IL CAMPO ELETTRICO 1) LA FORZA ELETTRICA La forza che interviene in modo largamente preponderate nel determinare le proprietà della materia a livello atomico-molecolare è quella elettromagnetica. Questa parola composta suggerisce subito che si abbia a che fare, in qualche modo, con due contesti fenomenologici che, pur distinguibili, possano essere entrambi ricondotti a un contesto unico in cui l'aspetto detto "elettrico" dei fenomeni e quello detto "magnetico" sono tra loro complementari e mutuamente implicati in una fenomenologia di carattere più generale di quelle di ambito elettrico e magnetico presi separatamente. Questa sezione si occupa di fornire gli elementi distintivi della componente elettrica della forza elettromagnetica. Si parla di forza, dunque si deve parlare, principalmente, di - come questa forza si trasmette - a quali enti fisici sia associata . Prima di affrontare la questione, vogliamo stabilire un criterio operativo per definire in qualche modo la forza elettrica; lo faremo nel modo che è più consono alla Fisica quando essa si apre ad un nuovo capitolo: fare riferimento ad un contesto osservativo all'interno del quale distinguere gli oggetti primitivi che popolano il nuovo livello fenomenico. A questo scopo, ci rivolgeremo al livello microscopico per stabilire come e perché le cose in primo luogo consistano in un certo modo. Voglio dire: se prendiamo in considerazione un tipico abitante del microcosmo al livello su cui intendiamo attestarci, una semplice molecola biatomica come quella dell'acido cloridrico H Cl , ci chiediamo subito in virtù di che cosa essa si costituisca e in tale stato si mantenga, qualora non venga perturbata dall'esterno, per un tempo indefinito. La risposta può essere solo: per l'azione di una forza. Allora mi chiedo: quale forza? Lo studio della meccanica ci ha consegnato un solo genere di forza, quella gravitazionale che scaturisce dall'interazione di due masse: è l'"avere massa" intesa come prerogtiva o qualità degli oggetti materiali che giustifica la manifestazione di questa forza. Possiamo allora formulare l'ipotesi di lavoro che sia la forza gravitazionale a realizzare il legame tra l'atomo di H e quello di Cl nella molecola? La risposta è sì, purché si sia anche disposti a sottoporla a controllo sperimentale. Cominciamo allora a pensare in tal senso. Possiamo fare riferimento alla legge di Newton, in base alla quale, nota la distanza r dei due atomi nella molecola e le loro masse m e m' , possiamo fare la previsione che l'intensità della forza sia F = G m m' / r2 . 1 In realtà, fare riferimento alla forza è decisamente scomodo, perché si dovrebbero andare a valutare le cose a livello microscopico, con una sequela di conseguenze proibitive su cui preferiamo glissare. Il riferimento corretto e facilmente praticabile in un comune laboratorio di fisica o di chimica è invece quello dell'energia di legame del composto, che è l'energia che si deve fornire al sistema per spezzare il legame o, con maggiore precisione, l'energia necessaria per per portare i due atomi a una distanza infinita l'uno dall'altro a partire dalla distanza r. Questa energia è data immediatamente da quella dell'energia potenziale: U = G m m' / r . Dunque, la previsione è fatta: basta sostituire a m , m' e r i valori stimati. Dopo di che si entra in laboratorio e si prende una massa M di H Cl; essendo nota la massa molecolare m, si stabilisce subito il numero di molecole N: N = M/m . Quindi si procede a un opportuno trattamento il cui esito finale comporti che tutte le molecole siano disgregate e si misura l'energia che è stata assorbita dal sistema nel processo. Sia L questa energia. Ora, si divide L per N e si ricava l'energia che è stata fornita a una singola molecola per spezzarne il legame; indichiamola con E. In realtà, in un laboratorio, non si trova E, ma un valore (questo) a meno di un'indeterminazione ΔE che deriva dall'inevitabile intervento di cause di errori di misura. Questo viene espresso scrivendo il risultato delle misue nella forma E ± ΔE , intendendo con ciò dire che il valore presumibile dell'energia di legame misurata è compreso nell'intervallo tra E-ΔE e E+ΔE, essendo E il valore "più probabile". Ora, arriviamo al punto cruciale: il confronto tra la previsione (U) e la risposta della realtà (E): se U cade all'interno del precedente intervallo, allora l'esperienza conforta l'ipotesi di partenza su cui si è sviluppata la previsione, altrimenti l'idea va in crisi. Ora, se lo scarto tra U e E non è tanto grande, si può essere disposti ad un altro tentativo, preferibilmente di altro tipo; ma se lo scarto è notevole è chiaro che l'idea è fallimentare. Bene, si verifica che il valore di E, cioè l'energia di legame della molecola misurata in laboratorio risulta nientemeno che 1039 volte più grande di U! E' quindi assolutamente insostenibile pensare alla forza di gravità come "colla" tra gli atomi in una molecola. Che fare? Semplicemente quello che fa la fisica in questi casi: prende atto della cosa e volta pagina dicendo che sussiste un dato di fatto per cui deve esistere una forza diversa da quella gravitazionale che interviene a determinare le cose in modo pressoché esclusivo (visti i risultati) a livello interatomico. Attenzione: non si dice che la forza gravitazionale non è presente; semplicemente, a quel livello, i suoi effetti sono largamente trascurabili; tanto trascurabili che si può tranquillamente pensare che non esista. 2 Anzi, la fisica fa anche di più: dopo avere riconosciuto il nuovo parto, assegna il nome alla sua creatura, come tutte le mamme come si deve. Nella fattispecie, il nome di battesimo di questa forza è "forza elettrica". A questo punto, ha inizio l'osservazione dei fenomeni in cui questa forza è implicata. Innanzitutto, essa si trasmette a distanza: gli atomi in una molecola, per quanto straordinariamente vicini (le distanze sono dell'ordine dei 10-10 m), sono comunque separati da uno spazio vuoto; in ogni caso, tutta una serie di effetti famosi noti fin dall'antichità, riconducibili al novero delle manifestazioni della forza elettrica (le proprietà del famoso "élektron", l'ambra dei greci), mostra chiaramente la presenza di un'azione a distanza. Dunque, siamo subito portati a pensare alla propagazione della forza elettrica in termini di campo: il campo elettrico, appunto. In seconda battuta, dobbiamo dare un nome anche alla qualità materiale a cui la forza elettrica è associata (l'analogo della massa per il campo gravitazionale); la si poteva chiamare "massa elettrica" o anche Andrea; la scelta è caduta su "carica elettrica" o, più semplicemente, "carica". Dunque, d'ora in poi siamo autorizzati a pensare agli oggetti materiali come passibili di possedere, oltre che a un volume, una forma, un colore, una massa, un odore, ecc. anche una carica, che si indica, genericamente con "q". Un fatto saliente: a differenza della forza gravitazionale, che è solo attrattiva, quella elettrica può essere anche repulsiva. Questo duplicità comporta, a filo di logica, che debbano esistere due diversi generi di sorgenti di forza elettrica, cioè due "stati elettrici" distinti per la materia che li supporta. Questi due stati si traducono, nella fraseologia corrente, nella distinzione tra "cariche positive" e "cariche negative"; va detto che niente può far presupporre quale delle due specie di cariche debba essere positiva oppure negativa, nel senso che questi due aggettivi servono solo ad esprimere la diversità dei due stati di carica. Si constata che cariche dello stesso segno si respingono e che cariche di segno opposto si attraggono. Il punto ora è: come e quanto si respingono o si attraggono? La risposta è contenuta nella Legge di Coulomb, che riguarda l'interazione di due sole cariche puntiformi q e q' poste a una distanza r l'una dall'altra. Si verifica che l'intensità dell'interazione è F = K qq' / r2 (*) che la forza è diretta lungo la retta tra q e q' e che il verso è rivolto sulle cariche o in senso opposto a seconda che ci sia attrazione o repulsione: q!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! q' attrazione q!!!!!!!!!!! !!!!!!!!!q' repulsione 3 Una forza così concepita, cioè inerente all'interazione tra cariche puntiformi, si dice "coulombiana". Vale la pena di osservare come l'interazione sia, di fatto, espressa da una coppia di forze antitetiche secondo quanto, appunto, prescrive il terzo principio della dinamica. Si può anche notare l'identità formale tra questa espressione e quella che formula l'intensità dell'interazione gravitazionale: cambiano solo i nomi delle cose (le cariche al posto delle masse) e i valori numerici delle costanti di proporzionalità (K al posto di G). Questa seconda circostanza, tuttavia, non solo un fatto puramente formale, ma insito nella natura profondamente diversa delle due interazioni; per inciso, il valore della costante K è, nel vuoto, circa 9 x 109 u. S. I. e dipende, in generale, dal mezzo che riempie lo spazio permeato dal campo. Riguardo all'unità di misura della carica, diremo che una sua definizione corretta richiede il ricorso a nozioni di elettromagnetismo che, a questo livello, non sono disponibili; per il momento, ci accontentiamo di dire che può essere considerata quella carica che, posta alla distanza di 1 m da un'altra identica, la respinge con una forza pari a K; dato che K vale, nel vuoto, circa 9 x 109 , ne consegue che questa unità detta "coulomb" è una carica di una certa entità; infatti 9 x 109 N, equivalgono a circa 9 x 108 kg-peso, cioè a circa novecento milioni di tonnellate. Per ragioni che vedremo la costante K viene di norma espressa in un modo più articolato: K = 1 / 4 π εo , dove εo è un numero che prende il nome di "costante dielettrica del vuoto"; se il mezzo non è il vuoto, la costante dielettrica si indica con ε ed assume il valore appropriato per quel mezzo. Dato che la forza in questione è un vettore, la sua espressione sarà un po' più complicata di quella che abbiamo appena formulato; in particolare si dovrà fare in modo di associare alla (*), che rappresenta il modulo di un vettore, gli altri due caratteri: direzione e verso. Si ottiene questo moltiplicando la (*) per la quantità r/r: un vettore di modulo unitario (si divide r per se stesso) che mantiene le caratteristiche del vettore r in fatto di direzione e verso, proprio come vogliamo; scriveremo quindi F = q q' r 4 ! "o r 2 r 1 In pratica r/r altro non è che il versore di r. 4 2) CORPI ELETTRICAMENTE CARICHI A questo punto è naturale chiedersi per quale ragione un corpo può essere in grado di interagire elettricamente con un altro, cioè di manifestare una carica elettrica. Se per "corpo" si intende un oggetto macroscopico costituito da qualcosa come 1023 atomi, cioè da un numero di componenti dell'ordine del numero di Avogadro, dobbiamo subito pensare all'enorme numero di particelle che, a livello microscopico, lo compongono: in prima approssimazione, tutti i protoni e i neutroni dei nuclei dei suoi atomi e tutti gli elettroni dei relativi gusci. E' già la seconda volta che, parlando di fenomeni elettrici, tiriamo in ballo gli atomi; il fatto non è casuale e la ragione è che le forze di tipo elettrico sono quelle che intervengono con un peso largamente preponderante a livello atomico e molecolare; cioè a regolare le dinamiche inerenti le interazioni tra atomi e, in ogni singolo atomo, tra i suoi elettroni e il nucleo di appartenenza. Stante il fatto che un atomo, in condizioni normali, è elettricamente neutro, devono essere le sue componenti ad essere dotate di carica; carica che poi deve essere presente e distribuita in modo tale da realizzare questa neutralità. Sappiamo certamente tutti che le particelle cariche costitenti l'atomo sono i protoni presenti nel suo nucleo e gli elettroni del guscio. Gli elettroni sono portatori di una carica che, per come è stato convenuto in principio nel classificare i due tipi di carica, risulta negativa; la carica opposta, quella che rende l'atomo neutro, è contenuta nel nucleo ed è associata ai protoni. Risulta che, in valore assoluto, le due cariche sono uguali per cui, in un atomo in condizioni normali, il numero dei protoni è uguale a quello degli elettroni, ed è il suo "numero atomico" Z. Ora, si deve dire che, nel quadro delle attuali conoscenze in fatto di particelle, l'elettrone è considerato "elementare", cioè non dotato di una sottostruttura, mentre il protone risulta essere una combinazione di oggetti di livello inferiore, detti "quark". Risulta che questi quark abbiano una carica elettrica frazionaria di quella elettronica e che nei protoni si combinino tra loro a tre a tre in modo da dare come risultato una carica elettronica, ma positiva. Il livello a cui intervengono gli effetti di questa carica, vale a dire da quello del nucleo in giù, è largamente dominato da una forza almeno cento volte più intensa di quella elettromagnetica: la forza nucleare forte. Questo implica che le interazioni elettromagnetiche tra quark e tra protoni nei nuclei siano coperte da quelle più intense della forza forte. Così, ad esempio, l'intensità di questa forza rende coeso il nucleo a dispetto della repulsione elettrica tra i protoni, che portano cariche dello stesso segno. In altre parole, non possiamo aspettarci che i corpi acquisiscano una carica positiva per effetto di un trasferimento di protoni da un corpo all'altro: un evento del genere, caso mai, sarebbe secondario alla disgregazione di un nucleo, e quindi inerente a tutta una fenomenologia completamente diversa da quella che è propria dei fenomeni elettrici. Di fatto, ciò che può rendere ragione dei fenomeni elettrici in senso stretto può essere soltanto il trasferimento di elettroni da un corpo a un altro. 5 Questo processo si chiama "elettrizzazione" e prevede che, se un corpo viene depauperato di elettroni, esso manifesti una carica positiva in ragione dell'eccesso di protoni non compensati che viene a contenere e, viceversa, che un corpo arricchito di elettroni manifesti una carica negativa. I meccanismi di elettrizzazione sono molteplici, ma tutti sono riconducubili a una condizione essenziale: che attraverso di essi si fornisca agli elettroni l'energia necessaria a trasferirsi da un corpo a un altro. In questa prospettiva, dobbiamo pensare agli elettroni contenuti in un corpo come all'acqua sul fondo di un pozzo la cui profondità corrisponde all'energia necessaria per portarlo fuori dal sistema di appartenenza; questa energia si chiama "energia di estrazione" o "lavoro di estrazione". Tecnicamente, il "pozzo di energia" viene denominato "buca di potenziale", in ragione del fatto che la sua profondità relativa viene quantificata dall'energia potenziale (associata alla forza elettrica, ovviamente) di una particella vincolata al sistema in riferimento al suo stato di particella libera. Un altro elemento di cui tenere conto prima di esaminare i processi di elettrizzazione è il modo in cui gli elettroni sono correlati tra loro e ai loro atomi di appartenenza nel momento in cui questi formano degli aggregati; cioè quelli che finora abbiamo denominato genericamente "corpi". E' quanto intendiamo illustrare nel prossimo paragrafo. 3) CONDUTTORI, ISOLANTI E SEMICONDUTTORI Nel modello di Bohr per l'atomo isolato, l'interazione elettromagnetica tra le sue componenti cariche, vale a dire tra il nucleo e i singoli elettroni e tra gli elettroni, è relativamente semplice e può essere rappresentata efficacemente dai diagrammi dei livelli energetici che l'atomo può occupare. Ricordiamo che questi livelli di energia definita corrispondono ai valori che l'energia dell'atomo, nel suo complesso, può assumere in base ai principi della meccanica quantistica dando luogo, in termini strutturali, a certe configurazioni dell'insieme degli elettroni che lo compongono e non ad altre. Il fatto che si parli di livelli die energia "definita" come conseguenza dei principi della meccanica quantistica significa infatti, per l'atomo come per ogni altro sistema quantistico, che i suoi stati devono soggiacere alla "quantizzazione dell'energia", cioè al fatto che l'energia possa avere solo valori ben definiti separati tra loro da intervalli di energia proibita. In altre parole, quando un sistema quantistico subisce una trasformazione, esso "salta" da un livello energetico all'altro, nel senso che nel corso della transizione non può occupare stati che corrispondono a valori dell'energia intermedi tra quella dello stato iniziale e quella dello stato finale; questo è, in generale, quello che si deve intendere per "quantizzazione dell'energia". Nel fare questo, il sistema assorbe o emette quantità di energia ben determinate, che risultano multipli interi di quantità elementari di energia dette "quanti". 6 Per fissare le idee, nella soprastante figura possiamo vedere lo schema dei livelli energetici per l'atomo più semplice, quello di H, in corrispondenza dei valori assunti dal numero quantico principale n che interviene, appunto, nella quantizzazione dell'energia. Come si vede, i livelli permessi, rappresentati dai segmenti in grassetto, sono separati tra loro da intervalli di energia proibita; ad esempio, il livello con n=1 (detto "livello fondamentale"), che corrisponde al più basso valore di energia consentito (fisicamente, all'orbita il più vicina possibile al nucleo), è separato da quello immediatamente superiore con n = 2 da un salto energetico di 10,1 eV. Un salto verso l'alto avviene quando l'atomo assorbe un'energia almeno uguale a quella strettamente necessaria, energia che è veicolata dai "quanti" del campo elettromagnetico, cioè dai fotoni; quando un atomo si trova in uno stato diverso da quello fondamentale, si dice "eccitato". Un atomo eccitato tende a riportarsi, di solito in tempi molto brevi, nello stato fondamentale riemettendo l'energia assorbita, sempre sotto forma di fotoni; in figura, sono anche riportate le transizioni che corrispondono a due famose "serie spettroscopiche" che si manifestano quando un gas di H viene eccitato opportunamente nella luce che emette (ad esempio facendo scoccare un arco elettrico al suo interno). Questa premessa ha lo scopo di introdurre il discorso che riguarda le condizioni che si realizzano quando un sistema quantistico non sia composto da un singolo elemento, ma da un numero -generalmente molto grande- di atomi, come accade, ad esempio, in un cristallo. In un caso del genere, è praticamente impossibile pervenire a soluzioni esatte circa l'andamento del campo elettrico all'interno del sistema, cosa che è essenziale per stabilire poi i meccanismi che governano le sue trasformazioni, cioè come il sistema evolve a partire da certe condizioni al contorno. Si può soltanto stabilire che, all'interno di un cristallo, il campo è "periodico", vale a dire che si riproduce nelle stesse condizioni a intervalli regolari nello spazio che occupa il sistema. 7 Questo deriva dal fatto che, in un cristallo, la struttura si ripete uguale da una cella all'altra, col che si producono quelle particolari regolarità geometriche nella distribuzione spaziale degli atomi che caratterizzano i cristalli. Questa periodicità del campo dà luogo a una struttura dei livelli energetici detta "a bande". Con ciò si vuole dire che il sistema viene ad essere caratterizzato da valori dell'energia che si alternano in successioni molto fini di livelli contigui che si susseguono tra due estremi al di qua e al di là dei quali si estendono zone caratterizzate da valori proibiti di energia; le bande permesse, entro le quali il sistema può assumere valori pressoché continui di energia, risultano così separate tra loro da bande "proibite": E In realtà, la situazione è un po' più complicata ma, per i nostri scopi, possiamo fermarci su questa impressione; come mostra la figura, le bande tendono a restringersi e a ravvicinarsi mano a mano che cresce il valore medio dell'energia relativa ad ogni banda; può anche accadere che due bande, verso l'alto del grafico, si sovrappongano; cosa, questa, da tenere presente per come interverrà subito a definire la distinzione tra conduttori, isolanti e semiconduttori. Occorre prima ancora aggiungere che le due bande estreme vengono ad assumere, nei cristalli, un particolare ruolo ed interesse: la penultima corrisponde all'energia degli elettroni che partecipano alla realizzazione dei legami tra gli atomi del cristallo, e viene quindi denominata "banda di valenza"; l'ultima, occupata o meno che sia da elettroni, è la "banda di conduzione". Eventuali elettroni in banda di conduzione si dicono "elettroni di conduzione" e godono, per semplificare al massimo, della proprietà di non essere legati a un singolo atomi, ma di poter appartenere, in linea di principio, a qualunque atomo del sistema. Di conseguenza, questi elettroni sono liberi di fluttuare al suo interno passando da un atomo all'altro senza sottostare a nessun tipo di vincolo salvo quello di dovere restare dentro al cristallo (a meno che non gli venga fornita l'energia necessaria, detta "energia" o "lavoro di estrazione"). La circostanza che siano presenti o meno elettroni in banda di conduzione, associata al fatto che ci sia sovrapposizione tra essa e quella di valenza decidono del fatto che il cristallo sia un "conduttore", un "isolante", o un "semiconduttore". 8 Per capire il punto di arrivo di questa affermazione, si deve considerare che, come per l'atomo isolato, anche l'occupazione dei livelli entro le bande è regolata dal "principio di Pauli", che fissa il numero massimo di elettroni che possono stare in un livello o, in questo caso, in una banda. L'occupazione procede a partire dal livello o banda più bassi e, quando si arriva a un'occupazione completa, cominciano a popolarsi il livello o la banda successiva. In relazione a ciò, per le due bande finali si possono verificare le seguenti situazioni: 1) banda di valenza occupata e banda di conduzione vuota con gap energetico tra le due bande relativamente elevato 2) banda di valenza piena e banda di conduzione parzialmente occupata 3) banda di valenza occupata e banda di conduzione vuota, ma con bande sovrapposte 4) stessa situazione del punto (1), ma con gap energetico relativamente basso. Nel primo caso il cristallo è un "isolante" o "dielettrico", nel secondo e nel terzo un "conduttore" e nel quarto un "semiconduttore". parzialmente occupata C vuota C vuota C completamente occupata V parzialmente occupata V V parzialmente occupata vuota C ISOLANTI O DIELETTRICI SEMICONDUTTORI V parzialmente occupata CONDUTTORI Dal punto di vista elettrodinamico, in un isolante gli elettroni sono vincolati ai rispettivi atomi e quindi non possono muoversi attraverso il cristallo, a meno che non venga fornita loro l'energia necessaria per portarsi in banda di conduzione; questo è possibile, ma è evidente che questo comporta la distruzione del sistema; infatti se gli elettroni di valenza passano in banda di conduzione cessano di essere funzionali alla realizzazione dei legami interatomici. Il fenomeno è noto come "rottura del dielettrico" e verrà illustrato in modo appropriato nella sezione che riguarda il passaggio della corrente nei solidi. 9 Dei conduttori abbiamo già anticipato il fatto che invece si ha a che fare, all'interno del cristallo, con un insieme di elettroni che fluttuano liberamente e casualmente nel volume occupato dal cristallo; questa condizione, analoga a quella delle particelle di un gas, consente di parlare di questo insieme come di un "gas di elettroni". Circa i semiconduttori, che costituiranno l'argomento di un capitolo a sé, diremo al momento che si tratta di un caso intermedio tra quello (1) e quello (3): le bande sono separate, ma piuttosto vicine tra loro; in questo senso i semiconduttori sono virtualmente degli isolanti; cosa del tutto corretta, in senso tecnico; tuttavia, questa condizione è oltremodo precaria, perché l'energia richiesta per il salto in banda di conduzione è tanto bassa che, appena al di sopra dello zero assoluto, nell'ambiente sono disponibili energie termiche sufficienti a colmare questo gap. In questo modo, già a pochi gradi Kelvin, i semiconduttori presentano elettroni in banda di conduzione e, quindi, caratteri propri dei conduttori; anche se, come vedremo, essi differiscono in modo piuttosto radicale da essi. Per concludere, occorre prendere in considerazione il modo in cui vengono classificati i conduttori in generale, cioè quando non si tratta, necessariamente, di solidi cristallini. Per questo scopo, è necessario anticipare un dato che verrà doverosamente esaurito nel paragrafo seguente: che per "conduzione" si può intendere, in generale, la condizione che si instaura in un conduttore quando le sue cariche libere, quale che ne sia la natura ed origine, sono poste in movimento da un campo elettrico. Come vedremo meglio, il flusso di carica in un conduttore corrisponde a una grandezza fisica detta "corrente elettrica". Questo concetto, per quanto ora mobilitato solo sul piano intuitivo e in via provvisoria, è indispensabile per classificare i conduttori. Infatti, la corrente intesa come flusso ordinato di cariche mobili si può produrre tanto nei solidi cristallini che nei liquidi che, infine, nei gas. Nei primi due casi, si parla di "conduttori di prima specie" (i solidi cristallini; essenzialmente i cristali metallici) e di "conduttori di seconda specie" (i liquidi; essenzialmente le soluzioni o i metalli allo stato fuso). Per quanto riguarda i gas, la conduzione assume contorni del tutto speciali, al punto che è forse improprio parlare di conduzione e di corrente, quanto più di un vero e proprio "cannoneggiamento" da parte di una sorgente che "spara" elettroni verso un bersaglio attraverso un mezzo che può intervenire, nell'interporsi al flusso dei proiettili, in tutta una serie di modi differenti tra loro a seconda delle condizioni fisiche; in particolare, a seconda della densità. Per la loro complessità e peculiarità, i fenomeni di conduzione nei liquidi e nei gas verranno trattati in sezioni a se stanti. 4) PROCESSI DI ELETTRIZZAZIONE Molti dei processi che inducono la comparsa di proprietà elettriche o "stati di elettrizzazione" in seno alla materia possono essere spiegati solo attraverso considerazioni che richiedono, paradossalmente, l'impiego di cognizioni di elettromagnetismo che in questa fase iniziale non sono ancora disponibili. 10 In ogni caso, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, alla base di tutto sta sempre che la cosa è resa possibile da un qualche genere di apporto di energia. Il meccanismo più semplice per cui questo viene prodotto, noto fino dall'antichità, è quello per strofinio: in laboratorio, il classico panno di lana sulla classica bacchetta di plastica o vetro. A ben vedere, in questo caso l'esito dello strofinio è una certa produzione di energia termica e meccanica derivante dall'attrito tra le superfici a contatto, energia che può essere impiegata per realizzare l'estrazione di elettroni da uno dei due corpi strofinati; nel momento in cui questi emergono da quello, dei due materiali, il cui lavoro di estrazione è minore, finiscono subito nell'altro in base al principio per cui un elettrone, come ogni ente o sistema fisico, tende sempre a realizzare lo stato di energia minima possibile; che è appunto, in questo caso, quella presente sul "fondo" della buca di potenziale più "profonda". Ne consegue che il primo corpo si elettrizza positivamente, il secondo negativamente. Un altro meccanismo affine a questo, nel senso che si realizza per tramite del calore sviluppato in qualche modo, è quello che fa capo all'"effetto termoelettrico"; esso sfrutta il fatto che il passaggio di una corrente elettrica, come vedremo compiutamente più avanti, sviluppa calore nel corpo che attraversa. Un altro processo interessante è l'"effetto fotovoltaico", che si traduce nella liberazione, in un semiconduttore, di coppie elettroni da parte di un fascio di luce incidente. Sempre la luce è responsabile dell'"effetto fotoelettrico", sempre prodotto dalla luce, ma in un conduttore; in questo caso, la luce ionizza gli atomi del materiale investito, elettroni che vanno ad incrementare il numero degli elettroni di conduzione normalmente presenti nel conduttore. Questi due fenomeni, apparentemente molto simili, sono in realtà intrinsecamente diversi, come vedremo meglio nella sezione riservata ai semiconduttori. Un altro fenomeno di elettrizzazione molto interessante nei conduttori è l'"induzione elettrostatica", che non prevede alcun tipo di contatto o di azione diretta tra i corpi interessati. Se, come in figura, si avvicina una carica elettrica a un conduttore, la parte prossima a questa carica esterna si elettrizza di segno opposto ad essa, quella lontana dello stesso segno. + - - - - + + + + + + + La ragione è semplice: la carica (in questo caso positiva) agisce sugli elettroni liberi spostandoli, in virtù della sua azione dinamica, all'interno del conduttore; questa migrazione di elettroni rende negativa la regione che va ad occupare e positiva, di conserva, quella che ha abbandonato. 11 A proposito di conduttori, bisogna specificare che l'assoluta libertà di movimento degli elettroni di conduzione al loro interno fa sì che, in caso di un loro eccesso, essi vadano a collocarsi alla superficie dei conduttori, per il fatto che, respingendosi reciprocamente, tendono a disporsi alla massima distanza possibile gli uni dagli altri. Nel caso di corpi carichi positivamente, dal momento che le singole cariche a livello microscopico sono associate ai protoni -inamovibili-, la situazione di carica superficiale sarà determinata dal fatto che i protoni scoperti saranno relativi ad atomi di superficie; questo perché anche le cariche positive intese come "mancanze di elettroni" tenderanno comunque a manifestarsi alla massima distanza reciproca; anche questo esito, comunque, è conseguente alla mobilità degli elettroni di conduzione, che si disporranno nel conduttore in modo da lasciare i buchi positivi sulla sua superficie. 5) CAMPO DI UNA CARICA PUNTIFORME VETTORE INTENSITA' DEL CAMPO ELETTRICO Osserviamo ora che, come è nella natura del concetto di campo, l'interazione tra due cariche implica che una delle due (non importa quale) possa essere considerata "sorgente" del campo di cui poi l'altra carica risente una volta collocata in un dato punto. In altre parole, se si considera q' come sorgente del campo, la forza F determinata dalla legge di Coulomb è quella di cui risente q quando viene posto a distanza r da q'. La situazione è perfettamente simmetrica scambiando i ruoli di q e di q' e non esiste, a priori, nessuna ragione per preferire una prospettiva all'altra. Ora, se la forza è ciò che effettivamente scaturisce come espressione dell'interazione nel senso che è la grandezza che viene di fatto misurata, il concetto stesso di campo impone che se ne debba esprimere un'"intensità" per rendere ragione della sua concreta presenza nei punti dello spazio. Questa grandezza che indicheremo con E deve essere priva delle connotazioni relative alla carica q che risente del campo, cosa che si ottiene dividendo la forza per q: E = F/q . Ad esempio, se dividiamo la forza coulombiana per q, otteniamo E = F / q = K q' / r2, in cui resta in evidenza la sola dipendenza dalla sorgente q'. In altre parole, la definizione del vettore intensità del campo permette di pensare al campo come ad un ente diffuso per tutto lo spazio che occupa, cioè ad una proprietà fisica presente nello spazio punto per punto, indipendentemente dal fatto che in essi sia collocata o meno un'altra carica in grado di risentire della prescritta forza elettrica. Qualora in uno di essi sia effettivamente presente un'altra carica q, allora questa risentirà di una forza F = qE. 12 Per caratterizzare meglio il campo elettrico in senso vettoriale, può essere utile partire proprio dal caso coulombiano. Supporremo allora, a questo scopo, di disporre una carica Q, positiva, per fissare le idee, in un punto qualunque dello spazio e di esplorarne il campo utilizzando una carica "di prova"q, ancora positiva. Per "carica di prova" si deve intendere una carica sufficientemente piccola da generare a sua volta un campo di intensità tanto debole da essere trascurabile rispetto a quello generato da Q. Esplorare il campo significa spostare q qua e là per lo spazio intorno a Q e valutare, punto per punto, la forza F di cui risente. Dal momento che F è diretta lungo l'asse che passa per le due cariche, è chiaro che il campo coulombiano della carica Q presenta una simmetria centrale, col vettore E che è rivolto dalla parte opposta di Q: è quello che si dice un campo "centrale" o "polare" o "radiale": Q La figura precedente, che va inquadrata in un'ottica tridimensionale, cerca di rappresentare il fatto che il campo varia da punto a punto tentando di accentuare il carattere per cui, come deriva dalla legge di Coulomb, la sua intensità decresce con la distanza da Q (secondo l'inverso del quadrato della distanza, per essere esatti). 6) ALTRI CARATTERI VETTORIALI DEL CAMPO ELETTRICO Non sarà sfuggito a nessuno che nell'aspetto della figura precedente la simmetria centrale del campo venga ben rappresentata dal fascio di rette centrate in Q. Bene, ciascuna di queste rette ha il seguente carattere: il vettore campo, a qualunque distanza da Q, risulta allineato lungo di essa. Possiamo ora generalizzare la situazione, e pensare non più ad un campo coulombiano, ma a uno qualunque, generato da una quale che sia distribuzione intricata di cariche; in un caso del genere, laddove in un campo centrale si hanno delle rette, compaiono delle curve. La loro costruzione è la seguente: si parte da un punto P dello spazio e si marca il vettore E che gli è associato, poi ci si sposta di un tratto infinitesimo lungo E e si marca il nuovo vettore; si ripete l'operazione per un numero adeguato di volte e si guarda il risultato grafico (figura a): 13 a b In esso si vede distintamente un inviluppo di rette che suggerisce l'immagine di una curva come in figura b; la caratteristica fondamentale di questa curva è che il vettore E le è tangente punto per punto. Una curva che gode di una simile proprietà si dice "linea di campo". E' evidente allora che la distribuzione e la forma delle linee viene a caratterizzare geometricamente il campo stesso e, in un certo senso, a costituirne i tratti "somatici". Così, il campo coulombiano è un campo le cui linee sono tutte rette centrate nella sorgente. Oltre al campo centrale, possiamo annoverare altri due tipi notevoli di campi in base ai caratteri geometrici delle loro linee: il campo "uniforme" e quello "bipolare". Il primo è caratterizzato dal fatto che le sue linee sono tutte rette parallele equidistanziate: il primo tratto deriva dal fatto che, essendo il campo descritto da un vettore costante (il campo è, come si è detto, uniforme), in ogni punto le sue rette d'azione hanno la stessa direzione, il secondo rappresenta l'esito di una convenzione dovuta a Faraday, per cui la densità delle linee di campo è direttamente proporzionale all'intensità del campo stesso; dunque, se il campo è uniforme, ha la stessa intensità ovunque e, quindi, le linee di campo devono essere ovunque ugualmente dense. L'idea di Faraday si giustifica nel fatto che prendendo in considerazione il campo centrale della legge di Coulomb quando ci si dirige verso la carica, laddove il campo 14 è più intenso, le linee di campo sono anche necessariamente più ravvicinate per chiare ragioni geometriche. Per correttezza, va sottolineato l'aspetto convenzionale delle rappresentazioni grafiche di un campo, considerato il fatto che esse riempiono comunque tutto lo spazio a prescindere dall'intensità del campo; infatti, se è vero che in ogni punto del campo c'è un vettore (quello del campo), è anche vero che per ogni punto dello spazio passa una linea di campo; tuttavia, non essendo per ovvie ragioni possibile disegnare una rete di infinite curve distribuite con continuità su una lavagna tridimensionale, l'insegnante di Fisica esce dall'imbarazzo disegnandone alcune e badando ad addensarle laddove il campo è più intenso e a rarefarle laddove è più debole seguendo le indicazioni di Faraday. Il campo bipolare è quello generato, come suggerisce chiaramente il suo nome, da due cariche elettriche. Se le due cariche hanno la stessa intensità il campo ha un caratteristico andamento simmetrico, come rappresentato in figura nel caso del bipolo costituito da due cariche opposte: " " ! ! ! ! ! +q ! -q ! ! ! ! ! " ! " Come si vede, in esso le linee di campo scaturiscono dalla carica positiva e finiscono su quella negativa. Per il fatto di possedere una "testa positiva" e una "coda" negativa, se un dipolo elettrico viene posto in un campo tende a ruotare in modo da disporsi lungo il campo medesimo; infatti, la carica positiva subirà una forza in un verso e quella negativa in quello opposto. 15 7) FLUSSO DEL CAMPO ELETTRICO E LEGGE DI GAUSS Un'altra grandezza caratteristica dei campi vettoriali come quello elettrico è il suo "flusso" attraverso una superficie. In prima istanza, possiamo pensare il flusso come un qualcosa di proporzionale all'insieme delle linee di campo che intersecano una certa superficie. Cercheremo ora di rendere quantitativo questo discorso. Partiamo dal caso più semplice: il campo è uniforme, e la superficie è piana e disposta normalmente al campo (fig. a): S S S' n ! E (a)!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! E (b) Si definisce, in queste condizioni, "flusso" del vettore campo elettrico E la quantità Φ=ES. In una situazione meno particolare, possiamo prendere in considerazione il caso in cui S, pur sempre piana, sia inclinata di un certo angolo θ rispetto al campo, come in figura b. In questo caso, semplici considerazioni trigonometriche ci indicano che superficie efficace esposta al campo è S' = S cos θ , di modo che il flusso diventa Φ = E S' = E S cosθ . Questa relazione può essere posta in modo più appropriato dotando la superficie S di un carattere vettoriale che ne rappresenti l'orientazione nello spazio, cioè come un vettore di modulo S e versore n allineato lungo la normale alla superficie. In questo modo la relazione può essere espressa attraverso un prodotto scalare tra il vettore campo elettrico e la superficie orientata: ! = E •n S 16 Più in generale ancora, la superficie potrà essere di forma qualunque ed E variare da punto a punto; in questo caso, occorre procedere in modo tale da suddividerla in porzioni infinitesime ciascuna delle quali sarà attraversata da un flusso infinitesimo d ! = E • n dS dopo di che sommare tutti questi contributi su tutta la superficie. E1 n2 E2 n1 n3 E3 Si tratta di un'operazione piuttosto complicata denominata "integrale di superficie" che ci accontenteremo di delineare a livello intuitivo come somma sui generis dei contributi infinitesimi al flusso estesa a tutta la superficie considerata. Simbolicamente si scrive così: != "S E • n dS Per non preoccuparsi troppo e capire che si tratta di una generalizzazione della formulazione F = ES basta pensare a come si procederebbe, appunto, nel caso particolare illustrato in apertura di discorso. Si avrebbe, infatti, θ = 0 in ogni punto di S, per cui sarebbe subito Φ = ∫S E dS Ma E è costante, per cui si può estrarre dall'integrale: Φ=E Cioè ∫S dS Φ= ES , visto che la somma di tante porzioni infinitesime di una superficie altro non è che la superficie stessa. 17 L'importanza del concetto di flusso è dovuta al fatto che nei suoi termini viene formulata una delle leggi fondamentali dell'elettromagnetismo, quella di Gauss per il campo elettrico. In essa si enuncia che il flusso del campo elettrico che attraversa una superficie chiusa è pari alla somma algebrica delle cariche che essa racchiude. L'apparente astrattezza di questo enunciato lo rende poco gradito a chi ci si imbatte per la prima volta; d'altra parte, in Fisica, gli strumenti più potenti sono sempre sfuggenti in conseguenza del loro carattere del tutto generale. La sua formulazione matematica è la seguente: o! S q E • n dS = ! o in cui q è la somma algebrica di tutte le cariche contenute nella superficie S di cui il cerchietto sovrapposto al simbolo di integrazione ci ricorda la chiusura; d'ora in poi diremo "gaussiana" una superficie chiusa che interviene nelle considerazioni che riguardano la legge di Gauss. Per capire la portata di questa legge ne trarremo ora qualche importante conseguenza. 8) ALCUNE APPLICAZIONI DELLA LEGGE DI GAUSS Consideriamo una carica puntiforme q, per fissare le idee, positiva; il campo è allora quello radiale coulombiano con le linee di campo rivolte in verso divergente all'infinito: q r 18 Ora, consideriamo una superficie gaussiana di forma sferica e di raggio r centrata in q e applichiamo il teorema di Gauss: o! E dS cos ! = q/"o S Ora, dato che E ha la stessa intensità su tutta S (per simmetria, visto che i suoi punti sono tutti equidistanti da q), e poiché il vettore E è ovunque perpendicolare a S, per cui si ha ovunque θ = 0, ne segue che si può raccogliere E a fattore, che cosy = 1 e che quindi la precedente diventa E o! dS S = q/!o Ma la somma di tante areole di una superficie S sferica, quali che esse siano, è la superficie di una sfera, appunto; per cui troviamo 4 π r2 E = q / εo da cui segue subito E= q 1 4 ! "o r 2 cioè la legge di Coulomb. Consideriamo ora un conduttore carico; positivo, per fissare le idee. Come bbiamo già avuto modo di dire pensando a un eccesso di elettroni liberi in un conduttore, le cariche si distribuiscono soltanto sulla sua superficie, e si può vedere che questo fatto può essere derivato dalla legge di Gauss e dalla condizione di equilibrio elettrostatico. Questa comporta che, all'equilibrio, le cariche in eccesso contenute in un conduttore si dislochino in esso in modo tale che nello spazio da loro occupato il campo elettrico risulti nullo; altrimenti continuerebbero a muoversi fino a che questa condizione non fosse soddisfatta. Ma allora, dato il conduttore in figura, il flusso del campo elettrico attraverso una superficie S sottostante a quella del conduttore, per quanto ad essa prossima, è nullo, perché E è nullo. + + + + + + + + + + + + + + Ma, per la legge di Gauss, q / εo = 0 cioè q = 0. 19 Ma allora, non potendo la carica essere interna a qualunque superficie a sua volta interna rispetto a quella del conduttore, ne deriva che essa deve essere contenuta proprio in quella esterna. Un aspetto interessante può essere quello della distribuzione della carica sulla superficie dei conduttori, che fa capo al concetto di "densità superficiale di carica" σ definita, in generale, come rapporto tra la carica infinitesima dq contenuta nella porzione infinitesima di superficie dS, cioè da σ = dq/dS In generale essa varierà da punto a punto e si può anche stabilire che lo fa in dipendenza dalla curvatura della superficie. Per capirlo consideriamo il caso di una superficie sferica di raggio r. In questo caso, per ragioni di simmetria, la carica si deve distribuire su di essa in modo uniforme, per cui la densità di carica è data semplicemente da σ = q/4πr2 Ora, se consideriamo una superficie di forma qualunque, la sua curvatura varierà da punto a punto e con essa il suo raggio di curvatura; ma questo è il raggio della sfera che in un intorno infinitesimo del punto considerato ha la stessa curvatura della superficie in quell'intorno, per cui la densità di carica è tanto maggiore quanto minore è il raggio di curvatura. Questa è la causa del cosiddetto "potere delle punte", cioè di tutta una serie di manifestazioni a cui può dare luogo un conduttore carico appuntito, come il "vento elettrico" e le proprietà del parafulmine. La zona della punta, infatti, è per forza di cose caratterizzata da una grande curvatura, ovvero da un piccolo raggio di curvatura; ne consegue che localmente la densità di carica è altissima. Ne consegue, come vedremo subito lavorando sullla legge di Gauss, una notevole intensità del campo elettrico che può spiegare anche le ragioni dei fatti attribuiti alle punte. Consideriamo un conduttore di forma qualunque carico positivamente e proponiamoci di determinare il valore del campo elettrico in prossimità della sua superficie. Il problema è analogo a quello della gravità nei dintorni della superficie terrestre: vicino alla superficie del conduttore il campo può essere considerato uniforme e la superficie stessa piana. La situazione è quella della figura sottostante, in cui si è presa come superficie gaussiana quella di un cilindro infinitesimo a cavallo di S: 20 E ... + + + + + + + + + ++++++++++ ... S dS Data la situazione geometrica in atto, il flusso attraverso questa superficie si riduce a E dS, flusso relativo alla sola base superiore; infatti il campo è tangente alla superficie laterale del cilindro, mentre la base inferiore è all'interno del conduttore dove il campo è nullo. Allora per la legge di Gauss, avremo E dS = dq /εo , in cui dq è la carica racchiusa nel volumetto cilindrico; ma dq = σ dS, per cui si ottiene E = σ / εo Cioè: il campo elettrico in prossimità della superficie di un conduttore è direttamente proporzionale alla densità superficiale di carica. Possiamo ora capire le proprietà delle punte: dal momento che in corrispondenza di esse le cariche si addensano, il campo elettrico assume un'intensità molto elevata e può dare luogo a fenomeni critici come quelli osservati. Ad esempio, nel caso del vento elettrico, l'azione del campo sugli ioni presenti nell'aria circostante fa loro acquisire velocità molto elevate da o verso le punte che li mette in grado di ionizzare altri atomi o molecole innescando così un processo a cascata che finisce per coinvolgere un numero talmente alto di particelle da rendere visibile anche a livello macroscopico il loro flusso sotto l'azione del campo. Per il parafulmine, cose analoghe: la punta si propone per il flusso di particelle ionizzate in moto tra la nube e il suolo come un polo privilegiato in ragione della notevole intensità del campo elettrico che la circonda, per cui la probabilità che questo flusso si diriga verso una punta è molto più elevata di quella che lo faccia in una direzione diversa. Tornando al discorso generale, se invece che di una superficie con una sola faccia si trattasse di una con due facce come nel caso di una lamina, in modo del tutto analogo si troverebbe E = σ / 2 εo 21 E ... + + + + + + + + + ++++++++++ ... S E In questo caso, infatti, la superficie intercettata dalle linee di campo sarebbe doppia. Ancora, preso un filo rettilineo abbastanza lungo da poter essere considerato indefinito, carico positivamente con densità lineare di carica costante, consideriamo un cilindretto di raggio di base r e lunghezza l che abbia come asse il filo stesso; una carica q1 produrrà in un punto P della sua superficie laterale un campo E1 e, in forza dell'ipotesi fatta sulla lunghezza del conduttore, a qualunque carica posta da una parte che sia in grado di dare luogo a un campo apprezzabile corrisponderà, dall'altra, una carica simmetricamente disposta; così, a q1 corrisponderà una carica q2 che genera nel punto considerato un campo E2 come in figura: E E2 E1 P q1 l q2 Data la simmetria della situazione, ne deriva una risultante disposta come in figura, perpendicolarmente alla superficie laterale del cilindro (e quindi tangente a quella di base. Pertanto, per la legge di Gauss, 2 π r l E = q/εo in cui q è la carica contenuta nel cilindro. Di qui, E = q / 2 π εo r l e, indicando con λ il rapporto q/l , densità lineare di carica, troviamo infine E = λ / 2 π εo r , che esprime il fatto che il campo elettrico ha un'intensità direttamente proporzionale alla densità di carica e inversamente proporzionale alla distanza dal filo. 22