Piano Fondamentale - Dipartimento di Fisica e Astronomia

Il Piano Fondamentale e il k-space
Corso Astrofisica Generale Mod.B - A.A. 2008-2009
Alessandro Pizzella
Dipartimento di Astronomia
Università di Padova
v 1.1 3 Dicembre 2008
1
Contents
1 Il Piano Fondamentale
1.1 Lo spazio delle Galassie . . . . . . . . . .
1.2 Piano Fondamentale delle ellittiche . . .
1.3 Lo spazio k . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Evoluzione con z e Dn − σ . . . . . . . .
1.4.1 evoluzione con z . . . . . . . . . .
1.4.2 Distanze con il FP ovvero Dn − σ
2
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3
3
4
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Chapter 1
Il Piano Fondamentale
Il concetto di Piano Fondamentale (FP) venne introdotto per la prima volta da Djorgovsky e
Davis (1987) per le galassie ellittiche. Essi mostrarono come questi oggetti, se si rappresentano
in uno spazio a tre dimensioni in base alla loro luminositá L, dispersione di velocitá stellare σ0
e brillanza superficiale Ie (definita come la brillanza superficiale media entro il raggio effettivo
re , cioé Ie = Le /πre2) non si distribuiscono su tutto il volume ma definiscono un piano detto
appunto Piano Fondamentale.
Il Piano Fondamentale é importante perché fornisce un collegamento diretto tra i parametri
fisici fondamentali delle galassie. Facendo un parallelismo, questo piano assume per le galassie
la stessa importanza del diagramma di Hertzsprung-Russel (HR) per le stelle. Infatti, l’esistenza
di tale piano non puó che essere collegata a fenomeni fisici che regolano la nascita e l’evoluzione
delle strutture galattiche e, in questo senso, diviene uno strumento potente per l’indagine e
l’interpretazione di tali processi. Nei paragrafi successivi, analizzeremo come si é arrivati alla
deduzione del Piano Fondamentale per le galassie ellittiche e come Burnstein et al. (1997) siano
riusciti ad estendere tale risultato anche a galassie di altri tipi morfologici.
1.1
Lo spazio delle Galassie
Si consideri il G-spazio a tre dimensioni (spazio delle galassie, Brosche (1973)), i cui gli assi
rappresentano una misura della dimensione della galassia (massa, o luminositá o raggio), della
densitá (o brillanza superficiale) e della temperatura cinetica delle stelle (energia cinetica per
unitá di massa, se domina la velocitá ordinata o dispersione di velocitá nel caso contrario).
Sui piani coordinati di questo G-spazio si possono ritrovare alcuni dei diagrammi familiari
nell’astronomia extragalattica ed in cosmologia: la relazione di Tully-Fisher (TF) o la relazione
Faber-Jackson (FJ) sul piano definito dalla luminositá vs. l’energia cinetica per unitá di massa,
il cooling diagram sul piano densitá proiettata vs.temperatura cinetica, o la relazione di Kormendy sul piano raggio vs. brillanza superficiale o massa vs. densitá. Le galassie dei diversi tipi
morfologici (spirali, ellittiche; ...) si dispongono su superfici 2-D nello spazio G, generalmente
inclinate rispetto agli assi. Come le stelle della sequenza principale descrivono una sequenza di
massa unidimensionale su di un piano definito dalla luminositá e temperatura (diagramma HR),
cosı́ le galassie formano sequenze 2-D nel G-spazio. I parametri globali delle galassie ellittiche
che descrivono la loro struttura dinamica e tutte le loro proprietá generali sono unificati in un
piano che é il piano fondamentale.
3
Figure 1.1: Piano fondamentale per le galassie ellittiche dell’ammasso di Coma (Jorgensen et al.
2006). I punti indicano le misure. La linea indica la relazione prevista dal teorema del viriale
per sistemi omologhi e quindi con coefficienti A = 2, B = −l. Vi é una chiara discordanza tra
i dati e le previsioni del teorema del viriale.
1.2
Piano Fondamentale delle ellittiche
Dal teorema del viriale scalare in condizioni stazionarie l’energia cinetica T di una galassia e
l’energia potenziale Ω sono legate dalla relazione:
2T = −Ω
(1.1)
M
= hV 2 i
hRi
(1.2)
hre i = kR hRi
(1.3)
Segue che:
G
dove G é la costante gravitazionale, M la massa, hV 2 i viene intesa come la velocitá quadratica
media pesata sulla massa ed hRi il raggio gravitazionale caratteristico della struttura, pure
pesato sulla distribuzione di massa. Sia re una dimensione radiale definita osservativamente
tramite profili teorici di luminositá superficiale, allora:
dove il parametro kR contiene le informazioni sull’andamento del profilo della densitá all’interno
della galassia, informazioni che non si possono ottenere esclusivamente sulla base della determinazione di hre i. Analogamente, consideriamo una quantitá che misuri il supporto delle strutture:
nel caso delle galassie ellittiche, strutture essenzialmente sostenute dalla dispersione di velocitá
delle stelle, la determinazione piú adatta é la dispersione centrale di velocitá σ0 . Si avrá:
σ02 = kV hV 2 i
4
(1.4)
Il parametro kV riflette la struttura cinematica della galassia, cioé, il profilo della dispersione di
velocitá, eventuali anisotropie, e la possibile influenza della velocitá di rotazione sulla cinematica
della galassia. Sostituendo (1.3) e (1.4) nella (1.2) si ottiene:
M = c2 σ02 re
(1.5)
c2 = (GkR kV )−1
(1.6)
L = c1 Ie re2
(1.7)
dove il parametro c2 viene definito come:
Ci serviamo della (1.5) e dell’identitá
in cui si é definito Ie = LB (re )/2πre2, detta brillanza superficiale media efficace. Una volta
assunto per tutte le galassie lo stesso profilo di luminositá (cioé assumendo che esse siano, da
questo punto di vista, una famiglia omologa), nel caso specifico quello di de Vaucouleurs, e per
come é stata definita Ie , c1 risulta costante per tutte le galassie; c2 , invece, dipende dalla massa
e dalla dispersione di velocitá all’interno della galassia, ed é costante solo se assumiamo che la
famiglia delle galassie considerate sia omologa. Si ottiene cosı́ la relazione:
re = (c2 c−1
1 )
M
L
−1
σ02 Ie−1
(1.8)
A priori, all’interno dello spazio tridimensionale (re - σ0 - Ie ) l’equazione (1.8) non definisce
immediatamente un luogo geometrico preciso. In ogni punto di tale spazio, i valori assunti da
c2 ed M/L potrebbero variare di molto da galassia a galassia, in tal caso la distribuzione delle
galassie potrebbe riempire tutto lo spazio in modo omogeneo. Se, invece, tutte le strutture
galattiche fossero rigorosamente omologhe e, inoltre, il rapporto M/L fosse costante al variare
della massa (e della luminositá), cosa che uno si aspetta come conseguenza della omologia,
allora una relazione del tipo:
re ∝ σ0A IeB
(1.9)
con A = 2, B = −l, definirebbe univocamente le condizioni fisiche della galassia. Le galassie si
disporrebbero perció sul piano definito dal teorema del viriale in forma scalare con gli esponenti
suddetti. I valori osservati dei coefficienti A e B sono lontani invece piú di 3σ dai valori
attesi. Djorgovski e Davis (1987) determinarono per la prima volta i coefficienti del Piano
Fondamentale ottenendo, in banda B A = 1.39 ± 0.15 e B = −0.9 ± 0.1, che differiscono dai
valori previsti dalla semplice applicazione del teorema del viriale avendo assunto l’omologia.
Questo implica la presenza di un piano preferenziale all’interno del G-spazio, perció il prodotto
c2 (M/L)−1 deve potersi esprimere tramite una legge di potenza in funzione delle variabili re ,
σ0 o Ie . Gli autori ottennero una nuova relazione di scala che é l’equazione di una superficie:
M(re ) = −8.62(log σ0 + 0.10hµi) − 6.71
(1.10)
log re = 1.39(log σ0 + 0.26hµi) − 6.71
(1.11)
dove µ é la brillanza superficiale espressa in unitá di mag arcsec−2 .
Il fatto che i valori di A e di B osservati si discostano dai valori A = 2, B = −l previsti dal
teorema del viriale viene anche indicato con il termine tilt del piano fondamentale. In figura
1.1 mostriamo come i valori misurati di re , σ0 e Ie sono legati tra loro. Lungo l’asse x viene
mostrato log re , lungo l’asse y la combinazione lineare 2 log σ0 − 1 log Ie . Se vale l’eq. (1.9) e
con i coefficienti sono effettivamente A = 2, B = −l allora i punti dovrebbero disporsi su di una
5
retta con coefficiente angolare pare ad 1 ed indicata dalla linea nella figura. Questo invece non
avviene. A questo proposito é importante notare come questo tipi di lavoro si applichi spesso
ad ammassi di galassie. Uno dei motivi principali risiede nel fatto che le galassie di ammasso
sono tutte alla stessa distanza. Questo permette di evitare un maggiore scarto dei punti dovuto
ad errori nel calcolo delle distante. Di nuovo é valido qui il parallelo con il diagramma HR che
spesso viene applicato ad ammassi aperti o chiusi in modo da non avere problemi nel calcolo
delle distanze.
L’esistenza del tilt significa che nell’applicazione del viriale qualche ipotesi non é effettivamente valida. Essenzialmente l’ipotesi che non é valida é la costanza del rapporto M/L che
varia al variare della massa della galassia.
1.3
Lo spazio k
Bender et al. (1992) hanno introdotto un sistema di coordinate ortogonali, chiamato sistema k,
in grado di descrivere il Piano Fondamentale in maniera piú significativa. Le variabili introdotte
sono costruite solo con gli osservabili senza l’introduzione di alcuna ipotesi di carattere teorico.
Il k-space ha inoltre il vantaggio di fornire una vista di taglio e quasi frontale del Piano Fondamentale delle galassie cosiddetto dynamically hot (DHGs), ovvero sostenute dalla pressione
macroscopica dovuta ai moti caotici delle stelle.
Gli assi dello spazio k, sono (Bender et al., 1992):
• k1 ∝ log(M/c2 ), proporzionale al logaritmo della massa della galassia;
• k2 ∝ log(cl /c2 )(M/L)Ie3 , proporzionale al logaritmo del prodotto (M/L)Ie3 ’;
• k3 ∝ log(cl /c2 )(M/L), proporzionale al logaritmo del rapporto (M/L).
Piú precisamente le coordinate nello spazio k, per quanto riguarda le DHGs sono definite da:
√
(1.12)
k1 ≡ (log σ02 + log re )/ 2
√
(1.13)
k2 ≡ (log σ02 + 2 log Ie − log re )/ 6
√
(1.14)
k3 ≡ (log σ02 − log Ie − log re )/ 3
Solitamente si definiscono i parametri fotometrici dei sistemi stellari autogravitanti, in equilibrio, usando la banda B, essendoci una gran quantitá di dati disponibili nella fotometria in B.
Si utilizzano i dati fotometrici per ottenere una misura del raggio effettivo re , contenente metá
della luminosità e misurato in kpc e la brillanza superficiale media Ie entro il raggio effettivo,
misurata in L⊙ pc−2 . La dispersione di velocitá centrale σ0 in Km/s é invece ottenuta dallo
studio spettroscopico. Burstein et al. (1997) hanno evidenziato come ogni tipo di sistema stellare popoli il proprio Piano Fondamentale nello spazio k, ed indicano con il termine di cosmic
metaplane l’insieme di questi piani fondamentali collegati tra loro che coprono l’intero range di
strutture autogravitanti dagli ammassi globulari agli ammassi di galassie, vale a dire un range
di circa dieci ordini di grandezza in massa.
Nella Fig.1.2 viene mostrato un esempio di come le galassie si dispongono nello spazio k.
Nella proiezione k1 − k3 (M/L vs. M) si possono visualizzare tutti i piani di taglio dove si nota
come il rapporto M/L aumenti con la massa. Nella proiezione k1 − k2 i piano fondamentali
sono visti quasi frontalmente. Mentre k2 − k3 mostra le proiezioni delle pendenze leggermente
diverse per i diversi piani (anche se non sono particolarmente significative). Per le galassie a
spirale ed irregolari (Fig. 1.3), i parametri k calcolati da Burstein et al. (1997) sono
6
Figure 1.2: Piano Fondamentale nello spazio k per le galassie ellittiche di Coma e Vergine,
mostrato lungo le tre orientazioni (vedi testo).
√
2
k1 ≡ (log Vrot
+ log re )/ 2 − 0.21
√
2
k2 ≡ (log Vrot
+ 2 log Ie − log re )/ 6 − 0.12
√
2
k3 ≡ (log Vrot
− log Ie − log re )/ 3 − 0.17
(1.15)
(1.16)
(1.17)
2
dove Vrot
é la velocitá di rotazione massima osservata. Nella figura 1.3 sono riportati
i parametri k per alcune galassie a spirale nell’ammasso della Vergine ed alcune ellittiche
nell’ammasso della Vergine e Coma. Il FP definito da queste galassie ellittiche é dato dalla
retta sul piano k1 − k3 (dove il FP é visto di taglio). La sua equazione é:
k3 = 0.15k1 + 0.36
(1.18)
log(Me /Le ) = 0.184 log Me − 1.25
(1.19)
ovvero, in unitá solari:
Quest’ultima equazione definisce convenzionalmente il Piano Fondamentale per le DHGs in
termini di rapporto M/L: Me /Le ∝ Me0.184 .
Le galassie a spirale in tale spazio hanno una distribuzione molto simile a quella delle
galassie ellittiche anche se non esattamente coincidente. Infatti come si puó vedere, le spirali
della Vergine definiscono un secondo Piano Fondamentale che é quasi parallelo a quello definito
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Figure 1.3: Come al figura 1.3 ma per galassie di diverso tipo morfologico e stato dinamico.
dalle DHGs, ma spostato nella direzione di rapporti M/L piú bassi di circa un fattore 2 per la
massa fissata. La linea diagonale tratteggiata nel piano k1 − k2 di figura 1.3 delinea la zona di
esclusione ZOE (Zone Of Exclusion) per le galassie DHG, espressa dalla disequazione:
k1 + k2 ≤ 8
(1.20)
Si puó notare come nessun sistema stellare entri nella ZOE. In termini fisici, questo significa
che la massima densitá di luminositá globale dei sistemi stellari varia come Me−4/3 . Infatti,
definendo una densitá di volume effettiva:
je ≡ Le (4/3πre3)−1
(1.21)
che nel sistema di unitá adottato é 0.75 ×10−3 Ie /re L⊙ pc−3 , si puó riscrivere l’equazione 1.20
nella forma:
log Me + 0.73 log je ≤ 10.56
(1.22)
ovvero, approssimativamente:
je ≤ const × Me−4/3
(1.23)
Le galassie Sa-Sb si trovano piú lontano dalla ZOE rispetto alle E, mentre le Sm e le Irr
ancora di piú. In generale le galassie a spirale piú early sono distribuite in modo simile alle
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galassie ellittiche ma leggermente spostate in ciascuna proiezione dello spazio k. In conclusione,
ciascun tipo di sistema stellare popola il proprio Piano Fondamentale nello spazio k. Ció che é
notevole é che i coefficienti che definiscono ogni piano (A, B) sono molto simili cosı́ come il tilt
misurato da α, mentre ció che cambia é il punto zero del piano dovuto al diverso rapporto M L
per gli oggetti considerati. Prendendo come riferimento il Piano Fondamentale per le DHGs, si
puó concludere dicendo:
• le spirali Sa-Sc occupano un piano quasi parallelo ma leggermente spostato a valori piú
bassi di M/L;
• le Scd-Irr occupano un piano con tilt di poco differente e punto zero simile alle Sa-Sc.
Tutti i tipi di galassie mostrano perció una mutua dipendenza dall’entitá del supporto che le
caratterizza, dalla brillanza superficiale effettiva e dal raggio effettivo, che caratterizza il FP,
trovato e definito per la prima volta per le galassie ellittiche, e mostrato poi empiricamente
essere il denominatore comune per le galassie di tutti i tipi morfologici.
1.4
Evoluzione con z e Dn − σ
Pur non essendo completamente chiari i processi fisici che contribuiscono a formare il piano
fondamentale, questo non impedisce di utilizzarlo come strumento per nuove conoscenze. Le
applicazioni principali che menzioniamo sono due. Una riguarda la determinazione delle distanze e l’evoluzione delle galassie ellittiche con z.
1.4.1
evoluzione con z
I diagrammi magnitudine colore (piú pratici ma che forniscono la stessa informazione del diagramma HR) vengono utilizzati per stabilire l’etá degli ammassi globulari o aperti ovvero per
stabilire il loro stato evolutivo. In maniera analoga (anche se in questo caso l’analogia é piú debole che in altri casi precedentemente visti) il FP puó essere utilizzato per ottenere informazioni
circa l’evoluzione di un ammasso di galassie.
L’equazione (1.9) passando ai logaritmi, puó essere riscritta nella forma
log re ≡ α log σ0 + βIe + γ
(1.24)
Variazioni delle pendenze α e β e dell’intercetta γ possono essere interpretate come evoluzione
della popolazione stellare. Se definiamo come massa dinamica della galassia la quantitá
M≡
5σ02 re
G
(1.25)
e immaginiamo che σ0 e re non evolvono per l’i-esima galassia di un ammasso allora
γi ≡ log rei − α log σ0 i − βIei
(1.26)
Un discostamento dal FP (cioé un ∆γ i ≡ γ i − γ 6= 0) é legato ad una differenza del rapporto
M/L
i
∆γ i
M
∆ log
=−
(1.27)
L
2.5β
Lo scarto intrinseco del FP, che i dati della SDSS indicano essere dell’ordine di 0.1 in log re , é
una misura della omogeneitá della popolazione stellare.
9
Figure 1.4: Visione di taglio del FP per intervalli di redshift. La linea continua mostra il FP
per l’ammasso di Coma.
Figure 1.5: Discostamento del FP a diversi z in termini di massa dinamica (eq. 1.25). Si
vede come vi sia una maggiore evoluzione a piccole masse. Le righe tratteggiate indicano
gli andamenti aspettati per popolazioni stellari che si sono formate da un singolo episodio di
formazione stellare a diverse epoche (zf ). I diversi simboli si riferiscono a galassie di diversa
massa secondo la legenda posta nella parte inferiore della figura.
Nella figura 1.4 viene mostrato il discostamento dal FP definito dall’ammasso della Coma.
Per diversi redshift il discostamento del FP a z = 0 (quello di Coma) aumenta, e di conseguenza
anche il valore di ∆γ
Trasformando il ∆γ in ∆M/L secondo l’eq,(1.27) e trasformando il tutto in masse dinamiche
(eq. 1.25 otteniamo il risultato mostrato in figura 1.4. Nella figura sono anche mostrate le traccie
evolutive previste per popolazioni stellari formatesi in un unico episodio di formazione stellare
a diversi redshift (zf = 1, 2, 5). I sistemi piú massicci sembrano seguire una evoluzione passiva
con una epoca di formazione ad alti z. I sistemi con masse piú piccole sono sistematicamente piú
giovani e mostrano una dispersione maggiore, implicando una epoca piú recente di formazione
o episodi secondari di formazione stellare che ne ha ringiovanito la popolazione. É possibile
verificare che episodi di formazione stellare recenti sono responsabili per il trend evidenziato
nella figura 1.5 confrontando il valore di M/L con modelli diagnostici indipendenti come ad
10
esempio il colore (rest-frame ovviamente).
1.4.2
Distanze con il FP ovvero Dn − σ
Come la relazione di Tully-Fisher é utilizzata per derivarne la distanza. delle galassie a spirale,
cosı́ il piano fondamentale é utilizzato per derivare la distanza della galassie ellittiche. Infatti le
relazioni coinvolgono quantitá dipendenti dalla distanza (luminositá e dimensione) con quantitá
indipendenti dalla distanza (dispersione di velocitá σ o velocitá di rotazione del gas). Una volta
definito il FP (o la relazione TF) posso determinare la distanza di una galassia come quella
distanza per cui una galassia di una certa luminositá apparente ed un certo raggio nel piano
del cielo si posiziona nel piano fondamentale in accordo con la sua σ.
Vi sono peró delle differenze tra FP e TF. Come abbiamo visto dall’equazione (1.2) derivata
dal teorema del viriale
M/R ∝ V 2
(1.28)
si assume che le galassie abbiano tutte lo stesso rapporto M/L e che abbiano tutte la stessa
brillanza superficiale Σ con Σ = L/R2 . Si puó peró facilmente vedere che con queste condizioni
L∝V4
(1.29)
dove V é il moto delle particelle nella galassia. Nel caso delle galassie a spirale V é la velocitá di rotazione del gas nel disco e la (1.29) non é altro che la relazione TF. Nel caso delle
galassie ellittiche la (1.29) é chiamata Faber-Jackson (FJ) e V é la dispersione di velocitá delle
stelle σ nel centro. Chiaramente peró le galassie NON hanno tutte la stessa brillanza superficiale. Se prendiamo la relazione Σ = L/R2 e la sostituiamo nell’equazione (1.28) (mantenendo
l’assunzione che il rapporto M/L sia costante) otteniamo una relazione del tipo
L ∝ V 4 Σ−1
(1.30)
che é una relazione tra luminositá L, brillanza superficiale Σ e dispersione di velocitá σ.
Le osservazioni di galassie ellittiche mostrano che se come L viene utilizzata la luminositá
totale in banda B, viene considerata la dispersione di velocitá stellare centrale σ come V e Σ
viene assunta come la brillanza superficiale media misurata entro il raggio di metá luce re , gli
esponenti nella equazione (1.30) non sono 4 e -1 ma 2.7 e -0.7. Questo é il piano fondamentale
visto nel paragrafo 1.2.
Abbiamo giá accennato a come il FP abbia delle analogie al diagramma HR delle stelle.
Cosı́ come le stelle non occupano tutto il piano temperatura-luminositá ma si dispongono
lungo la sequenza principale (monodimensionale), cosı́ le galassie non occupano tutto il volume
LB − σ − µ(re ) ma si dispongono come su di un piano.
Si puó spingere il paragone un po’ piú in lá. Quando si studiano le stelle Cefeidi, é possibile
aggiungere sostituire nel diagramma HR un asse con il periodo di pulsazione. Allo stesso
modo il FP ha proiezioni aggiuntive. Esiste una relazione tra la luminositá di una galassia
e la sua metallicitá media (galassie piú luminose sono piú metalliche). L’intensitá della riga
di assorbimento del magnesio Mg2 puó quindi sostituire uno degli assi. Oppure, dato che la
metallicitá é legata al colore, si puó sostituire quest’asse con il colore di una galassia.
L’equazione (1.30) non viene applicata sempre in maniera diretta. Ad esempio, la quantitá
L/Σ ha le dimensioni di una supeficie. É possibile allora prendere la radice di L/Σ in modo
da ottenere una quantitá Dn con le dimensioni di un diametro che rappresenta la dimensione
caratteristica di una galassia. Le relazione effettiva misurata per le galassie dal gruppo detto
Sette Samurai (Burstein, Davies, Dressler, Faber, Lynden-Bell, Terlevich, e Wegner) che hanno
introdotto questa tecnica é
Dn ∝ σ 1.2
(1.31)
11
dove quindi Dn é il diametro definito da una apertura circolare centrata sulla galassia che racchiude una brillanza superficiale media di 20.75mag/arcsec2. Questa relazione é detta relazione
Dn − σ e rappresenta il piano fondamentale proiettato lungo la direzione per cui il piano L − Σ
é visto di taglio.
Figure 1.6: Relazione Dn − σ per diversi ammassi di galassie piú o meno ricchi di galassie
ellittiche
Con la relazione Dn − σ é possibile determinare la distanza degli ammassi di galassie. É
fondamentale notare infatti che il valore di Dn dipende dalla distanza. Una volta calibrata
su ammassi vicini (Virgo, Coma) la cui distanza é nota anche in base ad altri indicatori, é
sufficiente plottare il grafico Dn − σ per un certo numero di galassie ellittiche dell’ammasso e
determinare la distanza a cui l’ammasso va messo in modo da ritrovare la Dn − σ giá calibrata.
In questo senso la relazione Dn − σ ha un grande vantaggio rispetto alla TF. Le galassie
ellittiche sono infatti molto numerose
negli ammassi. la determinazione della distanza di un
√
ammasso ricco migliora come N dove N é il numero di galassie per cui si hanno misure.
Da un punto di vista pratico, si fanno le seguenti considerazioni. Il termine re , normalmente
espresso in kpc, puó essere espresso come
re = θe × dang
12
(1.32)
dove dang indica la distanza angolare (=dcomovente /(1 + z)) e θe re proiettato in cielo. Infatti
quello che viene effettivamente misurato é θe . Il piano fondamentale puó allora essere scritto,
seguendo la forma dell’eq (1.24), come
log re = log(θe × dang ) = α log σ0 + βIe + γ
(1.33)
Nel momento in cui consideriamo note le costanti α, beta e γ in quanto calibrate con ammassi
di distanza nota, possiamo ricavare il termine log dang . Ovviamente dang viene considerata
costante per ogni ammasso dato che consideriamo le galassie dell’ammasso tutte equidistanti
da noi.
Per mettere in evidenza la presenza di velocitá peculiari, possiamo disegnare un grafico
simile a quello presentato in Fig.1.6, ma con la variabile dn × cz in asse Y. dn é definita come
θn /(H0 × 0.2062648) dove θn é il valore di Dn misurato in cielo.
Per capire cioé che stiamo facendo, scriviamo esplicitamente il valore della velocitá di un
ammasso come
cz = Vpec + DH0
(1.34)
dove z é il redshift misurato per l’ammasso, Vpec la velocitá peculiare (da determinare) e D la
distanza (da determinare)). Possiamo quindi dire che il (vero) valore di Dn é
Dn =
θn D
= dn (cz − Vpec )
0.2062648
(1.35)
Se Vpec = 0 allora Dn = dn cz ed i grafici nelle Fig. 1.6 e 1.7 coincidono. Se invece Vpec 6= 0 allora
avremo uno spostamento lungo l’asse Y pari a dn Vpec . Il valore di Vpec é allora determinato
dallo spostamento che é necessario applicare alla relazione dn cz − σ affinché si sovrapponga alla
relazione Dn − σ.
A onor del vero la prima figura ad essere derivabile dai dati é la Fig.1.7. La Fig. 1.6 viene
derivata da questa una volta determinata Vpec (e quindi gli spostamenti verticali).
13
Figure 1.7: Relazione dn cz − σ per diversi ammassi di galassie piú o meno ricchi di galassie
ellittiche. Confrontando questa figura con la Fig.1.6 si puó notare che le relazioni differiscono
dalla Dn − σ media indicata dalla linea continua. Ciascun ammasso ha infatti la sua velocitá
peculiare.
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