La modernità tradotta e tradita: dai ‘fatti’ alle interpretazioni …dove i territori si sovrappongono e le storie s’intrecciano (Edward Said) Cose di questo mondo Il disfacimento della distinzione tra il documentario e la finzione, e con ciò della differenza netta tra il realismo e l'immaginario. In altre parole, i 'fatti' vengono costruiti tramite l'operato dei linguaggi. Per questa ragione Friedrich Nietzsche, in polemica sia con il positivismo dell '800 e la sua storiografia, sia con le spiegazioni filologiche, diceva che non esisteva dei fatti, solamente delle interpretazioni. Ragionando con questo film, come in modo diverso anche dai film di Wim Wenders e di Tony Gatlif, possiamo capire come il linguaggio del film opera un 'taglio' non solamente sulle questione del realismo ma anche sulla maniera di concepire i linguaggi analitici delle scienze umane e sociali che si presentano come linguaggi ‘fattuali’ che offrono una visione ‘trasparente’ della realtà. La presunta ‘neutralità’ del linguaggio che garantisce la distanza critica per produrre l’oggetto antropologico (o storico o sociologico o giornalistico). L’antropologia occidentale e il suo intreccio nello sguardo coloniale sul mondo all’antropologia dell’Occidente. In un’epoca in cui l’antropologia si trasforma sempre più in autobiografia, l’osservatore, cercando di catturare, inquadrare un altro luogo, viene ora imprigionato nella rete dell’osservazione critica. L’occh-io (organi fisico e stato soggettivo) raggiunge l’istanza critica di un linguaggio in esilio, spaesato, oggetto degli altri, delle altre. L’antropologia è stata a lungo considerata come scienza oggettiva basata sul rapporto e distanza creata tra un soggetto e un oggetto. L’antropologo/ soggetto si documenta facendo un lavoro sul campo (il fieldwork come luogo di osservazione) raccogliendo i dati da essere poi interpretati ‘oggettivamente’ una volta a casa e narrati in una proposta antropologica. Questo significava cristallizzare le culture come entità fisse e immutabili, come oggetti rubati della loro soggettività e processi quotidiani e storici. Negli anni ’80 si assiste a un ampio movimento di riflessione critica che investe l’antropologia e le scienze sociali. La pubblicazione di Writing Cultures. The Poetics and Politics of Ethnography (“Scrivere le culture”) di James Clifford e George Marcus, e la sua diffusione nell’ambiente accademico nordamericano e europeo, testimonia l’inquietudine teorica che da almeno un decennio animava l’antropologia: chi e che cosa questa disciplina rappresenta? ! La crisi dell’antropologia avviene quando i ruoli tra soggetto e oggetto sballano, il soggetto diventa oggetto e viceversa, quando l’oggetto/ osservato ricambia il proprio sguardo.! In questi scontri l’antropologia si pone come una disciplina di frontiera che regista il transito, e il passaggio tra qui e lì, dove le definizioni dell’altro e di se stessi sono rese esposte, vulnerabili. A questo punto la verità si svela come qualche cosa che accade nell’interpretazione. Si tratta sempre di un atto culturale, dunque di un’istanza performativa; un atto che si regge su linguaggi senza fondamenta, ora che la garanzia una volta fornita dalla teleologia del ‘progresso’ della storia stessa è messa in questione, esposta, interrogata, decostruita, messa in viaggio. Forse l’atto interpretativo riesce ad essere tale solamente nell’istante in cui il linguaggio – ormai senza una garanzia fissa e stabile – raccoglie il proprio transito e, perciò, il proprio vulnerabilità e senso dello spaesamento. La nostra casa viene disfatta, le parole migrano e il linguaggio si fa ibrido per mostrare lacerazioni nelle mappe e balbuzie nei discorsi che noi in Occidente siamo soliti utilizzare. È come se fossi precipitato in una piega del tempo, inciampando in un punto brusco della narrazione, mentre la mia presenza, che una volta scorreva in apparenza senza sforzo sulla carta geografica, viene accorciata, sviata, distrutta, dispersa. La nostra produzione dell’oggetto giuridica, sociale e politico come segno della differenza e dell’alterità… da catalogare, controllare, definire e gestire. La prospettiva, il mondo quadro, e l’umanesimo italiano del Quattrocento.