Non sussiste neppure la denunciata violazione dell’art. 77 della Costituzione per eccesso di delega, in
quanto gli artt. 1 commi 1 ed 11 del D.Lgs. n. 368 del 2001 nulla ha innovato, sotto questo profilo, rispetto alla disciplina contenuta nella L. n. 230 del 1962; né sussiste la denunciata lesione dell’art. 76 Cost.,
poiché le norme censurate, limitandosi a riprodurre la disciplina previgente, non determinano alcuna diminuzione della tutela già garantita ai lavoratori dal precedente regime e, pertanto, non si pongono in
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
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contrasto con la clausola n. 8.3 dell’accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale
l’applicazione dell’accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per ridurre il livello generale di tutela
già goduto dai lavoratori. Per la stessa ragione (insussistenza, sotto il profilo in esame, di un contrasto
con la normativa comunitaria) è infondata anche la censura formulata in riferimento all’art. 117, comma
1, Cost., il quale impone al legislatore di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali.
IV
Contratto di lavoro a termine - Art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 368/2001, aggiunto dall’art. 1, comma 558, L. n.
266/2005 - Infondatezza della questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, comma 1, 101, 102
e 104 Cost.
(Cost. artt. 3, comma 1, 101, 102 e 104 Cost.; art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001)
È non fondata, in riferimento agli artt. 3 comma 1, 101, 102 e 104 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 bis del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (aggiunto dall’art. 1 comma 558
della L. 23 dicembre 2005, n. 266), che ha tipizzato un’ipotesi di valida apposizione del contratto di lavoro a termine per le imprese concessionarie di servizi postali senza necessità della puntuale indicazione,
volta per volta, delle ragioni giustificatrici, in quanto non è manifestamente irragionevole che ad imprese
tenute per legge all’adempimento del c.d. “servizio universale” sia riconosciuta una sicura flessibilità dell’organico nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, entro limiti quantitativi comunque fissati inderogabilmente dal legislatore.
(Omissis) (*)
IL COMMENTO
di Vincenzo De Michele
Avvocato
La sentenza n. 214/2009 della Corte Costituzionale
sulle principali norme della disciplina del contratto a
tempo determinato, riformata integralmente dal
D.Lgs. n. 368/2001 in attuazione della Direttiva
1999/70/CE, era molto attesa e non ha tradito le forti aspettative “emozionali” degli interpreti, delle imprese e dei lavoratori con rapporti flessibili. Secondo
l’Autore, però, la decisione ha fallito tutti gli obiettivi
di carattere sistematico e logico che la Consulta
avrebbe dovuto perseguire, per poter ancora avere un
ruolo effettivo di Giudice che risolve i problemi di
compatibilità costituzionale della normativa di settore. In ogni caso, la pronuncia della Corte Costituzionale è fondamentale, perché segna un momento di
frattura nel sistema delle fonti del diritto nel rapporto tra normativa comunitaria e disciplina interna, faticosamente costruito dalla stessa Corte Costituzionale a partire dalla sentenza “Granital” fino alla sentenza n. 102 del 2008.
l’autarchia giuridica. La vera riforma della disciplina sul
contratto a tempo determinato è diventata più misteriosa dell’araba fenice, tutti la cercano, nessuno la trova.
Anzi, la Corte Costituzionale con la sentenza n.
214/2009 prova a dare l’illusione del grande prestigiatore, per nascondere il vero problema dell’ordinamento interno: l’invasiva, crescente presenza dello Stato-amministrazione nell’economia, con tutta la capacità di condizionamento delle regole e con l’irresponsabilità giuridica
di chi agisce, formalmente, per la salvaguardia di interessi pubblici senza dover rispondere della legalità e della
correttezza delle proprie azioni. Sto parlando di Poste italiane s.p.a., naturalmente, la società pubblica ignorata
dalla Corte Costituzionale nella motivazione della sentenza in commento, ma non nelle ordinanze di rimessione. Il Giudice delle leggi nazionali ignora anche il diritto
comunitario e le numerose sentenze della Corte di Giustizia, che hanno interpretato in modo complessivamente esaustivo la Direttiva 1999/ 70/CE, contenente la disciplina comunitaria del contratto a termine, da cui la
Nota:
L’illusione della riforma del 2001
Alea jacta est. I dadi sono stati lanciati, si torna al-
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(*) Il testo del provvedimento è disponibile su www.ipsoa.it/illavoronella
giurisprudenza, nella sezione “preleva la Rivista”.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
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riforma del “testo unico” (così lo definisce la Consulta)
del D.Lgs. n. 368/2001 ha tratto occasione ma non ispirazione. Anzi, come aveva già fatto nella precedente decisione su Poste Italiane s.p.a. e sulla prima norma di favore del 1996, la sentenza n. 419 del 2000, la Corte Costituzionale attribuisce addirittura al diritto comunitario
la responsabilità e la necessità di un regime speciale in
favore dell’impresa pubblica. Il silenzio sul contenzioso di
Poste Italiane s.p.a. è comprensibile (ma non giustificabile); il silenzio sul diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di Giustizia, non lo è e costituisce una grave frattura nel sistema di riparto delle fonti e delle competenze nel presunto dialogo tra Corti nazionali e Corte
comunitaria. Si torna ad una situazione precedente la
sentenza “Granital” n. 170 del 1984, ad una inaspettata
riaffermazione del «modello Vestfalia» (1), con un regresso giuridico prima che temporale di venticinque anni, durante i quali la Corte Costituzionale aveva faticosamente costruito un apprezzabile sistema di compatibilità minima tra diritto comunitario e diritto nazionale.
In ogni caso, per quanto contraddittoria (sia all’interno
della decisione che rispetto ai precedenti della Consulta), senza una linea ispiratrice, o forse con troppe, efficace solo negli aspetti autocelebrativi (2), sostanzialmente
inutile, superficiale nella ricostruzione del quadro normativo e interpretativo della disciplina, paradossale e innovativa nel dare contestualmente ragione e torto a tutti
i protagonisti dell’infelicissima pseudoriforma del 2001,
anche geniale (3), irriguardosa (nei confronti del dibattito interpretativo interno, totalmente ignorato) e per ciò
irreale e antistorica (ma molto musicale (4)), formalista
ben oltre la linea del buon senso, precaria e parziale anche sulla soluzione apparentemente scontata e condivisa
(5), silente fino all’imbarazzo sui propri precedenti in
materia (6) e fino allo scontro istituzionale nei confronti
delle decisioni della Corte di Giustizia sulla Direttiva di
settore, devastante per gli effetti moltiplicatori del contenzioso, mistificatrice negli effetti (7), autodotatasi di
un inammissibile potere assoluto di selezione sui lavoratori che si possono stabilizzare e su quelli che - nella stessa situazione - devono rimanere precari a vita, la sconcertante sentenza n. 214/2009 della Corte Costituzionale è però importantissima: essa impone agli interpreti
una risolutiva riflessione sul ruolo ormai marginale del
Giudice delle leggi.
La Corte Costituzionale e il contenzioso
sui contratti a termine Poste
per la difesa erariale. Troppe volte, in passato, la Corte
Costituzionale ha legittimato le sanatorie del contenzioso seriale in cui la parte soccombente era lo Stato e
lo ha fatto anche per il contenzioso di Poste italiane,
per ben due volte, la prima volta con la sentenza n. 419
del 2000, la seconda volta dopo nove anni con la sentenza n. 214 del 2009. In tutte e due le occasioni il Giudice delle leggi, Giudice e Legislatore (11), si è posto in
contrasto con l’ordinamento comunitario. La Corte
Costituzionale con la sentenza n. 419/2000 si è assunta
la doppia responsabilità di aver eroso sul piano interpretativo la coerenza della disciplina di settore rispetto a
quanto affermato pochi mesi prima con la sentenza n.
41/2000 e di aver legittimato i successivi abusi di Poste
italiane sui processi e sulle regole: il contenzioso dello
Note:
(1) Sulla delicatezza nell’attuale fase storica del rapporto tra le fonti del
diritto e sulla difficoltà di costruire un sistema delle fonti, in presenza di
fonti concorrenti internazionali e interne, v. A. Pizzorusso, È possibile
parlare ancora di un sistema delle fonti?, in Foro it., 2009, V, 279 ss.
(2) Poco apprezzabile l’anticipazione con comunicato Ansa del 6 luglio
2009 (ripreso il giorno dopo da molti quotidiani nazionali) di una decisione che sarà formalmente adottata solo nella “successiva” camera di
consiglio dell’8 luglio 2009, con l’annuncio dell’impegno del relatore
Mazzella di scriverne la motivazione, depositata il 14 luglio 2009. Si
possono attendere otto giorni in silenzio stampa, dopo aver atteso risposte per almeno cinque anni (dalla prima ordinanza del Tribunale di Rossano del 17 maggio 2004). Incomprensibile e non rituale.
(3) La soluzione sull’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 è allo stesso livello scenico della splendida trovata di Totò (de Curtis) e Peppino (De
Filippo) che vendono la fontana di Trevi al malcapitato e ingenuo turista americano; purtroppo, gli interpreti italiani sono tutti scettici e protagonisti, nessuno è ingenuo e turista del diritto.
(4) Riecheggia il ritornello della canzone “Simmo ‘e Napule paisá”, di
Fiorelli-Valente: «Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto... chi ha dato, ha
dato, ha dato... scurdámmoce ‘o ppassato...». Sulla clausola “Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto” si veda P. Nodari, La strana vicenda
per l’amianto della clausola “chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto”, in
questa Rivista, 2003, 420.
(5) Quella sull’art. 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001, dichiarata illegittima sul
solo art. 3 Cost. e ignorando semplicisticamente gli altri parametri costituzionali invocati.
(6) In ordine cronologico, le sentenze nn. 41 e 419/2000, l’ordinanza n.
252/2006 e la sentenza n. 44 del 2008.
(7) Le prime articolate riflessioni sulla decisione n. 214/2009 della Consulta sono di S. Galleano, Corte costituzionale 214/2009: luci (qualcuna) e
ombre (molte) di una sentenza fatta male, su www.studiogalleano.it; V. Angiolini e A. Andreoni, Lavoro a termine, processi pendenti e Corte Costituzionale. A proposito della sentenza n. 214/09, su www.cgil.it/giuridico.
(8) V. L. Menghini, Il contratto a termine e Poste italiane tra vecchia e nuova disciplina, in Riv. giur. lav., 2006, 3, 509 ss.
È maturata progressivamente (8), ma ha preso
sempre più consistenza ed evidenza (9), la tesi secondo
cui la principale causa del contenzioso nazionale sui
contratti a tempo determinato sia da imputare a Poste
italiane e al complesso (e permanente) processo di privatizzazione dell’ex Amministrazione autonoma dello
Stato. Solo lo Stato può permettersi la strategia del
contenzioso come metodo di risoluzione delle proprie
deficienze strutturali e come rendita di posizione (10)
(9) V. De Michele, Contratto a termine e precariato, Milano, 2009; G.
Gentile, Il contratto a tempo determinato nel contenzioso Poste italiane, in
G. Ferraro (a cura di), Il contratto a tempo determinato, 2008, Torino, 235
- 268; A. Saraceno e E. Cantarella, La conversione del contratto di lavoro
subordinato a tempo determinato, 2009, Milano, 189 - 202.
(10) F. Carinci, Inseguendo il legislatore: la legge 6 agosto 2008, n. 133, IX,
in Commentario alla L. n. 133/2008. Lavoro privato, pubblico e previdenza,
a cura di M. Miscione e D. Garofalo, Milano, 2009.
(11) M. Miscione, I poteri della Corte Costituzionale, in questa Rivista,
2008, 1195.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
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GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
Stato-imprenditore ha finito per rappresentare con oltre 100.000 giudizi nei tre gradi la parte più significativa
(oltre l’80%) del contenzioso nazionale delle cause di
riqualificazione dei contratti a termine nel lavoro privato (12).
Contenzioso Poste sui contratti a termine
Contratti dal 1° gennaio 1995 al 30 giugno 1997
All’inizio del processo di privatizzazione (1° gennaio 1995) l’Ente pubblico economico Poste Italiane
ha stipulato migliaia di contratti a termine tutti illegittimi. Dopo numerosi giudizi con esito positivo per i lavoratori e la riqualificazione di centinaia di contratti,
l’Ente pubblico economico Poste italiane ha fatto approvare dall’Esecutivo la prima norma (13) “salva-Poste” (14). La Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 419/2000 (15), ha dichiarato legittima la suddetta
norma, tenendo conto del carattere “eccezionale” e
temporaneo del processo di trasformazione di Poste Italiane da Amministrazione pubblica in impresa privata.
La Consulta prende atto dell’indirizzo normativo
volto a privatizzare il servizio postale e della complessità
di tale operazione, ma non cita mai la Direttiva
1997/67/CE (16) né il decreto legislativo n. 261/1999,
attuativo della normativa comunitaria. La prima disciplina comunitaria dei servizi postali ha introdotto «misure con le quali si cerca di assicurare una liberalizzazione progressiva e controllata del mercato ed un giusto
equilibrio nella loro applicazione … necessarie al fine
di garantire in tutto il territorio comunitario, nel rispetto degli obblighi e dei diritti dei prestatori del servizio
universale, la libera prestazione di servizi nel settore postale stesso» (8° considerando). Sarà modificata, dapprima nel senso di una ulteriore apertura alla concorrenza dei servizi postali della Comunità dalla Direttiva
2002/39/CE (17) e dal Regolamento CE n. 1882/2003
(18), di recente in prospettiva del completamento del
mercato interno dei servizi postali universali dalla Direttiva 2008/6/CE (19).
Nel 1996, prima dunque dell’entrata in vigore della Direttiva 1997/67/CE, l’Ente pubblico economico
Poste italiane era affidatario unico del servizio postale
universale sul territorio nazionale. Alcuni ristrettissimi
servizi postali, quelli a c.d. valore aggiunto (recapiti
espressi, in particolare), potevano territorialmente essere espletati da imprese private, sulla base di concessioni
amministrative rilasciate dal competente Ministero.
Con la legge n. 261/1999, che recepisce la Direttiva
1997/67/CE, scompaiono le imprese concessionarie dei
servizi postali e inizia faticosamente il libero mercato e
la concorrenza dei servizi postali non riservati. Dalla
legge n. 266/1999 in poi i servizi riservati a Poste italiane saranno sempre più ridotti.
Contratti a termine dal 1° luglio 1997
al 31 dicembre 2002
Dopo i due anni e mezzo di sanatoria dei contratti
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a termine conseguenti la prima lunga fase di privatizzazione del fornitore unico del servizio universale, dal 1°
luglio 1997 fino a tutto l’anno 2002, Poste Italiane
s.p.a. ha continuato a fare costante ricorso ai contratti a
tempo determinato, per esigenze eccezionali connesse
alla privatizzazione e per sostituzione di lavoratori in ferie nel periodo da giugno a settembre. In particolare, in
deroga alle ipotesi tipiche previste dall’articolo 1, comma 2, della L. n. 230/1962, le “causali” utilizzate nella
stipulazione dei contratti a tempo determinato sono
state definite con le parti sociali, ai sensi dell’articolo
23, comma 1, della L. n. 56/1987. La Giurisprudenza
prevalente sia di merito sia di legittimità non ha ritenuto legittimi migliaia di contratti a termine stipulati da
Poste Italiane in questo periodo, essendo evidente, seppure con qualche distinguo, che si trattava di carenze
strutturali di personale e che le motivazioni erano indicate al solo fine di eludere la normativa imperativa e il
carattere eccezionale del contratto a termine.
Contratti a termine dal 1° gennaio 2003
al 31 dicembre 2005
Dal 1° gennaio 2003 al 31 dicembre 2005 Poste
Italiane s.p.a. per le migliaia di assunzioni a tempo determinato ha utilizzato quasi esclusivamente la causale
prevista dall’articolo 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001
“per ragioni di carattere sostitutivo”, senza mai indicare
nei contratti il nominativo o i nominativi del lavoratore o dei lavoratori da sostituire, condizione che, invece,
era espressamente richiesta nella causale “tipica” prevista dall’art. 1, comma 2, lettera b), della L. n. 230/1962,
solo formalmente abrogata (secondo la sentenza in
commento) dall’art. 11, D.Lgs. n. 368/2001.
Anche in questo caso è iniziato un consistente
contenzioso, che ha portato a migliaia di decisioni favorevoli ai lavoratori a tempo determinato e alle conseguenti riqualificazioni dei rapporti. La Giurisprudenza
prevalente, pur accogliendo le domande giudiziali dei
Note:
(continua nota 9)
(12) Cfr. le dichiarazioni rese dal Presidente di Poste italiane s.p.a. in
data 25 marzo 2009 in Commissione parlamentare.
(13) L’art. 9, comma 21, 2° capoverso D.L. n. 510/1996 (convertito con
modificazioni dalla L. n. 608/1996).
(14) M. Miscione, Il Diritto del lavoro dopo il D.L. n. 112 del 2008 su sviluppo economico e semplificazione, in questa Rivista, 2008, 976.
(15) Corte Cost. 13 ottobre 2000, n. 419, in questa Rivista, 2001, 33,
con nota di G. Casadio, Legittimità a tempo ed eccezionale dei contratti a
termine nelle Poste Italiane s.p.a.
(16) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre
1997, pubblicata G.U.C.E. n. L 015 del 21 gennaio 1998.
(17) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 giugno
2002, pubblicata su G.U.C.E. n. L 176 del 5 luglio 2002.
(18) Pubblicato su G.U.C.E. n. L 284 del 31 ottobre 2003.
(19) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 febbraio
2008, pubblicata su G.U.C.E. n. L 52 del 27 febbraio 2008.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
lavoratori a tempo determinato, ha interpretato la nuova disciplina (art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001) in
maniera meno rigida e formalistica rispetto alla “corrispondente” disciplina abrogata (art. 1, comma 2, L. n.
230/1962), solo in alcune autorevoli pronunzie pretendendo (20) la indicazione formale del nominativo del
lavoratore da sostituire nel contratto scritto di assunzione, a pena di riqualificazione del contratto in rapporto a
tempo indeterminato.
Contratti a termine dal gennaio 2006
fino a dicembre 2007
Dal 1° gennaio 2006 fino a dicembre 2007 Poste
italiane s.p.a. ha fatto ricorso a decine di migliaia di
contratti a tempo determinato utilizzando esclusivamente, sia per il personale addetto al recapito e alla
logistica (prevalentemente per mansioni di “portalettere”, con inquadramento nel livello professionale E
Ccnl aziendale) sia per il personale addetto ai servizi
amministrativi (mansioni di “sportelleria”, con inquadramento nel livello professionale D Ccnl aziendale)
soltanto il richiamo all’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n.
368/2001. L’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 è
stato introdotto con decorrenza dal 1° gennaio 2006
dall’art. 1, comma 558, della legge finanziaria n.
266/2005 (Poste italiane s.p.a. espressamente la definisce “causale finanziaria”) e, come risulta dai lavori
parlamentari (21), la norma di favore era rivolta a
porre un freno al contenzioso Poste sui contratti a
tempo determinato e a limitare le spese del contenzioso in corso.
Il comma aggiunto all’unico comma dell’art. 2
D.Lgs. n. 368/2001 estende anche alle “imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste”, senza specificare i servizi interessati, la disciplina prevista per le
aziende del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali già
nel D.Lgs. n. 368/2001. Infatti, l’art. 2, primo (e originariamente unico) comma, D.Lgs. n. 368/2001, rubricato “disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo ed i
servizi aeroportuali”, si limita a riprodurre la specifica
causale “priva di motivazione” prevista dall’art. 1, comma 2, lettera f), della L. n. 230/1962. La Giurisprudenza di merito si è divisa sulle conseguenze dell’abuso nel
ricorso a contratti a tempo determinato, ai sensi del
novello art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 (22).
Nessuna decisione prende in considerazione la possibilità che la norma possa essere totalmente inapplicabile,
per inesistenza delle imprese concessionarie del settore
postale (23). Inizialmente, soltanto il Tribunale di Milano (24) sostiene decisamente l’interpretazione, alla
luce della normativa comunitaria e dell’obiettivo di
evitare la precarizzazione dei rapporti a termine, secondo cui l’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 sia disciplina aggiuntiva rispetto all’art. 1 D.Lgs. n.
368/2001, dovendo l’impresa pubblica comunque specificare le ragioni obiettive previste dalla clausola generale. Altre pronunce (25) si sono soffermate sul con-
trasto con la clausola di non regresso e sulla possibilità
di disapplicare la norma interna, facendo rientrare la
norma nel concetto di “applicazione” della Direttiva
1999/70/CE enunciato nella sentenza “Mangold (26)”
e, quindi, nel campo di applicazione della disciplina
comunitaria di settore, sottolineando anche l’abuso di
posizione dominante in violazione degli artt. 82 e 86
del Trattato CE (27), in ogni caso escludendo l’applicabilità del comma aggiunto (28) alle assunzioni a
tempo determinato degli “sportellisti” (non addetti ai
servizi postali in senso stretto, ma a servizi amministrativi, finanziari, creditizi, ecc. (29)) e sottolineando la
necessità di evitare disparità di trattamento non solo
Note:
(20) App. Firenze, 20 luglio 2005, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 122, con
nota di P. Albi, Le ragioni oggettive che consentono l’apposizione del termine
al contratto di lavoro subordinato; App. Bari, 20 luglio 2005, in Foro it.,
2005, I, 1540, con nota di A.M. Perrino.
(21) V. relazione illustrativa del Governo del 2 novembre 2005 e risoluzione 8-00138 della seduta del 28 luglio 2005 della IX Commissione
Trasporti, Poste e Telecomunicazioni.
(22) V. sulle diverse posizioni, in questa Rivista, 2008, 812 ss.,
L.Martino, Le prime pronunce di merito sui “nuovi” contratti a termine di
Poste.
(23) V. in tal senso condivisibilmente, A.M. Perrino, Il paradosso del
contratto a termine: l’enfasi dei principi e la «Realpolitik» delle regole, in Foro
it., 2008, 3574. Per un’attenta disamina delle problematiche del settore
postale v. provvedimento istruttorio del 3 agosto 2007, n. 17133 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (v. www.agcm.it) nei
confronti di Poste italiane s.p.a. per abuso di posizione dominante; il
procedimento è stato instaurato con denuncia dell’“ex concessionarie
dei servizi postali”, ora denominate “Agenzie”, nei confronti del “gestore del servizio postale universale”, per quanto riguarda, in particolare, i
contratti stipulati in outsourcing per i servizi postali in riserva (posta ordinaria, raccomandate) . Il procedimento davanti all’Autorità garante si
è chiuso con provvedimento del 27 febbraio 2008, n. 18069, a seguito
degli impegni assunti da Poste italiane s.p.a. di eliminare l’abuso di posizione dominante, tra quali, in particolare, l’indizione di una nuova gara
per l’aggiudicazione dei servizi di distribuzione e raccolta di corrispondenza non indirizzata e l’espletamento di servizi ausiliari in ambito urbano, con la rinuncia ad “internalizzare” il personale dipendente dalle
“Agenzie” ex concessionarie, non più in grado di operare con i vincoli
imposti dal Moloch dello Stato-imprenditore.
(24) Est. Martello, sentenza 26 giugno 2007, n. 2232, in Riv. giur. lav.,
2008, n. 1, 155 ss., con nota di M. Lozito, La disciplina “aggiuntiva” del
contratto a termine per il settore delle poste e la Direttiva 1999/70/CE: violazione della clausola di non regresso e poteri del giudice italiano.
(25) Trib. Foggia (Est. Colucci), 11 aprile 2007, in Riv. critica dir. lav.,
2007, n. 3, 728, con le prime notazioni di M. Paulli, Il nuovo contratto a
termine di Poste Italiane Spa; in Riv. giur. lav., 2008, I, 155, con nota di
M. Lozito, cit.; in Arg. dir. lav., 2008, n. 3, con commento di A. Olivieri, Contratto a tempo determinato e abuso di posizione dominante?; Trib. Milano (Est. Frattin), 5 giugno 2007, inedita; Trib. Roma (Est. Grisanti),
21 marzo 2008, in questa Rivista, 2008, 812; Trib. Roma (Est. Mormile),
22 aprile 2008, inedita.
(26) Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza 22 novembre 2005,
causa C-144/04 Mangold c. Helm.
(27) Sul punto solo Trib. Foggia, 11 aprile 2007, cit.
(28) Trib. Trani (Est. La Notte Chirone), 6 maggio 2008, in questa Rivista, 2008, 705.
(29) In tal senso, per primo Trib. Roma (Est. Mimmo), sentenza 15 gennaio 2008, in questa Rivista, 2008, 810, cit.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
1009
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
tra lavoratori e lavoratori, ma anche tra aziende e aziende. In decisioni più recenti (30) vi è stato un più deciso
orientamento verso l’interpretazione comunitariamente
adeguata e conforme del comma aggiunto (obbligo di
specifica motivazione ai sensi dell’art. 1, comma 1,
D.Lgs. n. 368/2001), alla luce delle sentenze n. 44/2008
della Corte Costituzionale, n. 12985/2008 della Corte
di Cassazione e, soprattutto, “Angelidaki” (31) della
Corte di Giustizia. La Giurisprudenza di merito prevalente (32), in realtà, si è indirizzata, con varie sfumature
nel senso di ammettere la legittimità “acausale” dell’art.
2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 come ipotesi “tipica” e autonoma di apposizione del termine, per favorire
la flessibilità nel settore, pur riconoscendo che la norma
di favore andava applicata solo a Poste Italiane s.p.a.,
come unica impresa “concessionaria” dei servizi nel settore postale. Il fondamento di questa interpretazione,
paradossalmente, è stato rinvenuto nella sentenza
“Mangold” e nella decisione della Grande Sezione di
dichiarare irricevibile la questione pregiudiziale sul primo e unico contratto a tempo determinato. Proprio da
tale posizione ermeneutica partirà il Tribunale di Roma
(33) con la sua ordinanza di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 2 bis, D.Lgs. n. 368/2001.
Contratti a termine da dicembre 2007
fino all’attualità
Nel 2008 Poste Italiane ha stipulato circa n.
18.000 contratti a tempo determinato. A differenza di
quanto avvenuto nel 2006 e nel 2007, recependo le critiche mosse dalla Giurisprudenza di merito, Poste Italiane s.p.a. ha differenziato le “causali” di assunzione a
tempo determinato, utilizzando per i “portalettere” l’art.
2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 e per gli “sportellisti” la clausola generale dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. n.
368/2001. Il contenzioso sui contratti a termine, che
sembrava dovesse essere concluso con la norma di favore della finanziaria del 2006 e con il conseguente accordo sindacale del 13 gennaio 2006, non si è mai arrestato. Nel corso di tutto il 2008 e fino al 31 luglio 2009 risultano proposti n. 4.322 nuovi ricorsi, di cui n. 2.957
relativi a contratto a tempo determinato con la causale
“finanziaria”.
La questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001
Come ricordato, il Tribunale di Roma con ordinanza del 26 febbraio 2008 ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 bis,
D.Lgs. n. 368/2001, per violazione degli artt. 3, 101,
102 e 104 della Costituzione, escludendo espressamente che la disciplina “aggiunta” rientri nel campo di applicazione della disciplina comunitaria del contratto a
tempo determinato e, in particolare, della clausola di
non regressione, sulla base della sentenza “Mangold” e
della presunta esclusione del primo e unico contratto
dalla Direttiva 1999/70/CE.
1010
Il Tribunale di Roma ha osservato che la norma
censurata ha introdotto per le aziende concessionarie
del servizio postale, ma in realtà solo per Poste Italiane
s.p.a. unica impresa “concessionaria”, la possibilità, entro determinati limiti temporali e quantitativi di procedere ad assunzioni a tempo determinato senza l’obbligo
di indicazione scritta della causale (come invece previsto in generale dall’art. 1 del D.Lgs. n. 368 del 2001).
Inoltre, il Giudice del lavoro ha dedotto che la disciplina sanzionatoria sarebbe più lieve rispetto a quella
prevista per i contratti stipulati ex art. 1 del D.Lgs. n.
368 del 2001, perché l’art. 5, comma 3, del medesimo
D.Lgs. n. 368 del 2001, richiamando esclusivamente l’ipotesi della successione dei contratti stipulati ex art. 1
dello stesso decreto legislativo, non prevederebbe la
conversione in contratto a tempo indeterminato in caso di successione di contratti regolati dall’art. 2. Ad avviso del Tribunale di Roma, tale disciplina comporterebbe una disparità di trattamento tra i lavoratori in generale e quelli addetti al servizio postale, per i quali non
opera necessariamente la disciplina - anche sanzionatoria - di carattere generale. Difettando, nel settore postale, quelle peculiarità che possano giustificare deroghe
alla disciplina generale, l’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs.
n. 368 del 2001 non risponderebbe a criteri di ragionevolezza o di razionalità e pertanto sarebbe lesivo dell’art. 3 della Costituzione. Quanto agli altri parametri
costituzionali invocati (artt. 101, 102 e 104 Cost.) il
Tribunale di Roma ha affermato che l’introduzione di
una “acausalità” per le assunzioni a termine nel settore
postale sottrae in maniera ingiustificata al giudice ordinario il potere di verifica delle effettive ragioni oggettive e temporanee poste alla base di dette assunzioni con
conseguente lesione delle prerogative del potere giudiziario.
Note:
(30) Trib. Foggia (Est. Chiddo), sentenza 22 dicembre 2008, in questa
Rivista, 2009, 161, con nota di C. de Martino, La giurisprudenza sull’art. 4 bis D.Lgs. n. 368/2001: motivi diversi di un’unica illegittimità.
Trib. Foggia (Est. Colucci), sentenza 10 marzo 2009, in questa Rivista,
2009, 484 ss., con nota di L. Raffaele, In attesa della Consulta, la Giurisprudenza di merito riafferma l’interpretazione comunitaria sui contratti a
termine.
(31) Corte di Giustizia, Sezione III, sentenza 23 aprile 2009, cause riunite da C-378/07 a C-380/07, in questa Rivista, 2009, 437, nel commento di M. Miscione, La Corte di Giustizia sul contratto a termine e la clausola
di non regresso.
(32) V. per tutte App. Torino (Pres.ed Est. Fierro), sentenza 5 ottobre
2007, inedita; Trib. Napoli (Est. Casola), sentenza 23 ottobre 2007, in
Riv. it. dir. lav., 2008, 3, 614, con nota adesiva di M. Marazza, nonché in
Mass. giur. lav., 2008, 269, con nota di A. Vallebona, Il lavoro a termine
nei settori delle poste; Trib. Roma (Est. Mimmo), sentenza 15 gennaio
2008, n. 473/08, cit.
(33) Ordinanza 26 febbraio 2008 n. 217/08 Reg.Ord., Est. Delle Donne,
in questa Rivista, 2008, 705, commentata anche, in senso non adesivo,
da A. Maresca, Apposizione del termine, successione di contratti a tempo determinato e nuovi limiti legali: primi problemi applicativi dell’art. 5, commi 4
bis e ter, D.Lgs. n. 368/2001, in Riv. it. dir. lav., 2008, I, 326-328.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
Contenzioso Poste e la Corte
di Cassazione sull’art. 1, D.Lgs. n. 368/2001
La Corte di Cassazione con sentenza n. 12985 del
21 maggio 2008 (34) è intervenuta per la prima volta
in un giudizio di contratto a tempo determinato stipulato da Poste Italiane s.p.a. per ragioni “sostitutive”, ai
sensi dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001. Si tratta
di una sentenza molto importante, perché ha tracciato
il quadro interpretativo della riforma del 2001, confermando l’orientamento della Giurisprudenza di merito
prevalente sull’obbligo di rigorosa motivazione delle ragioni obiettive e temporanee che giustificano l’apposizione del termine. La Corte di Cassazione, “anticipando” gli esiti della sentenza “Angelidaki” della Corte di
Giustizia, ha chiarito molti punti controversi della disciplina introdotta dal legislatore delegato nel 2001. In
particolare, secondo la Corte di Cassazione l’art. 1,
D.Lgs. n. 368/2001 conferma il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro è normalmente a tempo
indeterminato, costituendo la apposizione del termine
una ipotesi derogatoria ed eccezionale rispetto al detto
principio. La sanzione, in caso di invalidità del termine,
è la conseguenza logica di detta ratio, sia nel caso in cui
il termine non risulti da atto scritto sia nel caso in cui
manchi la indicazione di una sufficiente ragione giustificativa. Nell’uno e nell’altro caso, la sanzione è quella
della conversione in rapporto a tempo indeterminato,
per nullità parziale della clausola appositiva del termine. A tale conclusione, in mancanza di espressa sanzione per il caso di vizi sostanziali, si giunge attraverso l’interpretazione sistematica, i cui parametri normativi sono costituiti dalla direttiva 1999/70/CE (in particolare,
dalla clausola 8, n. 3, di non regresso) recepita dal
D.Lgs.368/2001, dalla Giurisprudenza della Corte di
Giustizia (sentenze Mangold e Adeneler (35), in particolare) e dal coordinamento logico degli artt. 1, 4 e 5
dello stesso decreto legislativo. In applicazione dei predetti parametri normativi, l’obbligo di motivare e provare la sussistenza delle condizioni per l’apposizione del
termine si applica anche al primo e unico contratto a
termine, che, rientrando nell’oggetto della direttiva,
non pone dubbi di legittimità costituzionale rispetto alla disciplina abrogata della L. n. 230/1962 e consente
l’effetto sostitutivo automatico della clausola invalida.
La decisione della Corte di legittimità costruisce il
«manifesto della disciplina del contratto a termine»
(36), nella cornice della direttiva comunitaria e con la
base pittorica e garantista della disciplina abrogata della
L. n. 230/1062, per un quadro nuovo e sostenibile della
normativa sul principale contratto flessibile.
Contenzioso sui contratti a termine Poste
e l’intervento del legislatore interno del 2008
La sentenza n. 12985/2008 della Corte di Cassazione, risolvendo sul piano interpretativo i dubbi di parte
della dottrina e della Giurisprudenza di merito sull’applicabilità della disciplina comunitaria anche al primo e
unico contratto e sulla sanzione (la riqualificazione del
rapporto) prevista in caso di vizi sostanziali, oltre che
formali, del contratto a termine, ha provocato l’immediata reazione del legislatore nazionale che ha approvato una norma definita immediatamente da molti commentatori e interpreti come “salva-Poste”, l’art. 4 bis,
D.Lgs. n. 368/2001 (37).
La terza norma di sanatoria del contenzioso Poste,
sostituendo nei giudizi in corso alla data del 21 agosto
2008 la sanzione della riqualificazione del rapporto (e
della sua ricostruzione economica, normativa e previdenziale dal momento della messa in mora) con la sola
sanzione di un risarcimento del danno di entità variabile da 2,5 a 6 mensilità di retribuzione, era chiaramente
finalizzata a favorire l’impresa pubblica.
D’altra parte, l’approvazione dell’art. 4 bis, D.Lgs. n.
368/2001 era stata anticipata dall’accordo sindacale del
10 luglio 2008, in base al quale, come già era successo
con l’accordo del 13 gennaio 2006, ai lavoratori ex-precari Poste, che avevano vinto la causa per la riqualificazione del rapporto sia per i contratti stipulati ai sensi della normativa previgente la riforma del 2001 sia per quelli sottoscritti ai sensi dell’art. 1 (38), D.Lgs. n. 368/2001
(quasi tutti per ragioni “sostitutive”) e il cui giudizio era
ancora in corso in appello o in Cassazione, è stato consentita la scelta, con verbale individuale di conciliazione
in sede sindacale, di rendere stabile il rapporto di lavoro
rinunciando al contenzioso in essere, restituendo ratealmente tutto l’importo riconosciuto a titolo di ricostruzione del rapporto per i periodi non lavorati.
L’art. 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001, nonostante la declaratoria di illegittimità costituzionale contenuta
Note:
(34) Cass., Sez.lav., Pres. Mattone, Est. Nobile, in questa Rivista, 2008,
903, con nota di V. De Michele, L’interpretazione sistematica della Cassazione sul contratto a termine e la reazione caotica del legislatore. In dottrina,
ne condividono l’impianto argomentativo A. Olivieri, La Cassazione e il
rasoio di Ockham quale strumento intervento del contratto a tempo determinato: a parità di fattori la spiegazione più semplice tende ad essere quella
esatta, in Riv. it. dir. lav., 2008, 891; A.M. Perrino, Il paradosso del contratto a termine: l’enfasi dei principi e la «Realpolitik» delle regole, cit., 3576;
critico A. Vallebona, Sforzi interpretativi per una distribuzione inefficiente
dei posti di lavoro stabile, su Mass. giur. lav., 2008, 643.
(35) Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza 4 luglio 2006, in causa C-212/04.
(36) È la bella immagine proposta da A.M.Perrino, relazione al Convegno su Flessibilità e stabilità nella crisi globale: la parabola dei contratti a termine, 4 giugno 2009, Facoltà di Giurisprudenza - Università Federico II,
Napoli.
(37) Aggiunto dall’art. 21, comma 1 bis, D.L. 21 giugno 2008, n. 112,
convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008, con decorrenza
solo retroattiva sui processi in corso fino alla data del 21 agosto 2008.
(38) Ad eccezione di quelli che hanno vinto la causa per contratti stipulati ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001, a cui l’accordo del 10 luglio 2008 non si applica, perché è ancora in vigore il reato
di lesa maestà, che viene commesso quando si pretende di sanzionare
sul piano giudiziario l’abuso sulle regole dello Stato, disconoscendo la
valenza e l’efficacia delle norme di favore. Ma l’avallo all’abuso lo ha dato la Consulta.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
1011
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
“stancamente” nella sentenza n. 214/2009 della Consulta, per la sola violazione del principio di ragionevolezza e dell’art. 3 della Costituzione, è stata norma utilissima (39) (e quindi molto ragionevole) per Poste Italiane s.p.a., che della norma “transitoria” sul contenzioso è stata la principale (nei fatti l’unica) beneficiaria, fino a quando essa non è stata formalmente rimossa. In
particolare, dai dati Poste risulta che hanno aderito ai
due accordi del 13 gennaio 2006 e del 10 luglio 2008
oltre l’85% dei lavoratori destinatari (n. 21.000 lavoratori). La possibilità di ottenere norme di favore dal legislatore e di condizionare gli accordi sindacali ha apportato a Poste Italiane s.p.a. rilevanti benefici economici
(203 milioni di euro effettivamente contabilizzati nel
bilancio 2008, con sopravvenienze attive che, in prospettiva, potrebbero raggiungere se non superare i due
miliardi di euro durante tutto il lungo periodo di restituzione rateale fino al 2023) e non sono chiare le modalità di restituzione ai lavoratori delle tasse pagate allo
Stato (e non più dovute) e dei contributi previdenziali
in quota parte versati all’Ipost.
Poste ha fatto pochissime assunzioni a tempo indeterminato prima del 31 dicembre 2007, male utilizzando la graduatoria nazionale di cui all’accordo del 13
gennaio 2006 (in cui gli impegni assunti non erano evidentemente cogenti), poi ha dovuto affrontare il problema del diritto di precedenza introdotto con il Collegato lavoro dall’art. 5, comma 4 quater, D.Lgs. n.
368/2001, infine, dopo il salvataggio a termine dell’art.
4 bis del D.Lgs. n. 368/2001, è stata costretta anche a
sopportare la scarsa voglia di lavorare dei postini precari
italiani: al 30 luglio 2009 su n. 1530 “risorse” convocate
per le assunzioni a tempo indeterminato, soltanto n.
230 persone si sono presentate al colloquio e, di queste,
soltanto n. 139 hanno accettato definitivamente una
delle sedi disponibili. Eppure le condizioni di lavoro
erano vantaggiosissime, senza gabbie salariali né per chi
era stato precario al Sud né per chi era stato precario al
Nord, dove erano allocate le uniche sedi disponibili (a
parte la Sardegna): ben 550 euro mensili, oltre gli eventuali assegni per il nucleo familiare, trattandosi di prestazioni di lavoro nel settore recapito con part-time di
tipo verticale al 50%. Un bel salario di ingresso principale! È evidente che l’opzione migliore (per il lavoratore precario), per espressa “induzione” dello Stato-imprenditore, era e rimane l’entrata secondaria della sentenza giudiziale di conversione del rapporto: in fondo, si
paga solo una tassa d’ingresso, che si può evitare con
l’accordo immediato dopo l’udienza di discussione e la
lettura del dispositivo di ripristino del rapporto, con
l’ausilio del sindacalista di fiducia (una applicazione
concreta e analogica dell’ipotesi astratta di cui all’art. 5,
comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001) per aderire immediatamente all’accordo dell’11 luglio 2008 ed evitare che
Poste faccia le trattenute fiscali e previdenziali sui periodi non lavorati! Solo così si ha la garanzia del posto
stabile, a tempo pieno, nelle vicinanze della precedente
1012
esperienza lavorativa, e tutti sono soddisfatti nelle rispettive aspettative. Probabilmente, in subiecta materia
più che di gabbie salariali si tratta di un problema di camicia di forza, considerato l’elevato livello di insensatezza socio-economica e amministrativa.
Corte Costituzionale e diritto comunitario:
sembrava fosse amore, invece era un… miraggio
È durata poco più di un anno l’apparente stagione
di idillio tra Corte Costituzionale e il diritto comunitario. Pur mantenendo la teoria del sistema bipolare, la
Consulta con le sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre
2007 (40) ha (ri)affermato, anche con il richiamo dell’117, comma 1, Cost., la maggior valenza degli obblighi comunitari e dell’efficacia delle direttive europee,
rispetto al diritto pattizio degli accordi internazionali,
come la Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo (C.E.D.U.) (41). Sul rapporto tra diritto comunitario e regola nazionale contrastante con il
primo, dunque, l’interpretazione costituzionale sembrava pacifica, nel senso di una prevalenza senza condizioni della normativa comunitaria, soprattutto per rispetto
della funzione e del ruolo della Corte di Giustizia (42).
Né la Costituzione italiana pare soffrire di debolezza
strutturale ed applicativa da questa situazione, che consente agli interpreti e ai giudici interni di farne diretta
applicazione o di garantire con l’interpretazione conforme e adeguatrice la prevalenza sulle norme interne. Come opportunamente sottolineato (43), «si è venuto formando, infatti, un “patrimonio costituzionale comune”
- per dirla con una espressione usata dalla stessa Corte
costituzionale (44) - desumibile dagli obblighi internazionali, dall’ordinamento comunitario e dalla legislazioNote:
(39) V. sul pregevole sito istituzionale www.cortecostituzionale.it il download dell’udienza pubblica di discussione del 23 giugno 2009, con tutti
gli interventi dei difensori sulle questioni di legittimità decise dalla sentenza in commento.
(40) In Foro it., 2008, I, 39 ss., con nota di F. Ghera, Una svolta storica
nei rapporti del diritto interno con il diritto internazionale pattizio (ma non in
quelli di diritto comunitario).
(41) Firmata a Roma il 4 novembre 1950 (Testo coordinato con gli
emendamenti di cui al Protocollo n. 11 firmato a Strasburgo l’11 maggio 1994, entrato in vigore il 1° novembre 1998). Cfr. V. De Michele,
La tutela comunitaria e internazionale salverà il processo del lavoro italiano?,
in questa Rivista, 2009, 2, 148.
(42) V. le considerazioni finali del Presidente Flick della Corte Costituzionale sulla Giurisprudenza costituzionale del 2008, Roma, 28 gennaio
2009, pp. 6-7, su www.cortecostituzionale.it.
(43) V. M. De Luca, Flessibilità del lavoro, in funzione della competitività nel
mercato globale, e garanzia costituzionale dei diritti dei lavoratori, su Foro it.,
2009, V, 185. Si tratta della relazione di sintesi al convegno nazionale
«Competività, flessibilità del mercato e diritti dei lavoratori», organizzato dal Centro nazionale studi di diritto del lavoro «Domenico Napoletano», tenutosi ad Ascoli Piceno il 20-21 marzo 2009.
(44) «Nelle sentenze n. 104 del 2006 (Foro it., 2006, I, 1267) e n. 182
del 2008, (in www.cortecostituzionale.it), con riferimento ai principî che
governano il procedimento amministrativo». La nota è dello stesso Autore.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
ne nazionale». Poco più di tre mesi dopo la Corte Costituzionale ha sconfessato se stessa e questa delicata ricostruzione sistematica di un nuovo sistema di fonti del
diritto, privilegiando il lodo nazionale al lodo comunitario. L’amore era solo un miraggio.
Corte Costituzionale e contratto a termine:
i precedenti del miraggio
La Consulta era già intervenuta con due importanti sentenze sulla normativa in materia di contratto
a tempo determinato, la prima (45) relativa alla compatibilità della disciplina (abrogata) della L. n.
230/1962 (e delle sue integrazioni, in particolare l’art.
23 della legge n. 56/1987) con la Direttiva
1999/70/CE, la seconda (46) che ha deciso per la illegittimità costituzionale di disposizioni contenute nel
D.Lgs. n. 368/2001 che avevano abrogato il diritto di
precedenza dei lavoratori stagionali, previsto dalla precedente disciplina. Nella sentenza n. 41/2000 la Corte
costituzionale ha affermato che lo Stato italiano, per
quanto riguarda la clausola 5 dell’accordo quadro comunitario in materia di contratto a tempo determinato, era già anticipatamente conformato alla Direttiva
1999/70/CE, per la presenza di “norme equivalenti”
idonee a prevenire gli abusi, come quelle previste dagli
artt. 1, 2 e 3 della L. n. 230/1962. Il monito a salvaguardare la precedente disciplina in materia di contratto a termine o a modificarla con accortezza, rafforzando le tutele sull’abuso, rimarrà (apparentemente) inascoltato con la riforma del 2001 e, forse, determinerà la
Consulta nella sentenza in commento a vendicare l’affronto subito con la più incredibile delle risposte: il
D.Lgs. n. 368/2001 è un semplice testo unico e non
contiene nessuna riforma della previgente normativa.
Peraltro, è stato un errore “genetico” quello di aver limitato il potere del legislatore ordinario di modificare
la previgente disciplina su un ambito di applicazione
della normativa comunitaria ridotto, rispetto a quello
effettivo. Anche le disposizioni sulle ragioni obiettive
(che possono essere impropriamente definite come
quelle del “primo contratto”) rientravano e rientrano
nel campo di applicazione della direttiva e, quindi, il
normopoieta interno aveva il legittimo potere di modificare o abrogare anche l’art. 1, L. n. 230/1962 (come
poi è avvenuto) senza che ciò potesse considerarsi ex se
una violazione del diritto comunitario e della clausola
di non regresso dell’accordo quadro (sarebbe stato sufficiente inserire misure preventive “compensative”).
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 44/2008
(47) ha dichiarato illegittimi l’art. 10, commi 9 e 10,
nonché l’art. 11, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 368/2001, nella parte in cui tali disposizioni si sono collocate al di
fuori della Direttiva comunitaria 1999/70/CE e al di
fuori della legge delega comunitaria n. 422/2000, abrogando il diritto di precedenza previsto per i lavoratori
stagionali dall’art. 23, comma 2, della L. n. 56/1987. La
stessa questione di legittimità costituzionale era stata
sollevata per ben due volte dal Tribunale di Rossano,
con ordinanze (48) identiche nel contenuto per insoddisfazione nella risposta. Nella prima occasione la Corte Costituzionale con ordinanza n. 252/2006 (49) aveva deciso di non decidere sull’eccesso di delega ex art.
76 della Costituzione e sulla presunta violazione della
clausola di non regresso, invitando contraddittoriamente il Giudice del lavoro rimettente a trovare la soluzione nella sentenza “Mangold”, intervenuta nelle
more del giudizio e considerata ius superveniens. La
Corte Costituzionale nella seconda ordinanza sarà incredibilmente costretta dal suo stesso confuso precedente a dichiarare l’illegittimità costituzionale della
norma, per assenza di delega e violazione dell’art. 77
Cost. La sentenza “Angelidaki” dirà che anche la regolamentazione del diritto di precedenza dei lavoratori
stagionali rientrava (e rientra) a pieno titolo nel campo di applicazione della Direttiva 1999/70/CE.
Quattro letture diverse della stessa disciplina comunitaria e quattro soluzioni diverse del rapporto tra le fonti del diritto costituiscono un esempio non mirabile di
autarchia giudiziaria e di indifferenza nei confronti dei
propri precedenti e della memoria storico-giuridica: a) la
clausola di non regresso è stand still nella sentenza n.
41/2000 e impedisce o limita interventi legislativi strutturali della previgente disciplina; b) l’entrata in vigore
della disciplina comunitaria antiabusiva sul contratto a
termine, però, non impedisce trattamenti interpretativi
di ingiustificato favore nei confronti dello Stato-imprenditore, nella sentenza n. 419/2000; c) la clausola di non
regresso non si applica a tutta la nuova disciplina del
contratto a tempo determinato, ma la soluzione del contrasto tra l’eccesso o carenza di delega della legge comunitaria e la norma interna delegata va trovata solo alla
luce del diritto comunitario, nell’interpretazione della
Corte di Giustizia (ordinanza n. 252/2006); d) infine, la
clausola di non regresso (forse) non si applica a tutta la
nuova disciplina del contratto a tempo determinato, ma
il legislatore delegato in ogni caso deve rispettare i limiti
Note:
(45) Corte Costituzionale, sentenza 3-7 febbraio 2000, n. 41.
(46) Corte Costituzionale (Pres. Bile, Est. Mazzella), sentenza 25 febbraio - 4 marzo 2008, n. 44.
(47) In questa Rivista, 2008, 367 con nota di V. De Michele, Improvvisa
decisione della Consulta: i prevedibili effetti negativi sul contratto a termine.
(48) La prima ordinanza del Trib. Rossano (Est. Coppola) è del 17 maggio 2004, n. 889, in Riv. giur. lav., 2005, II, 85, con nota di A. Andreoni; in questa Rivista, 2005, 472, con nota di P. Nodari, Diritto di precedenza e costituzionalità della nuova normativa sul termine. Per una ricostruzione del confronto tra il Tribunale di Rossano e la Corte Costituzionale
sul diritto di precedenza, v. C. de Martino, Il diritto di precedenza dei lavoratori a tempo determinato, in AA.VV., Il contratto a termine nel lavoro privato e pubblico, a cura di M. D’Onghia, M. Ricci, Milano, 2009, 255 ss.
La seconda ordinanza del Trib. Rossano (stesso Est.) è del 16 gennaio
2007, in G.U. Iª serie speciale 4 luglio 2007, n. 26.
(49) Corte Cost. (Pres. Marini, Est. Mazzella), ordinanza 28 giugno
2006, n. 252, in Mass. Giur. Lav., 2006, 10, 736, con nota di G. Franza,
Lavoro a termine: è ormai completa l’interpretazione della direttiva.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
1013
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
della delega e non operare al di fuori di essa (sentenza n.
44/2008).
La disciplina sul contratto a termine del 2001
e le risposte della Corte di Giustizia
Verifichiamo come la Corte di Giustizia ha già interpretato la normativa comunitaria individuata e “individuabile” in riferimento alle regole nazionali di recepimento, per comprendere il contrasto della riforma del
2001 con la Direttiva 1999/70/CE.
La normativa interna abrogata per il “motivo”
del recepimento della Direttiva
L’art. 1, comma 1, della L. n. 230/1962, si fonda
sulla presunzione di rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato, salvo le eccezioni precisate dalla stessa disciplina speciale, in ragione delle quali è legittima l’apposizione del termine al contratto di lavoro, attraverso una elencazione tassativa di ragioni
obiettive, indicate nello stesso art. 1, comma 2, legge
n. 230/ 1962. La sola ragione non obiettiva, contenuta nella disciplina generale, che legittimava l’apposizione di un termine in maniera sostanzialmente acausale era quella prevista nella lettera f) del citato comma 2) dell’art. 1 della legge n. 230/1962, applicabile
alle aziende di trasporto aereo o esercenti i servizi aeroportuali, unica ipotesi di ricorso a termine a rischio
di “precarizzazione” dei rapporti di lavoro (situazione
puntualmente verificatasi), introdotta dalla L.
41/1986 per bloccare il contenzioso sulle punte stagionali di Alitalia s.p.a. e di Aeroporti di Roma s.p.a.,
con la garanzia, però, dell’applicazione della disciplina
sulla proroga e sui contratti “successivi”, prevista dall’art. 2 della L. n. 230/1962!
L’elencazione tassativa delle fattispecie di cui all’art.
1, comma 2, L. n. 230/1962 era affiancata da una norma
di apertura nei confronti della contrattazione collettiva,
introdotta dall’art. 23, comma 1, della L. n. 56/1987. Il
sistema di tutele della L. n. 230/1962, sostanzialmente
fondato sulle “ragioni obiettive”, era completato dalla
disciplina della proroga e dei contratti “successivi” di cui
all’art. 2, L. n. 230/1962 e dalla norma sull’onere probatorio di cui all’art. 3 della stessa legge.
Ambito di applicazione della normativa
comunitaria
La Corte di Giustizia definisce anche il concetto di
«applicazione dell’accordo quadro», che copre ogni misura nazionale intesa a garantire che l’obiettivo da questa perseguito possa essere raggiunto, comprese le misure che, successivamente alla trasposizione propriamente
detta, completino o modifichino le norme nazionali già
adottate (sentenza “Angelidaki”, punto 131 e sentenza
“Mangold”, punto 51).
Clausola di non regresso e sua applicazione
La Corte di Giustizia con la sentenza “Angelidaki”
1014
ha chiarito che la clausola di non regresso si applica anche al primo ed unico contratto (punti 112 e 121) a
tempo determinato, tenendo conto dell’insieme delle
disposizioni di diritto interno di uno Stato membro relative alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di
lavoro a tempo determinato. Anche la clausola 4 di
non discriminazione si applica ai lavoratori con un solo
rapporto (punto 117).
Norma equivalente e misure preventive
La Corte di Giustizia ha chiarito che con l’espressione «norme equivalenti», la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro intende includere ogni norma di diritto
nazionale volta a prevenire in modo effettivo l’utilizzo
abusivo di contratti o di rapporti lavoro a tempo determinato successivi, allo stesso modo delle norme contemplate da detta clausola (sentenza “Angelidaki”,
punto 76, ma anche sentenza “Adeneler”, punto 65);
ha precisato, inoltre, che rientra nel potere discrezionale di cui godono gli Stati membri ai sensi della clausola
5, n. 1, dell’accordo quadro ricorrere, al fine di garantire
l’effettiva prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti
o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, ad
una o più tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, pur tenendo conto
delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori (sentenza “Angelidaki”, punto 81).
Ragioni obiettive e clausole generali e astratte
La Corte di Giustizia ha avuto modo, ripetutamente, di proporre una nozione (non specificata nella Direttiva) di «ragioni obiettive» ai sensi della clausola 5,
n. 1, lett. a), dell’accordo quadro, nel senso che essa si
riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da
giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Dette
circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle
quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle
caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal
perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (v. per tutte, la sentenza
“Adeneler”, punti 69 e 70). Rispetto a questa precisa
nozione di ragioni obiettive, la normativa comunitaria
è in contrasto con clausole generali ed astratte di apposizione del termine.
Il contrasto delle clausole 5, nn. 1 e 2, e 8, n. 3
dell’accordo quadro con le “causali” generali
interne
Alla luce dell’interpretazione della Corte Giustizia,
la normativa comunitaria di cui alla Direttiva
1999/70/CE e, in particolare, le clausole 5, nn. 1 e 2, e
8, n. 3, si pongono in complessivo contrasto con l’intera riforma del 2001 sul contratto a tempo determinato,
comprese le modifiche ed integrazioni intervenute.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
Nel 2001 si è verificato un complessivo peggioramento della situazione di tutela dei lavoratori a tempo
determinato rispetto alle misure equivalenti degli artt.
1, 2 e 3 della L. n. 230/1962, con l’introduzione di una
disposizione genericamente causale, ma in realtà sostanzialmente acausale in quanto priva di specificazione sulle “ragioni obiettive” (nella nozione comunitaria), quale l’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, nonché di una disposizione dichiaratamente acausale quale
l’art. 2, D.Lgs. n. 368/2001, oltre all’art. 4 D.Lgs. n.
368/2001 sulla proroga (anche in questo caso senza
specificazione delle ragioni obiettive). L’art. 5, D.Lgs.
n. 368/2001 (nel testo precedente le modifiche introdotte dalla L. n. 247/2007) riproduce semplicemente
la disciplina sull’art. 2, comma 2, della L. n. 230/1962
sui contratti “successivi”, né è stato adeguato alle precisazioni della Corte di Giustizia sulla congrua durata
minima dei contratti successivi. Né è stato disciplinato
l’onere probatorio “sostanziale” in riferimento al contratto iniziale, avendo il datore di lavoro solo un generico onere di specificazione di “generiche ragioni”
(quelle dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001), né è
stato precisato se vi sono conseguenze o sanzioni nel
caso in cui le generiche ragioni non siano effettive e
chi sopporti in giudizio l’onere probatorio e rispetto a
cosa.
Ma di tutto questo non si troverà traccia nella sentenza n. 214/2009 della Consulta, una sentenza aliena,
che conduce ad una altra dimensione, che elimina i
problemi negandone l’esistenza.
Corte Costituzionale e art. 1, D.Lgs. n. 368
del 2001: l’invenzione del testo unico
Con l’unica sentenza n. 214 del 14 luglio 2009 la
Corte Costituzionale ha deciso tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione agli artt.
1, comma 1, 2, comma 1 bis, e 4 bis D.Lgs. n. 368/2001.
Dopo la sentenza n. 44/2008 della Consulta sono state
sollevate due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, per violazione
degli artt. 76 e 77 della Costituzione nonché della clausola di non regressione e degli obblighi comunitari ex
art. 117, comma 1, Cost., la prima dal Tribunale di Trani (50), la seconda dal Tribunale di Roma (51), nella
quale è stata sollevata anche questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001 (una
delle poche a superare positivamente il vaglio di ammissibilità e da essere dichiarata fondata). Le due questioni di legittimità costituzionale sull’art. 1, comma 1,
D.Lgs. n. 368/2001 riguardano cause in cui sono stati
impugnati contratti a tempo determinato stipulati da
Poste Italiane s.p.a. per generiche esigenze “sostitutive”,
senza indicazione del nominativo del lavoratore sostituito. Paventando (a visionaria ragione) una risposta
non definitiva da parte della Corte costituzionale, il
Tribunale di Trani ha sollevato anche la pregiudiziale
comunitaria con l’ordinanza del 9 giugno 2008 (52), di
identico contenuto rispetto alla ordinanza di legittimità
costituzionale.
La soluzione della Corte Costituzionale sui problemi interpretativi e sul (presunto) contrasto dell’art. 1,
comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 con la normativa comunitaria e con la clausola di non regresso consiste nel riconoscere una identità perfetta delle ragioni obiettive
indicate nell’art. 1, comma 2, della L. n. 230/1962
(abrogata) con le ragioni obiettive sinteticamente individuate nella clausola generale dell’art. 1, comma 1,
D.Lgs. n. 368/2001. Non è dato rinvenire né nella giurisprudenza né nella dottrina una interpretazione così
superficiale e semplicistica del rapporto tra la norma
abrogata e la norma che l’ha sostituita, come se nulla
fosse cambiato e il legislatore delegato del 2001 intendesse soltanto fare un testo unico della disciplina in
materia di contratto a tempo determinato, integrando
le precedenti norme con quelle necessarie per recepire
la Direttiva 1999/70/CE. Né è possibile riscontrare specifiche disposizioni che recepiscono le regole comunitarie, se non quelle sulla formazione (art. 7, D.Lgs. n.
368/2001) e sulle informazioni (art. 9, D.Lgs. n.
368/2001), poco significative (clausole nn. 6 e 7 dell’accordo quadro) e già in gran parte recepite nella contrattazione collettiva, cui le stesse norme nazionali di
“attuazione” poi rimandano. La Corte Costituzionale
ha scelto una soluzione “conservativo-fotostatica” che
evitasse la declaratoria di illegittimità costituzionale
dell’intero D.Lgs. n. 368/2001 per contrasto con la Direttiva 1999/70/CE, utilizzando la clausola di non regresso come clausola “stand still”, in antitesi con quanto
precisato dalla Corte di Giustizia nelle sentenze “Mangold” e “Angelidaki” sulla natura e la efficacia della
clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro. Per rimanere,
però, al ristretto orticello nazionale, se l’interpretazione
del D.Lgs. n. 368/2001 come testo unico “integrato”
non fosse contraria - come lo è - a tutti i canoni interpretativi conosciuti, il processo di “mummificazione”
normativa inventato dalla Consulta avrebbe l’effetto
paradossale e imperfetto di un irrigidimento della normativa rispetto al (nuovo) passato: a) le ipotesi tipiche
dell’art. 1, comma 2, L. n. 230/1962, dopo la riesumazione grafica nella formula “sintetica” delle “ragioni di
carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo”, sono le uniche che legittimano l’apposizione del
termine al contratto di lavoro; b) diversamente rispetto
alla L. n. 230/1962, non solo la causale sostitutiva (l’unica che obbligava a indicare già nel contratto di assunNote:
(50) Trib. Trani, Est. La Notte Chirone, 21 aprile 2008, n. 434/08 Reg.
Ord., in questa Rivista, 2008, 705, con nota di V. De Michele, Questioni
di pregiudizialità comunitaria e costituzionale sul contratto a termine.
(51) Trib. Roma, Est. Conte, 26 settembre 2008, n. 413/08 Reg. Ord.,
in questa Rivista, 2009, 166.
(52) Causa C-98/09 “Sorge” contro Poste italiane s.p.a., pubblicata su
G.U.C.E. C 129 del 6 giugno 2009, 6.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
1015
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
zione il nominativo del lavoratore da sostituire e la causa della sostituzione) ma anche - e solo - le altre ipotesi
tipiche dell’art. 1, comma 2, L. n. 230/1962 dovrebbero
essere specificate dettagliatamente già prima o al momento dell’assunzione (o meglio comunicate al lavoratore entro 5 giorni, è un testo unico un pò flessibile, dipende dagli umori), ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.Lgs.
n. 368/2001; c) le imprese non avrebbero nessuna possibilità di ricorrere ad altre ipotesi di contratto a tempo
determinato, come quelle individuate dalla contrattazione collettiva, perché la fonte di legittimazione (l’art.
23, comma 1, L. n. 56/1987, per l’appunto) è stata dichiaratamente abrogata e nel testo unico non vi è traccia di trascrizione né sintetica né analitica.
Un disastro: nel 2001 si sarebbe passati dal tentativo di flessibilizzare la precedente disciplina, riformandola quasi integralmente, al risultato di averla fortemente e
immotivatamente irrigidita, senza avvertire i protagonisti (imprese e lavoratori) che quello che leggevano era
diverso da quello che avrebbero dovuto leggere! Sarebbe
stato sufficiente limitare la declaratoria di illegittimità
costituzionale alla causale sostitutiva, come aveva sapientemente argomentato il Tribunale di Roma nella
sua pregevole ordinanza in relazione alla sanzione della
conversione dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001, e i
danni sarebbero stati complessivamente limitati. Invece
no, centinaia di migliaia di contratti a termine (53) sarebbero ora tutti sbagliati per parziale impotentia coeundi
del legislatore, per difetto di (inutile) clonazione giuridica. È una soluzione non sense - quella del testo unico -,
illogica, immotivata, dagli effetti perversi sul sistema
processuale in un momento di crisi occupazionale e del
sistema delle imprese private, mentre Poste italiane
s.p.a. ha sanato la massima parte degli abusi commessi
sui contratti stipulati fino al 31 dicembre 2005 con gli
accordi sindacali del 13 gennaio 2006 e del 10 luglio
2008, facendo leva sugli effetti temporali di congelamento del contenzioso (per un anno) provocati dall’art.
4 bis, D.Lgs. n. 368/2001. Era l’occasione migliore per
bloccare o rallentare gli abusi dello Stato sui processi e
sulle regole, senza scaricarne costi e conseguenze su soggetti diversi dal vero responsabile. È fallita, ma, questa
volta, non ci sono scuse o alibi, la sentenza non aiuta alla soluzione di nessun problema, è un gioco illusionistico
alla Houdinì sull’art. 1, D.Lgs. n. 368/2001, è un vero
falso storico sulla causale finanziaria Poste, con l’apparente merito di aver dichiarato illegittima una norma l’art. 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001 -, rifiutandosi di sottoporla a parametri costituzionali più stabili de iure condendo e
decidendo in un momento in cui la norma di favore
aveva ormai realizzato la sua piena utilità dissuasiva e
conciliativa, per lo Stato, solo per lo Stato.
Corte Costituzionale sull’art. 2, D.Lgs.
n. 368/2001: il PPP (postino precario di Poste)
e il PIL
C’è una perfetta simmetria logico-involutiva - nel-
1016
la decisione in commento - da un lato tra la sentenza n.
41/2000 e la soluzione adottata sull’art. 1 della riforma
del 2001, dall’altro tra la sentenza n. 419/2000 (54) e la
risposta alla pregiudizialità costituzionale sulla norma in
favore di Poste, inserita con la legge finanziaria per il
2006. Non vi è soltanto un peggioramento della qualità
del ragionamento giuridico e dell’interpretazione normativa rispetto alle due sentenze del 2000 (che già erano espressione di due tendenze antitetiche, garantire la
coerenza del sistema delle fonti e garantire l’immunità
degli abusi dello Stato), ma una carenza nella “trasparenza” e nella correttezza ricostruttiva delle affermazioni, veramente apodittiche e quasi ieratiche, particolarmente sulla decisione concernente la causale finanziaria Poste. Si passa dal testo unico sulla disciplina del
contratto a tempo determinato al P.I.L., acronimo di
Poste Italiane’s Law, il diritto esclusivo di Poste italiane
s.p.a. a regolamentare i propri rapporti di lavoro senza
vincoli e senza rischi di contenzioso.
Sul punto la sentenza della Corte Costituzionale
elude completamente la disciplina comunitaria sul contratto a tempo determinato, come interpretata dalla
Corte di Giustizia, partendo implicitamente dal presupposto interpretativo (rivelatosi errato) del Tribunale di
Roma, secondo cui la norma aggiunta con la legge finanziaria n. 266/2005 non rientrava nel campo di applicazione della Direttiva 1999/70/CE e della clausola
di non regresso. La questione di legittimità costituzionale con la sentenza “Angelidaki”, che aveva chiarito
che anche il primo e unico contratto rientra nell’ambito della disciplina comunitaria, era diventata inammissibile, dal momento che non era stato invocato il “sicuro” parametro costituzionale dell’art. 117, comma 1,
Cost. e la violazione degli obblighi comunitari e delle
clausola 5, n. 1, e 8, n. 3, dell’accordo quadro comunitario. Ma non vi è traccia di alcun confronto tra diritto
comunitario e diritto interno, nonostante fosse stato
precisato anche nella “Mangold” (punto 51) che la nozione di “applicazione” faceva rientrare nel campo di
applicazione della normativa comunitaria gli interventi
normativi successivi. E, del resto, l’art. 2, comma 1 bis,
D.Lgs. n. 368/2001 si inserisce nel “testo unico” e,
quindi, andava preliminarmente delibata la sua compatibilità con la normativa comunitaria anche in riferimento alla disciplina di prima applicazione. Ma la Corte Costituzionale smentisce se stessa e cancella ogni riferimento al paracadute comunitario, incautamente abbandonato dal Tribunale di Roma nella pur bella ma
tradizionale ordinanza.
Non c’è più lo ius superveniens delle sentenze della
Corte di Giustizia, ma la libera interpretazione arbitraNote:
(53) V. la preoccupata nota di Confindustria del 17 luglio 2009.
(54) Corte Cost. 13 ottobre 2000, n. 419, in questa Rivista, 2001, 33,
con nota di G. Casadio, Legittimità a tempo ed eccezionalità dei contratti a
termine nelle Poste Italiane s.p.a.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
ria sugli abusi dello Stato. Anzi, la normativa comunitaria e, in particolare, la Direttiva 1997/67/CE, che
concerne regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali e il miglioramento della qualità
dei servizi, viene utilizzata come incredibile giustificazione per l’introduzione della disposizione di favore
“acausale” per le imprese del settore postale e per la precarizzazione, ai fini dell’espletamento del servizio postale universale, dei rapporti di lavoro a tempo determinato dei dipendenti delle “imprese concessionarie”. Neanche con la norma di favore del 1996, quando era iniziato il processo di privatizzazione del settore postale, gli
oneri della fornitura del servizio universale erano stati
invocati come fonte di legittimazione della norma che
vietava la riqualificazione dei rapporti a termine di Poste. Negando il rapporto tra diritto comunitario derivato e norma interna la Corte Costituzionale ha negato
anche i presupposti in fatto e in diritto, da cui era partito il Giudice del lavoro rimettente. Infatti, la Consulta
sostiene che la norma di favore si applichi ad un intero
settore, cioè alle imprese concessionarie dei servizi postali, mentre il Tribunale di Roma aveva chiaramente
precisato nella sua ordinanza che vi è un unico soggetto
giuridico che rientra nella nozione di “impresa concessionaria” e beneficia degli effetti della disposizione
“acausale”, cioè Poste Italiane s.p.a. Del resto, l’unico
fornitore del servizio universale nazionale è Poste italiane s.p.a., almeno fino a quando la privatizzazione integrale del settore e l’eliminazione dei servizi riservati (31
dicembre 2010), che garantiscono la copertura dei costi
del servizio universale, potranno consentire di affidare
la fornitura del servizio universale al mercato e alle imprese che vi operano, ridistribuendo gli oneri economici e organizzativi. È la parte più sorprendente della sentenza in commento, sembrano scritti apocrifi, è la prima volta che si usano, così superficialmente e senza alcuna coerenza scientifica e storico-giuridica, argomenti
tecnici inconsistenti per discriminare dichiaratamente
una intera categoria di lavoratori di una sola grande impresa pubblica, i postini di Poste italiane s.p.a.
Alla Corte Costituzionale non crea nessun problema l’effetto discriminatorio denunciato dal Tribunale di
Roma tra i lavoratori a tempo determinato di Poste assunti ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n.
368/2001, ai quali non si applica la disciplina sui contratti “successivi” prevista dall’art. 5, comma 3, D.Lgs.
n. 368/2001, e i lavoratori a tempo determinato assunti
dalle altre imprese, comprese quelle operanti nel settore
postale, ai quali invece la tutela antiabusiva (preventiva e successiva) si applica; anzi, il Giudice delle leggi
nazionali accredita l’inaudita tesi che la precarizzazione
(rectius, la “flessibilità sicura”, cioè senza contenzioso)
sia la conseguenza necessaria dello svolgimento di un
servizio pubblico di interesse generale. A parte l’assurdità ontologica di sostenere che un servizio pubblico da
svolgere costantemente e permanentemente su tutto il
territorio nazionale possa essere espletato da personale
precario e precarizzabile, nel suo libero volo pindarico
la Corte Costituzionale non opera alcuna distinzione,
nell’ambito del servizio postale universale, tra servizi riservati (ormai residuali nella normativa nazionale già a
decorrere dal 1° gennaio 2006 e destinati a cessare entro il 31 dicembre 2010) al solo fornitore del servizio
universale e servizi non riservati, che dovrebbero essere
svolti in regime di libera concorrenza. E poi, dopo sei
anni dall’inizio del processo di privatizzazione del settore postale, con tutti i problemi che l’Authority della
concorrenza ha dovuto affrontare e rilevare (e risolvere) per evitare la evidente (e denunciata) situazione di
abuso di posizione dominante di Poste italiane s.p.a. nei
confronti dell’ex imprese concessionarie dei servizi postali, la Consulta giustifica un’interpretazione della legislazione di favore che, inevitabilmente, porta a legittimare l’abuso di posizione dominante e la violazione degli artt. 82 e 86 del Trattato CE (55). Scompare ogni
traccia della teoria del testo unico, che, nel caso di specie, avrebbe potuto almeno sostituire la lanterna di
Diogene per individuare qualche barlume di ragionamento sistematico: nella precedente disciplina abrogata
(e ripristinata ad interim) anche all’ipotesi acausale della
norma di favore per Alitalia si applicava la disciplina
dei contratti successivi (art. 2, comma 2, L. n. 230/
1962), che invece nel testo unico del 2001 e nell’interpretazione (non comunitaria) della Corte costituzionale non si applica. Va anche detto che neanche le altre
modifiche del D.Lgs. n. 368/2001 (le regole introdotte
dall’art. 1, commi 39-43, della L. n. 247/2007; le controregole introdotte dall’art. 21, D.L. n. 112/2008), che
potevano “interferire” con le riflessioni della Corte nella soluzione delle questioni proposte, hanno trovato dignità di cronaca nella sentenza in commento: il testo
unico è solo quello del 2001, il resto non interessa e
non rileva.
Né trova alcun fondamento in fatto, prima che in
diritto, l’affermazione della Consulta, secondo cui la
flessibilità troverebbe limiti inderogabili nella clausola
di contingentamento, che assicurerebbe la “trasparenza”
dell’impiego dei postini. A parte l’elevata percentuale
della clausola (15%) “legale”, di gran lunga superiore a
quelle contrattuali precedenti, a parte la sua indeterminatezza perché volutamente rapportata all’intero organico aziendale, manca la sanzione in caso di violazione e,
nel caso in cui sul piano interpretativo si potesse (e si
volesse) pervenire alla riqualificazione del rapporto, saNota:
(55) Le apodittiche argomentazioni della Consulta si pongono in aperto
contrasto con il quadro normativo-fattuale della decisione del 16 luglio
2008 (pubblicata su G.U.C.E., serie L 64/4 del 10 marzo 2009), con cui
la Commissione europea ha condannato Poste italiane per aiuti di Stato
illegittimi relativi alla remunerazione dei conti correnti di Poste presso
la Tesoreria dello Stato. La sentenza della Corte costituzionale e la decisione della Commissione europea fotografano la stessa realtà ma con
immagini completamente diverse. Una delle due è completamente sbagliata o dice cose non vere.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
1017
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
rebbe una soluzione molto aleatoria rispetto al momento
in cui la clausola è stata violata e ai lavoratori che sarebbero legittimati e interessati a far valere la sanzione: nel
2007 Poste italiane s.p.a. dichiara di aver stipulato con
la causale finanziaria n. 22.075 contratti a tempo determinato su n. 147.927 unità lavorative, rimanendo appena al di sotto del 15% dell’organico aziendale (=
22.189). Se fosse stata superata la soglia, quali sarebbero
stati gli “eletti”, i non precarizzabili? E rispetto a quando?
Non scherziamo, la trasparenza e le norme inderogabili
sono altra cosa. Per completare i rilievi di complessiva
inutilizzabilità della interpretazione fornita dalla Corte
Costituzionale sull’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n.
368/2001, va evidenziato che non vi è alcun chiarimento né alcuna differenziazione di applicazione della norma tra lavoratori a tempo determinato che, pur alle dipendenze della stessa unica impresa “concessionaria”,
possono essere assunti indifferentemente in base alle ragioni oggettive previste dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. n.
368/2001 o in virtù della disposizione “acausale” dell’art.
2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001. La discriminazione
nell’applicazione (o non applicazione) delle tutele antiabusive sulle posizioni lavorative all’interno della stessa
organizzazione aziendale non viene affrontata. L’apodittico richiamo agli oneri del servizio postale universale
esclude, comunque, gli sportellisti dal campo di applicazione della norma di favore, come peraltro riconosciuto
anche dalla contrattazione collettiva e dai documenti
aziendali, e rende ancora più grave la discriminazione
nei confronti dei postini.
L’interpretazione della Corte costituzionale sull’art.
2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 si pone in deliberato contrasto logico-giuridico ed etico con la normativa
comunitaria e la clausola di non regresso, come interpretata dalla Corte di Giustizia, giustifica l’abuso di posizione dominante di Poste italiane s.p.a. in violazione
degli artt. 82 e 86 del Trattato Ce, contraddice con la
soluzione interpretativa proposta sull’art. 1, D.Lgs. n.
368/2001, è contraria ai principi di equità e di buon
senso, viola il principio costituzionale e comunitario di
uguaglianza: sarebbe molto utile per gli interpreti ignorarne completamente il contenuto e, solo in caso di
dubbi, chiedere lumi alla Corte di Giustizia.
Corte Costituzionale sull’art. 4 bis,
D.Lgs. n. 368/2001: il solito principio
di ragionevolezza
Con la sentenza n. 214/2009 la Consulta ha deciso
anche la questione di legittimità costituzionale sull’art.
4 bis, D.Lgs. n. 368/2001 (56), l’incredibile norma di favore processuale per Poste italiane s.p.a., introdotta con
un iter normativo farsesco in sede di conversione dell’art. 21 (aggiungendovi un comma 1 bis) D.L. n.
112/2008. Numerose le ordinanze di rimessione delibate, poche quelle dichiarate ammissibili, uno solo il parametro costituzionale preso in considerazione per la declaratoria di illegittimità della norma “transitoria”, il
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principio non scritto della ragionevolezza in relazione
all’art. 3 Cost. In questo caso, scompare ogni riferimento al diritto comunitario, la clausola di non regresso
non viene neanche evocata. C’è una vera e propria tutela della privacy ordinamentale. Nell’originale linea difensiva dell’Avvocatura generale dello Stato davanti alla Consulta, la difesa erariale, in merito alla mancata
specificazione dell’obbligo di indicare il nominativo del
lavoratore da sostituire nella causale sostitutiva dell’art.
1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, aveva difeso la scelta
del legislatore della riforma del 2001 con la necessità di
applicare la normativa a tutela della privacy. Sicuramente la Consulta ha valutato le sentenze della Corte
di Giustizia come “dati sensibili”, al punto da ometterne ogni riferimento, su ogni questione. Ma le sanzioni
contro l’utilizzo abusivo dei contratti a termine rientrano nel campo di applicazione della normativa comunitaria (clausola 5, n. 2, dell’accordo quadro comunitario)
anche nel pubblico impiego e la Giurisprudenza comunitaria ha ampiamente chiarito che la riqualificazione
dei rapporti non è l’unica sanzione applicabile. Le violazioni della clausola di non regresso e del principio di
uguaglianza (art. 117, comma 1, Cost. sul rispetto degli
obblighi comunitari, in relazione all’art. 3 Cost.) erano
state specificamente indicate soltanto da tre delle sette
ordinanze ritenute ammissibili, quella del Tribunale di
Roma e le due identiche del Tribunale di Ascoli Piceno. Erano le sole questioni ammissibili, perché il parametro dell’art. 117, comma 1, (e dell’art. 11) Cost., in
riferimento agli obblighi comunitari, era preliminare e
pregiudiziale per consentire la valutazione di compatibilità costituzionale, almeno fino al 28 gennaio 2009,
quando la Giurisprudenza costituzionale era ancora
orientata al rispetto delle competenze tra i due ordinamenti autonomi e coordinati, quello comunitario e
quello nazionale. La Giurisprudenza di merito, seppure
con poche pronunce, aveva perfettamente compreso di
avere ormai in mano gli strumenti interpretativi per risolvere i problemi sostanziali e processuali sollevati dalla stravagante disposizione dell’art. 4 bis, D.Lgs. n.
368/2001. Dalla non applicazione o disapplicazione della norma in contrasto con il diritto comunitario (e con
la clausola di non regresso e il principio di uguaglianza)
(57), fino all’interpretazione adeguatrice, che limita o
Note:
(56) Per una complessiva analisi delle problematiche provocate dall’art.
4 bis, D.Lgs. n. 368/2001, v. L. Valente, Contratto a termine, rapporti pendenti e norma transitoria ex art. 4 bis, d.lgs. 368/2001: come evitare che il
legislatore si faccia giudice del caso concreto, in Riv. giur. lav., 2009, 5; nonché, V. De Michele, Modifiche al contratto di lavoro a tempo determinato,
438, in (a cura di) M. Miscione e D. Garofalo, Commentario alla L. n.
133/2008. Lavoro privato, pubblico e previdenza, Milano, 2009.
(57) Trib. Trani (Est. La Notte Chirone), sentenza 22 settembre 2008,
commentata da D. Carpagnano, Sull’art. 21 della L. 133/2008: ovvero la
cronaca di una storia annunziata, in www.cgil.it/giuridico; Trib. Livorno
(Est. Magi), addirittura con ordinanza del 28 ottobre 2008, poi recepita
nella successiva sentenza del 3 dicembre 2008.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
elimina gli effetti della norma illegittima (58), la Magistratura specializzata si era dimostrata in grado di superare rapidamente le difficoltà “temporanee” causate
dall’ennesima regola salva-Poste. È questo il vero
punctum dolens della complessiva vicenda legislativa e
processuale sulla disciplina del contratto a termine: i
poteri del Giudice interno. Essi escono fortemente
rafforzati dal rapporto “diretto” con il diritto comunitario e dal dialogo “rispettoso” con la Corte di Giustizia (che è Organo di giustizia che rispetta il Giudice
nazionale e risponde sempre ai suoi dubbi), potrebbero risolvere, sulla base del “patrimonio costituzionale
comune” e del diritto comunitario, tutte le questioni
sottoposte.
E ciò spiega la “infastidita” reazione della Corte
costituzionale, che riduce la valutazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001
alla sola violazione del principio di ragionevolezza, di
cui all’art. 3 Cost. Ignorati tutti gli altri parametri costituzionali, da quello preliminare dell’art. 117, comma 1, Cost. per violazione degli obblighi comunitari,
all’ingiusto intervento normativo sui processi, a cominciare dal parametro intermedio dell’art. 6 Cedu
per passare al parametro diretto dell’art. 111 Cost.
(costantemente ignorato dalla Consulta), all’art. 24
Cost., ecc.
Approfondendo le riflessioni già autorevolmente
proposte (59), recentemente ribadite (60), la Corte
costituzionale ha assunto le vesti del legislatore piuttosto che del giudice, e si è auto-attribuita, e non da oggi,
poteri che non le competono. Il problema nasce, in
particolare, dal rapporto tra ordinamenti, quello comunitario e quello nazionale, all’interno del quale il ruolo
della Corte costituzionale, del Giudice primo garante
della Costituzione e della conformità ad essa delle leggi
interne, è venuto meno. Se si è generato un “patrimonio costituzionale comune”, che trova tutela mediata
nell’interpretazione della Corte di Giustizia e tutela diretta in quella dei Giudici nazionali attraverso gli strumenti dell’interpretazione adeguatrice o della non applicazione delle leggi interne illegittime, l’unica possibilità della Corte costituzionale di intervenire nel processo di costituzionalizzazione diffusa era quello di riservare a se stessa esclusivamente il vaglio di costituzionalità delle regole nazionali in presunto contrasto
con la disciplina comunitaria di non diretta applicazione (61). La Consulta con la sentenza n. 214/2009 ha
fatto altro, esprimendo, nel peggior modo possibile una
perfetta sintesi di tutti gli errori, le evoluzioni e le involuzioni della Giurisprudenza costituzionale sulla delicatissima materia dei rapporti di lavoro flessibili. Non
vi è un filo logico, una soluzione di sistema, una razionalità intrinseca, una costruzione interpretativa, in
una decisione enigmatica e contraddittoria in cui è
chiara soltanto l’intenzione di creare una frattura con
il diritto comunitario e le sentenze della Corte di Giustizia.
Ricomincio da tre: Costituzione, Cassazione,
Corte di Giustizia
Bisogna fare i conti con quello che rimane della
disciplina del contratto a tempo determinato, dopo il
passaggio tempestoso della Giurisprudenza costituzionale. Si è ben capito, credo, che l’intero D.Lgs. n. 368/
2001 è stato la peggiore forma di autolesionismo giuridico che il nostro ordinamento si potesse concedere.
Ma ora la riforma del 2001, per qualche tempo, potrebbe reggere a ulteriori scossoni normativi, ricominciando
da tre: dal patrimonio costituzionale comune, che nella
nostra Carta fondamentale trova la gran parte delle sue
migliori espressioni, senza bisogno di correttivi in peius
della Consulta; dalla Giurisprudenza di legittimità, che
ha assicurato con la sentenza n. 12985/2008 la migliore
lettura autentica e conservativa della precaria disciplina, raccogliendo il sofferto percorso interpretativo della
dottrina (62) e della Giurisprudenza di merito prevalenti, a fronte di differenti interpretazioni (63) delle
stesse regole con pari dignità di attenzione e di analisi;
dalle numerose sentenze della Corte di Giustizia che ha
delineato un quadro di tutele minime condivisibili contro gli abusi nell’utilizzo dei contratti a termine e migliorato la qualità di vita lavorativa dei lavoratori precari, garantendo molti diritti, soprattutto nei confronti
delle pubbliche amministrazioni (ad eccezione che in
Italia: il legislatore interno non si è mai adeguato).
La disciplina interna è ancora fondata sull’esplicitazione di ragioni obiettive già nel contratto scritto e
sin dal primo (eventualmente unico) rapporto a termine, per esigenze transitorie che il datore di lavoro dovrà
provare, se chiamato in giudizio dal lavoratore. Se si intende sostituire uno o più lavoratori con diritto alla
Note:
(58) Già Trib. Roma (Est. Conte) nell’ordinanza del 26 settembre 2008
n. 413/2008 Reg. Ord. ritiene che l’art. 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001 consenta comunque la riqualificazione del rapporto e riduca soltanto il risarcimento dei danni per i periodi non lavorati; in termini, Trib. Trani,
sentenza 22 settembre 2008, cit., nonché Trib. Foggia (Est. Colucci),
sentenza 10 marzo 2009, in questa Rivista, 2009, 484. Sull’art. 2, comma
1 bis, D.Lgs. n. 368/2001, invece, Trib. Foggia (Est. Chiddo), sentenza
22 dicembre 2008, ibidem, 166, ritiene inapplicabile concretamente per
la norma, perché non sono state denunciate violazioni dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001, ma è la norma di favore che viola la normativa comunitaria; così sulle violazioni dell’art. 3 D.Lgs. n. 368/2001
con poche incisive battute, v. Trib. Firenze (Est. Bazzoffi), sentenza 3 dicembre 2008.
(59) M. Miscione, I poteri della Corte costituzionale, cit.
(60) S. Vallone, La Corte costituzionale e il principio di ragionevolezza, in
questa Rivista, 2009, 8, 779.
(61) G. Tesauro, Diritto comunitario, V ed., Padova, 2008, 207 ss.
(62) Cfr. in particolare, V. Speziale, La riforma del contratto a termine dopo la L. n. 247/2007, in Riv. it. dir. lav., 2008, I, 181-225; L. Menghini,
Il contratto a tempo determinato, in AA.VV., Il Collegato lavoro 2008, a
cura di F. Carinci e M. Miscione, Milano, 2008, 249-276.
(63) V. da ultimo R. Pessi, Il contratto a tempo determinato, in Arg. dir.
lav., 2009, 297; G. Proia, Il contratto a tempo determinato: le modifiche del
2008, ivi, 2009, 691.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009
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GIURISPRUDENZA•LAVORO A TERMINE
conservazione del posto di lavoro, bisognerà indicare i
nominativi dei lavoratori da sostituire e la causa della
loro sostituzione (64). Per il resto, non è necessario che
le ipotesi tipiche siano solo quelle previste dall’art. 1,
comma 2, della L. n. 230/1962, perché ve ne possono
essere altre, purché transitorie e temporalmente definite o definibili, per esigenze tecniche, organizzative o
produttive, meglio se previste dalla contrattazione collettiva. Non sono ammissibili situazioni di favore e discipline differenziate e discriminanti né ipotesi acausali,
a meno che non vengano introdotte misure preventive
compensative rispetto al venir meno delle ragioni
obiettive (65), come avviene per l’assunzione a termine
dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (durata massima di un anno) o come ha fatto il legislatore tedesco
del 2000 (66), che ha introdotto tra le ipotesi di ragioni
obiettive anche il “contratto di prova” con una durata
massima di due anni (che corrisponde, in linea di massima, al nostro contratto di inserimento).
Queste potrebbero essere le “certezze minime” su
cui operare. Sul resto della normativa del testo unico
affidiamoci alla sorte…o alla monetina, sperando che
lo Stato-imprenditore abbia terminato almeno per
qualche tempo di abusare dei processi e delle regole e le
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organizzazioni sindacali aziendali trovino la forza contrattuale di costringere Poste a risolvere, con proposte
conciliative eque, la vergognosa discriminazione nei
confronti di quella che, in molti altri Paesi moderni, è
una delle categorie di lavoratori più amate: il postino,
anche quando suona due volte. Senza costi aziendali,
almeno 10.000 nuovi postini ex precari potrebbero essere stabilizzati per quasi 15 anni con il solo recupero
delle somme “indebitamente” riscosse dai loro colleghi
ormai a tempo indeterminato, che hanno sottoscritto le
conciliazioni individuali (dalla legal o protection tax alla
robin tax).
Altrimenti, more solito, dovrà pensarci la Giurisprudenza.
Note:
(64) Contra, M. Manicastri, Contratto a termine: pronuncia di incostituzionalità, in Dir. Prat. Lav., 2009, 2023.
(65) Cfr. anche Corte di Giustizia, Sezione VII, ordinanza 24 aprile
2009, causa C-519/08 “Archontia Koukou”.
(66) L’art. 14, nn. 1 e 2, della legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti a tempo determinato, la «TzBfG» del 21 dicembre 2000.
IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA N. 10/2009