Trasformazioni e continuitaÁ del mercato finanziario romano dallo Stato pontificio all'unificazione italiana: la Borsa di Roma (1849-1880) di Donatella Strangio 1. Introduzione Il presente lavoro, parte di uno piuÁ ampio, si svilupperaÁ attraverso l'individuazione dei caratteri salienti del mercato mobiliare romano caratterizzato sõÁ da logiche operative e schemi di controllo ma che, all'interno, aveva tratti evolutivi che solo sotto l'incalzare degli avvenimenti storico-politici non hanno avuto l'opportunitaÁ di trovare libera realizzazione. In particolare, la disciplina normativa degli elementi strutturali della Borsa di Roma metteraÁ in luce che il governo ecclesiastico, nel regolamentare l'attivitaÁ finanziaria tramite l'intervento giuridico, mirava probabilmente ad una crescita delle proprie disponibilitaÁ economiche e ad assicurare una minore vulnerabilitaÁ al sistema finanziario. Il trend dei titoli, rilevato dalla elaborazione di dati inediti, ha richiesto l'osservazione dei momenti congiunturali dei diversi rami operativi, unitamente all'andamento delle singole societaÁ quotate, ma anche dell'intervento governativo e politico-economico in generale, che ha scandito momenti di fratture e rafforzamento nella politica finanziaria dello Stato e che, come tale, ha inciso sull'andamento del settore specificamente regolato. 2. Il quadro economico e finanziario Il principale mercato finanziario del mondo intorno al 1840 era rappresentato dalla City di Londra seguito da quello di Parigi e dai centri minori di Amsterdam, Bruxelles, Francoforte e Ginevra. Tra il 1840 ed il 1875 si devono annoverare due grandi cambiamenti e cioeÁ il forte incremento nella concentrazione del capitale e la forte crescita dell'esportazione di capitale 1. Y. Cassis, Le capitali della finanza. Uomini e cittaÁ protagonisti della storia economica, Francesco Brioschi editore, Milano 2008, pp. 55-130. Per una visione generale dal punto di 1 147 La concentrazione di capitali portoÁ alla creazione delle prime grandi imprese dell'era industriale, in primo luogo le ferrovie e le banche in forma di societaÁ anonima. L'ultima parte del secolo vide l'apertura del mondo verso una globalizzazione caratterizzata dalla rivoluzione nei trasporti, dalle ondate migratorie e dalla libera circolazione dei capitali: accompagnava il tutto la nascita di grandi imperi coloniali. L'Italia, rispetto a Paesi come la Francia e la Gran Bretagna, non aveva ancora, alla fine del secolo, completato il suo processo di industrializzazione, riuscendo a recuperare gran parte del gap solo sotto la guida del governo liberale di Giolitti 2. Come scrive De Cecco 3: ``L'interventismo economico che la classe dirigente italiana (compresi quei suoi membri precedentemente distintisi per fervore liberista) mostroÁ nei primi due decenni dopo l'unitaÁ puoÁ essere anche spiegato con la necessitaÁ di agire rapidamente, se si voleva impedire che la sedizione delle province meridionali divenisse secessione, e tutto fosse perduto rapidamente come lo si era guadagnato.'' Inoltre, ``si doveva legare la moneta al regime di convertibilitaÁ internazionale, come precondizione per l'afflusso di prestiti stranieri'' 4. Le vicende bancarie degli anni Sessanta furono caratterizzate da una tendenziale instabilitaÁ del sistema, manifestatasi durante la crisi del 1866 (vedi infra) che mise in discussione il mercato italiano e i principali istituti mobiliari dell'epoca. Infatti, l'entrata in guerra al fianco della Prussia nel 1866 per avvicinare il confine delle Alpi orientali all'Italia ritenuto ormai naturale dal governo, ``seppellõÁ la convertibilitaÁ monetaria e quindi la possibilitaÁ di fruire di prestiti esteri. I governanti italiani non potevano sapere che i mercati finanziari internazionali erano destinati a chiudersi ai prestiti sovrani lo stesso anno, dopo la cosiddetta «crisi di Overend Gurney» scatenata dal fallimento della omonima societaÁ finanziaria londinese, per restare inattivi nei successivi quindici anni'' 5. Dalla metaÁ degli anni Settanta dell'Ottocento si innescoÁ una vera e propria spirale di investimenti finanziari che coinvolse principalmente le piazze centro vista finanziario ed economico si veda M. Obstefeld, A.M. Taylor, Global capital markets. Integration, Crisis, and Growth, Cambridge University Press, New York 2004. 2 L'etaÁ giolittiana (per la quale si intende il periodo storico che va dal 1901 al 1914 che prende il nome dai dicasteri di Giovanni Giolitti ) si inserisce alla fine del periodo della Sinistra storica ed ha una coda prima dell'instaurazione del regime fascista (dicasteri di Giolitti: maggio 1892-dicembre 1893; novembre 1903-marzo 1905; maggio 1906-dicembre 1909; marzo 1911marzo 1914; e giugno 1920-luglio 1921; si veda G. Carocci, Giolitti e l'etaÁ giolittiana, Einaudi, Torino 1961; F. De Felice, Panorami storici. L'etaÁ giolittiana, in ``Studi storici'', I, 1969; A. Berselli, L'Italia dall'etaÁ giolittiana all'avvento del fascismo, Roma 1970; E. Gentile, L'Italia giolittiana. 1899-1914, il Mulino, Bologna 1990). 3 M. De Cecco, A. Pedone, Le istituzioni dell'economia, in Storia dello stato italiano dall'UnitaÁ a oggi, a cura di Raffaele Romanelli, Donzelli editore, Roma 1995, p. 254. 4 Ibidem. 5 M. De Cecco, A. Pedone, Le istituzioni dell'economia, cit., p. 255; si veda anche D.S. Landes, Banchieri e pasciaÁ, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 225. 148 settentrionali della Penisola. Importante fu l'arrivo in Italia di nuovi capitali esteri, che proprio dal 1870 al 1873, conobbero un incremento e nello stesso tempo un mutamento nella loro composizione tradizionale, sollecitato anche dagli eventi internazionali legati alla guerra franco-prussiana e dall'afflusso in Germania delle indennitaÁ belliche francesi. Gli interventi del capitale straniero furono indirizzati in diversi settori, soprattutto quello ferroviario in prima battuta e le grandi compagnie mobiliari. Come ha evidenziato Fenoaltea la crescita e le fluttuazioni in Italia avevano uno stretto legame col ciclo degli investimenti esteri, per cui le oscillazioni nell'edilizia italiana e in altre attivitaÁ riflettevano variazioni nell'offerta mondiale di capitali 6: cioÁ si eÁ tradotto in un forte legame dell'attivitaÁ economica domestica con i flussi internazionali di capitali. In un suo precedente lavoro egli attribuõÁ gli investimenti industriali alle oscillazioni nella politica di governo, molto attiva soprattutto nell'arco temporale 1876-1887 e 1896-1914 mentre l'ostilitaÁ e l'indifferenza dell'azione di governo tra 1861-1876 e 1887-1896 li avrebbe disincentivati 7. Temi ripresi e approfonditi con nuovi dati statistici in un suo recente lavoro dove ribadisce che la produzione complessiva cresceva, senza particolari discontinuitaÁ, ma con ampi movimenti ciclici le cui fasi alterne dipendevano, appunto, dai mercati finanziari internazionali; per cui l'economia italiana prosperava quando i capitali del centro nordeuropeo si riversavano nei paesi periferici e ristagnava o retrocedeva quando questi se ne ritiravano 8. A questo proposito giaÁ Luzzatto aveva individuato, nel miglioramento della bilancia commerciale, nel completamento di una prima parte della rete ferroviaria principale, nell'apertura del canale di Suez e del traforo del Frejus, i fattori della ripresa del periodo 1868-1873; 9 cosõÁ Polsi, nella sua analisi del ciclo bancario dei primi anni Settanta dell'Ottocento scriveva come fosse ``impossibile dare una spiegazione unitaria del fenomeno per la complessitaÁ ed eterogeneitaÁ delle spinte che si intrecciano nel movimento vorticoso di quegli anni, neÁ le poche evidenze macroeconomiche (...) possono esaurirne la complessitaÁ. Concordi sono i contemporanei nel rintracciare le origini dell'espansione bancaria nello stato di grazia attraversato dal commercio nazionale per quasi due anni, affrancato grazie alle vicende belliche, dalla soverchiante concorrenza francese, e favorito da un periodo di buoni raccolti agricoli e produzione di seta abbondante'' 10. L'apporto del capitale straniero nelle banche e nelle societaÁ immobiliari nel corso dell'Ottocento ha interessato diversi lavori: ad esempio Bocci, in un suo 6 S. Fenoaltea, International Resource Flows and Construction Movements in the Atlantic Economy: The Kuznets Cycle in Italy, in «Journal of Economic History», 48, 1988, pp. 605-637. 7 S. Fenoaltea, Riflessioni sull'esperienza industriale italiana dal Risorgimento alla prima Guerra Mondiale, in G. Toniolo (a cura di), Lo sviluppo economico italiano 1861-1940, Laterza, Bari 1973, pp. 121-156. 8 S. Fenoaltea, L'economia italiana dall'UnitaÁ alla Grande guerra, Laterza, Roma-Bari 2006. 9 G. Luzzatto, L'economia italiana dal 1861 al 1894, Einaudi, Torino 1968, p. 73. 10 A.Polsi, Alle origini del capitalismo italiano. Stato, banche e banchieri dopo l'UnitaÁ, Einaudi, Torino 1993, p. 96. 149 recente saggio, valuta, attraverso alcune stime, il contributo complessivo dei finanzieri esteri negli istituti legati agli investimenti immobiliari nel primo ventennio post unitario a circa 50 milioni di lire, cioeÁ il 20% del totale degli investimenti in questo settore. Il contributo piuÁ significativo eÁ stato dato dagli investitori francesi nel periodo 1861-1881 (concentrato in 14 delle 45 societaÁ immobiliari maggiori) 11. In Italia le borse di commercio nacquero e si svilupparono nell'arco del 1800 in maniera differente tra i diversi Stati. PiuÁ propriamente la Borsa di Roma (oggetto di questo. studio), venne istituita il 24 dicembre 1802, contemporaneamente alla Camera di Commercio di Roma. Il primo regolamento di commercio all'interno dello Stato pontificio risale al 1 giugno 1821, mediante il quale venne regolata l'attivitaÁ svolta dai vari agenti di cambio. In seguito, poiche i traffici commerciali tra lo Stato pontificio e l'estero cominciarono ad intensificarsi, si avvertõÁ l'esigenza di una disciplina relativa alla borsa di commercio piuÁ dettagliata rispetto al regolamento precedente. Il 30 agosto 1836 fu cosõÁ emanata una Notificazione del Cardinal Carmelengo Galleffi su le ``Borse Commerciali, agenti di cambio e sensali'', autorizzata da papa Gregorio XVI 12. L'attivitaÁ borsistica era legata agli avvenimenti non solo dello Stato della Chiesa ma dell'Italia a cui la regione si stava aprendo 13. Come scriveva Caracciolo: ``Il quadro politico italiano in quegli anni si andava chiarendo abbastanza nettamente secondo un antagonismo che vedeva il Regno sardo unico superstite costituzionale, parlamentare e liberale, in mezzo a una penisola egemonizzata dall'impero d'Austria. Lo Stato pontificio si inseriva in questa costellazione di satelliti di Vienna senza prove di particolare originalitaÁ politica. Forniva anzi piuÁ degli altri una immagine di anacronismo e di sostanziale debolezza, anche per il sospetto sempre piuÁ diffuso fin nelle cancellerie di una organica impossibilitaÁ di sopravvivenza, ormai, di un regime cosõÁ strettamente teocratico nell'Europa del secondo Ottocento. E al timone della segreteria di stato restava, via via piuÁ esperto e potente, il Cardinale Antonelli, agendo talmente all'unisono con il papa da deludere i pochi che ancora speravano in una reviviscenza, prima o poi, del volto liberale di Pio IX'' 14. 11 M. Bocci, Costruttori di cittaÁ: le societaÁ per azioni immobiliari nell'Italia postunitaria (18611894, in «Studi Storici Luigi Simeoni», vol. 48, Verona 1998, pp. 169-197. 12 Archivio di Stato di Roma (da adesso in poi ASR), Camera di Commercio, b. 22. Sulle origini della borsa si veda D. Strangio, Debito pubblico e mercato finanziario a Roma e nello Stato pontificio tra XVIII e inizio XIX secolo: l'istituzione della Borsa di Roma in Debito pubblico e mercati finanziari in Italia. Secoli XIII-XX, a cura di G. De Luca, A. Moioli, FrancoAngeli, Milano 2007, pp. 251-270. 13 F. Bartoccini, D. Strangio (a cura di), Lo stato del Lazio 1860-1870, Istituto Nazionale di Studi Romani, Roma 1997. 14 M. Caravale, A. Caracciolo, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, in Storia d'Italia (diretta da G. Galasso), XIV, Utet, Torino 1991, p. 673. Sulla politica liberale e i suoi riflessi in Italia si veda G. Toniolo, Storia economica dell'Italia liberale 1850-1918, il Mulino, Bologna 1988. 150 Una certa parte della storiografia, ancora, si sofferma sul persistente ritardo civile e ``sull'insostenibile reazionarietaÁ dell'agire politico'' evidenti proprio lungo gli anni Cinquanta dell'Ottocento. Ma in questo quadro, con problemi urgenti da risolvere, come quelli finanziari e la ricostituzione dell'apparato amministrativo, si colgono singole iniziative e innovazioni valide che certamente non ne cancellavano il ritardo ma neanche dovevano essere giudicate come inutili e non del tutto positive. ``Proprio tra il 1850 ed il 1860 in frontale contrapposizione con i sempre numerosi accusatori del malgoverno e dell'arcaicitaÁ del sistema imperante'' non mancarono alcuni pubblicisti disposti a magnificare le introdotte riforme e il valido sistema amministrativo facente capo a Roma 15. Il settore agricolo continuava ad essere caratterizzato da una politica del premio, del regolamento e del divieto 16. Elementi congiunturali esterni funsero da stimolanti anche positivi per l'area agricola romana; inoltre, fenomeni fortemente speculativi agirono su questo settore grazie anche all'operato di un nuovo ed influente ceto sociale, i mercanti di campagna 17. Come scrive Caracciolo: ``Il settore ferroviario per quanto rimasto fino alla perdita di gran parte delle province a vantaggio del Regno Sabaudo, embrionale nelle concrete realizzazioni, va ricordato come uno di quelli che, a fianco dell'altro relativo alle opere edilizie ed urbanistiche, maggiormente incrementoÁ nel Paese un interesse finanziario e affaristico finora sconosciuto, che poneva a stretto contatto ricchezze e poteri pubblici dello Stato e capitali e gruppi di comando della piuÁ avanzata Europa. Quanto al capitale azionario e dirigenziale delle singole societaÁ finanziarie sappiamo che in prima fila per la linea verso Napoli eÁ il principe Pietro M. Caravale, A. Caracciolo, op. cit., p. 684. Ivi, p. 690. 17 Sulle diverse valenze conferite all'attivitaÁ dei mercanti di campagna nella pubblicistica anche contemporanea, E. Piscitelli, Una famiglia di mercanti di campagna. I Merolli. Cenni genealogici, in ``Archivio della societaÁ romana di storia patria'', LXXXI (1958), pp. 119-173; Id., Un ceto scomparso nello Stato della Chiesa. I mercanti di campagna, in ``Studi romani'', XVI/4 (1968), pp. 446457. C. comte De Tournon, Etudes statistiques sur Rome et la partie occidentale des eÁtats romaines, Trettel et WuÈrts, Paris 1855, pp. 309-324 ; W. Sombart, La campagna romana. Studio economicosociale, Loescher, Torino 1891, pp. 82-129, in particolare pp. 83, 85 e 87; A.M. Girelli, Per la storia del mercante di campagna. AttivitaÁ agricola e formazione di patrimoni privati nella Roma del primo Ottocento, in Saggi di storia economica in onore di Amelio Tagliaferro, a cura di T. Fanfani, s.e. Pisa, 1998, pp. 211-250; Ead., Alla ricerca del mercante di campagna. Una figura del lavoro romano nel primo Ottocento, in Corporazioni e gruppi professionali nell'Italia moderna, a cura di A. Guenzi, P. Massa, A. Moioli, FrancoAngeli, Milano 1999, pp. 504-532; A.M. Girelli, Terra e affari a Roma nell'Ottocento pontificio. Mercanti di Campagna e mercato dei capitali privati (1817-23), in Studi in onore di Ciro Manca, a cura di D. Strangio, Cedam, Padova 2000, pp. 165-249; R. Sansa, Un imprenditore anomalo? Achille Gori Mazzoleni da mercante di campagna a possidente innovatore (sec. XIX), in ImprenditorialitaÁ e sviluppo economico. Il caso italiano (secc. XIII-XX), SocietaÁ italiana degli storici dell'economici, UniversitaÁ Bocconi, 14-15 novembre 2008, a cura di F. Amatori, A. Colli, Egea, Milano 2009, pp. 1008-1024; M. Sanfilippo, L'Agro Romano tra Ottocento e Duemila, in Il riscatto dell'Agro. L'agricoltura a difesa del paesaggio, a cura di Vittorio Emiliani, Minerva editore, Bologna 2009, pp. 73-85, in particolare pp. 74-80. 15 16 151 Odescalchi, dietro cui si affaccia peroÁ come subentrante l'ingegnere francese Joseph Ducros, per la ``Centrale italiana'', il marchese Raffaele De Ferrari di Galliera, con garanzia dei governi di Vienna, Firenze, Modena, Parma e Roma, e per quelle di Civitavecchia e di Ancona il marchese di CasavaldeÁs, che peroÁ nel 1856 faraÁ posto alla creazione di una piuÁ tardi famosa ``SocietaÁ Generale delle strade ferrate romane'' o anche ``Pio Centrale'' con sede a Parigi erede nel 1859 anche della piuÁ meridionale ``Pio Latina'' 18. Si assiste ad un graduale dissolversi degli equilibri sociali interni nella ``Roma dei Romani'' 19 e ad un apparente isolamento dell'Urbe rispetto al mondo esterno 20. Per tutto lo Stato si assiste ad uno spostamento di applicazioni delle classi ricche dalla pura rendita fondiaria agli affari, cosõÁ come ad una maggiore accettazione sostanziale di proposte culturali laiche e forestiere, al di laÁ delle persistenti condanne ecclesiastiche o superbie municipali 21. Infatti, le fortune dei nuovi ricchi si erano costruite proprio sulla decadenza di redditieri, sull'indebitamento di possessori di beni immobili. La esiguitaÁ della rendita realizzabile sui fondi nei confronti del costo di una vita di prestigio, e soprattutto delle attraenti prospettive offerte da investimenti bancari, azionari, obbligazionari si faceva sempre piuÁ evidente via via che giravano per lo Stato affaristi francesi, inglesi, belgi, israeliti, a mettere le basi per istituti di credito e compagnie di affari. Si formarono cosõÁ nuovi canali di reddito a carattere finanziario, e con essi anche una nuova mentalitaÁ e ulteriori legami internazionali, sia nelle Legazioni, attraverso il recente tramite bancario, sia nella capitale, dove governo e Banca Romana erano efficaci centrali di intraprese speculative. 3. La Borsa di Roma e le quotazioni dei titoli tra il 1849 ed 1860 EÁ all'interno di questo sintetico quadro economico finanziario che viene inserita l'analisi della borsa romana i cui risultati, relativi all'arco temporale 18491860, hanno evidenziato movimenti finanziari in direzioni meno tradizionali per lo Stato, uniformandosi a quello che stava avvenendo nel resto della Penisola. EÁ possibile supporre che l'origine di tali iniziative sia da ricercarsi nelle intenzioni prevalentemente speculative dei capitali 22. In particolare per gli anni Cinquanta M. Caravale, A. Caracciolo, op. cit., p. 695. F. Bartoccini, La Roma dei Romani, Ist. Per la storia del risorgimento italiano, Roma 1971; Ead., Roma nell'Ottocento. Il tramonto della ``cittaÁ santa''. Nascita di una capitale, Cappelli, Bologna 1985. 20 M. Caravale, A. Caracciolo, op. cit., p. 698. 21 F. Bartoccini, L'aristocrazia romana nel tramonto del potere temporale, in ``Dimensione e problemi della ricerca storica'', 2, 1993, pp. 240-255. 22 D. Felisini, Il denaro di S. Pietro. Finanza pubblica e finanza privata nel tramonto dello Stato pontificio, in Lo Stato pontificio dal 1860 al 1870, cit., pp. 189-229. 18 19 152 dell'Ottocento, la speculazione eÁ confermata da una accelerazione nella costituzione di societaÁ azionarie, nella forma di societaÁ anonime (cioeÁ il moderno supporto alle imprese capitalistiche) quasi sempre dedicata, laddove nasceva, alla ferrovia o ai servizi 23 e dal crescente desiderio di investimenti da parte di capitale francese, inglese e anche belga, svizzero e tedesco realizzato attraverso l'emissione di titoli particolarmente redditizi, dotati di interessi elevati e di solide garanzie da parte non solo degli organi di governo ma anche di privati 24. Quindi, eÁ emerso un quadro vivace, certamente ancora immaturo ma ricco di presupposti positivi. Tra i titoli eÁ stata riscontrata la stabilitaÁ della rendita pubblica, frutto evidente di un continuo interesse speculativo, retaggio, forse delle passate glorie del vecchio sistema dei monti e della fiducia degli investitori nel governo 25. Per quelli privati le azioni delle strade ferrate erano le preferite. Probabilmente con una maggiore informazione diretta (eÁ con gli anni Sessanta che si avraÁ lo sviluppo della rete telegrafica, anche se eÁ tutta da dimostrare la teoria dell'apporto dell'informazione e del progresso tecnologico per il settore oggetto di questo studio) si sarebbe potuto rafforzare il circuito stato-mercanti-banchieriintermediari istituzionali e magari trovare un maggiore equilibrio tra le esigenze dei private market e la necessitaÁ di regolare e istituire il settore dei piccoli investitori. Nei listini della Borsa di Roma dal 1837 compare la ``Privilegiata SocietaÁ Pontificia di Assicurazioni'', la piuÁ antica societaÁ quotata nel listino tra tutte quelle che negli anni successivi si istituirono 26. La breve durata della Repubblica Romana del 1849 aggravoÁ non solo i problemi dell'erario statale (ove la spesa relativa al debito pubblico crebbe vertiginosamente) ma fece da freno all'economia dello Stato papale che riprese i suoi ritmi con il ritorno del pontefice a Roma 27. G. Fumi, L'integrazione economica e i suoi limiti nei decenni dell'unificazione politica (1848-1878), in AA. VV, L'Ottocento economico italiano, a cura di S. Zaninelli, Monduzzi editore, Bologna 1993, p. 290. 24 Ivi, p. 291. 25 Si veda D. Strangio, Il debito pubblico pontificio. Cambiamento e continuitaÁ nella finanza pontificia dal periodo francese alla restaurazione romana 1798-1820, Cedam, Padova 2001, in particolare pp. 30-39. Vedi infra paragr. 4. 26 Fondata da papa Gregorio XVI, col sovrano rescritto del 28 ottobre 1837, confermato dall'editto del 28 maggio 1838; lo statuto fu riformato nel 1852 e confermato il 15 giugno 1853 da papa Pio IX col Regolamento della Privilegiata SocietaÁ pontificia di assicurazioni (ASR, Camera di Commercio, b. 29). Il termine di ``privilegiata'' le fu attribuito perche la sua attivitaÁ fu accordata da Gregorio XVI. L'operativitaÁ, dopo la stipula dell'atto pubblico della societaÁ davanti al notaio Giacomo Frantocchi il 16 dicembre 1837, duroÁ venticinque anni ed aveva come oggetto quello di assicurare la vita degli uomini, le pensioni vitalizie, le rendite nonche gli edifici, i mobili, le masserizie, il bestiame da qualunque incendio (eccetto quelli provocati da guerre, invasioni, terremoti e da vulcani). 27 Su queste vicende storiche vedi tra gli altri M. Caravale, A. Caracciolo, op. cit., pp. 659698; M. Caffiero (a cura di), ``Roma Repubblicana 1798-99, 1849'', numero monografico di Roma moderna e contemporanea a. IX, 1-3, 2001, in particolare pp. 217-314. 23 153 Nel corso degli anni Cinquanta sul listino della Borsa di Roma aumentoÁ il numero dei titoli delle imprese azionarie e la situazione per settori era quella riportata nella tabella 1. Di questi settori quello delle ferrovie pontificie continuoÁ a svilupparsi negli anni successivi e che dette maggiori impulsi al commercio. Tab 1 - Le societaÁ commerciali dal 1837 al 1860 Settori Settore delle Ferrovie Settore dei Servizi Settore Estrattivo Settore Assicurativo Settore del credito SocietaÁ appartenenti Soc. Pio-Centrale e Pio-Latina Soc. Anglo-Romana per l'illuminazione a gas e Soc. Pio Ostiense per la bonifica Soc. Romana delle miniere di ferro Soc. Pontificia di assicurazioni, Soc. Romana di assicurazioni e Compagnia comm.le Romana assicurazioni maritt. e fluviali Banca dello Stato pontificio Fonte: A.S.R., Camera di Commercio, b.29, Le societaÁ commerciali; Il ``Giornale di Roma'' aa.1849-1860. Il grafico 1 evidenzia l'andamento annuale di tutte le societaÁ che avevano le azioni quotate sul listino di borsa dal 1849 al 1860. Il grafico non comprende (per semplicitaÁ schematica) i titoli del debito pubblico pontificio, ossia il Consolidato romano al 5%, e i Certificati del tesoro, che meritano una trattazione a parte 28. Dal grafico si puoÁ notare come per il settore assicurativo la SocietaÁ privilegiata pontificia di assicurazioni era quella che aveva un andamento migliore rispetto a quelle degli altri settori. Questo trend favorevole duroÁ soltanto sino al 1853 (anno in cui cominciarono a quotarsi le altre societaÁ del settore): infatti, l'anno successivo la societaÁ comincioÁ il suo declino. Il 1854 fu l'anno in cui fu approvato da Pio IX il Regolamento speciale per la Borsa di Roma, nel quale si definõÁ meglio lo svolgimento delle operazioni in borsa: infatti, con le norme del 4 gennaio 1854 la borsa romana acquisõÁ una regolamentazione piuÁ definita ed articolata e, almeno dal punto di vista teorico l'ingresso in borsa veniva riconosciuto a chiunque avesse avuto denaro da investire anche tramite l'opera di un intermediario. 29 28 romano. Si veda il paragr. 4 per quanto attiene la natura del valore 5% e l'origine del consolidato A.S.R. Camera di Commercio b.14, ``Regolamento per la Borsa di Roma approvato dalla SantitaÁ di Nostro Signore Papa Pio IX, li 4 gennaio 1854''. Il regolamento introdusse, per la prima volta, il termine di ``azioni'': ``Le negoziazioni, sia in Borsa che fuori, delle rendite consolidate, e delle azioni industriali, sono regolate nello stesso modo che i cambii''. Sul confronto e le novitaÁ del Regolamento rispetto ai precedenti si veda D. Strangio, ``Facilitare al governo il mezzo di conoscere e di soddisfare i veri bisogni del commercio e delle arti''. La disciplina della Borsa di Roma nella 29 154 Si puoÁ notare, attraverso i regolamenti citati, che la presenza di soggetti intermediari era fondamentale, poiche rendeva il mercato borsistico un mercato aperto agli scambi con l'estero e soprattutto concorrenziale 30. Grafico 1 - Elaborazione dati (medie mensili) delle societaÁ quotate (1849-1860) Fonte: elaborazione dati ``Monitore romano'', dal 1 gennaio 1849 al 6 luglio 1849 e ``Giornale di Roma'' dal 7 luglio 1849 al 31 dicembre 1860. La Borsa di Roma, quindi, nel periodo 1849-1860, inizioÁ il suo decollo che raggiunse poi risultati ancor piuÁ positivi dall'UnitaÁ d'Italia, dove il settore ferroviario si espanse notevolmente. prima meta del XIX secolo, in Studi Storici Luigi Simeoni, LVI, 2006, pp. 387-402, in particolare pp. 398-401. 30 Il commercio marittimo dello Stato papale evidenzia i rapporti tenuti con i diversi Paesi: importazioni ed esportazioni vedevano lo Stato rivolgere le prime verso, soprattutto, Germania, Regno di Napoli, Trieste, Veneto, e le seconde verso Spagna, Inghilterra, Svizzera. 155 4. La Borsa di Roma e il decennio dello ``Stato del Lazio'' Dal punto di vista militare, il decennio 1860-1870 si concluse con la liberazione di Roma e del Lazio, dopo che il rimanente degli ex-Stati pontifici era giaÁ stato annesso nel biennio 1859-1860. L'avvenimento era stato preceduto da un primo tentativo garibaldino nel 1862 interrotto, ad Aspromonte, dalle truppe militari italiane; da alcuni sforzi di soluzione pacifica, di cui l'unico che conquistoÁ qualche risultato fu la Convenzione di settembre con la Francia nel 1864 e, infine, da un nuovo tentativo garibaldino stroncato a Mentana nel 1867 dall'esercito francese prontamente rientrato per l'occasione. Successivamente la guerra franco-prussiana, la disfatta di Napoleone III e il conseguente crollo del Secondo Impero con la proclamazione della Repubblica francese aprirono la via per Roma al governo di Firenze. Il 20 settembre del 1870 dopo una breve resistenza puramente formale, Roma fu occupata dalle truppe italiane, lasciando sotto l'autoritaÁ del papa la sola cittaÁ del Vaticano. Viene da chiedersi in quale momento storico siano state messe le radici di questa ``debacle'' che terminoÁ a Porta Pia; probabilmente la risposta eÁ sul finire degli anni Quaranta. Come altrimenti si spiega che dopo il violento scossone della Repubblica Romana nulla (o quasi) venne messo in atto per ``restaurare'' la vita e le istituzioni dello Stato cosõÁ profondamente scosse? Certo non al fine di adeguarsi a quanto avveniva nel Piemonte liberale, bensõÁ a quanto la restaurazione piuÁ conservatrice faceva in Europa o nei vicini Stati italiani, dal Lombardo-Veneto austriaco, alla Toscana e perfino al Regno di Napoli. Nessun progetto politico fu attuato in questo senso, ne dal pontefice ne dal suo segretario di stato piuÁ propenso a forme di amministrazione piuÁ aperte. EÁ probabilmente in questo periodo che Pio IX scelse di non perseguire una accanita difesa del proprio Stato; in questo modo cercava di riconquistare una dimensione internazionale, o meglio sovranazionale che era propria della concezione cattolica medievale. Lo disse chiaramente Pio IX nella famosa Allocuzione del 29 aprile 1848: ``Secondo l'ufficio del supremo nostro apostolato proseguiamo ed abbracciamo tutte le genti, popoli e nazioni con pari studio di paternale amore'' 31. EÁ su queste basi storiche che s'intessono e s'inseriscono le vicende economiche e finanziarie. La perdita delle regioni pontificie piuÁ produttive fu un colpo durissimo che l'economia dell'unica regione rimasta, il Lazio, non seppe sopportare 32. La disfatta economica, come sottolineato, fu dovuta ad un complesso di cause, entrate ormai in un circolo vizioso. Certamente un elemento centrale era costituito dalla 31 L.C. Farini, Lo Stato romano dall'anno 1815 al 1850, a cura di Antonio Patuelli, Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per l'informazione e l'editoria, Istituto Poligrafico e zecca dello Stato (1992), Libro III dove il testo dell'Allocuzione eÁ alle pp. 267-270 e i commenti alle pagine successive. 32 F. Salvatori, M. Ricci, C. Cerreti, M. Simoncelli. Lo Stato pontificio 1860-1870: tra implosione territoriale e integrazione spaziale, in Lo Stato del Lazio, cit., pp. 65-112; D. Strangio, L'economia dello Stato pontificio tra il 1860-1870, in Lo Stato del Lazio, cit., pp. 147-188. 156 difficoltaÁ nella raccolta dei capitali, con la conseguente insufficienza di nuove iniziative imprenditoriali, al di laÁ dell'investimento fondiario. Oltre a cioÁ bisogna considerare un altro aspetto che probabilmente fu determinante del crollo del potere temporale, cioeÁ l'incapacitaÁ delle autoritaÁ pontificie di interpretare le istanze piuÁ vive della borghesia capitalistica italiana. IncapacitaÁ correlata con l'essenza stessa di quel potere, per sua natura antiliberale e non rappresentativo, con la sua impossibilitaÁ a garantire alla borghesia un coerente e non contraddittorio indirizzo di politica economica, data l'assenza di una tradizione, l'insufficienza di continuitaÁ nella gestione dello Stato, l'arbitrio discrezionale attribuito ad ogni nuovo papa riguardo agli atti del suo predecessore 33. La difficoltaÁ di percorrere, senza fondamentali rivoluzioni strutturali, la strada della complementarietaÁ con l'economia italiana, sfocioÁ nella crisi finanziaria del 1866, quando il debito pubblico arrivoÁ a sfiorare i 20 milioni di scudi e la moneta pontificia comincioÁ a perdere vistosamente di valore, e ad essere rifiutata sul mercato internazionale dei cambi 34. CioÁ nonostante, eÁ possibile cogliere qualche elemento di novitaÁ e di trasformazione nell'ultimo decennio di vita dello Stato pontificio. In parte esso si fondava su premesse precedenti, cioeÁ su interventi finanziari che, sostenuti da capitale straniero, francese e inglese in genere, avevano trovato la via del buon investimento. In parte esso poggiava invece su nuovi stimoli, sulle nuove partecipazioni di origine italiana: la speculazione capitalistica premeva alle porte di Roma, la cittaÁ senza industrie e dai tanti bisogni 35. In queste difficili e travagliate vicende economiche bisogna considerare che il ruolo della borsa romana, e in genere di quelle italiane di quel periodo, era ancora piuttosto marginale all'interno del piuÁ ampio sistema finanziario nazionale 36. CioÁ 33 M. Castracane Mombelli, Governo, legislazione, amministrazione centrale e locale dello Stato romano tra il 1860 ed il 1870, in Lo Stato del Lazio, cit., pp. 9-64, pp. 60-62. 34 A. Caracciolo, M. Caravale, op. cit., p. 723; M. Caffiero, Tradizione o innovazione? Ideologie e comportamenti della nobiltaÁ romana in tempo di crisi, in Signori, patrizi, cavalieri in Italia centro-meridionale nell'EtaÁ moderna, a cura di M.A. Visceglia, Laterza, Roma-Bari 1992; D. Felisini, Il denaro di S. Pietro, cit., pp. 206-216. 35 D. Felisini, Il denaro di S. Pietro, cit., pp. 206-216. 36 Sull'importanza e l'evoluzione della Borsa di Genova si veda M. Da Pozzo, G. Felloni, La borsa valori di Genova nel secolo XIX, in Archivio Economico dell'Unificazione Italiana, serie II, vol. X, Genova 1964; per la Borsa di Milano (15 febbraio 1808), sulla profili storici e i titoli azionari quotati vedi: G. De Luca, a cura di, Le societaÁ quotate alla borsa valori di Milano dal 1861 al 2000. Profili storici e titoli azionari, Milano, Libri Scheiwiller, 2002; S. Baia Curioni, Regolazione e competizione. Storia del mercato azionario in Italia (1808 ± 1938), Il Mulino, Bologna 1995; Id., Modernizzazione e mercato. La Borsa di Milano nella ``nuova economia'' dell'etaÁ giolittiana (1888-1914), Egea, Milano 2000; Id., ``Sull'evoluzione istituzionale della Borsa Valori di Milano (1898-1914)'', Rivista di Storia economica, n.s. n. 8 (1991) E. Boccia, La Borsa di Milano tra miracolo e crisi, 1958-1978, Prismi, Napoli 2000; P. Cafaro, La Borsa di Milano: origini vicende e sviluppi, in La Borsa di Milano. Dalle origini a Palazzo Mezzanotte, Federico Motta editore, Milano 1993, pp. 107-134; G. Pivato, C. Scognamiglio, Scorcio storico della Borsa Valori di Milano (1808-1970), in La Borsa Valori dal 1808 ad oggi, Camera di Commercio di Milano, Milano 1972. Sulla Borsa di Napoli si veda L. De Rosa, ``Le 157 era dovuto, principalmente, alla scarsa presenza di grandi industrie capaci di gestire efficacemente ed efficientemente la quotazione borsistica. Il tessuto economico italiano era ancora, infatti, costituito da piccole strutture e l'industrializzazione moderna, ancora alle prime fasi, avraÁ il suo grande sviluppo nei decenni successivi. In quegli anni quindi, il mercato finanziario era egemonizzato dai titoli del debito pubblico: a Roma il Consolidato romano e i certificati del Tesoro 37 (vedi infra). All'inizio del presente lavoro ci si era chiesto se e come l'intera attivitaÁ borsistica potesse essere influenzata dalle vicende non solo economiche e finanziarie dello Stato pontificio: la risposta eÁ evidentemente affermativa. La congiuntura estremamente negativa sotto il punto di vista politico, civile, istituzionale, economico e finanziario si ripercosse in maniera distruttiva sulla Borsa di Roma. Sono proprio questi due elementi: instabilitaÁ e incertezza che bloccano e bloccarono l'investitore. Come sperare, quindi, di trovare possessori di capitali disposti all'acquisto di pacchetti azionari di societaÁ che, con l'annunciata fine dello Stato pontificio alle porte, chissaÁ quale futuro gli si sarebbe prospettato nel nuovo contesto italiano. A tutto cioÁ bisogna anche aggiungere la scarsa attitudine al rischio dei pochi capitalisti romani. Spesso i maggiori affari, nel decennio considerato, furono realizzati da investitori stranieri che riuscirono a trovare nell'ambiente romano proficue speculazioni. Valga uno per tutti l'esempio del belga De Merode che seppe favorire quella ventata di idee imprenditoriali ed affaristiche, quell'ingresso di forze economiche e finanziarie, che cominciarono a mutare qualche tratto del volto economico e urbano dell'ultima Roma pontificia 38. In generale, nella borsa ottocentesca si evidenzia una peculiaritaÁ: la formale origini della Borsa di Napoli'', Orizzonti economici, n. 43, nov-dic. 1962, Pozzuoli, pp. 1-6; M.C. Schisani, La Borsa di Napoli (1778-1860). Istituzione, Regolazione e attivitaÁ, Napoli, ESI, 2001; F. Balletta, Borsa di Napoli: protagonisti, etica, finanza e politica economica (1946-1953), Napoli, Arte Tipografica Editrice, 2007. La Borsa di Palermo fu istituita con la legge del 6 luglio 1862 n. 680 ma ha cominciato a funzionare regolarmente nel 1952. La Borsa valori di Venezia eÁ stata praticamente riordinata nel 1875 e chiusa per parecchi anni prima e dopo il primo conflitto mondiale; fu riaperta nel 1927. La Borsa di Trieste fu istituita durante il dominio austriaco nel 1775, funzionando come borsa promiscua, fincheÂ, con l'annessione di Trieste all'Italia, fu scissa in Borsa Valori e Merci e sottoposta nel 1926 alla legge ed alla normativa emanata nel 1913. La Borsa di Firenze fu istituita originariamente con un decreto del 23 dicembre 1808 fu oggetto di un decreto del governo granducale del 1859. Sull'onda del ciclo internazionale, trainato dalla favorevole dinamica monetaria, le piazze della Penisola risultarono particolarmente attive dando vita anche a nuove borse ufficiali come quella di Cuneo (1871), Chieti (1872), Messina (1873). La Borsa di Bologna fu istituita nel 1861, anche se sospese la sua attivitaÁ nel 1909 per riprenderla il 1 settembre 1926. 37 A. Aleotti, Borsa e industria. 1861-1989: cento anni di rapporti difficili, Edizioni di ComunitaÁ, Milano 1990, p. Nello stesso periodo a Parigi erano ben 400 le societaÁ quotate e la piazza genovese trattava comunque la maggior parte dei volumi delle maggiori banche italiane. 38 Monsignor De MeÂrode FreÂderich Xavier Ghislian (Saverio)dopo essere stato dispensato dall'incarico di pro-ministro delle armi (seguita alla sconfitta di Castelfidardo nel 1860) inizioÁ a occuparsi di attivitaÁ edilizia con la progettazione di nuovi quartieri di Roma come Quirinale, Esquilino e Viminale e anticipando alcune principali direttrici dell'urbanistica post-unitaria (I. Insolera, Roma, in Storia d'Italia, VI: Atlante, Einaudi, Torino 1976 pp. 324-330). 158 libertaÁ di accesso alle negoziazioni borsistiche era soltanto apparente. Nella sostanza la borsa diviene un mercato oligopolistico, chiuso e riservato, cosõÁ come afferma Weber: ``Sul piano formale, il commercio di borsa puoÁ essere anche accessibile a chiunque, senza alcuna distinzione, ma sta di fatto che il privato ne eÁ escluso da una barriera naturale, che gli impedisce di operare autonomamente e con successo. Quel che gli manca, infatti, eÁ una conoscenza del mercato che si acquisisce solo con la professione, e che, in ogni caso, per coloro che la possiedono, eÁ di fatto alla base anche della loro posizione di privilegio. CioÁ d'altra parte, fa si che al commercio possa partecipare solo colui che possiede (o del quale eÁ nota, in qualche modo) una sufficiente misura di credito. Chi non conosce il mercato o non eÁ noto ad esso (per il fatto di non operarvi stabilmente) deve invece rivolgersi a dei mercanti di professione, provvisti di forti capitali, e divenire un loro cliente. Una libertaÁ formale di accesso non serve a modificare, ma solo a nascondere, questa situazione che eÁ reale e necessaria ad un tempo'' 39. La Borsa di Roma, forse perche ancora appartenente ad uno Stato diverso da quello italiano, presentava caratteristiche peculiari; si potrebbe dire che godesse di una certa specificitaÁ rispetto alle altre borse della Penisola. Si evidenziava il basso numero di soggetti economici presenti, le norme semplici e formali a causa della buona fede nelle contrattazioni, l'assenza di funzionari di pubblica sicurezza, ``...qui vi ha dell'onestaÁ, e che, anco a voler essere disonesti di proposito, non vi si riesce''. La piazza di affari romana veniva paragonata ad ``...una riunione di famiglia per conchiudere sinceramente un affare'' 40. In sintesi, dai dati elaborati nel decennio in questione (grafico 2 e tabella 2), emerge che il titolo col maggior incremento ed anche in controtendenza rispetto agli altri (tranne il caso dei titoli dei certificati sul tesoro, vedi infra) eÁ quello della SocietaÁ Anglo Romana. Essa venne fondata a Roma il 30 luglio 1852 col compito di costruire, terminare ed attivare l'illuminazione a gas della cittaÁ 41. Il 1868 fu l'anno in cui il titolo azionario guadagno piuÁ del 57% e alla fine del decennio, nel 1870, l'incremento del titolo rispetto ai dieci anni precedenti sfioroÁ il 70%. Tuttavia, le giaÁ esili frontiere di fine anni Sessanta verranno abbattute in quel celebre 20 settembre 1870, dando avvio ad un processo di omogeneizzazione e ``globalizzazione'' della borsa di Roma al resto delle borse italiane. 39 M. Weber, Die Borse, Mohr 1924, in La Borsa traduzione di C. Tommasi, Edizioni Unicopli, Milano 1985. 40 Il concetto di trasparenza del mercato dipende dal ``processo di scoperta dei prezzi, cioeÁ dalla possibilitaÁ per gli operatori di mercato di osservare il flusso di ordini corrente, gli ordini di attesa di esecuzione (trasparenza ex ante) e gli ordini eseguiti (trasparenza ex post) , e le sue caratteristiche, prezzo e quantitaÁ degli ordini. La pubblicitaÁ degli ordini riduce le asimmetrie d'informazione tra i membri del mercato sulla futura evoluzione del prezzo del titolo in oggetto (A. Riva, La negoziazione della Rendita nelle borse italiane, in Debito pubblico e mercati finanziari in Italia, cit., pp. 565-595). Si veda anche M. Pagano, A. Roell, Transparency and liquiditaÁ: A comparison of auction and dealer market with informed trading,, in ``Journal of finance'', 51, 2, 1996. 41 ASR, Camera di Commercio, b. 40, fasc. 3 Statuto della SocietaÁ Anglo Romana per l'illumnazione a gas, registrato in Roma il 9 novembre 1852. 159 Tab. 2 - Fluttuazione del corso dei titoli nel decennio 1860 ± 1870 42 Titoli quotati Consolidato romano Certificati sul Tesoro di sc. 200 Regia Pontificia De' Sali e Tabacchi; azioni di sc. 200 Banca dello Stato Pontificio; azioni di sc. 200 Soc. Rom. Delle Min. di Ferro; azioni di sc. 100 Soc. Anglo-Romana per l'illumin. a gas; azioni di sc. 50 Strade Ferr. Linea Pio-Centrale; azioni di sc. 92,94 Soc. Pio Ostiense per le Sal. di Ostia e bonif. dello Stagno di Ostia; azioni di franchi 500 1860 1870* 76,619 63,486 69,298 90,583 205,029 194,29 43 220,266 184,466 81,459 24,46 44 55,388 93,663 69,488 9,30 45 55,430 22,258 Variazione -17,141 % +30,715 % -5,171 % -16,253 % -69,976 % +69,103 % -86,613 % -59,845 * fino al 20 settembre Dopo l'introduzione della lira italiana nel 1866 i valori riportati nel giornale di roma non furono piuÁ espressi in scudi romani; tuttavia si eÁ preferito riconvertire i corsi dei titoli per gli ultimi 4 anni in scudi romani, per dare uniformitaÁ al decennio. I La quotazione si riferisce al 1867 (ultima a disposizione) II La quotazione si riferisce al 1ë semestre 1870 (ultima a disposizione) III La quotazione si riferisce al 1ë semestre 1868 (ultima a disposizione) 43 Il nuovo Stato si accingeva ad amministrare il deficit di bilancio, nel suo primo anno di vita, con un impegno finanziario complessivo di oltre settecento milioni di lire. Il riordinamento delle finanze comincioÁ solamente nel 1862: con la legge fondamentale tutte le forme preesistenti di tassazione sugli affari furono sostituite da un solo sistema, unico per tutto il Regno. Le nuove leggi fondarono tutto il sistema su: 1) tassa di registro 2) tassa di bollo 3) tasse ipotecarie; a) tassa di manomorta b) tasse sulle societaÁ industriali e di assicurazione c) tassa sull'emissione di biglietti o buoni in circolazione. Poco dopo veniva fissato il prezzo di vendita del sale in lire 30 per quello comune, in lire 40 per il raffinato e in lire 8,15 quello per le vendite di favore; inoltre era imposto il bollo sulle carte da gioco) si basavano essenzialmente su vecchi proventi del "decimo di guerra" che una legge del dicembre 1861 aveva generalizzato; il loro gettito fu tuttavia insufficiente alla copertura del debito pubblico. 44 Per la copertura del disavanzo del 1860 bisognava cercare gli strumenti monetari piuÁ efficaci: sia l'aumento della pressione fiscale che l'appello finanziario al mercato interno non erano ipotizzabili, perche giaÁ largamente utilizzati. Non rimaneva che la strada del prestito estero, ma l'ipotesi di un finanziamento da parte dei Rothschild era poco praticabile per diversi motivi. Innanzitutto la Maison austriaca aveva percepito le gravi condizioni finanziarie in cui versava lo Stato romano, prevedendone da lõÁ a poco la crisi definitiva. Inoltre bisognava considerare che la Famiglia austriaca fu tra i maggiori finanziatori della politica economica e militare del Cavour, quindi sarebbe stata difficile l'assunzione di una posizione in contrasto al Regno d'Italia. In conseguenza di cioÁ, insieme ai banchieri cattolici belgi e francesi, venne progettato il lancio di un ``prestito cattolico'', con l'emissione alla pari di cartelle di consolidato per 50 milioni di franchi (pari a circa 9,3 milioni di scudi secondo il cambio fissato a 5,37 franchi per uno scudo) con un interesse annuo del 5%. Per il collocamento dei nuovi titoli si istituirono nei vari Stati europei alcuni comitati con la partecipazione di personalitaÁ eminenti suggerite dai vescovi locali. Le sottoscrizioni furono aperte dal 1 maggio del 1860 a Roma, Napoli, Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Londra, Dublino, Francoforte, Vienna, Monaco, Berlino, Lucerna, Madrid e Lisbona. Venne offerta la possibilitaÁ di comprare i titoli a rate (Chirografo della SantitaÁ di Nostro Signore Pio Papa IX sulla emissione e vendita di un prestito fruttifero per pubblica sottoscrizione, 18 aprile 1860, in Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione dello Stato Pontificio, n. 42, 1860). 45 D. Felisini, Il denaro di S. Pietro, cit., pp. 206-216. 42 160 Grafico 2 - Rappresentazione grafica (variazioni annuali %) del listino di borsa del decennio 1860-1870 Fonte: elaborazione dati listini ``Giornale di Roma'' dal 13 gennaio 1860 al 9 settembre 1870. 5. Il debito pubblico Con legge dello Stato italiano unificato, promulgata da Vittorio Emanuele II il 29 giugno 1871, n. 339, venivano riconosciuti e dichiarati debiti del Regno d'Italia "i debiti giaÁ inscritti nel Gran Libro del Debito pubblico romano, che sono designati alle categorie I e II nello stato annesso alla presente legge". La creazione del Debito Pubblico risale al 1861, anno in cui fu proclamata l'UnitaÁ d'Italia. Il governo del nuovo Regno si preoccupoÁ di unificare i debiti pubblici degli ex Stati italiani. Il debito pubblico si distingueva in debito fluttuante e debito consolidato. Il debito fluttuante era costituito da prestiti che lo Stato contraeva per periodi brevi e si impegnava a rimborsare entro il medesimo esercizio finanziario (cioeÁ entro l'anno). Il debito consolidato in origine era garantito da un fondo, detto consolidato, che raggruppava varie entrate; piuÁ recentemente il debito consolidato era venuto praticamente a coincidere con il debito a lunga scadenza e poteva essere di due tipi: redimibile e irredimibile. Nel primo caso lo stato si impegnava, oltre a pagare gli interessi, anche a rimborsare il capitale alla scadenza; il titolo che rappresentava questo tipo di debito era detto obbligazione; nel caso del debito irredimibile lo stato era obbligato a pagare gli interessi ma non a rimborsare il capitale e il titolo che lo rappresentava era detto rendita. Il debito pubblico si estingue col rimborso dei titoli, alla data di scadenza o ante161 riormente, mediante sorteggio; per estinguere quote di debito pubblico lo stato puoÁ anche acquistare i titoli in borsa o esercitare l'opzione di rimborso anticipato, se le clausole di emissione del titolo lo prevedono. Sebbene in genere i prestiti governativi non siano coperti da effettive garanzie reali, vengono considerati dalla legge come contratti, con l'obbligo di pagamento da parte del debitore. Talora peroÁ gli stati, in situazioni di forti pressioni causate da gravi crisi economiche o turbolenze politiche, sono ricorsi all'estremo rimedio di disconoscere il proprio debito pubblico per intero o in parte. Il Gran Libro del Debito Pubblico del Regno d'Italia venne istituito con la Legge n. 94 del 10 luglio 1861. Le disposizioni che regolarono il debito pubblico italiano furono il risultato di studi condotti dall'allora ministro delle Finanze Pietro Bastogi e da Commissioni Parlamentari che fecero proprie anche leggi estere e norme che regolavano il cessato Regno Italico. Il conte Bastogi, primo ministro delle finanze del regno d`Italia, ottenne dal Parlamento l`approvazione (legge 4/8, n. 174) del debito pubblico unificato: 2374 milioni cosõÁ ripartiti tra le regioni: Stati sardi: 1292 milioni; Lombardia: 152 milioni; Parma: 12 milioni; Modena: 18 milioni; Romagna: 19 milioni; Marche: 5 milioni; Umbria: 7 milioni; Toscana: 139 milioni; Napoli: 522 milioni; Sicilia: 209 milioni. La legge del nuovo Stato sul debito pubblico non contemploÁ la regolamentazione della finanza pubblica; cosiccheÂ, mentre si verificoÁ un aumento incontrollato delle spese, le entrate rimasero stazionarie in mancanza di correttivi fiscali adeguati. GiaÁ poco tempo dopo l'istituzione del Gran Libro del debito pubblico, la situazione dissestata del bilancio costrinse il governo ad emettere il primo prestito italiano di 500 milioni 46. Poiche si cominciava a manifestare qualche sintomo di sfiducia si ricorse ad emissioni, sempre piuÁ frequenti, di Rendita Consolidata. Infine per rendere piuÁ appetibili le emissioni di titoli di Stato, vennero applicati interessi crescenti tanto che la remunerativitaÁ dei titoli di Stato distolse i capitali dagli investimenti produttivi in agricoltura e nell'industria, favorendone la destinazione al solo scopo speculativo fine a se stesso. Quintino Sella, succeduto al Bastogi, per ridurre il debito propose: di cedere all'industria privata la costruzione della ferrovia (annunciava che era giaÁ stato concluso un accordo per le ferrovie napoletane e che altri contatti erano in corso); di alienare i canali posseduti dal demanio, affidando alla societaÁ acquisitrice l'incarico di costruire un altro canale, giaÁ progettato e approvato, che partendo dal Po e arrivando al Ticino era destinato a irrigare una vasta area di terreno; di trasferire al demanio i beni della cassa ecclesiastica e alienarli assieme ai beni demaniali non destinati a uso pubblico. Dal 1861 al 1870 fu iscritta nel libro del debito pubblico una rendita per 263,2 milioni, pari a un valore capitale di 5265,5 milioni. Della prima categoria del debito pubblico romano (che entreraÁ a far parte del Gran Libro del debito Pubblico) era inclusa la rendita consolidata nominativa e al portatore, che veniva trasformata in rendita consolidata italiana con un interesse del 5% 47. 46 D. Felisini, Il Tesoro italiano e il debito pubblico pontificio, in ``Rassegna Economica'', LIV, 4, 1990, pp. 733-768. 47 M. Roccas, L'Italia e il sistema monetario internazionale dagli anni sessanta agli anni 162 Era fatto obbligo ai proprietari di presentare le relative cartelle, per la conversione, a partire dalla data di promulgazione della legge fino alla scadere del 1871, pena la decadenza dal diritto. In fase di prima applicazione della legge, i titoli sarebbero stati trascritti con l'intestazione e i vincoli giuridici che incorporavano; il loro eventuale successivo trasferimento sarebbe stato peroÁ regolato dalle norme dettate dalla legge costitutiva del Gran Libro del debito pubblico italiano. Della seconda categoria ± debito redimibile ± facevano parte i certificati del Tesoro e le obbligazioni emessi con editti rispettivamente del 28 gennaio 1863 e del 18 aprile 1860 e 26 marzo 1864, oltre che i prestiti Parodi (20 gennaio 1846), Rothschild (10 agosto 1857) e Blount (12 aprile 1866) 48. Essi dovevano essere inclusi separatamente nel Gran Libro, con la rendita e alle condizioni vigenti al momento dell'entrata in vigore della legge. Nel 1866 il governo pontificio, in Francia, lancioÁ un prestito per un capitale nominale di 60.000.000 di franchi, dandone incarico alla Banca Edoardo Blount & C di Parigi del pagamento degli interessi. Il prestito venne ``rescritto'' da Pio IX (Maria Mastai Ferretti) e iscritto negli atti della Camera Apostolica, organo centrale di governo dal segretario e cancelliere Paolo Gentili. Furono emesse 120.000 obbligazioni al portatore da 500 franchi, che vennero cedute ai sottoscrittori per 466 franchi con interessi del 5% annuo e decorrenza dal 1 ottobre 1866, pagabili in Parigi di semestre in semestre al 1ë aprile e al 1ëottobre di ciascun anno. L'ammortamento ebbe inizio nel 1870 mediante acquisto in Borsa delle obbligazioni al corso, quando il prezzo raggiunse la paritaÁ in seguito si effettuoÁ per sorteggio semestrale. Con regio decreto si sarebbe determinato il tempo e il modo della loro conversione in titoli del debito pubblico italiano 49. Soltanto per le obbligazioni emaNovanta del secolo scorso, in Ricerche per la Storia della banca d'Italia, I, Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 7-21; C. Nardi Spiller, L'esperienza dell'Unione Monetaria Latina nell'evoluzione del sistema monetario internazionale, in ``Il pensiero economico moderno'', XI, 1991, pp. 65-86. Si veda anche S. Pinchera, Monete e zecche nello stato Pontificio dalla restaurazione al 1870, in ``Archivio Economico dell'Unificazione Italiana'', V, 5, Torino 1957, pp. 1-4, 11-12, 17-18; Id., Corso dei cambi sulla piazza di Roma dal 1838 al 1870 in ``Archivio Economico dell'Unificazione Italiana'', VI, Torino 1957. 48 Le leggi del 1866 e del 1867 sulla soppressione delle corporazioni religiose e la liquidazione dei beni ecclesiastici, che fecero seguito alla legislazione piemontese preunitaria in materia interessarono tutto il territorio ad eccezione di Roma e il Lazio per i quali ci fu un decreto, successivo al 20 settembre 1870, del 4 marzo 1871 (si veda C.M. Fiorentino, Chiesa e Stato a Roma negli anni della Destra storica, 1870-1876. Il trasferimento della Capitale e la soppressione delle Corporazioni religiose, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, Roma 1966; per le fonti si rinvia a E. Ciccozzi, L'archivio della liquidazione dell'asse ecclesiastico. Un nuovo versamento all'Archivio centrale dello Stato (1866-1933), in ``Rassegna degli Archivi di stato'', nuova serie I, 1-2, 2005, pp. 222.232). 49 B. Horaist, La deÂvolution au pape et les catholiques francËais sous le pontificat de Pio IX (1846-1878), Collection de l'Ecole FrancËaise de Rome, Rome 1995. Dopo l'istituzione dell'Opera l'Obolo ebbe inizialmente gestione separata dalle finanze dello Stato poi confluõÁ direttamente nella tesoreria Apostolica e, dal 1926, nell'amministrazione generale dei beni della Santa 163 nate dal governo pontificio nel 1860 e nel 1864 era prescritto che fossero concambiate, entro sei mesi dalla promulgazione, in obbligazioni italiane. Nel dicembre del 1866 si giunse alla stipula di una convenzione tra governo italiano e francese (che fungeva da intermediario perche il governo romano non voleva partecipare direttamente a nessuna trattativa) con la quale si stabiliva che il Tesoro italiano assumesse quote del debito perpetuo e redimibile in particolare di quello estero, in proporzione al numero di abitanti delle regioni pontificie passate allo Stato italiano. Oltre a tale convenzione che avrebbe trovato concreta realizzazione nel 1868 e nel mese di giugno 1866 si ebbe la riforma monetaria che sostituõÁ lo scudo con la lira pontificia in argento secondo un rapporto pari a 1 scudo=lire 5,375 adeguando il sistema monetario pontificio ai parametri stabiliti dall'Unione Monetaria Latina costituita l'anno precedente da Italia, Francia, Belgio e Svizzera 50. Altre norme per l'unificazione del debito pubblico romano furono stabilite dalla legge n. 763 del 19 aprile 1872. Con la legge dell'11 agosto 1870 si introdusse la conversione (in titoli) dei beni immobili di taluni enti rimasti esclusi e infine, nel 1873, la legislazione suddetta fu estesa alla provincia di Roma, con varianti dovute alla presenza del Vaticano. Con queste leggi, tutte patrocinate dalla destra liberale, il nascente Stato italiano ed il Regno d'Italia intesero togliere prestigio e potere politico alla Chiesa, ma anche mettere in moto un'accumulazione primaria che, data la presenza degli Stati pontifici, vedeva l'Italia in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Oltre 700.000 ettari di terra appartenenti alla Chiesa vennero di fatto gettati sul mercato immobiliare e finirono, a prezzi stracciati, nelle mani della grande borghesia terriera italiana 51. Il Vaticano non rimase inoperoso. GiaÁ dal 1859, il francese conte Montalembert aveva ricevuto l'incarico di potenziare l'Obolo di san Pietro attraverso l'intensificazione della raccolta di fondi presso i fedeli. All'entrata in vigore delle leggi di esproprio, l'Obolo aveva giaÁ raccolto fondi in quantitaÁ superiore ad ogni previsione, anche se ritenuti insufficienti per la necessitaÁ della Chiesa. L'Obolo di S. Pietro ebbe origine nell'ottavo secolo come un tributo annuo dei regnanti al papa: la tradizione venne esaurendosi nel periodo della Riforma e si trasformoÁ in offerte dei fedeli per iniziative ed eventi specifici. Sotto la direzione del cardinal vicario fu istituita nel 1860 l'Opera dell'Obolo di S. Pietro che avrebbe dovuto convogliare a Roma le contribuzioni raccolte dalle dioecesi e dalle comunitaÁ religiose europee, sollecitate a sovvenire le necessitaÁ del papa in una fase critica. Infatti, mediante l'Obolo furono raccolte in Francia offerte pari a 2,6 milioni di scudi nel 1861 per poi raggiungere vette molto alte negli anni successivi 52. Sede, sino a rappresentare piuÁ recentemente la principale risorsa finanziaria del bilancio vaticano (D. Felisini, Il denaro di S. Pietro, cit., pp. 189-229, p. 210). 50 J.F. Pollard, Money and the Rise of the Modern Papacy. Finacing the Vatican 1850-1950, Cambridge University Press, London 2005, pp. pp. 55-78. 51 E. Ponti, Il Banco di S. Spirito e la sua funzione economica in Roma papale (1605-1870), Poligrafica laziale, Roma 1951. 52 G. Della Torre, Collocamento del debito pubblico e sistema creditizio in Italia (1861-1914), in Debito pubblico e mercati finanziari in Italia,cit., pp. 451-476. 164 Il Vaticano, comunque, ebbe tutto il tempo di cautelarsi, tant'eÁ vero che molti terreni furono venduti prima dell'esproprio. In particolare nella provincia romana, a partire dal 1870, vi fu una colossale speculazione edilizia, che fece aumentare di valore i terreni di molti ordini religiosi i quali, dopo il 1873, furono riacquistati dal Vaticano utilizzando prestanomi. Parallelamente, numerosi nobili romani legati al Vaticano, nel giro di qualche anno, si trovarono a figurare a volte in proprio, a volte come fiduciari del papa, nei consigli di amministrazione di societaÁ immobiliari e in numerose banche. Nel dibattito del Parlamento italiano del 1873, dopo l''esproprio' dei beni della Chiesa, il governo auspicoÁ che quest'ultima reinvestisse i propri capitali nella nascente industria nazionale, abbandonando le speculazioni immobiliari. L'invito era rivolto, in particolare, alle banche controllate da fiduciari del Vaticano quali: Monte di pietaÁ di Roma, Banco di santo spirito, Cassa di risparmio di Roma. Il mutamento radicale nelle attivitaÁ finanziarie da parte della Chiesa avvenne nel 1878, dopo la morte di Pio IX e l'avvento di papa Leone XIII 53. Nelle speculazioni edilizie di Roma capitale ebbe, da allora, un posto centrale il Banco di Santo Spirito, fondato nel 1606 da Paolo Borghese e che, per secoli, era stato la banca principale del Vaticano e dell'aristocrazia romana 54. Abbandonata l'antica regola di non corrispondere interessi sui depositi, questa banca istituõÁ una sezione di credito fondiario e si buttoÁ a capofitto nella speculazione. ProseguõÁ la confluenza di notabili vaticani nei consigli di amministrazione delle banche (Banca romana, Credito mobiliare, Credito fondiario, Banca industriale e commerciale). Verso la fine degli anni Ottanta dell'Ottocento il debito dello Stato italiano aveva raggiunto quasi il 100% del Pil, sospinto dagli ingenti investimenti effettuati dallo Stato per creare le grandi infrastrutture nazionali (ferrovie, porti, strutture industriali di base e urbane) e dalle spese per la guerra con l'Austria del 1866. Le enormi spese belliche causate dalla prima guerra mondiale, giunte ad assorbire quasi la metaÁ del prodotto nazionale durante il confitto, determinarono un aumento vertiginoso del debito pubblico italiano, che al termine della guerra ammontava probabilmente al 150% del Pil 55. 53 J. Tivaroni, Storia del debito pubblico del Regno d'Italia, I, Marelli, Pavia 1908. Si veda anche D. Fausto, Lineamenti dell'evoluzione del debito pubblico in Italia (1861-1961) versione rivista della relazione presentata al III Seminario CIRSFI (Centro universitario per la ricerca e la storia finanziaria italiana) Debito pubblico e formazione dei mercati finanziari fra etaÁ moderna e contemporanea tenuto presso la FacoltaÁ di Economia dell'UniversitaÁ degli Studi di Cassino, 15 e 16 ottobre 2004); V. Zamagni, Debito pubblico e creazione di un nuovo apparato fiscale nell'Italia unificata (1861-76), in Il disavanzo pubblico in Italia: natura strutturale e politiche di rientro, vol. II, il Mulino, Bologna 1992; Ead., Il debito pubblico italiano1861-1946: ricostruzione della serie storica, in ``Rivista di storia economica'', 3, 1998. 54 Titolo di credito intestato a una determinata persona fisica o giuridica, indicante l'iscrizione nel Gran Libro del debito pubblico di una rendita annua al nome di detta persona. Esso puoÁ essere munito di cedole pagabili al portatore e avere percioÁ carattere di titolo al portatore per gli interessi (Enciclopedia Bompiani, Diritto e Economia, Milano 1988, 14). 55 M.G., Pastura Ruggiero, a cura di, L'amministrazione del debito pubblico nelle province romane (1810-1880), Archivio di stato di Roma, Roma 1991. 165 5.1 Il debito pubblico consolidato: irredimibile e redimibile Nel mercato finanziario italiano e, in particolare in quello della Borsa di Roma anche per gli anni 1870-1880, erano iscritti nel listino i titoli del debito pubblico 56 (si veda tabella 3). La Rendita 5%, prima del 1870 definita Consolidato Romano, aveva regolato l'andamento del mercato romano. Ma erano gli stranieri, e in particolare gli operatori della Borsa di Parigi, a determinarne il prezzo. A Parigi, infatti, si trattava una quota di Rendita piuÁ alta che in qualunque altra borsa ed era percioÁ logico che il prezzo venisse fissato dalla Borsa parigina, come giaÁ accennato. Il prezzo di tale titoli, dunque, formandosi all'estero, seguiva gli umori degli investitori stranieri, che ovviamente non si dimostravano certo estimatori di scelte politiche autonome del governo italiano. Grafico 3 - Quotazioni Rendita 5% Fonte: elaborazione dati da ``Osservatore Romano'' dal 1 gennaio 1870 al 31 dicembre 1880. Come si puoÁ vedere dal grafico 3, il titolo, nei dieci anni presi in considerazione non ha mai raggiunto pienamente la pari; solo nel secondo quadrimestre del 1872 l'ha quasi sfiorata raggiungendo £. 92. I certificati del Tesoro (grafico 4) hanno rappresentato per molti anni un ottimo investimento a differenza della Rendita 5% anche se sono stati quotati solo fino al 56 G. Toniolo, Storia economica, cit. 166 Grafico 4 - Quotazione certificati del Tesoro Fonte: elaborazione dati da ``Osservatore Romano'' dal 1 gennaio 1870 al 31 dicembre 1880. 1875 57. Il picco massimo di £. 517 eÁ stato registrato nel 1874 quando tutti gli altri titoli sembravano subire un calo corrispondente alla crisi congiunturale. Le obbligazioni emesse con editti rispettivamente del 28 gennaio 1863 e del 18 aprile 1860 e 26 marzo 1864 occuparono per tutto il decennio 1870 - 1880 il listino della Borsa di Roma. Gli anni Sessanta, erano destinati secondo le intenzioni di Pio IX, a segnare il definitivo riscatto del debito pontificio; furono al contrario, anni di profonda crisi politica, istituzionale e finanziaria, generati come giaÁ detto, dall'incalzare degli eventi politici. Nell'aprile del 1860 le urgenze dell'erario costrinsero Pio IX ad un nuovo indebitamento: cosõÁ il 18 aprile fu emesso nuovo prestito fruttifero, sia all'interno dello Stato e sia all'estero, per una rendita annua di 465.000 scudi romani, pari a 2.500.000 franchi annui, e per un capitale valutabile rispettivamente in 9.300.000 scudi e 50 milioni di franchi. L'interesse era fissato nella misura del 5% con decorrenza dagli inizi di aprile del 1860, nonostante che il pagamento delle cartelle fosse previsto in quattro rate. L'editto del 28 gennaio 1863 annunciava l'emissione dei certificati sul pubblico Tesoro non aventi corso coattivo, 57 G. Valenti, A proposito della crisi edilizia nella cittaÁ di Roma, in ``Il giornale degli economisti'', Bologna 1890, V, 3; M. Piacentini, F. Guidi, Le vicende edilizie di Roma dal 1870 ad oggi, Palombi, Roma 1952; P. Della Seta, Un problema tipico della capitale: la speculazione edilizia, in ``Critica economica'', 1954, pp. 78-93; A. Caracciolo, Roma capitale, Editori Riuniti, Roma 1984; S. Fenoaltea, Le costruzioni in Italia, 1861-1913, in ``Rivista di storia economica'', IV, 1987, pp. 1-34; G. Cuccia, Urbanistica, edilizia, infrastrutture di Roma capitale, 1870-1990, Laterza, Roma-Bari 1991; 167 Tab. 3 - Quotazioni trimestrali complessive della Borsa di Roma per il decennio 1870-1880 Consolidamento romano Banca dello Stato pontificio Rendita italiana 5% Rendita italiana 3% Imprestito nazionale detti piccoli pezzi Obbl. Beni ecclesiastici 5% Municipio di Roma Credito fondiario di S. Spirito Cert. sul tesoro detti emissioni 1860-1864 detti cambiati Prestito Bloundt 1866 Detto Rothschild Banca Nazionale italiana Banca di Roma Banca Generale Banca Italo-Germanica Banca Nazionale Toscana Banca Austro Italiana Azione Tabacchi Obbl. dette 6% Strade Ferrate Romane Obbl. Dette Strade Ferrate Meridionali Buoni Meridionali 6% Soc. Rom. Miniere di ferro Soc. Anglo Romana III. gas Acqua Pia (Marcia) Gas di Civitavecchia Credito mobiliare Comp. Fondiaria italiana Pio Ostiense 1870 1870 1870 1871 1871 1871 1872 1872 1872 1873 1873 1873 1874 1874 1874 1875 67 64 58 948 936 957 53 49 45 43 50 53 74 97 55 68 68 64 69 59 76 73 58 60 55 59 57 66 61 63 61 414 497 497 480 245 490 421 500 334 514 422 475 544 485 617 517 484 57 58 58 60 64 72 58 70 89 59 62 68 59 67 44 56 60 65 60 59 71 59 65 61 65 61 67 67 56 63 57 70 66 59 64 64 63 1.000 1.065 1.450 3.940 3.853 4.275 2.530 2.130 7.510 1.935 2.002 1.075 1.073 1.057 1.432 1.666 1.931 2.117 2.465 1.916 1.617 1.264 1.145 1.371 241 477 417 445 436 353 457 331 336 295 335 426 392 478 456 400 368 205 171 196 260 1.813 2.123 2.510 452 345 273 500 483 780 605 500 483 327 495 210 500 500 120 126 136 147 166 129 111 500 228 175 196 201 160 200 500 167 500 168 123 293 108 143 274 140 147 498 546 502 500 530 570 631 567 684 565 438 470 356 352 388 496 500 433 502 235 107 136 118 107 430 388 381 600 514 372 379 225 176 216 142 166 311 115 826 261 740 111 457 Fonte: Elaborazione dati da ``Osservatore Romano'' dal 1 gennaio 1870 al 31 dicembre 1880 per l'ammontare di 5 milioni di scudi, fruttiferi al 5%, da ammortizzarsi in quindici estrazioni annuali, a partire dal 1 gennaio 1864. Anche questa emissione, come la prima, portoÁ alle casse pontificie un sollievo di breve durata: infatti, con l'editto del 26 marzo 1864 il papa richiese un nuovo prestito che sarebbe servito, in larga misura, per pagare gli interessi del vecchio 58. E. Graziani, La Banca Romana (1834-1870), in Gli archivi degli istituti e delle aziende di credito e le fonti d'archivio per la storia delle banche, (atti del convegno, Roma, 14-17 novembre 1989), Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici Roma 1995, pp. 463-492. 58 168 segue: tab. 3 Cons. romano B. dello Stato pont. Rendita italiana 5% Rendita italiana 3% Imprestito nazionale detti piccoli pezzi Obbl. Beni eccl. 5% Municipio di Roma Cred. fond. di S. Spirito 1875 1875 1876 1876 1876 1877 1877 1877 1878 1878 1878 1879 1879 1879 1880 1880 1880 67 58 51 67 68 53 61 55 63 61 57 70 64 67 66 63 48 62 79 67 450 450 356 395 394 391 359 347 374 284 345 411 313 305 404 324 421 345 382 Cert. sul tesoro detti emis. 1860-1864 70 69 74 70 66 69 64 72 61 73 72 80 74 78 75 65 76 detti cambiati Prestito Bloundt 1866 69 70 69 60 66 66 67 73 68 75 70 72 71 74 77 75 70 Detto Rothschild 71 67 61 64 65 75 61 59 73 70 66 66 80 79 73 86 71 Banca Naz. italiana 1.960 2.012 2.108 1.969 1.720 1.910 1.953 1.815 2.048 2.056 1.966 2.223 2.258 Banca di Roma 1.472 1.537 1.264 1.217 0 1.295 1.158 1.164 1.226 1.198 1.138 1.205 1.155 1.302 1.337 1.352 849 Banca Generale 427 484 417 468 418 436 380 432 408 312 380 344 372 358 386 434 479 Banca Italo-Germanica 208 Banca Naz. Toscana Banca Austro Italiana Azione Tabacchi Obbl. dette 6% Str.de Ferrate Romane 66 65 120 126 136 147 166 129 111 Obbl. Dette Strade Ferrate Mer. 305 338 323 339 Buoni Meridionali 6% Soc. Rom. Min. di ferro Soc. Ang. Rom. III. gas 523 561 545 559 505 616 611 591 534 639 618 599 598 656 498 740 652 Acqua Pia (Marcia) 859 967 1.033 Gas di Civitavecchia Credito mobiliare 645 Comp. Fondiaria ita. Pio Ostiense Fonte: Elaborazione dati da ``Osservatore Romano'' dal 1 gennaio 1870 al 31 dicembre 1880 6. La Borsa di Roma dopo l'annessione dello ``Stato del Lazio'' all'Italia Dai dati rilevati per il decennio 1870-1880, le quotazioni dei titoli sono state pressoche discontinue e poco elevate tranne che per i titoli del settore bancario; condizionati, come furono, dai continui cambiamenti politico economici del paese e della cittaÁ di Roma. In Italia, nel triennio 1871-1873, un vivace incremento dell'attivitaÁ industriale, specie nelle regioni settentrionali, aveva sollecitato, richiamando manodopera dalle campagne, una cospicua crescita edilizia ed urbana, e con essa un'intensa attivitaÁ finanziaria e bancaria. Tale crescita fu interrotta, peroÁ, da una crisi internazionale che determinoÁ un maggior interventismo statale. Fu infatti con questa crisi che si verificoÁ, con la caduta della Destra e l'ascesa della Sinistra al potere, una svolta nella politica 169 economica governativa, in cui si passoÁ da un'impostazione liberistica ad un orientamento piuÁ protezionistico 59. La depressione poteva dirsi conclusa nel 1878, anno a partire dal quale si registroÁ una ripresa che toccoÁ, nel 1880, avanzati livelli produttivi da record nello sviluppo economico italiano post-unitario. Anche Roma nel 1880 era mutata. Trovatasi improvvisamente, dopo il 20 settembre 1870, ad assolvere il ruolo di capitale di un Regno, molto piuÁ grande dello Stato pontificio, cui fin allora era appartenuta, la cittaÁ aveva dovuto sottostare a numerose profonde trasformazioni. Roma al momento dell'Unificazione presentava un quadro urbano degradato, inadatto a fare da sfondo al governo di un giovane Regno: carente di abitazioni che, diventarono addirittura insufficienti, quando con la sua elezione a capitale arrivarono un gran numero di nuovi abitanti. Si innescoÁ cosõÁ un fervore speculativo ed edilizio che duroÁ fino al 1873 quando anch'esso fu colpito dalle conseguenze della crisi economica di tale anno, che rallentoÁ di molto i lavori di ingrandimento della cittaÁ. Con l'attenuarsi della crisi nel 1876, ma soprattutto a partire dal 1878, l'impulso ai lavori edilizi riprese 60. Infatti, dietro all'attivitaÁ edilizia, industriale e commerciale era un complicato movimento di capitali, in quanto a Roma affluivano notevoli disponibilitaÁ liquide non solo da altre regioni d'Italia (Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana, Veneto) ma anche dall'estero, creando un vorticoso giro d'affari. I dati elaborati della tabella 3 riportano l'andamento dei singoli titoli, sulla base di medie quadrimestrali; come detto sopra, il decennio si apre con una fase espansiva, tra il 1870 ed il 1873, determinata, peroÁ, da un ricorso speculativo alla borsa romana quale mezzo rapido di arricchimento piuttosto che strumento capace di allocare in modo diretto i capitali verso il sistema produttivo. Il 1873 registra una riduzione dei corsi quotati, simile a quella che si era verificata nelle altre piazze europee, mentre gli anni successivi soprattutto a partire dal 1876, registrano una ripresa anche se con una leggera flessione del numero dei titoli. Questo decennio mostra elementi di continuitaÁ con i precedenti esaminati per via dei titoli del debito pubblico che rimangono sempre i piuÁ richiesti, tra le societaÁ quella anglo romana consolida il primato mentre una novitaÁ eÁ data dall'aumento dei titoli di banca di diversa natura; infatti, la struttura bancaria della capitale si era arricchita, dopo il 1870, anche di banche di credito ordinario, fra le quali spiccavano, per importanza, la Banca italo-germanica e la Banca italo-austriaca, seguite dalla Banca Generale e dalla SocietaÁ generale di credito immobiliare. Fino al 1870 Roma non era mai stata un centro bancario di rilievo. Quando diventoÁ capitale del Regno vi operava, dal 1851, la Banca dello Stato Pontificio, 59 Per le vicende della Cassa si veda R. D'Errico, Una gestione bancaria ottocentesca. La Cassa di risparmio di Roma dal 1836 al 1890, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1999. 60 G. De Luca, Dall'economia industriale all'industria della finanza: le societaÁ quotate al listino azionario della Borsa di Milano dal 1861 al 2000, in G. De Luca, a cura di, Le societaÁ quotate alla borsa valori di Milano, cit., pp. 25-86, p. 39. 170 la quale dopo l'assunzione di Roma a capitale mutoÁ il nome in Banca Romana, ed era essenzialmente una banca depositi e sconti 61. Al 30 settembre 1880 essa rappresentava solo la quinta banca di circolazione del Regno d'Italia, dopo la Banca Nazionale, i Banchi di Napoli e Sicilia e la Banca Nazionale Toscana. Conclusioni Questo lavoro evidenzia le trasformazioni in atto nella Borsa di Roma che corrono parallele all'incalzare degli avvenimenti istituzionali economici e politici del periodo preso ad esame. L'istituzione recepisce e si apre al nuovo, ai nuovi mercati, ai capitali, divenendo una forte attrazione speculativa. Assimila atteggiamenti e si dota di strumenti ed elementi tipici del mondo capitalista. Oltre ad essere un ``meccanismo'' importante per l'economia dello Stato della Chiesa, offrõÁ possibilitaÁ piuÁ remunerative agli investitori per gli strumenti finanziari offerti e di cui si era dotata, rispetto ad altri (come quelli offerti dalla Cassa di risparmio) 62. Ma sviluppa sempre piuÁ elementi che ne fanno una piazza altamente ambita dalla speculazione soprattutto nel settore edilizio, in forte espansione grazie all'unificazione. A metaÁ dell'Ottocento quello romano appare un mercato di titoli stentato e solo parzialmente collegato alla realtaÁ circostante; la Borsa era nata come attuazione dell'impulso del governo napoleonico che agli inizi del diciannovesimo secolo aveva esteso a diverse cittaÁ del Regno d'Italia ``la soluzione di un'istanza tipicamente francese'' tutto l'opposto di cioÁ che era avvenuto nel resto d'Europa, ad esempio, con le borse di Amsterdam e Londra. Solo nel decennio dell'avvenuta annessione al Regno d'Italia soprattutto la borsa romana dimostra una certa dinamicitaÁ 63. L'offerta del governo italiano di titoli del debito pubblico per sostenere l'Unificazione del Paese, risulta la forma principale di attivitaÁ della Borsa di Roma, attesa anche l'esiguitaÁ dell'offerta di capitali di rischio dovuta in parte a una forse non ancora adeguata diffusione della societaÁ anonima per azioni. Un mercato, quindi, non ancora guidato da fluttuazioni intrinseche ma trainato dal corso della Rendita. Anche se eÁ difficile allo stato attuale della ricerca calcolarne la liquiditaÁ cioÁ che appare evidente eÁ una forte implicazione degli organi amministrativi bancari e quindi dei grandi capitalisti che, in una sorta di oligopolio, divulgano e si appropriano delle informazioni, creando delle evidenti asimmetrie informative, potendo accedere alle informazioni in modo privilegiato, dimezzando i costi di transazione (essendo gli stessi amministratori bancari anche i rappresentanti della Deputazione che individuava le societaÁ da inserire nei listini) e che, quindi, spingeva e orientava le speculazioni tanto da raggiungere livelli elevati nel decennio successivo. 171