scienze della materia

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IDONEITA’ ALLA CLASSE 5°
CHIMICA
INDICE
LA DENSITA’
I LIQUIDI
IL CRISTALLO
I DISTILLATI
LA PLASTICA
I TRE STATI DELLA MATERIA
IL CARBONIO
IL PETROLIO
IL CARBON FOSSILE
IL CICLO DELLE ROCCE
L’ACCIAIO
LA MATERIA
I GAS E LE LORO LEGGI
L’ATOMO
LE REAZIONI CHIMICHE
LE SOLUZIONI
LA DENSITA’
La Densità e’ una Grandezza fisica che esprime il rapporto tra la massa e
il volume di un corpo, talvolta detta densità assoluta; nel Sistema
internazionale viene misurata in chilogrammi al metro cubo.
Si definisce invece densità relativa il rapporto tra la densità assoluta del
corpo e quella dell'acqua distillata alla temperatura di 4 °C, e ciò equivale
ad assumere quest'ultima come unità di misura. Poiché 1 centimetro cubo
di acqua a 4 °C pesa esattamente 1 grammo, la densità relativa di una
sostanza è numericamente uguale alla densità assoluta espressa in grammi
al centimetro cubo.
La densità relativa può essere determinata in vari modi. I corpi solidi, che
hanno densità maggiore di quella dell'acqua, vengono pesati dapprima in
aria e quindi in acqua, in condizioni di completa immersione. La densità
relativa si ottiene dividendo il peso in aria per la diminuzione di peso del
corpo immerso (vedi Principio di Archimede). Per determinare la densità
relativa dei fluidi si utilizzano invece strumenti appositi, detti densimetri.
Nel caso siano necessarie misure molto accurate, si procede
determinando la massa di un volume noto di liquido o di gas in
condizioni controllate di temperatura.
Il termine densità viene applicato anche ad altre grandezze. Ad esempio,
il rapporto tra il numero di elettroni in un dato volume e il volume stesso
è detto densità di elettroni; il rapporto tra la carica totale distribuita in un
volume e il volume medesimo viene comunemente indicato come densità
di carica; l'energia luminosa per unità di volume è definita come densità
di energia luminosa e l'annerimento dell'immagine di un film o di una
lastra fotografica, è detto densità fotografica. In generale, quindi, la
densità di una grandezza è espressa mediante il rapporto tra la quantità
della grandezza contenuta in un volume assegnato e il valore di
quest'ultimo.
I LIQUIDI
I Liquidi sono sostanze che si trovano in uno stato di aggregazione della
materia intermedio tra quello dei gas e quello dei solidi.
In questo stato, le sostanze sono dotate di un volume proprio, ma non di
una forma definita: esse assumono la forma del recipiente che le contiene.
Questa proprietà deriva dall’intensità dei legami che si instaurano tra le
molecole di un liquido, intermedia tra quella dei legami che
caratterizzano lo stato solido e lo stato gassoso.
L'analisi delle sostanze liquide condotta mediante raggi X rivela
l'esistenza di un certo grado di regolarità nella disposizione delle
molecole, entro alcuni diametri molecolari; in alcuni casi, inoltre,
evidenzia la presenza di un orientamento preferenziale, che determina
l'anisotropia rispetto ad alcune proprietà (la dipendenza di queste
proprietà dalla direzione).
In opportune condizioni di temperatura e di pressione, quasi tutte le
sostanze possono esistere allo stato liquido. Il passaggio di stato che
consente a una sostanza solida di passare alla fase liquida prende il nome
di fusione; quello che permette a una sostanza gassosa di passare alla fase
liquida prende il nome di condensazione.
La pressione del vapore in equilibrio con il liquido, chiamata tensione di
vapore saturo, dipende solo dalla temperatura ed è una proprietà
caratteristica di ogni liquido. Anche il punto di ebollizione, quello di
solidificazione e il calore di evaporazione (cioè la quantità di calore
richiesta per far evaporare una massa unitaria) variano da sostanza a
sostanza.
La densità di un liquido è solitamente minore di quella che caratterizza la
medesima sostanza allo stato solido; vi sono poche eccezioni a questo
comportamento, una delle quali è fornita dall'acqua.
I liquidi sono caratterizzati da un attrito interno, detto viscosità, che si
oppone allo scorrimento tra stati di fluido adiacenti. Questa grandezza
normalmente diminuisce all'aumentare della temperatura e aumenta al
crescere della pressione; inoltre è in relazione con la complessità delle
molecole che costituiscono il fluido: è bassa nei gas inerti liquefatti e alta
negli oli pesanti
IL CRISTALLO
Il Cristallo e’ una formazione minerale solida caratterizzata da una
disposizione periodica e ordinata di atomi ai vertici di una struttura
reticolare che prende il nome di reticolo cristallino. La presenza di una
tale organizzazione atomica conferisce al cristallo una forma geometrica
definita, dotata di particolari relazioni di simmetria e delimitata da
superfici piane e lisce. I cristalli si formano per solidificazione graduale
di un liquido o per sublimazione di un gas (vedi Cambiamento di stato).
Gli angoli tra facce corrispondenti di due cristalli della stessa sostanza,
indipendentemente dalla dimensione e dalle differenze superficiali di
forma, sono sempre identici.
La materia allo stato solido presenta nella maggior parte dei casi una
struttura cristallina; fanno eccezione materiali detti amorfi, come ad
esempio il vetro, che dal punto di vista strutturale sono più simili ai
liquidi che non ai solidi.
Le condizioni per la formazione
La formazione e le caratteristiche di una struttura cristallina dipendono
dalla rapidità e dalle condizioni del processo di solidificazione. Gli stessi
liquidi che quando solidificano gradualmente in profondità nella crosta
terrestre formano il granito, qualche volta vengono eruttati in superficie
come lava vulcanica e si raffreddano rapidamente, formando una roccia
vetrosa chiamata ossidiana. Se il raffreddamento è un poco più lento si
forma una roccia criptocristallina o afanitica, con cristalli troppo piccoli
per potere essere distinti a occhio nudo. Quando il raffreddamento
avviene con lentezza ancora maggiore, si forma una roccia di struttura
porfirica, nella quale solo alcuni cristalli sono grandi abbastanza da essere
visibili. Se la composizione è la stessa del granito, questa forma porfirica
prende il nome di riolite.
Ogni minerale che costituisce una roccia è presente in forma di cristalli
piccoli ma omogenei. Le sostanze che solidificano per prime durante il
raffreddamento della roccia fusa presentano uno sviluppo normale delle
proprie forme cristalline; diversamente quelle che cristallizzano per
ultime, costrette a occupare gli interstizi rimanenti, presentano un aspetto
esterno deformato. Durante il processo di cristallizzazione, si formano
cristalli omogenei che si separano dalle miscele liquide. Questa
caratteristica viene sfruttata anche per purificare sostanze cristalline: ad
esempio le sostanze chimiche organiche vengono quasi invariabilmente
purificate per ricristallizzazione.
In alcuni gruppi minerali gli ioni di un elemento possono essere sostituiti
da ioni di un altro elemento, lasciando invariata la struttura cristallina e
formando una serie di soluzioni solide. Quando vi è una completa e
continua gradazione di composizione chimica da un membro estremo
all'altro, la serie viene detta isomorfa. Un esempio è fornito dalla varietà
di feldspato detta plagioclasio, che forma una serie completa di
composizione, compresa tra quella del puro alluminosilicato di sodio
(albite) e quella del puro alluminosilicato di calcio (anortite). Altri gruppi
di minerali che formano serie isomorfe sono quelli dell'apatite, della
barite, della calcite e dello spinello.
Può capitare che il processo di cristallizzazione non avvenga e la
soluzione di partenza divenga soprassatura (in modo analogo una
sostanza può esistere allo stato liquido a temperature inferiori del suo
punto di solidificazione). La tendenza a cristallizzare diminuisce
all'aumentare della viscosità del fluido; in particolare se una soluzione
diviene notevolmente soprassatura e superraffreddata, la viscosità può
raggiungere
un
livello
tale
da
rendere
quasi
impossibile
la
cristallizzazione; un'ulteriore evaporazione del solvente o un ulteriore
raffreddamento producono dapprima una sorta di sciroppo e infine un
vetro. Alcune sostanze mostrano una forte tendenza a formare nuclei di
cristallizzazione, cosicché, se una soluzione contenente tali sostanze
viene raffreddata lentamente, avviene la crescita di pochi grandi cristalli,
al contrario se il raffreddamento è rapido si formano numerosi cristalli di
dimensioni minuscole.
Cristallografia
Lo studio dell'accrescimento, della forma e delle caratteristiche
geometriche dei cristalli è detto cristallografia.
Quando le condizioni lo permettono, ogni elemento o composto chimico
cristallizza in una forma definita e caratteristica che corrisponde a una
determinata disposizione degli atomi nel reticolo. Così ad esempio il sale
da cucina (vedi Cloruro di sodio) forma cristalli cubici (ovvero gli atomi
sono ordinatamente disposti ai vertici di un cubo) mentre il granato più
comunemente si presenta in dodecaedri (solidi con 12 facce) o trisottaedri
(con 24 facce).
Teoricamente sono possibili 32 classi di cristalli raggruppate in sei
sistemi cristallini, definiti in base alla lunghezza e all'orientamento degli
assi di simmetria, linee ideali che definiscono le proprietà di simmetria
del cristallo. Quasi tutti i minerali comuni sono compresi in una dozzina
di classi appartenenti a sistemi diversi. Le proprietà chimiche e fisiche
dipendono dalla particolare disposizione atomica, cosicché cristalli
appartenenti a un determinato sistema cristallino hanno caratteristiche
comuni.
Altre proprietà dei cristalli
La forma di un minerale dipende dalle caratteristiche della sua struttura
cristallina. Ad esempio l'argentite, un minerale dell'argento, cristallizza
nella stessa classe del granato e del sale, ma si trova solitamente in
irregolari masse criptocristalline. La fluorite, minerale relativamente
comune, cristallizza nella stessa classe del granato formando cristalli
cubici; tuttavia quando viene fratturata, essa tende a sfaldarsi in
frammenti ottaedrici perfetti. Il sale forma frammenti cubici dalla
sfaldatura perfetta, mentre il granato non presenta piani di sfaldatura ben
definiti. Alcune sostanze inoltre tendono a formare cristalli multipli.
Alcuni cristalli manifestano proprietà elettriche come la piezoelettricità o
la piroelettricità (ossia acquistano carica elettrica se vengono compressi o
riscaldati), e per questo motivo sono sfruttati industrialmente. Un
esempio è fornito dal quarzo che trova un vasto impiego in elettrotecnica
ed elettronica. Nei transistor, le speciali proprietà dei cristalli di germanio
e di silicio li rendono utilizzabili per amplificare correnti elettriche. Un
altro dispositivo elettronico, la batteria solare, prevede l'uso di cristalli di
silicio o di solfuro di cadmio per convertire la luce solare in energia
elettrica.
In anni recenti sono stati messi a punto diversi metodi per preparare
cristalli singoli di sostanze normalmente criptocristalline. Ad esempio è
possibile ottenere grandi cristalli singoli di metalli mediante un semplice
metodo che consiste nel fondere il metallo in un contenitore conico, che
viene poi allontanato molto lentamente dal forno a cominciare dal vertice.
In condizioni propizie, alla punta del cono si forma un singolo nucleo di
cristallizzazione, che continua ad accrescersi fino a riempire l'intero
contenitore. Tali cristalli singoli spesso sono notevolmente diversi dai
metalli nella loro forma solita. Cristalli puri e particolari vengono
attualmente prodotti con tecniche avanzate, come l'epitassia a fascio
molecolare, per essere usati come semiconduttori e nei circuiti integrati.
Quando i raggi X incidono sulla superficie di un un cristallo, gli atomi
disposti simmetricamente agiscono come reticolo di diffrazione e
deflettono i raggi secondo schemi regolari dai quali è possibile risalire
alla natura e alle caratteristiche strutturali del cristallo; la disposizione
degli atomi può essere visualizzata direttamente per mezzo di dispositivi
elettronici.
Una regola di base della cristallografia, considerata valida per lungo
tempo, stabiliva che la simmetria pentagonale fosse incompatibile con la
periodicità traslazionale propria dei cristalli. La scoperta, nel 1984, di una
lega di alluminio e magnesio che sembra contravvenire a questa regola
potrebbe indicare la possibilità dell'esistenza di una nuova fase di materia
solida, diversa dai cristalli e dai vetri.
I DISTILLATI
Un distillato è un prodotto alcoolico derivante dalla distillazione di un
fermentato, generalmente di origine vegetale.
La distillazione è un procedimento fisico che consente la separazione dei
componenti volatili di un fermentato in base al loro diverso punto di
ebollizione.
In questo modo si può concentrare l'alcol etilico presente nel fermentato e
si selezionano le sostanze pregiate del distillato scartando quelle meno
nobili e sgradevoli.
La distillazione può essere discontinua o continua. Nella distillazione
discontinua il carico, detto cotta, viene scaricato una volta che si è
esaurito; succesivamente si ricarica la caldaia con un altro carico.
Questo tipo di distillazione viene eseguita in alambicchi di rame con il
collo detto a cigno ed utilizzata per la produzione di whisky di malto,
cognac, brandy, grappe etc.
Nella distillazione continua viene alimentata la colonna ininterrottamente
come anche il distillato viene continuamente estratto.
Viene impiegata per la produzione di vodka, grappa, brandy, gin, rum,
tequile e whisky di cereali. Nella distillazione si separano dapprima le
frazioni più volatili (acetaldeide ed altri acetati) che costituiscono la
cosiddetta "testa", poi la frazione nobile (il "cuore") costituita dall'alcol
etilico, ed infine si eliminano i composti più pesanti che vaporizzano a
tamperature più elevate dei precedenti, cioè la "coda", che contiene
composti artefici di valori organolettici scarsi se non sgradevoli.
Lo strumento per ottenere un distillato è il distillatore o distilleria o
alambicco. Gli alambicchi per la produzione di distillati possono essere:
* discontinui
* continui
Alambicco discontinuo
In questa tipologia di alambicco discontinuo il fermentato è inserito nella
caldaia e viene dapprima riscaldato e poi distillato; successivamente
vengono separate le teste e le code dal cuore. Questi alambicchi possono
essere di tipo a fuoco diretto, a bagnomaria ed a vapore.
In quelli a fuoco diretto la caldaia è inserita in un fornello dove arde il
fuoco vivo; in quella a bagnomaria vi è un'intercapedine tra il fuoco e la
caldaia, tale intercapedine viene riempita di acqua. Nell'ultima, quella a
vapore viene generato vapore e portato alla caldaia attraverso delle
tubazioni. Questi alambicchi sono i più diffusi.
Alambicco continuo
In questo caso l'alambicco continuo è alimentato col fermentato senza
interruzione, e sempre continuamente viene prelevato il cuore del
distillato.
Stabilizzazione
Molti distillati hanno bisogno di un breve riposo in acciaio o direttamente
in bottiglia per armonizzarsi ed avere dei sapori meno pungenti ed
aggressivi. I distillati subiscono una riduzione del grado alcolico tramite
la miscelazione con acqua demineralizzata, poi vengono refrigerati a
circa -20°C. in modo da far precipitare le sostanze più pesanti causa
spesso di torbidità, ed infine vengono filtrati.
L'aggiunta di zuccherò dà un tocco di morbidezza, mentre l'aggiunta di
caramello o zucchero bruciato ne influenzano il colore tanto da far
apparire invecchiati anche i distillati giovani.
Invecchiamento
Distillati come il Whisky, Cognac o Armagnac devo essere invecchiati in
botti di legno per il disciplinare di produzione, per le grappe invece
dipende solo dalla scelta dell'azienda produttrice.
L'azione di cedimento di sostanze da parte del legno delle botti fa si che i
distillati si arricchiscano degli aromi più variegati. Sentori più diversi
dipendono dalla qualità dei legni, dalla tostatura, dal grado di umidità dei
locali e dalle condizioni ambientali.
Aromatizzazione
L'aromatizzazione è l'aggiunta di varie piante officinali ai distillati.
Questa può avvenire con diverse modalità:
* infusione nel distillato stesso
* aromatizzazione dei vapori idroalcolici
* macerazione direttamente nella bottiglia
* preparazioni idroalcoliche macerate, decotte o infuse ed addizionate
al distillato
LA PLASTICA
La plastica è una sostanza organica, come il legno, la carta e la lana.
Nasce da risorse naturali: prevalentemente carbone, sale comune, gas e
soprattutto petrolio, di cui la produzione mondiale di materie plastiche
assorbe circa il 4% annuo.
Le materie plastiche sono dunque sostanze costituite da polimeri ad alto
peso molecolare, forgiabili nelle forme volute mediante riscaldamento e
compressione.
Originariamente molte materie plastiche venivano prodotte con resine di
origine vegetale, ad esempio la cellulosa (dal cotone), il furfurale (dalle
glumette d'avena), gli oli (dai semi di alcune piante), i derivati dell'amido
e il carbone; tra i materiali non vegetali usati è invece da citare la caseina
(dal latte). Sebbene la produzione di nylon fosse basata in origine su
carbone, acqua e aria, e il nylon 11 sia ancora basato sull'olio estratto dai
semi di ricino, la maggior parte delle materie plastiche è attualmente
derivata dai prodotti petrolchimici, facilmente utilizzabile e poco costosa.
Tuttavia, poiché la riserva mondiale di petrolio è limitata, si stanno
sperimentando nuove tecniche basate sull'uso di altre materie prime,
come la gassificazione del carbone.
Gli additivi chimici vengono spesso usati nelle materie plastiche per
conferire a queste alcune particolari caratteristiche: ad esempio, gli
antiossidanti proteggono il polimero dalla degradazione chimica causata
dall'ossigeno o dall'ozono; allo stesso modo gli stabilizzatori ultravioletti
lo proteggono dall'azione degli agenti atmosferici. I plastificanti rendono
il polimero più flessibile; i lubrificanti riducono i problemi dovuti
all'attrito e i pigmenti conferiscono il colore. Gli antifiamma e gli
antistatici sono tra gli altri additivi più usati.
Molte delle materie plastiche sono impiegate nella produzione dei
cosiddetti materiali compositi nei quali il materiale rinforzante, di solito
fibre di vetro o di carbonio, viene aggiunto a una base di materia plastica.
I materiali compositi possiedono resistenza e stabilità paragonabili a
quelle dei metalli, ma hanno generalmente un peso inferiore.
I polimeri si dividono in:
I polimeri di sintesi o resine sintetiche costituiscono il gruppo più
importante, e sono ottenuti attraverso processi di sintesi, partendo da
composti organici molto semplici ricavati dal petrolio o dal carbon
fossile. I polimeri di sintesi si formano per unione di molecole semplici di
uno o più tipi, dette monomeri, che sottoposte a particolari reazioni
chimiche, e in determinate condizioni di temperatura, irraggiamento etc.,
si legano tra loro formando catene stabili che danno luogo a grandi
molecole, dette appunto polimeri.
Polimerizzazione per condensazione
Il polimero finale si ottiene in un’unica fase della mutua reazione di
almeno due tipi di monomeri appartenenti a famiglie chimiche diverse.
Polimerizzazione per addizione
Il polimero finale si ottiene attraverso una graduale aggregazione,
realizzata in più fasi, di monomeri di natura diversa.
I polimeri naturali sono composti in modo naturale. Tra i più importanti
troviamo la cellulosa, la cera e il caucciù.
Tra i polimeri naturali il più comune è la cellulosa, la cui struttura è
costituita da uno zucchero semplice, il glucosio. Di questa sostanza
vengono scelte le fibre più lunghe e regolari che, immerse in soda
caustica, si trasformano in alcali-cellulosa. Quest’ultima, opportunamente
trattata, diventa viscosa, come un liquido vischioso con il quale si
producono fili o fogli sottili. La cellulosa, reagendo con altre sostanze
chimiche, permette di ottenere diversi prodotti come la nitrocellulosa e
l’acetato di cellulosa.
Come si produce?
Per produrre la plastica si utilizzano essenzialmente due processi: di
polimerizzazione e di policondensazione.
1. Processo di polimerizzazione
Nella polimerizzazione i monomeri vengono riaccorpati e legati in
lunghe catene. Si ottengono così i polimeri, ciascuno dei quali ha
proprietà, struttura e dimensione diverse in funzione dei differenti
tipi di monomeri di base.
2. Processo di policondensazione
La policondensazione è l’altro processo di largo impiego che serve
a produrre ad esempio il polietilentereftalato che viene usato
soprattutto per la produzione di bottiglie per bibite gassate.
L’unione dei monomeri è favorita eliminando le molecole che si
formano nella reazione, quali acqua e metanolo.
Per realizzare i prodotti finali pronti per il loro utilizzo, alle materie
plastiche si uniscono additivi, cioè sostanze che ne esaltano o ne
attenuano le proprietà, quali: 1) coloranti, 2) agenti con caratteristiche
speciali (antifiamma, antiossidanti, antistatici, plastificanti), 3)cariche
naturali o artificiali, per aumentare la rigidità e migliorare le proprietà
meccaniche, 4)espandenti, per ottenere un prodotto più leggero, come ad
esempio nel caso del polistirolo espanso.
Rischi per la salute e l’ambiente
Poiché le materie plastiche sono relativamente inerti, i prodotti finali non
presentano generalmente rischi per la salute degli addetti alla lavorazione
e degli utenti; tuttavia è stato dimostrato che alcuni monomeri usati nella
fabbricazione di materie plastiche sono cancerogeni, come il benzene,
un'importante materia prima nella sintesi del nylon. I problemi collegati
alla fabbricazione di materiale plastico sono in genere in parallelo con
quelli dell'industria chimica in generale.
La maggior parte delle materie plastiche sintetiche non è biodegradabile;
a differenza del legno, della carta, delle fibre naturali e persino dei metalli
e del vetro, le materie plastiche non si decompongono né si rompono con
il tempo. Esiste perciò un problema ambientale associato alla loro
eliminazione: il riciclaggio è apparso il metodo più efficace per
combattere questo problema, specie con prodotti come le bottiglie di
polietilentereftalato (PET) usate per bibite gassate, in cui il processo di
riciclaggio è molto più semplice.
TRE STATI DELLA MATERIA
Con stato della materia o stato di aggregazione si intende una
classificazione convenzionale dello stato di aggregazione della materia a
seconda delle sue proprietà meccaniche.
Tre stati classici
Solido
Nello stato solido i costituenti della materia sono legati da forze molto
intense che consentono soltanto moti di vibrazione, nella maggior parte
dei casi le molecole si distribuiscono secondo un reticolo cristallino o in
maniera amorfa. L'unico modo per variare la forma di un solido consiste
nell'applicazione di forze abbastanza intense da spezzare i legami,
causando però la rottura o il taglio del corpo.
Liquido
Nello stato liquido le forze agenti tra i costituenti sono meno intense ed
essi sono liberi di scorrere gli uni sugli altri. Un liquido va incontro a
variazioni di volume molto meno marcate rispetto ai gas e tende ad
assumere la forma del recipiente nel quale è contenuto.
Aeriforme
Nello stato aeriforme le interazioni sono estremamente deboli ed ai
costituenti è consentito muoversi indipendentemente, non hanno dunque
forma propria e tendono ad espandersi ed occupare tutto il volume
disponibile, risultando comprimibili.
Altri stati
Nella scienza moderna in realtà questa semplice classificazione risulta
inadeguata a descrivere esaustivamente le numerose possibilità che ha la
materia di organizzarsi. Il plasma è stato probabilmente il primo nuovo
stato della materia ad essere aggiunto a questa catalogazione, ma ce ne
sono molti altri, i quali compaiono in condizioni particolari di
temperatura e pressione come i vari tipi di ghiaccio (denominati ghiaccio
I, ghiaccio II, ghiaccio III e così via fino al ghiaccio X) e lo stato
superfluido che l'elio raggiunge a bassissime temperature. Altri stati della
materia di moderna concezione sono lo stato supercritico, superfluido,
supersolido, colloidale, Condensato di Bose - Einstein e lo stato di
cristallo liquido.
IL CARBONIO
Introduzione
Carbonio Elemento chimico di simbolo C e numero atomico 6,
appartenente al gruppo IVA (o 14) della tavola periodica. È il costituente
fondamentale di tutti i composti organici, biologici e non, e riveste quindi
un ruolo molto importante nella vita degli organismi viventi.
Proprietà
Il carbonio ha peso atomico 12,011 ed esiste in natura in tre forme
allotropiche caratterizzate da diversa struttura cristallina: il diamante, in
cui ogni atomo è legato ad altri quattro atomi in un reticolo a struttura
tetraedrica; la grafite, in cui gli atomi sono disposti in modo da creare
degli esagoni affiancati su piani orizzontali; e il carbonio amorfo,
caratterizzato da un basso grado di cristallinità. Queste forme, che si
differenziano in molte proprietà fisiche, hanno tutte punti di fusione
estremamente alti e, a temperatura ambiente, sono insolubili in qualunque
solvente.
Una quarta forma di carbonio naturale è costituita dall’intera classe dei
fullereni, il più famoso dei quali è il buckminsterfullerene.
Il carbonio ha la proprietà unica di combinarsi con se stesso per formare
catene di atomi e anelli estremamente complessi. Per questo motivo esiste
un numero idealmente infinito di suoi composti, tra cui i più comuni sono
quelli che contengono carbonio e idrogeno. I primi composti di carbonio
furono identificati in organismi viventi all'inizio del XIX secolo, e da
allora lo studio del carbonio costituisce l'importante ramo della chimica
noto come chimica organica.
Il carbonio è poco reattivo a temperatura ambiente, ma a temperature
elevate reagisce facilmente con molti metalli per formare i carburi, e con
l'ossigeno per formare il monossido di carbonio (CO) e il diossido di
carbonio, noto anche come anidride carbonica (CO2). Forma inoltre
composti con la maggior parte degli elementi non metallici, sebbene
alcuni di questi composti, ad esempio il tetracloruro di carbonio (CCl4),
debbano essere prodotti indirettamente. Il coke, una forma di carbonio
amorfo, è usato per rimuovere l'ossigeno dai minerali formati da ossidi
metallici per ottenere il metallo puro.
Diffusione
Sebbene rappresenti solo lo 0,025% della crosta terrestre, il carbonio è
piuttosto diffuso in natura, in particolare sotto forma di carbonati. Il
diossido di carbonio è un importante costituente dell'atmosfera ed è la
fonte di carbonio più importante per gli organismi viventi. Nel processo
di fotosintesi, le piante trasformano diossido di carbonio in composti
organici complessi, che vengono successivamente utilizzati da altri
organismi (vedi Ciclo del carbonio).
Allo stato amorfo il carbonio si trova, in vari gradi di purezza, nel
carbone, nel coke, nel nero di gas e nel nerofumo. Il nero di gas è
prodotto bruciando idrocarburi liquidi come il kerosene in difetto d'aria, e
raccogliendo il fumo in una camera separata; per lungo tempo è stato
usato come pigmento nero negli inchiostri e nelle vernici, ma attualmente
è stato sostituito dal nerofumo, composto da particelle più sottili e
ottenuto dalla combustione incompleta del gas naturale. Il nerofumo è
utilizzato come stucco e come rinforzante nell'industria della gomma.
Applicazioni scientifiche
Oltre alle numerose applicazioni industriali, il carbonio ha importanza
anche nel settore scientifico. Nel 1961 l'isotopo più comune, il carbonio
12, fu scelto per sostituire l'ossigeno 16 come standard per i pesi atomici.
Gli isotopi di peso atomico 13 e 14 sono largamente usati come traccianti
isotopici nella ricerca biochimica. Il carbonio 14, noto anche come
radiocarbonio, è un isotopo radioattivo che viene prodotto in
continuazione nell'atmosfera per cattura dei neutroni della radiazione
cosmica da parte dei nuclei di azoto; è incorporato in tutti gli organismi
viventi e quando questi muoiono, il contenuto di carbonio 14 decresce,
con tempo di dimezzamento di circa 5730 anni. L'analisi del rapporto tra
carbonio 12 e 14 presente in un organismo rappresenta la base del
cosiddetto metodo di datazione al radiocarbonio (vedi Metodi di
datazione), che permette la stima dell'età dei fossili e di altri materiali
organici.
IL PETROLIO
Il petrolio ha un’origine più recente rispetto a quella del carbon fossile. È
un combustibile fossile liquido di natura ed è nato per lenta
decomposizione di vegetali e animali marini, rimasti imprigionati in
sacche sotterranee delimitate da rocce impermeabili. Nel petrolio sono
presenti sostanze organiche formate da idrogeno e carbonio, gli
idrocarburi.
Questo combustibile fossile è molto importante: infatti non esiste
processo di lavorazione industriale o prodotto destinato al nostro
consumo che non abbia un quantitativo di petrolio incorporato. Inoltre
siamo legati a lui non soltanto per il riscaldamento di un qualsiasi
ambiente e per la funzione di qualsiasi tipo di motore, ma soprattutto
perché è una preziosa riserva di energia chimica.
1.Ricerca dei giacimenti. Per individuare un giacimento di idrocarburi è
necessario eseguire una ricerca detta prospezione, che inizia con
l’individuazione dei bacini di sedimentazione. Fatto ciò, si esegue una
prima esplorazione in superficie e si prosegue perforando il terreno fino a
qualche decina di metri di profondità per prelevare dei campioni detti
carote per verificare se nel sottosuolo vi sono trappole nelle quali gli
idrocarburi abbiano potuto accumularsi. A questo punto si ricorre al
metodo sismico a riflessione per individuare una trappola. Poi vengono
scavati una serie di pozzi esplorativi che hanno il compito di prelevare
campioni di combustibile e determinare le sue caratteristiche e
l’estensione del giacimento, per avere la certezza che gli idrocarburi siano
presenti in quantità sufficiente da renderne conveniente l’estrazione.
2.Estrazione.In questa fase vengono scavati un certo numero di pozzi
abbastanza distanziati tra loro per riuscire a sfruttare al massimo il
giacimento. Le rocce vengono perforate da uno scalpello rotante,
collegato al motore da un sistema di aste cave, che viene allungato a
mano a mano che il pozzo diventa più profondo. Le aste vengono
utilizzate per iniettare nel fondo del pozzo un fango apposito che fa
galleggiare e quindi salire alla superficie i detriti delle rocce frantumate.
Poi lo scalpello rotante viene tolto e sostituito da un tubo, attraverso il
quale il petrolio inizialmente esce spontaneamente perché spinto dalla
pressione. Quando quest’ultima diventa insufficiente, il petrolio viene
pompato attivamente. Inoltre sulla testa del tubo viene fissato l’albero di
Natale che, munito di valvole, regola la fuoriuscita del petrolio.
3.Trasporto del greggio. Una volta estratto il petrolio, esso viene
immagazzinato in serbatoi che servono per trasportarlo nei luoghi di
raffinazione o di consumo. Il trasporto può avvenire per via mare per
mezzo di petroliere o navi cisterne, oppure per via terra con grandi
oleodotti, nei quali il petrolio viene pompato sotto pressione.
Il metodo di trasporto più sicuro è per mezzo degli oleodotti perché in
caso di perdite, l’inquinamento sarebbe limitato e il danno potrebbe
essere facilmente riparato. Invece, in caso di rottura nelle petrolifere, il
danno sarebbe molto più difficile da riparare perché causerebbe veri
danni ecologici a causa del riversamento del petrolio in mare.
4.Raffinazione del petrolio.Il petrolio subisce un processo di
raffinazione che avviene mediante la distillazione, un processo che
consiste nel riscaldare il petrolio fino all’ebollizione, separandolo in base
alle diverse temperature.
Il greggio viene introdotto in un forno, dove il petrolio passa per un tubo
riscaldato che dà ad una torre di distillazione. Essa è suddivisa al suo
interno in tanti piani nei quali sono presenti diverse temperature che
diminuiscono man mano che si sale. Su ogni piano tendono ad
accumularsi quei componenti il cui punto di ebollizione è prossimo alla
temperatura del piatto. A diverse altezze della torre, si prelevano le varie
frazioni attraverso tubature laterali. Estratti dalla torre, quasi tutti i
prodotti, per essere direttamente utilizzati, devono subire ulteriori
trattamenti di depurazione.
IL CARBON FOSSILE
Il Carbon fossile Combustibile solido di origine vegetale. Nelle passate
ere geologiche, in particolare nel Carbonifero (circa 300 milioni di anni
fa), gran parte della superficie terrestre era occupata da paludi in cui
cresceva una vegetazione lussureggiante che comprendeva molte varietà
di felci, alcune grandi come alberi. Man mano che morivano, le piante
venivano sommerse dall'acqua: la materia organica dunque non si
decomponeva, ma cominciava a subire un lento processo di
carbonizzazione, una particolare forma di fossilizzazione consistente
nella perdita graduale e continua di atomi di idrogeno e di ossigeno, con
il conseguente accumulo di un'alta percentuale di carbonio.
In tal modo si formarono i primi giacimenti di torba, ricoperti col passare
del tempo da strati di terreno più o meno spessi. In migliaia e milioni di
anni la pressione degli strati sovrastanti, i sommovimenti della crosta
terrestre e, talvolta, il calore dei vulcani compressero e compattarono gli
originari depositi di torba, trasformandoli progressivamente in carbone.
TIPI DI MINIERE
I diversi tipi di carbon fossile vengono classificati secondo la loro età, e
quindi secondo il loro contenuto percentuale di carbonio. La torba, che
rappresenta il primo stadio della carbonizzazione, ha un basso contenuto
di carbonio e un alto grado di umidità. Il contenuto di carbonio è
maggiore nella lignite, che costituisce lo stadio immediatamente
precedente il carbon fossile vero e proprio, rappresentato dal litantrace,
che contiene ancor più carbonio, e che quindi ha un potere calorifico
relativamente alto, e dall'antracite, che ha il massimo contenuto di
carbonio e il potere calorifico maggiore.
Se sottoposto a pressione e calore ulteriori, il carbon fossile può
trasformarsi in grafite, che è praticamente carbonio puro. Altri
componenti del carbon fossile sono alcuni idrocarburi volatili, zolfo e
azoto, oltre ai minerali che residuano dalla combustione sotto forma di
cenere. Alcuni dei prodotti di combustione del carbon fossile hanno
effetti nocivi sull'ambiente, come, ad esempio, il diossido di carbonio o
anidride carbonica (CO2).
Alcuni scienziati ritengono che, a causa dell'uso generalizzato di carbone
e altri combustibili fossili, la quantità di diossido di carbonio
nell'atmosfera terrestre possa aumentare tanto da influenzare il clima del
pianeta (vedi Effetto serra).
Durante la combustione, inoltre, zolfo e azoto contenuti nei combustibili
fossili formano ossidi che contribuiscono alla formazione di piogge acide,
risultato di una complessa serie di reazioni che coinvolgono sostanze
chimiche di varia provenienza, sia naturali sia prodotte da attività
industriali o dai gas di scarico dei mezzi di trasporto con motore a
combustione interna. In molte nazioni, le emissioni di diossido di zolfo o
anidride
solforosa
(SO2)
provenienti
dalle
moderne
centrali
termoelettriche a carbone sono state poste sotto controllo, riuscendo a
ottenerne la diminuzione, malgrado l'aumento dell'impiego di carbone.
Ogni tipo di carbon fossile ha il suo valore economico. La torba è stata
usata per secoli, nelle miniere di carbone, per produrre il cosiddetto fuoco
in cantiere, e attualmente torba e lignite servono ad alimentare i forni,
dopo essere state compresse in mattonelle. Le centrali termoelettriche e
varie industrie utilizzano come combustibile il litantrace, mentre
l'industria siderurgica fa largo uso di coke metallurgico, un combustibile
ad altissima percentuale di carbonio, che si ottiene dalla distillazione del
carbon fossile. Dall'inizio del XIX secolo alla seconda guerra mondiale il
carbon fossile fu usato anche per la produzione di gas combustibili e di
idrocarburi liquidi.
Questa produzione è molto diminuita da quando è cominciato lo
sfruttamento delle enormi riserve di gas naturale, benché negli anni
Ottanta si sia risvegliato l'interesse delle nazioni industrializzate verso
questi processi, che rientrano fra le tecnologie innovative del 'carbone
pulito'. Si può citare l'esempio del Sudafrica, dove l'intero fabbisogno di
olio combustibile è fornito dalla liquefazione del carbon fossile.
TECNOLOGIE DEL CARBONE PULITO
Si tratta di una nuova generazione di processi di utilizzazione del carbon
fossile, alcuni dei quali potranno essere sfruttati commercialmente
all'inizio del XXI secolo. Le tecnologie del carbone pulito sono diverse,
ma tutte accomunate dal principio di riuscire ad alterare la struttura di
base del carbone, prima o durante una delle fasi di trattamento o di
utilizzo.
In questo modo sarebbe possibile ridurre l'emissione di impurità, quali
ossidi di zolfo e di azoto, durante il processo di combustione, e aumentare
la resa energetica. Queste tecniche innovative comprendono raffinati
metodi di pulizia del carbone, di combustione in letto fluido, di ciclo
combinato di gasificazione integrata, di totale desolforazione dei gas di
combustione.
IL CICLO DELLE ROCCE
Se si classificano le rocce della crosta terrestre a seconda della loro
origine, appare evidente quanto esse siano tra loro correlate.
Le rocce non sono corpi immutabili, ma rappresentano aspetti diversi e
transitori, alla scala dei tempi geologici, della litosfera in corso di
continua trasformazione secondo PROCESSI LITOGENETICI.
L'ATTIVITA' DINAMICA ENDOGENA del pianeta tende a sollevare
certe parti della litosfera rispetto ad altre, mentre l'ATMOSFERA e
l'IDROSFERA, interagendo con la litosfera, tendono al livellamento della
stessa attraverso l'ATTIVITA' DINAMICA ESOGENA, che si esplica
nei PROCESSI DEMOLITORI della ALTERAZIONE CHIMICA,
risultato dell'EROSIONE per azione di processi chimici, ad esempio nelle
dissoluzioni
in
regioni
calcaree,
e
della
DISGREGAZIONE
MECCANICA, risultato dell'EROSIONE delle rocce per azione
meccanica, ad esempio in seguito alle alternanze del gelo e del disgelo.
I processi di EROSIONE, TRASPORTO e SEDIMENTAZIONE
finiscono per trascinare sui fondi marini gran parte dei materiali derivati
dalla degradazione delle rocce. La SUBSIDENZA e l'accumularsi di
nuovi sedimenti portano quelli già deposti in profondità, dove si
trasformano in rocce sedimentarie.
Continuando il processo, se la temperatura supera un certo limite (e se ad
essa si aggiunge l'effetto di pressioni orientate) le rocce sedimentarie,
come anche le magmatiche e le stesse metamorfiche, subiscono
variazioni
della
loro
composizione
e
della
STRUTTURA/TESSITURA, dando luogo a rocce metamorfiche.
loro
Ancora più in profondità nella litosfera, l'aumento di temperatura può
portare alla fusione della roccia, con conseguente formazione di un nuovo
magma; questo, a seconda delle successive modalità di solidificazione,
formerà rocce magmatiche intrusive o effusive.
Il
nuovo
materiale
(nuove
rocce
sedimentarie,
metamorfiche,
magmatiche), una volta portato da PROCESSI DI RISALITA
(ricordiamo i processi di EPIROGENESI, movimenti a grande raggio di
curvatura che interessano una parte più o meno vasta della crosta terrestre
e che provocano il suo innalzamento o il suo abbassamento, i processi di
DIAPIRISMO, fenomeni che portano alla formazione di DIAPIRI, vale a
dire di materiale maggiormente plastico e leggero rispetto a quello
sovrastante, che risale inarcando e deformando quest'ultimo, i processi di
TETTOGENESI e OROGENESI, insieme di fenomeni che portano alla
deformazione di aree allungate della crosta terrestre e al successivo
sollevamento di catene montuose), in superficie, sarà nuovamente
coinvolto nel ciclo delle rocce.
Le rocce magmatiche possono essere considerate, in un certo senso, le
rocce genitrici o primarie di tutta la crosta terrestre; una volta che esse
siano state attaccate dagli agenti atmosferici e dall'erosione formano i
sedimenti che, cementati tra loro, vanno a costituire la seconda grande
classe di rocce: le rocce sedimentarie. Se poi le rocce magmatiche o
sedimentarie vengono ad essere seppellite sotto altri strati di sedimenti o
vengono coinvolte in movimenti della crosta terrestre, possono
trasformarsi in rocce metamorfiche. A questo punto, però, il ciclo può
invertirsi: se infatti sopraggiungono movimenti crostali che spingono le
rocce all'interno della crosta terrestre determinandone lo sprofondamento,
queste possono raggiungere all'interno della Terra temperature molto
elevate, fino a raggiungere la fusione generando nuovo materiale
magmatico.
PROCESSI LITOGENETICI: insieme di processi che portano alla
formazione delle rocce e, in particolare, delle rocce sedimentarie; la
litogenesi di queste avviene attraverso i processi di diagenesi, cioè di
costipamento, di cementazione, di ricristallizzazione, che portano alla
trasformazione di un sedimento in roccia coerente, consolidata.
DINAMICA ENDOGENA: insieme dei fenomeni che si verificano nelle
zone interne, più o meno profonde, della Terra.
ATMOSFERA : massa gassosa che circonda il globo terrestre.
IDROSFERA: parte della crosta terrestre costituita da oceani, mari, laghi,
fiumi, acque sotterranee, nevi e ghiacciai.
DINAMICA ESOGENA: insieme dei processi che avvengono sulla
superficie esterna del pianeta, o nei livelli più superficiali di essa, e che
traggono la loro origine da cause esterne alla Terra stessa.
PROCESSI DEMOLITORI: complesso dei fenomeni di EROSIONE che
conducono a un abbassamento del rilievo terrestre; avvengono ad opera
degli agenti naturali, quali temperatura, vento, acque, ghiacciai, che
agiscono sulle rocce affioranti alla superficie terrestre.
EROSIONE: insieme delle azioni esterne che portano alla riduzione di un
rilievo; si parla di erosione eolica, di erosione marina, di erosione
glaciale, di erosione fluviale, a seconda degli agenti naturali che ne sono
responsabili.
TRASPORTO: allontanamento dei prodotti dell'erosione dal luogo ove si
sono originati, a opera degli agenti esogeni, acqua, vento, ghiacciai,
organismi; causa fondamentale ne è la forza di gravità.
SEDIMENTAZIONE: insieme dei fenomeni e dei processi che portano
alla formazione di un sedimento; si distingue, a seconda del processo che
la determina, in meccanica, chimica, organogena e, a seconda
dell'ambiente di deposito dell'agente di trasporto e di deposito, in marina,
fluviale, lacustre, glaciale, eolica; nel caso di deposizione ad opera dei
fiumi nei bacini marini, a mano a mano che l'acqua del fiume rallenta la
sua corsa deposita i sedimenti che contiene; la natura dei sedimenti
deposti varia con la distanza dalla costa; i primi sedimenti ad essere
depositati sono naturalmente i ciottoli e le ghiaie più pesanti, i quali
necessitano di elevate energie di trasporto; poi è la volta delle sabbie più
leggere e, solo alla fine, dei silt e delle argille.
SUBSIDENZA: movimento di abbassamento, continuo o a scosse, di una
regione e in particolare del fondo di un bacino sedimentario, che si
accompagna ad un accumulo progressivo di grandi spessori di sedimenti.
STRUTTURA e TESSITURA: insieme della caratteristiche di una roccia
date dalla forma, dalle dimensioni e dalla disposizione relativa dei
componenti mineralogici.
L’ACCIAIO
Nella seconda metà dell’800 si capì che il carbonio era la causa della
fragilità delle ghise, perciò si studiò il modo di ridurne la percentuale,
senza rinunciare però alla durezza. si sperimentò cosi’, l’aggiunta di altri
metalli in lega.
L’acciaio si ottiene per CONVERSIONE DELLA GHISA, entro appositi
forni a 1600°C (forni CONVERTITORI) dove l’INSUFFLAGGIO di
OSSIGENO e l’uso di rottami vecchi ricchi di ruggine (ossidi capaci di
liberare ossigeno) sono in grado di ridurre il carbonio sotto l’1,7%.
ACCIAI ATTUALMENTE IN COMMERCIO
ACCIAI COMUNI O AL CARBONIO
acciai tradizionali con tracce di silicio e manganese. La durezza cresce al
crescere della percentuale di carbonio, mentre la tenacità ne è
inversamente proporzionale.
(extradolce, dolce, semiduro, duro, extraduro)
ACCIAI SPECIALI
sono simili agli acciai comuni, ma con un drastico controllo della
percentuale di fosforo e zolfo, che non devono superare lo 0,035%. Ne
risultano migliorate tutte le prestazioni.
ACCIAI LEGATI
Oltre che col carbonio, entrano in lega altri metalli, quali, silicio,
manganese, cromo, nichel o rame, che ne migliorano le qualità.
trattamenti termici
TEMPRA
consiste nel portare il metallo a 800-900°C e poi raffreddarlo
rapidamente. In tal modo i cristalli non fanno in tempo a formarsi e
restano piccoli e incompleti. La superficie esterna è quella che estremizza
il fenomeno in quanto è la prima a raffreddarsi. Essa risulta ricca di
legami distorti che le donano una forte durezza. Eccessiva durezza può
però causare alta fragilità, non bisogna quindi eccedere.
RINVENIMENTO
serve per eliminare l’eccessiva fragilità derivante dalla tempra, si tratta di
ririscaldare il metallo fino a 500-600°C e di farlo raffreddare lentamente
per recuperare un po' della tenacità persa in durezza.
BONIFICA
Operazione simile al rinvenimento che si attua però su metalli lavorati in
lamiere e a freddo, al fine di renderli meno soggetti alla frantumazione.
CEMENTAZIONE
Arricchimento superficiale di carbonio, al fine di ottenere una superficie
esterna dura e un interno tenace.
RICOTTURA
Cancella tutti i trattamenti subiti. La temperatura è portata oltre 900°C e il
metallo viene lasciato raffreddare lentamente.
PROPRIETA CHIMICO FISICHE
MALLEABILITA’
Capacità di lasciarsi lavorare al laminatoio, un apparecchiatura formata
da cilindri accoppiati rotanti in senso opposto attraverso i quali viene
fatto passare un lingotto rovente.
DUTTILITA’
Capacità di lasciarsi lavorare per trafilatura. Il materiale viene fatto
passare attraverso un orifizio calibrato e viene “passato” e trasformato in
fili.
ALLIGABILITA’
Possibilità del metallo di legarsi con altri. E’ ormai impensabile usare del
metallo puro, tranne che per il rame da impiantistica elettrica.
SALDABILITA’
Possibilità del materiale di essere unito mediante fusione parziale o
colatura di materiale fuso tra due parti solide.
DUREZZA
Capacità di resistere a penetrazione, scalfittura, usura per strofinio. si
accompagna purtroppo alla fragilità.
TENACITA’
Semplicisticamente è definita la capacità di resistere agli urti, o meglio
“la capacità del metallo di assorbire l’energia di una sollecitazione
dinamica”.
PASSIVABILITA’
Capacità di resistere all’aggressione degli agenti chimici presenti
nell’atmosfera.
LA MASSA
Massa: (fisica) Grandezza fisica che esprime l’attitudine di un corpo a opporsi alle
variazioni del suo stato di quiete o di moto (ossia ne fornisce una misura dell’inerzia),
e la sua caratteristica di essere sottoposto alla forza di gravità. Nel primo caso si parla
più precisamente di massa inerziale, nel secondo, di massa gravitazionale.
2 Massa inerziale e massa gravitazionale
Le definizioni dei due tipi di massa, inerziale e gravitazionale, vengono ricondotte a
due principi fisici differenti. La massa inerziale è definita in base alla seconda legge
di Newton (F = ma), come la costante di proporzionalità tra la forza applicata a un
corpo e l’accelerazione che esso acquista per effetto di tale forza. Essa esprime
quindi l’inerzia del corpo, ovvero una forma di “resistenza” che il corpo offre
all’azione di cause che possono alterare il suo stato dinamico. A parità di forza
applicata, maggiore è la massa inerziale, minore è l’accelerazione acquistata dal
corpo.
La massa gravitazionale è invece definita in base alla legge di gravitazione universale
(F = GmM/R2), secondo la quale due corpi aventi masse rispettivamente pari a m e M
interagiscono per mezzo di una forza attrattiva di intensità direttamente proporzionale
al prodotto delle due masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro
distanza. Questa legge si applica sia al moto dei pianeti (e costituisce la
giustificazione teorica delle leggi che ne regolano il moto), sia ai corpi in caduta
libera sulla superficie terrestre.
2.
1
Massa e relatività
La massa gravitazionale coincide con quella inerziale in tutti i corpi, e l’equivalenza
tra le due grandezze riveste grande importanza nella teoria della relatività generale
formulata da Albert Einstein. Un altro contenuto fondamentale della teoria della
relatività riguardante la massa dei corpi è l’affermazione dell’equivalenza tra massa
ed energia: questa legge non ha conseguenze nell’ambito della fisica classica, ma
diviene molto importante nell’ambito della fisica moderna. La relatività ristretta,
infatti, prevede che la massa di un corpo vari con la sua velocità, e che lo
scostamento tra il valore della massa a riposo (la massa del corpo in quiete) e quello
della massa in moto divenga apprezzabile quando la velocità si approssima a quella
della luce nel vuoto, ovvero a 300.000 km/s. A tali velocità, caratteristiche delle
particelle prodotte nelle reazioni nucleari, o raggiunte dalle particelle grazie agli
acceleratori, la massa può essere convertita in energia e viceversa, secondo la celebre
equivalenza di Einstein E = mc2.
I GAS E LE LORO LEGGI
Gas In fisica, uno dei tre diversi stati di aggregazione – solido, liquido,
gassoso – in cui può presentarsi la materia, ciascuno caratterizzato da
proprietà microscopiche e macroscopiche distinte. A differenza dei solidi,
che hanno un volume e una forma propria, e dei liquidi, che hanno
volume proprio ma assumono la forma del recipiente che li contiene, i gas
non hanno né forma né volume propri.
La teoria atomica della materia permette di spiegare le caratteristiche dei
tre stati di aggregazione analizzandole in termini microscopici. Così, le
molecole di un solido occupano posizioni fisse all’interno di un reticolo
regolare e la loro libertà di movimento è limitata a piccole vibrazioni
attorno ai siti reticolari; le molecole di un liquido sono legate da forze
meno intense di quelle dei solidi, e sono quindi dotate di una maggiore
libertà di movimento; nei gas, invece, non vi è alcun ordine spaziale
microscopico: le molecole si muovono incessantemente e casualmente,
trattenute solo dalle pareti del recipiente che le contiene.
Per descrivere il comportamento di un gas si ricorre a un modello ideale,
quello di “gas perfetto”, e alle tre variabili macroscopiche: pressione (P),
volume (V) e temperatura (T). Un gas si può dire “perfetto” se le sue
molecole sono talmente piccole da poter essere considerate puntiformi e
se è talmente rarefatto da far sì che si possano trascurare le interazioni tra
le molecole.
Le leggi che correlano le tre variabili macroscopiche di un gas sono state
ricavate per via empirica. La legge di Boyle (che deve il nome allo
scienziato irlandese Robert Boyle) stabilisce che in un gas, in condizioni
di temperatura costante, il volume è inversamente proporzionale alla
pressione. La legge di Gay-Lussac (dal chimico e fisico francese J.-L.
Gay-Lussac) afferma che, a volume costante, la pressione è direttamente
proporzionale alla temperatura assoluta.
Combinando queste due leggi, si ottiene la legge generale, nota anche
come equazione di stato dei gas perfetti, PV/T= R, dove n è il numero di
moli. R è una costante universale – di valore è pari a 8,314 J K-1 – la cui
scoperta rappresentò una pietra miliare della scienza moderna.
Vedi anche Leggi dei gas.
Anteprima della sezione
La teoria atomica permette di dare un’interpretazione teorica alle leggi
empiriche che descrivono il comportamento dei gas. Il volume
rappresenta lo spazio disponibile al moto delle molecole; la pressione,
che può essere misurata con un manometro fissato alla parete del
contenitore, rappresenta la variazione media della quantità di moto delle
molecole che si verifica quando queste urtano contro le pareti e ne
vengono rimbalzate; la temperatura è legata all’energia cinetica media
delle molecole, cioè al quadrato della loro velocità media.
Riconducendo le grandezze macroscopiche alle variabili posizione,
velocità, quantità di moto ed energia cinetica delle singole molecole, è
possibile studiare il comportamento dei gas in termini statistici, sulla base
dei principi della meccanica classica.
La teoria che correla le proprietà dei gas alla meccanica classica prende il
nome di cinetica dei gas; oltre a fornire l’interpretazione teorica
dell’equazione di stato dei gas perfetti, consente di dedurre una serie di
altre proprietà dei gas, come la legge di distribuzione delle velocità
molecolari e le proprietà di trasporto.
Il comportamento dei gas reali spesso si discosta anche sensibilmente da
quanto previsto dall’equazione dei gas perfetti. Per fornire una buona
descrizione dei gas reali sono state quindi proposte forme modificate
della legge PV = nRT.
Particolarmente utile e molto nota è la legge di Van der Waals (che deve
il nome al fisico olandese Johannes van der Waals): (P + n2a/V2) (V - nb)
= nRT, dove a e b non sono costanti universali, ma due parametri ai quali
vanno assegnati di volta
in
volta
valori opportuni,
ottenibili
sperimentalmente.
Anche la legge di Van der Waals può essere interpretata a livello
microscopico: le molecole interagiscono tra loro per mezzo di forze a
corto raggio, che sono fortemente repulsive a piccola distanza, diventano
debolmente attrattive a distanza media e si annullano a grande distanza.
La mutua repulsione tra molecole proibisce alle particelle di occupare
posizioni ravvicinate e, di conseguenza, una parte dell’intero volume non
è disponibile al moto casuale: nell’equazione di stato, questo volume
“proibito” (b) deve essere sottratto al volume del recipiente (V),
ottenendo (V - nb). Il secondo termine correttivo, a/V2, descrive una
debole forza attrattiva fra le molecole, che aumenta quando V diminuisce,
costringendo le molecole più vicine le une alle altre.
A basse temperature (quindi in condizioni di scarsa mobilità molecolare),
o ad alte pressioni, o a volumi ridotti (ridotto spazio intermolecolare), le
molecole di un gas risentono maggiormente delle forze reciproche
attrattive. In determinate situazioni critiche, i legami diventano così
intensi che l’intero sistema entra in uno stato caratterizzato da maggiore
densità e acquista un volume proprio: in altre parole, si verifica una
transizione di stato da quello gassoso a quello liquido. Tali trasformazioni
vengono descritte relativamente bene dalla legge di Van der Waals, che
indica anche l’esistenza di un punto critico, al di là del quale lo stato
liquido e quello gassoso non sono distinguibili. Queste previsioni sono
confermate dalle osservazioni sperimentali; tuttavia, nella maggior parte
dei casi, lo studio di tali fenomeni richiede l’uso di formule più
complicate della legge di Van der Waals.
Leggi dei gas Leggi fisiche che descrivono il comportamento dei gas in
funzione di variabili di stato quali volume, temperatura e pressione.
Queste leggi si riferiscono ai gas “ideali” (ovvero nei quali si possono
trascurare le interazioni reciproche tra particelle costituenti e l’attrito
interno), ma nella maggior parte dei casi danno una descrizione
sufficientemente accurata anche del comportamento di gas “reali”. Per
tali gas, comunque, esistono opportune correzioni da apportare alle leggi,
che rendono conto con più precisione del loro comportamento effettivo.
Anteprima della sezione
La legge di Boyle, che prese nome dal chimico irlandese Robert Boyle,
ideatore della legge nel XVII secolo, afferma che: “il prodotto di
pressione e volume di una massa determinata di gas è costante in
qualunque trasformazione isoterma, ovvero in qualunque processo in cui
la temperatura sia mantenuta costante”. L’espressione in formule di
questa legge è: P × V = costante.
La legge di Charles invece prende nome dal chimico francese J.-A.-C.
Charles: nel suo enunciato originale, afferma che in qualunque
trasformazione isobara, ovvero a pressione costante, per ogni aumento di
temperatura di 1 grado Celsius, il volume del gas aumenta di una frazione
pari a 1/273 del volume che esso occuperebbe alla temperatura di 0 °C.
Questa legge fu una delle principali indicazioni della necessità di definire
un valore di temperatura che corrispondesse a -273 °C, quello che poi
divenne noto come zero assoluto, e di conseguenza una scala di
temperatura assoluta.
Se la temperatura viene misurata in questa scala (in cui 0 °C corrisponde
approssimativamente a 273 K), la legge di Charles si può riformulare più
semplicemente in questo modo: il volume di un gas nelle trasformazioni a
pressione costante è proporzionale alla sua temperatura assoluta. In
formule, tale legge si scrive: V α T.
Allo stesso Charles si deve la legge delle pressioni, la quale afferma che
nelle trasformazioni a volume costante, la pressione del gas è
proporzionale alla temperatura. In simboli: P α T.
Le due leggi sopra descritte sono note anche come leggi di Gay-Lussac,
dal nome dello scienziato francese Joseph-Louis Gay-Lussac che
generalizzò a tutti i gas le conclusioni formulate da Charles nel caso
particolare del vapore acqueo; tali leggi furono ottenute nello stesso
periodo anche dal fisico italiano Alessandro Volta, in relazione al
comportamento dell’aria.
Le tre leggi dei gas possono essere combinate in un’unica utilissima
equazione, che prende il nome di equazione di stato dei gas perfetti, e si
scrive PV = n RT, dove n rappresenta il numero di moli di gas contenute
nel campione e R è una costante, detta costante dei gas, di valore pari a
8,314 JK-1 per mole.
L’equazione di stato può anche essere espressa dalla relazione (P1 V1) /
T1 = (P2 V2) / T2 dove l’indice “1” si riferisce ai valori di pressione,
volume e temperatura del gas a uno stadio della trasformazione, mentre
l’indice “2” si riferisce a uno stadio successivo. Se, ad esempio, si trova
che il volume di un campione di idrogeno è di 100 cm cubi in condizioni
di temperatura di 25 °C (298 K) e di pressione atmosferica pari a 97,0
kPa (kilopascal), si può ricorrere a questa equazione per calcolare quale
sarebbe il volume occupato dalla medesima quantità di gas, in condizioni
di temperatura e pressione standard (ovvero 273,15 K e 101,325 kPA).
Le leggi dei gas possono essere ricavate anche a partire da considerazioni
teoriche, basate sulla teoria cinetica dei gas. In questa teoria, i gas ideali
sono considerati come un insieme di particelle infinitamente piccole
(puntiformi), che non interagiscono l’una con l’altra mediante alcun tipo
di forza, e fra le quali si verificano urti perfettamente elastici. Nel caso
dei gas reali, anche queste ipotesi valgono solo approssimativamente: il
comportamento di un gas reale, infatti, si discosta da quello ideale in
maniera tanto più accentuata quanto più la temperatura del gas si avvicina
a quella del suo punto di liquefazione.
LA MATERIA
In fisica classica, con materia genericamente si indica qualsiasi cosa che
abbia massa e occupi spazio o alternativamente la sostanza di cui gli
oggetti fisici sono composti, escludendo l'energia dovuta al contributo dei
campi delle forze.
Questa definizione, sufficiente per la fisica macroscopica (meccanica,
termodinamica etc), non è più adatta per la moderna fisica atomica e
subatomica, per cui lo spazio occupato da un oggetto è prevalentemente
vuoto, e l'energia è equivalente alla massa (E=mc²). Si può invece
adottare la definizione che la materia è costituita da una certa classe delle
più piccole, fondamentali entità fisicamente rilevabili: queste particelle
sono dette fermioni e seguono il principio di esclusione di Pauli, che
stabilisce che non più di due fermioni possono esistere nello stesso stato
quantistico. A causa di questo principio, le particelle che compongono la
materia non sono tutte nello stato di energia minima e quindi è possibile
creare strutture stabili di assemblati di fermioni.
Particelle della classe complementare, i bosoni, costituiscono invece i
campi, essi possono quindi esseri considerati gli agenti operanti gli
assemblaggi dei fermioni o le loro modificazioni, interazioni e scambi di
energia. Una metafora non del tutto corretta da un punto di vista fisico,
ma efficace e intuitiva, vede i fermioni come i mattoncini che
costituiscono la materia dell'universo, e i bosoni come le colle o i cementi
che li tengono assieme in certi modi per costituire la realtà fisica.
Definizione teorica
Tutto ciò che occupa spazio e ha massa è conosciuto come materia. In
fisica, non c'è un largo consenso per una comune definizione di materia,
in parte perché la nozione di "occupare spazio" è mal definita e
inconsistente nel quadro della meccanica quantistica. I fisici non
definiscono con precisione cosa si deve intendere per materia, preferendo
invece utilizzare e rivolgersi a concetti più specifici di massa, energia e
particelle.
La materia è definita al più da alcuni fisici come tutto ciò che è composto
da fermioni elementari. Questi sono i leptoni, come ad esempio gli
elettroni, e i quark, inclusi quelli up e down che costituiscono i protoni e i
neutroni. Dato che elettroni, protoni e neutroni si aggregano insieme a
costituire atomi, questi fermioni da soli costituiscono tutta la sostanza
elementare che forma tutta la materia ordinaria. La proprietà rilevante dei
fermioni è che essi hanno spin semi-intero (per esempio 1/2, 3/2, 5/2 ...) e
quindi devono seguire il principio di esclusione di Pauli, che vieta a due
fermioni di occupare lo stesso stato quantistico. Questo sembra
corrispondere all'elementare proprietà di impenetrabilità della materia e
all'antico concetto di occupazione dello spazio.
Secondo questa visione, non sono materia la luce (costituita da fotoni), i
gravitoni e i mesoni (a parte i muoni, tipi di leptoni chiamati con
ambiguità mesoni prima che la distinzione fra di loro fosse chiara).
Questi hanno spin intero (0, 1, 2, 3, ...), non seguono il principio di
esclusione di Pauli e quindi non si può dire che occupino spazio nel senso
sopra menzionato. Ciò nonostante hanno tutti energia per cui (in accordo
con l'equivalenza relativistica massa-energia) hanno anche massa. Perciò
sotto questa definizione esistono particelle che hanno massa senza avere
materia.
La parte principale della massa di protoni e neutroni proviene dall'energia
cinetica dei quark e dalla massa dei gluoni (un tipo di bosoni) che li
legano, quindi non solamente dai quark stessi. La definizione di materia
come formata da fermioni soffre perciò del problema primario che la gran
parte della massa (più del 99%) della "materia ordinaria" non è composta
da fermioni (quark e leptoni) ma dalla loro energia cinetica e dai bosoni.
Proprietà della materia
Secondo la visione classica ed intuitiva della materia, tutti gli oggetti
solidi
occupano
uno
spazio
che
non
può
essere
occupato
contemporaneamente da un altro oggetto. Ciò significa che la materia
occupa uno spazio che non può contemporaneamente essere occupato da
un'altra
materia,
ovvero
la
materia
è impenetrabile
(principio
dell'impenetrabilità).
Se prendiamo un pezzo di gomma, lo misuriamo con una bilancia e
otteniamo, ad esempio, una massa di 3 grammi, dividendo la gomma in
tanti piccoli pezzi e pesando tali pezzi otterremo sempre 3 grammi. La
quantità non è cambiata, in accordo con la legge di conservazione della
massa. Quindi: "la materia ha una massa che non cambia anche se
variano la sua forma e il suo volume."
Su queste basi perciò in passato si è così costruita la definizione "la
materia è tutto ciò che occupa uno spazio e ha una sua massa."
La massa inerziale di una certa quantità di materia, ad esempio di un dato
oggetto, che una bilancia misura per confronto con un'altra massa, rimane
invariata in ogni angolo dell'universo, ed è quindi considerata una
proprietà intrinseca della materia. L'unità con cui si misura la massa
inerziale è il chilogrammo.
Viceversa, il peso è una misura della forza di gravità con cui la Terra
attira verso di se un corpo avente una massa gravitazionale; come tale, il
peso di un dato corpo cambia a seconda del luogo in cui lo misuriamo - in
diversi punti della Terra, nello spazio cosmico o in un altro pianeta. Il
peso quindi non è una proprietà intrinseca della materia. Come altre forze
statiche, il peso può essere misurato con un dinamometro.
Massa inerziale e massa gravitazionale sono due concetti distinti nella
meccanica
classica,
ma
sono
state
sempre
trovate
uguali
sperimentalmente. È solo con l'avvento della relatività generale che
abbiamo una teoria che interpreta la loro identità.
La densità superficiale e volumica di materia nel mondo subatomico è
minore che nell'universo macroscopico. Nel mondo degli atomi le masse
occupano in generale volumi maggiori (minore densità di volume) e si
trovano a distanze maggiori (più bassa densità di superficie) di quelle che
separano pianeti, stelle, galassie (v. [1]). Fra i costituenti della materia
prevale il vuoto.
Struttura della materia
Il granito non ha una composizione globale uniforme.
La materia omogenea ha composizione e proprietà uniformi. Può essere
una mistura, come il vetro, un composto chimico come l'acqua, o
elementare, come rame puro. La materia eterogenea, come per esempio
il granito, non ha una composizione definita.
È di fondamentale importanza nella determinazione delle proprietà
macroscopiche della materia la conoscenza delle strutture a livello
microscopico (ad esempio l'esatta configurazione delle molecole e dei
cristalli), la conoscenza delle interazioni e delle forze che agiscono a
livello fondamentale unendo fra loro i costituenti fondamentali (come le
forze di london e legami di Van der Waals) e la determinazione del
comportamento delle singole macrostrutture quando interagiscono fra
loro (ad esempio le relazioni solvente - soluto o quelle che sussistono fra i
vari microcristalli nelle rocce come il granito).
Proprietà fondamentali della materia [
Quark]
I quark sono particelle a spin semi-intero e quindi sono dei fermioni.
Hanno un carica elettrica uguale a meno un terzo di quella dell'elettrone ,
per quelli di tipo down, e uguale invece a due terzi per quelli di tipo up. I
quark hanno anche una carica di colore, che è l'equivalente della carica
elettrica per le interazioni deboli. I quark sono anche particelle massive e
sono quindi soggetti alla forza di gravità.
Proprietà dei Quark[1]
Carica
Nome Simbolo Spin elettrica
(e)
Massa
Massa
(MeV/c2)
comparabile Antiparticella
a
Quark di tipo Up
Up
u
1/2
+ 2/3
Charm c
1/2
+ 2/3
1,5 a 3,3 ~ 5 elettroni Antiup
1160
1340
169.100
Top
t
1/2
+ 2/3
a
173.300
a
~ 1 protoni
~
Anticharm
180
protoni
o
~ 1 atomo di
tungsteno
Antitop
Simbolo
dell'antiparticel
Quark di tipo Down
Down d
1/2
− 1/3
3,5 a 6,0
Strange s
1/2
− 1/3
70 a 130
Bottom b
1/2
− 1/3
4130
a
4370
~
10
elettroni
~
200
elettroni
~ 5 protoni
Antidown
Antistrange
Antibottom
Fasi della materia
Un recipiente di metallo solido contenente azoto liquido evapora
lentamente nel gas azoto. L'evaporazione è la transizione di fase dallo
stato liquido a quello gassoso.
In risposta a differenti condizioni termodinamiche come la temperatura e
la pressione, la materia si presenta in diverse "fasi", le più familiari
(perché sperimentate quotidianamente) delle quali sono: solida, liquida e
gassosa. Altre fasi includono il plasma, il superfluido e il condensato di
Bose-Einstein. Il processo per cui la materia passa da una fase ad un'altra,
viene definito transizione di fase, un fenomeno studiato principalmente
dalla termodinamica e dalla teoria del caos.
Le fasi sono a volte chiamate stati della materia, ma questo termine può
creare confusione con gli stati termodinamici. Per esempio due gas
mantenuti a pressioni differenti hanno diversi stati termodinamici, ma lo
stesso "stato" di materia.
Solidi
I solidi sono caratterizzati da una tendenza a conservare la loro integrità
strutturale e la loro forma, al contrario di ciò che accade per liquidi e gas.
Molti solidi, come le rocce, sono caratterizzati da una forte rigidità, e se
le sollecitazioni esterne sono molto alte, tendono a spezzarsi e a rompersi.
Altri solidi, come gomma e carta, sono caratterizzati invece da una
maggiore flessibilità. I solidi sono di solito composti da strutture
cristalline o lunghe catene di molecole (ad esempio polimeri).
Liquidi
In un liquido, le molecole, pur essendo vicine fra di loro, sono libere di
muoversi, ma al contrario dei gas, esistono delle forze più deboli di quelle
dei solidi che creano dei legami di breve durata (ad esempio, il legame a
idrogeno). I liquidi hanno quindi una coesione e una viscosità, ma non
sono rigidi e tendono ad assumere la forma del recipiente che li contiene.
Gas
Un gas è una sostanza composta da piccole molecole separate da grandi
spazi e con una debolissima interazione reciproca. Quindi i gas non
offrono alcuna resistenza a cambiare forma, a parte l'inerzia delle
molecole di cui è composto.
Materia chimica [
La materia chimica è la parte dell'universo composta da atomi chimici.
Questa parte dell'universo non include la materia e l'energia oscura, buchi
neri, stelle a neutroni e varie forme di materia degenerata, che si trova ad
esempio in corpi celesti come la nana bianca. Dati recenti del Wilkinson
Microwave Anisotropy Probe (WMAP), suggeriscono che solo il 4%
della massa totale dell'intero universo visibile ai nostri telescopi sia
costituita da materia chimica. Circa il 22% è materia oscura, il restante
74% è energia oscura.
La materia che osserviamo è generalmente nella forma di composti
chimici, di polimeri, leghe o elementi puri.
Antimateria
Nelle particelle fisiche e nella chimica quantistica, l'antimateria è
composta dalle rispettive antiparticelle che costituiscono la normale
materia. Se una particella e la sua antiparticella si incontrano tra loro, le
due annichiliscono; si convertono cioè in altre particelle o più spesso in
radiazione elettromagnetica di eguale energia in accordo con l'equazione
di Einstein E = mc2.
L'antimateria non si trova naturalmente sulla Terra, eccetto quantità
piccole e di breve durata (come risultato di decadimenti radioattivi o
raggi cosmici). Questo perché l'antimateria che si crea fuori dai confini
dei laboratori fisici incontra immediatamente materia ordinaria con cui
annichilirsi. Antiparticelle ed altre forme di stabile antimateria (come
antiidrogeno) possono essere create in piccole quantità, ma non
abbastanza per fare altro oltre a test delle proprietà teoriche negli
acceleratori di particelle.
C'è una considerevole speculazione nella scienza e nei film su come mai
l'intero universo sia apparentemente composto da ordinaria materia,
sebbene sia possibile che altri posti siano composti interamente da
antimateria. Probabili spiegazioni di questi fatti possono arrivare
considerando asimmetrie nel comportamento della materia rispetto
all'antimateria.
Materia oscura
In cosmologia, effetti a larga scala sembrano indicare la presenza di un
incredibile ammontare di materia oscura che non è associata alla
radiazione elettromagnetica. La teoria del Big Bang richiede che questa
materia abbia energia e massa, ma non è composta né da fermioni
elementari né da bosoni. È composta invece da particelle che non sono
mai state osservate in laboratorio (forse particelle supersimmetriche).
Materia esotica
La materia esotica è un ipotetico concetto di particelle fisiche. Si riferisce
a ogni materia che viola una o più delle classiche condizioni e non è
costituita da particelle barioniche note.
Storia del concetto di Materia
Aristotele formulò una delle prime teorie sulla struttura della materia.
Nel medioevo e nell'antichità era radicata la convinzione aristotelica che
la materia fosse composta da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco.
Ciascuno di questi, avendo un diverso "peso", tende verso il proprio
luogo naturale, lasciando al centro dell'universo la terra e l'acqua, facendo
invece salire verso l'alto aria e fuoco. Inoltre si credeva che la materia
fosse un insieme continuo, privo completamente del vuoto (la natura
aborre il vuoto, horror vacui). Oggi invece si è scoperto che la materia è
al contrario composta per oltre il 99 % di vuoto.
Un grossa disputa nella filosofia greca riguardò la possibilità che la
materia possa essere divisa indefinitamente in parti sempre più piccole.
Contrari a questa ipotesi, gli atomisti erano invece convinti che vi fosse
una struttura elementare costituente la materia non ulteriormente
divisibile.
L’ATOMO
L'atomo (dal greco ἄτομος - àtomos -, indivisibile, unione di ἄ - a - [alfa
privativo] + τομή - tomé - [divisione], così chiamato perché inizialmente
considerato l'unita più piccola ed indivisibile della materia, risalente alla
dottrina dei filosofi greci Leucippo, Democrito ed Epicuro, detta teoria
dell'atomismo) è la più piccola parte di ogni elemento esistente in natura
che ne conserva le caratteristiche chimiche. Verso la fine dell'Ottocento
(con la scoperta dell'elettrone) fu dimostrato che l'atomo era divisibile,
essendo a sua volta composto da particelle più piccole (alle quali ci si
riferisce con il termine "subatomiche").
La teoria atomica è la teoria sulla natura della materia che afferma che
tutta la materia sia costituita da unità elementari chiamati atomi.
La teoria atomica si applica agli stati della materia solido, liquido e
gassoso, mentre è difficilmente correlabile allo stato plasmico, in cui
elevati volumi di pressione e temperatura impediscono la formazione di
atomi.
Solo all'inizio del XIX secolo (più precisamente nel 1808) John Dalton
rielaborò e ripropose la teoria di Democrito fondando la teoria atomica
moderna, con la quale diede una spiegazione ai fenomeni chimici,
affermando che le sostanze sono formate dai loro componenti secondo
rapporti ben precisi fra numeri interi (legge delle proporzioni multiple),
ipotizzando quindi che la materia fosse costituita da atomi. Nel corso dei
suoi studi, Dalton si avvalse delle conoscenze chimiche che possedeva (la
legge della conservazione della massa, formulata da Antoine Lavoisier, e
la legge delle proporzioni definite, formulata da Joseph Louis Proust) e
formulò la sua teoria atomica, che espose nel libro A New System of
Chemical Philosophy (pubblicato nel 1808). La teoria atomica di Dalton
si fondava su cinque punti:
•
la materia è formata da piccolissime particelle elementari chiamate
atomi, che sono indivisibili e indistruttibili;
•
gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali tra loro;
•
gli atomi di elementi diversi si combinano tra loro (attraverso
reazioni chimiche) in rapporti di numeri interi e generalmente
piccoli, dando così origine a composti;
•
gli atomi non possono essere né creati né distrutti;
•
gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di
altri elementi.[2]
In definitiva questa è la definizione di atomo per Dalton: "Un atomo è la
più piccola parte di un elemento che mantiene le caratteristiche fisiche di
quell'elemento".
Questa viene considerata la prima teoria atomica della materia perché per
primo Dalton ricavò le sue ipotesi per via empirica.
LE REAZIONI CHIMICHE
Una reazione chimica è una trasformazione della materia che avviene
senza variazioni misurabili di massa, in cui uno o più reagenti iniziali
modificano la loro struttura e composizione originaria per generare i
prodotti.
Alcuni processi in cui intervengono reazioni chimiche sono:
•
la corrosione del ferro a ruggine (che è composta da ossidi di
ferro);
•
la combustione del metano o altri combustibili (il metano con
l'ossigeno si trasforma in anidride carbonica e vapore acqueo);
•
la digestione (gli alimenti sono decomposti dai succhi gastrici in
sostanze chimiche assimilabili dall'organismo).
La materia è composta da atomi. Ogni atomo possiede proprietà peculiari,
derivanti dalla sua struttura atomica. Gli atomi possono legarsi tra loro
per formare le molecole. Un composto chimico è un tipo particolare di
molecola nella quale gli atomi sono diversi tra loro.
Ad esempio, l'ossigeno forma una molecola fatta con due atomi di
ossigeno, mentre l'acqua è una molecola composta da due atomi di
idrogeno legati ad un atomo di ossigeno, e quindi è anche un composto
chimico.
Le molecole si formano attraverso una reazione chimica, che consiste in
una rottura e formazione di legami chimici tra atomi. Più in generale, le
reazioni chimiche possono coinvolgere anche altre specie chimiche (ioni,
radicali, ecc.) oltre le molecole.
Le reazioni chimiche non provocano un cambiamento di natura della
materia, perché non influenzano i suoi costituenti fondamentali (gli
atomi) ma solo la maniera in cui sono aggregati in molecole; non
influenzano nemmeno l'aggregazione di molecole simili, quindi le
trasformazioni puramente fisiche, come i cambiamenti di stato (fusione,
solidificazione, evaporazione, ebollizione, ecc.), l'usura e l'erosione, la
frattura, ecc. non sono reazioni chimiche.
Allo stesso modo, non fanno parte delle reazioni chimiche le
trasformazioni dei nuclei atomici, cioè le reazioni nucleari. Purtuttavia
tali reazioni assumono anche un certo interesse in chimica e vengono
studiate dalla chimica nucleare.
Le reazioni chimiche, dunque, riguardano esclusivamente le variazioni
dei legami tra gli atomi (legame covalente, legame ionico, legame
metallico).
LE SOLUZIONI
In chimica una soluzione è un sistema chimicamente e fisicamente
omogeneo che può essere decomposto per mezzo di metodi di
separazionefisici.
Una soluzione si differenzia da una generica dispersione perché il soluto
è disperso nel solvente a livello di singole molecole o ioni, ciascuno di
essi circondato da molecole di solvente (si parla più precisamente di
solvatazione).
Nell'ambito delle soluzioni, si usa chiamare soluto (o fase dispersa) la
sostanza (o le sostanze) in quantità minore e solvente (o fase disperdente
o fase continua) la sostanza in quantità maggiore. Quando le sostanze
sono in differenti stati di aggregazione (nelle condizioni ambientali date)
si definisce solvente la sostanza che conserva il suo stato di aggregazione.
Nel caso di composti ionici, il meccanismo della dissoluzione è il
seguente: le molecole polari del solvente circondano i cristalli del sale, e
possono anche diffondere all'interno del reticolo cristallino; in questa
maniera vengono indebolite le forze di attrazione tra gli ioni di carica
opposta che costituiscono il cristallo, i quali quindi si trasferiranno nel
solvente sotto forma di ioni solvatati.
Nel caso di soluti polari, il fenomeno della dissoluzione avviene per
attrazione reciproca tra le cariche opposte dei dipoli delle molecole di
soluto e solvente.
La quantità massima di soluto che può sciogliersi in un dato solvente si
chiama solubilità ed è funzione della struttura chimica dei due composti e
della temperatura.
Curve di solubilità per sistemi a solubilità diretta e inversa.
La maggior parte dei composti liquidi e solidi ha una solubilità
direttamente proporzionale alla temperatura (si dice che il sistema
solvente-soluto è a solubilità diretta); le solubilità dei gas hanno invece in
genere un andamento opposto (in questo caso si dice che il sistema
solvente-soluto è a solubilità inversa).
I valori delle solubilità delle sostanze nei diversi solventi sono costanti e
sono riportati in letteratura.
Una soluzione è detta satura quando contiene la massima quantità di
soluto che il solvente è in grado di sciogliere a quella temperatura;
aggiungendo ad una soluzione satura ulteriore soluto, questo non si
scioglie, ma si separa dalla soluzione, precipitando (se è un solido),
formando una nuova fase (se è un liquido) o gorgogliando (se è un gas).
Una soluzione è detta insatura quando contiene una quantità di soluto
inferiore a quella massima che il solvente è in grado di sciogliere a quella
temperatura; aggiungendo ulteriore soluto, questo si scioglierà nella
soluzione.
In condizioni particolari, è possibile ottenere soluzioni soprasature,
ovvero soluzioni che contengono più soluto di quanto il solvente sia
normalmente in grado di sciogliere a quella temperatura; tali soluzioni
sono sistemi instabili che in seguito a perturbazioni meccaniche
(agitazione, scuotimento, aggiunta di corpi estranei) liberano l'eccesso di
soluto trasformandosi in soluzioni sature. L'aggiunta di pochi cristalli di
soluto ad una soluzione soprasatura per provocare la separazione del
soluto è detta semina, e viene ad esempio sfruttata nell'ambito del
processo industriale di cristallizzazione.
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