Strategie e Orizzonti del Diversity Management

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Roberta Vacca
L’ORGANIZZAZIONE
NELLO SPECCHIO
DELLA COMPLESSITÀ
Strategie e Orizzonti
del Diversity Management
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978–88–548–2386–0
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I edizione: marzo 2009
CAPITOLO I
DAL NEOFUNZIONALISMO LUHMANNIANO AL
RISCHIO CONTINGENTE DELL’IMPRENDITORIALITÀ
Il fenomeno del senso appare sempre nella forma di un surplus di rimandi ad altre
possibilità dell’esperire e dell’agire …
N. Luhmann Sistemi Sociali. Fondamenti di una teoria generale
Tu bada al senso ed i suoni baderanno a se stessi
L. Caroll, Alice nel paese delle meraviglie
Chi vuole vivere in un mondo socialmente complesso, e quindi, necessita di un largo
consumo, strapazza il suo budget temporale. Ma anche colui che vuole vivere in un
mondo materialmente complesso e ne vuole trarre mutamento (senso) ha bisogno di
tempi decisionali lunghi”.
N. Luhmann, La mancanza di tempo ed il predominio delle scadenze
Non c’è nessun comportamento esente da rischio (…).
Rifiutare l’assunzione di rischi è diventato a sua volta rischioso.
Ammesso che si possa decidere, i rischi non possono essere evitati
N. Luhmann, Sociologia del rischio
11
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 13
1.1
Premessa
Trascorsi quasi dieci anni dall’inizio del terzo millennio, la dimensione umana, individuale e collettiva, si trova ad essere nuovamente
“shakerata” tra l’opportunità di progettare e, di frequente, conoscere –
seppure virtualmente – luoghi culturalmente incontaminati ed il bisogno psicologico di non perdere e, quindi, tramandare ai posteri,
l’essenza radicale della propria personale diversità.
Sulle scene di un’esistenza “glocale” il singolo – ex microcosmo –
risulta, così, impegnato nella ricerca affannosa di una forma dinamica
flessibilmente adattabile alla propria natura al fine di poter rispondere,
efficacemente, alle richieste sempre più immediate del potente e
frammentato Sistema tecnocratico da cui propriamente circondato.
All’interno del mutamento strutturale, l’essere umano è, pertanto,
chiamato ad agire, a mettere in atto comportamenti e modalità adattive
che gli consentano di ricoprire in modo impeccabile posizioni sistemiche in contesti espressivi e socio-culturali – a volte, in apparenza, –
“paradossali”.
Quale il background socio-psicologico cui tener fede per comprendere e significare il senso della complessità che caratterizza e distingue ogni realtà di appartenenza individuale e collettiva?
A tal proposito, sembra fondamentale ripercorrere alcune tappe sociologiche che confermano e, soprattutto, sostengono, caratterizzandolo, il“binomio” individuo-sistema; quest’ultimo è cuore pulsante sia di
un’iniziativa imprenditoriale sia di un qualsiasi ruolo si voglia focalizzare all’interno di una Organizzazione di tipo aziendale.
E’opportuno, dunque, datare l’inizio del nostro viaggio partendo
dall’opera di Niklas Luhmann al fine di connotare l’evoluzione della
teoria sistemica da un punto di vista socio-psicologico, evidenziarne i
nodi cruciali per, arrivare poi, alla spiegazione “sistemica” del rischio
contingente dell’imprenditorialità e al suo superamento, in relazione
all’applicazione di nuove leve manageriali.
14
1.2
Capitolo I
Il Contributo della sociologia allo studio dei sistemi
La teoria generale dei sistemi nasce intorno al 1950, grazie
all’intensa attività svolta dal suo ideatore, il biologo austriaco di origine canadese, Ludwig Von Bertalanffy (1901-1972); ad egli si riconosce il grande merito di aver applicato la teoria allo studio dei fenomeni
viventi, consentendo così il superamento dei modelli meccanicistici
che, per lungo tempo, avevano rappresentato il quadro di riferimento
della fisica e della chimica classica (Von Bertalanffy, 1971). Infatti, la
fondamentale distinzione tra sistemi aperti e sistemi chiusi lo conduce
all’elaborazione dei concetti-chiave quali “entropia negativa” ed “equifinalità” che, in seguito, saranno assimilati e rielaborati in chiave
evolutiva dalla sociologia sistemica di Luhmann.
Pur inquadrandosi nella tradizione classica della biologia germanica, Ludwig Von Bertalanffy, fin dagli anni ‘30, teorizza alcuni concetti-chiave: organismo, inteso come un tutto unico, essere vivente, inteso come sistema in stato stazionario. I parallelismi e gli isomorfismi,
che si riscontrano tra sistemi animati e sistemi inanimati conducono
l’autore ad approfondire il concetto di “sistema” con studi sulla globalità che non disdegnano di prendere in considerazione anche nozioni
metafisiche o comunque tali da trascendere i confini della biologia.
Ciò testimonia l’origine “multidisciplinare” della concezione sistemica. Infatti, le riflessioni di Bertalanffy, esposte, in parte, in Teoria Generale dei Sistemi (1967), hanno influito, in modo determinante, sulla
nascita della bionica e della moderna tecnologia dei sistemi.
D’altra parte, ricostruendo la storia “antica” che ha preceduto ed
accompagnato la concettualizzazione dell’espressione sistema - come
accade per ogni nuova idea appartenente allo scibile umano-, si assiste
ad una costellazione di nomi illustri: dal naturalismo di Leibnitz, alla
concezione storicistica di Vico, dal sistema culturale o alla dialettica
di Marx e di Hegel.
In realtà, l’elaborazione sistematica di tale teoria annovera soltanto
pochi lavori preliminari: l’espressione “gestalt”, infatti, è inizialmente
adottata in fisica da Kohler, intorno agli anni ‘30; l’applicazione del
concetto di sistema come strumento è interamente dedicata allo studio
dei fenomeni fisici; al contrario, l’interpretazione dei fenomeni biolo-
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 15
gici e psicologici, in questo periodo, resta ambito esclusivo della mera
presumibilità.
Lo statistico Lotka (1925) sembrerebbe aver condotto uno dei primi
studi generali - non circoscritto al campo della fisica - connesso al
concetto di sistema poiché, partendo da approfondimenti di tipo demografico, ne ha applicato il senso alla dimensione di comunità/gruppo inteso come “organismo singolo”.
Tuttavia, come su osservato, da un punto di vista rigorosamente
scientifico, Bertalanffy è il primo ad aver evidenziato i limiti
dell’approccio meccanicista allora dominante.
Il punto di partenza, nello studio dei fenomeni viventi, consiste nel
contrapporre a questo modello la visione organicistica che tende sia a
considerare l’organismo nella sua globalità (un “sistema organizzativo”) sia ad indicare, come obiettivo preminente della ricerca scientifica la scoperta di quei criteri organizzativi che operano a vari livelli di
conoscenza al fine di spiegarne la complessità.
Bertalanffy, infatti, non solo coglie i limiti delle teorie biologiche,
ancora troppo ancorate al meccanicismo, ma, per la prima volta, pone
in evidenza l’analogia e l’isomorfismo delle leggi che, a suo dire, caratterizzano l’unità delle scienze: “La teoria generale dei sistemi –
scrive – non si riduce, per tanto a un catalogo di ben note equazioni
differenziali e di loro soluzioni: essa solleva, invece, problemi nuovi e
ben definiti che, in parte, non figurano in fisica, ma che sono di importanza fondamentale in settori non fisici. Ed è proprio a causa del
fatto che i fenomeni in questione non sono trattati nell’ambito della fisica normale, che questi problemi sono apparsi assai spesso come metafisici o vitalistici” (Von Bertalanffy, 1971).
Dal punto di vista squisitamente scientifico, la scienza classica, nelle sue varie discipline, dalla chimica alla biologia, dalla psicologia alla
sociologia ed alle scienze economiche, è stata portata ad isolare gli elementi dell’insieme osservato (composti chimici, cellule, sensazioni,
individui), in modo che, dalla ricongiunzione sperimentale e/o concettuale dei diversi elementi, si potesse ottenere l’unitarietà e
l’intelligibilità del complesso, ovvero del “sistema” nella sua globalità.
In seguito, la spinta analitica – sulla base delle conquiste del progresso scientifico – ha diametralmente modificato la prospettiva visua-
16
Capitolo I
le della ricerca non più interessata a segmentare e frammentare gli elementi costitutivi al fine di studiarli come punti fissi e, quindi, come
“somma” delle parti di un tutto isolato; si è, al contrario, dedicata a dirigere il focus osservativo verso la comprensione esaustiva e successiva definizione delle dinamiche causali che determinano e caratterizzano il movimento e le relazioni degli agenti all’interno del sistema.
La teoria generale dei sistemi viene, dunque, indicata come disciplina logico-matematica, applicabile, però, alle varie scienze empiriche. “Nei confronti delle scienze vertenti su complessi organizzati –
scrive l’autore – essa avrebbe un significato analogo a quello assunto
dalla teoria delle probabilità nei confronti di quelle scienze che vertono su eventi casuali, ed in effetti quest’ultima è una disciplina formale
e matematica che può essere applicata ai settori più diversi tra loro
quali, ad esempio la termodinamica, la sperimentazione biologica e
medica, la genetica, le statistiche concernenti le assicurazioni sulla
vita” (Von Bertalanffy, 1971).
Per quanto concerne poi, la fondamentale distinzione tra “sistema
chiuso” e “sistema aperto”, l’autore beneficia degli studi di termodinamica per spiegare lo stato di equilibrio del primo rispetto allo stato
stazionario del secondo costantemente impegnato – anche in condizioni di quiete – ad assorbire energia dall’ambiente esterno.
In tal senso, l’organismo vivente – in opposizione alla fisica convenzionale che studia i sistemi chiusi “isolati” ed entropicamente orientati fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio – è concepito
esclusivamente come sistema aperto, in grado di interagire con
l’ambiente esterno, di stabilire continui scambi eterodiretti allo scopo
di fluidificare il flusso energetico per il raggiungimento di uno stadio
di assestamento (con il conseguente metabolico risparmio energetico).
Accanto alla capacità di prendere e trasformare energia, si riconosce all’organismo, inoltre, sia la possibilità di elaborare le informazioni che riceve dall’ambiente esterno sia l’opportunità di formulare –
sulla base dei meccanismi di controllo – adeguate risposte agli stimoli
ricevuti (creazione/gestione circolo virtuoso azione/reazione). Tale inquadramento confinerebbe, in prima battuta, lo studio dell’organismo
umano al di fuori dell’universo conoscitivo proprio della Fisica convenzionale, trattandosi di un sistema aperto, dotato di stati stazionari.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 17
Tuttavia Bertalanffy, introducendo il concetto di “equifinalità”,
dimostra che gli organismi viventi – a differenza dei sistemi chiusi, in cui, lo stato finale muta solo nel caso in cui si intervenga, modificandone le cause iniziali - possono raggiungere il medesimo stato finale
da un’illimitata serie di cause iniziali, ampliando così ulteriormente
l’ambito delle conoscenze in campo fisico, impegnate quindi, anche,
nell’osservazione dei sistemi aperti.
Pertanto, l’excursus fino ad ora presentato pone la teoria sistemica
generale nella tipica condizione paradigmatica di kuhniana derivazione, la temporanea “scelta conflittuale” tra scienza normale vs. rivoluzione scientifica: ancoraggio persistente alle scienze fisiche, come uno
degli strumenti fondamentali in adozione nell’ambito della metodologia della ricerca scientifica o graduale full-immersion in diversi settori
di studio, come valido apporto tecnico nelle ricerche condotte, ad esempio, mediante la teoria dell’informazione, la teoria dei giochi, la
teoria delle decisioni e, soprattutto, la cibernetica? (Von Bertalanffy, op.
cit., 1971)
In effetti, molte di queste scienze, come appunto la su menzionata
Termodinamica, la Neurologia, la Genetica, le Scienze Cognitive, la
Teoria della politica si trovano, di conseguenza, a trattare “fenomeni
complessi”, intendendo per complessità non tanto il contenuto delle
scienze specifiche, quanto piuttosto il modello di conoscenza con cui
scoprono i nodi relazionali che caratterizzano la natura (autopoietica
e/o dissipativa) dei fenomeni complessi, ne spiegano il comportamento disordinato, irreversibile, non linearmente prevedibile.
In tal senso, l’indeterminazione sebbene sia causa di perturbabilità
dell’oggetto d’indagine non deve essere relegata a “mero caso”, ma
come costituzione del divenire; ciò comporta un mutamento speculare
della posizione osservativa del soggetto conoscente rispetto
all’oggetto-fenomeno non più osservatore esterno, occhio neutrale che
descrive in modo distaccato, al contrario è parte integrante della dinamica osservativa, perché in relazione complessa con il fenomeno stesso.
Che osservatore e oggetto osservato siano inscindibili, è una situazione emersa sia nelle scienze naturali, con l’enunciazione del principio di indeterminazione di W.Karl Heisenberg in fisica (per “vedere”
un micro-oggetto dobbiamo agire su di esso con strumenti, ad es. un
18
Capitolo I
raggio che modifica le condizioni del sistema), sia nelle scienze umane (in antropologia, per esempio), con la discussione su come sia possibile studiare oggetti che sono soggetti, individuali o sociali (W.H.
Heisenberg, 1978.) 1 .
Conoscere è un sistema complesso che include osservatore e osservato, un sistema pensabile con il modello cibernetico dei sistemi osservanti, sistemi che non sono prevedibili secondo il modello lineare
input-output, perché in essi l’input produce non solo un output, ma
anche una modificazione dello stato interno dei sistemi (macchine non
banali, secondo il modello di von Foerster).
Per il modello della complessità è conoscere relazioni: si conoscono cioè non elementi separati/distaccati dal contesto, ma configurazioni di elementi, rapporti dinamici tra elementi – ciò che viene chiamato “organizzazione”. Il vedere attraverso sistemi è un pensare dinamico che porta a guardare gli oggetti entro relazioni concettuali
complesse, che insegna a “ecologizzare”, cioè a riferire i fenomeni dei
vari campi scientifici al proprio oikos, dimora, sistema di relazioni.
Per quanto riguarda poi, la ricostruzione sociologica delle tappe
fondamentali che precedono la teoria sistemica, l’“anno zero” è rappresentato dal funzionalismo, paradigma sociologico di matrice olistica che ha avuto vasta eco nel 900 ad opera del suo fautore Talcott Parsons e, successivamente, dagli studi condotti da Niklas Luhmann.
Secondo tale modello, ogni società è una globalità di strutture sociali (le istituzioni, i costumi, i sistemi politici ed economici etc..);
ciascuna di queste strutture svolge o ha svolto in passato un ruolo utile
al mantenimento ed alla riproduzione del sistema sociale complessivo. Nel tentativo di conciliare il noto dilemma del binomio azione/struttura, lo struttural-funzionalismo affonda le sue radici
nell’antropologia sociale di Malinowski e Radcliffe-Brown che sottolinearono la portata funzionale della cultura come stabilizzatore della
coesione e dell’equilibrio in rapporto alla struttura.
Tale aspetto rappresenta l’incipit riflessivo che si pone come obiettivo cardine l’integrazione sintonica tra sistema culturale e normativo. 1
Il principio di indeterminazione costituì una sfida alla conoscenza scientifica del tempo perché sosteneva che dall’osservazione di un fenomeno si può ottenere una informazione pertinente anche se al contempo se ne perde un’altra.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 19
Sulla base di una società multirazziale che stenta ad imboccare la
strada dell’integrazione, il sociologo americano riconosce
all’individuo l’opportunità di scegliere – nell’azione – i mezzi adeguati al raggiungimento del fine, nel pieno rispetto del contenitore normativo di riferimento (Parsons, 1987: 66). Infatti, nonostante la tendenza ad affrancare l’uomo dal suo ambiente, Parsons non riesce ad eliminare la necessità di conformarsi alle
norme al fine di conseguire il mantenimento dell’ordine, per cui
l’aspetto volontaristico rimane sullo sfondo di una dimensione sociale
olistico–funzionale che connota la rappresentazione del sistema sulla
base del ben noto modello A.G.I.L. (op. cit.:86-104).
D’altra parte, si ritiene opportuno sottolineare che, la teoria dei sistemi sociali, affermatasi nel corso degli anni ‘70, pur affondando nel
funzionalismo parsonsiano le prime radici, se ne discosta moltissimo
grazie all’opera di Niklas Luhmann che si è dedicato, in molti suoi
scritti alla risoluzione dell’integrazione “sistema-ambiente”.
Tale modello possiede una natura interdisciplinare perché la sociologia sistemica l’ha quasi interamente importato da altre discipline; ad
esempio, lo schema sistemico -cibernetico, elaborato da Luhmann, è
intriso del teorema cibernetico della “requisite variety”, formalizzato
da W. R. Ashby.(Ashby, 1971).
La legge della varietà necessaria prova che un sistema è tanto più in
grado di realizzare il fine della propria sopravvivenza quanto più è capace di replicare, con risposte differenziate, l’accresciuta variabilità di
un ambiente “turbolento”. 2 . Per ambiente “turbolento” s’intende quello in cui i processi dinamici scaturiscono dall’ambiente stesso.
Nella concezione cibernetico-costruttivista, le relazioni tra sistema
ed ambiente anziché fondarsi sull’idea di uno scambio di informazioni
(sistema aperto) tra due entità, fanno riferimento allo schema dei sistemi chiusi autoreferenziali, dunque al concetto di autopoiesi; secondo tale concezione, a livello organizzativo, ogni sistema vivente opera
in condizioni di chiusura, senza mai entrare in diretto contatto con
l’ambiente. Infatti, questi sistemi interagiscono con il loro medium
2
Per approfondimenti: cfr. F. E. Emery, LA TEORIA DEI SISTEMI, F. Angeli ed., Milano
1980 (II edizione), p.268 ss.; Cfr. H.Maturana, F. Varala, AUTOPOIESI E COGNIZIONE,
Marsilio, Padova 1988.
20
Capitolo I
(ambiente) unicamente in base allo schema “perturbazionecompensazione”. Ciò diviene possibile solo se il sistema possiede
l’interna capacità di elevare la propria variabilità e complessità.
La concettualizzazione del sistema secondo l’approccio luhmanniano designa le relazioni che un certo insieme intrattiene con il proprio “ambiente”; quest’ultimo è tutto quanto non fa parte dell’insieme
chiamato sistema, con il quale esso mantiene rapporti di interazione
dinamica, ovvero di scambi di energia, di materia e di informazione
che sono necessari alla sua stessa sopravvivenza. In tal senso, complementare è il ruolo svolto dal “sistema” rispetto al suo “ambiente”,
mediante l’attribuzione di confini relativamente definiti (Milanaccio,
1990: 45-46).
A partire dagli anni ‘60, si data l’instaurazione “sperimentale” di
un inscindibile legame tra lo sviluppo e l’applicazione del concetto di
sistema all’analisi dei fenomeni sociali e l’avvento della teoria generale dei sistemi, di cui già erano noti gli intensi rapporti interdisciplinari
con la cibernetica, le scienze dell’organizzazione, la teoria
dell’informazione. Infatti, da questo momento in poi, la nozione di
“sistema” diventa facilmente applicabile a collettività di qualsiasi scala e dimensione: dai piccoli gruppi, come la famiglia, fino ad arrivare
ad unità sempre più vaste, come le società, le nazioni etc., ed offre, al
contempo, un linguaggio ed una tecnica di analisi omogenea.
I concetti di “status”, “norma sociale” e “ruolo” rappresentano,
senza ombra di dubbio, le coordinate oggettive della moderna teoria
sociologica. Tuttavia, il “ruolo”, quale complesso-coordinato di norme, non è che il primo livello dell’organizzazione sociale; a livello
superiore, è presente il “sistema sociale”, inteso come un insieme di
ruoli integrati tra loro. In base a quest’ultima definizione, possono essere considerati elementi di un sistema, le “azioni” compiute dai singoli individui e le loro correlazioni anziché gli individui stessi, intesi
nella loro integrità fisica e psichica; così come è considerato forma di
sistema sociale, l’agire condizionato di un gruppo di persone in virtù
della connotazione sociale in cui si identificano ed in base alla quale
strutturano i comportamenti attesi. Risulta evidente come il concetto sociologico di “ruolo” operi una
svolta essenziale inducendo ad intendere il rapporto “uomo-sistema
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 21
sociale” come un rapporto distanziato che, necessariamente, pone in
evidenza l’esigenza di una mediazione (Parsons, 1965).
In questi termini, tuttavia, sembra si escluda a priori l’opportunità
di immediatezza e spontaneità del rapporto uomo-sistema sociale e,
quindi, diviene oltremodo appropriato richiamare l’origine etimologica del termine ruolo: dal latino rotulus, rutula diminutivo di rota =
ruota, riferendosi al rotolo di pergamena su cui gli attori antichi leggevano la parte durante le rappresentazioni teatrali 3 .
Come allora, anche la società odierna, in quanto sistema di relazioni reciproche, richiama l’individuo ad un comportamento riflessivo e
simbolicamente mediato, risultante dalla capacità del singolo di rappresentare coerentemente la percezione di sé in relazione
all’immagine “riflessa” attraverso le aspettative dell’Altro.
Infatti, l’inclinazione ad agire in modo socialmente rilevante – al
fine di “conformarsi” per essere ri-conosciuto e, quindi, accettato –
comporta l’assimilazione da parte del soggetto del proprio ruolo sociale, a prescindere dalla effettiva potenziale aderenza al modello di riferimento. Tale apprendimento è, in realtà, solo in minima parte già presente nel suo codice genetico, donde la necessità di indurre i soggetti
ad accogliere, più o meno intenzionalmente, l’ordine culturale e normativo. Parsons concettualizza la categoria status-ruolo come “posizione del soggetto nel sistema sociale rispetto ad altri soggetti. “L’azione – scrive il sociologo statunitense- è nel sistema “agentesituazione”, un processo che ha un significato motivazionale per il
soggetto individuale, oppure nel caso di una collettività per gli indivi dui che la compongono” (Parsons, 1965).
Ciò equivale a dire che un’azione può dirsi “sociale” quando chi la
compie si rivolge coscientemente ad un altro soggetto, o ad una pluralità di soggetti, donde il considerare, nel proprio agire, la sua posizio3
Moreno, in particolare, fautore – nell’ambito della socioanalisi - del sociodramma, focalizza
l’attenzione sull’origine teatrale del ruolo: nell’antichità indicava un legno di forma cilindrica
su cui erano fissati fogli di pergamena. Il rotulus avrebbe facilitato la lettura di un documento,
svolgendolo man mano con la rotazione. Nel teatro classico greco e romano, le parti degli attori erano scritte su questi "rotoli" e lette da suggeritori. In questo modo, gli attori imparavano
le parti. Più tardi, nel teatro elisabettiano, le battute del personaggio erano scritte su fogli di
carta. Questo testo, il ruolo del personaggio, venne identificato con l’essenza della parte
dell’attore in scena.
22
Capitolo I
ne e le sue caratteristiche, anticipando, per certi versi, le reazioni del
soggetto o della collettività cui l’azione è riferita.
Dunque, l’azione sociale esprime un’intenzione, si dirige
all’adempimento di uno scopo, per il conseguimento del quale è necessario indurre un determinato “orientamento” nell’azione altrui.
Nella sfera sociale nessun soggetto agisce liberamente, sospinto dalle
sue motivazioni.
La moderna nozione di “inter-azione”consente il superamento di
talune idee dell’azione legate ad un’eccessiva relativizzazione del
concetto di equilibrio sociale. Quest’ultimo, posto in relazione al concetto di ordine, rappresenta l’esito complesso e precario delle forze
che compongono il sistema piuttosto che una generale condizione di
partenza.
Da un punto di vista teorico, dunque, l’azione diviene processo dinamico nel sistema costituito dall’agente e dalla situazione. Il carattere
precipuo dell’azione si evince proprio nel fatto che essa appartiene ad
un sistema di attese, connesse, a loro volta, ai diversi oggetti della situazione. “Un oggetto sociale – scrive Parsons – è un soggetto agente,
a sua volta suscettibile di essere un qualsiasi altro soggetto individuale, o il soggetto agente preso come punto di riferimento da parte di se
stesso, oppure una collettività considerata come un tutto unitario agli
scopi dell’analisi dell’orientamento. Gli oggetti fisici – continua il sociologo – sono unità empiriche che non interagiscono con l’ego, né gli
rispondono: essi sono mezzi e condizioni della sua azione. Gli oggetti
culturali – egli conclude – sono elementi simbolici della tradizione
culturale che vengono considerati dall’ego come oggetti situazionali e
non sono interiorizzati come elementi costitutivi della struttura della
sua personalità” (Parsons, 1965: 12).
A definire un siffatto sistema di azioni, si pongono, da un lato i “bisogni – disposizione”, costituiti dall’interazione agente-situazione,
dall’altro i “valori” socio-culturali su cui si fonda, presumibilmente,
l’azione altrui. Il suo approccio struttural-funzionalista pone come unità di base il
“sistema di bisogni-disposizione” del soggetto dell’azione.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 23
L’inserimento della personalità umana entro un sistema empiricamente concepito comporta un’opportuna riduzione della complessità,
mediante la creazione di categorie strutturali ad hoc.
Il sistema di bisogni sembra presenti due aspetti fondamentali:
quello del soddisfacimento, gratification aspect, e quello
dell’orientamento, orientational aspect. Lo studioso precisa il significato di entrambi: “Il primo riguarda il contenuto dello scambio con il
mondo oggettivo, il secondo concerne invece il come della sua relazione con il mondo oggettivo, cioè i modelli o i modi in cui sono organizzate le sue relazioni con esso” (Parsons, 1965: 14-15).
Alla luce delle asserzioni precedenti, nel sistema di azioni l’attore
sociale o soggetto, guidato da significati che scopre nel mondo esterno, si presenta come espressione di bisogni orientati ad uno scopo.
Nel sistema sociale invece, non è l’individuo agente ad essere oggetto di conoscenza, bensì l’insieme delle relazioni di interdipendenza
tra più elementi, diretto alla conservazione ed al mantenimento dei
propri confini di equilibrio, in rapporto sia all’ambiente esterno, sia alle forze che, nel suo interno, agiscono. Lo stesso Parsons definisce il
sistema sociale “un sistema di processi di interazione tra soggetti agenti” e poiché “la struttura delle relazioni tra i soggetti coinvolti nel
processo di interazione costituisce la struttura sociale”, il sistema sociale è una rete di tali relazioni (Parsons, 1965: 32). La sua teoria struttural-funzionalista, fornendo uno schema concettuale rigoroso, è assimilabile e generalizzabile all’analisi di qualsiasi
tipo di società. Le categorie di “struttura” e “funzione”, congiunte al
mantenimento del sistema, rispettivamente ricorrono: l’una allo scopo
di definire quella componente relativamente stabile che attiene
all’organizzazione del sistema, in relazione alla presenza di modelli
normativi e di scelte costanti; l’altra atta ad individuare i fattori stabilizzanti, elementi in base ai quali il sistema tende all’autoconservazione.
L’adattamento all’ambiente esterno, la realizzazione di scopi,
l’integrazione dei ruoli ed il mantenimento di strutture istituzionali latenti che padroneggino le tensioni interne, sono i requisiti necessari alla vita e all’equilibrio del sistema.
24
Capitolo I
Infatti, la struttura “sistema”, benché unitaria, consta di parti tra loro ordinate, donde la necessità di garantire la funzionalità della propria
struttura come anche il mantenimento dei propri confini.
Il particolare significato che Parsons attribuisce al valore
dell’“ordine” si evince soprattutto nel fatto che egli riconosce
l’essenzialità del compito svolto dai requisiti funzionali. Essi giovano
al sistema nella misura in cui ne favoriscono l’evoluzione secondo un
processo ordinato di mutamento. Di contro, un fenomeno diverso darebbe luogo alla dissoluzione del sistema, che si verifica allorquando
esso non sia più in grado di mantenere i propri confini.
Tale concezione è interamente ribaltata dalla teoria sistemicocibernetica, elaborata da Luhmann. Egli, infatti, attribuisce alla stabilità del sistema un significato dinamico, mediante la specificazione delle categorie analitiche di “sistema” ed “ambiente”. Rifiutando l’esistenza di una sostanza invariabile, Luhmann postula
una “invariabilità relativa della struttura sistemica e dei confini del
sistema di fronte ad un ambiente variabile” (Luhmann, 1983: 43). Ciò
equivale a dire che un sistema per sopravvivere deve aumentare la
propria complessità interna in modo corrispondente alla complessità
del suo ambiente. Irrinunciabile, in tal senso, risulta essere il requisito
della “variabilità” (Luhmann, 1983:3) che consente al sistema di reagire congruamente agli stimoli disordinati del suo ambiente,
l’imprevedibilità del quale mal si adegua all’inguaribile necessità della
società di conformarsi a strutture di valore, sicure ed equilibrate. Secondo Luhmann, dunque, il sistema è tanto più in grado di sopravvivere quanto più capace di rispondere, con una propria rinforzata
selettività, alla crescente variabilità e complessità del suo ambiente.
L’analisi dei sistemi sociali di Parsons ha un valore essenzialmente
teorico e, dovendosi svolgere ad un livello più ampio, richiede ricorso
ad un’unità di riferimento adeguata, che viene scorta non più
nell’“azione”, intesa come atto del singolo agente sulla base del proprio sistema di bisogni, bensì nella nozione di “status-ruolo”.
Lo status definisce la posizione che un soggetto occupa nell’ambito
di un sistema di relazioni considerato come struttura. Il ruolo si riferisce a ciò che il soggetto compie nelle sue relazioni con gli altri ed è
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 25
proprio di un certo status, indipendentemente dalla personalità
dell’individuo stesso. Dal punto di vista del soggetto che agisce, ogni ruolo, come insieme di atti ricorrenti, rappresenta aspettative normative cui l’agente deve conformarsi.
Esempio: io sono una consulente H.R. (nella società, in quanto
consulente, mi è assegnata una certa posizione, indipendentemente dal
fatto che io sia una brava consulente o meno o che sia più o meno
simpatica, ecc.) e mi comporto, nella mia professione di consulente, in
un certo modo, cioè esercito il mio ruolo (io terrò nei confronti dei
miei clienti un certo comportamento – da consulente -; i mie clienti (in
quanto clienti e, dunque, a prescindere dalla loro personalità individuale), dal canto loro, si aspettano che io tenga quel certo comportamento, legato alla professione di consulente). La reciprocità delle aspettative (ego-alter) si fonda sulla rispettiva capacità di “confermarsi” secondo una visione sanzionatoria del comportamento interattivo che
diventa “istituzionale”.
Parsons scrive che “la condizione fondamentale di stabilità di un
sistema di inter-azione è che questo sia vincolato nell’interesse dei
soggetti agenti, a conformarsi a un sistema condiviso di orientamento
di valore” (Luhmann, 1983:44)
Da qui, emerge, piuttosto chiaramente, che personalità e sistema
sociale hanno in comune quei modi di orientamento culturale che attengono al sistema di credenze di valori, di norme e di istituzioni, in
grado di produrre consenso e controllo nell’agire del soggetto ed i ruoli rappresentano i mezzi attraverso cui i valori culturali divengono azioni.
Alla luce di tale orientamento, l’individuo “socializzato” tende ad
uniformare il proprio comportamento in riferimento a quei criteri di
valore da lui interiorizzati.
E’importante precisare che, in questa prospettiva, l’osservanza dei
valori socialmente rilevanti da parte del singolo rappresenta una grati-
26
Capitolo I
ficazione dei suoi bisogni e, al tempo stesso, il riconoscimento favorevole che gli altri membri del sistema rivolgono alle sue azioni 4 .
Pertanto, secondo tale visione, l’effettivo oggetto di studio diventa
l’espressività culturale nascente dall’incontro-scontro dei comportamenti ego-alter del sistema sociale così determinato. In tal senso, Parsons definisce la cultura “un sistema simbolico funzionante
nell’ambito di un’interazione”. “Un sistema simbolico di significati” è un elemento di ordine imposto alla situazione reale. Anche la comunicazione più elementare è
impossibile senza un minimo di conformità alle “convenzioni” del sistema simbolico (Parsons, 1965) perché soltanto attraverso il riconoscimento del carattere normativo dell’orientamento dell’azione, i valori culturali acquistano legittimità. In tale prospettiva, la differenziazione della pluralità dei sistemi
trova risoluzione nell’alternativa di ruoli che si presentano al soggetto
agente; tali alternative sono le “variabili strutturali”.
Le coppie di variabili concepite da Parsons sono riducibili a cinque: affettività-neutralità; orientamento in vista della collettività- in
vista dell’ego; diffusione - specificazione; particolarismo - universalismo; attribuzione - realizzazione. (Parsons, 1965:108)
La prima alternativa attiene al dilemma affettività/neutralità affettiva e, quindi, riguarda la disciplina del soggetto in senso stretto, in
quanto pone la scelta tra un’azione affettiva, cui è connessa la ricerca
di una gratificazione immediata ed un’altra affettivamente neutrale
che, invece, comporta un soddisfacimento differito, in vista delle possibili conseguenze. La seconda alternativa pone il dilemma tra un
comportamento in vista dell’ego ed uno in considerazione della collettività (conflitto interesse personale o collettivo). Con ciò, però, Parsons non intende che la scelta debba avvenire tra un atteggiamento
egoistico ed un altro altruistico, poiché l’attore sociale differenzia il
proprio comportamento in base a criteri istituzionalmente riconosciuti.
Un comportamento in vista dell’ego appartiene alla sfera degli interessi privati nella misura in cui non coincide con quelli condivisi dagli
4
Preme sottolineare che l’excursus teorico così dettagliatamente descritto rappresenta lo scenario di sfondo su cui successivamente poter collocare l’analisi de diversity management come espressione di un agire individuale in una dimensione di feedback collettivo.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 27
altri membri della collettività. Tuttavia, ciò non esclude che un determinato ruolo, pur non riconoscendo legittimo il perseguimento di interessi privati entro certe aree, obblighi il soggetto agente alla realizzazione di altrettanti interessi collettivi.
La distinzione tra orientamento specifico ed orientamento diffuso si
attualizza mediante la delimitazione dell’interesse che conduce
all’analisi solo di alcuni aspetti dell’oggetto oppure alla sua totalità;
per cui, l’agente deve scegliere se mantenersi in una dimensione rigidamente limitata, ritenendo rilevanti le sole richieste dell’oggetto con
cui è in relazione, oppure conferire alla sua azione un’importanza più
diffusa. Se la scelta “specificità-diffusione” definisce la portata
dell’interesse all’oggetto, l’alternativa “realizzazione-attribuzione” attiene alle modalità di opzione, in base alle quali il soggetto sceglie
l’oggetto sociale se in base alla discrezionalità produttiva dello stesso
ovvero alle sue qualità intrinseche. Infine, la quinta variabile suggerisce due diversi criteri di orientamento di valore: universalismoparticolarismo, a seconda se la considerazione dell’oggetto con cui
entra in rapporto rimane a livello della sua singolarità oppure si focalizza sull’amplificazione dei tratti che lo rendono comune ad un’intera
categoria.
Parsons aggiunge che tali variabili strutturali non si combinano tra
loro in modo puramente casuale, ma seguendo certe regole in quanto
esse devono integrarsi in un sistema che abbia un grado di coerenza
tale da permettere il suo mantenersi nel tempo: cioè, affinché un sistema sussista è necessario che siano adempiuti alcuni requisiti funzionali. Ad esempio, affinché un sistema come la famiglia si perpetui
è necessario che i ruoli siano affettivi, particolaristici, diffusi, attributivi; in una azienda saranno universalistici, diffusi, realizzativi, specifici.
La moderna società industriale è costituita da un sistema di ruoli
universalistici, neutrali, realizzativi, specifici.
La conclusione teorica di Parsons è che ogni sistema sociale, per
sussistere, deve risolvere un fondamentale problema funzionale, definito come il problema dell’assegnazione che ha tre aspetti:
l’assegnazione del personale (dei soggetti agenti tra i ruoli);
28
Capitolo I
l’assegnazione delle risorse; l’assegnazione delle ricompense (Izzo,
1994).
L’esposizione dello schema delle pattern-variables persegue proprio la finalità di rappresentare quelle modalità comuni di comportamento, con cui è possibile operare nel senso di una differenziazione
delle alternative: l’agente non solo si orienta nella situazione in cui
viene a trovarsi, ma è anche messo in grado di scegliere tra le possibili
alternative della sua posizione. Laddove la scelta di alternative sia in
contrasto con quelle aspettative uniformemente riconosciute e vada
contro gli interessi perseguiti in riferimenti a modelli codificati, le
pattern-variables consentono di individuare eventuali alterazioni.
Tuttavia, si ritiene doveroso sottolineare, a questo punto
dell’analisi, che il vero limite della teoria parsonsiana è insito, proprio,
nel carattere esasperatamente descrittivo, condotto dal sociologo fino
alle estreme conseguenze.
Sebbene si colga una vena volontaristica e soggettiva che sottende
l’intera sua theory construction, l’individuo appare sempre come centro di energie ed istanze tendenzialmente generalizzate e distruttive,
donde la necessità di costringerlo all’adattamento ed all’integrazione
entro strutture e modelli culturali pre-codificati, orientati al determinismo ed all’invariabilità.
Ciò esclude automaticamente l’opportunità di cambiamento e,
quindi, la presa in considerazione di eventuali comportamenti “in apparenza” disfunzionali, la cui emersione potrebbe essere, al contrario,
funzionale all’evoluzione del sistema, anche se una conditio sine qua
non è rappresentata proprio dal passaggio obbligato nella temporanea
fase di disintegrazione e di relativo superamento del modello sistemico preesistente 5 .
Tale riflessione segna la linea di confine tra la concezione sistemica
di Parsons e quella di Luhmann.
Quest’ultimo descrive il sistema sociale come una rete di comunicazioni autonome, rispetto alle singole persone o ai diretti rapporti interpersonali, in cui è impensabile – nel tentativo di presentificare
5
Cfr. per approfondimenti “Teoria di medio raggio e della devianza” di R. K. Merton; in particolare, vedasi il concetto di anomia inteso come mancata integrazione tra la struttura che
definisce status e ruoli,e la cultura, che indica le mete da raggiungere e le norme da seguire
per raggiungere tali mete.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 29
l’oggettività degli elementi, secondo la visione parsonsiana - ipotizzare una “assenza/evitamento” del rinnovamento in tutte le sue forme. Si
sottolinea che nel linguaggio luhmanniano, il concetto di forma indica
una bipartizione, secondo la quale: “le parti della forma del “senso”
sono: realtà e possibilità, oppure, in considerazione del suo operativo,
attualità e potenzialità”. Ecco allora anche come la teoria di Luhmann cede il passo alla
concettualizzazione del “senso” inteso come “forma” attraverso cui è
possibile la rappresentazione della complessità. Il senso, in particolare, funge così da riduttore di complessità per
tutti quegli aspetti riferiti alla natura, al mondo, alle esperienze, alle
azioni, all’identità soggettiva, nonché ai più disparati sistemi sociali. Tale funzione si esplica non solo nelle codificazioni del senso già
esistenti ma, soprattutto, nel suo stesso autocostituirsi: “tutte le altre
forme che in tali sistemi possono attivare osservazione e descrizione
partecipano a questa forma del senso; e infatti esse presuppongono,
come abbiamo già detto, la forma a due parti, nella quale entrambe le
parti sono date contemporaneamente ma, come possiamo dire adesso:
una nella modalità attualizzata; l’altra nella modalità potenzializzata”(Luhmann, De Giorgi, 1992:44-45).
Inoltre, anche se la riduzione di complessità operata dal senso rende possibile la selezione di esperienza ed azioni, poiché non annulla,
ma conserva le alternative non attualizzate, i criteri di selettività utilizzati sono del tutto arbitrari, in quanto non riconducibili a fondamenti
oggettivi di verità e di realtà.
Come già tempo addietro Weber, anche Luhmann tenta di ricostruire cognitivamente le operazioni di “senso”, riconnettendole alla dimensione personale intersoggettiva e, al tempo stesso, sistemica; un
viaggio esplorativo periglioso – condotto fino ai limiti del comprensibile – verso l’ipotetica interpenetrazione dei processi selettivi del senso; tale azione conoscitiva, da un lato, consente l’identificazione dei
soggetti e dei sistemi sociali, dall’altro regola i processi interattivi e
comunicativi, stabilendo, così, costanti connessioni tra le diverse aspettative del sistema.
Sulla scorta di questa potenziale sistematizzazione, quale tipo di dialogo si instaura tra il sistema ed il suo ambiente?
30
Capitolo I
Nella ricerca incessante di una qualche forma di adattabilità del sistema rispetto all’ambiente di appartenenza, la teoria sistemicocibernetica di Luhmann suggerisce la strutturazione di insiemi socioculturali, capaci di auto-organizzarsi perché guidati da una idealizzata
filosofia-guida che li proietta nella conquista della loro autosufficienza, anche a dispetto di una effettiva chiusura autoriflessiva nei confronti dell’ambiente esterno.
Infatti, come già in precedenza sottolineato, negli studi condotti da
scienziati di formazione biologo-cibernetica, l’ambiente svolge
un’azione perturbante nei confronti del sistema che effettua continui
controlli nel perenne tentativo di internalizzare spazi di ambiente esterno sempre più ampi.
Ormai abbandonata l’illusione parsonsiana dell’identificazione di
un unico sistema sociale, si protende verso una visione sociologica
onnicomprensiva che pone in relazione coordinata sistema sociale, organizzazione e confini comportamentali dei singoli individui che diventano così – nell’immaginario collettivo – parte integrante di una
complessità sistemica che può essere “letta” esclusivamente attraverso
il veicolo comunicativo.
In quest’ottica, l’insieme dei ruoli, delle istituzioni e delle relazioni
sociali che costituiscono i sistemi, diventano elementi disgiunti rispetto alle persone – non più considerate componenti rappresentative del
sistema nella sua globalità (superamento della validità del principio
della reductio ad unum) - che ne sono portatrici.
La grande innovazione della teoria dei sociosistemi complessi si
fonda sulla capacità del sistema di mantenere integra e inalterata la
propria identità autoriflessiva e autoproduttiva, nonostante i continui
attacchi dell’ambiente.
Grazie ai fenomeni dell’autopoiesi e della autoreferenzialità, il sistema si apre all’esterno verso l’ambiente ma – come una finestra sul
mondo – mantiene una visione autonoma ed è impenetrabile nel suo
nucleo interno di riproduzione; tale semi-apertura spiega la relazione
conflittuale sistema/ambiente e, soprattutto, mette in evidenza che
l’esigenza di chiusura autoriflessiva ha in sostanza una funzione evolutiva a vantaggio del sistema stesso.
Pertanto, è proprio l’inesauribile bisogno di elaborazione riflessiva,
di risposte differenziate sempre più autonome rispetto agli inputs am-
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 31
bientali, che impone al sistema la sua autopoiesi, dalla quale dipende
la sua sopravvivenza, nonché la stessa capacità di non ancorarsi ad un
assetto rigidamente vincolante.
Ciò comporta l’esigenza imprescindibile di generalizzazioni delle
aspettative del sistema, poiché soltanto acquisendo una sorta di “libertas indifferentiae” dai limiti posti dall’ambiente, il sistema si garantisce ampi margini di libertà e capacità autoriproduttiva, tali da consentirgli di reagire congruamente a ciò che viene posto in termini di complessità del mondo (Cesareo, 1987:72).
D’altra parte, l’autonomia contestuale del sistema rispetto
all’ambiente spinge al massimo grado la selettività guidata dal senso
che diviene la chiave di volta della comprensione della realtà sociale
perché capace di creare i legami complessi esistenti tra aspettative, esperienze ed azioni e rendere stabili forme già sperimentate dalla sua
stessa selezione. Ciò comporta – di riflesso - la necessaria dissociazione tra senso soggettivo proprio della coscienza individuale e senso
sistemico dotato di autonomia referenziale. Tuttavia, la traslazione del
concetto di senso dal soggetto-persona al soggetto-sistema sociale è
fonte di non poche perplessità anche perché lascia irrisolta la presenza
della dimensione soggettiva (dall’agire intenzionale di derivazione
weberiana ai caratteri di intersoggettività e relazionalità) all’interno
del senso sistemico.
D’altronde, è lo stesso Luhmann a ritenere che la riduzione di complessità operata dal senso dà luogo ad un’inesauribile serie di operazioni in cui la selettività autoreferenziale dei sistemi socio-complessi è
assolutamente arbitraria ed imprevedibile e, comunque, in nessun modo riconducibile a schemi fissi o a criteri oggettivi di verità 6 .
Nonostante l’indeterminatezza, il senso conserva la propria identità
duale: soggettiva e sociale, continuando da un lato ad operare nelle
sue forme codificate che identificano i soggetti e i sistemi sociali e,
dall’altro, nella sua funzione base di riduzione di complessità, a garanzia della continuità dell’esperire e dell’agire vivente. Quest’ultimo
6
Luhmann deriva da Parsons il concetto di “doppia contingenza”. La sua interpretazione è più
husserliana che parsonsiana: “Ogni esperienza vissuta e ogni agire è doppiamente contingente
per il fatto che dipende non solamente da me, ma anche dall’altro, il quale deve essere concepito da me come alter ego, cioè come altrettanto libero e mutevole quanto lo sono io” Cfr. N.
Luhmann, Stato Di Diritto E Sistema Sociale, Guida, Napoli 1978, cit. p. 40.
32
Capitolo I
è, infatti, il risultato di una generalizzazione delle aspettative del comportamento che viene ad essere determinato in base a schemi strutturali stabiliti in anticipo sia nei termini di comportamenti prevedibili sia
di azioni individuali escluse dal sistema per la loro incompatibilità.
Secondo Luhmann, il sistema risponde in modo adattivo, reagendo
al mutare delle condizioni degli eventi e cercando di mantenere invariata la propria struttura (Luhmann, 1983).
L’adattamento – key-word della predetta visione sistemica – è strettamente connesso all’attribuzione di senso con cui il sistema coglie e
seleziona con cura le informazioni provenienti dalle diverse opportunità esperienziali offerte dall’ambiente.
In tal senso, la complessità è direttamente proporzionale alla quantità di informazioni da selezionare ed elaborare cognitivamente.
E’ fondamentale sottolineare che, secondo questa visione, i sistemi
organizzativi, definiti dallo stesso autore sistemi sociali complessi si
presentino come realtà respingenti le variabili affettive – tipiche delle
microcomunità – perché inadatte ad innescare meccanismi riduttivi
della complessità dell’ambiente e, quindi, “inutili” per la sopravvivenza del sistema stesso.
Tradotto in termini aziendali, ciò significherebbe che gli individui
impiegati in un qualsiasi contesto organizzativo – cioè un sistema sociale complesso – collaborano alla sua conservazione ed evoluzione
senza avere reale cognizione dei fini e delle strategie che caratterizzano processi di questa specifica realtà aziendale (Luhmann, 1983).
Inoltre, l’individuo-persona, posto di fronte al mondo di opportunità offerte dalla complessità, acquista un proprio senso nella potenziale
comprensione della contingenza che caratterizza le eventuali possibilità attese; queste ultime, infatti, possono anche differire e, quindi, in tal
caso, la contingenza diventa sinonimo di “diversità”, rischio di delusione e compromissione nel rischio 7 .
Di fronte a tale situazione di apparente incertezza, di dubbio amletico del processo selettivo, l’unica soluzione esperibile è
nell’acquisizione di un efficace bagaglio informativo teso al mantenimento globale della relazione sistema-mondo.
7
Questo argomento sarà oggetto di maggiore approfondimento nei paragrafi successivi del
medesimo capitolo.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 33
Pertanto, il valore dell’informazione perdura nella selettività
dell’evento comunicato e nell’effetto sorpresa insito nell’informazione
stessa, il cui contenuto può differenziarsi rispetto al bisogno atteso.
L’etichetta di relatività su cui si fonda il concetto di informazione,
è il fiore all’occhiello dell’evento comunicativo in cui l’informazione
stessa viene vista come ”messa in comune” del medesimo sviluppo di
senso tra più partecipanti che interiorizzano “diversamente” il contenuto informativo poiché i soggetti sono riconosciuti come portatori
singoli di vissuti di esperienza, differenti saranno le “diverse sorprese
reciproche” ( Luhmann, Habermas, 1973:24-25).
Ecco che lo scambio interattivo acquista le sembianze del teatro
della doppia-contigenza propria dell’esperienza, intesa come spazio
vivente condiviso da me e l’altro – inteso come alter ego - parimenti
libero, lunatico, esigente nell’esplicitazione ed appagamento delle sue
aspettative.
Dunque, l’improbabilità comunicativa è “banalmente” legata al
modus soddisfacendi di alcuni requisiti selettivi – quali appunto
l’informazione, l’atto del comunicare e la comprensione – che possono, in tal modo, assicurarne l’evento e, soprattutto, co-definire ciò che
diventa “possibile” come mondo.
Secondo tale orientamento, il processo comunicativo ha luogo sia
attraverso l’utilizzo dell’espressione verbale – linguaggio come rinforzo specialistico –, sia attraverso la lettura essenziale della prossemica in generale e del non-verbale in particolare.
Infatti, il focus non è l’azione linguistica, piuttosto la situazione del
destinatario nell’atto del comunicare, cioè di colui che osserva colui
che compie sia l’espressione verbale sia il gesto specifico. Ciò introduce la potenzialità del “codice binario” inteso come compresenza di
positività/negatività (in senso circolare rifiuto/accettazione) di ciò che
viene detto con le parole 8 .
Da un punto di vista temporale, la “possibilità” comunicativa è legata alla dimensione unica del presente, condizione in cui l’individuo
8
Tale aspetto sarà ripreso nel secondo capitolo dedicato al senso/significato da attribuire alla
pragmatica della comunicazione relativa ad eventuali “abusi” intenzionali o non-intenzionali,
all’interno delle dinamiche di gruppo in ambito aziendale.
34
Capitolo I
può acquisire una qualche forma di sicurezza giacché solo hic et nunc
è evidente, pienamente valido e senza altra possibilità.
Al contrario, l’eventuale rapportarsi al futuro è pensabile nell’ottica
di una proiezione individuale del sé in una concezione esistenziale
dell’eterna “attesa” o del dopo di sé.
L’autore tedesco pone, quindi, alla base della socialità il concetto di
“attesa”: la persona che attende anche secondo l’esperienza vissuta riferita al senso – prende in considerazione le attese nutrite da un Altro,
a lui riferite. L’”attesa di attese” è funzionale alla gestione dei confronti (dando origine alla cooperazione) e all’eventuale contenimento
di situazioni interattive di tipo conflittuale.
Interessante, poi, comprendere come la processualità conoscitiva
che strutturiamo (nel tempo) delle persone, delle loro qualità, delle loro abitudini e/o preferenze consenta di costituire delle “sintesi di attese” su cui orientare il nostro comportamento in vista del riconoscimento di ciò che Luhmann definisce il “diritto ad ipotesi”: insieme di
regole e tipi di senso nei quali si possono presupporre corrispondenti
modelli di attesa (ad esempio, è condiviso che non sia usuale fare una
visita di cortesia alle due di notte).
Nel caso in cui si verifichi un’assenza di reciprocità e, quindi, non
c’è una sintonica corrispondenza semantica, l’interlocutore, normativamente non in linea, si trova di fronte ad un doppia possibilità: esplicitare di “pensarla diversamente” o sopportare l’onore dell’iniziativa e
dell’argomentazione; ciò perché “la colpa della discrepanza viene attribuita a lui e non chi attende in modo conforme il senso” (Luhmann,
Habermas, 1973: 42-43).
Naturalmente, l’umana natura è esposta – nonostante l’orizzonte di
senso così apparentemente ben delineato – alla delusione delle attese,
per le quali, tuttavia, dispone di una base comportamentale su cui fare
affidamento nel momento del bisogno.
Da quanto detto, si evince come l’autore si discosti, nel suo concetto di comunicazione, dal tradizionale senso etimologico di communicatio, inteso come produrre “comunanza” dell’esperienza interna. Per
Luhmann, insomma, il concetto di media della comunicazione spiega
in che modo, sul fondamento della comunicazione, si rende possibile
ciò che è improbabile (Luhmann, De Giorgi, 1996).
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 35
Tale concettualizzazione riportata all’interno del guscio aziendale
analizza e rappresenta come, in realtà complesse, evolvono “non doveri di consenso ma media della comunicazione simbolicamente generalizzati” (op. cit.: 76).
Ciò significa che di fronte alla inconciliabilità del rapporto determinato/indeterminato – così come testimoniato dalla teoria luhmanniana – i sistemi hanno l’esigenza di mantenersi aperti alle possibilità
evenienti, senza assolutizzare le proprie forme pre-costituite.
1.3
L’Approccio psicologico: una possibile co-costruzione di
senso
La riscoperta e “rinforzata” funzionalità del sistema aperto, come
conditio universale della espressività individuale e collettiva, riporta il
dibattito epistemologico sul senso personologico che la condizione sistemica acquista nell’universo dominato dalla complessità. Accanto al
modello matematico formale proposto da Ludwing von Bertalanffy,
prende forma la visione sperimentale dell’antropologo scienziato Gregory Bateson che utilizzò la teoria dei sistemi in tutti i campi di studio
sviluppati nel suo centro di ricerca al Veterans Administration Hospital di Palo Alto 9 .
Dal suo punto di vista, una prima forma di sistema è quella della
comunicazione che si stabilisce nel momento in cui due partner comprendono di essere entrati in un “campo di coscienza reciproco”,
all’interno del quale, l’osservatore è parte integrante degli scambi vicendevoli agiti da ciascun partecipante, in base al tipo di ruolo assegnato. Il ruolo-ponte dell’osservatore modifica la dinamica interattiva
in termini soggettivi perché ne condivide coerenze e contraddizioni.
Infatti, secondo lo scienziato, quando un soggetto pone
9
Gregory Bateson (1904-1980) Antropologo, sociologo, filosofo, cibernetico, è stato uno dei
più importanti studiosi di Organizzazione Sociale, ha contribuito ad elaborare la scienza cibernetica, ha reintrodotto il concetto di “mente” – in opposizione agli scienziati che cercavano
di ridurre ogni cosa alla pura realtà osservabile – all’interno di equazioni scientifiche che testimoniassero il legame inscindibile tra Mente e Realtà.
Per approfondimenti, G Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, Edizione
2001
36
Capitolo I
all’interlocutore una domanda “paradossale” – cioè fondante su termini contradditori che comportano l’impossibilità di soddisfare l’uno
senza contravvenire all’altro - l’atto comunicativo rimane “imbrigliato” in una condizione di scambievole incomprensione e di inerzia relazionale, creando nell’interlocutore un’”ambivalenza” emotiva generatrice spesso di ansia inibitoria. 10
Tale situazione interattiva potrebbe trovare una possibile “via di
scampo” nella potenziale modifica di parte della punteggiatura delle
sequenze comunicative che si concretizza nella capacità della diade di
apprendere a metacomunicare (Watzlawick, Beavn, Jackson, 1971).
Da un punto di vista tecnico, la metacomunicazione è un’abilità
manageriale che consente di riorganizzare, in chiave negoziale,
l’essenza propria del discorso e riproporre lo stesso scambio, secondo
una nuova linea comunicativa completamente differente in termini di
iniziative interattive e di modalità espressivo-relazionali.
Pertanto, da un punto di vista sistemico-relazionale, diviene opportuno introdurre il concetto di cambiamento come leva che modifichi il
sistema stesso perché conduce all’acquisizione di uno stato completamente diverso dal precedente. Si tratta di un “metacambiamento” cioè
un cambiamento del cambiamento di cui Aristotele negava l’esistenza
perché disconfermante il principio sillogistico e che Eraclito aveva, in
qualche misura, intuito introducendo la filosofia del panta rei e
dell’impossibilità, quindi, di immergersi due volte nella medesima acqua di un fiume (Laurenti, 1969).
La condizione paradossale sembra essere identificativa del divenire
e, quindi, ogni tipo di mutamento sia esso individuale, di gruppo o sistemico, si caratterizza per una natura contraddittoria che, in quanto
tale, è sostanza stessa della realtà.
Il binomio realtà-cambiamento vede la prima, impegnata
nell’irrigidimento strutturale degli elementi costitutivi e, il secondo, in
perenne lotta per l’affermazione valoriale della sua capacità proiettiva
e predittiva.
Ciò significa che la persistenza è una fuga dalla realtà, nella misura in cui, temendo di non ripristinare l’equilibrio abituale faticosamen10
Vedasi il concetto di ingiunzione paradossale (double bind) in G. Bateson, Verso
un’ecologia della mente, op.cit., pp. 254-264
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 37
te creato all’interno del sistema, si adottano modalità interattive entropiche e conservative.
Si spiega così perché, soprattutto in realtà aziendali, il cambiamento può essere vissuto individualmente – ai diversi livelli – come un
“lutto” o una “perdita”: inconsciamente le Persone, componenti il Sistema, vi si oppongono perché lo percepiscono e lo vivono come una
“rottura” oppure un “salto logico” incomprensibile a cui sono relativamente impreparati.
L’atteggiamento di resistenza al cambiamento è noto per essere
particolarmente presente nei dipendenti delle istituzioni pubbliche.
Nella pratica, tale aspetto si traduce nella attivazione di comportamenti oppositivi ovvero nella manifestazione di espressioni conflittuali rispetto ad un’eventuale presa di decisione in linea con il cambiamento oggetto di contestazione, perché risultante apparentemente illogico e/o paradossale (P. Watzlawick, J.H. Weakland, R. Fish, 1974).
Questo aspetto è il capisaldo della relazione altalenante individuosistema che identifica il primo come un microsistema nel Sistema 11 .
Avendo abbandonato ormai da tempo l’idea dell’Azienda come un
sistema chiuso, indipendente dall’ambiente, per cui si tendeva ad analizzare la maggior parte dei problemi e/o potenziali mutamenti in riferimento unicamente alle sue componenti interne, la concezione di sistema aperto socio-tecnico, al contrario, tiene conto proprio
dell’influenza evolutiva di questo ambiente nel tempo.
Per cui, come accade per l’organismo in biologia – è noto che una
cellula si modifica e prende forma in funzione dell’adattamento al sistema – anche l’Azienda, a livello macro e l’individuo, a livello micro,
si “adattano” al contesto di riferimento e, quindi, cercano di rispondere efficacemente alle richieste dell’ambiente esterno.
Ad esempio, per offrire qualche tipo di utilizzo di sistema aperto
nel campo della gestione, si può “ prendere a prestito” la descrizione
di Schoerbeck relativa all’ausilio di alcuni strumenti: le simulazioni di
equilibrio tra acquisti e vendite per le quali si stima l’evoluzione nel
futuro, a partire da statistiche stagionali, al fine di gestire gli stock, regione per regione.
11
La complessità della relazione individuo- Azienda sarà oggetto di particolare riflessione nel
secondo capitolo
38
Capitolo I
Per quanto concerne i sistemi informativi aziendali, essi hanno la
funzione di combinare i dati provenienti dai punti vendita, dalle fabbriche, dai magazzini, dal controllo di gestione, dalla gestione del personale etc.. tenendo conto dell’evoluzione sia del mercato nel ramo
industriale di riferimento, sia dell’ambiente sociale, politico ed economico (Schoerbeck , 1967).
Inoltre, da un punto di vista psicologico, i sistemi aperti sociotecnici, riconoscendo all’ambiente esterno un’importanza notevole, direttamente proporzionale al grado di complessità evolutiva, richiedono
all’individuo – sottosistema del Sistema - una capacità adattivocomportamentale flessibile, un’efficiente polivalenza e, soprattutto,
una maggiore coesione relazionale.
L’agenticità dell’individuo, così riconosciuta, esprime l’impegno
della soggettività, leva distintiva della personalità dinamicamente analizzata e strutturata: il Singolo, persona agente e sistema di se stesso, è
anche parte di un sistema collettivo che acquista significato nella coesione dell’azione condivisa.
Infatti, in base allo studio di Trist, Higin, Murray e Pollock (1963)
rivolto all’analisi del gruppo semi-autonomo dei minatori inglesi, è
possibile affermare che: “un’unità di lavoro è un sistema aperto che
comprende un insieme tecnico ed un insieme sociale”.
Secondo tale definizione, è determinante, per la riuscita del sistema, scegliere un modus organizandi adatto alla natura dei problemi
tecnici riscontrati ed alla cultura dell’insieme sociale coinvolto. Difatti, nell’esempio su indicato, i minatori inglesi, collocati in una situazione lavorativa altamente pericolosa, accompagnata dall’introduzione
di una nuova tecnologia sofisticata, attivano inconsapevolmente un
problem solving di gruppo, abbandonando totalmente il tradizionale
sistema organizzativo del lavoro (visione tayloristica del singolo rispetto al posto assegnato).
In sostanza, sperimentano una “nuova” organizzazione di “lavoro
di gruppo” sulla base di un utilizzo modificato del principio culturale
tradizionale del mutuo-aiuto, si dividono il lavoro in modo polivalente
e prendono le decisioni in comune, senza l’aiuto dei capi-squadra.
Ciò testimonia che un’inversione completa rispetto al modus organizandi conosciuto e praticato, pur rappresentando una sorta di “rottura”, in realtà, consente sia la sopravvivenza sia la crescita del sistema..
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 39
In effetti, è nella specularità della dimensione collettiva, propria del
piccolo gruppo, che il sistema-individuo trova massima espressione
per la sopravvivenza e la ristrutturazione del suo equilibrio.
Il singolo, infatti, riesce a superare, all’interno del gruppo, l’iniziale
percezione di “incapacità” personale che prova in conseguenza della
non immediata gestione di situazioni o condizioni del tutto nuove.
Quale allora il posto da assegnare all’attribuzione qualitativa della
introspezione individuale nel microregno aziendale della perpetua
contingenza?
Il recupero della soggettività può possedere un senso solo se finalizzato al superamento delle risonanze individuali e alla traduzione
contestualizzata di un agire produttivo.
Secondo una lettura fenomenologica, in particolare, il soggetto, intenzionato e complesso, diventa lo strumento privilegiato per conoscere, analizzare e collocare gli accadimenti e le spiegazioni causali che
contraddistinguono specifiche realtà.
L’imprevedibilità espressiva della Risorsa testimonia, infatti, la
continua scoperta di aspetti e processi che caratterizzano la routinarietà di un’identità collettiva in cui la singolarità prende forma fino ad
essere interamente inglobata.
Il soggetto, soprattutto in Azienda, è compreso secondo il ruolo di
attore/agente identificato e, anche in base alla qualifica di “autore”,
dotato di responsabilità, iscritta in un tempo definito e circoscritta in
un specifico contesto, in cui la posizione ricoperta si esprime.
Tuttavia, l’abilità dell’attore consiste proprio nella capacità di riconoscersi e nella progettualità del ruolo attraverso cui prende forma
l’intero percorso esperienziale professionalmente costruito. Inoltre, è
bene precisare, si tratta di una condizione di vissuto “personale” che
segue una apparente linearità prospettica, costituita da costanti up e
down che spiegano la ricerca di unità e continuità della soggettività.
D’altronde, sebbene l’inconscio sia, in ambito aziendale, volutamente un universo “inesplorato”, eppur vero che il comportamento agito sussiste come risultante di stati di coscienza, in cui possono prevalere dimensioni affettive e immaginarie che – a piccole dosi – “colo-
40
Capitolo I
rano” e diversificano l’interpretazione individuale della realtà di riferimento 12 .
Tale costruzione si perpetua e si realizza attraverso la definizione
della identità personale in cui il soggetto appare permanere, nel tentativo incessante di offrire una rappresentazione – seppur fragile – di sé,
inteso come unicum, continuo ed in quanto tale riconosciuto.
Il riconoscimento proveniente dall’Alterità incontrata, nella dimensione interattiva e/o interpersonale, attiva l’esigenza di azioni e movimenti finalizzati alla concretizzazione del proprio essere e del proprio
manifestarsi.
La prospettiva dinamica del bisogno di accettazione individuale
della dimensione soggettiva pone la riflessione analitica nell’ottica di
eseguire i passi costitutivi della ricerca di senso.
Quest’ultimo è l’oggetto del “desiderio” verso cui mira ogni azione
“energetica” della Persona che persegue continuamente la propria unitarietà. Il tipo di costruzione singolare così descritta trae origine dalla
concezione freudiana di “tensione” intesa proprio come forza istintuale che caratterizza l’espressività dell’individuo, chiarisce la direzionalità pulsionale dei suoi desiderata e, soprattutto, lo sostiene nel “bello
e cattivo tempo” del suo percepire, per apprendere a districarsi tra gratificazione intensa, inibita o ritardata.
Si ritiene doveroso tale richiamo psicanalitico, al fine di spiegare la
funzione svolta dall’incontro con l’Alterità in termini di perdita di onnipotenza. E’attraverso il superamento dell’illusione, della contraddizione di sé, testimoniata dal confronto con l’Altro, dal disconoscimento e dalla disconferma che il sistema-persona trova e verifica le diverse soluzione del proprio rebus esistenziale.
Tuttavia, la sperimentazione dell’equilibrio faticosamente costruito
è dinamicamente influenzata dalla perenne comunicazione con
l’esterno; così il sistema individuale potrebbe essere spesso impegnato
in una lotta tra sé e la realizzazione concreta di sé, ovvero dilaniato da
desideri irrisolti, mancanze ed angosce che “fanno capolino” nella
quotidianità e ne condizionano la gestione.
12
Cfr. sulla funzionalità dell’incoscio, S.Freud, L’io e L’es, tr.it. in “Opere” vol. 9, Boringhieri, Torino 1987
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 41
In questo excursus, si fa largo una possibile produzione di senso del
soggetto che, analizzando, controllando e, a volte, anche negando le
contraddizioni, ricopre il ruolo di autore della personale costruzione di
significati che prendono forma, attraverso la linearità del tempo e la
rotondità dello spazio, di cui, petit à petit, la soggettività diventa nodo
focale.
In effetti, l’esperienza sistemica in cui il soggetto cresce e si orienta
costituisce il senso della propria singolarità e della rispondente coerenza con cui si trasforma in un autentico attributore di senso, offrendo significati a se stesso e all’Alterità con cui condivide momenti di
incontro/scontro. Ebbene, quante volte ci si chiede fino a che punto
l’essere umano può essere artefice del proprio destino? Accanto ad un
maggiore o minore affrancamento di responsabilità, la risposta a tale
interrogativo indiretto risiede nella intenzionalità con cui il singolo
rende leggibili gli accadimenti del racconto della propria “riuscita” esistenziale.
La dimensione soggettiva rappresenta così l’occasione per restituire
una visione globale della Persona, “creatrice” di senso tra elaborazione del passato, spiegazione del presente, previsione del futuro.
All’interno di questo quadro riflessivo, il senso corrisponde alla capacità di padroneggiare tutto ciò che ha caratterizzato la propria storia,
alla potenzialità di riorientare la strada intrapresa, a volte cambiarla,
alla opportunità di perseguire finalità ed obiettivi specifici e di deciderne la fine.
D’altra parte, questo discorso individuale è continuamente messo
alla prova dall’Altro, inteso sia come voce interna oppositiva/propositiva sia come Altro diverso da sé, che valuta, comprende,
ascolta ovvero rifiuta. 13
Infatti, il perdurare dello stato di disagio individuale o collettivo
causato da feedback negativi o disconfermanti, mancanze etc… può
essere avvertito come perdita di senso; percepita, in prima istanza,
come tipo di disfunzione e, successivamente esprimersi come autentica forma di sofferenza.
13 Cfr. per la concezione del senso: M.Augé, Il senso degli altri:l’attualità dell’antropologia,
Bollati Boringhieri, Torino 2000
42
Capitolo I
La lente di ingrandimento, focalizzata sul ruolo individuale, porta
in primo piano l’assoluta necessità di apprendere a percepire, gestire
ed accettare la diversità come una ricchezza ed un’opportunità reale
che inizia nella capacità del singolo di considerare la disconferma una
“messa alla prova” e, contemporaneamente, di mutare la condizione di
disagio e di sofferenza in un’occasione di crescita personale per sé e
per l’Altro.
Un esempio classico, in termini aziendali, è rappresentato dalla situazione di disordine che si crea all’interno di un gruppo di lavoro, in
relazione all’improvviso restringimento del tempo previsto per la consegna di un progetto. In questo caso, i membri del gruppo sono chiamati a ricostruire, in termini di coerenza, il senso attribuito alle fasi
del lavoro, in una condizione psicologica di maggiore pressione. Ciò,
soprattutto in un gruppo non consolidato, può essere fonte di disorientamento individuale e causa di una incoerente gestione
dell’organizzazione del lavoro, proprio per l’introduzione esterna di
un fattore di cambiamento imprevisto.
I componenti, in tal caso, non essendo in grado di risolvere autonomamente il critical incident, esprimono - attraverso crisi produttive,
disagi individuali, conflitti intragruppali - segnali evidenti, seppur distaccati, del bisogno organizzativo di una “differente” articolazione
del legame fondante il gruppo stesso, al fine della necessità di “ridare
senso” alla dinamica di gruppo in corso d’opera.
Questo tipo di contesto relazionale è un “ecosistema” in cui la professionalità del consulente psicosociale interviene con il delicato compito di “riproporre”, in una lettura lineare “altra”, i diversi fattori, oggetto del conflitto, sparsi e staccati, al fine di orientare e guidare i partecipanti alla ricomposizione coerente degli elementi e, quindi, al supermento dell’impasse iniziale.
In effetti, si tratta di un lavoro di ricerca di senso per l’appunto, in
cui, l’esperto offre l’opportunità di decostruire/costruire le differenti
rappresentazioni per riproporre – sotto altro cielo – gli investimenti
caratterizzanti il progetto collettivo. E’proprio in questa nuova dimensione che la soggettività individuale beneficia del confronto con ciò
che in apparenza e/o in sostanza è interamente differente da sé.
Altro elemento distintivo, in una prospettiva psicologica, è rappresentato dalla facoltà del sistema-individuo di apprendere a “smasche-
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 43
rare” ciò che si è soliti identificare con l’espressione lessicale di “banale” e che, generalmente, si tende a non interpretare, perché inteso
come “qualcosa” di ovvio, di scontato.
L’acquisizione di tale abilità consente alla Persona di surclassare
eventuali forme di alienazione che possono “intralciare” l’analisi dei
propri vissuti ed il percorso di affermazione di sé e, in particolare, favorisce e sostiene la costruzione dei propri significati, all’interno di
una cornice di senso che mantiene in contatto la coerenza del mondo
interno con la richiesta/domanda dell’Alterità.
Tale riflessione ha la pretesa di proporre al lettore una rappresentazione esaustiva della effettiva funzionalità della partecipazione del
singolo al proprio Sistema in quanto persona, e al ruolo che ricopre
come parte integrante di un sistema organizzativo più ampio. La comprensione analitica del vissuto psicologico della Persona/Risorsa è difatti uno step fondamentale per la lettura del comportamento organizzativo, espressione della manifestazione, in primis individuale e, poi,
collettiva del proprio sé.
Infatti, l’identità sistemica di un gruppo di lavoro affonda le sue radici nella possibilità di rendere dinamici i confini individuali,
all’interno di una struttura flessibile della attuabilità interrelazionale,
della condivisione spaziale e dell’espressività del singolo, in una dimensione qualitativa primariamente collettiva.
In tal senso, l’esperienza diventa la strada maestra per riattualizzare, in una chiave diversa, il processo gnoseologico.
Quest’ultimo, in un’ottica esclusivamente costruttivista, è un functional fit che vede l’individuo protagonista attivo, impegnato nel creare sintonia tra verità della conoscenza ed esperienza del reale. Pertanto, la funzione cognitiva espleta un ruolo di adattamento, anziché di
scoperta, utile all’organizzazione del mondo esperienziale sia su un
piano individuale sia in una dimensione di gruppo.
In effetti, l’autorganizzazione del processo cognitivo – intuitivamente già analizzata da Jean Piaget – trova perfetta rispondenza sia
nella visione cibernetica del flusso conoscitivo, inteso come “catena
continua dei feedback loops in cerca di modi viabili per agire e pensare”, sia nella rivoluzione copernicana concernente l’atto comunicativo non più inteso come forma di trasporto (passaggio lineare dei significati dall’emittente al ricevente) ma, al contrario, definito come ri-
44
Capitolo I
sultante della interpretazione soggettiva del messaggio ricevuto e del
successivo desiderio di organizzare il proprio mondo esperienziale,
secondo ciò che è singolarmente percepito come gestibile ed attuabile
(Craighead, Nemeroff, 2004).
Da un punto di vista finemente psicologico, si pone, nuovamente,
l’accento sul ruolo indiscutibile della soggettività che, ancora una volta, sotto vesti di diversità, sottolinea il valore fondamentale
dell’apertura mentale necessaria per comprendere quanto la strutturazione concettuale individuale si differenzi e possa deviare rispetto al
sistema collettivo, perché, a sua volta, in quanto sottosistema, è impegnato nella costruzione e sviluppo del proprio mondo esperienziale.
Quanto su descritto, pur relativizzato allo sviluppo del processo cognitivo di un individuo, introduce un concetto di primaria importanza
per la vita manageriale: la capacità di coinvolgere ed effettivamente
mobilitare la soggettività degli individui. Quest’ultima rappresenta la
best solution per affrontare il cambiamento e per apprendere a sopravvivere, in un’epoca in cui, l’imperativo categorico è l’incessante trasformazione delle tecniche, dei mercati, dell’economia etc…
Di fronte a questa situazione limite che chiede al collettivo di sviluppare notevoli capacità di iniziativa e di cooperazione attiva dei
propri membri, per occupare un posto di prim’ordine nella interconnessione planetaria, non è più possibile posticipare la totale messa in
gioco delle qualità umane, in passato, per lo più, riservate ad un contesto relazionale esclusivo e personale, afferente alla sfera intima.
Condizione quest’ultima che modifica completamente il modus agendi la qualità relazionale perché tende ad appellarsi a quelle che
Pierre Lévy ha definito “le risorse affettive ed intellettuali delle persone”, ora diventate necessarie, sia a livello di impresa sia a livello di
amministrazione, al fine di “rimanere a galla”, nonostante la complessità circostante.
La “tensione verso l’intelligenza collettiva” richiede, allora,
l’indiscussa abilità di riconoscere che la sola possibilità di vincere una
partita sia in termini strutturali sia in termini sovrastrutturali, significa
apprendere ad adottare un gioco di squadra in cui ciascuno e tutti –
contemporaneamente – contribuiscono eticamente al raggiungimento
del risultato atteso (Lévy, 1996).
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 45
Pertanto, se l’economia classica lascia il posto all’economia delle
qualità umane, se l’allargamento dei confini si spinge fino
all’orizzonte infinito di possibilità imprevedibili, se l’intelligenza collettiva – “output paradossale” - interiore ed incompiuta, è fonte e fine
di tutte le ricchezze (op. cit.:53), quale ruolo assegnare rispettivamente
all’individuo trascendente e all’immanente collettività di cui è parte?
E, contestualizzando la dissertazione, quale il senso perseguibile
dall’umano imprenditore?
1.4
tà?
Il rischio dell’imprenditorialità: contingenza o complessi-
Lo studio del comportamento decisionale rischioso funge da specchio analitico entro cui osservare la dimensione emotiva e profondamente umana dell’attore sociale di fronte alla percezione del rischio
individuale.
In tale prospettiva, la figura dell’imprenditore è costantemente impegnata ed implicata nell’azzardo delle scelte che compie, in base alla
perenne interazione tra l’imprevedibilità dei fattori esogeni e lo sviluppo sempre crescente di capacità previsionali; queste ultime hanno il
difficile compito di misurare la portata del cambiamento, controllare
e, talvolta, manipolare le variabili agenti, al fine di continuare a “cavalcare l’onda” del mercato, nonostante gli up e down dell’economia
globale.
Tale discorso ha una preponderante ricaduta sul lavoratore che, identificandosi con il modello e la mission imprenditoriali, disegna la
sua percezione del rischio.
L’ago della bilancia sembra, a questo punto, rappresentato dal livello di accettabilità di tale condizione e, soprattutto, dal comprendere
se una situazione rischiosa possa essere potenzialmente vissuta come
strumento di gestione e sviluppo aziendali, assicurando così, la preesistenza della realtà organizzativa, oltre la vita dell’azione imprenditoriale che ne ha consentito la nascita e il primo sviluppo.
Questa riflessione non disgiunge il ruolo dell’imprenditore
dall’immagine costruita e vissuta dai propri dipendenti, in un’ottica
46
Capitolo I
primariamente relazionale del sistema impresa in cui la tanto declinata
interdipendenza lascia il posto alla complessità interrelazionale.
Ed è proprio la presentazione di una lettura “altra” della visione sistemica del mondo aziendale, insieme con il bisogno conoscitivo di
approfondire i diversi volti del rischio, per poterne apprezzare il significato di “impresa”, che si è ritenuto di grande utilità intervistare alcuni esponenti appartenenti all’imprenditorialità partenopea. Si riportano, di seguito, due interviste, in particolare, sia perché considerate
maggiormente rispondenti la domanda riflessiva sul “senso” sia perché costituiscono effettivamente una testimonianza rappresentativa
dell’universo di riferimento.
Gli imprenditori - Riccardo Calcagni 14 e Maurizio Marinella 15 –,
infatti, pur rappresentando due realtà apparentemente molto diverse,
hanno in comune il profondo legame con il territorio, l’amore spasmodico per il riconoscimento della qualità dei loro prodotti e, soprattutto, lo stesso atteggiamento imprenditoriale, votato alla flessibilità,
“carta vincente” che trasforma le avversità in potenziali occasioni di
mercato.
La scelta contestuale trae spunto da due ordini di motivi: in primis,
le radici campane, testimonianza del legame instaurato con questa regione, nota per le sue perenni contraddizioni socio-economiche; in secondo luogo, la complessa ed interessante natura che caratterizza e distingue molte aziende presenti nel territorio campano.
Si tratta, per lo più, di imprese familiari che, in base alle attuali
possibilità offerte dal mondo economico della globalizzazione “stentano” a compiere il salto culturale dello sviluppo manageriale 16 .
Quest’ultimo aspetto non è connotato negativamente perché riferente
al cospicuo bagaglio tradizionale che rappresenta e, al contempo, qualifica – in chiave distintiva – la maggior parte delle aziende partenopee.
14
Riccardo Calcagni, Amministratore Delegato della Vincenzo Besana S.p.a.;imprenditore di
terza generazione;www.besanagroup.com
15
Maurizio Marinella, E.Marinella; imprenditore di terza generazione;www.marinellanapoli.it
16
Nel pieno rispetto della privacy e del differente background che identifica un’Azienda piuttosto che un’altra, si ritiene doveroso sottolineare che tali puntualizzazioni sono da riferirsi
esclusivamente alle realtà organizzative intervistate attraverso la testimonianza dei loro esponenti. Pertanto, ci si malleva da qualsiasi forma di generalizzazione.
.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 47
Sono realtà, infatti, che si caratterizzano proprio per questa componente affettiva – intesa come peculiare senso di appartenenza – che si
traduce in atteggiamenti di condivisione per un contesto di cui il singolo ed il collettivo si sentono realmente parte; è routinario, l’utilizzo
anche tra i dipendenti che vivono in queste realtà, di espressioni del
tipo “grande famiglia” “casa” etc …
L’attaccamento affettivo costituisce, da un lato la forza di realtà organizzative che si trovano tutti i giorni a lottare in un territorio poco
preparato a sostenere e guidare il loro sviluppo, dall’altro ne rappresenta anche il “tallone di Achille” perché diversamente espresso sia in
termini culturali sia in termini personali17 .
Ciò spiega quanto questo tipo di immagine sia, intenzionalmente,
non rapportabile all’industria tout court, come lo spessore valoriale intriso del sapore di antico e delle tradizioni che si tramandano, di generazione in generazione – diventi il corredo di un prodotto unico nel
suo genere, posizionabile sia all’interno della GDO sia del mercato di
nicchia, secondo i dicta degli obiettivi strategici del Vertice.
D’altra parte, in termini gestionali, è demandato al Management
(che nella maggior parte dei casi vede coinvolti principalmente i figli
e/o nipoti dell’ideatore del business) il difficile compito di “organizzare” l’Azienda tra tradizione e innovazione, tra pregnanza locale e dimensione mondiale del mercato di riferimento.
Lo scenario descritto è stato approfondito proprio attraverso la testimonianza della “viva voce” dei due giovani imprenditori napoletani
su menzionati.
Da un punto di vista metodologico, lo strumento adottato, di stampo squisitamente qualitativo, è l’intervista semistrutturata, suddivisa in
quattro aree tematiche, ciascuna contenente un numero predefinito di
item 18 .
Il canovaccio insieme all’utilizzo del registratore ha consentito alla
conduttrice di curare il setting dell’intervista a tutto tondo, sia per
quanto concerne il clima relazionale, conditio sine qua non per
17
La condizione individuale del senso di appartenenza rispetto all’Organizzazione sarà oggetto di analisi nel secondo capitolo.
18
Nonostante la presenza di item pre-definiti, l’intervista è semistrutturata, piuttosto che strutturata, perché non è stato sempre necessario porgere tutte le domande contenute nelle aree del
canovaccio.
48
Capitolo I
l’efficace reperimento informativo, sia per il mantenimento della ricchezza di dettaglio necessario per l’analisi del fenomeno.
A scopo esemplificativo, si precisa che le quattro aree tematiche
sono dedicate all’approfondimento dei seguenti argomenti:
1.
2.
3.
4.
Significato dell’imprenditorialità
Funzionalità e tipo di rischio
Strategie
Cultura e valori nell’Azienda di appartenenza 19
Le interviste sono state effettuate nel bimestre ottobre-novembre
2008 c/o le rispettive Aziende dei due Testimonial; ogni intervista ha
avuto una durata complessiva calcolabile tra un’ora e due ore; nel caso
del DOTT. MARINELLA un’ora circa, nel caso del DOTT. CALCAGNI, due
ore.
La differenza temporale è esclusivamente legata a variabili intervenienti quali ritmicità dialogica, lunghezza e riflessività degli intervistati nel formulare le risposte, rumorosità e/o tranquillità del luogo,
ove si è effettuata l’intervista e, at last but not least, eventuali interruzioni del confronto comunicativo, a causa di imminenti questioni lavorative.
Si ritiene doveroso sottolineare, in questa sede, la professionalità,
l’attenzione e l’incisività degli intervistati nel rispondere alle domande, con il chiaro intento di contribuire efficacemente all’esplorazione e
alla corretta definizione degli aspetti più rappresentativi del fenomeno
oggetto di studio.
Per quanto concerne poi il background, entrambi gli imprenditori
appartengono alla terza generazione dell’impresa familiare; aspetto
questo che risulta essere particolarmente rilevante rispetto alla contingenza del rischio e alla strutturazione di scelte decisionali da operativizzare, senza allontanarsi completamente dal modello che “ha fatto
storia”, a cui si riconosce il successo raggiunto e la posizione di mer19 Le informazioni relative a questa specifica area, emerse attraverso le interviste effettuate,
saranno oggetto di analisi, nel secondo capitolo.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 49
cato ricoperta. Infatti, il “dietro le quinte” dei discorsi formulati lascia
emergere, seppure diversamente, il medesimo senso di responsabilità
misto ad orgoglio con cui i due attori si impegnano, giorno dopo giorno, per meritarsi la nomination di imprenditori di “terza generazione”.
Si riportano di seguito, per ciascuna area tematica, i maggiori spunti di riflessione relativi agli aspetti argomentati che gli intervistati anno condiviso con la consulente.
Significato dell’imprenditorialità
Lo sfondo descrittivo propone, come must imprenditoriale, la capacità di “generare valore” nella quotidianità dell’azione di processo.
Quest’ultima, fluttuando tra competizione e complessità, approda ad
una dimensione di successo sempre più focalizzata sulla efficace gestione di asimmetrie e disequilibri che circondano il business driver e,
sempre meno, legata alla gestione della contingenza o della effettiva
prevedibilità del futuro.
Pertanto, la coerenza del sistema impresa trova fondamento non più
nella contingente pianificazione delle attività, bensì nel funzionamento
e nella potenziale gestione del cambiamento, attraverso l’introduzione
di adeguati strumenti, quali vision, team e strategie comportamentali.
Le chiavi del sistema imprenditoriale odierno sono, quindi, la competitività – intesa come capacità di sviluppare knowledge management e
learning system e la permeabilità – adattabilità al contesto - al fine di
oltrepassare la linea, che separa lo standard normale della qualità dal
raggiungimento di punte di eccellenza (Protasoni, 2003).
Al fine di comprendere la posizione occupata da alcune imprese
campane rispetto a questa lettura del sistema-Azienda, l’analisi
dell’imprenditorialità è partita dalla definizione concettuale della stessa in relazione alla scelta di impresa adottata in principio dagli intervistati e, tuttora perseguita, in relazione alle sfide poste dall’attuale
economia.
Secondo il punto di vista dell’Amministratore Delegato della V.
BESANA S.P.A., il senso-significato identificativo del ruolo di imprenditore si erge sulla capacità di una persona e di un gruppo di “coadiuvare persone, mezzi e danaro, secondo la nota immagine
50
Capitolo I
dell’orchestra sinfonica”, tipica metafora rappresentativa del valore
della complessità di un’Azienda innovativa.
Nello specifico, la figura chiave è il Direttore d’orchestra - leader
efficace - capace di costruire sia un rapporto personale con ciascun
musicista (Risorsa Umana), sia con le varie famiglie timbriche (reparti
aziendali), favorendo, attraverso la creazione modulare dell’armonia,
l’interazione funzionale dell’intera orchestra (Organizzazione). Si
giunge così alla costituzione di un’atmosfera sinergica che porta alla
risoluzione della complessità iniziale (presente in qualsiasi azione organizzativa) da concertare tra diversi e numerosi attori, per il raggiungimento di un obiettivo comune.
La stessa passionalità, che si coglie nell’immagine dell’armonia
musicale, è confermata – con parole diverse – dal partenopeo MAURIZIO MARINELLA che, alla domanda relativa alla imprenditorialità, risponde: “oggi è molto difficile essere imprenditori in tutte le parti del
mondo ma, a Napoli, ha un valore aggiunto molto più forte”, con
l’intento di focalizzare l’attenzione sull’importanza di apprendere a
gestire la complessità del ruolo, in relazione alle dinamiche del contesto; e, aggiunge, anche: “ Ho tanta fiducia, sono positivo e propositivo, baso la mia imprenditorialità sulla passione ed emozione di essere
napoletano; nei momenti di grande difficoltà non mi sono mai scoraggiato …”.
I due intervistati, inoltre, pongono l’accento sulla tempra e
sull’energia necessarie per mantenere e sviluppare il patrimonio aziendale prodotto, identificandole come qualità distintive di una vita
votata all’impresa e, quindi, alla gestione dell’imprevisto.
In tal
senso, viene sottolineata anche l’importanza della traduzione operativa
della vision nella quotidianità, tramite l’individuazione ed il perseguimento di sistemi di funzionamento flessibili e coerenti, in linea con
lo scenario economico di riferimento.
Inoltre, sullo sfondo di una diversità di business, entrambi descrivono un modello di impresa customer-oriented che, oltre ad evolversi
e trasformarsi seguendo le dinamiche di mercato, si caratterizza, soprattutto, per un nuovo modus agendi nei confronti del Cliente da fidelizzare: anziché “atteso” ed inteso come “ospite” nel proprio regno
commerciale, “ricercato” ovunque, in qualsiasi parte del mondo, senza
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 51
più alcun vincolo spaziale che limiti le opportunità di sviluppo commerciale.
Funzionalità e tipo di rischio
La visione del rischio come opportunità di mercato è per questi due
imprenditori una condizione di “relativa normalità”.
Nel corso delle interviste, infatti, i loro racconti hanno lasciato emergere una decisa familiarità con la necessità di bilanciare costantemente le azioni commerciali, con l’obiettivo, di fronteggiare le oscillazioni del mercato di riferimento.
Per quanto la riflessione rispetto alla portata degli attuali rischi imprenditoriali, sia iniziata per entrambi proprio dalla formulazione di
considerazioni inerenti l’attuale crisi economica, il differente tipo di
business ha portato alla strutturazione di una lettura analitica - leggermente diversa - per quanto concerne l’approccio alla realtà dei rischi. Nello specifico, la tipologia di affari di BESANA è da sempre orientata all’export, MARINELLA è, al contrario, molto radicata in Campania.
Per il dott. CALCAGNI, in particolare, il rischio principale risiede
nella figura assenteista dello Stato che “non garantisce le imprese da
tutti i punti di vista”; nello specifico, l’imprenditore ricalca la presenza di disservizi che ostacolano e non supportano il lavoro delle Aziende.
L’interessante puntualizzazione sulla mancanza di supporto statale
è stata, successivamente, oggetto di maggiore esplorazione perché si è
chiesto all’interlocutore se, e quali strategie, l’Azienda adotti per sopperire a tale situazione.
L’alta specializzazione di professionalità e di know how costituiscono le qualità distintive su cui BESANA punta, al fine di contrastare
la “negatività del paese Italia”, di mantenere all’Estero una posizione
di leadership di mercato, nonostante l’immagine decadente di una regione inospitale, soffocata da problematiche in apparenza irrisolvibili.
Questa riflessione si rispecchia anche rispetto alla condizione socio-politica della CE, aggiungendo che: “non siamo più un’Europa
piccola e forte, ma un’Europa grande e traballante”, dove i grandi co-
52
Capitolo I
lossi del vecchio continente vivono una condizione di “stasi” più che
di sviluppo economico.
In effetti, secondo questa specifica lettura, un modo per precorrere
il rischio e, quindi, andare incontro al cambiamento, è rappresentato
proprio dalla capacità dell’Azienda di effettuare investimenti
all’estero, di creare joint venture tra produttori in paesi terzi, di “esportare la produzione nei paesi produttori di materie prime, conservando, almeno per primi tempi, la gestione interna del know how”.
Quanto alla portata dei rischi legati all’internazionalizzazione, il
dott. CALCAGNI afferma, sorridendo, che si tratta di una grande occasione ed aggiunge in dettaglio: “chi è più internazionale di noi?”, riferendosi al fatto che “acquistano da tutto il mondo e, in un certo senso,
dipendono da tutto il mondo”.
Dal suo punto di vista, l’internazionalizzazione è “un’eccezionale
opportunità per tutta Italia”, soprattutto considerando la posizione
strategica che geograficamente occupa, potrebbe diventare
l’”autostrada per l’Europa”. Basti pensare che paesi come Turchia,
Tunisia, Grecia, Siria necessitano di alleati in Europa per quanto riguarda la movimentazione delle merci, la gestione dei servizi e
l’utilizzo appropriato di know how. In altre parole, ciò significa gettare
le basi per organizzare un network economico-produttivo di grande
spessore, in cui l’Italia potrebbe ricoprire il ruolo di protagonista attiva.
BESANA sembra, pertanto, aver già compiuto i primi passi di apertura e sviluppo, creando – insieme a diversi operatori produttivi italiani - dei consorzi come la COMPAGNIA ITALIANA DELLA FRUTTA,
all’interno della quale, le aziende partecipanti mettono a disposizione
e condividono mezzi, know how e finanze.
Anche nella visione di MARINELLA, la situazione partenopea è fonte di notevoli rischi in termini di immagine, di riconoscimento di serietà e professionalità, di perdita di spessore, a causa del famigerato
disordine organizzativo che “etichetta” il territorio in cui la sua Azienda si sviluppa.
Sottolinea, infatti, le difficoltà che incontra nel “difendere”
l’immagine di una “Napoli che apre tutti i giorni alle 6,30” e che si
impegna per mantenere elevati standard di qualità. Purtroppo
l’invivibilità di questa realtà diventa evidente quando i turisti si recano
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 53
in città e accanto alla bellezza dei paesaggi, non possono non rimarcare, seppure a malincuore, che si tratta di un luogo intriso di forme di
“inciviltà” di ogni tipo. Ciononostante, secondo l’intervistato, non bisogna smettere di impegnarsi per proporre un modello di città che
“cerca di migliorare e vuole farsi conoscere in termini di qualità”. A
tal scopo, descrive con grande interesse l’eccezionale profilo di imprenditori formatisi a Napoli che, proprio per i disagi che abitualmente
risolvono, strutturano, col tempo, notevoli competenze nella gestione
dell’imprevisto e nella comprensione della complessità. Quest’ultimo
aspetto è stato definito dall’intervistato un autentico “valore aggiunto”
rispetto al raggiungimento di standard di eccellenza professionale.
Una tipologia di rischio non controllabile è costituita, secondo le riflessioni dell’imprenditore partenopeo, dal “cambio generazionale”.
In generale, si tratta di una variabile che dipende da molteplici fattori: dalla soggettività dell’individuo e, quindi, dalla presenza di una
naturale propensione verso un tipo di attività lavorativa piuttosto che
un’altra; dal riconoscimento effettivo di un’educazione che orienta alla libertà di scelta nel progettare la propria vita personale oppure, al
contrario, che tende a definire sin dall’inizio il percorso da compiere.
L’incisività dell’influenza esercitata dal corredo socio-familiare ed il
livello di reattività ad esso correlato, ovvero la sua totale mancanza, in
termini di trasmissione di valori e di passaggio di know how. Infine,
alcuni aspetti esogeni quali, il mutamento storico, le differenze epocali, la situazione strutturale del territorio che ruota intorno all’impresa
nel momento del passaggio generazionale e così via.
Tale premessa funge da chiave di lettura dell’esperienza narrata da
MAURIZIO MARINELLA, al fine di supportare il significato valoriale
che, step by step, si coglie nelle sue parole.
Nel suo racconto, afferma che “è stato messo al mondo per continuare l’impresa del nonno e del padre”; ha iniziato a lavorare all’età
di cinque anni in negozio e non ha mai vissuto l’opportunità di scegliere “cosa fare da grande”.
Nel caso del suo unico figlio, al contrario, non è ancora presente il
tacito accordo di continuazione dell’attività così, anche se afferma di
cercare di trasmettergli “i valori ed il sentimento per il commercio”,
introducendolo – petit à petit – alla vita imprenditoriale, non ritiene di
poter effettuare alcuna previsione rispetto ad un’eventuale scelta di
54
Capitolo I
prosecuzione. Ciò, pertanto, rappresenta un reale rischio “come” futura possibilità di sviluppo del business.
Terzo ed ultimo rischio indicato, è rappresentato dalla progressiva
scomparsa dell’artigianato, cuore pulsante della qualità e del valore
del prodotto “cravatta”. MAURIZIO MARINELLA afferma, in particolare,
che “le nuove generazioni non vogliono più fare questo tipo di lavoro,
preferiscono essere assunti in un call center” e, nonostante cerchi di
“aggirare l’ostacolo” offrendo l’opportunità di “fare formazione interna”, il risultato non sembra essere dei migliori, visto che, ad ogni modo, molti giovani ritengono “quasi degradante lavorare i tessuti, fare
le cravatte”.
Sembra emergere, dal comportamento imprenditoriale descritto dai
due interlocutori, un comune atteggiamento proattivo, orientato alla
gestione reale dei rischi attraverso lo sviluppo di una dimensione dinamica del modello aziendale, il potenziamento e la custodia del know
how, la ricerca attenta di nuovi mercati con l’obiettivo di favorire il
mantenimento della leadership, l’una all’estero, l’altra in Italia.
Strategie
Il mercato globale oggi consente a tutte le imprese di potersi, in
qualche misura, considerare internazionalizzate. Tale condizione introduce una visione sistemica dell’impresa in un’ottica di abilità di gestione delle relazioni dirette ed indirette e, soprattutto, chiama in causa, ancora una volta, da un lato la natura del rapporto che lega
un’impresa al suo paese di origine e, dall’altro, l’analisi del tipo di rivalità sviluppatasi rispetto a competitors in tutto il mondo.
Di fronte alle sfide lanciate dall’attuale economia quali, la presenza
di una concorrenza più intensa, dai confini meno definiti, la maggiore
complessità della domanda, le nuove difficoltà legate alla necessità di
seguire le innovazioni, le asimmetrie culturali, i manager hanno il
compito sia di comprendere le differenze culturali dei contesti sia di
cercare il trade-off tra valori universali e particolarismi locali, tra individualismo e collettivismo.
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 55
In questo scenario, le delocalizzazioni produttive e l’outsourcing
diventano i “cavalli di battaglia” di manager dotati di notevoli capacità
strategiche in grado di “pensare globale” e, quindi, di tener conto
dell’ubiquità del vantaggio competitivo (Calvelli, 1998).
RICCARDO CALCAGNI afferma che BESANA ha scelto di costruirsi
una leadership di mercato all’Estero per diverse ragioni, tra cui di rilievo, è l’opportunità di sottrarsi ad una concorrenza, quella italiana,
ancora “lontana” dall’acquisizione condivisa di prassi incentrate sulla
“cooperazione”; questo atteggiamento politico-relazionale è determinante per creare reti di distribuzione adeguate atte a potenziare, ad esempio, il sistema logistico.
Sottolinea, in particolare, che la strategia di sviluppo internazionale
è: “una strategia di diversificazione applicata ed applicabile alla ricerca dei mercati, al numero e tipologia di Clienti e al tipo di prodotto”. In effetti, l’offerta dei prodotti si rivolge ad universo contestuale
differente: industria, consumatore finale, catering etc.. Tale abundatia
è sicuramente “un’opportunità ma rappresenta anche un rischio” perché con l’aumento delle distanze ci sono anche maggiori incertezze; al
pari di minori rischi finanziari, si producono maggiori rischi dovuti alla “non conoscenza”; non ultimo, il pericolo di conflitti interorganizzativi, risultanti dall’innesto culturale esterno.
D’altra parte, L’AMMINISTRATORE DELEGATO precisa che, nel caso
in oggetto, bisogna tenere presente il ruolo di coordinamento politico
che BESANA ricopre all’interno del mercato globale. L’Azienda è solita partecipare, in prima linea, a tavoli decisionali di livello europeo; in
altre parole, rappresenta un riferimento in termini di ricerca, innovazione e linee guida per stabilire “mosse” vincenti da sperimentare in
relazione all’evoluzione del mercato.
Aggiunge, inoltre, che per quanto riguarda la grande distribuzione,
si registra, a livello mondiale, una forte spinta che sposta l’asse del
prodotto dalla ”marca al private label”; sebbene tale cambiamento sia
ancora sottotraccia in Italia, l’intervistato ritiene che “ora come ora, si
tratta sicuramente di un posizionamento strategico vincente, almeno
per quanto riguarda i prodotti afferenti al macro-settore alimentare”.
Per quanto concerne il confronto relativo alle strategie di mantenimento della leadership di mercato, il DOTT. CALCAGNI esplicita, molto
chiaramente, che nel suo settore “bisogna essere sempre primi, of-
56
Capitolo I
frendo prodotti, servizi e know how assolutamente all’avanguardia,
da leader”. Tale affermazione esclude completamente la presa in considerazione di strategie di imitazione creativa o di judo imprenditoriale che l’interlocutore definisce “modalità di ingresso sul mercato di
nuove Aziende che cercano di farsi strada tramite la messa in opera di
vantaggi operativi”.
Si tratta di schemi di comportamento di mercato non in adozione
dalla sua Azienda, costantemente impegnata, al contrario, ad individuare nuove strategie per difendere e mantenere efficacemente la posizione di leadership di mercato tuttora riconosciuta.
Rispetto all’applicazione gestionale di meccanismi di outsourcing,
l’Organizzazione sembra seguire una logica applicativa legata alla
tempestività di innovazione dei processi; l’imprenditore afferma che
“possono essere esternalizzate e, quindi, non gestite “in casa”, le funzioni e le attività riferite a continui cambiamenti tecnico-specialistici
e/o le professionalità che devono necessariamente differenziarsi da
settore a settore”; ad esempio “i sistemi informativi”. D’altro canto,
secondo la sua opinione, è opportuno ponderare bene
l’esternalizzazione perché è fondamentale “non cedere la familiarità
ed il controllo dei principali processi distintivi il proprio business, altrimenti si corre il rischio di perderne la struttura.”
Diversamente, il core business di MARINELLA “rimane sempre legato a Napoli”; anche in questo caso, risulta evidente dalle risposte ricevute dall’imprenditore che si tratta di una scelta strategica, ponderata anche in relazione alla storia del modello di impresa ereditato.
Nello specifico, l’intervistato descrive un processo di internazionalizzazione da lui stesso definito “soffuso”, in relazione sia al già citato
legame con la città di Napoli sia all’evoluzione temporale con cui si è
verificato: iniziato nel 2002, con l’apertura di un negozio a Milano,
seguito nel 2003 con l’acquisto della Galleria Savoia, nel 2006 con
l’inaugurazione di un punto vendita a Tokyo e nell’autunno 2008, con
una nuova apertura in Russia.
Sottolinea anche che, da un punto di vista commerciale, l’Estero
rappresenta il 7/8% dei profitti. Sulla scia di un maggiore approfondimento, la “soffusa internazionalizzazione” può essere letta anche
come strategia di mercato dovuta alla scelta commerciale di “non fare
grandi numeri”, di continuare a ricoprire una posizione leader
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente dell’imprenditorialità 57
all’interno di un mercato di nicchia. Infatti, il DOTT. MARINELLA risponde che “rivolgersi ad un mercato di nicchia consente di contenere
le perdite intorno al 2/3%, di poter più facilmente garantire l’elevata
qualità attesa”. Rispetto alla posizione di leadership sul mercato,
chiarisce che riguarda esclusivamente il prodotto cravatta e, sembra
non attribuirsene il grande merito, quando afferma: “da sempre proponiamo il più bello che si fa’al mondo, cercando di farlo nel modo
migliore possibile”. Evidenzia che accanto alla riconosciuta eccellenza di MARINELLA, ci sono molte case che cercano di diventare dei
competitors: “Sì è vero siamo molto copiati” e, aggiunge: “ ormai si è
addirittura coniato un termine, se entri in un negozio che non è il mio,
il negoziante, rispondendo al Cliente, dice: abbiamo anche noi le cravatte tipo Marinella”.
Tuttavia, sottolinea serenamente, che non rappresenta assolutamente un problema; dal suo punto di vista, significa essere “un riferimento”, trattasi di un settore dove “c’è spazio per tutti nella correttezza e
nella normalità dei rapporti”.
In realtà, dal modus interagendi, è evidente che per l’imprenditore,
questi presunti avversari non costituiscono degli effettivi competitors.
Quanto alla diversificazione del prodotto, emerge la convinzione che è
importante innovare con moderazione mantenendo intatta
“l’impostazione del 1914”. Fino ad oggi, l’introduzione della diversità
non ha riguardato i processi ma alcuni materiali quali “l’utilizzo di tessuti più aggiornati, la gamma dei colori”.
In sostanza, MAURIZIO MARINELLA risponde alla domanda relativa
al ruolo della diversificazione, affermando quanto segue: “ un minimo
di diversificazione, stare al passo con i tempi, senza stravolgere il
proprio DNA”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, esplicita il suo punto di vista rispetto alla messa in outsourcing di servizi: “Noi non siamo un’industria,
siamo una fabbrica con un cuore ancora familiare, tutti gli uffici sono
interni, siamo troppo piccoli per esiliare fuori alcune posizioni”.
Ancora una volta, attraverso le parole dell’intervistato ritorna il leit
motiv di una visione imprenditoriale che può – a ben ragione – definirsi glocale.
L’analisi comparata delle strategie adottate evidenzia la diversità di
fondo che caratterizza la storia, la vita e l’istinto di sopravvivenza di
58
Capitolo I
queste due “grandi imprese”: l’una che continua a trarre la sua forza
dalla terra di origine, l’altra spinta fortemente ad una dimensione di
sviluppo, sempre più interculturale, sempre più globale.
****
La lettura analitica delle testimonianze imprenditoriali ha offerto
l’opportunità di osservare “da molto vicino” la continua ricerca di
senso che caratterizza l’operato di protagonisti attivi, alla guida di
realtà organizzative costantemente impegnate a ri-orientare la bussola che direziona il loro business.
La mappatura socio-psicologica ha accompagnato la comprensione del “cosa significa” e del “che senso ha”, ovvero potrebbe avere
l’acquisizione di un’effettiva agenticità manageriale in particolari
contesti aziendali, dove la sempre più incessante richiesta di apertura
verso l’esterno, di conseguenza, mette in discussione lo storico modello autoreferenziale, attribuito al sistema-impresa.
L’attenzione rivolta verso la comunicazione con l’esterno che ha
guidato la penna di queste pagine, si sposta, nel secondo capitolo sulla relazionalità interna che vede intrecciarsi comportamenti organizzativi, vissuti soggettivi e dinamiche conflittuali.
Quali leve i capi hanno al loro attivo per gestire efficacemente la
complessità interna? Quali le funzioni attribuite alla cultura organizzativa ed ai valori aziendali?
Indice
Prefazione – Prof. Paolo De Nardis
9
Capitolo I
Dal neofunzionalismo luhmanniano al rischio contingente
dell’imprenditorialità
11
Capitolo II
Coevoluzione e reciprocità:
modello organizzativo-sistemico vs. Risorse Umane
59
Capitolo III
L’applicazione del Diversity Management
83
Considerazioni conclusive
125
Postfazione- Prof. Lucio d’Alessandro
127
Appendice- dott.ssa Emilia Ferone
La fiducia nell’approccio sistemico alle Risorse Umane
129
Bibliografia
148
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