La forza Occupiamoci ora delle cause che generano il moto, limitandoci sempre per ora, al moto di un semplice punto materiale. Estenderemo in seguito il discorso ai sistemi di punti. I moti sono provocati dalle forze applicate ad un corpo: cominciamo allora a definire il concetto di forza. Si dice forza qualunque causa capace di produrre uno spostamento o una deformazione. Nella figura la caduta di un oggetto pesante trasmette attraverso il filo una forza al carrello che provoca un suo spostamento. Nella figura a destra invece applicando al gancio inferiore un oggetto pesante, la forza produce una deformazione, un allungamento, che può anche essere misurato e fornire un valore della forza stessa. Un dispositivo di questo genere, si chiama dinamometro. Con il dinamometro è importante non usare pesi o forze troppo grandi perché la molla si può sfibrare, acquistare una deformazione permanente e non riprendere più la posizione iniziale quando torna in condizioni di riposo. Le unità di misura per la forza sono il Newton, abbreviato con N nel sistema S.I. ( sistema internazionale) e la dina nel sistema cgs (centimetro, grammo, secondo). Occorrono 100.000 dine per ottenere la forza di 1 Newton. Le forze sono grandezze vettoriali. Quando ad un corpo viene applicata una forza costante, questo si muove con accelerazione costante. I moti che le forze producono sui corpi costituiscono una parte della fisica denominata dinamica, ed è imperniata su tre leggi fondamentali (elaborate da Newton nel 1600). Prima legge (o legge d’inerzia) Se ad un corpo non viene applicata alcuna forza, o se ad esso vengono applicate forze con risultante nulla, esso tende a mantenere il proprio stato di moto. Cioè se è fermo tende a rimanere fermo e se è in moto tende a continuare a muoversi con velocità costante. Può sembrare una affermazione ovvia, ma talvolta non lo è. Siamo abituati a vedere che un corpo in movimento tende a fermarsi se cessa la spinta che lo fa muovere, ma ciò è dovuto alla presenza dell'attrito (con il piano d'appoggio o con l'aria). Se l'attrito è nullo il corpo in moto tenderà a continuare il suo moto con velocità costante, per sempre: si pensi alla terra che è in movimento da miliardi di anni e non accenna a rallentare. Abbiamo talvolta una conoscenza intuitiva di questa legge quando per esempio scendiamo da un treno ancora in movimento: non possiamo scendere e fermarci all'istante perché cadremmo. Occorre invece fare qualche passo nella direzione di movimento del treno e rallentare gradatamente fino a fermarci. Al contrario per salire su un treno già in moto occorre cominciare a correre nella direzione di marcia del treno fino ad assumere la sua stessa velocità, e soltanto allora è possibile fare il salto per salire sul treno senza cadere. Viene anche detta legge d’inerzia perché questo termine mette in evidenza che il corpo tende a mantenere il proprio stato di moto o di quiete. E’ come se fosse riluttante a variare la propria velocità. Questa riluttanza è tanto più marcata ed evidente quanto più grande è il corpo (cioè, come vedremo nella seconda legge, quanto più grande è la sua massa). Seconda legge (o legge fondamentale) Quando applichiamo ad un corpo una forza costante, questo si muove con accelerazione costante. Supponiamo di applicare una forza costante f1: esso assumerà una accelerazione costante a1. Successivamente applichiamo allo stesso corpo una forza f2: esso assumerà una accelerazione a2. Poi una forza f3: esso assumerà una accelerazione a3, e così via. Ora calcoliamo i rapporti fra le forze applicate e le conseguenti accelerazioni. Si ha: Si potrà constatare che il rapporto f/m è costante. Questa costante è una caratteristica del corpo e si chiama massa del corpo. Si noti che mentre la forza e l'accelerazione sono grandezze vettoriali, la massa è una grandezza scalare. Se il corpo è molto grande la forza produrrà una piccola accelerazione, il valore di m sarà elevato, e quindi la massa rappresenta in qualche modo una misura della quantità di materia che forma il corpo. La legge f/m = a può essere scritta sotto la forma vettoriale πβ = ππβ che rappresenta la seconda legge. Si noti che forza e accelerazione sono vettori paralleli e concordi perché la massa è una grandezza scalare, ed è positiva: si passa dalla forza alla accelerazione o viceversa semplicemente dividendo o moltiplicando per m. La seconda legge si può dunque enunciare dicendo che ogni forza applicata ad un corpo (libero di muoversi) è proporzionale alla accelerazione che il corpo assume. La costante di proporzionalità prende il nome di massa del corpo. La tendenza (espressa con la prima legge) a mantenere invariato lo stato di quiete o di moto, è tanto maggiore quanto maggiore è la massa del corpo. In altre parole l’inerzia di un corpo, cioè la difficoltà a variare la sua velocità, è tanto più evidente quanto più è grande la sua massa. Quando l’accelerazione del corpo corrisponde all’accelerazione di gravità allora la forza corrisponde al peso del corpo πβ = ππβ. Anche il peso si misura spesso in kilogrammi, ma non bisogna confondere fra loro i due concetti: • Il peso è un vettore e la massa è uno scalare. • Occorre moltiplicare o dividere per g per passare da uno all’altro. • La massa è una caratteristica del corpo che rimane costante in ogni punto dell’universo. Il peso invece varia a seconda del posto in cui ci si trova (sulla Terra, sulla Luna, su un satellite in orbita, ecc). Infatti sulla Luna g è circa un terzo del valore che si ha sulla terra, mentre su un satellite in orbita g è addirittura nulla. Quando poniamo un oggetto su una bilancia a bracci uguali per pesare un oggetto, confrontiamo la forza peso agente sull’oggetto con la forza peso agente sul peso campione posto nell’altro piatto. Stiamo quindi confrontando fra loro due pesi. Ma poiché il valore di g è lo stesso in entrambi i casi, a pesi uguali corrispondono masse uguali. Anche nel linguaggio comune diciamo che l’oggetto “pesa” per esempio 1,3 Kg, anche se in realtà il Kg (e i suoi multipli e sottomultipli) sono unità di misura delle “masse”. Alla massa di un Kg corrisponde in realtà una forza gravitazionale (talvolta chiamata anche Kgpeso) pari a: F = 1 Kgpeso = 9,8 Newton Terza legge (o legge d’azione e reazione) Oltre alle forze cosiddette attive (denominate anche azioni), ne esistono altre dovute alla presenza di appoggi o di vincoli (che vengono denominate reazioni). Per esempio se appoggio un oggetto su un tavolo, per quanto detto finora la gravità terrestre dovrebbe farlo cadere con accelerazione costante, ma sappiamo che invece esso sta fermo sul piano del tavolo. Perché ? Su di esso non agisce soltanto la forza peso, ma c’è anche una forza esattamente uguale e contraria che la bilancia esattamente. Questa forza π ββ (vedi figura) esercitata dal tavolo in direzione contraria al peso è una forza passiva, e bilancia esattamente il peso stesso. Ogni piano d’appoggio (detto anche vincolo) è in grado di esercitare una forza reazione sempre uguale e contraria alla forza attiva, ma fino ad un valore massimo (dipendente dalla solidità, dalla struttura del vincolo), superando il quale il vincolo si rompe. La terza legge afferma dunque che, se un sistema è isolato (cioè se su di esso non agiscono forze provenienti dall’esterno) allora le mutue azioni fra due corpi sono sempre uguali ed opposte, cioè ad ogni azione (cioè ad ogni forza attiva) corrisponde una reazione uguale e contraria. Il ragionamento vale anche per esempio per un dinamometro: alla parte inferiore viene applicata una forza attiva diretta verso il basso, ma la parte superiore è fissata ad un appoggio fisso ed esplica una reazione uguale e contraria che bilancia esattamente la forza attiva. Il motore a reazione per esempio sfrutta il terzo principio. Un gas al suo interno si dilata sviluppando forze dirette in tutte le direzioni. Esse si bilanciano tutte fra loro perché a ciascuna di esse ne corrisponde un’altra uguale e contraria. Solo una di esse (vedi figura) non è bilanciata perché quella contraria è libera di uscire dall’ugello posteriore del razzo. Quindi la forza attiva F spinge il razzo in avanti. Il motore dovrebbe chiamarsi più esattamente di “azione e reazione”. Costante elastica di richiamo βββββ il suo allungamento (che è anch’esso un Applicando una forza πΉβ ad una molla, ed indicando con βπ₯ vettore), l’allungamento è proporzionale alla forza applicata. Ciò vale comunque solo entro certi limiti perché stirando troppo la molla, questa assume deformazioni permanenti e cessata l’azione della forza, non ritorna più nella forma iniziale. Quindi vale la formula πΉβ = βββββ, il segno meno è dovuto al fatto che applicando la forza (vedi figura) si ha uno spostamento verso −πΎβπ₯ destra ma cessata l’azione della forza la molla esplica una reazione uguale ma opposta ad πΉβ che tende a riportare la molla nelle condizioni iniziali. La costante K prende il nome di costante elastica di richiamo, ed è caratteristica della molla. Si noti che lo stesso discorso vale se la molla invece di essere stirata, viene compressa. La forza di attrito Quando un corpo striscia o rotola su un altro corpo, si genera un attrito fra le due superfici a contatto, cioè una resistenza all’avanzamento del corpo. Se per esempio immaginiamo di spostare un mobile da una parete all’altra di una stanza, si ha un attrito radente perché le due superfici a contatto si strusciano fra loro, se invece spostiamo una bicicletta, questa ha un attrito volvente, perché i copertoni delle ruote rotolano sul pavimento invece di strisciare. Ci occuperemo soltanto dell’attrito radente: su quello volvente diciamo solo che diminuisce all’aumentare del raggio della ruota. L’attrito radente è proporzionale alla reazione del piano di appoggio. Cioè (vedi figura a fianco), è una forza π΄β proporzionale alla reazione π ββ con cui l’appoggio controbilancia il peso πβ del corpo. La reazione π ββ è sempre perpendicolare alla superficie di appoggio. La costante di proporzionalità si chiama coefficiente di attrito, si indica con la lettera μ, e non viene calcolata con metodi teorici, ma si ricava sperimentalmente. Si può quindi scrivere π΄β = ππ ββ . L'attrito è una forza passiva, che non può mai superare πΉβ , avente la stessa direzione ma verso opposto rispetto ad πΉβ . Sull’attrito radente si può aggiungere una importante considerazione: quando si sposta un mobile, occorre fare uno sforzo notevole per cominciare a muoverlo, ma quando questo ha cominciato a muoversi è relativamente più facile continuare a spostarlo. Questo effetto è reale e non è solo una impressione: esiste dunque una forza di attrito valevole per un corpo fermo che stiamo per spostare, con un coefficiente di attrito statico µs, ed un coefficiente di attrito dinamico µd valevole per il corpo già in movimento. Risulta sempre µs > µd. Il piano inclinato Applichiamo le considerazioni del paragrafo precedente ad un corpo che scivola su un piano inclinato, senza attrito. Sia l la lunghezza del piano inclinato, ed h la sua altezza. Il peso πβ = mπβ può essere scomposto in due componenti, una πβp parallela al piano inclinato, ed una πβn normale al piano inclinato. La componente πβn viene esattamente controbilanciata dalla reazione R. L'unica forza che provoca la discesa del corpo è la componente πβp. Per calcolarla basta impostare una proporzione fra lati corrispondenti di triangoli simili (abbandonando la notazione vettoriale perché in questo caso non è necessaria): il triangolo costituito dal piano inclinato ed il triangolo avente come lati πβp e πβ. Si ha pp : mg = h : l da cui pp = ππβ π oppure se si conosce l’angolo α di inclinazione del piano inclinato, rispetto all’orizzontale, pp = ππ β π πππΌ Se però si considera anche la presenza dell'attrito, si ha la situazione indicata nella figura qui a fianco. La forza che provoca la discesa del corpo è in questo caso πΉβ = πββπ − π΄β Cioè (trascurando la notazione vettoriale) F = pn = ππ√π 2 −β2 π oppure pn = ππ β πππ πΌ. ππβ π - µπβn con