La biblioteca della Facoltà di Architettura di Firenze alle Murate

Maria Grazia Eccheli – Università di Firenze
La biblioteca della Facoltà di Architettura
di Firenze alle Murate
RELAZIONE DI PROGETTO
1. Il luogo e la destinazione
Penit(enzia)rio S. Teresa, Carceri di S. Verdiana, Carceri
delle Murate: sono i nomi con cui il foglio 14 del “Piano
del Comune di Firenze” elenca, nel 1936, tre stabilimenti
di pena che, data la loro contiguità in tre isolati nella
parte sud-est di Firenze, sembrano quasi comporre una
sorta di sistema.
Si tratta in realtà del riutilizzo, previe pesanti
trasformazioni, di antichi edifici conventuali che, nella pur
algida descrizione del Catasto Leopoldino, restituivano
ancora il carattere delle grandi aree verdi che li
circondavano: grandi edifici compresi tra le minute
particelle catastali delle ultime propaggini della città e gli
spazi liberi antistanti alle mura trecentesche facenti capo
alla porta Croce.
Ad un di presso, si tratta della stessa situazione di edifici
conventuali segregati da alti muri che ha la sua editio
princeps nella carta cinquecentesca (1584) di Stefano
Bonsignori.
L’ultimo dei tre conventi, detto “delle Murate” e posto
nell’isolato delimitato da via dell'Agnolo e da via
Ghibellina, ha subìto nel secolo scorso le più pesanti e
radicali trasformazioni d’adeguamento alla nuova
destinazione
che
ne
hanno
quasi
cancellato
l’individualità e la riconoscibilità.
Tali trasformazioni, inoltre, si sono concluse negli anni '80
del secolo trascorso, con una vera e propria addizione
che, occupando lo spazio libero verso le mura, ha
portato l’ex convento ad affacciarsi anche sulla
circonvallazione sorta sul luogo delle mura trecentesche
(l’attuale Viale della Giovane Italia).
Un’addizione, quindi, ex novo e svolta secondo la forma
più strettamente canonica della triste modellistica
dell’universo concentrazionario delle “macchine per
punire”: un edificio a Y – forma elementare di
panopticon - che ritaglia e suddivide spazi residuali di
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reclusione a cielo aperto tra se stesso ed un altissimo
muro di recinzione che costruisce i confini dell'isolato.
Se Santa Teresa e Santa Verdiana hanno facilmente
recuperato nella destinazione universitaria l’ineliminabile
loro carattere originario di edifici collettivi; se anche Le
Murate hanno visto recentemente ri-declinare ad edifici
d’abitazione collettiva l’irriconoscibile fantasma delle
proprie origini, quale mai destinazione potrebbe riportare
alla vita della civitas il segregato, ostile e sconosciuto
mondo della sua ultima addizione carceraria?
La scelta di destinare la Y delle Murate a sede della
biblioteca d’architettura può rivelarsi una soluzione con
valenze più complesse di una semplice esigenza
funzionale (la carenza dell'attuale sede).
Parrebbe, infatti, una scelta plausibile dal punto di vista
della localizzazione quanto giustificata da un giudizio di
compatibilità della nuova destinazione con le forme
attuali dell'edificio.
Vicina ai complessi di Santa Verdiana e Santa Teresa,
oggi entrambe sedi della Facoltà d’architettura, Le
Murate sono anche contigue all'Archivio di Stato, cui
potrebbe essere addirittura unita da percorsi in
sotterraneo: in tal modo la nuova biblioteca potrebbe
costituire una sorta di riconoscibile polo della ricerca e
della memoria.
La scelta sembra adeguata anche dal punto di vista di
congruità tipologica così da rivelarsi, tra le possibili, forse
la meno invasiva per quanto riguarda le trasformazioni
richieste al “vecchio edificio”, sul quale gravano vincoli di
conservazione. I bracci, un tempo destinati a celle che
per angustia di spazi e inadeguatezza d’illuminazione
poco si prestano a destinazioni collettive, potranno
ospitare, senza eccessive modificazioni, i depositi dei libri
(delle collezioni e dei materiali rari) per una sorta di
singolare coincidenza delle richieste.
2. Il programma ed il tema architettonico
Il programma dato dalla Direzione delle Biblioteche,
basato sul criterio della quantità libraria esistente
coniugato alle previsioni di crescita – un dato di natura
statistica ma anche in relazione con scelte legate ad
un'idea di sviluppo culturale -, prefigura un progetto di
biblioteca secondo canoniche direttive, declinato
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tuttavia sulla specificità e sui caratteri di singolarità della
biblioteca d’architettura.
A.
Criteri di dimensionamento:
- l'archivio, o scaffale chiuso, relazionato a prestito e
sala di lettura;
- lo scaffale aperto, che le attuali tendenze soprattutto
delle
biblioteche
universitarie
tendono
ad
incrementare, relazionato con gli spazi di ricerca, sia
individuale che collettiva; in stretta relazione con lo
- spazio per le collezioni, che costituiscono il segno sia
del divenire della biblioteca (la sua storia) che della
sua specificità e singolarità culturale e, solitamente,
simbolo del legame della biblioteca con la tradizione
culturale della città;
- spazi per l'ormai incessante "transustanziazione" dei libri
nella loro versione virtuale e quasi "immateriale": la
mediateca.
B.
Alle precedenti e canoniche funzioni sono da
aggiungere esigenze legate alla specificità della sua
destinazione.
Nel caso:
- spazi espositivi dedicati a mostre tematiche di
bibliografia ma legati anche alle specifiche esigenze
di una biblioteca d’architettura (mostre di progetti/di
plastici/documentazioni
storiche/carte
topografiche…);
- spazi per convegni e/o conferenze in relazione alle
mostre;
- spazi "didattici" sull'uso della biblioteca stessa.
C.
Infine gli spazi relativi al suo carattere istituzionale:
- direzione
- catalogazione
- prestito
- spazi per gli addetti ecc
D.
Da ultimo, ma decisivo e capace di coinvolgere
secondo un nuovo punto di vista i dati precedenti,
l'elemento della scelta concernente il rapporto che
l'edificio della biblioteca instaura con la città.
Nel caso, si veda
- la richiesta dell'Amministrazione di un principio
gerarchico per la distribuzione delle funzioni che
favorisca la disponibilità dell'edificio, oltre che agli
studenti, anche agli abitanti, soprattutto tramite le sue
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funzioni “collaterali”: quasi ad esorcismo della sua
attuale figura di luogo estraneo alla città.
Tuttavia, le richieste del programma e la presenza muta e
dolente quanto cogente della realtà materiale del
vecchio carcere (di cui il vincolo di mantenimento e
restauro non è in fondo che un ammonimento)
costituiscono elementi necessari ma notoriamente
insufficienti. Entrambi richiedono di essere posti in
dialettico rapporto con il vero problema: l'idea strutturale
e/o architettonica di biblioteca. Anzi, come noto, solo
tale idea costituisce il vero criterio di conoscenza di
entrambi.
3. La proposta progettuale
Il progetto s’instaura, per così dire, negli spazi liberi
compresi tra l'edificio carcerario e l'alto muro di
recinzione e si configura, tipologicamente, come una
grande corte quadrata, incuneata tra le due braccia del
carcere.
Si tratta certo di una riproposizione del ruolo della corte
nei palazzi fiorentini: un luogo che, nell’accogliere la vita
quotidiana della casa, costituiva il centro interpretativo
dell'edificio. E' proprio a tale carattere di “apparato” che
la corte deve, storicamente, la sua riconosciuta tensione
teatrale, nel senso etimologico del termine.
Ora, non è questo il senso della versione
“anfiteatrale” dell’unica, in fondo, proposta
legittima di biblioteca nel moderno? A ripercorrere,
infatti, la catena associativa dei pensieri di Boullée,
questa compresenza e visibilità del libro come
unico protagonista, oltre a costituire il movente
della scelta tipologica, sembra addirittura costituire
anche il tramite verso l’immagine stessa della
Scuola di Atene, il mondo formale che ne
accoglierà l’immagine finale.
Nel progetto la corte è costituita da "gallerie",
sovrapposte a coprire l'intera altezza del muro di cinta e
planimetricamente disposte a formare una corte
baricentrica, di dimensioni tali da raggiungere e superare
l'esistente (carcere e muro di recinzione) con due dei suoi
quattro vertici.
Le
quattro
gallerie
sono,
costruttivamente,
completamente indipendenti dall'esistente: anche
laddove ripetono l'andamento dei bracci del carcere, un
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vuoto a tutta altezza e illuminato dall'alto tiene separate,
ma visibili, le due costruzioni.
Nella nuova corte si riversa per così dire l'intera biblioteca
e in essa divengono visibili tutte le varie destinazioni che,
proprio in tale nesso, si trasformano, letteralmente, negli
elementi della sua composizione.
Le gallerie, infatti, costituiscono le sale studio: alle loro
spalle si trovano i depositi a scaffale aperto, sia i nuovi
che quelli posti all'interno dei bracci del carcere
(collezioni, donazioni, materiali rari ecc). A questi ultimi le
gallerie saranno congiunte da ponti aerei che
attraverseranno il vallo tra i due edifici in corrispondenza
e con la casualità delle aperture oggi esistenti.
4. Principi gerarchici
Il progetto declina la distribuzione delle varie funzioni
dell'intera biblioteca secondo il criterio di una loro
progressiva specializzazione.
Per questo il "piano a quota città" diviene una sorta di
principio di classificazione delle destinazioni.
A tale livello, infatti, si fa più denso il rapporto con
l'esterno del nuovo edificio che accoglie in tal modo
anche le più ricche valenze morfologiche dell'edificio
carcerario, incrementate dai recenti restauri degli edifici
limitrofi.
Si veda ad esempio quella vera e propria strada coperta
che, passando nel centro della Y delle carceri, attraversa
l’intero isolato legando l'edificio alle due vie che lo
definiscono (via dell'Agnolo a via Ghibellina) e, in
direzione perpendicolare, anche alla retrostante grande
corte delle residenze, già restaurata.
Per tali proprietà, tale strada costituirà l'ingresso alla
biblioteca e verrà connotata da un lucernario che,
attraversando tutte le quote dell’edificio, porterà una
luce zenitale nel centro del panottico in cui verrà
localizzata la portineria, il controllo e l’informazione.
Il piano terra, sia nei nuovi che nei vecchi edifici, conterrà
tutte le funzioni della Biblioteca in immediata relazione
con l'esterno:
- nel “corpo triplo” del vecchio edificio: guardaroba,
cataloghi, riproduzioni, aule didattiche;
- nei bracci della Y, che il progetto pone in stretta
relazione con la biblioteca pur presentando anche un
ingresso indipendente, si troveranno le funzioni
istituzionali: l’acquisizione e catalogazione libraria, gli
uffici di servizio ai prestiti, rilegatura, scanner,
fotocopie ecc;
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nelle due gallerie della corte in corrispondenza
dell’ingresso: schedari video e cartacei, la
distribuzione dello scaffale chiuso;
La sala conferenze, la sala mostre e la caffetteria
book-shop occupano gli spazi residuali tra la nuova
corte ed il muro di recinzione. Pur raggiungibili
dall’interno della biblioteca, tali funzioni sono
relativamente indipendenti, così da permettere un
loro uso oltre gli orari della biblioteca, e presentano
anche un ingresso dal Viale della circonvallazione.
Scendendo al piano interrato – la nuova corte ha, infatti,
la propria quota zero quattro metri più in basso del livello
della città – si raggiunge la sala lettura corrispondente
allo scaffale chiuso.
Questa sala, il centro della biblioteca, è illuminata
dall’alto ed è caratterizzata dai quattro alberi in acciaio
che ne sostengono la copertura in vetro.
Negli spazi residuali dell’interrato (quelli compresi tra la
sala ed il perimetro del lotto) troveranno posto gli archivi
sia di libri che per tesi e riviste.
Salendo ai due piani superiori, come detto, si trovano le
sale di studio specialistiche relative allo scaffale aperto.
In tal modo il progetto non supera l'altezza del muro di
cinta del carcere. Il mantenimento del muro di cinta non
è dovuto al rispetto di vincoli, reali o presunti, ma a
ragioni più generali di “rapporto con l’esistente”, che
impone una riconoscibilità del problema da cui sorge il
nuovo, non foss’altro per misurarne il ruolo nella
trasformazione; ma anche, si crede, per una sua
involontaria affinità con la chiusura con cui i grandi edifici
fiorentini talvolta si legano alla città: si veda, solo un
esempio, il muro del convento di San Marco.
Il tetto dell’intera parte nuova è previsto come giardino
pensile, “retto” formalmente dall’affacciarsi su di esso
dell’ultimo piano dell’edificio carcerario. La sua
sistemazione a prato costituisce in realtà l’unica
anamnesi possibile di quegli spazi liberi che, creati dal
diradarsi della densità urbana verso i suoi precisi confini
murali, caratterizzavano il luogo di “Via delle Fornaci”.
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