Lo spettacolo ha debuttato il 27 gennaio 2010
al Teatro Storchi di Modena
Première: Teatro Storchi – Modena (Italy), January 27th, 2010
Via Ganaceto, 129 – 41121 Modena
Tel. + 39 059 2136011 fax + 39 059 245332
[email protected]
www.emiliaromagnateatro.com
LE SIGNORINE DI WILKO
dall’omonimo romanzo di/from the novel Panny z Wilka by Jaroslaw Iwaszkiewicz
adattamento e regia/adapted for the theatre and directed by ALVIS HERMANIS
coreografia/choreography Alla Sigalova
scene/scene design Andris Freibergs
costumi/costume design Gianluca Sbicca
luci/light design Paolo Pollo Rodighiero
Piazza Francese, 46 – 80133 Napoli
Tel. + 39 081 5510336 – Fax + 39 081 5510339
[email protected]
www.teatrostabilenapoli.it
Via Indipendenza, 44 – 40121 Bologna
Tel. + 39 051 2910910 – Fax +39 051 239588
[email protected]
www.arenadelsole.it
andato in stampa il 22 gennaio 2010 presso/printed on January 22nd, 2010 at Centroffset
progetto grafico/graphic design Robert Rebotti
foto di copertina/front cover photo Rolando Paolo Guerzoni
personaggi e interpreti/characters and interpreters
Wiktor....................Sergio Romano
Jola......................Laura Marinoni
Julcia......................Patrizia Punzo
Kazia..........................Elena Arvigo
Fela...............................Irene Petris
Zosia......................Fabrizia Sacchi
Tunia........................Alice Torriani
assistente alla regia/assistant director Thea Dellavalle
assistente alle scene/scene assistant designer Elena Zykova
assistente ai costumi/costume assistant designer Gianluca Carrozza
assistente alla regia in stage/trainee assistant director Giacomo Veronesi
interprete/interpreter Santija Bieza
traduzione dell’adattamento/translation of the adaptation Carla Pollastrelli
responsabile tecnico/technical director Salvo Di Martina
direttore di scena/stage manager Paolo Betta
macchinisti/stage hands Salvo Di Martina, Siro Chiuchiu
elettricisti/electricians Paolo Pollo Rodighiero, Tommaso Checcucci
fonico/sound technician Marco Olivieri
sarta/wardrobe mistress Giada Fornaciari
attrezzista/props Silvia Martin
ufficio stampa/press office Silvia Pacciarini
direzione di produzione/production managers Cosetta Nicolini, Marisa Villa
diario/journal Margherita Mauro
scene costruite nel laboratorio/set building Emilia Romagna Teatro Fondazione
costruzione scene/scene building manager Mauro Brecciaroli
scenografo realizzatore/scene painting and construction Rinaldo Rinaldi
scenografi realizzatori collaboratori/assistants Keiko Shiraishi, Andrea Grazia
realizzazione costumi/costume workshop G.P.11
parrucche/wigs Mario Audello
foto di scena/photos by Marcello Norberth
produzione/production
Emilia Romagna Teatro Fondazione,
Programma Cultura dell’Unione Europea nell’ambito del Progetto Prospero
(Culture Programme of the European Union within Prospero Project)
Teatro Stabile di Napoli
Nuova Scena – Arena del Sole – Teatro Stabile di Bologna
| LA TRAMA DEL ROMANZO
| a summary of the plot
Le signorine di Wilko di Jaroslaw Iwaszkiewicz è un viaggio nei territori di
una memoria privata, la storia di un uomo a colloquio con il proprio passato. Dopo quindici anni di assenza Wiktor Ruben fa ritorno nel luogo in cui in
gioventù aveva trascorso alcune estati. Era uno studente universitario pieno
di aspettative quando nei mesi estivi faceva visita agli zii. La loro modesta
abitazione poco distava da Wilko, una fattoria con podere di proprietà di
una famiglia aristocratica. Per quanto di estrazione sociale inferiore, Wiktor
vi si recava spesso per intrattenersi con le sei giovani figlie dei proprietari, le
signorine. Alle ragazze più piccole, faceva da insegnante, dando ripetizioni
di latino, mentre era in stretta amicizia con le sorelle più grandi. Con ognuna
delle signorine aveva un rapporto singolo, particolare, unico e segreto. Con
Julcia, ad esempio, aveva una forte intesa intellettuale, con Jola faceva lunghe
passeggiate a cavallo e la considerava quasi una sorella, mentre con Kazia si
abbandonava in lunghe discussioni dai toni esistenziali. Wilko era anche stato
il luogo dove maldestramente aveva avviato la propria educazione sentimentale. Per quanto le signorine subissero il suo fascino, Wiktor, smarrito nei meccanismi di seduzione, non era stato in grado di scegliere verso chi indirizzare
le proprie attenzioni e i sentimenti erano, così, rimasti sospesi nel vuoto.
Negli anni che lo separano dalla sua ultima visita agli zii, Wiktor è diventato
definitivamente adulto e la sua vita è cambiata: non solo ha preso parte alla
Grande Guerra ma, da civile, ha dovuto adeguarsi al destino di una vita ordinaria che ha soffocato i sogni e le ambizioni giovanili. Il nuovo soggiorno
a Wilko lo obbliga, quindi, a fare i conti con il passato, ad affrontare dei
ricordi da tempo sommersi per accettare le scelte che hanno determinato
la sua esistenza. Dal confronto tra le due età della vita, Wiktor comprende
l’impossibilità di far aderire la realtà ai sogni. Duella con il tempo, con la
zia che lo vorrebbe vedere sposato ad una delle signorine, con i propri istinti sessuali. Essere tornato a Wilko è frastornante: sembra che, nonostante
le molte novità, il tempo non sia mai passato e che niente sia cambiato.
Wiktor viaggia nel passato per rintracciare nel presente i fili interrotti delle
relazioni con le signorine, per rimediare all’ignavia giovanile ed evitare i
rimpianti. Il tempo, con la sua inesorabilità, diventa la cartina di tornasole
che lo aiuta in un percorso di comprensione di sé.
The Young Ladies of Wilko by Jaroslaw Iwaszkiewicz is a journey into the
realms of an individual’s private memory, the story of a man’s dialogue
with his past. Fifteen years on Wiktor Ruben returns to the place where he
spent a few summers in his youth. He was a university student full of hopes
when he spent the summer months at his aunt and uncle’s. Their modest
abode was not far from Wilko, a farm with land that belonged to an aristocratic family. Although of a lower social class, Wiktor would often go there
to spend time with the owner’s six young daughters, the young ladies. He
would teach the younger girls, giving them extra coaching in Latin, while he
shared a close friendship with the older girls. He had an individual, special,
unique and secret relationship with each one of them. With Julcia, for example, he shared a strong intellectual understanding, with Jola he went on
long horse-rides and he considered her almost a sister, while with Kazia he
become lost in lengthy discussions with existential tones. Wilko was also the
place where he had embarked on his own sentimental education. Although
the ladies were under his spell, Wiktor, lost in the mechanisms of seduction,
was unable to choose one from among them and so his feelings remained
suspended in a vacuum.
In the years since his last visit to his aunt and uncle’s Wiktor has become a
man and his life has changed: not only did he take part in the Great War,
but, as a civilian, he had to adapt to the destiny of an ordinary life, which
suffocated his young dreams and ambitions. This new stay at Wilko forces
him, therefore, to reckon with the past, to face long-forgotten memories, to
accept the decisions that have influenced his existence. By comparing the
two eras in his life Wiktor comes to realize that it is impossible to make reality adhere to dreams. He duels with time, with the aunt who would like to
see him marry one of the young ladies, with his sexual instincts. Returning
to Wilko is bewildering: it would seem that, in spite of the many novelties,
time has not passed and that nothing has changed. Wiktor goes back to
the past to retrace in the present the broken lines of his relationships with
the young ladies, to put right youthful sloth and to avoid regrets. With its
inexorable nature, time becomes the litmus paper that helps him on his
way to understanding himself.
| APPUNTI SU LE SIGNORINE DI WILKO
Il romanzo Le signorine di Wilko dello scrittore polacco Jaroslaw
Iwaszkiewicz mi ha affascinato già fin dai tempi degli studi, quando
l’ho letto per la prima volta.
Il racconto, nel quale Wiktor Ruben torna nella casa di campagna
dove quindici anni prima viveva lavorando come istitutore presso
una famiglia dove crescevano sei sorelle, mi ispira per varie ragioni.
Certamente, la situazione stessa – un uomo e sei donne – già in sé è
particolare e istigatrice di fantasie. Mettendo in scena questo testo nel
contesto italiano non si può non ricordare il film di Federico Fellini La
città delle donne con Marcello Mastroianni nel ruolo principale.
Però al testo di Iwaszkiewicz appartengono anche altre qualità e
caratteristiche: innanzi tutto, è straordinariamente poetico. Quasi
poesia scritta in prosa. Perciò nel mettere in scena questo lavoro letterario ci confrontiamo con una sfida, ossia scoprire se è possibile
rendere visibile la poesia. Inoltre questo testo ricorda davvero molto
la scrittura di Marcel Proust: ricordi, dettagli, odori, sensazioni e sfioramenti dimenticati.
Il passato ed i ricordi sono il tema che da sempre costituisce il centro d’attenzione dei miei spettacoli teatrali. E questo racconto di
Iwaszkiewicz verte solo e soltanto su questo. Melanconia e nostal-
| Notes on THE YOUNG LADIES OF WILKO
gia non sono solo sentimenti melodrammatici. Sono le qualità che
hanno sempre caratterizzato la coscienza culturale dell’Europa, o
almeno così è stato fino alla fine del XX secolo.
Siamo nel XXI secolo e stiamo vivendo enormi cambiamenti nella
coscienza europea. Si può dire che siamo, in questo momento, testimoni della morte della vecchia e buona Europa. E qualsiasi lavoro
artistico che viene creato oggi ha, in tale contesto, l’aspetto di un necrologio. Necrologio alla percezione della vita della vecchia Europa.
Restano solo i ricordi.
L’autore ha scritto questo lavoro dopo la prima guerra mondiale. Il
suo eroe, Wiktor, è da poco tornato dal fronte. La guerra è una parte
importante di questo racconto. Iniziando il lavoro con questa messa
in scena abbiamo deciso di trasferire le vicende in un tempo ed in
un contesto diversi, ossia nell’anno 1947 dopo la fine della seconda
guerra mondiale. Il motivo principale è dovuto alle caratteristiche
della moda femminile degli anni ’40 nel contesto della guerra. Non
a caso la moda femminile di quel periodo era allo stesso tempo maschile, quasi brutale e molto vicina allo stile militare, ma contemporaneamente erotica e sessualmente provocatoria.
Alvis Hermanis
The novel The Young Ladies of Wilko by Polish writer Jaroslaw Iwaszkiewicz has captivated me since my student days, in which I read it for
the first time.
The story, which sees Wiktor Ruben return to the country home where
he had lived fifteen years earlier as a tutor to a family of 6 sisters,
inspires me for a variety of reasons. Obviously, there is the situation
itself: a man and six women, a circumstance in itself that is rather
particular and gives rise to the imagination. While adapting this work
for the stage against an Italian backdrop it was impossible not to be
reminded of Federico Fellini’s film City of Women, in which Marcello
Mastroianni played the lead.
However, Iwaszkiewicz’s text features other qualities and characteristics: firstly, it is extraordinarily poetic, almost poetry in prose form.
Hence in adapting this literary work for the stage we were faced with
a challenge: that of discovering whether it would be possible to convey its poetry. In addition, this text is strikingly reminiscent of the
writings of Marcel Proust, with its themes of memories, details, smells,
sensations and fleeting touches.
The past and its memories have always been the central focus of my
plays. And this novel by Iwaszkiewicz is about this and this alone.
Melancholy and nostalgia are not merely melodramatic elements.
They are qualities that have always characterized Europe’s cultural
awareness, or at least that’s how it was until the end of the 20th
century.
Now it’s the 21st century and we are experiencing great changes in
European awareness. One might say that we are currently witnessing
the demise of good old Europe. And any artistic work created today,
in this context, smacks of an obituary, an obituary on the perception
of life in old Europe. Only the memories remain.
The author wrote this work after the First World War. The hero, Wiktor, has recently returned from the front. War plays an important part
in this novel. When we first began work on the adaptation of this
novel to the stage we decided to set the action in a different time
and place, that is to say to the year 1947 at the end of the Second
World War. The main reason for this is due to the characteristics of
women’s fashion in the worn-torn Forties. It was no coincidence that
the women’s fashion of the era was also masculine, bordering on
the blunt, and very similar to the military style, but sexy and erotic
at the same time.
Alvis Hermanis
| ALVIS HERMANIS
Alvis Hermanis è nato nel 1965 e ha studiato recitazione in Lettonia,
al Conservatorio di Stato dove si è diplomato nel 1988. Negli anni
Ottanta è stato attore di cinema e di teatro, per dedicarsi alla regia a
partire dal 1990. Dal 1997 è direttore artistico e sovrintendente del
New Riga Theatre con il quale ha prodotto numerosi allestimenti.
Riconosciuto come uno dei registi europei più interessanti e innovativi, per le messe in scena caratterizzate da una commistione di stili ed
estetiche teatrali differenti - un incrocio di riferimenti e immagini che
fonde Stanislavskij con Brecht - Alvis Hermanis crea originali combinazioni di immagini e simboli propri di periodi storici e culturali diversi tra loro attingendo al patrimonio culturale dell’Est e dell’Ovest.
Gli spettacoli di Hermanis sono stati rappresentati nella cornice dei
principali festival internazionali, tra cui il Festival di Edimburgo, il
KunstenFestival des Arts di Bruxelles, il Wiener Festwochen a Vienna,
il Festival d’Avignon, oltre che nei più prestigiosi Teatri europei. A
Modena ha presentato, in due edizioni di VIE Scena Contemporanea
Festival, gli spettacoli By Gorky e Sonja.
Vincitore di numerosi premi prestigiosi, come il Premio Montblanc
Young Directors Project nel 2003 e nel 2007 il IX Premio Europa Nuove
Realtà Teatrali, Hermanis è anche attore, autore dei testi e scenografo.
Regista avvezzo a lavorare con attori che recitano nella loro lingua
madre, ha diretto infatti diversi spettacoli in Europa, per la prima
volta con questo allestimento si confronta con la lingua italiana.
| JAROSLAW IWASZKIEWICZ
Alvis Hermanis was born in 1965. He studied acting in Latvia, graduating from the State Conservatory in 1988. During the Eighties he was
a film and stage actor and in 1990 he moved across to directing. Since
1997 he has been the creative director and general manager of the
New Riga Theatre, where he has put on countless productions.
Acclaimed as one of Europe’s most interesting and innovative directors for his dramatizations, characterized by a blend of theatrical
styles and aesthetic effects - a hybrid of references and images that
fuse Stanislavskij with Brecht, Alvis Hermanis creates original combinations of images and symbols from different historical and cultural
eras by delving into the cultural heritage of East and West.
Hermanis’ plays have been put on at such major international festivals as Edinburgh, the KunstenFestival des Arts in Brussels, the Wiener
Festwochen in Vienna and the Festival d’Avignon, as well as at prestigious European Theatres. In Modena he has presented By Gorky and
Sonja in two editions of VIE Scena Contemporanea Festival.
Winner of several prestigious awards, including the Montblanc Young
Directors Project Prize in 2003 and the IX edition of the Europe Prize
New Theatrical Realities in 2007, Hermanis is also an actor, playwright and set designer.
Accustomed to working with performers who act in their mother
tongue, he has directed many plays in Europe. This is his first play in
the Italian language.
Jarosław Iwaszkiewicz nasce nel 1894 a Kal’nik nella regione di Kiev
(oggi Ucraina) e muore a Varsavia nel 1980. È una delle figure più importanti della letteratura polacca. La sua attività inizia come autore di
poesie, ma più tardi si dedica anche alla letteratura, alle opere teatrali
e a saggi biografici.
Iwaszkiewicz deve la sua posizione preminente nella letteratura polacca
del secolo per la sua opera di prosatore, che si incentra sul convincimento della tragica caducità delle azioni, dei sentimenti, dei sogni umani,
resi vani dallo scorrere del tempo e dal destino irrazionale. Il suo testo
più celebre è il romanzo epico La gloria e la fama (1956-62) ispirato
alle vicende della società polacca nel 1914-15.
I suoi primi lavori sono scritti nella convenzione del racconto poetico e
della novella lirica; sono dominati dalla tradizione modernista che è
soggetta al tempo stesso al tentativo di ridefinire il concetto di opposizione tra arte e vita. Più tardi Iwaszkiewicz crea la sua originale visione
del mondo, che troviamo nella sua completezza in alcune storie, tra le
quali Le signorine di Wilko scritta nel 1933.
La prosa di Iwaszkiewicz non mette in evidenza solo un’ansietà intellettuale e morale, ma anche una credenza che in natura esista una capacità
umana di fare le giuste scelte etiche, e un legame tra la tragedia vissuta
ed una speciale intensificazione dell’esperienza estetica e sensuale.
Le signorine di Wilko è stato pubblicato in Italia nel 1961 da Garzanti,
nel 1979 Andrzej Wajda ne ha tratto un film dall’omonimo titolo.
Jarosław Iwaszkiewicz was born in 1894 in Kal’nik in the area of Kiev
(now Ukraine) and he died in Warsaw in 1980. He is one of the most
influential figures in Polish literature. He began by writing poetry, but
later focused on literature, plays and biograhpical essays as well.
Iwaszkiewicz owes his prominent place in twentieth-century Polish literature to his work as a prose writer, which is based on his conviction of
the tragic transience of deeds, feelings, human dreams rendered useless
by the passage of time and by irrational destiny. His most celebrated
work is the epic novel Fame and Glory (1956-62) inspired by the vicissitudes of Polish society in 1914-15.
His early works were written using the poetic narrative and lyrical novel
form; they are dominated by the modernist tradition, which at the same
time is also subject to an attempt to redefine the opposing concept between art and life. Later on Iwaszkiewicz creates his own original view
of the world, which we find in its entirety in several stories, including The
Young Ladies of Wilko, which was written in 1933.
Iwaszkiewicz’s prose not only highlights an intellectual and moral
anxiety, but also the belief that in nature mankind has the ability to make the right ethical decisions, and an association between
tragedies experienced and a particular intensification of aesthetic
and sensual experience.
The Young Ladies of Wilko was published in Italy in 1961 by Garzanti
and in 1979 Andrzej Wajda made it into a film of the same name.
| Conversazione con Alvis Hermanis
Il primo giorno di prove lei ha detto alla compagnia che l’obiettivo di
questo spettacolo è riuscire a rendere visibile la poesia e che l’adattamento del romanzo è stato fatto nell’intento di distillare la poesia del
testo. Quali criteri drammaturgici sono intervenuti nell’operazione di
riduzione teatrale del romanzo?
Sì, è proprio questo il punto, distillare la poesia dal testo. Abbiamo
mantenuto solo quei brani di testo che in qualche modo favoriscono
la creazione di immagini poetiche, sul palco e nella mente degli spettatori. E la versione adottata è stata pressoché la stessa della messa
in scena di dieci anni fa.
Insieme agli attori, nel corso delle prove, ha cercato di enucleare le
numerose tematiche messe in campo da Le signorine di Wilko: la
guerra, lo sfumare delle aspettative e l’appassire delle ambizioni,
l’amore non corrisposto, i sogni e le proiezioni sulla realtà, la rivalità
femminile, gli equilibri sociali della vecchia Europa. Quale, tra tutte,
è quella che più le sta a cuore?
a cura di Margherita Mauro
ne perché trovo che siano un soggetto teatrale molto interessante. Per
me stata è una rivelazione, ad esempio, scoprire che le signore di una
certa età sono, di fatto, le stesse ragazze che erano in gioventù, semplicemente dentro un corpo che è invecchiato; io stesso sto invecchiando e, per esperienza, so che è solo la nostra carne, il nostro corpo a
deteriorarsi. Lo stesso vale anche per il racconto di Iwaszkiewicz.
Durante le prove, ha dichiarato che il testo non è rilevante e che lo
spettacolo si sarebbe potuto fare anche senza l’uso di parole. Tuttavia, minimi sono stati i tagli. Come mai ha deciso di mantenere
il testo? È perché considera d’esser riuscito a raggiungere il livello
poetico desiderato?
Cosa significa mettere in scena oggi una storia come quella del romanzo
di Iwaszkiewicz? È uno sguardo nostalgico su una società che non esiste
più, oppure cosa abbiamo oggi in comune con i personaggi di Wilko?
Mi auguro che nella traduzione italiana la poeticità sia stata preservata, perché è una parte costitutiva del testo: ha valore poetico, è
scritto come fosse una poesia. In molte tradizioni teatrali si esagera
nel dare troppo valore al testo. La parola è, invece, solo uno dei molti
elementi del linguaggio teatrale, né il più né il meno importante. Ma
nello spettacolo, il testo è stato mantenuto, per il fatto che ha – anzi,
parte di esso ha – valore poetico. In particolare i monologhi, sono
decisamente lirici. Sono convinto che, se l’autore non ha sotteso nulla
al testo, sia compito del regista pensarci, insieme agli attori. È così
che il gioco teatrale si fa più complesso. Vorrei che lo spettacolo non
fosse percepito tanto dal cervello quanto dai cinque sensi. Ecco non
dovrà suscitare empatia o agire a livello emozionale, ma solo a livello
sensoriale, come se si trattasse di ascoltare musica.
Tutto. Sono uno di quelli che non crede che l’umanità sia mutata nei
secoli, che l’uomo oggi sia molto diverso da come era in passato. Ci
sono molte persone che, pur vivendo al giorno d’oggi, scelgono di
mettersi in comunicazione solo con i libri scritti molto tempo fa: non
percepiscono la distinzione tra epoche. Il tempo agisce invecchiando il
corpo, non l’anima. In molti miei spettacoli racconto le persone anzia-
In questo spettacolo lei ricorre frequentemente ad un linguaggio di
tipo metaforico. Ma, d’altra parte, il teatro può anche tendere verso
la realtà, con il naturalismo, il realismo. Così, nello spettacolo ci sono
molte scene costruite su una logica realista, in cui si tenta di essere
meno astratti e più naturalistici. Attraverso quale percorso, è arrivato
a mettere in dialogo il realismo e la poesia?
Direi il tempo, il trascorrere del tempo. L’estate è al suo termine e
l’autunno è alle porte. Sì, ecco, i ricordi e tutto ciò che ha a che fare
con il tempo.
Le modalità con cui arrivo a inventare e costruire quelle mise en
scène con gli attori hanno origine nel gioco, ci comportiamo come
bambini che giocano. Giochiamo con gli oggetti di cui disponiamo
per creare delle immagini poetiche, il primo impulso deriva dall’istinto del gioco, non da un calcolo intellettuale.
I miei spettacoli sono molto differenti l’uno dall’altro, sia dal punto
di vista estetico, sia da quello stilistico, non seguo un unico metodo
per raggiungere i risultati. Arrivando a Modena, non avevo la più
pallida idea di cosa sarebbe successo sul palcoscenico. Avevamo i sette attori, sapevamo che in scena ci sarebbero state le teche, il fieno
e la marmellata, ma questo era quanto. Poi, il gioco è iniziato. Non
avevo progettato nulla e, per quanto ne so, neanche Alla Sigalova
aveva le idee chiare sulle coreografie: deriva tutto dall’improvvisazione e da intuizioni irrazionali avute nel corso del lavoro. Non mi
preparo mai per le prove: è una mia regola. E non ho note di regia,
non prendo appunti. Faccio sempre così perchè sono convinto che
arrivare alle prove con delle idee ed imporle agli attori blocchi la
possibilità di inventare qualcosa di meglio.
Qual è il suo rapporto con il passato, ovvero, in che modo guarda ai
padri del teatro di regia, come Stanislavskij, Brecht e Artaud?
Quando mi sono diplomato come attore al Conservatorio di Stato, la Lettonia faceva ancora parte dell’Unione Sovietica e tutte le scuole di teatro
ufficiali erano tenute ad istruire i giovani attori secondo il metodo Stanislavskij. Come è noto non ne esiste un’unica versione, ma io ritengo
d’essere stato fortunato perchè la mia insegnante s’era formata a Mosca
con Maria Knebel, per molti anni assistente di Stanislavskij. La Knebel era
una vera pedagoga, Stanislavskij forniva delle indicazioni strategiche, ma
era lei che lavorava effettivamente con gli attori. Questo è il patrimonio
che mi è stato tramandato, la mia educazione e, per esperienza, sono
portato a dire che è la migliore scuola possibile. In termini di formazione
accademica, la mia opinione è che la tradizione teatrale russa e, quindi,
Stanislavskij, siano, fuori competizione. Sono convinto che presto o tardi
i bravi attori arrivino a questo metodo, che vi facciano ricorso, magari inconsapevolmente, senza averne una comprensione approfondita: questa
è semplicemente la via più breve per raggiungere il risultato.
Lei ha dimostrato di tenere in grande considerazione il pubblico, che
ruolo giocano gli spettatori nei suoi spettacoli?
Dal momento che il teatro è scambio di energia, il pubblico ha un ruolo
molto importante. Il gioco teatrale si basa su una situazione folle per cui
molte persone comprano dei biglietti e si riuniscono in una sala buia a
guardare altre persone che, su un palcoscenico, fanno finta di essere chi
non sono. Il gioco sta nella comunicazione che si stabilisce tra questi due
gruppi di persone, tra quelli che, avendo comprato il biglietto, guardano e
quelli che si esibiscono. Come disse Mejerchol’d, di fatto il regista teatrale
non dovrebbe essere altro che lo spettatore ideale. In quanto regista, durante le prove, io rappresento il pubblico e, seguendo le mie intuizioni e la
mia esperienza, cerco di capire come il pubblico si aspetta che questo dialogo si instauri. È uno scambio intellettuale, energetico ed emozionale.
| A Conversation with Alvis Hermanis
On the first day of rehearsals you told the company that the aim of
this play is to convey the poetry of the work and that the adaptation
is designed to distill the poetry of the text. What drama criteria were
used to condense the novel into a theatrical production?
Yes, this is the point, distilling the poetry of the text. We have only
retained passages that foster the evocation of poetic images both on
stage and in the mind of the spectator. The version used is virtually
the same as that of the same production ten years ago.
During rehearsals you have, along with the actors, attempted to explain the many themes dealt with in The Young Ladies of Wilko: war,
vanished hopes and the fading of ambition, unrequieted love, dreams
and aspirations, female sibling rivalry and the social balance of old
Europe. Which of these is most important for you?
Time, I’d say, the passage of time. Summer is at an end and autumn
is just around the corner... yes, definitely, memories and their association with time.
What does dramatizing a story like that of Iwaszkiewicz’s novel entail? Is it a nostalgic look at a society which no longer exists, or do we
still today have something in common with the characters of Wilko?
Everything. I’m one of those who do not believe that humanity has
changed over the centuries or that man today is so very different to
the way he was in the past. There are many who, although they live in
the present, prefer to read books that were written long ago: they are
unable to distinguish eras. The effects of time age the body, not the
spirit. Many of my plays are about old people because I find them an
interesting subject for the theatre. For example, it was a revelation to
me to discover that ladies of a certain age are, to all effects and purposes, the same girls they were in their youth: they are simply inside
by Margherita Mauro
a body that has aged; I too am aging, and experience has taught me
that it is only our flesh, our body, that deteriorates. The same can be
said of Iwaszkiewicz’s novel.
During rehearsals you stated that the text is not important and that
it could be performed without words. All the same, cuts were kept
to a minimum. What made you decide to keep the text? And what
makes you think that you have succeeded in maintaining the desired level of poetry?
I hope that the poetry has been retained in the Italian translation
since it forms an intrinsic part of the text: it has poetic purport, and
has been written as though it were a poem. In many theatre traditions
giving too much importance to the text is taken to extremes. Words,
however, constitute only one of the many elements in the language of
theatre; they are neither more or less important. However, in the play
the text is retained, because it has, or rather part of it has – poetic
purport. The monologues, in particular, are decidedly lyrical. I am
convinced that if the author has not implied anything with the text,
then it is up to the director to do so, along with the actors. This is
where the theatrical game becomes more complex. I’d like the play to
be perceived not so much by the brain as by the senses. It should not
give rise to empathy or affect the emotions, just the senses, as happens when listening to music.
In this play you make extensive use of a metaphorical language. Yet,
on the other hand, the theatre can also extend realism to reality via
naturalism. Hence, in the play there are many scenes based on realist
logic, an attempt to be less abstract and more naturalistic. How did
you go about bringing together realism and poetry?
The ways in which I go about creating and constructing those scenes
with the actors lie in play. We behave like children playing. We play
with the objects we have to create poetic images; the first impulse stems
from the play instinct, not from an intellectual calculation.
My plays differ from one another, both aesthetically and stylistically. I
don’t just follow a single method to achieve results. When I came to
Modena I didn’t have a clue as to what would take place on the stage.
We had the seven actors, we knew that onstage there would be glass
cases, hay and jams, but that was all. Then it was playtime. I hadn’t
planned anything and, as far as I am aware, neither did Alla Sigalova
have any clear ideas about the stage directions: everything was based
on improvization and blind intuition during work sessions. I never prepare for rehearsals: it’s a rule of mine. Nor do I keep director’s notes or
make any. I always do things this way because I am convinced that coming to rehearsals with ideas and imposing them on the actors prevents
the possibility of coming up with something better.
What is your relationship with the past, or rather, how do you see the
fathers of stage direction such as Stanislavskij, Brecht and Artaud?
When I obtained my actor’s diploma from the State Conservatory Latvia
was still part of the Soviet Union and all the official stage schools had
to teach young actors according to the Stanislavskij method. Obviously,
we are all aware that there is no single version of this, but I feel that I
was fortunate because my teacher had trained in Moscow under Maria
Knebel, who for many years was Stanislavskij’s assistant. Knebel was a
teacher’s teacher. Stanislavskij gave strategic guidelines, but she was
the one who actually work with the actors themselves. This is the legacy
that was handed down to me. My education and experience leads me to
say that it’s the best possible school. In terms of academic training it is
my opinion that the Russian theatre tradition and hence, Stanislavskij,
are in a class of their own. I am convinced that sooner or later all good
actors come to adopt this method, that they turn to it, albeit unwittingly,
without a deep understanding of it: this is quite simply the quickest way
to achieving the result.
You have shown that you believe the audience to be of great importance. What role do spectators play in your plays?
Given that the theatre is a place where energy is exchanged, the
public plays a very important role. The theatrical game is based on a
crazy situation whereby people buy tickets and assemble in a darkened arena to watch other people who, up on a stage, pretend to be
others still that they are not. The game lies in the communication
between these two groups of people, those who, having purchased
the ticket, watch, and those who perform. As Mejerchol’d said, a
stage director should be nothing more than an ideal spectator. As a
director, during rehearsals I represent the audience and, following
my intuition and experience, I try to understand how the audience
expects this dialogue to be established. It is an intellectual, energetic
and emotional exchange.
| PROGETTO PROSPERO
Il progetto Prospero è una rete culturale europea che nasce nel 2007
e unisce realtà teatrali che desiderano sviluppare un dialogo interculturale favorendo la mobilità degli artisti e di coloro che nella cultura
operano, incoraggiando lo scambio e la diffusione delle produzioni.
Del progetto fanno parte Théâtre Nationale de Bretagne (Rennes/
Francia), Théâtre de la Place (Liegi/ Belgio), Emilia Romagna Teatro
Fondazione (Modena/Italia), Centro Cultural de Belém (Lisbona/Portogallo), Tutkivan Teatterityön Keskus (Tampere/ Finlandia), Schaubühne
(Berlino/Germania).
Gli obiettivi di Prospero, la cui progettualità quinquennale è iniziata nel
2008 e si concluderà nel 2012, sono stati approvati dalla Commissione Europea, e si declinano in quattro direzioni:
- favorire la circolazione delle opere e degli artisti
- stimolare e sostenere uno spazio e un’eredità culturale comune
- incentivare il dialogo interculturale e promuovere la diversità delle culture
- contribuire allo sviluppo di una cittadinanza europea.
Il progetto, pensato per favorire la creazione, la ricerca e la formazione in
ambito europeo si sviluppa operativamente in sette linee d’azione:
Creare nuove forme e nuovi contenuti – nella ricerca di linguaggi che
coniugano media e discipline, che partecipano alle aperture artistiche
e nutrono la creazione.
| PROSPERO PROJECT
Promuovere giovani registi – il sostegno e l’incoraggiamento della
creazione giovanile, nella piena attenzione all’innovazione creativa,
permette alle nuove generazioni registiche di confrontarsi con i maestri
della scena, di proporre il loro lavoro in un ambito di alta professionalità e di incontrare pubblici che siano i più ampi possibili.
Confrontare le tradizioni e le ricerche artistiche per sostenere la riflessione teorica – attraverso momenti di incontro e di approfondimento di
cui sono protagonisti, artisti, sociologi e filosofi, dei diversi paesi.
Sostenere la formazione degli attori – si tratta di far nascere una nuova
generazione di attori, attraverso gli scambi tra gli insegnanti e la promozione negli altri paesi di altre culture teatrali, di altre pedagogie.
Partecipare allo sviluppo linguistico – la programmazione degli spettacoli in versione originale sottotitolata permette di ritrovare la vivacità
e la musicalità delle lingue, di far capire che una lingua si comprende
anche attraverso la carica poetica che porta con sé.
Tenere in considerazione le differenze delle popolazioni dei diversi
Paesi – in questi tempi di intrecci e scambi fra le popolazioni, l’integrazione delle differenze è un arricchimento.
Partecipare alla costruzione artistica e culturale dell’Europa - rafforzare
l’adesione delle popolazioni alla costruzione europea, costituendo un
spazio poetico e allo stesso tempo suggerire altri legami, sensibili, fra
l’individuo e la società, fra il singolo e la collettività.
Prospero is the European cultural network established in 2007 with
the aim of uniting theatre companies wishing to develop an intercultural dialogue and thus foster the migration of stage and cultural
artists as well as the circulation and exchange of stage plays.
The project’s members include: Théâtre Nationale de Bretagne
(Rennes/France), Théâtre de la Place (Liège/Belgium), Emilia Romagna Teatro Fondazione (Modena/Italy), Centro Cultural de Belém
(Lisboa/Portugal), Tutkivan Teatterityön Keskus (Tampere/Finland),
Schaubühne (Berlin/Germany).
This five-year project, which began in 2008 and is to conclude in
2012, and is approved by the European Commission, has four main
objectives:
- to foster the circulation of plays and artists
- to encourage and support a common cultural space and heritage
- to foster intercultural dialogue and promote the diversity of cultures
- to contribute to the development of European citizenship.
The project, which is designed to foster creativity, study and training in Europe, is based on seven main courses of action:
Introducing new forms and content – through the study of languages that
combine different media and disciplines, contributing to the opening of artistic pathways and nurturing creativity.
Helping young directors – through supporting young creative talent
with particular emphasis on innovative creativity, allowing youngsters
to pit themselves against the masters of the theatrical stage, to show
their work in a highly professional setting and to be exposed to widely
different audiences.
Comparing artistic traditions and reasearch to support theoretical
reflection – through meetings and discussions among artists, sociologists and philosophers from different countries.
Helping to train actors – with a view to creating a new generation of actors through exchanges between teachers and promoting other theatre
cultures and teaching methods in other countries.
Playing an active role in linguistic development – planning subtitled
original language productions makes for the rediscovery of the verve
and musicality of the original, thus demonstrating that languages can
also be understood via their poetic content.
Taking the diversity of populations in each country into account – with
the current mingling and exchange of different peoples the integration
of differences constitutes a source of enrichment.
Participating in the artistic and cultural construction of Europe – this is
about reinforcing the involvement and support of peoples in the construction of Europe by creating a poetic space and at the same time proposing
other sensitive links between the individual and society as a whole.