Mature people: una risorsa da valorizzare

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Il Diversity Management a cura di simona cuomo e adele mapelli
economia & management 1 - 2011
“Invece di tagliare i costi sacrificando i programmi
di sviluppo della forza lavoro, si dovrebbero mantenere
o ampliare queste attività, indipendentemente dai
cambiamenti ciclici: le sfide del cambiamento demografico
non sono questioni da gestire in base ai cicli economici,
ma investimenti a lungo termine per la competitività
delle aziende”. (w. clement, 2009)
Martina Raffaglio
Osservatorio sul Diversity
Management, SDA Bocconi
[email protected]
I
n tutti i paesi dell’Unione Europea la
percentuale di giovani è in continua diminuzione: calano le nascite e la popolazione complessiva, mentre aumentano
progressivamente l’età media e la relativa
aspettativa di vita.
In questo scenario, favorire una maggiore
partecipazione al mercato del lavoro dei
mature people (over 50 anni) diventa cruciale per tre ordini di ragioni: questa fascia
di popolazione cresce percentualmente in
tutti i paesi dell’Unione Europea; il loro ritiro dal lavoro crea un’enorme pressione
sul finanziamento dei sistemi previdenziali e assistenziali nazionali; il numero di
lavoratori giovani e qualificati con cui far
fronte al bisogno di competenze continua
a diminuire. Eppure la loro presenza nelle
organizzazioni e le prospettive di far parte
della popolazione attiva ancora a lungo
non riflettono questo contesto.
Ferma restando l’importanza degli aspetti istituzionali e legislativi in materia di riforme pensionistiche e di sistemi contributivi per aumentare la partecipazione al
mercato del lavoro degli over 50, questo
articolo si concentra su aspetti di natura
squisitamente manageriale.
A partire da un’analisi dei trend demografici per contestualizzare il problema, vengono proposte alcune linee di sviluppo di
sistemi di gestione del personale che superino questi ostacoli secondo la prospettiva del Diversity Management: attraverso
culture, politiche e prassi manageriali specifiche, attente all’ascolto degli individui e
non dettate da stereotipi attraverso cui ne
interpretiamo aspettative e performance,
è possibile valorizzare i talenti individuali
di una fascia di popolazione che nei prossimi anni costituirà un patrimonio per il
business, l’economia e la società.
L’obiettivo ultimo è sfatare due generalizzazioni, datate e antistoriche, che sembrano ancora condizionare la partecipazione
al mercato del lavoro degli over 50, secondo le quali: le competenze necessarie allo
sviluppo del business sono più facilmente
riscontrabili nei giovani talenti piuttosto
che in questa fascia di popolazione; il sistema motivazionale e la scarsa disponibilità ad affrontare percorsi di cambiamento
lavorativo importanti rende gli over 50 più
facilmente pronti per il pensionamento
piuttosto che per affrontare e sostenere
percorsi di sviluppo professionale.
π Lo scenario
Le tendenze demografiche dei paesi industrializzati mostrano che il problema dell’invecchiamento della popolazione è
reale: la disponibilità di lavoratori giovani
è in costante diminuzione, la forza lavoro
invecchia rapidamente e cambiano le fasi
del ciclo di vita degli individui.
La popolazione italiana, in particolare, sta
invecchiando più rapidamente rispetto a
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Mature people:
una risorsa
da valorizzare
rubrica
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rubrica
quella della maggior parte dei paesi della
UE: nel 2009 il numero di nati vivi è di soli
576.700 contro i 582.600 morti nello stesso anno; il tasso di fertilità è 1,42 (media europea 1,60), gli over 65enni sono il 20,1%
della popolazione con previsioni del 26,4%
nel 2030; il tasso di dipendenza degli anziani (il rapporto tra la popolazione di età
superiore a 65 anni e quella tra i 16 e i 64)
è uno dei più alti al mondo e cresce molto
rapidamente, passando dall’attuale 30,6%
al 43% nel 2030.1 La struttura demografica
passa da un diagramma di distribuzione
dove la maggioranza della popolazione nei
decenni passati era giovane (under 30) (figura 1), a uno spostamento della maggioranza della popolazione ad oggi nella fascia
di età media (35-55enni) e con una previsione della maggioranza nella coorte 40-70
anni (figura 2). Il profilo italiano è allinea-
figura 1
to alla media dei paesi industrializzati europei ed extraeuropei, mentre una distribuzione con la maggioranza della popolazione nella fascia under 30 continua a caratterizzare attualmente alcuni paesi del Sudamerica, Australia, Corea, e in Europa Irlanda, Islanda e Turchia.2 I dati ci dicono
anche che i trend sull’aspettativa di vita
(78,7 anni per gli uomini e 84 per le donne,
con un incremento medio di più di due
anni rispetto alle aspettative del decennio
precedente, e con prospettive di incremento ulteriore nei prossimi anni),3 portano a
modificare i comportamenti e i sistemi
motivazionali legati ai cicli di vita degli individui, che costruiscono una percezione
di sé e dei propri obiettivi sul futuro non
basandosi più sugli anni trascorsi dalla nascita, ma sull’orizzonte dell’aspettativa di
vita. Ciò significa che se un 65enne fino a
1. European Demographic data
sheet 2010, Vienna Institute of
Demography, Population Reference
Bureau (www.populationeurope.
org).
2. Mature@eu Project,”Invecchiamento della popolazione per
fascia di età e genere dal 2000 al
2050” (http://www.mature-project.eu/materials/38123085.xls).
3. European Demographic data
sheet 2010, Vienna Institute of
Demography, Population Reference
Bureau (www.populationeurope.
org).
popolazione italiana ripartizione 1950
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Fascia d’età (tutti i 5 anni)
1950
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Popolazione (in migliaia)
fonte: divisione delle nazioni unite sulla popolazione, prospettive sulla popolazione mondiale (the 2006 revision)
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figura 2
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popolazione italiana ripartizione 2010 e 2050
Fascia d’età (tutti i 5 anni)
2010
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45-49
40-44
35-39
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Fascia d’età (tutti i 5 anni)
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Popolazione (in migliaia)
fonte: divisione delle nazioni unite sulla popolazione, prospettive sulla popolazione mondiale (the 2006 revision)
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rubrica
vent’anni fa entrava nel ciclo di vita dell’anzianità, oggi alla stessa età ha ancora davanti a sé mediamente circa vent’anni,4
perciò si percepirà e si comporterà ancora
come un soggetto socialmente ed economicamente attivo; nello stesso modo la percezione delle prospettive di vita professionale
attiva di un 50enne del 2009 sono parametrate su un’aspettativa di vita di ancora ben
trentacinque anni. Eppure in tutta Europa
mediamente solo il 44,5% dei 50-64enni è
figura 3
ancora attivo nel mercato del lavoro,5 e il
dato italiano comparato a livello internazionale è fra i più bassi, con un gender gap
piuttosto evidente (figura 3). Se la situazione per le donne italiane 50-64enni ha
avuto qualche lieve miglioramento con la
salita del tasso di occupazione dal 20% nel
1983 al 27% nel 2002, vi è stato però un
drastico calo dell’occupazione maschile
della stessa coorte dal 68% nel 1983 al 56%
nel 2002 (figure 4 e 5).
WOMEN AGED 50-64
ISL
MEX
CHE
JPN
NZL
NOR
KOR
SWE
USA
DNK
IRL
PRT
GBR
OECD
CAN
CZE
NLD
AUS
ESP
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EU
FRA
FIN
DEU
LUX
ITA
SVK
AUT
TUR
BEL
HUN
POL
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nomic Cooperation and Development, Ageing and Employment
Policies, Italy, 2004.
employment rates of olders workers by gender in oecd countries, 2002
as a percentage of population in each age group
MEN AGED 50-64
ISL
SWE
NOR
DNK
CHE
NZL
USA
FIN
GBR
JPN
CAN
KOR
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FRA
OECD
CZE
DEU
EU
NLD
IRL
AUT
HUN
POL
SVK
MEX
GRC
LUX
BEL
ESP
ITA
TUR
0
20
40
60
80
100
fonte: european labour force survey and national labour force surveys
52
4. Ibid.
5. OECD, Organization for Eco-
0
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figura 4
rubrica
employment rates by age and gender in italy, 1983-2002
as a percentage of population in each age group
MEN
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70
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30
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1989 1990
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1996
1997
1998
1999 2000 2001 2002
1994
1995
1996
1997
1998
1999 2000 2001 2002
WOMEN
100
90
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70
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1983
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1985
1986
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1988
1989 1990
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1991
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fonte: italian labour force survey
16
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6
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1993
employment rates by age and gender in italy, 1993-2002
as a percentage of the labour force
1994
Women 25-49
1995
1996
Men 25-49
1997
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Women 50-64
2000
2001
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figura 5
2002
Men 50-64
fonte: italian labour force survey
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rubrica
Già il Consiglio Europeo di Stoccolma del
2001 ha sottolineato l’importanza di un
orientamento mirato all’abbandono della
cultura del pensionamento anticipato a
vantaggio di “strategie globali per l’invecchiamento attivo … promuovendo una
percentuale elevata di 55-54enni che permanga attiva nel mondo del lavoro e il rinforzo dell’inserimento professionale delle
persone fra i 40 e i 50 anni”.6
Sembra perciò cruciale l’implementazione di alcune leve manageriali utili ad assicurare un maggior reclutamento e retention dei mature people attraverso sia sistemi di incentivi e progressione di sviluppo
carriera motivanti e sostenibili, sia un
adeguato sostegno a svilupparne l’employability per continuare per lungo tempo la
loro vita lavorativa.
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π Il pregiudizio dell’ageism
Per affrontare i cambiamenti strutturali
della società sopra illustrati non si può
prescindere dall’analisi della concezione
della vecchiaia diffusa nei paesi occidentali, basata sul pregiudizio dell’ageism
(Graebner 1980; Marshall 2001).
Questo fenomeno si contraddistingue per
l’adozione un preconcetto di recente acquisizione sociale, non supportato da fondamenti scientifici né in senso psicologico né in senso sociologico, che gli studi
storici fanno derivare dell’economia capitalista della fine del XIX secolo, quando le
condizioni lavorative improntate alla produttività spinta in tempi di lavoro sempre
più ridotti per il singolo lavoratore hanno
penalizzato i lavoratori più anziani.
L’ageism è quell’insieme di stereotipi e
tabù che vanno dall’idea comunissima del
decrescere delle prestazioni intellettuali
dopo i 45 anni alla presunta rigidità mentale e incompetenza sociale degli anziani
(Mazzara 1997), aspetti peraltro smentiti
dalle ricerche che invece ci dicono che
l’accumulo di esperienza consente alti li-
54
velli di apprendimento e che le persone
mature dimostrano, se motivate, una
maggiore capacità produttiva intellettuale
dei più giovani.
L’ageism fonda sostanzialmente un giudizio di incompetenza legato all’età, che
sembra tuttora ratificato da alcune prassi
organizzative, fino a determinare veri e
propri fenomeni di discriminazione.
Per esempio, i modelli di carriera up or
out sanciscono di fatto che intorno ai 45
anni il periodo utile per le promozioni sia
finito; la cosiddetta war for talent ha visto
le imprese incrementare i costi per assicurarsi personale giovane e brillante e indirizzare il recruiting con una netta preferenza verso questa fascia di età; ad oggi è
piuttosto evidente che chi esce dalle
aziende dopo i 45 anni ha un’elevatissima
probabilità di non rientrare più nel mercato del lavoro o di rientrarvi senza un’occupazione stabile.
La poca attenzione verso queste contraddizioni di cultura e di sistema può portare al paradosso di un eccesso di persone
mature nel mercato del lavoro, che vengono discriminate anzitempo.
π I sistemi di gestione
del personale age friendly
Fino ad oggi la maggior parte delle aziende italiane non sembra aver saputo affrontare in modo strutturato e consapevole le questioni fin qui sollevate attraverso
processi operativi adeguati.
La ricerca condotta da Adecco Institute
sull’indice di efficienza demografica
(IED) delle aziende7 rivela il grado di preparazione ad affrontare la svolta demografica misurando cinque fattori che influenzano la capacità delle imprese di gestire con successo una forza lavoro che invecchia: gestione delle carriere, formazione permanente, gestione delle conoscenze, assistenza medico-sanitaria e diversità
intergenerazionale.
6. Ibid.
7. http://institute.adecco.com/Research/Articles/Documents/2007
_Italy_Italian_LeAziende.pdf
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8. http://www.aequus.com.au/
european_ union_status_report_
on_discrimination.html
9. http://www.orientamentoirreer.it
/materiali/materiali/Documenti_Unione_Europea/UEB07%20
2001stoccolma.pdf
Nel 2007 l’IED dell’Italia è di 182 punti su
un massimo disponibile di 400.
Nei paragrafi successivi viene fatta una disamina dello stato dell’arte e delle possibili linee di sviluppo di alcuni processi operativi, allargando la rosa di quelli analizzati dall’indagine IED nella convinzione
che, se adeguatamente presidiati, potrebbero sostenere la conservazione della
forza lavoro e attrarre lavoratori mature
per riuscire a far fronte nei prossimi anni
allo sviluppo del business:
Il rischio è che l’esperienza e i
saperi taciti ed espliciti di cui sono
detentori gli ultracinquantenni
vadano sprecati
Ω
Ω
Ω
Ω
Ω
Ω
Ω
Ω
Ω
recruiting e selezione
percorsi di carriera
formazione
sistemi di gestione delle conoscenze
assistenza medico-sanitaria e servizi di
welfare
presidio della diversità intergenerazionale
politiche di flessibilità
politiche di reimpiego
accompagnamento alla pensione.
Recruiting e selezione
Secondo la Eurobarometer Survey 2009
“Discrimination in EU” c’è una diffusa
percezione che le politiche di recruitment
siano a favore dei candidati più giovani:
l’età del candidato è considerata il fattore
principale di scelta della candidatura. Il
58% dei cittadini EU considera diffusa la
discriminazione in base all’età (contro il
46% rilevato nel 2008) e la percentuale è
più alta fra i cittadini over 40, ovvero
rubrica
tanto più sale l’età dei rispondenti, tanto
più è percepita la discriminazione in base
all’età.8 In particolare, le aziende italiane
si mostrano riluttanti ad assumere persone con più di 50 anni: nel 2006 il 63% dichiara di aver assunto meno over 50 dell’anno precedente, e il 58% dichiara che
ne assumerà ancora meno nel 2008:9
quando c’è una richiesta urgente di competenze specializzate i datori di lavoro
continuano a considerare solo i candidati
più giovani, mentre i candidati meno giovani vengono generalmente esclusi.
Il rischio della persistenza di questo bias è
che nel tempo l’esperienza e i saperi taciti
ed espliciti di cui sono detentori gli over 50
vadano sprecati e che non si riesca a far
fronte alla prevista carenza di competenze
specialistiche. Diventa fondamentale gestire il reclutamento di personale superando le barriere formali e non formali legate
all’età attraverso alcune pratiche:
Ω eliminare la voce “età” negli annunci
di lavoro;
Ω promuovere campagne di annunci mirate alla valorizzazione delle esperienze e delle professionalità piuttosto che
all’età;
Ω formare specialisti di selezione per intervistare i candidati over 50;
Ω creare un processo di selezione che si
focalizzi sulle skills, competenze ed
esperienze dei candidati e sulle motivazioni legate ai cicli di vita degli individui e non all’età anagrafica;
Ω creare stretta cooperazione con le
agenzie locali di reclutamento;
Ω monitorare le politiche pubbliche di
sostegno all’occupazione di questa fascia di età;
Ω creare progetti di reclutamento targettizzato sulla fascia di over 50 disoccupati, occupati in aziende in fase di forte
ristrutturazione e a rischio di licenziamento, involontariamente inseriti in
programmi di prepensionamento.
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box 1
rubrica
cooperativa sociale l’incontro
IL CASO
LA COOPERATIVA SOCIALE L’INCONTRO è nata a Castelfranco Veneto nel 1991 e si occupa di servizi per gli anziani e inserimento lavorativo di persone con disagio mentale, attraverso un percorso mirato di formazione e apprendimento.
Sul progetto dedicato alla salute mentale, per guadagnare credibilità di fronte alle imprese industriali nelle quali inserire gli utenti e per poter disporre di competenze aziendali concrete e ben precise, non solo di conoscenze legate al disagio mentale, sono
stati selezionati per condurre attività di formazione presso i centri di lavoro guidato alcuni neopensionati e prepensionati, insieme a persone che possono usare forme di
flessibilità nell’attività lavorativa, che hanno dimostrato di avere esperienza nelle aree
di attività cui indirizzare i disabili.
I risultati di questa esperienza sono stati: un aumento della qualità e un’estensione
delle tipologie di servizi e di competenze fornite agli utenti, una relazione più solida
con le aziende del territorio, un miglioramento delle relazioni interne allo staff della
cooperativa. I “giovani” pensionati coinvolti nell’iniziativa hanno creato una propria
associazione e hanno dimostrato di “saper essere non solo ‘maestri d’arte’, ma anche
‘maestri di vita’, offrendo il proprio tempo per un progetto di valore sociale”.10
10. http://www.lincontro.it/sociale/filosofia_ incontro.htm
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Percorsi di carriera
Il ripensamento delle politiche di carriera
è necessariamente dettato dalla ricerca
dell’incontro fra esigenze del business e
bisogni legati al ciclo di vita dei lavoratori
mature, quali, per esempio, i cambiamenti di interessi professionali o l’assistenza
ai genitori anziani, il cui soddisfacimento
costituisce un fortissimo fattore di motivazione e lealtà aziendale, che le ricerche
hanno dimostrato essere superiore agli
aspetti retributivi (Herzberg 1966; Hamner, Hamner 1976).
In questo senso risulta importante l’implementazione di programmi di carriera che
includano le fasce di età più alte, sfatando
l’idea che il criterio dell’età sia predittivo
della prestazione e andando a scardinare
le prassi aziendali che tendono a ridurre il
periodo entro il quale si sviluppa la carriera dei dipendenti (Bombelli 2006):
Ω istituzione di sistemi di tutoring e
mentoring dedicati ai mature people;
56
Ω introduzione di consulenti di carriera
esterni che aiutino i singoli a rivedere
i propri obiettivi e piani di sviluppo individuale;
Ω apertura dei programmi per alti potenziali a tutte le fasce di età;
Ω sviluppo di sistemi di assessment dedicati agli over 50;
Ω programmazione di lungo periodo
delle carriere e delle successioni in
funzione dei bisogni aziendali;
Ω definizione di percorsi di carriera non
solo verticali;
Ω programmazione di cambiamenti di
ruolo orizzontali per favorire la crescita professionale.
Formazione
Indubbiamente, dal punto di vista sia soggettivo sia organizzativo la formazione
continua è uno strumento necessario in
contesti organizzativi, economici, strategici e di mercato caratterizzati da continui
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box 2
rubrica
eni
IL CASO
A PARTIRE DAL 2007, ENI ha inaugurato una politica di riconoscimento e valorizzazione professionale rivolta specificamente al personale in possesso di know-how particolarmente prezioso per l’azienda, acquisito nel loro lungo percorso
professionale.
Il progetto Knowledge Owner, lanciato a tal fine, aveva l’obiettivo di valorizzare i quadri in possesso di un bagaglio di conoscenze di rilevante importanza per ENI, attraverso la definizione di criteri per l’individuazione di un bacino di risorse
selezionato mediante il quale promuovere iniziative di diffusione delle conoscenze aziendali. I criteri sono stati:
Ω possesso di un know-how estremamente prezioso per supportare, direttamente o indirettamente, gli obiettivi strategici di ENI;
Ω possesso di competenze d’eccellenza che ne determinano l’autorevolezza professionale all’interno e all’esterno di ENI;
Ω possesso di competenze che hanno alti tempi di acquisizione e difficilmente reperibili sul mercato del lavoro, interno ed esterno all’azienda.
11. Caso realizzato grazie alla
collaborazione della dottoressa M.
Perrelli - HR Methodologies and
Tools Development - e della dottoressa I. Lenzi - Promozione della
Sostenibilità, ENI Corporate.
cambiamenti ed è una base imprescindibile per i lavoratori di tutte le fasce di età
in ordine allo sviluppo di carriera.
Ma per gli over 50 la partecipazione a iniziative di training si scontra ancora con lo
stereotipo della bassa propensione all’apprendimento e al cambiamento professionale, come mostrano i dati in figura 6,
mentre risulta fondamentale per loro perché consente di: acquisire competenze
trasversali utili per l’attività professionale,
riattivare la fiducia nell’efficienza dei propri processi cognitivi e di memorizzazione, recuperare motivazione grazie all’investimento che l’azienda dimostra di
voler fare su di loro.
Esistono alcune prassi a sostegno dello
sviluppo di un sistema di formazione che
includa anche gli over 50:
Ω potenziamento dei processi di analisi
dei fabbisogni formativi basati su criteri oggettivi che eludano il bias dell’età:
57
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Nel corso del 2008 è stato quindi introdotto ufficialmente il titolo professionale di Knowledge Owner, che è stato assegnato a circa duecento quadri senior in possesso dei requisiti indicati. I Knowledge Owner così individuati hanno un’età
media di circa 51 anni (50,7) e la maggior parte ha un’età compresa fra i 50 e i 55 anni. Oltre i due terzi appartengono a
funzioni di linea, con prevalenza di figure professionali di estrazione industriale, con particolare concentrazione nelle
aree professionali di ingegneria, tecnologia di processo, costruzioni, geologia. Questi settori sono caratterizzati da competenze specialistiche acquisibili solo dopo diversi anni di esperienza e difficili da reperire sul mercato esterno.
Dai suoi Knowledge Owner ENI si attende il tutoraggio nei confronti dei giovani, l’elaborazione di proposte volte allo sviluppo delle conoscenze e delle professionalità di competenza e la disponibilità a effettuare attività di docenza presso ENI
Corporate University.
Nel 2009 l’impegno per la valorizzazione dell’esperienza e per il mantenimento del know-how aziendale dei Knowledge
Owner si è concretizzato nella proposta di un percorso formativo e di iniziative specifiche per supportare le risorse individuate nel diventare docenti e membri della faculty di ENI. Successivamente sono stati realizzati workshop tematici tenuti e organizzati direttamente dai Knowledge Owner, ai quali hanno partecipato sia persone appartenenti allo stesso business sia persone operanti in altri settori di ENI. Nel 2010 è stato realizzato un sito intranet dedicato ai Knowledge
Owner con possibilità di accesso e interazione per tutti i dipendenti, con lo scopo di rendere ancora più visibili i referenti di ciascuna area di knowledge e di trovare un luogo virtuale dove “fare community”.11
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figura 6
60
50
40
30
20
10
0
rubrica
incidence of job-related training for workers by age in selected
oecd countries. refers to training received at some stage
during the 12-month period prior to the survey. the data for
each country refer to different years over the period 1994-98
as a percentage of employment
DNK NOR USA FIN NZL GBR CAN AUT CZE SWI
25-49
ITA
NLD
IRL
BEL POL
50-64
fonte: international adult literacy survey
individuazione delle skills core per l’organizzazione; rilevazione delle competenze disponibili; rilevazione dei gap
esistenti; analisi dei profili formativi
individuali;
Ω istituzione di processi di mentoring
continuo sul livello di competenze in-
box 3
dividuali per tutta la popolazione
aziendale rispetto ai ruoli ricoperti;
Ω inserimento di iniziative di formazione come parte integrante dei percorsi
di sviluppo carriera;
Ω assenza di limiti di età per l’accesso ai
programmi di formazione;
12. S.A. Hewlett, “Let Gen Y
Teach You Tech”, Harvard Business Review, nov. 2010 (http://
blogs.nyu.edu/blogs/kjg259/bom/2
009/03/special_update_time_war
ner_dig.html).
digital reverse mentoring
IL CASO
IL PROGRAMMA DIGITAL REVERSE MENTORING DI TIME WARNER è un originale sistema di aggiornamento dedicato agli
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executive, ideato e progettato dalle funzioni People Development e Technology Partnership and Development of Turner
Broadcasting, nell’ambito dei Ledaership Programs dedicati agli executive.
I dirigenti senior (di tutti i livelli, fino ai Chairman) dell’azienda vengono sfidati a mettersi di fronte ai nuovi media digitali attraverso l’affiancamento one-to-one a studenti di college, esterni all’azienda, utilizzatori ed esperti di tecnologie e
tendenze digitali da Facebook a Twitter a YouTube, selezionati in base non solo alla loro conoscenza delle applicazioni
2.0 e all’utilizzo delle tecnologie digitali, ma anche per essere creatori di nuovi web media.
Gli executive coinvolti lavorano con il loro mentore per almeno tre incontri di un’ora ciascuno, al termine di programmi
formativi sullo sviluppo della leadership, e restano poi in contatto con i giovani studenti per farsi fare supervisioni o interventi sullo sviluppo di progetti specifici.
Oltre alle conoscenze teoriche e alle pratiche di utilizzo, gli studenti offrono una visione dei valori, dei comportamenti
di consumo, degli stili di comunicazione della loro generazione, rendendo i dirigenti mature non solo più abili nell’utilizzo degli strumenti, ma anche più sensibili al mercato e aperti a nuove idee, e andando incontro alla loro voglia di crescita personale e aggiornamento.
Il programma, iniziato nel 2008 in quattro sedi pilota, è stato successivamente esteso a tutta la compagnia con grande
apprezzamento del livello di conoscenze acquisite attraverso questo progetto da parte degli executive coinvolti.12
58
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economia & management 1 - 2011
Saper codificare e
trasmettere internamente le
conoscenze e le competenze in
capo ai lavoratori più anziani
può diventare cruciale
13. http://institute.adecco.com/
Re search/Articles/Documents/
2007 _Italy_Italian_LeAziende.pdf
I risultati dell’indagine svolta da Adecco
Institute sull’indice di efficienza demografica (IED) delle aziende italiane nel
200613 rivela però che se l’88% delle
aziende italiane conduce analisi delle esigenze individuali di formazione, dimostrando una buon livello di consapevolezza del valore del contributo di ogni individuo allo sviluppo del business, il numero
complessivo di giornate dedicate alla formazione professionale è di soli 6,7 giorni
in un anno e solo il 35% delle imprese
offre programmi formativi su aspetti legati all’acquisizione di competenze trasversali e metodologiche, utili al riorientamento professionale.
aiutare le aziende a comprendere il ruolo
che i lavoratori hanno nel loro successo
economico e i rischi legati al momento in
cui i lavoratori chiave se ne vanno.
Lo sviluppo di sistemi e strumenti di
Knowledge Management risponde infatti al doppio obiettivo di non disperdere le
conoscenze interne all’impresa e di facilitare l’accesso alle procedure e ai processi di lavoro consolidati a tutti gli attori organizzativi.
Saper codificare e trasmettere internamente le conoscenze e le competenze in
capo ai lavoratori più anziani può diventare un fattore cruciale per lo sviluppo di
buoni sistemi di Knowledge Management, che possono essere:
Ω piattaforme per lo scambio di conoscenze;
Ω comunità di pratica interne;
Ω utilizzo dei lavoratori più anziani
come formatori, tutor, mentor per i più
giovani.
La necessità di aumentare il livello di sviluppo di sistemi che garantiscano il travaso di know-how dai lavoratori più anziani
al resto dell’impresa è testimoniato ancora una volta dall’indagine di Adecco Institute, secondo la quale il 68% delle aziende italiane ha un sistema di mantenimento di registri standardizzati di conoscenza
su business critici, il 40% ha calcolato i rischi legati alla perdita di know-how nel
caso in cui un dipendente di importanza
cruciale abbandoni l’azienda, ma solo il
28% afferma di aver effettuato un’analisi
completa e approfondita per determinare
quali persone detengano conoscenze e
quali all’interno dell’azienda.
Sistemi di gestione delle conoscenze
La gestione attiva delle conoscenze di cui
i lavoratori sono in possesso – competenze professionali specifiche, procedure e
processi di lavoro consolidati – è uno strumento di fondamentale importanza per
Assistenza medico-sanitaria
e servizi di welfare
Oltre ai servizi sanitari, si stanno incrementando nelle imprese sistemi di welfare
aziendale, non solo come sostegno verso
59
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Ω programmazione di iniziative di aggiornamento continuo dedicate a tutto
il personale;
Ω scelta di strumenti e contenuti formativi che abbiano senso e rilevanza sia
per il dipendente sia per il datore di
lavoro;
Ω programmazione di attività formative
strutturate durante l’orario lavorativo;
Ω utilizzo dell’e-learning.
rubrica
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box 4
rubrica
banca popolare del mezzogiorno
IL CASO
BANCA POPOLARE DEL MEZZOGIORNO nasce nel 1886 a Crotone per volontà di un gruppo di cittadini allo scopo di fa-
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vorire lo sviluppo del commercio e delle piccole imprese crotonesi. Appartiene al Gruppo Banca Popolare dell’Emilia Romagna e opera con la doppia anima di “banca locale di un gruppo nazionale” mantenendo il radicamento sul territorio
e garantendo, al contempo, il supporto professionale, tecnologico e patrimoniale di un grande Gruppo. In quanto banca
locale contribuisce fattivamente alla definizione delle strategie di sviluppo regionale ed è detentrice di un patrimonio informativo costruito attraverso anni di relazioni di affari con gli imprenditori della propria area.
Per realizzare concretamente azioni volte a favorire il passaggio di know-how dai colleghi con maggiore anzianità ed esperienza verso quelli dotati di elevate potenzialità, c.d. talenti, evitando di creare scompensi legati allo status dei colleghi
più anziani, è stata avviata sperimentalmente sulla Divisione Retail una coraggiosa azione di tutoring così strutturata: è
stato attribuito l’incarico di capo Divisione a una figura di talento con un’anzianità di servizio decisamente inferiore al
suo vice, individuato nell’ex direttore commerciale della Banca. Ad oggi il responsabile della Divisione Retail ha 40 anni,
mentre il suo tutor, vice responsabile della funzione, ne ha 62.
Il progetto, ideato dalla Direzione del Personale, è stato introdotto inizialmente attraverso un colloquio informale con il futuro tutor, che non ha accolto favorevolmente l’iniziativa, sentendosi di fatto “degradato”. Attraverso l’intervento di alcuni consulenti esterni, nell’ambito di un’attività di gruppo sono state trasmesse ai soggetti interessati la rilevanza e le opportunità connesse alla realizzazione del progetto per l’intera organizzazione. Superate le iniziali resistenze, si è riusciti a
trovare un accordo e a far operare insieme serenamente le due persone che oggi, a distanza di dodici mesi, hanno maturato un legame e una forte collaborazione che fondano l’intenzione di replicare l’iniziativa in futuro in altre aree. Il successo del progetto è probabilmente legato anche al fatto che la scelta del tutor è ricaduta su una persona che aveva svolto in
precedenza attività di tutoring e coaching di tipo sia manageriale sia tecnico-specialistico, su un gruppo di giovani talenti
per i quali erano stati strutturati percorsi formativi ad hoc. L’affiancamento durerà tre anni, fino al raggiungimento dell’età
pensionabile del tutor, i cui status e immagine sono stati salvaguardati inserendo in organigramma anche il suo nome e riconoscendogli il medesimo potere decisionale del responsabile nei processi che riguardano le unità organizzative.
Il progetto continuerà e verrà formalizzato anche in contesti diversi da quello attuale con l’obiettivo di supportare la crescita professionale di altre persone inserite in un nuovo talent program, soprattutto da un punto di vista manageriale, così
da garantire, tra le altre cose, la sopravvivenza e la diffusione di uno stile gestionale unico, riconosciuto e riconoscibile.
L’idea consente di raggiungere quattro obiettivi principali: diffondere know-how specialistico e gestionale verso le nuove
generazioni, creare un percorso di carriera alternativo alla progressione gerarchica per gli over 50, motivare il personale
over 50 e creare un clima di scambio intergenerazionale.14
le fasce di popolazione mature, ma anche
come benefit, compensazione e prevenzione in contesti organizzativi caratterizzati da una forte richiesta di impegno e ad
alto tasso di stress.
Le misure preventive o di sostegno alla salute e al benessere complessivo dei lavoratori – aspetto che per gli over 50 è particolarmente importante – possono essere le seguenti:
60
Ω realizzazione o aggiornamento di studi
sui rischi di salute legati ad attività di
lavoro specifiche;
Ω istituzione di analisi e report periodici
sullo stato di salute dei dipendenti;
Ω diffusione di survey interne;
Ω istituzione di gruppi di lavoro sulla salute;
Ω utilizzo di esperti esterni sul tema;
Ω convenzioni con centri di medicina
preventiva e diagnostica;
14. Caso realizzato grazie alla
collaborazione del dottor Salvatore Pulignano, Direttore del Servizio Personale Banca Popolare del
Mezzogiorno.
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15. http://www.eurofound.europa.eu/areas/ populationandsociety/cases/fi005.htm
box 5
Ω assistenza sociale di sostegno per lavoratori con familiari anziani a carico;
Ω coperture di long-term care, anche successive al pensionamento;
Ω realizzazione di interventi formativi di
educazione al benessere, alla nutrizione, a uno stile di vita sano, alla gestione dello stress;
Ω creazione di un sistema di incentivi
per controlli medici regolari;
Ω formazione di supervisor interni e mentor sul tema dell’Health Management;
Ω progettazione delle postazioni e degli
ambienti di lavoro secondo i principi
ergonomici;
Ω utilizzo di politiche di riconversione
professionale preventive;
Ω utilizzo di politiche di flessibilità orientate al work and life balance;
rubrica
Ω definizione di ruoli deputati al presidio
del tema per gestirlo in modo organico
e strategico.
Fa parte poi delle scelte politiche aziendali se rendere disponibili questi servizi a
tutti i dipendenti o a cluster definiti, oppure utilizzarli come veri e propri elementi di retribuzione indiretta offerti in
una sorta di catalogo all’interno del quale
i singoli possano fare le proprie scelte in
relazione ai bisogni soggettivi.
L’esistenza di strutture/ruoli deputati a
questo genere di servizi naturalmente
offre la possibilità non solo di coordinare
e gestire le iniziative in modo organico,
ma di dare un messaggio aziendale forte
sulla strategicità del tema per la gestione
del personale.
ovako koverhar and ovako dalsbruk
IL CASO
OVAKO KOVERHAR AND OVAKO DALSBRUK è un’azienda finlandese di produzione di una vasta gamma di materiali in
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acciaio che ha implementato a partire dal 1992 una lunga serie di iniziative dedicate alla salute e al benessere dei dipendenti, allo scopo sia di diminuire il tasso di assenteismo e di morbilità, sia di trattenere i propri dipendenti oltre l’età pensionabile per ridurre il costo delle pensioni.
La popolazione aziendale ha ad oggi un’età media piuttosto alta: su circa 800 dipendenti il 75% sono operai con un’età
media di 43 anni e il 25% sono impiegati con un’età media di 49 anni.
In totale la popolazione over 45 è composta da un 25% di persone con più di 44 anni, un 18% con più di 54 anni, un 9%
con più di 59 anni; il 65% della forza lavoro è impiegata lì da più di dieci anni e il 25% da più di trenta.
Le iniziative promosse sono state particolarmente ricche: la revisione del sistema di turni di lavoro in produzione con
preferenza della fascia oraria mattutina per la popolazione 44-56 anni; la revisione delle analisi delle postazioni di lavoro e delle mansioni; l’incremento degli aspetti ergonomici; l’adozione di politiche di riconversione concordate con la direzione Occupational Health and Safety; workshop sul tema “ageing”; l’istituzione di un corso di riabilitazione di cinque
giorni condotto da fisioterapisti all’interno di centri benessere per tutti i dipendenti al compimento dei 54, 59, 63 anni;
la promozione di controlli medici regolari; piani di pensionamento part-time. Questi provvedimenti hanno migliorato
l’ambiente fisico e psicosociale di lavoro accrescendo la motivazione dei dipendenti, portandoli ad aumentare la produttività, incrementando la disponibilità alla mobilità territoriale, migliorando l’atteggiamento verso il tema ageing, diminuendo i costi reali relativi alla morbilità e il tasso di assenteismo (che ha una media più bassa delle aziende del settore), aumentando l’età media di ritiro dal lavoro da 56-57 a 58-59 anni. L’azienda, oltre a continuare a mettere in campo
queste iniziative, sta progettando un sistema di recruiting che offra la possibilità di rimpiazzare i lavoratori più anziani
che si prevede si ritireranno nei prossimi dieci anni con una popolazione di fasce di età eterogenee.15
61
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rubrica
Presidio della diversità
intergenerazionale
Le azioni di costruzione di un posto di lavoro multigenerazionale (Zemcke, Filipzack, Raines 2000) sono legate ai vantaggi per l’impresa derivanti sia dalla conciliazione di valori, mentalità, ambizioni
delle tre generazioni ad oggi presenti
nelle organizzazioni, sia dalla decostruzione di un doppio stereotipo che condiziona l’interpretazione dei comportamenti dei giovani e degli anziani. I primi sono
considerati più disponibili, più flessibili,
con una polarizzazione di pensiero positiva che li vede come sognatori, creativi, in
apprendimento, mentre i secondi sono
associati allo stereotipo dell’essere poco
inclini a dedicare molto tempo al lavoro,
poco flessibili, e secondo una polarizzazione negativa che li vuole lenti, resistenti al cambiamento, non disponibili all’apprendimento (figura 7).
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figura 7
Il pregiudizio dell’ageism si basa sull’idea
che solo nei giovani ci siano talento e capacità di innovazione, contro il senso
della tradizione tutelato dalle persone più
anziane, pregiudizio ulteriormente spinto dall’evoluzione tecnologica con la quale
i più giovani sono cresciuti, e che ha invece costretto i lavoratori senior a riadattare
più volte le loro modalità di lavoro, di comunicazione e di pensiero.
Diventa invece cruciale riuscire a far col-
62
laborare le tre generazioni che oggi portano nel contesto organizzativo comportamenti dettati da storie e valori diversi: i
baby boomers (nati fra il 1946 e il 1963
nell’era postbellica) generalmente idealisti, imprenditori, cresciuti in un’epoca di
ottimismo, progresso e crescita, autori
della diffusione tecnologica, attenti alla
crescita personale e all’impegno sociale;
la Gen X (nati fra il 1965 e il 1980 in seguito al periodo del progresso economico, cresciuti all’ombra dei baby boomers)
generalmente più freddi, dediti al lavoro,
attenti al denaro, rispettosi delle gerarchie, con un orientamento al lavoro dettato dall’etica del dovere e del sacrificio; la
Gen Y (nati fra il 1980 e il 1994), la “generazione Peter Pan” spesso costretta a
restare in famiglia fino ai trent’anni, figli
dei baby boomers, generalmente hanno
avuto un’educazione liberale, hanno
un’alta stima di sé, sono nati nell’era della
tecnologia, del networking e dell’interculturalità, tendenzialmente hanno meno rispetto delle gerarchie, ragionano e agiscono con velocità, sono abituati a vedere
anything anywhere, hanno grande flessibilità, attenzione alla crescita personale,
senso etico.
Per far incontrare quelle che rischiano di
diventare sottoculture organizzative, che
rinforzano all’interno di gruppi di lavoro
omogenei caratteristiche anche stereotipiche della fascia di età di appartenenza,
spesso a sfavore delle popolazione mature
in virtù dei pregiudizi illustrati, le iniziative possono essere:
Ω creazione di team di lavoro intergenerazionali;
Ω diffusione di una cultura che valorizza
l’esperienza professionale;
Ω valorizzazione del contributo del singolo, indipendentemente dall’età o
dalla posizione;
Ω workshop sulle differenze di valori e
comportamenti legati all’età.
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box 6
rubrica
coop adriatica
IL CASO
COOP ADRIATICA, parte integrante del sistema Coop, la più importante catena distributiva italiana e, insieme, la più gran-
Politiche di flessibilità
16. Stefani S., Coop Adriatica:
Protocollo per lo sviluppo di
azioni positive: Considerazioni
su flessibilità e conciliazione a
partire da un esempio concreto,
2007.
Diversi studiosi hanno dimostrato che la
flessibilità di tempo e di luogo di lavoro
portano a ridurre l’assenteismo, i ritardi,
gli straordinari e influenzano positivamente l’engagement dei lavoratori (Kim,
Campagna 1981; Papalexandris, Kramar
1997; Cuomo, Mapelli, Paolino 2010).
Modalità di lavoro flessibili possono essere, in generale, un efficace strumento non
solo di fidelizzazione dei dipendenti ma
addirittura di produttività poiché le performance individuali possono aumentare
grazie a una migliore organizzazione del
lavoro e a una maggiore efficienza sulle
singole attività assegnate.
63
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de organizzazione di consumatori, conta 156 punti vendita (16 ipermercati e 140 supermercati). L’organizzazione a isole,
promossa dal 2002 nell’ambito delle iniziative legate alla responsabilità sociale, è un modello organizzativo rivolto al personale che opera all’interno dei servizi cassa degli ipermercati, e coinvolge nel 2007 circa 600 persone, di cui circa il 20%
nella fascia over 50. L’orario è costruito su misura ed è armonizzato con quello dei colleghi, basandosi sulla logica della
complementarità tra esigenze di persone diverse per condizioni socio-familiari, stili di vita e interessi: i componenti del
servizio vengono suddivisi in gruppi – denominati isole – di 15/25 unità con caratteristiche sociologiche diverse che, in
base alla costruzione dei gruppi, si traducono in esigenze di vita diverse e quindi in scelte di orario differenti, che generalmente trovano un’ottimale distribuzione rispetto alla curva di carico, ovvero alla richiesta di presenza formulata dal responsabile del servizio. Il sistema si basa su flessibilità e modulazione intese come possibilità di scegliere orari sempre
differenti per durata e per distribuzione e di utilizzare le proprie ore lavorative secondo un sistema di debito/credito che
consente di ripartire il proprio tempo di lavoro con una periodicità mensile o annuale. Impostato su base volontaria, il sistema necessita per il suo funzionamento di un’alta percentuale di adesione al modello organizzativo (oltre l’80%), di solidarietà tra i vari membri di ciascuna isola, di capacità di concertazione e di adattabilità nonché di senso di responsabilità per far fronte alla curva di carico assegnata. Le regole di gestione del sistema costituiscono oggetto di accordo sindacale. Il grado di apprezzamento del progetto, partito inizialmente per favorire il work and life balance delle donne con famiglia, è desumibile dal regolare rinnovo dell’adesione volontaria annuale al progetto da parte di diversi lavoratori e da
alcune evidenze emerse dai focus group di monitoraggio: miglioramento del clima nell’ambiente di lavoro e una buona
conciliazione con la vita familiare ed extralavorativa in generale. In particolare, sono state valutate come punti di forza del
progetto la possibilità di fruire di giornate di riposo consecutive anche nei week-end, circostanza normalmente impensabile nel comparto della grande distribuzione, e la possibilità di ridurre il numetabella 1
ro di turni “spezzati” concentrando le
ore di lavoro in un turno unico. Il risul2002
2003
2004
2005
2006 2007
tato per l’azienda è stata una sostanzian. ipermercati coinvolti 2
5
9
9
9
11
le riduzione del turnover, una maggiore
n. lavoratori coinvolti
147
370
560
560
560 (n.d.)
aderenza ai flussi della clientela con la
riduzione dei tempi di attesa dei clienti
Costo del progetto
214.510 383.000 315.000 81.600 (n.d.) (n.d.)
alle casse e un complessivo miglioramento del livello di servizio grazie a un
fonte: bilanci di sostenibilità coop adriatica
miglioramento del clima interno.16
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rubrica
Lo studio di benchmarking realizzato dall’Osservatorio sul Diversity Management
di SDA Bocconi nel 2009 ha inoltre evidenziato che la flessibilità è una condizione organizzativa fondamentale proprio al
fine di attuare efficaci politiche di valorizzazione delle diversità, che sicuramente
rivestono particolare importanza per facilitare la permanenza al lavoro e lo sviluppo delle potenzialità degli over 50. Va però
sottolineato che, a dispetto di queste evidenze, nel contesto attuale nella maggior
parte delle imprese italiane i lavoratori
che ricorrono a queste prassi sembrano di
fatto ancora stigmatizzati ed esclusi dai
percorsi di sviluppo di carriera: la cultura
organizzativa italiana sembra infatti attribuire ancora grande rilevanza alla visibilità sul posto di lavoro e al presenzialismo,
mentre la flessibilità sembra associata a
un pregiudizio di minor convenienza per
il datore di lavoro, minor fedeltà e minor
commitment da parte dei dipendenti.
In questo quadro culturale pare possano
lavorare al meglio solo coloro che non
hanno obblighi sociali e di cura extralavorativi e sono perciò orientati a spendere
tutto il loro tempo per il lavoro: essere
sempre disponibili e visibili diventa sinonimo di competenza, a rischio di perdere
talenti e produttività in capo a coloro che
non presentano questo atteggiamento.
Adottare buone prassi in questo campo significa invece dare ai lavoratori mature la
possibilità di adeguare le modalità di lavoro ai cambiamenti nel loro modo di interpretarlo, alle responsabilità familiari e
agli interessi extralavorativi maturati nel
tempo, e significa adottare forme autentiche di “cura” della forza lavoro (Naegele,
Walker 2008). Qui di seguito alcune best
practice:
Ω accordi speciali sulla riduzione degli
orari lavorativi giornalieri e settimanali;
Ω applicazione di contratti di lavoro flessibile;
64
Ω applicazione di sistemi di pensionamento parziale;
Ω introduzione di periodi di astensione
dal lavoro retribuita e non retribuita;
Ω applicazioni specifiche di job rotation;
Ω esclusione dei lavoratori mature dagli
straordinari e altre forme di lavoro
extra orario;
Ω negoziazione individuale delle mobilità territoriali e dei cambiamenti di
mansione;
Ω concessione di tempo libero come benefit.
Politiche di reimpiego
Le buone politiche di reimpiego sono basate sul coordinamento fra la domanda
delle organizzazioni e le abilità e aspirazioni dei mature people, e sono orientate a
mantenere la qualità del lavoro precedente. Il reimpiego non dovrebbe essere solo
un provvedimento compensativo a fronte
di una diminuzione delle performance o
di ristrutturazioni organizzative, ma una
misura preventiva per la salute e un vero
e proprio elemento del sistema di sviluppo carriera con effetti positivi a lungo termine per tutta l’organizzazione. Le buone
prassi vanno inquadrate come parte di
una vera e propria strategia di gestione
preventiva orientata a mantenere l’occupazione attraverso:
Ω la flessibilità;
Ω la riduzione dei carichi di lavoro e del
lavoro monotono;
Ω l’opportunità di continuare a usare
competenze e qualifiche precedenti;
Ω l’opportunità di sviluppare nuove competenze e qualifiche;
Ω la valorizzazione della salute;
Ω la tutela della sicurezza del lavoro
al fine di aumentare la motivazione e il
senso di responsabilità dei soggetti e di
promuovere nuove opportunità invece di
licenziamenti o involontari pensionamenti anticipati. Inoltre, poiché “vivere un se-
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Accompagnamento alla pensione
17. Ibid.
La cultura aziendale sul tema del pensionamento è naturalmente correlata alle
possibilità che i regimi pensionistici nazionali offrano una scelta di opzioni, ed è
tanto più positiva quanto più queste sono
equamente applicate fra i lavoratori.
Vale la pena comunque interrogarsi su
quale sia la “cultura del pensionamento”
(Naegele, Walker 2008) esistente in
azienda, perché è predittiva dei comportamenti dei singoli e significativa in ordine
al tema della gestione dell’età.
Un approccio costruttivo alle politiche di
pensionamento può comprendere:
Ω introduzione di misure preparatorie per
il pensionamento a livello aziendale;
Ω disponibilità di servizi di consulenza
agli ex dipendenti per assisterli nella ricerca di una nuova posizione;
Ω offerta dell’opportunità per i pensionati di mantenere i contatti con i colleghi
e con l’organizzazione in generale;
Ω adozione di forme flessibili di transizio-
ne: i pensionati possono continuare a essere impiegati su base temporanea, possono ridurre progressivamente l’orario
di lavoro, possono svolgere lavori al di
fuori dell’organizzazione (per es. attività
di volontariato nella comunità);
Ω introduzione di periodi sabbatici di
preparazione alla pensione.
L’implementazione di buone pratiche
nelle politiche di pensionamento e uscita
porta una serie di vantaggi: rende più facile trovare un successore al quale far acquisire familiarità con il lavoro attraverso
affiancamenti con il titolare di ruolo in
uscita; contribuisce a migliorare l’immagine aziendale esterna e interna; fa sì che
si possa contare in qualche misura anche
informale sulle competenze, conoscenze
e network dei dipendenti che sono andati
in pensione; nel caso di carenza di personale rendono più facile chiamare ex dipendenti per compensare il deficit a breve
termine o su base temporanea.
π Conclusioni
La crisi economica ha purtroppo un impatto significativo sulle decisioni di HR in
particolare e sull’innovazione dei processi
di gestione in generale, che rischiano di
orientarsi a un miope taglio dei costi, tanto
più netto quanto più è profonda la crisi di
un’economia.
In Germania, per esempio, sono stati osservati su questi temi alcuni effetti relativamente positivi portati dalla crisi economica, quali una maggiore priorità alla riduzione degli straordinari e al posticipo
delle nuove assunzioni piuttosto che ai licenziamenti, mentre in Spagna, dove la
crisi si è manifestata in modo più profondo, gli effetti negativi quali ulteriori tagli
alle attività di sviluppo delle risorse umane
sono stati dominanti. Il dato dell’indice di
efficienza demografica nel 2009 è in calo
per l’Italia rispetto al 200617 e indica che
65
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condo ciclo della propria vita nell’ambito
della stessa organizzazione, cambiando
magari il proprio ruolo e la propria specificità … è una responsabilità dell’azienda
non facile perché a livello individuale pone
problemi di status e di immagine” (Floriani 2008) è fondamentale che queste prassi non portino alla dequalificazione professionale e alla perdita dello status con un effetto demotivante che spinge non di rado i
lavoratori verso un precoce “pensionamento interiore”, che può anche influenzare negativamente il clima generale di lavoro (Naegele, Walker 2008).
Le buone prassi, dal punto di vista dell’organizzazione, fanno sì che la produttività
dei dipendenti rimanga costante o aumenti, che diminuiscano le assenze per malattia e che i candidati futuri ai processi di
reimpiego le assumano come modello del
loro sviluppo di carriera successivo.
rubrica
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rubrica
la percezione sull’importanza del cambiamento demografico è scesa e che si sta riducendo ulteriormente il già mediamente
breve orizzonte di pianificazione delle esigenze di personale e il grado di consapevolezza della carenza di competenze reperibili in futuro nel mercato del lavoro. Lo
scenario illustrato all’inizio di questo articolo ci dice invece che le aziende saranno
chiamate sempre più a pianificare i pensionamenti, le sostituzioni, la flessibilità
del personale in orizzonti non più di breve
periodo (media italiana di 0,8 anni per gli
impiegati e un anno per dirigenti e professionisti),18 ma di almeno tre-cinque anni e
ad implementare molte delle iniziative che
abbiamo descritto affinché la recessione
economica non diventi anche recessione
culturale e competitiva dove l’attenzione al
taglio dei costi legato al semplice dato di
remunerazione risparmiata sembra offuscare la visione strategica di mantenimento delle competenze core per lo sviluppo
dell’impresa. π
18. Ibid.
π Riferimenti bibliografici
Bloom D.E., Canning D., Fink G., Finlay J.E.
(2009), The Effect of Social Security Reform on
Male Retirement in High and Middle Income
Countries (www.hsph.harvard.edu/pgda/
WorkingPapers/2009/PGDA_WP_48.pdf).
Bombelli M.C., Finzi E. (2006), Over 45.
Quanto conta l’età nel mondo del lavoro,
Guerini e Associati, Milano.
Burke R.J. (2009), “Working To Live or Living
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