IDONEITA’ ALLA CLASSE 5° CHIMICA INDICE LA DENSITA’ I LIQUIDI IL CRISTALLO I DISTILLATI LA PLASTICA I TRE STATI DELLA MATERIA IL CARBONIO IL PETROLIO IL CARBON FOSSILE IL CICLO DELLE ROCCE L’ACCIAIO LA MATERIA I GAS E LE LORO LEGGI L’ATOMO LE REAZIONI CHIMICHE LE SOLUZIONI LA DENSITA’ La Densità e’ una Grandezza fisica che esprime il rapporto tra la massa e il volume di un corpo, talvolta detta densità assoluta; nel Sistema internazionale viene misurata in chilogrammi al metro cubo. Si definisce invece densità relativa il rapporto tra la densità assoluta del corpo e quella dell'acqua distillata alla temperatura di 4 °C, e ciò equivale ad assumere quest'ultima come unità di misura. Poiché 1 centimetro cubo di acqua a 4 °C pesa esattamente 1 grammo, la densità relativa di una sostanza è numericamente uguale alla densità assoluta espressa in grammi al centimetro cubo. La densità relativa può essere determinata in vari modi. I corpi solidi, che hanno densità maggiore di quella dell'acqua, vengono pesati dapprima in aria e quindi in acqua, in condizioni di completa immersione. La densità relativa si ottiene dividendo il peso in aria per la diminuzione di peso del corpo immerso (vedi Principio di Archimede). Per determinare la densità relativa dei fluidi si utilizzano invece strumenti appositi, detti densimetri. Nel caso siano necessarie misure molto accurate, si procede determinando la massa di un volume noto di liquido o di gas in condizioni controllate di temperatura. Il termine densità viene applicato anche ad altre grandezze. Ad esempio, il rapporto tra il numero di elettroni in un dato volume e il volume stesso è detto densità di elettroni; il rapporto tra la carica totale distribuita in un volume e il volume medesimo viene comunemente indicato come densità di carica; l'energia luminosa per unità di volume è definita come densità di energia luminosa e l'annerimento dell'immagine di un film o di una lastra fotografica, è detto densità fotografica. In generale, quindi, la densità di una grandezza è espressa mediante il rapporto tra la quantità della grandezza contenuta in un volume assegnato e il valore di quest'ultimo. I LIQUIDI I Liquidi sono sostanze che si trovano in uno stato di aggregazione della materia intermedio tra quello dei gas e quello dei solidi. In questo stato, le sostanze sono dotate di un volume proprio, ma non di una forma definita: esse assumono la forma del recipiente che le contiene. Questa proprietà deriva dall’intensità dei legami che si instaurano tra le molecole di un liquido, intermedia tra quella dei legami che caratterizzano lo stato solido e lo stato gassoso. L'analisi delle sostanze liquide condotta mediante raggi X rivela l'esistenza di un certo grado di regolarità nella disposizione delle molecole, entro alcuni diametri molecolari; in alcuni casi, inoltre, evidenzia la presenza di un orientamento preferenziale, che determina l'anisotropia rispetto ad alcune proprietà (la dipendenza di queste proprietà dalla direzione). In opportune condizioni di temperatura e di pressione, quasi tutte le sostanze possono esistere allo stato liquido. Il passaggio di stato che consente a una sostanza solida di passare alla fase liquida prende il nome di fusione; quello che permette a una sostanza gassosa di passare alla fase liquida prende il nome di condensazione. La pressione del vapore in equilibrio con il liquido, chiamata tensione di vapore saturo, dipende solo dalla temperatura ed è una proprietà caratteristica di ogni liquido. Anche il punto di ebollizione, quello di solidificazione e il calore di evaporazione (cioè la quantità di calore richiesta per far evaporare una massa unitaria) variano da sostanza a sostanza. La densità di un liquido è solitamente minore di quella che caratterizza la medesima sostanza allo stato solido; vi sono poche eccezioni a questo comportamento, una delle quali è fornita dall'acqua. I liquidi sono caratterizzati da un attrito interno, detto viscosità, che si oppone allo scorrimento tra stati di fluido adiacenti. Questa grandezza normalmente diminuisce all'aumentare della temperatura e aumenta al crescere della pressione; inoltre è in relazione con la complessità delle molecole che costituiscono il fluido: è bassa nei gas inerti liquefatti e alta negli oli pesanti IL CRISTALLO Il Cristallo e’ una formazione minerale solida caratterizzata da una disposizione periodica e ordinata di atomi ai vertici di una struttura reticolare che prende il nome di reticolo cristallino. La presenza di una tale organizzazione atomica conferisce al cristallo una forma geometrica definita, dotata di particolari relazioni di simmetria e delimitata da superfici piane e lisce. I cristalli si formano per solidificazione graduale di un liquido o per sublimazione di un gas (vedi Cambiamento di stato). Gli angoli tra facce corrispondenti di due cristalli della stessa sostanza, indipendentemente dalla dimensione e dalle differenze superficiali di forma, sono sempre identici. La materia allo stato solido presenta nella maggior parte dei casi una struttura cristallina; fanno eccezione materiali detti amorfi, come ad esempio il vetro, che dal punto di vista strutturale sono più simili ai liquidi che non ai solidi. Le condizioni per la formazione La formazione e le caratteristiche di una struttura cristallina dipendono dalla rapidità e dalle condizioni del processo di solidificazione. Gli stessi liquidi che quando solidificano gradualmente in profondità nella crosta terrestre formano il granito, qualche volta vengono eruttati in superficie come lava vulcanica e si raffreddano rapidamente, formando una roccia vetrosa chiamata ossidiana. Se il raffreddamento è un poco più lento si forma una roccia criptocristallina o afanitica, con cristalli troppo piccoli per potere essere distinti a occhio nudo. Quando il raffreddamento avviene con lentezza ancora maggiore, si forma una roccia di struttura porfirica, nella quale solo alcuni cristalli sono grandi abbastanza da essere visibili. Se la composizione è la stessa del granito, questa forma porfirica prende il nome di riolite. Ogni minerale che costituisce una roccia è presente in forma di cristalli piccoli ma omogenei. Le sostanze che solidificano per prime durante il raffreddamento della roccia fusa presentano uno sviluppo normale delle proprie forme cristalline; diversamente quelle che cristallizzano per ultime, costrette a occupare gli interstizi rimanenti, presentano un aspetto esterno deformato. Durante il processo di cristallizzazione, si formano cristalli omogenei che si separano dalle miscele liquide. Questa caratteristica viene sfruttata anche per purificare sostanze cristalline: ad esempio le sostanze chimiche organiche vengono quasi invariabilmente purificate per ricristallizzazione. In alcuni gruppi minerali gli ioni di un elemento possono essere sostituiti da ioni di un altro elemento, lasciando invariata la struttura cristallina e formando una serie di soluzioni solide. Quando vi è una completa e continua gradazione di composizione chimica da un membro estremo all'altro, la serie viene detta isomorfa. Un esempio è fornito dalla varietà di feldspato detta plagioclasio, che forma una serie completa di composizione, compresa tra quella del puro alluminosilicato di sodio (albite) e quella del puro alluminosilicato di calcio (anortite). Altri gruppi di minerali che formano serie isomorfe sono quelli dell'apatite, della barite, della calcite e dello spinello. Può capitare che il processo di cristallizzazione non avvenga e la soluzione di partenza divenga soprassatura (in modo analogo una sostanza può esistere allo stato liquido a temperature inferiori del suo punto di solidificazione). La tendenza a cristallizzare diminuisce all'aumentare della viscosità del fluido; in particolare se una soluzione diviene notevolmente soprassatura e superraffreddata, la viscosità può raggiungere un livello tale da rendere quasi impossibile la cristallizzazione; un'ulteriore evaporazione del solvente o un ulteriore raffreddamento producono dapprima una sorta di sciroppo e infine un vetro. Alcune sostanze mostrano una forte tendenza a formare nuclei di cristallizzazione, cosicché, se una soluzione contenente tali sostanze viene raffreddata lentamente, avviene la crescita di pochi grandi cristalli, al contrario se il raffreddamento è rapido si formano numerosi cristalli di dimensioni minuscole. Cristallografia Lo studio dell'accrescimento, della forma e delle caratteristiche geometriche dei cristalli è detto cristallografia. Quando le condizioni lo permettono, ogni elemento o composto chimico cristallizza in una forma definita e caratteristica che corrisponde a una determinata disposizione degli atomi nel reticolo. Così ad esempio il sale da cucina (vedi Cloruro di sodio) forma cristalli cubici (ovvero gli atomi sono ordinatamente disposti ai vertici di un cubo) mentre il granato più comunemente si presenta in dodecaedri (solidi con 12 facce) o trisottaedri (con 24 facce). Teoricamente sono possibili 32 classi di cristalli raggruppate in sei sistemi cristallini, definiti in base alla lunghezza e all'orientamento degli assi di simmetria, linee ideali che definiscono le proprietà di simmetria del cristallo. Quasi tutti i minerali comuni sono compresi in una dozzina di classi appartenenti a sistemi diversi. Le proprietà chimiche e fisiche dipendono dalla particolare disposizione atomica, cosicché cristalli appartenenti a un determinato sistema cristallino hanno caratteristiche comuni. Altre proprietà dei cristalli La forma di un minerale dipende dalle caratteristiche della sua struttura cristallina. Ad esempio l'argentite, un minerale dell'argento, cristallizza nella stessa classe del granato e del sale, ma si trova solitamente in irregolari masse criptocristalline. La fluorite, minerale relativamente comune, cristallizza nella stessa classe del granato formando cristalli cubici; tuttavia quando viene fratturata, essa tende a sfaldarsi in frammenti ottaedrici perfetti. Il sale forma frammenti cubici dalla sfaldatura perfetta, mentre il granato non presenta piani di sfaldatura ben definiti. Alcune sostanze inoltre tendono a formare cristalli multipli. Alcuni cristalli manifestano proprietà elettriche come la piezoelettricità o la piroelettricità (ossia acquistano carica elettrica se vengono compressi o riscaldati), e per questo motivo sono sfruttati industrialmente. Un esempio è fornito dal quarzo che trova un vasto impiego in elettrotecnica ed elettronica. Nei transistor, le speciali proprietà dei cristalli di germanio e di silicio li rendono utilizzabili per amplificare correnti elettriche. Un altro dispositivo elettronico, la batteria solare, prevede l'uso di cristalli di silicio o di solfuro di cadmio per convertire la luce solare in energia elettrica. In anni recenti sono stati messi a punto diversi metodi per preparare cristalli singoli di sostanze normalmente criptocristalline. Ad esempio è possibile ottenere grandi cristalli singoli di metalli mediante un semplice metodo che consiste nel fondere il metallo in un contenitore conico, che viene poi allontanato molto lentamente dal forno a cominciare dal vertice. In condizioni propizie, alla punta del cono si forma un singolo nucleo di cristallizzazione, che continua ad accrescersi fino a riempire l'intero contenitore. Tali cristalli singoli spesso sono notevolmente diversi dai metalli nella loro forma solita. Cristalli puri e particolari vengono attualmente prodotti con tecniche avanzate, come l'epitassia a fascio molecolare, per essere usati come semiconduttori e nei circuiti integrati. Quando i raggi X incidono sulla superficie di un un cristallo, gli atomi disposti simmetricamente agiscono come reticolo di diffrazione e deflettono i raggi secondo schemi regolari dai quali è possibile risalire alla natura e alle caratteristiche strutturali del cristallo; la disposizione degli atomi può essere visualizzata direttamente per mezzo di dispositivi elettronici. Una regola di base della cristallografia, considerata valida per lungo tempo, stabiliva che la simmetria pentagonale fosse incompatibile con la periodicità traslazionale propria dei cristalli. La scoperta, nel 1984, di una lega di alluminio e magnesio che sembra contravvenire a questa regola potrebbe indicare la possibilità dell'esistenza di una nuova fase di materia solida, diversa dai cristalli e dai vetri. I DISTILLATI Un distillato è un prodotto alcoolico derivante dalla distillazione di un fermentato, generalmente di origine vegetale. La distillazione è un procedimento fisico che consente la separazione dei componenti volatili di un fermentato in base al loro diverso punto di ebollizione. In questo modo si può concentrare l'alcol etilico presente nel fermentato e si selezionano le sostanze pregiate del distillato scartando quelle meno nobili e sgradevoli. La distillazione può essere discontinua o continua. Nella distillazione discontinua il carico, detto cotta, viene scaricato una volta che si è esaurito; succesivamente si ricarica la caldaia con un altro carico. Questo tipo di distillazione viene eseguita in alambicchi di rame con il collo detto a cigno ed utilizzata per la produzione di whisky di malto, cognac, brandy, grappe etc. Nella distillazione continua viene alimentata la colonna ininterrottamente come anche il distillato viene continuamente estratto. Viene impiegata per la produzione di vodka, grappa, brandy, gin, rum, tequile e whisky di cereali. Nella distillazione si separano dapprima le frazioni più volatili (acetaldeide ed altri acetati) che costituiscono la cosiddetta "testa", poi la frazione nobile (il "cuore") costituita dall'alcol etilico, ed infine si eliminano i composti più pesanti che vaporizzano a tamperature più elevate dei precedenti, cioè la "coda", che contiene composti artefici di valori organolettici scarsi se non sgradevoli. Lo strumento per ottenere un distillato è il distillatore o distilleria o alambicco. Gli alambicchi per la produzione di distillati possono essere: * discontinui * continui Alambicco discontinuo In questa tipologia di alambicco discontinuo il fermentato è inserito nella caldaia e viene dapprima riscaldato e poi distillato; successivamente vengono separate le teste e le code dal cuore. Questi alambicchi possono essere di tipo a fuoco diretto, a bagnomaria ed a vapore. In quelli a fuoco diretto la caldaia è inserita in un fornello dove arde il fuoco vivo; in quella a bagnomaria vi è un'intercapedine tra il fuoco e la caldaia, tale intercapedine viene riempita di acqua. Nell'ultima, quella a vapore viene generato vapore e portato alla caldaia attraverso delle tubazioni. Questi alambicchi sono i più diffusi. Alambicco continuo In questo caso l'alambicco continuo è alimentato col fermentato senza interruzione, e sempre continuamente viene prelevato il cuore del distillato. Stabilizzazione Molti distillati hanno bisogno di un breve riposo in acciaio o direttamente in bottiglia per armonizzarsi ed avere dei sapori meno pungenti ed aggressivi. I distillati subiscono una riduzione del grado alcolico tramite la miscelazione con acqua demineralizzata, poi vengono refrigerati a circa -20°C. in modo da far precipitare le sostanze più pesanti causa spesso di torbidità, ed infine vengono filtrati. L'aggiunta di zuccherò dà un tocco di morbidezza, mentre l'aggiunta di caramello o zucchero bruciato ne influenzano il colore tanto da far apparire invecchiati anche i distillati giovani. Invecchiamento Distillati come il Whisky, Cognac o Armagnac devo essere invecchiati in botti di legno per il disciplinare di produzione, per le grappe invece dipende solo dalla scelta dell'azienda produttrice. L'azione di cedimento di sostanze da parte del legno delle botti fa si che i distillati si arricchiscano degli aromi più variegati. Sentori più diversi dipendono dalla qualità dei legni, dalla tostatura, dal grado di umidità dei locali e dalle condizioni ambientali. Aromatizzazione L'aromatizzazione è l'aggiunta di varie piante officinali ai distillati. Questa può avvenire con diverse modalità: * infusione nel distillato stesso * aromatizzazione dei vapori idroalcolici * macerazione direttamente nella bottiglia * preparazioni idroalcoliche macerate, decotte o infuse ed addizionate al distillato LA PLASTICA La plastica è una sostanza organica, come il legno, la carta e la lana. Nasce da risorse naturali: prevalentemente carbone, sale comune, gas e soprattutto petrolio, di cui la produzione mondiale di materie plastiche assorbe circa il 4% annuo. Le materie plastiche sono dunque sostanze costituite da polimeri ad alto peso molecolare, forgiabili nelle forme volute mediante riscaldamento e compressione. Originariamente molte materie plastiche venivano prodotte con resine di origine vegetale, ad esempio la cellulosa (dal cotone), il furfurale (dalle glumette d'avena), gli oli (dai semi di alcune piante), i derivati dell'amido e il carbone; tra i materiali non vegetali usati è invece da citare la caseina (dal latte). Sebbene la produzione di nylon fosse basata in origine su carbone, acqua e aria, e il nylon 11 sia ancora basato sull'olio estratto dai semi di ricino, la maggior parte delle materie plastiche è attualmente derivata dai prodotti petrolchimici, facilmente utilizzabile e poco costosa. Tuttavia, poiché la riserva mondiale di petrolio è limitata, si stanno sperimentando nuove tecniche basate sull'uso di altre materie prime, come la gassificazione del carbone. Gli additivi chimici vengono spesso usati nelle materie plastiche per conferire a queste alcune particolari caratteristiche: ad esempio, gli antiossidanti proteggono il polimero dalla degradazione chimica causata dall'ossigeno o dall'ozono; allo stesso modo gli stabilizzatori ultravioletti lo proteggono dall'azione degli agenti atmosferici. I plastificanti rendono il polimero più flessibile; i lubrificanti riducono i problemi dovuti all'attrito e i pigmenti conferiscono il colore. Gli antifiamma e gli antistatici sono tra gli altri additivi più usati. Molte delle materie plastiche sono impiegate nella produzione dei cosiddetti materiali compositi nei quali il materiale rinforzante, di solito fibre di vetro o di carbonio, viene aggiunto a una base di materia plastica. I materiali compositi possiedono resistenza e stabilità paragonabili a quelle dei metalli, ma hanno generalmente un peso inferiore. I polimeri si dividono in: I polimeri di sintesi o resine sintetiche costituiscono il gruppo più importante, e sono ottenuti attraverso processi di sintesi, partendo da composti organici molto semplici ricavati dal petrolio o dal carbon fossile. I polimeri di sintesi si formano per unione di molecole semplici di uno o più tipi, dette monomeri, che sottoposte a particolari reazioni chimiche, e in determinate condizioni di temperatura, irraggiamento etc., si legano tra loro formando catene stabili che danno luogo a grandi molecole, dette appunto polimeri. Polimerizzazione per condensazione Il polimero finale si ottiene in un’unica fase della mutua reazione di almeno due tipi di monomeri appartenenti a famiglie chimiche diverse. Polimerizzazione per addizione Il polimero finale si ottiene attraverso una graduale aggregazione, realizzata in più fasi, di monomeri di natura diversa. I polimeri naturali sono composti in modo naturale. Tra i più importanti troviamo la cellulosa, la cera e il caucciù. Tra i polimeri naturali il più comune è la cellulosa, la cui struttura è costituita da uno zucchero semplice, il glucosio. Di questa sostanza vengono scelte le fibre più lunghe e regolari che, immerse in soda caustica, si trasformano in alcali-cellulosa. Quest’ultima, opportunamente trattata, diventa viscosa, come un liquido vischioso con il quale si producono fili o fogli sottili. La cellulosa, reagendo con altre sostanze chimiche, permette di ottenere diversi prodotti come la nitrocellulosa e l’acetato di cellulosa. Come si produce? Per produrre la plastica si utilizzano essenzialmente due processi: di polimerizzazione e di policondensazione. 1. Processo di polimerizzazione Nella polimerizzazione i monomeri vengono riaccorpati e legati in lunghe catene. Si ottengono così i polimeri, ciascuno dei quali ha proprietà, struttura e dimensione diverse in funzione dei differenti tipi di monomeri di base. 2. Processo di policondensazione La policondensazione è l’altro processo di largo impiego che serve a produrre ad esempio il polietilentereftalato che viene usato soprattutto per la produzione di bottiglie per bibite gassate. L’unione dei monomeri è favorita eliminando le molecole che si formano nella reazione, quali acqua e metanolo. Per realizzare i prodotti finali pronti per il loro utilizzo, alle materie plastiche si uniscono additivi, cioè sostanze che ne esaltano o ne attenuano le proprietà, quali: 1) coloranti, 2) agenti con caratteristiche speciali (antifiamma, antiossidanti, antistatici, plastificanti), 3)cariche naturali o artificiali, per aumentare la rigidità e migliorare le proprietà meccaniche, 4)espandenti, per ottenere un prodotto più leggero, come ad esempio nel caso del polistirolo espanso. Rischi per la salute e l’ambiente Poiché le materie plastiche sono relativamente inerti, i prodotti finali non presentano generalmente rischi per la salute degli addetti alla lavorazione e degli utenti; tuttavia è stato dimostrato che alcuni monomeri usati nella fabbricazione di materie plastiche sono cancerogeni, come il benzene, un'importante materia prima nella sintesi del nylon. I problemi collegati alla fabbricazione di materiale plastico sono in genere in parallelo con quelli dell'industria chimica in generale. La maggior parte delle materie plastiche sintetiche non è biodegradabile; a differenza del legno, della carta, delle fibre naturali e persino dei metalli e del vetro, le materie plastiche non si decompongono né si rompono con il tempo. Esiste perciò un problema ambientale associato alla loro eliminazione: il riciclaggio è apparso il metodo più efficace per combattere questo problema, specie con prodotti come le bottiglie di polietilentereftalato (PET) usate per bibite gassate, in cui il processo di riciclaggio è molto più semplice. TRE STATI DELLA MATERIA Con stato della materia o stato di aggregazione si intende una classificazione convenzionale dello stato di aggregazione della materia a seconda delle sue proprietà meccaniche. Tre stati classici Solido Nello stato solido i costituenti della materia sono legati da forze molto intense che consentono soltanto moti di vibrazione, nella maggior parte dei casi le molecole si distribuiscono secondo un reticolo cristallino o in maniera amorfa. L'unico modo per variare la forma di un solido consiste nell'applicazione di forze abbastanza intense da spezzare i legami, causando però la rottura o il taglio del corpo. Liquido Nello stato liquido le forze agenti tra i costituenti sono meno intense ed essi sono liberi di scorrere gli uni sugli altri. Un liquido va incontro a variazioni di volume molto meno marcate rispetto ai gas e tende ad assumere la forma del recipiente nel quale è contenuto. Aeriforme Nello stato aeriforme le interazioni sono estremamente deboli ed ai costituenti è consentito muoversi indipendentemente, non hanno dunque forma propria e tendono ad espandersi ed occupare tutto il volume disponibile, risultando comprimibili. Altri stati Nella scienza moderna in realtà questa semplice classificazione risulta inadeguata a descrivere esaustivamente le numerose possibilità che ha la materia di organizzarsi. Il plasma è stato probabilmente il primo nuovo stato della materia ad essere aggiunto a questa catalogazione, ma ce ne sono molti altri, i quali compaiono in condizioni particolari di temperatura e pressione come i vari tipi di ghiaccio (denominati ghiaccio I, ghiaccio II, ghiaccio III e così via fino al ghiaccio X) e lo stato superfluido che l'elio raggiunge a bassissime temperature. Altri stati della materia di moderna concezione sono lo stato supercritico, superfluido, supersolido, colloidale, Condensato di Bose - Einstein e lo stato di cristallo liquido. IL CARBONIO Introduzione Carbonio Elemento chimico di simbolo C e numero atomico 6, appartenente al gruppo IVA (o 14) della tavola periodica. È il costituente fondamentale di tutti i composti organici, biologici e non, e riveste quindi un ruolo molto importante nella vita degli organismi viventi. Proprietà Il carbonio ha peso atomico 12,011 ed esiste in natura in tre forme allotropiche caratterizzate da diversa struttura cristallina: il diamante, in cui ogni atomo è legato ad altri quattro atomi in un reticolo a struttura tetraedrica; la grafite, in cui gli atomi sono disposti in modo da creare degli esagoni affiancati su piani orizzontali; e il carbonio amorfo, caratterizzato da un basso grado di cristallinità. Queste forme, che si differenziano in molte proprietà fisiche, hanno tutte punti di fusione estremamente alti e, a temperatura ambiente, sono insolubili in qualunque solvente. Una quarta forma di carbonio naturale è costituita dall’intera classe dei fullereni, il più famoso dei quali è il buckminsterfullerene. Il carbonio ha la proprietà unica di combinarsi con se stesso per formare catene di atomi e anelli estremamente complessi. Per questo motivo esiste un numero idealmente infinito di suoi composti, tra cui i più comuni sono quelli che contengono carbonio e idrogeno. I primi composti di carbonio furono identificati in organismi viventi all'inizio del XIX secolo, e da allora lo studio del carbonio costituisce l'importante ramo della chimica noto come chimica organica. Il carbonio è poco reattivo a temperatura ambiente, ma a temperature elevate reagisce facilmente con molti metalli per formare i carburi, e con l'ossigeno per formare il monossido di carbonio (CO) e il diossido di carbonio, noto anche come anidride carbonica (CO2). Forma inoltre composti con la maggior parte degli elementi non metallici, sebbene alcuni di questi composti, ad esempio il tetracloruro di carbonio (CCl4), debbano essere prodotti indirettamente. Il coke, una forma di carbonio amorfo, è usato per rimuovere l'ossigeno dai minerali formati da ossidi metallici per ottenere il metallo puro. Diffusione Sebbene rappresenti solo lo 0,025% della crosta terrestre, il carbonio è piuttosto diffuso in natura, in particolare sotto forma di carbonati. Il diossido di carbonio è un importante costituente dell'atmosfera ed è la fonte di carbonio più importante per gli organismi viventi. Nel processo di fotosintesi, le piante trasformano diossido di carbonio in composti organici complessi, che vengono successivamente utilizzati da altri organismi (vedi Ciclo del carbonio). Allo stato amorfo il carbonio si trova, in vari gradi di purezza, nel carbone, nel coke, nel nero di gas e nel nerofumo. Il nero di gas è prodotto bruciando idrocarburi liquidi come il kerosene in difetto d'aria, e raccogliendo il fumo in una camera separata; per lungo tempo è stato usato come pigmento nero negli inchiostri e nelle vernici, ma attualmente è stato sostituito dal nerofumo, composto da particelle più sottili e ottenuto dalla combustione incompleta del gas naturale. Il nerofumo è utilizzato come stucco e come rinforzante nell'industria della gomma. Applicazioni scientifiche Oltre alle numerose applicazioni industriali, il carbonio ha importanza anche nel settore scientifico. Nel 1961 l'isotopo più comune, il carbonio 12, fu scelto per sostituire l'ossigeno 16 come standard per i pesi atomici. Gli isotopi di peso atomico 13 e 14 sono largamente usati come traccianti isotopici nella ricerca biochimica. Il carbonio 14, noto anche come radiocarbonio, è un isotopo radioattivo che viene prodotto in continuazione nell'atmosfera per cattura dei neutroni della radiazione cosmica da parte dei nuclei di azoto; è incorporato in tutti gli organismi viventi e quando questi muoiono, il contenuto di carbonio 14 decresce, con tempo di dimezzamento di circa 5730 anni. L'analisi del rapporto tra carbonio 12 e 14 presente in un organismo rappresenta la base del cosiddetto metodo di datazione al radiocarbonio (vedi Metodi di datazione), che permette la stima dell'età dei fossili e di altri materiali organici. IL PETROLIO Il petrolio ha un’origine più recente rispetto a quella del carbon fossile. È un combustibile fossile liquido di natura ed è nato per lenta decomposizione di vegetali e animali marini, rimasti imprigionati in sacche sotterranee delimitate da rocce impermeabili. Nel petrolio sono presenti sostanze organiche formate da idrogeno e carbonio, gli idrocarburi. Questo combustibile fossile è molto importante: infatti non esiste processo di lavorazione industriale o prodotto destinato al nostro consumo che non abbia un quantitativo di petrolio incorporato. Inoltre siamo legati a lui non soltanto per il riscaldamento di un qualsiasi ambiente e per la funzione di qualsiasi tipo di motore, ma soprattutto perché è una preziosa riserva di energia chimica. 1.Ricerca dei giacimenti. Per individuare un giacimento di idrocarburi è necessario eseguire una ricerca detta prospezione, che inizia con l’individuazione dei bacini di sedimentazione. Fatto ciò, si esegue una prima esplorazione in superficie e si prosegue perforando il terreno fino a qualche decina di metri di profondità per prelevare dei campioni detti carote per verificare se nel sottosuolo vi sono trappole nelle quali gli idrocarburi abbiano potuto accumularsi. A questo punto si ricorre al metodo sismico a riflessione per individuare una trappola. Poi vengono scavati una serie di pozzi esplorativi che hanno il compito di prelevare campioni di combustibile e determinare le sue caratteristiche e l’estensione del giacimento, per avere la certezza che gli idrocarburi siano presenti in quantità sufficiente da renderne conveniente l’estrazione. 2.Estrazione.In questa fase vengono scavati un certo numero di pozzi abbastanza distanziati tra loro per riuscire a sfruttare al massimo il giacimento. Le rocce vengono perforate da uno scalpello rotante, collegato al motore da un sistema di aste cave, che viene allungato a mano a mano che il pozzo diventa più profondo. Le aste vengono utilizzate per iniettare nel fondo del pozzo un fango apposito che fa galleggiare e quindi salire alla superficie i detriti delle rocce frantumate. Poi lo scalpello rotante viene tolto e sostituito da un tubo, attraverso il quale il petrolio inizialmente esce spontaneamente perché spinto dalla pressione. Quando quest’ultima diventa insufficiente, il petrolio viene pompato attivamente. Inoltre sulla testa del tubo viene fissato l’albero di Natale che, munito di valvole, regola la fuoriuscita del petrolio. 3.Trasporto del greggio. Una volta estratto il petrolio, esso viene immagazzinato in serbatoi che servono per trasportarlo nei luoghi di raffinazione o di consumo. Il trasporto può avvenire per via mare per mezzo di petroliere o navi cisterne, oppure per via terra con grandi oleodotti, nei quali il petrolio viene pompato sotto pressione. Il metodo di trasporto più sicuro è per mezzo degli oleodotti perché in caso di perdite, l’inquinamento sarebbe limitato e il danno potrebbe essere facilmente riparato. Invece, in caso di rottura nelle petrolifere, il danno sarebbe molto più difficile da riparare perché causerebbe veri danni ecologici a causa del riversamento del petrolio in mare. 4.Raffinazione del petrolio.Il petrolio subisce un processo di raffinazione che avviene mediante la distillazione, un processo che consiste nel riscaldare il petrolio fino all’ebollizione, separandolo in base alle diverse temperature. Il greggio viene introdotto in un forno, dove il petrolio passa per un tubo riscaldato che dà ad una torre di distillazione. Essa è suddivisa al suo interno in tanti piani nei quali sono presenti diverse temperature che diminuiscono man mano che si sale. Su ogni piano tendono ad accumularsi quei componenti il cui punto di ebollizione è prossimo alla temperatura del piatto. A diverse altezze della torre, si prelevano le varie frazioni attraverso tubature laterali. Estratti dalla torre, quasi tutti i prodotti, per essere direttamente utilizzati, devono subire ulteriori trattamenti di depurazione. IL CARBON FOSSILE Il Carbon fossile Combustibile solido di origine vegetale. Nelle passate ere geologiche, in particolare nel Carbonifero (circa 300 milioni di anni fa), gran parte della superficie terrestre era occupata da paludi in cui cresceva una vegetazione lussureggiante che comprendeva molte varietà di felci, alcune grandi come alberi. Man mano che morivano, le piante venivano sommerse dall'acqua: la materia organica dunque non si decomponeva, ma cominciava a subire un lento processo di carbonizzazione, una particolare forma di fossilizzazione consistente nella perdita graduale e continua di atomi di idrogeno e di ossigeno, con il conseguente accumulo di un'alta percentuale di carbonio. In tal modo si formarono i primi giacimenti di torba, ricoperti col passare del tempo da strati di terreno più o meno spessi. In migliaia e milioni di anni la pressione degli strati sovrastanti, i sommovimenti della crosta terrestre e, talvolta, il calore dei vulcani compressero e compattarono gli originari depositi di torba, trasformandoli progressivamente in carbone. TIPI DI MINIERE I diversi tipi di carbon fossile vengono classificati secondo la loro età, e quindi secondo il loro contenuto percentuale di carbonio. La torba, che rappresenta il primo stadio della carbonizzazione, ha un basso contenuto di carbonio e un alto grado di umidità. Il contenuto di carbonio è maggiore nella lignite, che costituisce lo stadio immediatamente precedente il carbon fossile vero e proprio, rappresentato dal litantrace, che contiene ancor più carbonio, e che quindi ha un potere calorifico relativamente alto, e dall'antracite, che ha il massimo contenuto di carbonio e il potere calorifico maggiore. Se sottoposto a pressione e calore ulteriori, il carbon fossile può trasformarsi in grafite, che è praticamente carbonio puro. Altri componenti del carbon fossile sono alcuni idrocarburi volatili, zolfo e azoto, oltre ai minerali che residuano dalla combustione sotto forma di cenere. Alcuni dei prodotti di combustione del carbon fossile hanno effetti nocivi sull'ambiente, come, ad esempio, il diossido di carbonio o anidride carbonica (CO2). Alcuni scienziati ritengono che, a causa dell'uso generalizzato di carbone e altri combustibili fossili, la quantità di diossido di carbonio nell'atmosfera terrestre possa aumentare tanto da influenzare il clima del pianeta (vedi Effetto serra). Durante la combustione, inoltre, zolfo e azoto contenuti nei combustibili fossili formano ossidi che contribuiscono alla formazione di piogge acide, risultato di una complessa serie di reazioni che coinvolgono sostanze chimiche di varia provenienza, sia naturali sia prodotte da attività industriali o dai gas di scarico dei mezzi di trasporto con motore a combustione interna. In molte nazioni, le emissioni di diossido di zolfo o anidride solforosa (SO2) provenienti dalle moderne centrali termoelettriche a carbone sono state poste sotto controllo, riuscendo a ottenerne la diminuzione, malgrado l'aumento dell'impiego di carbone. Ogni tipo di carbon fossile ha il suo valore economico. La torba è stata usata per secoli, nelle miniere di carbone, per produrre il cosiddetto fuoco in cantiere, e attualmente torba e lignite servono ad alimentare i forni, dopo essere state compresse in mattonelle. Le centrali termoelettriche e varie industrie utilizzano come combustibile il litantrace, mentre l'industria siderurgica fa largo uso di coke metallurgico, un combustibile ad altissima percentuale di carbonio, che si ottiene dalla distillazione del carbon fossile. Dall'inizio del XIX secolo alla seconda guerra mondiale il carbon fossile fu usato anche per la produzione di gas combustibili e di idrocarburi liquidi. Questa produzione è molto diminuita da quando è cominciato lo sfruttamento delle enormi riserve di gas naturale, benché negli anni Ottanta si sia risvegliato l'interesse delle nazioni industrializzate verso questi processi, che rientrano fra le tecnologie innovative del 'carbone pulito'. Si può citare l'esempio del Sudafrica, dove l'intero fabbisogno di olio combustibile è fornito dalla liquefazione del carbon fossile. TECNOLOGIE DEL CARBONE PULITO Si tratta di una nuova generazione di processi di utilizzazione del carbon fossile, alcuni dei quali potranno essere sfruttati commercialmente all'inizio del XXI secolo. Le tecnologie del carbone pulito sono diverse, ma tutte accomunate dal principio di riuscire ad alterare la struttura di base del carbone, prima o durante una delle fasi di trattamento o di utilizzo. In questo modo sarebbe possibile ridurre l'emissione di impurità, quali ossidi di zolfo e di azoto, durante il processo di combustione, e aumentare la resa energetica. Queste tecniche innovative comprendono raffinati metodi di pulizia del carbone, di combustione in letto fluido, di ciclo combinato di gasificazione integrata, di totale desolforazione dei gas di combustione. IL CICLO DELLE ROCCE Se si classificano le rocce della crosta terrestre a seconda della loro origine, appare evidente quanto esse siano tra loro correlate. Le rocce non sono corpi immutabili, ma rappresentano aspetti diversi e transitori, alla scala dei tempi geologici, della litosfera in corso di continua trasformazione secondo PROCESSI LITOGENETICI. L'ATTIVITA' DINAMICA ENDOGENA del pianeta tende a sollevare certe parti della litosfera rispetto ad altre, mentre l'ATMOSFERA e l'IDROSFERA, interagendo con la litosfera, tendono al livellamento della stessa attraverso l'ATTIVITA' DINAMICA ESOGENA, che si esplica nei PROCESSI DEMOLITORI della ALTERAZIONE CHIMICA, risultato dell'EROSIONE per azione di processi chimici, ad esempio nelle dissoluzioni in regioni calcaree, e della DISGREGAZIONE MECCANICA, risultato dell'EROSIONE delle rocce per azione meccanica, ad esempio in seguito alle alternanze del gelo e del disgelo. I processi di EROSIONE, TRASPORTO e SEDIMENTAZIONE finiscono per trascinare sui fondi marini gran parte dei materiali derivati dalla degradazione delle rocce. La SUBSIDENZA e l'accumularsi di nuovi sedimenti portano quelli già deposti in profondità, dove si trasformano in rocce sedimentarie. Continuando il processo, se la temperatura supera un certo limite (e se ad essa si aggiunge l'effetto di pressioni orientate) le rocce sedimentarie, come anche le magmatiche e le stesse metamorfiche, subiscono variazioni della loro composizione e della STRUTTURA/TESSITURA, dando luogo a rocce metamorfiche. loro Ancora più in profondità nella litosfera, l'aumento di temperatura può portare alla fusione della roccia, con conseguente formazione di un nuovo magma; questo, a seconda delle successive modalità di solidificazione, formerà rocce magmatiche intrusive o effusive. Il nuovo materiale (nuove rocce sedimentarie, metamorfiche, magmatiche), una volta portato da PROCESSI DI RISALITA (ricordiamo i processi di EPIROGENESI, movimenti a grande raggio di curvatura che interessano una parte più o meno vasta della crosta terrestre e che provocano il suo innalzamento o il suo abbassamento, i processi di DIAPIRISMO, fenomeni che portano alla formazione di DIAPIRI, vale a dire di materiale maggiormente plastico e leggero rispetto a quello sovrastante, che risale inarcando e deformando quest'ultimo, i processi di TETTOGENESI e OROGENESI, insieme di fenomeni che portano alla deformazione di aree allungate della crosta terrestre e al successivo sollevamento di catene montuose), in superficie, sarà nuovamente coinvolto nel ciclo delle rocce. Le rocce magmatiche possono essere considerate, in un certo senso, le rocce genitrici o primarie di tutta la crosta terrestre; una volta che esse siano state attaccate dagli agenti atmosferici e dall'erosione formano i sedimenti che, cementati tra loro, vanno a costituire la seconda grande classe di rocce: le rocce sedimentarie. Se poi le rocce magmatiche o sedimentarie vengono ad essere seppellite sotto altri strati di sedimenti o vengono coinvolte in movimenti della crosta terrestre, possono trasformarsi in rocce metamorfiche. A questo punto, però, il ciclo può invertirsi: se infatti sopraggiungono movimenti crostali che spingono le rocce all'interno della crosta terrestre determinandone lo sprofondamento, queste possono raggiungere all'interno della Terra temperature molto elevate, fino a raggiungere la fusione generando nuovo materiale magmatico. PROCESSI LITOGENETICI: insieme di processi che portano alla formazione delle rocce e, in particolare, delle rocce sedimentarie; la litogenesi di queste avviene attraverso i processi di diagenesi, cioè di costipamento, di cementazione, di ricristallizzazione, che portano alla trasformazione di un sedimento in roccia coerente, consolidata. DINAMICA ENDOGENA: insieme dei fenomeni che si verificano nelle zone interne, più o meno profonde, della Terra. ATMOSFERA : massa gassosa che circonda il globo terrestre. IDROSFERA: parte della crosta terrestre costituita da oceani, mari, laghi, fiumi, acque sotterranee, nevi e ghiacciai. DINAMICA ESOGENA: insieme dei processi che avvengono sulla superficie esterna del pianeta, o nei livelli più superficiali di essa, e che traggono la loro origine da cause esterne alla Terra stessa. PROCESSI DEMOLITORI: complesso dei fenomeni di EROSIONE che conducono a un abbassamento del rilievo terrestre; avvengono ad opera degli agenti naturali, quali temperatura, vento, acque, ghiacciai, che agiscono sulle rocce affioranti alla superficie terrestre. EROSIONE: insieme delle azioni esterne che portano alla riduzione di un rilievo; si parla di erosione eolica, di erosione marina, di erosione glaciale, di erosione fluviale, a seconda degli agenti naturali che ne sono responsabili. TRASPORTO: allontanamento dei prodotti dell'erosione dal luogo ove si sono originati, a opera degli agenti esogeni, acqua, vento, ghiacciai, organismi; causa fondamentale ne è la forza di gravità. SEDIMENTAZIONE: insieme dei fenomeni e dei processi che portano alla formazione di un sedimento; si distingue, a seconda del processo che la determina, in meccanica, chimica, organogena e, a seconda dell'ambiente di deposito dell'agente di trasporto e di deposito, in marina, fluviale, lacustre, glaciale, eolica; nel caso di deposizione ad opera dei fiumi nei bacini marini, a mano a mano che l'acqua del fiume rallenta la sua corsa deposita i sedimenti che contiene; la natura dei sedimenti deposti varia con la distanza dalla costa; i primi sedimenti ad essere depositati sono naturalmente i ciottoli e le ghiaie più pesanti, i quali necessitano di elevate energie di trasporto; poi è la volta delle sabbie più leggere e, solo alla fine, dei silt e delle argille. SUBSIDENZA: movimento di abbassamento, continuo o a scosse, di una regione e in particolare del fondo di un bacino sedimentario, che si accompagna ad un accumulo progressivo di grandi spessori di sedimenti. STRUTTURA e TESSITURA: insieme della caratteristiche di una roccia date dalla forma, dalle dimensioni e dalla disposizione relativa dei componenti mineralogici. L’ACCIAIO Nella seconda metà dell’800 si capì che il carbonio era la causa della fragilità delle ghise, perciò si studiò il modo di ridurne la percentuale, senza rinunciare però alla durezza. si sperimentò cosi’, l’aggiunta di altri metalli in lega. L’acciaio si ottiene per CONVERSIONE DELLA GHISA, entro appositi forni a 1600°C (forni CONVERTITORI) dove l’INSUFFLAGGIO di OSSIGENO e l’uso di rottami vecchi ricchi di ruggine (ossidi capaci di liberare ossigeno) sono in grado di ridurre il carbonio sotto l’1,7%. ACCIAI ATTUALMENTE IN COMMERCIO ACCIAI COMUNI O AL CARBONIO acciai tradizionali con tracce di silicio e manganese. La durezza cresce al crescere della percentuale di carbonio, mentre la tenacità ne è inversamente proporzionale. (extradolce, dolce, semiduro, duro, extraduro) ACCIAI SPECIALI sono simili agli acciai comuni, ma con un drastico controllo della percentuale di fosforo e zolfo, che non devono superare lo 0,035%. Ne risultano migliorate tutte le prestazioni. ACCIAI LEGATI Oltre che col carbonio, entrano in lega altri metalli, quali, silicio, manganese, cromo, nichel o rame, che ne migliorano le qualità. trattamenti termici TEMPRA consiste nel portare il metallo a 800-900°C e poi raffreddarlo rapidamente. In tal modo i cristalli non fanno in tempo a formarsi e restano piccoli e incompleti. La superficie esterna è quella che estremizza il fenomeno in quanto è la prima a raffreddarsi. Essa risulta ricca di legami distorti che le donano una forte durezza. Eccessiva durezza può però causare alta fragilità, non bisogna quindi eccedere. RINVENIMENTO serve per eliminare l’eccessiva fragilità derivante dalla tempra, si tratta di ririscaldare il metallo fino a 500-600°C e di farlo raffreddare lentamente per recuperare un po' della tenacità persa in durezza. BONIFICA Operazione simile al rinvenimento che si attua però su metalli lavorati in lamiere e a freddo, al fine di renderli meno soggetti alla frantumazione. CEMENTAZIONE Arricchimento superficiale di carbonio, al fine di ottenere una superficie esterna dura e un interno tenace. RICOTTURA Cancella tutti i trattamenti subiti. La temperatura è portata oltre 900°C e il metallo viene lasciato raffreddare lentamente. PROPRIETA CHIMICO FISICHE MALLEABILITA’ Capacità di lasciarsi lavorare al laminatoio, un apparecchiatura formata da cilindri accoppiati rotanti in senso opposto attraverso i quali viene fatto passare un lingotto rovente. DUTTILITA’ Capacità di lasciarsi lavorare per trafilatura. Il materiale viene fatto passare attraverso un orifizio calibrato e viene “passato” e trasformato in fili. ALLIGABILITA’ Possibilità del metallo di legarsi con altri. E’ ormai impensabile usare del metallo puro, tranne che per il rame da impiantistica elettrica. SALDABILITA’ Possibilità del materiale di essere unito mediante fusione parziale o colatura di materiale fuso tra due parti solide. DUREZZA Capacità di resistere a penetrazione, scalfittura, usura per strofinio. si accompagna purtroppo alla fragilità. TENACITA’ Semplicisticamente è definita la capacità di resistere agli urti, o meglio “la capacità del metallo di assorbire l’energia di una sollecitazione dinamica”. PASSIVABILITA’ Capacità di resistere all’aggressione degli agenti chimici presenti nell’atmosfera. LA MASSA Massa: (fisica) Grandezza fisica che esprime l’attitudine di un corpo a opporsi alle variazioni del suo stato di quiete o di moto (ossia ne fornisce una misura dell’inerzia), e la sua caratteristica di essere sottoposto alla forza di gravità. Nel primo caso si parla più precisamente di massa inerziale, nel secondo, di massa gravitazionale. 2 Massa inerziale e massa gravitazionale Le definizioni dei due tipi di massa, inerziale e gravitazionale, vengono ricondotte a due principi fisici differenti. La massa inerziale è definita in base alla seconda legge di Newton (F = ma), come la costante di proporzionalità tra la forza applicata a un corpo e l’accelerazione che esso acquista per effetto di tale forza. Essa esprime quindi l’inerzia del corpo, ovvero una forma di “resistenza” che il corpo offre all’azione di cause che possono alterare il suo stato dinamico. A parità di forza applicata, maggiore è la massa inerziale, minore è l’accelerazione acquistata dal corpo. La massa gravitazionale è invece definita in base alla legge di gravitazione universale (F = GmM/R2), secondo la quale due corpi aventi masse rispettivamente pari a m e M interagiscono per mezzo di una forza attrattiva di intensità direttamente proporzionale al prodotto delle due masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Questa legge si applica sia al moto dei pianeti (e costituisce la giustificazione teorica delle leggi che ne regolano il moto), sia ai corpi in caduta libera sulla superficie terrestre. 2. 1 Massa e relatività La massa gravitazionale coincide con quella inerziale in tutti i corpi, e l’equivalenza tra le due grandezze riveste grande importanza nella teoria della relatività generale formulata da Albert Einstein. Un altro contenuto fondamentale della teoria della relatività riguardante la massa dei corpi è l’affermazione dell’equivalenza tra massa ed energia: questa legge non ha conseguenze nell’ambito della fisica classica, ma diviene molto importante nell’ambito della fisica moderna. La relatività ristretta, infatti, prevede che la massa di un corpo vari con la sua velocità, e che lo scostamento tra il valore della massa a riposo (la massa del corpo in quiete) e quello della massa in moto divenga apprezzabile quando la velocità si approssima a quella della luce nel vuoto, ovvero a 300.000 km/s. A tali velocità, caratteristiche delle particelle prodotte nelle reazioni nucleari, o raggiunte dalle particelle grazie agli acceleratori, la massa può essere convertita in energia e viceversa, secondo la celebre equivalenza di Einstein E = mc2. I GAS E LE LORO LEGGI Gas In fisica, uno dei tre diversi stati di aggregazione – solido, liquido, gassoso – in cui può presentarsi la materia, ciascuno caratterizzato da proprietà microscopiche e macroscopiche distinte. A differenza dei solidi, che hanno un volume e una forma propria, e dei liquidi, che hanno volume proprio ma assumono la forma del recipiente che li contiene, i gas non hanno né forma né volume propri. La teoria atomica della materia permette di spiegare le caratteristiche dei tre stati di aggregazione analizzandole in termini microscopici. Così, le molecole di un solido occupano posizioni fisse all’interno di un reticolo regolare e la loro libertà di movimento è limitata a piccole vibrazioni attorno ai siti reticolari; le molecole di un liquido sono legate da forze meno intense di quelle dei solidi, e sono quindi dotate di una maggiore libertà di movimento; nei gas, invece, non vi è alcun ordine spaziale microscopico: le molecole si muovono incessantemente e casualmente, trattenute solo dalle pareti del recipiente che le contiene. Per descrivere il comportamento di un gas si ricorre a un modello ideale, quello di “gas perfetto”, e alle tre variabili macroscopiche: pressione (P), volume (V) e temperatura (T). Un gas si può dire “perfetto” se le sue molecole sono talmente piccole da poter essere considerate puntiformi e se è talmente rarefatto da far sì che si possano trascurare le interazioni tra le molecole. Le leggi che correlano le tre variabili macroscopiche di un gas sono state ricavate per via empirica. La legge di Boyle (che deve il nome allo scienziato irlandese Robert Boyle) stabilisce che in un gas, in condizioni di temperatura costante, il volume è inversamente proporzionale alla pressione. La legge di Gay-Lussac (dal chimico e fisico francese J.-L. Gay-Lussac) afferma che, a volume costante, la pressione è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta. Combinando queste due leggi, si ottiene la legge generale, nota anche come equazione di stato dei gas perfetti, PV/T= R, dove n è il numero di moli. R è una costante universale – di valore è pari a 8,314 J K-1 – la cui scoperta rappresentò una pietra miliare della scienza moderna. Vedi anche Leggi dei gas. Anteprima della sezione La teoria atomica permette di dare un’interpretazione teorica alle leggi empiriche che descrivono il comportamento dei gas. Il volume rappresenta lo spazio disponibile al moto delle molecole; la pressione, che può essere misurata con un manometro fissato alla parete del contenitore, rappresenta la variazione media della quantità di moto delle molecole che si verifica quando queste urtano contro le pareti e ne vengono rimbalzate; la temperatura è legata all’energia cinetica media delle molecole, cioè al quadrato della loro velocità media. Riconducendo le grandezze macroscopiche alle variabili posizione, velocità, quantità di moto ed energia cinetica delle singole molecole, è possibile studiare il comportamento dei gas in termini statistici, sulla base dei principi della meccanica classica. La teoria che correla le proprietà dei gas alla meccanica classica prende il nome di cinetica dei gas; oltre a fornire l’interpretazione teorica dell’equazione di stato dei gas perfetti, consente di dedurre una serie di altre proprietà dei gas, come la legge di distribuzione delle velocità molecolari e le proprietà di trasporto. Il comportamento dei gas reali spesso si discosta anche sensibilmente da quanto previsto dall’equazione dei gas perfetti. Per fornire una buona descrizione dei gas reali sono state quindi proposte forme modificate della legge PV = nRT. Particolarmente utile e molto nota è la legge di Van der Waals (che deve il nome al fisico olandese Johannes van der Waals): (P + n2a/V2) (V - nb) = nRT, dove a e b non sono costanti universali, ma due parametri ai quali vanno assegnati di volta in volta valori opportuni, ottenibili sperimentalmente. Anche la legge di Van der Waals può essere interpretata a livello microscopico: le molecole interagiscono tra loro per mezzo di forze a corto raggio, che sono fortemente repulsive a piccola distanza, diventano debolmente attrattive a distanza media e si annullano a grande distanza. La mutua repulsione tra molecole proibisce alle particelle di occupare posizioni ravvicinate e, di conseguenza, una parte dell’intero volume non è disponibile al moto casuale: nell’equazione di stato, questo volume “proibito” (b) deve essere sottratto al volume del recipiente (V), ottenendo (V - nb). Il secondo termine correttivo, a/V2, descrive una debole forza attrattiva fra le molecole, che aumenta quando V diminuisce, costringendo le molecole più vicine le une alle altre. A basse temperature (quindi in condizioni di scarsa mobilità molecolare), o ad alte pressioni, o a volumi ridotti (ridotto spazio intermolecolare), le molecole di un gas risentono maggiormente delle forze reciproche attrattive. In determinate situazioni critiche, i legami diventano così intensi che l’intero sistema entra in uno stato caratterizzato da maggiore densità e acquista un volume proprio: in altre parole, si verifica una transizione di stato da quello gassoso a quello liquido. Tali trasformazioni vengono descritte relativamente bene dalla legge di Van der Waals, che indica anche l’esistenza di un punto critico, al di là del quale lo stato liquido e quello gassoso non sono distinguibili. Queste previsioni sono confermate dalle osservazioni sperimentali; tuttavia, nella maggior parte dei casi, lo studio di tali fenomeni richiede l’uso di formule più complicate della legge di Van der Waals. Leggi dei gas Leggi fisiche che descrivono il comportamento dei gas in funzione di variabili di stato quali volume, temperatura e pressione. Queste leggi si riferiscono ai gas “ideali” (ovvero nei quali si possono trascurare le interazioni reciproche tra particelle costituenti e l’attrito interno), ma nella maggior parte dei casi danno una descrizione sufficientemente accurata anche del comportamento di gas “reali”. Per tali gas, comunque, esistono opportune correzioni da apportare alle leggi, che rendono conto con più precisione del loro comportamento effettivo. Anteprima della sezione La legge di Boyle, che prese nome dal chimico irlandese Robert Boyle, ideatore della legge nel XVII secolo, afferma che: “il prodotto di pressione e volume di una massa determinata di gas è costante in qualunque trasformazione isoterma, ovvero in qualunque processo in cui la temperatura sia mantenuta costante”. L’espressione in formule di questa legge è: P × V = costante. La legge di Charles invece prende nome dal chimico francese J.-A.-C. Charles: nel suo enunciato originale, afferma che in qualunque trasformazione isobara, ovvero a pressione costante, per ogni aumento di temperatura di 1 grado Celsius, il volume del gas aumenta di una frazione pari a 1/273 del volume che esso occuperebbe alla temperatura di 0 °C. Questa legge fu una delle principali indicazioni della necessità di definire un valore di temperatura che corrispondesse a -273 °C, quello che poi divenne noto come zero assoluto, e di conseguenza una scala di temperatura assoluta. Se la temperatura viene misurata in questa scala (in cui 0 °C corrisponde approssimativamente a 273 K), la legge di Charles si può riformulare più semplicemente in questo modo: il volume di un gas nelle trasformazioni a pressione costante è proporzionale alla sua temperatura assoluta. In formule, tale legge si scrive: V α T. Allo stesso Charles si deve la legge delle pressioni, la quale afferma che nelle trasformazioni a volume costante, la pressione del gas è proporzionale alla temperatura. In simboli: P α T. Le due leggi sopra descritte sono note anche come leggi di Gay-Lussac, dal nome dello scienziato francese Joseph-Louis Gay-Lussac che generalizzò a tutti i gas le conclusioni formulate da Charles nel caso particolare del vapore acqueo; tali leggi furono ottenute nello stesso periodo anche dal fisico italiano Alessandro Volta, in relazione al comportamento dell’aria. Le tre leggi dei gas possono essere combinate in un’unica utilissima equazione, che prende il nome di equazione di stato dei gas perfetti, e si scrive PV = n RT, dove n rappresenta il numero di moli di gas contenute nel campione e R è una costante, detta costante dei gas, di valore pari a 8,314 JK-1 per mole. L’equazione di stato può anche essere espressa dalla relazione (P1 V1) / T1 = (P2 V2) / T2 dove l’indice “1” si riferisce ai valori di pressione, volume e temperatura del gas a uno stadio della trasformazione, mentre l’indice “2” si riferisce a uno stadio successivo. Se, ad esempio, si trova che il volume di un campione di idrogeno è di 100 cm cubi in condizioni di temperatura di 25 °C (298 K) e di pressione atmosferica pari a 97,0 kPa (kilopascal), si può ricorrere a questa equazione per calcolare quale sarebbe il volume occupato dalla medesima quantità di gas, in condizioni di temperatura e pressione standard (ovvero 273,15 K e 101,325 kPA). Le leggi dei gas possono essere ricavate anche a partire da considerazioni teoriche, basate sulla teoria cinetica dei gas. In questa teoria, i gas ideali sono considerati come un insieme di particelle infinitamente piccole (puntiformi), che non interagiscono l’una con l’altra mediante alcun tipo di forza, e fra le quali si verificano urti perfettamente elastici. Nel caso dei gas reali, anche queste ipotesi valgono solo approssimativamente: il comportamento di un gas reale, infatti, si discosta da quello ideale in maniera tanto più accentuata quanto più la temperatura del gas si avvicina a quella del suo punto di liquefazione. LA MATERIA In fisica classica, con materia genericamente si indica qualsiasi cosa che abbia massa e occupi spazio o alternativamente la sostanza di cui gli oggetti fisici sono composti, escludendo l'energia dovuta al contributo dei campi delle forze. Questa definizione, sufficiente per la fisica macroscopica (meccanica, termodinamica etc), non è più adatta per la moderna fisica atomica e subatomica, per cui lo spazio occupato da un oggetto è prevalentemente vuoto, e l'energia è equivalente alla massa (E=mc²). Si può invece adottare la definizione che la materia è costituita da una certa classe delle più piccole, fondamentali entità fisicamente rilevabili: queste particelle sono dette fermioni e seguono il principio di esclusione di Pauli, che stabilisce che non più di due fermioni possono esistere nello stesso stato quantistico. A causa di questo principio, le particelle che compongono la materia non sono tutte nello stato di energia minima e quindi è possibile creare strutture stabili di assemblati di fermioni. Particelle della classe complementare, i bosoni, costituiscono invece i campi, essi possono quindi esseri considerati gli agenti operanti gli assemblaggi dei fermioni o le loro modificazioni, interazioni e scambi di energia. Una metafora non del tutto corretta da un punto di vista fisico, ma efficace e intuitiva, vede i fermioni come i mattoncini che costituiscono la materia dell'universo, e i bosoni come le colle o i cementi che li tengono assieme in certi modi per costituire la realtà fisica. Definizione teorica Tutto ciò che occupa spazio e ha massa è conosciuto come materia. In fisica, non c'è un largo consenso per una comune definizione di materia, in parte perché la nozione di "occupare spazio" è mal definita e inconsistente nel quadro della meccanica quantistica. I fisici non definiscono con precisione cosa si deve intendere per materia, preferendo invece utilizzare e rivolgersi a concetti più specifici di massa, energia e particelle. La materia è definita al più da alcuni fisici come tutto ciò che è composto da fermioni elementari. Questi sono i leptoni, come ad esempio gli elettroni, e i quark, inclusi quelli up e down che costituiscono i protoni e i neutroni. Dato che elettroni, protoni e neutroni si aggregano insieme a costituire atomi, questi fermioni da soli costituiscono tutta la sostanza elementare che forma tutta la materia ordinaria. La proprietà rilevante dei fermioni è che essi hanno spin semi-intero (per esempio 1/2, 3/2, 5/2 ...) e quindi devono seguire il principio di esclusione di Pauli, che vieta a due fermioni di occupare lo stesso stato quantistico. Questo sembra corrispondere all'elementare proprietà di impenetrabilità della materia e all'antico concetto di occupazione dello spazio. Secondo questa visione, non sono materia la luce (costituita da fotoni), i gravitoni e i mesoni (a parte i muoni, tipi di leptoni chiamati con ambiguità mesoni prima che la distinzione fra di loro fosse chiara). Questi hanno spin intero (0, 1, 2, 3, ...), non seguono il principio di esclusione di Pauli e quindi non si può dire che occupino spazio nel senso sopra menzionato. Ciò nonostante hanno tutti energia per cui (in accordo con l'equivalenza relativistica massa-energia) hanno anche massa. Perciò sotto questa definizione esistono particelle che hanno massa senza avere materia. La parte principale della massa di protoni e neutroni proviene dall'energia cinetica dei quark e dalla massa dei gluoni (un tipo di bosoni) che li legano, quindi non solamente dai quark stessi. La definizione di materia come formata da fermioni soffre perciò del problema primario che la gran parte della massa (più del 99%) della "materia ordinaria" non è composta da fermioni (quark e leptoni) ma dalla loro energia cinetica e dai bosoni. Proprietà della materia Secondo la visione classica ed intuitiva della materia, tutti gli oggetti solidi occupano uno spazio che non può essere occupato contemporaneamente da un altro oggetto. Ciò significa che la materia occupa uno spazio che non può contemporaneamente essere occupato da un'altra materia, ovvero la materia è impenetrabile (principio dell'impenetrabilità). Se prendiamo un pezzo di gomma, lo misuriamo con una bilancia e otteniamo, ad esempio, una massa di 3 grammi, dividendo la gomma in tanti piccoli pezzi e pesando tali pezzi otterremo sempre 3 grammi. La quantità non è cambiata, in accordo con la legge di conservazione della massa. Quindi: "la materia ha una massa che non cambia anche se variano la sua forma e il suo volume." Su queste basi perciò in passato si è così costruita la definizione "la materia è tutto ciò che occupa uno spazio e ha una sua massa." La massa inerziale di una certa quantità di materia, ad esempio di un dato oggetto, che una bilancia misura per confronto con un'altra massa, rimane invariata in ogni angolo dell'universo, ed è quindi considerata una proprietà intrinseca della materia. L'unità con cui si misura la massa inerziale è il chilogrammo. Viceversa, il peso è una misura della forza di gravità con cui la Terra attira verso di se un corpo avente una massa gravitazionale; come tale, il peso di un dato corpo cambia a seconda del luogo in cui lo misuriamo - in diversi punti della Terra, nello spazio cosmico o in un altro pianeta. Il peso quindi non è una proprietà intrinseca della materia. Come altre forze statiche, il peso può essere misurato con un dinamometro. Massa inerziale e massa gravitazionale sono due concetti distinti nella meccanica classica, ma sono state sempre trovate uguali sperimentalmente. È solo con l'avvento della relatività generale che abbiamo una teoria che interpreta la loro identità. La densità superficiale e volumica di materia nel mondo subatomico è minore che nell'universo macroscopico. Nel mondo degli atomi le masse occupano in generale volumi maggiori (minore densità di volume) e si trovano a distanze maggiori (più bassa densità di superficie) di quelle che separano pianeti, stelle, galassie (v. [1]). Fra i costituenti della materia prevale il vuoto. Struttura della materia Il granito non ha una composizione globale uniforme. La materia omogenea ha composizione e proprietà uniformi. Può essere una mistura, come il vetro, un composto chimico come l'acqua, o elementare, come rame puro. La materia eterogenea, come per esempio il granito, non ha una composizione definita. È di fondamentale importanza nella determinazione delle proprietà macroscopiche della materia la conoscenza delle strutture a livello microscopico (ad esempio l'esatta configurazione delle molecole e dei cristalli), la conoscenza delle interazioni e delle forze che agiscono a livello fondamentale unendo fra loro i costituenti fondamentali (come le forze di london e legami di Van der Waals) e la determinazione del comportamento delle singole macrostrutture quando interagiscono fra loro (ad esempio le relazioni solvente - soluto o quelle che sussistono fra i vari microcristalli nelle rocce come il granito). Proprietà fondamentali della materia [ Quark] I quark sono particelle a spin semi-intero e quindi sono dei fermioni. Hanno un carica elettrica uguale a meno un terzo di quella dell'elettrone , per quelli di tipo down, e uguale invece a due terzi per quelli di tipo up. I quark hanno anche una carica di colore, che è l'equivalente della carica elettrica per le interazioni deboli. I quark sono anche particelle massive e sono quindi soggetti alla forza di gravità. Proprietà dei Quark[1] Carica Nome Simbolo Spin elettrica (e) Massa Massa (MeV/c2) comparabile Antiparticella a Quark di tipo Up Up u 1/2 + 2/3 Charm c 1/2 + 2/3 1,5 a 3,3 ~ 5 elettroni Antiup 1160 1340 169.100 Top t 1/2 + 2/3 a 173.300 a ~ 1 protoni ~ Anticharm 180 protoni o ~ 1 atomo di tungsteno Antitop Simbolo dell'antiparticel Quark di tipo Down Down d 1/2 − 1/3 3,5 a 6,0 Strange s 1/2 − 1/3 70 a 130 Bottom b 1/2 − 1/3 4130 a 4370 ~ 10 elettroni ~ 200 elettroni ~ 5 protoni Antidown Antistrange Antibottom Fasi della materia Un recipiente di metallo solido contenente azoto liquido evapora lentamente nel gas azoto. L'evaporazione è la transizione di fase dallo stato liquido a quello gassoso. In risposta a differenti condizioni termodinamiche come la temperatura e la pressione, la materia si presenta in diverse "fasi", le più familiari (perché sperimentate quotidianamente) delle quali sono: solida, liquida e gassosa. Altre fasi includono il plasma, il superfluido e il condensato di Bose-Einstein. Il processo per cui la materia passa da una fase ad un'altra, viene definito transizione di fase, un fenomeno studiato principalmente dalla termodinamica e dalla teoria del caos. Le fasi sono a volte chiamate stati della materia, ma questo termine può creare confusione con gli stati termodinamici. Per esempio due gas mantenuti a pressioni differenti hanno diversi stati termodinamici, ma lo stesso "stato" di materia. Solidi I solidi sono caratterizzati da una tendenza a conservare la loro integrità strutturale e la loro forma, al contrario di ciò che accade per liquidi e gas. Molti solidi, come le rocce, sono caratterizzati da una forte rigidità, e se le sollecitazioni esterne sono molto alte, tendono a spezzarsi e a rompersi. Altri solidi, come gomma e carta, sono caratterizzati invece da una maggiore flessibilità. I solidi sono di solito composti da strutture cristalline o lunghe catene di molecole (ad esempio polimeri). Liquidi In un liquido, le molecole, pur essendo vicine fra di loro, sono libere di muoversi, ma al contrario dei gas, esistono delle forze più deboli di quelle dei solidi che creano dei legami di breve durata (ad esempio, il legame a idrogeno). I liquidi hanno quindi una coesione e una viscosità, ma non sono rigidi e tendono ad assumere la forma del recipiente che li contiene. Gas Un gas è una sostanza composta da piccole molecole separate da grandi spazi e con una debolissima interazione reciproca. Quindi i gas non offrono alcuna resistenza a cambiare forma, a parte l'inerzia delle molecole di cui è composto. Materia chimica [ La materia chimica è la parte dell'universo composta da atomi chimici. Questa parte dell'universo non include la materia e l'energia oscura, buchi neri, stelle a neutroni e varie forme di materia degenerata, che si trova ad esempio in corpi celesti come la nana bianca. Dati recenti del Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP), suggeriscono che solo il 4% della massa totale dell'intero universo visibile ai nostri telescopi sia costituita da materia chimica. Circa il 22% è materia oscura, il restante 74% è energia oscura. La materia che osserviamo è generalmente nella forma di composti chimici, di polimeri, leghe o elementi puri. Antimateria Nelle particelle fisiche e nella chimica quantistica, l'antimateria è composta dalle rispettive antiparticelle che costituiscono la normale materia. Se una particella e la sua antiparticella si incontrano tra loro, le due annichiliscono; si convertono cioè in altre particelle o più spesso in radiazione elettromagnetica di eguale energia in accordo con l'equazione di Einstein E = mc2. L'antimateria non si trova naturalmente sulla Terra, eccetto quantità piccole e di breve durata (come risultato di decadimenti radioattivi o raggi cosmici). Questo perché l'antimateria che si crea fuori dai confini dei laboratori fisici incontra immediatamente materia ordinaria con cui annichilirsi. Antiparticelle ed altre forme di stabile antimateria (come antiidrogeno) possono essere create in piccole quantità, ma non abbastanza per fare altro oltre a test delle proprietà teoriche negli acceleratori di particelle. C'è una considerevole speculazione nella scienza e nei film su come mai l'intero universo sia apparentemente composto da ordinaria materia, sebbene sia possibile che altri posti siano composti interamente da antimateria. Probabili spiegazioni di questi fatti possono arrivare considerando asimmetrie nel comportamento della materia rispetto all'antimateria. Materia oscura In cosmologia, effetti a larga scala sembrano indicare la presenza di un incredibile ammontare di materia oscura che non è associata alla radiazione elettromagnetica. La teoria del Big Bang richiede che questa materia abbia energia e massa, ma non è composta né da fermioni elementari né da bosoni. È composta invece da particelle che non sono mai state osservate in laboratorio (forse particelle supersimmetriche). Materia esotica La materia esotica è un ipotetico concetto di particelle fisiche. Si riferisce a ogni materia che viola una o più delle classiche condizioni e non è costituita da particelle barioniche note. Storia del concetto di Materia Aristotele formulò una delle prime teorie sulla struttura della materia. Nel medioevo e nell'antichità era radicata la convinzione aristotelica che la materia fosse composta da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Ciascuno di questi, avendo un diverso "peso", tende verso il proprio luogo naturale, lasciando al centro dell'universo la terra e l'acqua, facendo invece salire verso l'alto aria e fuoco. Inoltre si credeva che la materia fosse un insieme continuo, privo completamente del vuoto (la natura aborre il vuoto, horror vacui). Oggi invece si è scoperto che la materia è al contrario composta per oltre il 99 % di vuoto. Un grossa disputa nella filosofia greca riguardò la possibilità che la materia possa essere divisa indefinitamente in parti sempre più piccole. Contrari a questa ipotesi, gli atomisti erano invece convinti che vi fosse una struttura elementare costituente la materia non ulteriormente divisibile. L’ATOMO L'atomo (dal greco ἄτομος - àtomos -, indivisibile, unione di ἄ - a - [alfa privativo] + τομή - tomé - [divisione], così chiamato perché inizialmente considerato l'unita più piccola ed indivisibile della materia, risalente alla dottrina dei filosofi greci Leucippo, Democrito ed Epicuro, detta teoria dell'atomismo) è la più piccola parte di ogni elemento esistente in natura che ne conserva le caratteristiche chimiche. Verso la fine dell'Ottocento (con la scoperta dell'elettrone) fu dimostrato che l'atomo era divisibile, essendo a sua volta composto da particelle più piccole (alle quali ci si riferisce con il termine "subatomiche"). La teoria atomica è la teoria sulla natura della materia che afferma che tutta la materia sia costituita da unità elementari chiamati atomi. La teoria atomica si applica agli stati della materia solido, liquido e gassoso, mentre è difficilmente correlabile allo stato plasmico, in cui elevati volumi di pressione e temperatura impediscono la formazione di atomi. Solo all'inizio del XIX secolo (più precisamente nel 1808) John Dalton rielaborò e ripropose la teoria di Democrito fondando la teoria atomica moderna, con la quale diede una spiegazione ai fenomeni chimici, affermando che le sostanze sono formate dai loro componenti secondo rapporti ben precisi fra numeri interi (legge delle proporzioni multiple), ipotizzando quindi che la materia fosse costituita da atomi. Nel corso dei suoi studi, Dalton si avvalse delle conoscenze chimiche che possedeva (la legge della conservazione della massa, formulata da Antoine Lavoisier, e la legge delle proporzioni definite, formulata da Joseph Louis Proust) e formulò la sua teoria atomica, che espose nel libro A New System of Chemical Philosophy (pubblicato nel 1808). La teoria atomica di Dalton si fondava su cinque punti: • la materia è formata da piccolissime particelle elementari chiamate atomi, che sono indivisibili e indistruttibili; • gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali tra loro; • gli atomi di elementi diversi si combinano tra loro (attraverso reazioni chimiche) in rapporti di numeri interi e generalmente piccoli, dando così origine a composti; • gli atomi non possono essere né creati né distrutti; • gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di altri elementi.[2] In definitiva questa è la definizione di atomo per Dalton: "Un atomo è la più piccola parte di un elemento che mantiene le caratteristiche fisiche di quell'elemento". Questa viene considerata la prima teoria atomica della materia perché per primo Dalton ricavò le sue ipotesi per via empirica. LE REAZIONI CHIMICHE Una reazione chimica è una trasformazione della materia che avviene senza variazioni misurabili di massa, in cui uno o più reagenti iniziali modificano la loro struttura e composizione originaria per generare i prodotti. Alcuni processi in cui intervengono reazioni chimiche sono: • la corrosione del ferro a ruggine (che è composta da ossidi di ferro); • la combustione del metano o altri combustibili (il metano con l'ossigeno si trasforma in anidride carbonica e vapore acqueo); • la digestione (gli alimenti sono decomposti dai succhi gastrici in sostanze chimiche assimilabili dall'organismo). La materia è composta da atomi. Ogni atomo possiede proprietà peculiari, derivanti dalla sua struttura atomica. Gli atomi possono legarsi tra loro per formare le molecole. Un composto chimico è un tipo particolare di molecola nella quale gli atomi sono diversi tra loro. Ad esempio, l'ossigeno forma una molecola fatta con due atomi di ossigeno, mentre l'acqua è una molecola composta da due atomi di idrogeno legati ad un atomo di ossigeno, e quindi è anche un composto chimico. Le molecole si formano attraverso una reazione chimica, che consiste in una rottura e formazione di legami chimici tra atomi. Più in generale, le reazioni chimiche possono coinvolgere anche altre specie chimiche (ioni, radicali, ecc.) oltre le molecole. Le reazioni chimiche non provocano un cambiamento di natura della materia, perché non influenzano i suoi costituenti fondamentali (gli atomi) ma solo la maniera in cui sono aggregati in molecole; non influenzano nemmeno l'aggregazione di molecole simili, quindi le trasformazioni puramente fisiche, come i cambiamenti di stato (fusione, solidificazione, evaporazione, ebollizione, ecc.), l'usura e l'erosione, la frattura, ecc. non sono reazioni chimiche. Allo stesso modo, non fanno parte delle reazioni chimiche le trasformazioni dei nuclei atomici, cioè le reazioni nucleari. Purtuttavia tali reazioni assumono anche un certo interesse in chimica e vengono studiate dalla chimica nucleare. Le reazioni chimiche, dunque, riguardano esclusivamente le variazioni dei legami tra gli atomi (legame covalente, legame ionico, legame metallico). LE SOLUZIONI In chimica una soluzione è un sistema chimicamente e fisicamente omogeneo che può essere decomposto per mezzo di metodi di separazionefisici. Una soluzione si differenzia da una generica dispersione perché il soluto è disperso nel solvente a livello di singole molecole o ioni, ciascuno di essi circondato da molecole di solvente (si parla più precisamente di solvatazione). Nell'ambito delle soluzioni, si usa chiamare soluto (o fase dispersa) la sostanza (o le sostanze) in quantità minore e solvente (o fase disperdente o fase continua) la sostanza in quantità maggiore. Quando le sostanze sono in differenti stati di aggregazione (nelle condizioni ambientali date) si definisce solvente la sostanza che conserva il suo stato di aggregazione. Nel caso di composti ionici, il meccanismo della dissoluzione è il seguente: le molecole polari del solvente circondano i cristalli del sale, e possono anche diffondere all'interno del reticolo cristallino; in questa maniera vengono indebolite le forze di attrazione tra gli ioni di carica opposta che costituiscono il cristallo, i quali quindi si trasferiranno nel solvente sotto forma di ioni solvatati. Nel caso di soluti polari, il fenomeno della dissoluzione avviene per attrazione reciproca tra le cariche opposte dei dipoli delle molecole di soluto e solvente. La quantità massima di soluto che può sciogliersi in un dato solvente si chiama solubilità ed è funzione della struttura chimica dei due composti e della temperatura. Curve di solubilità per sistemi a solubilità diretta e inversa. La maggior parte dei composti liquidi e solidi ha una solubilità direttamente proporzionale alla temperatura (si dice che il sistema solvente-soluto è a solubilità diretta); le solubilità dei gas hanno invece in genere un andamento opposto (in questo caso si dice che il sistema solvente-soluto è a solubilità inversa). I valori delle solubilità delle sostanze nei diversi solventi sono costanti e sono riportati in letteratura. Una soluzione è detta satura quando contiene la massima quantità di soluto che il solvente è in grado di sciogliere a quella temperatura; aggiungendo ad una soluzione satura ulteriore soluto, questo non si scioglie, ma si separa dalla soluzione, precipitando (se è un solido), formando una nuova fase (se è un liquido) o gorgogliando (se è un gas). Una soluzione è detta insatura quando contiene una quantità di soluto inferiore a quella massima che il solvente è in grado di sciogliere a quella temperatura; aggiungendo ulteriore soluto, questo si scioglierà nella soluzione. In condizioni particolari, è possibile ottenere soluzioni soprasature, ovvero soluzioni che contengono più soluto di quanto il solvente sia normalmente in grado di sciogliere a quella temperatura; tali soluzioni sono sistemi instabili che in seguito a perturbazioni meccaniche (agitazione, scuotimento, aggiunta di corpi estranei) liberano l'eccesso di soluto trasformandosi in soluzioni sature. L'aggiunta di pochi cristalli di soluto ad una soluzione soprasatura per provocare la separazione del soluto è detta semina, e viene ad esempio sfruttata nell'ambito del processo industriale di cristallizzazione.