Ial, cena di beneficenza per le suore di madre Teresa Le sue puntate sono precedute da una attenta e certosina raccolta presso gli amici e alcuni luoghi pubblici: chiese, supermercati, scuole. In novembre, era davanti al Conad Rio Agina di Misano Adriatico. Incrocia Katia Serafini, impiegata allo Ial di Riccione. Si scambiano un po’ di chiacchiere; fanno conoscenza. Dice Katia: “Forse la posso aiutare. Propongo al preside Paolo Semprini una cena di beneficenza nella nostra scuola”. Così l’11 dicembre, presso l’istituto riccionese si raccolgono un centinaio di persone. Per loro cucinano e servono i ragazzi della stessa scuola. E’ una bella serata che educa, coinvolge e fa comunità. Sono raccolti 1.100 euro; 300 dei quali vanno ai Ragazzi di Bucarest attraverso il volontariato di Jerry e Antonio Manzo. Il resto invece sarà portato da Salvadori in Bielorusia; sempre in una casa di madre Teresa. “Grazie – afferma Salvadori -. Grazie ai ragazzi che hanno cucinato, ai ragazzi che hanno servito, ai ragazzi che si sono impegnati dalla mattina fino alla sera. Un grazie particolare va al preside Semprini e alla Katia”. Non è la prima volta che la scuola professionale riccionese si apre alla comunità organizzando pranzi di beneficenza. Da parte sua il prossimo viaggio di Salvadori sarà in Bielorussia. Dice: “Sotto le feste di Natale mi sono giunti due donazioni inaspettate. Da Alessio Lanzillotti (Milano) e Stefano Antonioli (Riccione). Durante il primo viaggio a Calcutta, nel ’97, Salvadori incontrò anche madre Teresa alla quale promise che avrebbe fatto almeno un viaggio l’anno. Salvadori: “Per me era santa già in vita; lei mi dà molta forza quando faccio le questue in chiesa o davanti alle Conad. In questi anni le persone che hanno contribuito sono più o meno le stesse. Ringrazio di vivo cuore i don Maurizio, Giorgio e Tarcisio; don Giuseppe Vaccarini di Miramare, don Angelo di Misano Monte, Roberto Moltrasio di Como, Maria Protti di Riccione e Mila Paradisi di Miramare”. Perini, quasi 100 anni e tre guerre sulle spalle LA STORIA - Sono stati sicuramente tanti i riccionesi che, nel secolo appena trascorso, furono chiamati, in divisa, a combattere nei vari fronti delle guerre o parteciparono a quella di liberazione come partigiani. Purtroppo, a parte i nomi dei caduti scolpiti nel monumento funebre eretto dal Comune in loro memoria, non esiste una pubblicazione che raccolga le testimonianze, e magari la documentazione fotografica, di tanti ragazzi, allora, che furono costretti a partecipare, alle sciagurate guerre in cui il paese fu coinvolto. Per cominciare, alquanto significativa, e per tanti aspetti quasi unica, la storia del riccionese Giuseppe Perini (1894-1990), al quale il destino assegnò il poco invidiabile compito di dover partecipare a ben tre conflitti: prima e seconda guerra mondiale e, tra questi due eventi, la famigerata guerra d’Africa, quando il regime decise che l’Italia dovesse allargare le sue colonie con la conquista dell’Etiopia. Gli fu risparmiata la guerra di Spagna, in quanto si trovava nella materiale impossibilità di essere presente in due teatri di guerra, contemporaneamente, non possedendo il dono dell’ubiquità. Da notare, subito, che Giuseppe Perini non era un militare di carriera, per cui certe situazioni potrebbero rientrare anche nella normalità, non un volontario, attratto dal cosiddetto fascino dell’avventura, ma semplicemente un giovane, diplomato ragioniere, la cui prima aspirazione, prima ancora di un buon impiego, era quella di possedere un pezzo di terra e dedicarsi, con passione, all’agricoltura. Avendo conseguito un diploma di secondo grado, allora diplomati e laureati erano percentualmente ben inferiori rispetto al presente, al momento della chiamata per il servizio di leva, nel 1914, obbligatoriamente, dovette frequentare il corso allievi ufficiali con il conseguimento, al termine, del grado di aspirante, e ben presto, allo scoppio della guerra, come sottotenente di fanteria, si trovò al fronte, in prima linea, per tre anni. Salvo qualche ferita di poco conto, a suo dire, in mezzo ad attacchi e contrattacchi, che decimavano interi reparti, riuscì a tornare a casa, con il grado di tenente. In seguito, ormai avanti con gli anni, alla domanda dove avesse trovato tanto coraggio, lui e gli altri che lo seguivano, sorridendo, era solito rispondere che c’era di mezzo l’onore, il senso del dovere, la Patria, ma soprattutto il rischio di finire davanti al plotone di esecuzione, per codardia di fronte al nemico, e la corte marziale, notoriamente, non era tenera nei confronti di chi, impartito l’ordine, non avanzava verso il nemico. Al termine del conflitto, non gli mancarono encomi solenni, croci al merito, nomina a Cavaliere della Corona d’Italia e via dicendo, e forse, grazie a questi riconoscimenti ufficiali, affermatosi il regime fascista, sarebbe potuto entrare in politica, ambire a posti di prestigio nella pubblica amministrazione, ma Giuseppe Perini non era, e non si sentiva, il tipo adatto a svolgere una siffatta attività, e riprese a lavorare, come ragioniere, in ditte in cui era necessaria la presenza di un onesto responsabile contabile. Congedato, quindi, con il grado di tenente, un ufficiale che si era distinto durante la guerra, responsabile di un reparto di “mitraglieri”, periodicamente era richiamato, negli anni successivi, per periodi di aggiornamento, che di certo non giovavano alla sua carriera di ragioniere, anche se, ovviamente, non comportavano la perdita del posto di lavoro. Come è facile intuire, ben diversa sarebbe stata la sua posizione se, invece di svolgere un lavoro presso privati, fosse stato un pubblico dipendente. Con l’inizio della guerra d’Africa, con la quale l’Italia mirava a formare l’Impero invadendo l’Etiopia, ben presto Giuseppe Perini si vide recapitare la famosa cartolina di chiamata alle armi, e si ritrovò a combattere, con il grado di capitano, la sua seconda guerra a capo, tra l’altro, di un reparto di truppe coloniali. Terminate le ostilità, non ancora congedato, e in servizio come istruttore, salvo qualche breve licenza per rivedere la famiglia, fu colto, nell’allora colonia italiana, dallo scoppio del secondo conflitto mondiale. Dopo tante vicende, fatto prigioniero dagli inglesi, fu inviato in un campo di concentramento in India, e per alcuni anni considerato disperso, prima che la Croce rossa fosse in grado di dare notizie dell’interessato alla famiglia. Infine, dopo tante peripezie, finalmente, nel 1948, il primo capitano Giuseppe Perini, riuscì a ritornare in Italia e nel suo paese, Riccione, dal quale era partito tanti anni prima. Una storia a lieto fine, come tutte le storie che si possono raccontare, ma che presenta aspetti paradossali, se si considera che un cittadino come questo, dopo aver prestato complessivamente quasi quindici anni al servizio dello Stato, nel corso di tre guerre, si è trovato a vivere o, meglio, a sopravvivere, lui e la sua famiglia, con i modesti introiti di una pensione al minimo, ottenuta con i contributi, spesso figurativi, che volontariamente, nel corso degli anni, aveva versato. Tra l’altro, nei mesi estivi, per integrare la magra pensione, lavorava alla contabilità di alcuni alberghi. Ironia della sorte, Giuseppe Perini, se invece di aver lavorato presso privati, come accennato, fosse stato un dipendente pubblico, non importa di quale grado, avrebbe potuto usufruire della legge sui combattenti e di tutti i notevoli benefici previsti. Non si può non rilevare l’assurdità di una legge, forse una delle peggiori di questa Repubblica, che ha operato una assurda, grottesca discriminazione tra ex combattenti “privati” e “pubblici”. Infine, dell’ultima guerra, della quale preferiva non parlare, ricordava, tuttavia, un aspetto di gratuita, stupida violenza, posta in essere dagli inglesi, che li avevano fatti prigionieri, consistente nel farli sfilare, lui, gli altri ufficiali, ed i loro soldati, scalzi, per le vie di Calcutta, tra due file di gente che schiamazzava. Eppure, nonostante tutto, chi lo ha conosciuto, lo ricorda tuttora come un uomo di una grande onestà intellettuale e tanta non comune dignità, sempre pronto alla battuta, una delle quali, in dialetto, “che rossi, bianchi e neri, una volta raggiunto il loro scopo, sono tutti uguali”. Nominato colonnello nella riserva, e naturalmente Cavaliere di Vittorio Veneto, negli ultimi anni della sua vita, si dilettava a coltivare un piccolo orto, una passione questa che non lo aveva mai abbandonato, e non farsi mai mancare i suoi sigari toscani, dei quali era un affezionato fumatore sin dai tempi della giovinezza. Fosco Rocchetta Pasolini, un riccionese al Bolscioi Invece, partenza da Riccione il 9 gennaio, fino a marzo, si esibirà nel più presigioso teatro di San Pietroburgo e poi al Teatro Bolshoi (Teatro Grande) di Mosca. Porta in scena “La juive” (L’ebrea), il capolavoro di Fromental Halévy (Parigi, 1799 – Nizza 1862). Pasolini, insieme a Laura Brioli, Pervin Chakar, Norina Angelini, Omar Montanari e Luca Gallo. era uno degli ospiti del concerto del 29 dicembre al Pala Riccione, dove alcune centinaia di persone non sono riuscite ad entrare tanto era la calca. Dalla giovane carriera il riccionese ha già raggiunto traguardi assoluti. Ha cantato una mezza dozzina di volte alla Scala di Milano, il primo teatro lirico del mondo, un po’ come giocare a tennis nel tabellone principale di Wimbledon. Inoltre, a Firenze fu il tenore per festeggiare i 70 anni del direttore d’orchestra Zubin Metha. L’inizio 2010 del riccionese è scoppiettante. In questi giorni, è in edicola in un Dvd, “Igrok” (Il giocatore), diretto da Daniel Barenboim, nella serie presentata da Philippe Daverio. Perini, quasi 100 anni e tre guerre sulle spalle Ragioniere, venne arruolato come ufficiale. Della seonda guerra ricordava un aspetto di gratuita, stupida violenza, posta in essere dagli inglesi, che li avevano fatti prigionieri, consistente nel farli sfilare, lui, gli altri ufficiali, ed i loro soldati, scalzi, per le vie di Calcutta, tra due file di gente che schiamazzava LA STORIA - Sono stati sicuramente tanti i riccionesi che, nel secolo appena trascorso, furono chiamati, in divisa, a combattere nei vari fronti delle guerre o parteciparono a quella di liberazione come partigiani. Purtroppo, a parte i nomi dei caduti scolpiti nel monumento funebre eretto dal Comune in loro memoria, non esiste una pubblicazione che raccolga le testimonianze, e magari la documentazione fotografica, di tanti ragazzi, allora, che furono costretti a partecipare, alle sciagurate guerre in cui il paese fu coinvolto. Per cominciare, alquanto significativa, e per tanti aspetti quasi unica, la storia del riccionese Giuseppe Perini (1894-1990), al quale il destino assegnò il poco invidiabile compito di dover partecipare a ben tre conflitti: prima e seconda guerra mondiale e, tra questi due eventi, la famigerata guerra d’Africa, quando il regime decise che l’Italia dovesse allargare le sue colonie con la conquista dell’Etiopia. Gli fu risparmiata la guerra di Spagna, in quanto si trovava nella materiale impossibilità di essere presente in due teatri di guerra, contemporaneamente, non possedendo il dono dell’ubiquità. Da notare, subito, che Giuseppe Perini non era un militare di carriera, per cui certe situazioni potrebbero rientrare anche nella normalità, non un volontario, attratto dal cosiddetto fascino dell’avventura, ma semplicemente un giovane, diplomato ragioniere, la cui prima aspirazione, prima ancora di un buon impiego, era quella di possedere un pezzo di terra e dedicarsi, con passione, all’agricoltura. Avendo conseguito un diploma di secondo grado, allora diplomati e laureati erano percentualmente ben inferiori rispetto al presente, al momento della chiamata per il servizio di leva, nel 1914, obbligatoriamente, dovette frequentare il corso allievi ufficiali con il conseguimento, al termine, del grado di aspirante, e ben presto, allo scoppio della guerra, come sottotenente di fanteria, si trovò al fronte, in prima linea, per tre anni. Salvo qualche ferita di poco conto, a suo dire, in mezzo ad attacchi e contrattacchi, che decimavano interi reparti, riuscì a tornare a casa, con il grado di tenente. In seguito, ormai avanti con gli anni, alla domanda dove avesse trovato tanto coraggio, lui e gli altri che lo seguivano, sorridendo, era solito rispondere che c’era di mezzo l’onore, il senso del dovere, la Patria, ma soprattutto il rischio di finire davanti al plotone di esecuzione, per codardia di fronte al nemico, e la corte marziale, notoriamente, non era tenera nei confronti di chi, impartito l’ordine, non avanzava verso il nemico. Al termine del conflitto, non gli mancarono encomi solenni, croci al merito, nomina a Cavaliere della Corona d’Italia e via dicendo, e forse, grazie a questi riconoscimenti ufficiali, affermatosi il regime fascista, sarebbe potuto entrare in politica, ambire a posti di prestigio nella pubblica amministrazione, ma Giuseppe Perini non era, e non si sentiva, il tipo adatto a svolgere una siffatta attività, e riprese a lavorare, come ragioniere, in ditte in cui era necessaria la presenza di un onesto responsabile contabile. Congedato, quindi, con il grado di tenente, un ufficiale che si era distinto durante la guerra, responsabile di un reparto di “mitraglieri”, periodicamente era richiamato, negli anni successivi, per periodi di aggiornamento, che di certo non giovavano alla sua carriera di ragioniere, anche se, ovviamente, non comportavano la perdita del posto di lavoro. Come è facile intuire, ben diversa sarebbe stata la sua posizione se, invece di svolgere un lavoro presso privati, fosse stato un pubblico dipendente. Con l’inizio della guerra d’Africa, con la quale l’Italia mirava a formare l’Impero invadendo l’Etiopia, ben presto Giuseppe Perini si vide recapitare la famosa cartolina di chiamata alle armi, e si ritrovò a combattere, con il grado di capitano, la sua seconda guerra a capo, tra l’altro, di un reparto di truppe coloniali. Terminate le ostilità, non ancora congedato, e in servizio come istruttore, salvo qualche breve licenza per rivedere la famiglia, fu colto, nell’allora colonia italiana, dallo scoppio del secondo conflitto mondiale. Dopo tante vicende, fatto prigioniero dagli inglesi, fu inviato in un campo di concentramento in India, e per alcuni anni considerato disperso, prima che la Croce rossa fosse in grado di dare notizie dell’interessato alla famiglia. Infine, dopo tante peripezie, finalmente, nel 1948, il primo capitano Giuseppe Perini, riuscì a ritornare in Italia e nel suo paese, Riccione, dal quale era partito tanti anni prima. Una storia a lieto fine, come tutte le storie che si possono raccontare, ma che presenta aspetti paradossali, se si considera che un cittadino come questo, dopo aver prestato complessivamente quasi quindici anni al servizio dello Stato, nel corso di tre guerre, si è trovato a vivere o, meglio, a sopravvivere, lui e la sua famiglia, con i modesti introiti di una pensione al minimo, ottenuta con i contributi, spesso figurativi, che volontariamente, nel corso degli anni, aveva versato. Tra l’altro, nei mesi estivi, per integrare la magra pensione, lavorava alla contabilità di alcuni alberghi. Ironia della sorte, Giuseppe Perini, se invece di aver lavorato presso privati, come accennato, fosse stato un dipendente pubblico, non importa di quale grado, avrebbe potuto usufruire della legge sui combattenti e di tutti i notevoli benefici previsti. Non si può non rilevare l’assurdità di una legge, forse una delle peggiori di questa Repubblica, che ha operato una assurda, grottesca discriminazione tra ex combattenti “privati” e “pubblici”. Infine, dell’ultima guerra, della quale preferiva non parlare, ricordava, tuttavia, un aspetto di gratuita, stupida violenza, posta in essere dagli inglesi, che li avevano fatti prigionieri, consistente nel farli sfilare, lui, gli altri ufficiali, ed i loro soldati, scalzi, per le vie di Calcutta, tra due file di gente che schiamazzava. Eppure, nonostante tutto, chi lo ha conosciuto, lo ricorda tuttora come un uomo di una grande onestà intellettuale e tanta non comune dignità, sempre pronto alla battuta, una delle quali, in dialetto, “che rossi, bianchi e neri, una volta raggiunto il loro scopo, sono tutti uguali”. Nominato colonnello nella riserva, e naturalmente Cavaliere di Vittorio Veneto, negli ultimi anni della sua vita, si dilettava a coltivare un piccolo orto, una passione questa che non lo aveva mai abbandonato, e non farsi mai mancare i suoi sigari toscani, dei quali era un affezionato fumatore sin dai tempi della giovinezza. Fosco Rocchetta Pasolini, dopo la debutto al Bolshoi Scala - Il tenore Gian Luca Pasolini sempre più su. Dopo Natale è stato chiamato a cantare una serie di arie a Sofia, la capitale della Bulgaria per il tradizionale concerto del primo dell’anno. Ad applaudirlo 5.000 persone tra cui alcuni dei migliori cantanti d’opera bulgari. Il concerto è stato trasmesso in diretta dalla Tv di stato. Invece, partenza da Riccione il 9 gennaio, fino a marzo, si esibirà nel più presigioso teatro di San Pietroburgo e poi al Teatro Bolshoi (Teatro Grande) di Mosca. Porta in scena “La juive” (L’ebrea), il capolavoro di Fromental Halévy (Parigi, 1799 – Nizza 1862). Pasolini, insieme a Laura Brioli, Pervin Chakar, Norina Angelini, Omar Montanari e Luca Gallo. era uno degli ospiti del concerto del 29 dicembre al Pala Riccione, dove alcune centinaia di persone non sono riuscite ad entrare tanto era la calca. Dalla giovane carriera il riccionese ha già raggiunto traguardi assoluti. Ha cantato una mezza dozzina di volte alla Scala di Milano, il primo teatro lirico del mondo, un po’ come giocare a tennis nel tabellone principale di Wimbledon. Inoltre, a Firenze fu il tenore per festeggiare i 70 anni del direttore d’orchestra Zubin Metha. L’inizio 2010 del riccionese è scoppiettante. In questi giorni, è in edicola in un Dvd, “Igrok” (Il giocatore), diretto da Daniel Barenboim, nella serie presentata da Philippe Daverio. Piero Manaresi, ‘scopritore’ di paradisi finanziari - I paradisi fiscali li conosce come le proprie tasche. E’ stato uno di coloro che ha permesso di portare alla luce del sole i mille rivoli finanziari del crack Parmalat e forse molti non sono mai stati svelati. Si diverte come un bambino col giocattolo preferito in questo nascondino a ritroso. Si chiama Piero Manaresi; ha 41 anni ed è di Riccione. Uffici a Bologna e Milano, Piero Manaresi di mestiere fa il consulente aziendale per le cessioni e le acquisizioni. Con lui in società un altro riccionese, Massimo Magnani. L’ultima transazione importante è l’aver contribuito a far passare di mano un gruppo ortopedico italiano ad un’azienda tedesca concorrente. Capace di capire da dove arrivano i soldi, come vengono frullati e come escono, è stato chiamato come perito dell’accusa dai tribunali a trovare il bandolo finanziario di matasse ingarbugliate: l’affare Parmalat nel 2004, la confisca dei beni di Michele Aiello presunto prestanome del capomafioso Bernardo Provenzano per un valore di 250 milioni di euro nel 2005 e il fallimento della holding di Giuseppe Gazzoni Frascara che controllava il Bologna Calcio nel 2007. Per le somme, il blasone dell’azienda non ci sono dubbi che il crack Parmalat sotto il peso di quasi 15 miliardi di debiti è stato l’incarico più importante ricevuto. Ha messo le sue competenze al servizio del tribunale di Parma per un anno e mezzo. Dell’affare Parmalat ricorda: “Ho ricostruito i rapporti tra Calisto Tanzi [il proprietario, nota del redattore], Cragnotti [titolare della Cirio, ndr] e la politica. Ho ricostruito il periodo 1988-1993, più una serie di strani derivati [prodotti finanziari venduti in gran parte ai piccoli risparmiatori, ndr]”. “Il crack Parmalat – continua il giovane consulente riccionese – è un gioco delle tre scimmie. Tre gli attori coinvolti: i politici, gli organi di controllo esterno e i controlli interni. Da un punto di vista industriale la Parmalat era fallita nell’88. Fu salvata da una speculazione di Borsa, dove tutti si girarono dall’altra parte. Vennero raccolti 300 miliardi di lire dal mercato, in gran parte piccoli risparmiatori. I vantaggi non furono tanto i 300 miliardi di lire, ma il fatto che con la quotazione la Parmalat si fregiò della patente di società quotata e come tale sottoposta agli organi di vigilanza: la Consob (Commissione nazionale per le Società e la Borsa), le società di certificazione e rating. Tutto questo dovrebbe dare garanzie. Dunque, con la Parmalat in Borsa il piccolo risparmiatore non poteva che avere fiducia. Nell’88, la Parmalat aveva un patrimonio negativo di 180 miliardi di lire. Con artifizi, il patrimonio venne portato in positivo e l’azienda quotata, quando davanti non aveva che due strade: o vendere a pezzi, o tutto (la svizzera Nestlè aveva pronto un’offerta)”. “Ho interrogato Tanzi quatto-cinque volte – continua Manaresi – da un punto di vista umano è persona gradevole; con un’idea industriale ottima ma si era allargato troppo in un settore, quello alimentare, a basso margine di guadagno. Dove il lancio di nuovi prodotti (merendine, succhi di frutta, pelati) richiedevano investimenti quasi impossibili da sostenere. La Parmalat è ufficialmente fallita il 19 dicembre del 2003, ma qualcuno mi deve spiegare come mai ancora l’8 dicembre dello stesso anno in un report City Group invita ad acquistare azioni Parmalat. Due le risposte: o sei un cretino, oppure sei un delinquente”. Sposato, una figlia di cinque anni e mezzo, inglese fluente, laurea col massimo dei voti in Economi e commercio a Bologna, Piero Manaresi tiene un seminario di “Riciclaggio, reati finanziari e crisi e finanza” all’Università di Bologna. Dal suo punto di osservazione, con i contatti stretti con gli imprenditori, quali mesi ci si prospettano? “Il 2010 sarà durissimo. Il portafogli ordini non si muove. Il 2009 si chiude con una produzione industriale tra il meno 30 e il meno50 per cento. Mentre il comparto alimentare se la cava meglio; con il consumatore che acquista prodotti di qualità più scadente. Ad esempio, il comparto wuerstel ha avuto un incremento del 20 per cento. Altri settori che vanno benino sono i servizi legati alla sicurezza, e le aziende medicali”. In quali settori si potrebbe investire? Manaresi: “In quelli alimentari e di nicchia, come per i ciliaci, ad esempio. In questo momento, il comparto alimentare, negli ultimi anni visto come il brutto anatroccolo, si sta prendendo la rivincita. E’ visto come un settore-rifugio. Non ha grossi margini, ma non ha neppure grossi rischi. Non scommetterei sulla moda, altro cardine del made in Italy. Credo che tutto sommato, complessivamente, turbolenti”. ci aspettano altri 2-3 anni Come sono le nostre aziende? “Sono poco managerializzate, poco patrimonializzate, poco orientate al controllo dei costi e senza una pianificazione strategica. In questo momento, con volumi inferiori, tassi di crescita infimi, con le materie prime soggette a speculazione e instabilità, ce ne sarebbe estremo bisogno, ma poiché non l’ha mai fatto, non sei preparato”. Lirica: Grande concerto con i migliori cantanti del Riminese - Gian Luca Pasolini, tenore, riccionese, ha nel suo palmarès quattro produzioni alla Scala di Milano, il teatro lirico più prestigioso del mondo. Laura Brioli, anche lei riccionese, è un affermato soprano. Simona Baldolini, cattolichina, ha una voce meravigliosa. Stessa cosa per Norina Angelini, Omar Montanari e Luca Gallo. Sono i protagonisti del Concerto degli auguri in cartellone il 29 dicembre al Palacongressi, con inizio alle 21, organizzato dal maestro Giorgio Leardini. I sei cantanti sono accompagnati dall’orchestra sinfonica Toscanini dell’Emilia Romagna di 55 componenti diretta dallo stesso Leardini. Il programma, suddiviso in due parti, aperto dal “Nabucco” di Verdi e chiuso dalla Marcia di Radetzky, presenta una scaletta con alcune delle arie più note: “Ah! Mes amis” (Donizetti), “Un bel dì vedremo (Puccini), “Non più andrai farfallone (Mozart), “Habanera” (Bizet), “Madamina il catalogo è questo”, “Acerba voluttà” (Cilea), “Nussun dorma” (Puccini), “Mi chiamano Mimì” (Puccini), “Cavatina di Dulcamara” (Donizetti), “Milonga de la Anunciacion” (Piazzolla), “La Calunnia” (Rossini), “Mon coer” (Saens), “Questo è un nodo avviluppato” (Rossini). Veterani, magnifico presepe L’infaticabile, estroso Maurizio ha creato un gioiellino di 40 metri quadrati, tempestati da centinaia di figure in movimento: oltre 500. Bellissimi anche gli effetti sonori e meteo: con pioggia e neve. Il primo vagito del presepe risale all’89: un metro quadrato in un angolo di casa. Poi, fuori, passaggio sul l porto, all’Abissinia. La casa colonica del parco. Il presepe è aperto da dicembre fino a tutto gennaio. Per le visite delle scolaresche sarebbe auspicabile la prenotazione. La segreteria di Famija Arciunesa è aperta il martedì, giovedì e sabato dalle 16.30 alle 19. E’ comunque sempre in funzione la segreteria telefonica (0541-643884), alla quale si può lasciare la propria richiesta per poi concordare la visita. Spigolature degli scrondi Con allegria ma non troppo [b]Pdl [/b]- Leggiamo: “La Mulazzani ha lasciato solo veleni – Durissimo attacco di Andrea Usai consigliere comunale del Pdl alla ex capogruppo di Forza Italia, ora in Provincia”. C’è molta armonia nel Pdl riccionese… [b]Taxi [/b]- Leggiamo: “Sindaco e taxisti si stringono la mano. Siglato l’accordo con l’amministrazione comunale”. Una stretta di mano col tassametro?… [b]Cinema [/b]- Leggiamo: “Planet, i sei cinema si possono ancora salvare. Il cda: ci sono i numeri per tenerne aperte solo tre”. Da multisala a minisala?… [b]Famiglia romagnola [/b]- Leggiamo: “Clan dei calabresi, condanne in appello. Confermato l’impianto accusatorio emerso nel processo di primo grado: contesto mafioso”. La famiglia romagnola si allarga: dopo i turisti, i mafiosi?… [b]Orti [/b]- Leggiamo: “Il Palazzo ha deciso: gli orti vanno demoliti. Verranno reimpiantati in un’altra zona che l’amministrazione sta ancora individuando”. Cavoli, insalata e pomodori abusivi?… [b]Sfondamento [/b]- Leggiamo: “Con Rimini per sfondare in Europa – Il futuro del Palas secondo Pironi”. Il cda sarà composto da una prima linea di giocatori di rugby?… [b]Pronto soccorso [/b]- Leggiamo: “Sempre più pazienti al Pronto soccorso. Nel 2007 erano 34.700 alla fine del 2009 sfioreranno quota 40mila: aumento del 15 per cento”. C’è da essere contenti?… [b]Sposi [/b]- Leggiamo: “Da oggi il salone degli sposi. 80 espositori per il giorno del sì”. Meglio stare alla larga, visto come vanno a finire la maggior parte dei matrimoni… [b]Il governatore [/b]- Leggiamo: “Vogliamo vedere in faccia il governatore – Manzi (bagnini) infuriato con la Regione sul molo di Cattolica”. Errani humano est… [b]Spiagge negate [/b]- Leggiamo: “La spiaggia blindata anche con i cancelli. Bagni chiusi con ogni sistema: lucchetti, palizzate in legno e anche lamiere arrugginite. Arenile impossibile da raggiungere per i bambini in carrozzina e per i disabili”. Spiagge negate da chi si sente padrone assoluto di un bene pubblico… Ritorna DivertinArte “DivertinArte”, il festival della creatività solidale, giunge alla sua seconda edizione con l’appuntamento di sabato 19 dicembre, al teatro del Mare di Riccione (via don Minzoni, 1). E come dice la parola stessa, sono due gli ingredienti che caratterizzano la manifestazione promossa dalle associazioni Anni d’Argento Amici di Casa Serena, Arcobaleno e Centro Elisabetta Renzi: il gusto di trascorrere una serata in compagnia miscelato al piacere di assistere a spettacoli di danza, canto e satira. Ma un terzo elemento, ultimo ma non meno importante, si aggiunge ai primi due svelando il significato più profondo dell’iniziativa, quello di raccogliere fondi a sostegno di progetti portati avanti dalle tre organizzazioni di volontariato. Sono nove gli artisti che si esibiranno sul palco, tre per ciascuna categoria – danza, comicità e canto -, tutti rigorosamente di Riccione. Si partirà con la danza, che avrà come protagonisti il gruppo “Cose così” di Eleonaora Gennari, l’Atr di Riccione e la scuola di danza e spettacolo Aga di Monica Pasquinelli. A cui seguiranno le battute e le gag dell’associazione Attimatti e delle Tribù del Villaggio 1 e 2. Per finire con le note e le voci di Lisa Bretani, Alessandra Del Bello e Massimo Montanari. Per informazioni: Volontarimini, [email protected] tel. 0541 709888 –