il campo elettrico - wiki-wiki

IL CAMPO ELETTRICO
1) LA FORZA ELETTRICA
La forza che interviene in modo largamente preponderate nel determinare le
proprietà della materia a livello atomico-molecolare è quella elettromagnetica.
Questa parola composta suggerisce subito che si abbia a che fare, in qualche modo,
con due contesti fenomenologici che, pur distinguibili, possano essere entrambi
ricondotti a un contesto unico in cui l'aspetto detto "elettrico" dei fenomeni e quello
detto "magnetico" sono tra loro complementari e mutuamente implicati in una
fenomenologia di carattere più generale di quelle di ambito elettrico e magnetico
presi separatamente.
Questa sezione si occupa di fornire gli elementi distintivi della componente elettrica
della forza elettromagnetica.
Si parla di forza, dunque si deve parlare, principalmente, di
- come questa forza si trasmette
- a quali enti fisici sia associata .
Prima di affrontare la questione, vogliamo stabilire un criterio operativo per definire
in qualche modo la forza elettrica; lo faremo nel modo che è più consono alla Fisica
quando essa si apre ad un nuovo capitolo: fare riferimento ad un contesto
osservativo all'interno del quale distinguere gli oggetti primitivi che popolano il
nuovo livello fenomenico.
A questo scopo, ci rivolgeremo al livello microscopico per stabilire come e perché le
cose in primo luogo consistano in un certo modo.
Voglio dire: se prendiamo in considerazione un tipico abitante del microcosmo al
livello su cui intendiamo attestarci, una semplice molecola biatomica come quella
dell'acido cloridrico H Cl , ci chiediamo subito in virtù di che cosa essa si costituisca
e in tale stato si mantenga, qualora non venga perturbata dall'esterno, per un tempo
indefinito.
La risposta può essere solo: per l'azione di una forza.
Allora mi chiedo: quale forza?
Lo studio della meccanica ci ha consegnato un solo genere di forza, quella
gravitazionale che scaturisce dall'interazione di due masse: è l'"avere massa" intesa
come prerogtiva o qualità degli oggetti materiali che giustifica la manifestazione di
questa forza.
Possiamo allora formulare l'ipotesi di lavoro che sia la forza gravitazionale a
realizzare il legame tra l'atomo di H e quello di Cl nella molecola?
La risposta è sì, purché si sia anche disposti a sottoporla a controllo sperimentale.
Cominciamo allora a pensare in tal senso.
Possiamo fare riferimento alla legge di Newton, in base alla quale, nota la distanza r
dei due atomi nella molecola e le loro masse m e m' , possiamo fare la previsione che
l'intensità della forza sia
F = G m m' / r2 .
1
In realtà, fare riferimento alla forza è decisamente scomodo, perché si dovrebbero
andare a valutare le cose a livello microscopico, con una sequela di conseguenze
proibitive su cui preferiamo glissare.
Il riferimento corretto e facilmente praticabile in un comune laboratorio di fisica o di
chimica è invece quello dell'energia di legame del composto, che è l'energia che si
deve fornire al sistema per spezzare il legame o, con maggiore precisione,
l'energia necessaria per per portare i due atomi a una distanza infinita
l'uno dall'altro a partire dalla distanza r.
Questa energia è data immediatamente da quella dell'energia potenziale:
U = G m m' / r .
Dunque, la previsione è fatta: basta sostituire a m , m' e r i valori stimati.
Dopo di che si entra in laboratorio e si prende una massa M di H Cl; essendo nota la
massa molecolare m, si stabilisce subito il numero di molecole N:
N = M/m .
Quindi si procede a un opportuno trattamento il cui esito finale comporti che tutte le
molecole siano disgregate e si misura l'energia che è stata assorbita dal sistema nel
processo.
Sia L questa energia.
Ora, si divide L per N e si ricava l'energia che è stata fornita a una singola molecola
per spezzarne il legame; indichiamola con E.
In realtà, in un laboratorio, non si trova E, ma un valore (questo) a meno di
un'indeterminazione ΔE che deriva dall'inevitabile intervento di cause di errori di
misura.
Questo viene espresso scrivendo il risultato delle misue nella forma E ± ΔE ,
intendendo con ciò dire che il valore presumibile dell'energia di legame misurata è
compreso nell'intervallo tra E-ΔE e E+ΔE, essendo E il valore "più probabile".
Ora, arriviamo al punto cruciale: il confronto tra la previsione (U) e la risposta della
realtà (E): se U cade all'interno del precedente intervallo, allora l'esperienza conforta
l'ipotesi di partenza su cui si è sviluppata la previsione, altrimenti l'idea va in crisi.
Ora, se lo scarto tra U e E non è tanto grande, si può essere disposti ad un altro
tentativo, preferibilmente di altro tipo; ma se lo scarto è notevole è chiaro che l'idea è
fallimentare.
Bene, si verifica che il valore di E, cioè l'energia di legame della molecola misurata in
laboratorio risulta nientemeno che 1039 volte più grande di U!
E' quindi assolutamente insostenibile pensare alla forza di gravità come "colla" tra gli
atomi in una molecola.
Che fare?
Semplicemente quello che fa la fisica in questi casi: prende atto della cosa e volta
pagina dicendo che sussiste un dato di fatto per cui deve esistere una forza diversa
da quella gravitazionale che interviene a determinare le cose in modo pressoché
esclusivo (visti i risultati) a livello interatomico.
Attenzione: non si dice che la forza gravitazionale non è presente; semplicemente, a
quel livello, i suoi effetti sono largamente trascurabili; tanto trascurabili che si può
tranquillamente pensare che non esista.
2
Anzi, la fisica fa anche di più: dopo avere riconosciuto il nuovo parto, assegna il
nome alla sua creatura, come tutte le mamme come si deve.
Nella fattispecie, il nome di battesimo di questa forza è "forza elettrica".
A questo punto, ha inizio l'osservazione dei fenomeni in cui questa forza è implicata.
Innanzitutto, essa si trasmette a distanza: gli atomi in una molecola, per quanto
straordinariamente vicini (le distanze sono dell'ordine dei 10-10 m), sono comunque
separati da uno spazio vuoto; in ogni caso, tutta una serie di effetti famosi noti fin
dall'antichità, riconducibili al novero delle manifestazioni della forza elettrica (le
proprietà del famoso "élektron", l'ambra dei greci), mostra chiaramente la presenza
di un'azione a distanza.
Dunque, siamo subito portati a pensare alla propagazione della forza elettrica in
termini di campo: il campo elettrico, appunto.
In seconda battuta, dobbiamo dare un nome anche alla qualità materiale a cui la
forza elettrica è associata (l'analogo della massa per il campo gravitazionale); la si
poteva chiamare "massa elettrica" o anche Andrea; la scelta è caduta su "carica
elettrica" o, più semplicemente, "carica".
Dunque, d'ora in poi siamo autorizzati a pensare agli oggetti materiali come passibili
di possedere, oltre che a un volume, una forma, un colore, una massa, un odore, ecc.
anche una carica, che si indica, genericamente con "q".
Un fatto saliente: a differenza della forza gravitazionale, che è solo attrattiva, quella
elettrica può essere anche repulsiva.
Questo duplicità comporta, a filo di logica, che debbano esistere due diversi generi di
sorgenti di forza elettrica, cioè due "stati elettrici" distinti per la materia che li
supporta.
Questi due stati si traducono, nella fraseologia corrente, nella distinzione tra "cariche
positive" e "cariche negative"; va detto che niente può far presupporre quale delle
due specie di cariche debba essere positiva oppure negativa, nel senso che questi due
aggettivi servono solo ad esprimere la diversità dei due stati di carica.
Si constata che cariche dello stesso segno si respingono e che cariche di segno
opposto si attraggono.
Il punto ora è: come e quanto si respingono o si attraggono?
La risposta è contenuta nella Legge di Coulomb, che riguarda l'interazione di due
sole cariche puntiformi q e q' poste a una distanza r l'una dall'altra.
Si verifica che l'intensità dell'interazione è
F = K qq' / r2
(*)
che la forza è diretta lungo la retta tra q e q' e che il verso è rivolto sulle cariche o in
senso opposto a seconda che ci sia attrazione o repulsione:
q!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
q'
attrazione
q!!!!!!!!!!!
!!!!!!!!!q'
repulsione
3
Una forza così concepita, cioè inerente all'interazione tra cariche puntiformi, si dice
"coulombiana".
Vale la pena di osservare come l'interazione sia, di fatto, espressa da una coppia di
forze antitetiche secondo quanto, appunto, prescrive il terzo principio della
dinamica.
Si può anche notare l'identità formale tra questa espressione e quella che formula
l'intensità dell'interazione gravitazionale: cambiano solo i nomi delle cose (le cariche
al posto delle masse) e i valori numerici delle costanti di proporzionalità (K al posto
di G).
Questa seconda circostanza, tuttavia, non solo un fatto puramente formale, ma insito
nella natura profondamente diversa delle due interazioni; per inciso, il valore della
costante K è, nel vuoto, circa 9 x 109 u. S. I. e dipende, in generale, dal mezzo che
riempie lo spazio permeato dal campo.
Riguardo all'unità di misura della carica, diremo che una sua definizione corretta
richiede il ricorso a nozioni di elettromagnetismo che, a questo livello, non sono
disponibili; per il momento, ci accontentiamo di dire che può essere considerata
quella carica che, posta alla distanza di 1 m da un'altra identica, la respinge con una
forza pari a K; dato che K vale, nel vuoto, circa 9 x 109 , ne consegue che questa unità
detta "coulomb" è una carica di una certa entità; infatti 9 x 109 N, equivalgono a circa
9 x 108 kg-peso, cioè a circa novecento milioni di tonnellate.
Per ragioni che vedremo la costante K viene di norma espressa in un modo più
articolato:
K = 1 / 4 π εo ,
dove εo è un numero che prende il nome di "costante dielettrica del vuoto"; se il
mezzo non è il vuoto, la costante dielettrica si indica con ε ed assume il valore
appropriato per quel mezzo.
Dato che la forza in questione è un vettore, la sua espressione sarà un po' più
complicata di quella che abbiamo appena formulato; in particolare si dovrà fare in
modo di associare alla (*), che rappresenta il modulo di un vettore, gli altri due
caratteri: direzione e verso.
Si ottiene questo moltiplicando la (*) per la quantità r/r: un vettore di modulo
unitario (si divide r per se stesso) che mantiene le caratteristiche del vettore r in fatto
di direzione e verso, proprio come vogliamo; scriveremo quindi
F =
q q' r
4 ! "o r 2 r
1
In pratica r/r altro non è che il versore di r.
4
2)
CORPI ELETTRICAMENTE CARICHI
A questo punto è naturale chiedersi per quale ragione un corpo può essere in grado
di interagire elettricamente con un altro, cioè di manifestare una carica elettrica.
Se per "corpo" si intende un oggetto macroscopico costituito da qualcosa come 1023
atomi, cioè da un numero di componenti dell'ordine del numero di Avogadro,
dobbiamo subito pensare all'enorme numero di particelle che, a livello microscopico,
lo compongono: in prima approssimazione, tutti i protoni e i neutroni dei nuclei dei
suoi atomi e tutti gli elettroni dei relativi gusci.
E' già la seconda volta che, parlando di fenomeni elettrici, tiriamo in ballo gli atomi;
il fatto non è casuale e la ragione è che le forze di tipo elettrico sono quelle che
intervengono con un peso largamente preponderante a livello atomico e molecolare;
cioè a regolare le dinamiche inerenti le interazioni tra atomi e, in ogni singolo atomo,
tra i suoi elettroni e il nucleo di appartenenza.
Stante il fatto che un atomo, in condizioni normali, è elettricamente neutro, devono
essere le sue componenti ad essere dotate di carica; carica che poi deve essere
presente e distribuita in modo tale da realizzare questa neutralità.
Sappiamo certamente tutti che le particelle cariche costitenti l'atomo sono i protoni
presenti nel suo nucleo e gli elettroni del guscio.
Gli elettroni sono portatori di una carica che, per come è stato convenuto in principio
nel classificare i due tipi di carica, risulta negativa; la carica opposta, quella che
rende l'atomo neutro, è contenuta nel nucleo ed è associata ai protoni.
Risulta che, in valore assoluto, le due cariche sono uguali per cui, in un atomo in
condizioni normali, il numero dei protoni è uguale a quello degli elettroni, ed è il suo
"numero atomico" Z.
Ora, si deve dire che, nel quadro delle attuali conoscenze in fatto di particelle,
l'elettrone è considerato "elementare", cioè non dotato di una sottostruttura, mentre il
protone risulta essere una combinazione di oggetti di livello inferiore, detti "quark".
Risulta che questi quark abbiano una carica elettrica frazionaria di quella elettronica
e che nei protoni si combinino tra loro a tre a tre in modo da dare come risultato una
carica elettronica, ma positiva.
Il livello a cui intervengono gli effetti di questa carica, vale a dire da quello del
nucleo in giù, è largamente dominato da una forza almeno cento volte più intensa di
quella elettromagnetica: la forza nucleare forte.
Questo implica che le interazioni elettromagnetiche tra quark e tra protoni nei nuclei
siano coperte da quelle più intense della forza forte.
Così, ad esempio, l'intensità di questa forza rende coeso il nucleo a dispetto della
repulsione elettrica tra i protoni, che portano cariche dello stesso segno.
In altre parole, non possiamo aspettarci che i corpi acquisiscano una carica positiva
per effetto di un trasferimento di protoni da un corpo all'altro: un evento del genere,
caso mai, sarebbe secondario alla disgregazione di un nucleo, e quindi inerente a
tutta una fenomenologia completamente diversa da quella che è propria dei
fenomeni elettrici.
Di fatto, ciò che può rendere ragione dei fenomeni elettrici in senso stretto può essere
soltanto il trasferimento di elettroni da un corpo a un altro.
5
Questo processo si chiama "elettrizzazione" e prevede che, se un corpo viene
depauperato di elettroni, esso manifesti una carica positiva in ragione dell'eccesso di
protoni non compensati che viene a contenere e, viceversa, che un corpo arricchito di
elettroni manifesti una carica negativa.
I meccanismi di elettrizzazione sono molteplici, ma tutti sono riconducubili a una
condizione essenziale: che attraverso di essi si fornisca agli elettroni l'energia
necessaria a trasferirsi da un corpo a un altro.
In questa prospettiva, dobbiamo pensare agli elettroni contenuti in un corpo come
all'acqua sul fondo di un pozzo la cui profondità corrisponde all'energia necessaria
per portarlo fuori dal sistema di appartenenza; questa energia si chiama "energia di
estrazione" o "lavoro di estrazione".
Tecnicamente, il "pozzo di energia" viene denominato "buca di potenziale", in
ragione del fatto che la sua profondità relativa viene quantificata dall'energia
potenziale (associata alla forza elettrica, ovviamente) di una particella vincolata al
sistema in riferimento al suo stato di particella libera.
Un altro elemento di cui tenere conto prima di esaminare i processi di elettrizzazione
è il modo in cui gli elettroni sono correlati tra loro e ai loro atomi di appartenenza nel
momento in cui questi formano degli aggregati; cioè quelli che finora abbiamo
denominato genericamente "corpi".
E' quanto intendiamo illustrare nel prossimo paragrafo.
3)
CONDUTTORI, ISOLANTI E SEMICONDUTTORI
Nel modello di Bohr per l'atomo isolato, l'interazione elettromagnetica tra le sue
componenti cariche, vale a dire tra il nucleo e i singoli elettroni e tra gli elettroni, è
relativamente semplice e può essere rappresentata efficacemente dai diagrammi dei
livelli energetici che l'atomo può occupare.
Ricordiamo che questi livelli di energia definita corrispondono ai valori che l'energia
dell'atomo, nel suo complesso, può assumere in base ai principi della meccanica
quantistica dando luogo, in termini strutturali, a certe configurazioni dell'insieme
degli elettroni che lo compongono e non ad altre.
Il fatto che si parli di livelli die energia "definita" come conseguenza dei principi
della meccanica quantistica significa infatti, per l'atomo come per ogni altro sistema
quantistico, che i suoi stati devono soggiacere alla "quantizzazione dell'energia", cioè
al fatto che l'energia possa avere solo valori ben definiti separati tra loro da intervalli
di energia proibita.
In altre parole, quando un sistema quantistico subisce una trasformazione, esso
"salta" da un livello energetico all'altro, nel senso che nel corso della transizione non
può occupare stati che corrispondono a valori dell'energia intermedi tra quella dello
stato iniziale e quella dello stato finale; questo è, in generale, quello che si deve
intendere per "quantizzazione dell'energia".
Nel fare questo, il sistema assorbe o emette quantità di energia ben determinate, che
risultano multipli interi di quantità elementari di energia dette "quanti".
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Per fissare le idee, nella soprastante figura possiamo vedere lo schema dei livelli
energetici per l'atomo più semplice, quello di H, in corrispondenza dei valori assunti
dal numero quantico principale n che interviene, appunto, nella quantizzazione
dell'energia.
Come si vede, i livelli permessi, rappresentati dai segmenti in grassetto, sono
separati tra loro da intervalli di energia proibita; ad esempio, il livello con n=1 (detto
"livello fondamentale"), che corrisponde al più basso valore di energia consentito
(fisicamente, all'orbita il più vicina possibile al nucleo), è separato da quello
immediatamente superiore con n = 2 da un salto energetico di 10,1 eV.
Un salto verso l'alto avviene quando l'atomo assorbe un'energia almeno uguale a
quella strettamente necessaria, energia che è veicolata dai "quanti" del campo
elettromagnetico, cioè dai fotoni; quando un atomo si trova in uno stato diverso da
quello fondamentale, si dice "eccitato".
Un atomo eccitato tende a riportarsi, di solito in tempi molto brevi, nello stato
fondamentale riemettendo l'energia assorbita, sempre sotto forma di fotoni; in figura,
sono anche riportate le transizioni che corrispondono a due famose "serie
spettroscopiche" che si manifestano quando un gas di H viene eccitato
opportunamente nella luce che emette (ad esempio facendo scoccare un arco elettrico
al suo interno).
Questa premessa ha lo scopo di introdurre il discorso che riguarda le condizioni che
si realizzano quando un sistema quantistico non sia composto da un singolo
elemento, ma da un numero -generalmente molto grande- di atomi, come accade, ad
esempio, in un cristallo.
In un caso del genere, è praticamente impossibile pervenire a soluzioni esatte circa
l'andamento del campo elettrico all'interno del sistema, cosa che è essenziale per
stabilire poi i meccanismi che governano le sue trasformazioni, cioè come il sistema
evolve a partire da certe condizioni al contorno.
Si può soltanto stabilire che, all'interno di un cristallo, il campo è "periodico", vale a
dire che si riproduce nelle stesse condizioni a intervalli regolari nello spazio che
occupa il sistema.
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Questo deriva dal fatto che, in un cristallo, la struttura si ripete uguale da una cella
all'altra, col che si producono quelle particolari regolarità geometriche nella
distribuzione spaziale degli atomi che caratterizzano i cristalli.
Questa periodicità del campo dà luogo a una struttura dei livelli energetici detta "a
bande".
Con ciò si vuole dire che il sistema viene ad essere caratterizzato da valori
dell'energia che si alternano in successioni molto fini di livelli contigui che si
susseguono tra due estremi al di qua e al di là dei quali si estendono zone
caratterizzate da valori proibiti di energia; le bande permesse, entro le quali il
sistema può assumere valori pressoché continui di energia, risultano così separate tra
loro da bande "proibite":
E
In realtà, la situazione è un po' più complicata ma, per i nostri scopi, possiamo
fermarci su questa impressione; come mostra la figura, le bande tendono a
restringersi e a ravvicinarsi mano a mano che cresce il valore medio dell'energia
relativa ad ogni banda; può anche accadere che due bande, verso l'alto del grafico, si
sovrappongano; cosa, questa, da tenere presente per come interverrà subito a
definire la distinzione tra conduttori, isolanti e semiconduttori.
Occorre prima ancora aggiungere che le due bande estreme vengono ad assumere,
nei cristalli, un particolare ruolo ed interesse: la penultima corrisponde all'energia
degli elettroni che partecipano alla realizzazione dei legami tra gli atomi del cristallo,
e viene quindi denominata "banda di valenza"; l'ultima, occupata o meno che sia da
elettroni, è la "banda di conduzione".
Eventuali elettroni in banda di conduzione si dicono "elettroni di conduzione" e
godono, per semplificare al massimo, della proprietà di non essere legati a un
singolo atomi, ma di poter appartenere, in linea di principio, a qualunque atomo del
sistema.
Di conseguenza, questi elettroni sono liberi di fluttuare al suo interno passando da
un atomo all'altro senza sottostare a nessun tipo di vincolo salvo quello di dovere
restare dentro al cristallo (a meno che non gli venga fornita l'energia necessaria, detta
"energia" o "lavoro di estrazione").
La circostanza che siano presenti o meno elettroni in banda di conduzione, associata
al fatto che ci sia sovrapposizione tra essa e quella di valenza decidono del fatto che
il cristallo sia un "conduttore", un "isolante", o un "semiconduttore".
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Per capire il punto di arrivo di questa affermazione, si deve considerare che, come
per l'atomo isolato, anche l'occupazione dei livelli entro le bande è regolata dal
"principio di Pauli", che fissa il numero massimo di elettroni che possono stare in un
livello o, in questo caso, in una banda.
L'occupazione procede a partire dal livello o banda più bassi e, quando si arriva a
un'occupazione completa, cominciano a popolarsi il livello o la banda successiva.
In relazione a ciò, per le due bande finali si possono verificare le seguenti situazioni:
1)
banda di valenza occupata e banda di conduzione vuota con gap
energetico tra le due bande relativamente elevato
2)
banda di valenza piena e banda di conduzione parzialmente occupata
3)
banda di valenza occupata e banda di conduzione vuota, ma con bande
sovrapposte
4)
stessa situazione del punto (1), ma con gap energetico relativamente basso.
Nel primo caso il cristallo è un "isolante" o "dielettrico", nel secondo e nel terzo un
"conduttore" e nel quarto un "semiconduttore".
parzialmente occupata
C
vuota
C
vuota
C
completamente occupata
V
parzialmente occupata
V
V
parzialmente occupata
vuota
C
ISOLANTI O DIELETTRICI
SEMICONDUTTORI
V
parzialmente occupata
CONDUTTORI
Dal punto di vista elettrodinamico, in un isolante gli elettroni sono vincolati ai
rispettivi atomi e quindi non possono muoversi attraverso il cristallo, a meno che
non venga fornita loro l'energia necessaria per portarsi in banda di conduzione;
questo è possibile, ma è evidente che questo comporta la distruzione del sistema;
infatti se gli elettroni di valenza passano in banda di conduzione cessano di essere
funzionali alla realizzazione dei legami interatomici.
Il fenomeno è noto come "rottura del dielettrico" e verrà illustrato in modo
appropriato nella sezione che riguarda il passaggio della corrente nei solidi.
9
Dei conduttori abbiamo già anticipato il fatto che invece si ha a che fare, all'interno
del cristallo, con un insieme di elettroni che fluttuano liberamente e casualmente nel
volume occupato dal cristallo; questa condizione, analoga a quella delle particelle di
un gas, consente di parlare di questo insieme come di un "gas di elettroni".
Circa i semiconduttori, che costituiranno l'argomento di un capitolo a sé, diremo al
momento che si tratta di un caso intermedio tra quello (1) e quello (3): le bande sono
separate, ma piuttosto vicine tra loro; in questo senso i semiconduttori sono
virtualmente degli isolanti; cosa del tutto corretta, in senso tecnico; tuttavia, questa
condizione è oltremodo precaria, perché l'energia richiesta per il salto in banda di
conduzione è tanto bassa che, appena al di sopra dello zero assoluto, nell'ambiente
sono disponibili energie termiche sufficienti a colmare questo gap.
In questo modo, già a pochi gradi Kelvin, i semiconduttori presentano elettroni in
banda di conduzione e, quindi, caratteri propri dei conduttori; anche se, come
vedremo, essi differiscono in modo piuttosto radicale da essi.
Per concludere, occorre prendere in considerazione il modo in cui vengono
classificati i conduttori in generale, cioè quando non si tratta, necessariamente, di
solidi cristallini.
Per questo scopo, è necessario anticipare un dato che verrà doverosamente esaurito
nel paragrafo seguente: che per "conduzione" si può intendere, in generale, la
condizione che si instaura in un conduttore quando le sue cariche libere, quale che
ne sia la natura ed origine, sono poste in movimento da un campo elettrico.
Come vedremo meglio, il flusso di carica in un conduttore corrisponde a una
grandezza fisica detta "corrente elettrica".
Questo concetto, per quanto ora mobilitato solo sul piano intuitivo e in via
provvisoria, è indispensabile per classificare i conduttori.
Infatti, la corrente intesa come flusso ordinato di cariche mobili si può produrre
tanto nei solidi cristallini che nei liquidi che, infine, nei gas.
Nei primi due casi, si parla di "conduttori di prima specie" (i solidi cristallini;
essenzialmente i cristali metallici) e di "conduttori di seconda specie" (i liquidi;
essenzialmente le soluzioni o i metalli allo stato fuso).
Per quanto riguarda i gas, la conduzione assume contorni del tutto speciali, al punto
che è forse improprio parlare di conduzione e di corrente, quanto più di un vero e
proprio "cannoneggiamento" da parte di una sorgente che "spara" elettroni verso un
bersaglio attraverso un mezzo che può intervenire, nell'interporsi al flusso dei
proiettili, in tutta una serie di modi differenti tra loro a seconda delle condizioni
fisiche; in particolare, a seconda della densità.
Per la loro complessità e peculiarità, i fenomeni di conduzione nei liquidi e nei gas
verranno trattati in sezioni a se stanti.
4)
PROCESSI DI ELETTRIZZAZIONE
Molti dei processi che inducono la comparsa di proprietà elettriche o "stati di
elettrizzazione" in seno alla materia possono essere spiegati solo attraverso
considerazioni che richiedono, paradossalmente, l'impiego di cognizioni di
elettromagnetismo che in questa fase iniziale non sono ancora disponibili.
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In ogni caso, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, alla base di tutto sta
sempre che la cosa è resa possibile da un qualche genere di apporto di energia.
Il meccanismo più semplice per cui questo viene prodotto, noto fino dall'antichità, è
quello per strofinio: in laboratorio, il classico panno di lana sulla classica bacchetta di
plastica o vetro.
A ben vedere, in questo caso l'esito dello strofinio è una certa produzione di energia
termica e meccanica derivante dall'attrito tra le superfici a contatto, energia che può
essere impiegata per realizzare l'estrazione di elettroni da uno dei due corpi
strofinati; nel momento in cui questi emergono da quello, dei due materiali, il cui
lavoro di estrazione è minore, finiscono subito nell'altro in base al principio per cui
un elettrone, come ogni ente o sistema fisico, tende sempre a realizzare lo stato di
energia minima possibile; che è appunto, in questo caso, quella presente sul "fondo"
della buca di potenziale più "profonda".
Ne consegue che il primo corpo si elettrizza positivamente, il secondo
negativamente.
Un altro meccanismo affine a questo, nel senso che si realizza per tramite del calore
sviluppato in qualche modo, è quello che fa capo all'"effetto termoelettrico"; esso
sfrutta il fatto che il passaggio di una corrente elettrica, come vedremo
compiutamente più avanti, sviluppa calore nel corpo che attraversa.
Un altro processo interessante è l'"effetto fotovoltaico", che si traduce nella
liberazione, in un semiconduttore, di coppie elettroni da parte di un fascio di luce
incidente.
Sempre la luce è responsabile dell'"effetto fotoelettrico", sempre prodotto dalla luce,
ma in un conduttore; in questo caso, la luce ionizza gli atomi del materiale investito,
elettroni che vanno ad incrementare il numero degli elettroni di conduzione
normalmente presenti nel conduttore.
Questi due fenomeni, apparentemente molto simili, sono in realtà intrinsecamente
diversi, come vedremo meglio nella sezione riservata ai semiconduttori.
Un altro fenomeno di elettrizzazione molto interessante nei conduttori è l'"induzione
elettrostatica", che non prevede alcun tipo di contatto o di azione diretta tra i corpi
interessati.
Se, come in figura, si avvicina una carica elettrica a un conduttore, la parte prossima
a questa carica esterna si elettrizza di segno opposto ad essa, quella lontana dello
stesso segno.
+
-
-
-
-
+
+
+
+
+
+
+
La ragione è semplice: la carica (in questo caso positiva) agisce sugli elettroni liberi
spostandoli, in virtù della sua azione dinamica, all'interno del conduttore; questa
migrazione di elettroni rende negativa la regione che va ad occupare e positiva, di
conserva, quella che ha abbandonato.
11
A proposito di conduttori, bisogna specificare che l'assoluta libertà di movimento
degli elettroni di conduzione al loro interno fa sì che, in caso di un loro eccesso, essi
vadano a collocarsi alla superficie dei conduttori, per il fatto che, respingendosi
reciprocamente, tendono a disporsi alla massima distanza possibile gli uni dagli altri.
Nel caso di corpi carichi positivamente, dal momento che le singole cariche a livello
microscopico sono associate ai protoni -inamovibili-, la situazione di carica
superficiale sarà determinata dal fatto che i protoni scoperti saranno relativi ad atomi
di superficie; questo perché anche le cariche positive intese come "mancanze di
elettroni" tenderanno comunque a manifestarsi alla massima distanza reciproca;
anche questo esito, comunque, è conseguente alla mobilità degli elettroni di
conduzione, che si disporranno nel conduttore in modo da lasciare i buchi positivi
sulla sua superficie.
5)
CAMPO DI UNA CARICA PUNTIFORME
VETTORE INTENSITA' DEL CAMPO ELETTRICO
Osserviamo ora che, come è nella natura del concetto di campo, l'interazione tra due
cariche implica che una delle due (non importa quale) possa essere considerata
"sorgente" del campo di cui poi l'altra carica risente una volta collocata in un dato
punto.
In altre parole, se si considera q' come sorgente del campo, la forza F determinata
dalla legge di Coulomb è quella di cui risente q quando viene posto a distanza r da
q'.
La situazione è perfettamente simmetrica scambiando i ruoli di q e di q' e non esiste,
a priori, nessuna ragione per preferire una prospettiva all'altra.
Ora, se la forza è ciò che effettivamente scaturisce come espressione dell'interazione
nel senso che è la grandezza che viene di fatto misurata, il concetto stesso di campo
impone che se ne debba esprimere un'"intensità" per rendere ragione della sua
concreta presenza nei punti dello spazio.
Questa grandezza che indicheremo con E deve essere priva delle connotazioni
relative alla carica q che risente del campo, cosa che si ottiene dividendo la forza per
q:
E = F/q .
Ad esempio, se dividiamo la forza coulombiana per q, otteniamo
E = F / q = K q' / r2,
in cui resta in evidenza la sola dipendenza dalla sorgente q'.
In altre parole, la definizione del vettore intensità del campo permette di pensare al
campo come ad un ente diffuso per tutto lo spazio che occupa, cioè ad una proprietà
fisica presente nello spazio punto per punto, indipendentemente dal fatto che in essi
sia collocata o meno un'altra carica in grado di risentire della prescritta forza
elettrica.
Qualora in uno di essi sia effettivamente presente un'altra carica q, allora questa
risentirà di una forza F = qE.
12
Per caratterizzare meglio il campo elettrico in senso vettoriale, può essere utile
partire proprio dal caso coulombiano.
Supporremo allora, a questo scopo, di disporre una carica Q, positiva, per fissare le
idee, in un punto qualunque dello spazio e di esplorarne il campo utilizzando una
carica "di prova"q, ancora positiva.
Per "carica di prova" si deve intendere una carica sufficientemente piccola da
generare a sua volta un campo di intensità tanto debole da essere trascurabile
rispetto a quello generato da Q.
Esplorare il campo significa spostare q qua e là per lo spazio intorno a Q e valutare,
punto per punto, la forza F di cui risente.
Dal momento che F è diretta lungo l'asse che passa per le due cariche, è chiaro che il
campo coulombiano della carica Q presenta una simmetria centrale, col vettore E che
è rivolto dalla parte opposta di Q: è quello che si dice un campo "centrale" o "polare"
o "radiale":
Q
La figura precedente, che va inquadrata in un'ottica tridimensionale, cerca di
rappresentare il fatto che il campo varia da punto a punto tentando di accentuare il
carattere per cui, come deriva dalla legge di Coulomb, la sua intensità decresce con la
distanza da Q (secondo l'inverso del quadrato della distanza, per essere esatti).
6)
ALTRI CARATTERI VETTORIALI DEL CAMPO ELETTRICO
Non sarà sfuggito a nessuno che nell'aspetto della figura precedente la simmetria
centrale del campo venga ben rappresentata dal fascio di rette centrate in Q.
Bene, ciascuna di queste rette ha il seguente carattere: il vettore campo, a qualunque
distanza da Q, risulta allineato lungo di essa.
Possiamo ora generalizzare la situazione, e pensare non più ad un campo
coulombiano, ma a uno qualunque, generato da una quale che sia distribuzione
intricata di cariche; in un caso del genere, laddove in un campo centrale si hanno
delle rette, compaiono delle curve.
La loro costruzione è la seguente: si parte da un punto P dello spazio e si marca il
vettore E che gli è associato, poi ci si sposta di un tratto infinitesimo lungo E e si
marca il nuovo vettore; si ripete l'operazione per un numero adeguato di volte e si
guarda il risultato grafico (figura a):
13
a
b
In esso si vede distintamente un inviluppo di rette che suggerisce l'immagine di una
curva come in figura b; la caratteristica fondamentale di questa curva è che il vettore
E le è tangente punto per punto.
Una curva che gode di una simile proprietà si dice "linea di campo".
E' evidente allora che la distribuzione e la forma delle linee viene a caratterizzare
geometricamente il campo stesso e, in un certo senso, a costituirne i tratti "somatici".
Così, il campo coulombiano è un campo le cui linee sono tutte rette centrate nella
sorgente.
Oltre al campo centrale, possiamo annoverare altri due tipi notevoli di campi in base
ai caratteri geometrici delle loro linee: il campo "uniforme" e quello "bipolare".
Il primo è caratterizzato dal fatto che le sue linee sono tutte rette parallele
equidistanziate: il primo tratto deriva dal fatto che, essendo il campo descritto da un
vettore costante (il campo è, come si è detto, uniforme), in ogni punto le sue rette
d'azione hanno la stessa direzione, il secondo rappresenta l'esito di una convenzione
dovuta a Faraday, per cui la densità delle linee di campo è direttamente
proporzionale all'intensità del campo stesso; dunque, se il campo è uniforme, ha la
stessa intensità ovunque e, quindi, le linee di campo devono essere ovunque
ugualmente dense.
L'idea di Faraday si giustifica nel fatto che prendendo in considerazione il campo
centrale della legge di Coulomb quando ci si dirige verso la carica, laddove il campo
14
è più intenso, le linee di campo sono anche necessariamente più ravvicinate per
chiare ragioni geometriche.
Per correttezza, va sottolineato l'aspetto convenzionale delle rappresentazioni
grafiche di un campo, considerato il fatto che esse riempiono comunque tutto lo
spazio a prescindere dall'intensità del campo; infatti, se è vero che in ogni punto del
campo c'è un vettore (quello del campo), è anche vero che per ogni punto dello
spazio passa una linea di campo; tuttavia, non essendo per ovvie ragioni possibile
disegnare una rete di infinite curve distribuite con continuità su una lavagna
tridimensionale, l'insegnante di Fisica esce dall'imbarazzo disegnandone alcune e
badando ad addensarle laddove il campo è più intenso e a rarefarle laddove è più
debole seguendo le indicazioni di Faraday.
Il campo bipolare è quello generato, come suggerisce chiaramente il suo nome, da
due cariche elettriche.
Se le due cariche hanno la stessa intensità il campo ha un caratteristico andamento
simmetrico, come rappresentato in figura nel caso del bipolo costituito da due
cariche opposte:
"
"
!
!
!
!
!
+q
!
-q
!
!
!
!
!
"
!
"
Come si vede, in esso le linee di campo scaturiscono dalla carica positiva e finiscono
su quella negativa.
Per il fatto di possedere una "testa positiva" e una "coda" negativa, se un dipolo
elettrico viene posto in un campo tende a ruotare in modo da disporsi lungo il
campo medesimo; infatti, la carica positiva subirà una forza in un verso e quella
negativa in quello opposto.
15
7)
FLUSSO DEL CAMPO ELETTRICO E LEGGE DI GAUSS
Un'altra grandezza caratteristica dei campi vettoriali come quello elettrico è il suo
"flusso" attraverso una superficie.
In prima istanza, possiamo pensare il flusso come un qualcosa di proporzionale
all'insieme delle linee di campo che intersecano una certa superficie.
Cercheremo ora di rendere quantitativo questo discorso.
Partiamo dal caso più semplice: il campo è uniforme, e la superficie è piana e
disposta normalmente al campo (fig. a):
S
S
S'
n
!
E
(a)!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
E
(b)
Si definisce, in queste condizioni, "flusso" del vettore campo elettrico E la quantità
Φ=ES.
In una situazione meno particolare, possiamo prendere in considerazione il caso in
cui S, pur sempre piana, sia inclinata di un certo angolo θ rispetto al campo, come in
figura b.
In questo caso, semplici considerazioni trigonometriche ci indicano che superficie
efficace esposta al campo è
S' = S cos θ ,
di modo che il flusso diventa
Φ = E S' = E S cosθ .
Questa relazione può essere posta in modo più appropriato dotando la superficie S
di un carattere vettoriale che ne rappresenti l'orientazione nello spazio, cioè come un
vettore di modulo S e versore n allineato lungo la normale alla superficie.
In questo modo la relazione può essere espressa attraverso un prodotto scalare tra il
vettore campo elettrico e la superficie orientata:
! = E •n S
16
Più in generale ancora, la superficie potrà essere di forma qualunque ed E variare da
punto a punto; in questo caso, occorre procedere in modo tale da suddividerla in
porzioni infinitesime ciascuna delle quali sarà attraversata da un flusso infinitesimo
d ! = E • n dS
dopo di che sommare tutti questi contributi su tutta la superficie.
E1
n2
E2
n1
n3
E3
Si tratta di un'operazione piuttosto complicata denominata "integrale di superficie"
che ci accontenteremo di delineare a livello intuitivo come somma sui generis dei
contributi infinitesimi al flusso estesa a tutta la superficie considerata.
Simbolicamente si scrive così:
!=
"S E • n dS
Per non preoccuparsi troppo e capire che si tratta di una generalizzazione della
formulazione F = ES basta pensare a come si procederebbe, appunto, nel caso
particolare illustrato in apertura di discorso.
Si avrebbe, infatti, θ = 0 in ogni punto di S, per cui sarebbe subito
Φ = ∫S E dS
Ma E è costante, per cui si può estrarre dall'integrale:
Φ=E
Cioè
∫S dS
Φ= ES ,
visto che la somma di tante porzioni infinitesime di una superficie altro non è che la
superficie stessa.
17
L'importanza del concetto di flusso è dovuta al fatto che nei suoi termini viene
formulata una delle leggi fondamentali dell'elettromagnetismo, quella di Gauss per il
campo elettrico.
In essa si enuncia che
il flusso del campo elettrico che attraversa una superficie chiusa è pari alla
somma algebrica delle cariche che essa racchiude.
L'apparente astrattezza di questo enunciato lo rende poco gradito a chi ci si imbatte
per la prima volta; d'altra parte, in Fisica, gli strumenti più potenti sono sempre
sfuggenti in conseguenza del loro carattere del tutto generale.
La sua formulazione matematica è la seguente:
o!
S
q
E • n dS = !
o
in cui q è la somma algebrica di tutte le cariche contenute nella superficie S di cui il
cerchietto sovrapposto al simbolo di integrazione ci ricorda la chiusura; d'ora in poi
diremo "gaussiana" una superficie chiusa che interviene nelle considerazioni che
riguardano la legge di Gauss.
Per capire la portata di questa legge ne trarremo ora qualche importante
conseguenza.
8)
ALCUNE APPLICAZIONI DELLA LEGGE DI GAUSS
Consideriamo una carica puntiforme q, per fissare le idee, positiva; il campo è allora
quello radiale coulombiano con le linee di campo rivolte in verso divergente
all'infinito:
q
r
18
Ora, consideriamo una superficie gaussiana di forma sferica e di raggio r centrata in
q e applichiamo il teorema di Gauss:
o! E dS cos !
= q/"o
S
Ora, dato che E ha la stessa intensità su tutta S (per simmetria, visto che i suoi punti
sono tutti equidistanti da q), e poiché il vettore E è ovunque perpendicolare a S, per
cui si ha ovunque θ = 0, ne segue che si può raccogliere E a fattore, che cosy = 1 e che
quindi la precedente diventa
E
o! dS
S
= q/!o
Ma la somma di tante areole di una superficie S sferica, quali che esse siano, è la
superficie di una sfera, appunto; per cui troviamo
4 π r2 E = q / εo
da cui segue subito
E=
q
1
4 ! "o r 2
cioè la legge di Coulomb.
Consideriamo ora un conduttore carico; positivo, per fissare le idee.
Come bbiamo già avuto modo di dire pensando a un eccesso di elettroni liberi in un
conduttore, le cariche si distribuiscono soltanto sulla sua superficie, e si può vedere
che questo fatto può essere derivato dalla legge di Gauss e dalla condizione di
equilibrio elettrostatico.
Questa comporta che, all'equilibrio, le cariche in eccesso contenute in un conduttore
si dislochino in esso in modo tale che nello spazio da loro occupato il campo elettrico
risulti nullo; altrimenti continuerebbero a muoversi fino a che questa condizione non
fosse soddisfatta.
Ma allora, dato il conduttore in figura, il flusso del campo elettrico attraverso una
superficie S sottostante a quella del conduttore, per quanto ad essa prossima, è nullo,
perché E è nullo.
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Ma, per la legge di Gauss,
q / εo = 0
cioè q = 0.
19
Ma allora, non potendo la carica essere interna a qualunque superficie a sua volta
interna rispetto a quella del conduttore, ne deriva che essa deve essere contenuta
proprio in quella esterna.
Un aspetto interessante può essere quello della distribuzione della carica sulla
superficie dei conduttori, che fa capo al concetto di "densità superficiale di carica" σ
definita, in generale, come rapporto tra la carica infinitesima dq contenuta nella
porzione infinitesima di superficie dS, cioè da
σ = dq/dS
In generale essa varierà da punto a punto e si può anche stabilire che lo fa in
dipendenza dalla curvatura della superficie.
Per capirlo consideriamo il caso di una superficie sferica di raggio r.
In questo caso, per ragioni di simmetria, la carica si deve distribuire su di essa in
modo uniforme, per cui la densità di carica è data semplicemente da
σ = q/4πr2
Ora, se consideriamo una superficie di forma qualunque, la sua curvatura varierà da
punto a punto e con essa il suo raggio di curvatura; ma questo è il raggio della sfera
che in un intorno infinitesimo del punto considerato ha la stessa curvatura della
superficie in quell'intorno, per cui la densità di carica è tanto maggiore quanto
minore è il raggio di curvatura.
Questa è la causa del cosiddetto "potere delle punte", cioè di tutta una serie di
manifestazioni a cui può dare luogo un conduttore carico appuntito, come il "vento
elettrico" e le proprietà del parafulmine.
La zona della punta, infatti, è per forza di cose caratterizzata da una grande
curvatura, ovvero da un piccolo raggio di curvatura; ne consegue che localmente la
densità di carica è altissima.
Ne consegue, come vedremo subito lavorando sullla legge di Gauss, una notevole
intensità del campo elettrico che può spiegare anche le ragioni dei fatti attribuiti alle
punte.
Consideriamo un conduttore di forma qualunque carico positivamente e
proponiamoci di determinare il valore del campo elettrico in prossimità della sua
superficie.
Il problema è analogo a quello della gravità nei dintorni della superficie terrestre:
vicino alla superficie del conduttore il campo può essere considerato uniforme e la
superficie stessa piana.
La situazione è quella della figura sottostante, in cui si è presa come superficie
gaussiana quella di un cilindro infinitesimo a cavallo di S:
20
E
... + + + + + + + + + ++++++++++ ...
S
dS
Data la situazione geometrica in atto, il flusso attraverso questa superficie si riduce a
E dS, flusso relativo alla sola base superiore; infatti il campo è tangente alla
superficie laterale del cilindro, mentre la base inferiore è all'interno del conduttore
dove il campo è nullo.
Allora per la legge di Gauss, avremo
E dS = dq /εo ,
in cui dq è la carica racchiusa nel volumetto cilindrico; ma dq = σ dS, per cui si
ottiene
E = σ / εo
Cioè: il campo elettrico in prossimità della superficie di un conduttore è direttamente
proporzionale alla densità superficiale di carica.
Possiamo ora capire le proprietà delle punte: dal momento che in corrispondenza di
esse le cariche si addensano, il campo elettrico assume un'intensità molto elevata e
può dare luogo a fenomeni critici come quelli osservati.
Ad esempio, nel caso del vento elettrico, l'azione del campo sugli ioni presenti
nell'aria circostante fa loro acquisire velocità molto elevate da o verso le punte che li
mette in grado di ionizzare altri atomi o molecole innescando così un processo a
cascata che finisce per coinvolgere un numero talmente alto di particelle da rendere
visibile anche a livello macroscopico il loro flusso sotto l'azione del campo.
Per il parafulmine, cose analoghe: la punta si propone per il flusso di particelle
ionizzate in moto tra la nube e il suolo come un polo privilegiato in ragione della
notevole intensità del campo elettrico che la circonda, per cui la probabilità che
questo flusso si diriga verso una punta è molto più elevata di quella che lo faccia in
una direzione diversa.
Tornando al discorso generale, se invece che di una superficie con una sola faccia si
trattasse di una con due facce come nel caso di una lamina, in modo del tutto
analogo si troverebbe
E = σ / 2 εo
21
E
... + + + + + + + + + ++++++++++ ...
S
E
In questo caso, infatti, la superficie intercettata dalle linee di campo sarebbe doppia.
Ancora, preso un filo rettilineo abbastanza lungo da poter essere considerato
indefinito, carico positivamente con densità lineare di carica costante, consideriamo
un cilindretto di raggio di base r e lunghezza l che abbia come asse il filo stesso; una
carica q1 produrrà in un punto P della sua superficie laterale un campo E1 e, in forza
dell'ipotesi fatta sulla lunghezza del conduttore, a qualunque carica posta da una
parte che sia in grado di dare luogo a un campo apprezzabile corrisponderà,
dall'altra, una carica simmetricamente disposta; così, a q1 corrisponderà una carica q2
che genera nel punto considerato un campo E2 come in figura:
E
E2
E1
P
q1
l
q2
Data la simmetria della situazione, ne deriva una risultante disposta come in figura,
perpendicolarmente alla superficie laterale del cilindro (e quindi tangente a quella di
base.
Pertanto, per la legge di Gauss,
2 π r l E = q/εo
in cui q è la carica contenuta nel cilindro.
Di qui,
E = q / 2 π εo r l
e, indicando con λ il rapporto q/l , densità lineare di carica, troviamo infine
E = λ / 2 π εo r ,
che esprime il fatto che il campo elettrico ha un'intensità direttamente proporzionale
alla densità di carica e inversamente proporzionale alla distanza dal filo.
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