Pasolini, un riccionese al Bolscioi,Perini, quasi 100 anni e tre guerre

Ial, cena di beneficenza per
le suore di madre Teresa
Le sue puntate sono precedute da una attenta e certosina
raccolta presso gli amici e alcuni luoghi pubblici: chiese,
supermercati, scuole. In novembre, era davanti al Conad Rio
Agina di Misano Adriatico. Incrocia Katia Serafini, impiegata
allo Ial di Riccione. Si scambiano un po’ di chiacchiere;
fanno conoscenza. Dice Katia: “Forse la posso aiutare.
Propongo al preside Paolo Semprini una cena di beneficenza
nella nostra scuola”. Così l’11 dicembre, presso l’istituto
riccionese si raccolgono un centinaio di persone. Per loro
cucinano e servono i ragazzi della stessa scuola. E’ una bella
serata che educa, coinvolge e fa comunità. Sono raccolti 1.100
euro; 300 dei quali vanno ai Ragazzi di Bucarest attraverso il
volontariato di Jerry e Antonio Manzo. Il resto invece sarà
portato da Salvadori in Bielorusia; sempre in una casa di
madre Teresa.
“Grazie – afferma Salvadori -. Grazie ai ragazzi che hanno
cucinato, ai ragazzi che hanno servito, ai ragazzi che si sono
impegnati dalla mattina fino alla sera. Un grazie particolare
va al preside Semprini e alla Katia”. Non è la prima volta che
la scuola professionale riccionese si apre alla comunità
organizzando pranzi di beneficenza.
Da parte sua il prossimo viaggio di Salvadori sarà in
Bielorussia. Dice: “Sotto le feste di Natale mi sono giunti
due donazioni inaspettate. Da Alessio Lanzillotti (Milano) e
Stefano Antonioli (Riccione). Durante il primo viaggio a
Calcutta, nel ’97, Salvadori incontrò anche madre Teresa alla
quale promise che avrebbe fatto almeno un viaggio l’anno.
Salvadori: “Per me era santa già in vita; lei mi dà molta
forza quando faccio le questue in chiesa o davanti alle Conad.
In questi anni le persone che hanno contribuito sono più o
meno le stesse. Ringrazio di vivo cuore i don Maurizio,
Giorgio e Tarcisio; don Giuseppe Vaccarini di Miramare, don
Angelo di Misano Monte, Roberto Moltrasio di Como, Maria
Protti di Riccione e Mila Paradisi di Miramare”.
Perini, quasi 100 anni e tre
guerre sulle spalle
LA STORIA
- Sono stati sicuramente tanti i riccionesi che, nel secolo
appena trascorso, furono chiamati, in divisa, a combattere nei
vari fronti delle guerre o parteciparono a quella di
liberazione come partigiani. Purtroppo, a parte i nomi dei
caduti scolpiti nel monumento funebre eretto dal Comune in
loro memoria, non esiste una pubblicazione che raccolga le
testimonianze, e magari la documentazione fotografica, di
tanti ragazzi, allora, che furono costretti a partecipare,
alle sciagurate guerre in cui il paese fu coinvolto.
Per cominciare, alquanto significativa, e per tanti aspetti
quasi unica, la storia del riccionese Giuseppe Perini
(1894-1990), al quale il destino assegnò il poco invidiabile
compito di dover partecipare a ben tre conflitti: prima e
seconda guerra mondiale e, tra questi due eventi, la
famigerata guerra d’Africa, quando il regime decise che
l’Italia dovesse allargare le sue colonie con la conquista
dell’Etiopia. Gli fu risparmiata la guerra di Spagna, in
quanto si trovava nella materiale impossibilità di essere
presente in due teatri di guerra, contemporaneamente, non
possedendo il dono dell’ubiquità. Da notare, subito, che
Giuseppe Perini non era un militare di carriera, per cui certe
situazioni potrebbero rientrare anche nella normalità, non un
volontario, attratto dal cosiddetto fascino dell’avventura, ma
semplicemente un giovane, diplomato ragioniere, la cui prima
aspirazione, prima ancora di un buon impiego, era quella di
possedere un pezzo di terra e dedicarsi, con passione,
all’agricoltura. Avendo conseguito un diploma di secondo
grado, allora diplomati e laureati erano percentualmente ben
inferiori rispetto al presente, al momento della chiamata per
il servizio di leva, nel 1914, obbligatoriamente, dovette
frequentare il corso allievi ufficiali con il conseguimento,
al termine, del grado di aspirante, e ben presto, allo scoppio
della guerra, come sottotenente di fanteria, si trovò al
fronte, in prima linea, per tre anni.
Salvo qualche ferita di poco conto, a suo dire, in mezzo ad
attacchi e contrattacchi, che decimavano interi reparti,
riuscì a tornare a casa, con il grado di tenente. In seguito,
ormai avanti con gli anni, alla domanda dove avesse trovato
tanto coraggio, lui e gli altri che lo seguivano, sorridendo,
era solito rispondere che c’era di mezzo l’onore, il senso del
dovere, la Patria, ma soprattutto il rischio di finire davanti
al plotone di esecuzione, per codardia di fronte al nemico, e
la corte marziale, notoriamente, non era tenera nei confronti
di chi, impartito l’ordine, non avanzava verso il nemico.
Al termine del conflitto, non gli mancarono encomi solenni,
croci al merito, nomina a Cavaliere della Corona d’Italia e
via dicendo, e forse, grazie a questi riconoscimenti
ufficiali, affermatosi il regime fascista, sarebbe potuto
entrare in politica, ambire a posti di prestigio nella
pubblica amministrazione, ma Giuseppe Perini non era, e non si
sentiva, il tipo adatto a svolgere una siffatta attività, e
riprese a lavorare, come ragioniere, in ditte in cui era
necessaria la presenza di un onesto responsabile contabile.
Congedato, quindi, con il grado di tenente, un ufficiale che
si era distinto durante la guerra, responsabile di un reparto
di “mitraglieri”, periodicamente era richiamato, negli anni
successivi, per periodi di aggiornamento, che di certo non
giovavano alla sua carriera di ragioniere, anche se,
ovviamente, non comportavano la perdita del posto di lavoro.
Come è facile intuire, ben diversa sarebbe stata la sua
posizione se, invece di svolgere un lavoro presso privati,
fosse stato un pubblico dipendente.
Con l’inizio della guerra d’Africa, con la quale l’Italia
mirava a formare l’Impero invadendo l’Etiopia, ben presto
Giuseppe Perini si vide recapitare la famosa cartolina di
chiamata alle armi, e si ritrovò a combattere, con il grado di
capitano, la sua seconda guerra a capo, tra l’altro, di un
reparto di truppe coloniali.
Terminate le ostilità, non ancora congedato, e in servizio
come istruttore, salvo qualche breve licenza per rivedere la
famiglia, fu colto, nell’allora colonia italiana, dallo
scoppio del secondo conflitto mondiale. Dopo tante vicende,
fatto prigioniero dagli inglesi, fu inviato in un campo di
concentramento in India, e per alcuni anni considerato
disperso, prima che la Croce rossa fosse in grado di dare
notizie dell’interessato alla famiglia.
Infine, dopo tante peripezie, finalmente, nel 1948, il primo
capitano Giuseppe Perini, riuscì a ritornare in Italia e nel
suo paese, Riccione, dal quale era partito tanti anni prima.
Una storia a lieto fine, come tutte le storie che si possono
raccontare, ma che presenta aspetti paradossali, se si
considera che un cittadino come questo, dopo aver prestato
complessivamente quasi quindici anni al servizio dello Stato,
nel corso di tre guerre, si è trovato a vivere o, meglio, a
sopravvivere, lui e la sua famiglia, con i modesti introiti di
una pensione al minimo, ottenuta con i contributi, spesso
figurativi, che volontariamente, nel corso degli anni, aveva
versato. Tra l’altro, nei mesi estivi, per integrare la magra
pensione, lavorava alla contabilità di alcuni alberghi.
Ironia della sorte, Giuseppe Perini, se invece di aver
lavorato presso privati, come accennato, fosse stato un
dipendente pubblico, non importa di quale grado, avrebbe
potuto usufruire della legge sui combattenti e di tutti i
notevoli benefici previsti. Non si può non rilevare
l’assurdità di una legge, forse una delle peggiori di questa
Repubblica, che ha operato una assurda, grottesca
discriminazione tra ex combattenti “privati” e “pubblici”.
Infine, dell’ultima guerra, della quale preferiva non parlare,
ricordava, tuttavia, un aspetto di gratuita, stupida violenza,
posta in essere dagli inglesi, che li avevano fatti
prigionieri, consistente nel farli sfilare, lui, gli altri
ufficiali, ed i loro soldati, scalzi, per le vie di Calcutta,
tra due file di gente che schiamazzava. Eppure, nonostante
tutto, chi lo ha conosciuto, lo ricorda tuttora come un uomo
di una grande onestà intellettuale e tanta non comune dignità,
sempre pronto alla battuta, una delle quali, in dialetto, “che
rossi, bianchi e neri, una volta raggiunto il loro scopo, sono
tutti uguali”.
Nominato colonnello nella riserva, e naturalmente Cavaliere di
Vittorio Veneto, negli ultimi anni della sua vita, si
dilettava a coltivare un piccolo orto, una passione questa che
non lo aveva mai abbandonato, e non farsi mai mancare i suoi
sigari toscani, dei quali era un affezionato fumatore sin dai
tempi della giovinezza.
Fosco Rocchetta
Pasolini, un riccionese al
Bolscioi
Invece, partenza da Riccione il 9 gennaio, fino a marzo, si
esibirà nel più presigioso teatro di San Pietroburgo e poi al
Teatro Bolshoi (Teatro Grande) di Mosca. Porta in scena “La
juive” (L’ebrea), il capolavoro di Fromental Halévy (Parigi,
1799 – Nizza 1862).
Pasolini, insieme a Laura Brioli, Pervin Chakar, Norina
Angelini, Omar Montanari e Luca Gallo. era uno degli ospiti
del concerto del 29 dicembre al Pala Riccione, dove alcune
centinaia di persone non sono riuscite ad entrare tanto era la
calca.
Dalla giovane carriera il riccionese ha già raggiunto
traguardi assoluti. Ha cantato una mezza dozzina di volte alla
Scala di Milano, il primo teatro lirico del mondo, un po’ come
giocare a tennis nel tabellone principale di Wimbledon.
Inoltre, a Firenze fu il tenore per festeggiare i 70 anni del
direttore d’orchestra Zubin Metha.
L’inizio 2010 del riccionese è scoppiettante. In questi
giorni, è in edicola in un Dvd, “Igrok” (Il giocatore),
diretto da Daniel Barenboim, nella serie presentata da
Philippe Daverio.
Perini, quasi 100 anni e tre
guerre sulle spalle
Ragioniere, venne arruolato come ufficiale. Della seonda
guerra ricordava un aspetto di gratuita, stupida violenza,
posta in essere dagli inglesi, che li avevano fatti
prigionieri, consistente nel farli sfilare, lui, gli altri
ufficiali, ed i loro soldati, scalzi, per le vie di Calcutta,
tra due file di gente che schiamazzava
LA STORIA
- Sono stati sicuramente tanti i riccionesi che, nel secolo
appena trascorso, furono chiamati, in divisa, a combattere nei
vari fronti delle guerre o parteciparono a quella di
liberazione come partigiani. Purtroppo, a parte i nomi dei
caduti scolpiti nel monumento funebre eretto dal Comune in
loro memoria, non esiste una pubblicazione che raccolga le
testimonianze, e magari la documentazione fotografica, di
tanti ragazzi, allora, che furono costretti a partecipare,
alle sciagurate guerre in cui il paese fu coinvolto.
Per cominciare, alquanto significativa, e per tanti aspetti
quasi unica, la storia del riccionese Giuseppe Perini
(1894-1990), al quale il destino assegnò il poco invidiabile
compito di dover partecipare a ben tre conflitti: prima e
seconda guerra mondiale e, tra questi due eventi, la
famigerata guerra d’Africa, quando il regime decise che
l’Italia dovesse allargare le sue colonie con la conquista
dell’Etiopia. Gli fu risparmiata la guerra di Spagna, in
quanto si trovava nella materiale impossibilità di essere
presente in due teatri di guerra, contemporaneamente, non
possedendo il dono dell’ubiquità. Da notare, subito, che
Giuseppe Perini non era un militare di carriera, per cui certe
situazioni potrebbero rientrare anche nella normalità, non un
volontario, attratto dal cosiddetto fascino dell’avventura, ma
semplicemente un giovane, diplomato ragioniere, la cui prima
aspirazione, prima ancora di un buon impiego, era quella di
possedere un pezzo di terra e dedicarsi, con passione,
all’agricoltura. Avendo conseguito un diploma di secondo
grado, allora diplomati e laureati erano percentualmente ben
inferiori rispetto al presente, al momento della chiamata per
il servizio di leva, nel 1914, obbligatoriamente, dovette
frequentare il corso allievi ufficiali con il conseguimento,
al termine, del grado di aspirante, e ben presto, allo scoppio
della guerra, come sottotenente di fanteria, si trovò al
fronte, in prima linea, per tre anni.
Salvo qualche ferita di poco conto, a suo dire, in mezzo ad
attacchi e contrattacchi, che decimavano interi reparti,
riuscì a tornare a casa, con il grado di tenente. In seguito,
ormai avanti con gli anni, alla domanda dove avesse trovato
tanto coraggio, lui e gli altri che lo seguivano, sorridendo,
era solito rispondere che c’era di mezzo l’onore, il senso del
dovere, la Patria, ma soprattutto il rischio di finire davanti
al plotone di esecuzione, per codardia di fronte al nemico, e
la corte marziale, notoriamente, non era tenera nei confronti
di chi, impartito l’ordine, non avanzava verso il nemico.
Al termine del conflitto, non gli mancarono encomi solenni,
croci al merito, nomina a Cavaliere della Corona d’Italia e
via dicendo, e forse, grazie a questi riconoscimenti
ufficiali, affermatosi il regime fascista, sarebbe potuto
entrare in politica, ambire a posti di prestigio nella
pubblica amministrazione, ma Giuseppe Perini non era, e non si
sentiva, il tipo adatto a svolgere una siffatta attività, e
riprese a lavorare, come ragioniere, in ditte in cui era
necessaria la presenza di un onesto responsabile contabile.
Congedato, quindi, con il grado di tenente, un ufficiale che
si era distinto durante la guerra, responsabile di un reparto
di “mitraglieri”, periodicamente era richiamato, negli anni
successivi, per periodi di aggiornamento, che di certo non
giovavano alla sua carriera di ragioniere, anche se,
ovviamente, non comportavano la perdita del posto di lavoro.
Come è facile intuire, ben diversa sarebbe stata la sua
posizione se, invece di svolgere un lavoro presso privati,
fosse stato un pubblico dipendente.
Con l’inizio della guerra d’Africa, con la quale l’Italia
mirava a formare l’Impero invadendo l’Etiopia, ben presto
Giuseppe Perini si vide recapitare la famosa cartolina di
chiamata alle armi, e si ritrovò a combattere, con il grado di
capitano, la sua seconda guerra a capo, tra l’altro, di un
reparto di truppe coloniali.
Terminate le ostilità, non ancora congedato, e in servizio
come istruttore, salvo qualche breve licenza per rivedere la
famiglia, fu colto, nell’allora colonia italiana, dallo
scoppio del secondo conflitto mondiale. Dopo tante vicende,
fatto prigioniero dagli inglesi, fu inviato in un campo di
concentramento in India, e per alcuni anni considerato
disperso, prima che la Croce rossa fosse in grado di dare
notizie dell’interessato alla famiglia.
Infine, dopo tante peripezie, finalmente, nel 1948, il primo
capitano Giuseppe Perini, riuscì a ritornare in Italia e nel
suo paese, Riccione, dal quale era partito tanti anni prima.
Una storia a lieto fine, come tutte le storie che si possono
raccontare, ma che presenta aspetti paradossali, se si
considera che un cittadino come questo, dopo aver prestato
complessivamente quasi quindici anni al servizio dello Stato,
nel corso di tre guerre, si è trovato a vivere o, meglio, a
sopravvivere, lui e la sua famiglia, con i modesti introiti di
una pensione al minimo, ottenuta con i contributi, spesso
figurativi, che volontariamente, nel corso degli anni, aveva
versato. Tra l’altro, nei mesi estivi, per integrare la magra
pensione, lavorava alla contabilità di alcuni alberghi.
Ironia della sorte, Giuseppe Perini, se invece di aver
lavorato presso privati, come accennato, fosse stato un
dipendente pubblico, non importa di quale grado, avrebbe
potuto usufruire della legge sui combattenti e di tutti i
notevoli benefici previsti. Non si può non rilevare
l’assurdità di una legge, forse una delle peggiori di questa
Repubblica, che ha operato una assurda, grottesca
discriminazione tra ex combattenti “privati” e “pubblici”.
Infine, dell’ultima guerra, della quale preferiva non parlare,
ricordava, tuttavia, un aspetto di gratuita, stupida violenza,
posta in essere dagli inglesi, che li avevano fatti
prigionieri, consistente nel farli sfilare, lui, gli altri
ufficiali, ed i loro soldati, scalzi, per le vie di Calcutta,
tra due file di gente che schiamazzava. Eppure, nonostante
tutto, chi lo ha conosciuto, lo ricorda tuttora come un uomo
di una grande onestà intellettuale e tanta non comune dignità,
sempre pronto alla battuta, una delle quali, in dialetto, “che
rossi, bianchi e neri, una volta raggiunto il loro scopo, sono
tutti uguali”.
Nominato colonnello nella riserva, e naturalmente Cavaliere di
Vittorio Veneto, negli ultimi anni della sua vita, si
dilettava a coltivare un piccolo orto, una passione questa che
non lo aveva mai abbandonato, e non farsi mai mancare i suoi
sigari toscani, dei quali era un affezionato fumatore sin dai
tempi della giovinezza.
Fosco Rocchetta
Pasolini,
dopo
la
debutto al Bolshoi
Scala
- Il tenore Gian Luca Pasolini sempre più su. Dopo Natale è
stato chiamato a cantare una serie di arie a Sofia, la
capitale della Bulgaria per il tradizionale concerto del primo
dell’anno.
Ad applaudirlo 5.000 persone tra cui alcuni dei migliori
cantanti d’opera bulgari. Il concerto è stato trasmesso in
diretta dalla Tv di stato.
Invece, partenza da Riccione il 9 gennaio, fino a marzo, si
esibirà nel più presigioso teatro di San Pietroburgo e poi al
Teatro Bolshoi (Teatro Grande) di Mosca. Porta in scena “La
juive” (L’ebrea), il capolavoro di Fromental Halévy (Parigi,
1799 – Nizza 1862).
Pasolini, insieme a Laura Brioli, Pervin Chakar, Norina
Angelini, Omar Montanari e Luca Gallo. era uno degli ospiti
del concerto del 29 dicembre al Pala Riccione, dove alcune
centinaia di persone non sono riuscite ad entrare tanto era la
calca.
Dalla giovane carriera il riccionese ha già raggiunto
traguardi assoluti. Ha cantato una mezza dozzina di volte alla
Scala di Milano, il primo teatro lirico del mondo, un po’ come
giocare a tennis nel tabellone principale di Wimbledon.
Inoltre, a Firenze fu il tenore per festeggiare i 70 anni del
direttore d’orchestra Zubin Metha.
L’inizio 2010 del riccionese è scoppiettante. In questi
giorni, è in edicola in un Dvd, “Igrok” (Il giocatore),
diretto da Daniel Barenboim, nella serie presentata da
Philippe Daverio.
Piero Manaresi, ‘scopritore’
di paradisi finanziari
- I paradisi fiscali li conosce come le proprie tasche. E’
stato uno di coloro che ha permesso di portare alla luce del
sole i mille rivoli finanziari del crack Parmalat e forse
molti non sono mai stati svelati. Si diverte come un bambino
col giocattolo preferito in questo nascondino a ritroso. Si
chiama Piero Manaresi; ha 41 anni ed è di Riccione.
Uffici a Bologna e Milano, Piero Manaresi di mestiere fa il
consulente aziendale per le cessioni e le acquisizioni. Con
lui in società un altro riccionese, Massimo Magnani. L’ultima
transazione importante è l’aver contribuito a far passare di
mano un gruppo ortopedico italiano ad un’azienda tedesca
concorrente.
Capace di capire da dove arrivano i soldi, come vengono
frullati e come escono, è stato chiamato come perito
dell’accusa dai tribunali a trovare il bandolo finanziario di
matasse ingarbugliate: l’affare Parmalat nel 2004, la confisca
dei beni di Michele Aiello presunto prestanome del capomafioso Bernardo Provenzano per un valore di 250 milioni di
euro nel 2005 e il fallimento della holding di Giuseppe
Gazzoni Frascara che controllava il Bologna Calcio nel 2007.
Per le somme, il blasone dell’azienda non ci sono dubbi che il
crack Parmalat sotto il peso di quasi 15 miliardi di debiti è
stato l’incarico più importante ricevuto. Ha messo le sue
competenze al servizio del tribunale di Parma per un anno e
mezzo. Dell’affare Parmalat ricorda: “Ho ricostruito i
rapporti tra Calisto Tanzi [il proprietario, nota del
redattore], Cragnotti [titolare della Cirio, ndr] e la
politica.
Ho ricostruito il periodo 1988-1993, più una serie di strani
derivati [prodotti finanziari venduti in gran parte ai piccoli
risparmiatori, ndr]”.
“Il crack Parmalat – continua il giovane consulente riccionese
– è un gioco delle tre scimmie. Tre gli attori coinvolti: i
politici, gli organi di controllo esterno e i controlli
interni. Da un punto di vista industriale la Parmalat era
fallita nell’88. Fu salvata da una speculazione di Borsa, dove
tutti si girarono dall’altra parte. Vennero raccolti 300
miliardi di lire dal mercato, in gran parte piccoli
risparmiatori. I vantaggi non furono tanto i 300 miliardi di
lire, ma il fatto che con la quotazione la Parmalat si fregiò
della patente di società quotata e come tale sottoposta agli
organi di vigilanza: la Consob (Commissione nazionale per le
Società e la Borsa), le società di certificazione e rating.
Tutto questo dovrebbe dare garanzie. Dunque, con la Parmalat
in Borsa il piccolo risparmiatore non poteva che avere
fiducia. Nell’88, la Parmalat aveva un patrimonio negativo di
180 miliardi di lire. Con artifizi, il patrimonio venne
portato in positivo e l’azienda quotata, quando davanti non
aveva che due strade: o vendere a pezzi, o tutto (la svizzera
Nestlè aveva pronto un’offerta)”.
“Ho interrogato Tanzi quatto-cinque volte – continua Manaresi
– da un punto di vista umano è persona gradevole; con un’idea
industriale ottima ma si era allargato troppo in un settore,
quello alimentare, a basso margine di guadagno. Dove il lancio
di nuovi prodotti (merendine, succhi di frutta, pelati)
richiedevano investimenti quasi impossibili da sostenere. La
Parmalat è ufficialmente fallita il 19 dicembre del 2003, ma
qualcuno mi deve spiegare come mai ancora l’8 dicembre dello
stesso anno in un report City Group invita ad acquistare
azioni Parmalat. Due le risposte: o sei un cretino, oppure sei
un delinquente”.
Sposato, una figlia di cinque anni e mezzo, inglese fluente,
laurea col massimo dei voti in Economi e commercio a Bologna,
Piero Manaresi tiene un seminario di “Riciclaggio, reati
finanziari e crisi e finanza” all’Università di Bologna. Dal
suo punto di osservazione, con i contatti stretti con gli
imprenditori, quali mesi ci si prospettano? “Il 2010 sarà
durissimo. Il portafogli ordini non si muove. Il 2009 si
chiude con una produzione industriale tra il meno 30 e il
meno50 per cento. Mentre il comparto alimentare se la cava
meglio; con il consumatore che acquista prodotti di qualità
più scadente. Ad esempio, il comparto wuerstel ha avuto un
incremento del 20 per cento. Altri settori che vanno benino
sono i servizi legati alla sicurezza, e le aziende medicali”.
In quali settori si potrebbe investire? Manaresi: “In quelli
alimentari e di nicchia, come per i ciliaci, ad esempio. In
questo momento, il comparto alimentare, negli ultimi anni
visto come il brutto anatroccolo, si sta prendendo la
rivincita. E’ visto come un settore-rifugio. Non ha grossi
margini, ma non ha neppure grossi rischi. Non scommetterei
sulla moda, altro cardine del made in Italy. Credo che tutto
sommato, complessivamente,
turbolenti”.
ci
aspettano
altri
2-3
anni
Come sono le nostre aziende? “Sono poco managerializzate, poco
patrimonializzate, poco orientate al controllo dei costi e
senza una pianificazione strategica. In questo momento, con
volumi inferiori, tassi di crescita infimi, con le materie
prime soggette a speculazione e instabilità, ce ne sarebbe
estremo bisogno, ma poiché non l’ha mai fatto, non sei
preparato”.
Lirica: Grande concerto con i
migliori
cantanti
del
Riminese
- Gian Luca Pasolini, tenore, riccionese, ha nel suo palmarès
quattro produzioni alla Scala di Milano, il teatro lirico più
prestigioso del mondo. Laura Brioli, anche lei riccionese, è
un affermato soprano. Simona Baldolini, cattolichina, ha una
voce meravigliosa.
Stessa cosa per Norina Angelini, Omar Montanari e Luca Gallo.
Sono i protagonisti del Concerto degli auguri in cartellone il
29 dicembre al Palacongressi, con inizio alle 21, organizzato
dal maestro Giorgio Leardini. I sei cantanti sono accompagnati
dall’orchestra sinfonica Toscanini dell’Emilia Romagna di 55
componenti diretta dallo stesso Leardini. Il programma,
suddiviso in due parti, aperto dal “Nabucco” di Verdi e chiuso
dalla Marcia di Radetzky, presenta una scaletta con alcune
delle arie più note: “Ah! Mes amis” (Donizetti), “Un bel dì
vedremo (Puccini), “Non più andrai farfallone (Mozart),
“Habanera” (Bizet), “Madamina il catalogo è questo”, “Acerba
voluttà” (Cilea), “Nussun dorma” (Puccini), “Mi chiamano Mimì”
(Puccini), “Cavatina di Dulcamara” (Donizetti), “Milonga de la
Anunciacion” (Piazzolla), “La Calunnia” (Rossini), “Mon coer”
(Saens), “Questo è un nodo avviluppato” (Rossini).
Veterani, magnifico presepe
L’infaticabile, estroso Maurizio ha creato un gioiellino di 40
metri quadrati, tempestati da centinaia di figure in
movimento: oltre 500. Bellissimi anche gli effetti sonori e
meteo: con pioggia e neve. Il primo vagito del presepe risale
all’89: un metro quadrato in un angolo di casa. Poi, fuori,
passaggio sul l porto, all’Abissinia. La casa colonica del
parco. Il presepe è aperto da dicembre fino a tutto gennaio.
Per le visite delle scolaresche sarebbe auspicabile la
prenotazione. La segreteria di Famija Arciunesa è aperta il
martedì, giovedì e sabato dalle 16.30 alle 19. E’ comunque
sempre in funzione la segreteria telefonica (0541-643884),
alla quale si può lasciare la propria richiesta per poi
concordare la visita.
Spigolature degli scrondi Con allegria ma non troppo
[b]Pdl [/b]- Leggiamo: “La Mulazzani ha lasciato solo veleni –
Durissimo attacco di Andrea Usai consigliere comunale del Pdl
alla ex capogruppo di Forza Italia, ora in Provincia”. C’è
molta armonia nel Pdl riccionese…
[b]Taxi [/b]- Leggiamo: “Sindaco e taxisti si stringono la
mano. Siglato l’accordo con l’amministrazione comunale”. Una
stretta di mano col tassametro?…
[b]Cinema [/b]- Leggiamo: “Planet, i sei cinema si possono
ancora salvare. Il cda: ci sono i numeri per tenerne aperte
solo tre”. Da multisala a minisala?…
[b]Famiglia romagnola [/b]- Leggiamo: “Clan dei calabresi,
condanne in appello. Confermato l’impianto accusatorio emerso
nel processo di primo grado: contesto mafioso”. La famiglia
romagnola si allarga: dopo i turisti, i mafiosi?…
[b]Orti [/b]- Leggiamo: “Il Palazzo ha deciso: gli orti vanno
demoliti. Verranno reimpiantati in un’altra zona che
l’amministrazione sta ancora individuando”. Cavoli, insalata e
pomodori abusivi?…
[b]Sfondamento [/b]- Leggiamo: “Con Rimini per sfondare in
Europa – Il futuro del Palas secondo Pironi”. Il cda sarà
composto da una prima linea di giocatori di rugby?…
[b]Pronto soccorso [/b]- Leggiamo: “Sempre più pazienti al
Pronto soccorso. Nel 2007 erano 34.700 alla fine del 2009
sfioreranno quota 40mila: aumento del 15 per cento”. C’è da
essere contenti?…
[b]Sposi [/b]- Leggiamo: “Da oggi il salone degli sposi. 80
espositori per il giorno del sì”. Meglio stare alla larga,
visto come vanno a finire la maggior parte dei matrimoni…
[b]Il governatore [/b]- Leggiamo: “Vogliamo vedere in faccia
il governatore – Manzi (bagnini) infuriato con la Regione sul
molo di Cattolica”. Errani humano est…
[b]Spiagge negate [/b]- Leggiamo: “La spiaggia blindata anche
con i cancelli. Bagni chiusi con ogni sistema: lucchetti,
palizzate in legno e anche lamiere arrugginite. Arenile
impossibile da raggiungere per i bambini in carrozzina e per i
disabili”. Spiagge negate da chi si sente padrone assoluto di
un bene pubblico…
Ritorna DivertinArte
“DivertinArte”, il festival della creatività solidale, giunge
alla sua seconda edizione con l’appuntamento di sabato 19
dicembre, al teatro del Mare di Riccione (via don Minzoni, 1).
E come dice la parola stessa, sono due gli ingredienti che
caratterizzano la manifestazione promossa dalle associazioni
Anni d’Argento Amici di Casa Serena, Arcobaleno e Centro
Elisabetta Renzi: il gusto di trascorrere una serata in
compagnia miscelato al piacere di assistere a spettacoli di
danza, canto e satira. Ma un terzo elemento, ultimo ma non
meno importante, si aggiunge ai primi due svelando il
significato più profondo dell’iniziativa, quello di
raccogliere fondi a sostegno di progetti portati avanti dalle
tre organizzazioni di volontariato.
Sono nove gli artisti che si esibiranno sul palco, tre per
ciascuna categoria – danza, comicità e canto -, tutti
rigorosamente di Riccione. Si partirà con la danza, che avrà
come protagonisti il gruppo “Cose così” di Eleonaora Gennari,
l’Atr di Riccione e la scuola di danza e spettacolo Aga di
Monica Pasquinelli. A cui seguiranno le battute e le gag
dell’associazione Attimatti e delle Tribù del Villaggio 1 e 2.
Per finire con le note e le voci di Lisa Bretani, Alessandra
Del Bello e Massimo Montanari.
Per informazioni: Volontarimini,
[email protected]
tel.
0541
709888
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