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produzione Pleiadi Art Productions, Campsirago Residenza | di Michele Losi, Mariasofia Alleva | regia Michele
Losi | cura del movimento scenico Caterina Poggesi | con Mariasofia Alleva, Andrea Pietro Anselmi, Lucia
Donadio, Carolina Leporatti, Giovanni Serratore e in video Joseph Scicluna | musiche originali Cristina Abati,
Chiara Codetta, Tobia Galimberti | drammaturgia Riccardo Calabrò, Mariasofia Alleva, Michele Losi |
scenografia Marialuisa Bafunno, Michele Losi, Anna Turina | costumi Stefania Coretti, Maria Barbara De Marco
| sound design Diego Dioguardi | light design Andrea Violato | video Alberto Sansone
MOBY DICK
La scelta di avvicinarsi a un grande classico come Moby Dick rappresenta la sfida di affrontare il
mare aperto dell’esistenza. Saliamo a bordo della baleniera Pequod con Ismaele, Queequeg e
l’equipaggio per uno spettacolo di parole, suoni, gesti e attese. In scena una grande assenza,
quella del Capitano Achab e una grande attesa, quella della balena bianca.
L’adattamento drammaturgico è fedele alla trama del romanzo, scegliendo di far emergere le
tensioni esistenziali dei personaggi. Si compone un Moby Dick nel quale l’alternanza tra profondità
individuale e azione collettiva definisce il ritmo e la forma dello spettacolo, lasciando spazio anche
a momenti ironici e comici.
Ismaele si muove tra le angosce e le elucubrazioni dei personaggi minori creati da Melville, riuniti
sul pontile della baleniera, in uno spazio drammaturgico simbolico e metafisico. Uno spazio giocato
tra un presente e un immaginario in cui gli elementi cardine del romanzo - il mare, la balena
bianca e lo stesso Achab - non si manifestano ma la loro presenza (o assenza?) permea ogni
dialogo e azione.
È il linguaggio evocativo che porta in scena il mare, grazie a un impianto scenico di forte impatto
visivo esaltato da un potente soundscape teatrale. Il paesaggio sonoro in cui si muove la balena
bianca nasce dalla rielaborazione in chiave elettronica di suoni di strumenti della tradizione
occidentale e orientale (dal violoncello ai tamburi Taiko) quasi a rievocare il Pequod, nave
americana con forti alberi di legno giapponese.
E su quel pontile, dove tutto ha inizio e fine, la partiture fisiche corali raccontano la vita quotidiana
a bordo, le ripetitive e cicliche azioni che intervallano la grande attesa, la vera protagonista di
questa rilettura del romanzo di Melville.
Con il sostegno di
95 minuti
DEBUTTO 2017
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“Ho potuto assistere allo spettacolo Moby Dick nel carcere di Bollate (Milano, anteprima settembre 2016). L’impatto emotivo del tema e della sua realizzazione teatrale non poteva che
essere potenziato dalla presenza di quelle mura che la società ha messo al riparo degli aspetti che
più ritiene minacciosi e impresentabili dell’umano. La balena bianca contro cui si affanna il
capitano Achab, oltre che i tanti pericoli a cui sta andando incontro la civiltà -la devastazione
dell’ambiente, l’esaurimento delle risorse naturali, la speculazione finanziaria, ecc.- è anche
questo: il mare ribollente delle cose che sono sedimentate nel profondo dei corpi e dell’animo di
ogni singolo, a cui è ancora difficile dare un nome.
Trasferire l’impervia navigazione di Moby Dick dal romanzo che l’ha resa famosa al teatro, non era
cosa facile e il regista, con i suoi bravissimi attori e attrici ha fatto la scelta felice di tenere insieme
drammaticità e ironia, impennate virili e tenerezze impreviste, pause riflessive e accensioni di corpi
in movimento, suoni scomposti e musicalità gradevoli.
L’attesa del mostro marino si stempera così nel tempo del percorso marino, nelle relazioni che si
creano all’interno di una anomala compagnia di marinai, dove diventa sempre più difficile capire
da dove vengono i comandi e il significato reale di quell’impresa.
Particolarmente originale mi è sembrata la scelta di far interpretare parti maschili a donne.
L’effetto è un felice depistaggio e smarrimento rispetto a ruoli, comportamenti che lo spettatore o
la spettatrice si aspettano. Di qui la leggerezza e la curiosità che catturano l’attenzione,
nonostante la durata non breve dell’opera.” – Lea Melandri, saggista e giornalista
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