Capitolo 1 Marte o Venere? Un destino

Biografie - Il mondo moderno
le vite dei protagonisti
Collana diretta da Giuseppe Gullino
Carlo V. L’anello, la croce, la spada
Copyright © 2013, EdiSES S.r.l. – Napoli
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biogra fie
Il mondo moderno
le vite dei protagonisti
Collana diretta da
Giuseppe Gullino
Per solito la storia cammina, ma a volte si mette a correre. Forse il trauma più violento nella storia europea, e italiana in particolare, ebbe a verificarsi fra il 1492 e il 1530, l’arco di una generazione.
Qualche data: nel 1492 Colombo scopre l’America e dimostra
che il mondo è diverso da come Tolomeo aveva detto; due anni
dopo, nel 1494, Carlo VIII scende dalla Francia e percorre la
penisola, dimostrando la fragilità politica della patria dell’Umanesimo; nel 1501 i portoghesi tornano dall’India carichi di spezie, sovvertendo d’un colpo secolari circuiti economici. Dopo
solo qualche anno arriviamo al 1509, alla battaglia di Agnadello: qui, nel giro di poche ore, viene abbattuta per sempre la
potenza veneziana che sembrava dispiegarsi invincibile dalle
Alpi nevose ai mari caldi del Levante. Meno di dieci anni dopo,
nel 1517 un monaco sassone inizia la protesta che strapperà alla
Chiesa mezza Europa, innescando una frattura tuttora irrisolta;
contemporaneamente i turchi conquistano la Siria, l’Egitto e il
controllo dei luoghi santi della Mecca e Medina, con conseguenze gravissime per la cristianità. Dieci anni più tardi, nel 1527,
l’imperatore Carlo V manda i lanzichenecchi a devastare Roma,
costringendo Clemente VII a rifugiarsi in Castel Sant’Angelo.
Infine, neppure tre anni dopo, nel 1530, quello stesso papa, quello stesso imperatore si abbracciano pacificati a Bologna sulle
rovine del nostro paese.
Gli anni a cavallo fra il XV e il XVI secolo, dunque, furono
segnati da un susseguirsi di rotte improvvise, di fratture, di novità
VI
Presentazione
impensabili: il vecchio mondo crollava, nuovi cieli e nuove acque
attendevano il cammino dell’umanità.
Ebbene, qualcosa del genere si è verificato nell’arco degli ultimi trent’anni, con una rivoluzione mentale, sociale, culturale
simboleggiata dall’avvento del computer. Non è cambiato solo il
mezzo di comunicare, sono mutati anche i modi dell’apprendere
e l’approccio stesso alla lettura. Donde la necessità di ripensare
il libro, cartaceo o digitale che sia, e di riproporne il contenuto
alla luce delle nuove acquisizioni – nella fattispecie storiografiche
– ma con un taglio più agile e, se possibile, gradevole. Questa collana è stata pensata sulla base di tali presupposti. Protagonisti ne
sono i personaggi che scandirono gli snodi dell’età moderna; essi
costituiscono il filo rosso che accompagna un percorso iniziato
con il Rinascimento e approdato alle rivoluzioni atlantiche di fine
’700: l’americana, la francese e, non meno importante, quella che
le accompagnò e sottese: la rivoluzione industriale.
Giuseppe Gullino
Indice
Introduzione
1
Capitolo 1
Marte o Venere? Un destino
Lo scenario politico della penisola iberica
La formazione di Carlo
Re di Spagna
7
9
14
20
Capitolo 2
Lodiamo Iddio per averci dato un imperatore
“così pio”
Ferdinando
Comuneros
Paesi Bassi
25
31
32
40
Capitolo 3
Carlo V e la “quiete d’Italia”
Riforma e concilio: Carlo V e i papi
43
64
Capitolo 4
Eretici o ribelli? La politica religiosa tra Diete
e guerre
75
Capitolo 5
Vecchi e nuovi nemici della fede: la politica
asburgica di fronte all’Impero ottomano e
al Nuovo Mondo
93
VIII Indice
Capitolo 6
“… odi invecchiati di tanti anni, e così giuste
cagioni di inimicizie …”. Gli anni Quaranta
115
Capitolo 7
“… ha perduto quasi tutta la riputazione”
Abdicazione
131
Cronologia 147
Bibliografia151
Introduzione
L’anello, la croce, la spada
Re di Spagna nel 1516 e imperatore del Sacro Romano Impero
dal 1519 al 1556, Carlo d’Asburgo fu sovrano di un vasto impero
della nazione tedesca che includeva buona parte dell’Europa centrale, oltre ai territori americani da poco scoperti e conquistati.
La sua politica riprese l’eredità dei suoi predecessori, coniugando
le alleanze matrimoniali con la difesa della fede e, fino a un certo
punto, della Chiesa di Roma, e la guerra. I suoi nemici furono
Francesco I e Solimano e pure sul fronte interno, le crescenti ambizioni politiche dei principi imperiali che si mascherarono talvolta con le istanze luterane.
In una lettera del 6 ottobre 1537 alla sorella Maria d’Ungheria,
Carlo V scriveva: “Sono una sola persona e non posso essere ovunque. Sono dove devo e dove posso essere, e spesso ciò significa
solo dove posso essere e non dove vorrei essere”. In poche battute,
l’imperatore racchiudeva quasi una cifra della sua esistenza divisa
tra doveri e possibilità, senza alcun riguardo ai voleri. Rispetto ad
altre figure carismatiche e a vari protagonisti della storia, nei profili di Carlo V che ci sono stati tramandati quello che sorprende è
l’assenza quasi assoluta di licenza e piacere, ad eccezione dell’alimentazione smodata, causa di gotta e quindi di decadenza precoce.
Tale privazione di piaceri viene quasi ostentata per sottolineare la
missione che l’imperatore assunse su di sé caricandosi di tutti gli
oneri necessari per tentare di raggiungere l’obiettivo della pace tra
i cristiani. Non visse nel lusso, né indugiò nella ricerca del piacere
tanto da essere un marito devoto e fedele, anche se sempre lontano.
2
Carlo V. L’anello, la croce, la spada
Carlo V spese la sua vita a consolidare il patrimonio di domini
che aveva ricevuto e tentò di ampliarlo per gli eredi. La sua linea
politica si scontrò continuamente con l’insufficienza di finanziamenti e con la necessità di trovarne attraverso la mediazione e
la discussione con le istituzioni che li concedevano. Forte di un
progetto ideologico (monarchia universalis), Carlo seppe rispettare le diverse specificità degli Stati che, per la prima volta, si
trovarono sotto lo stesso sovrano. Nonostante ciò, fallì perché i
processi storico-politici avevano oramai preso una piega molto diversa da quella di cui egli si voleva far promotore. Una sovranità
sovranazionale era impossibile allora e sembra che lo sia ancor di
più attualmente. Ieri come oggi, l’ideale di pace e la condivisione
di valori non sembrano far breccia e così ancora si insegue la
scelta pragmatica di un’unione economica e finanziaria, librando
colpi e lasciando inesorabilmente nervi scoperti. Come scrisse il
più autorevole degli storici che si sono occupati di Carlo V, Karl
Brandi, «ogni generazione trova se stessa attraverso il retaggio del
passato». Il passato lasciava un mondo in fermento da molti punti di vista e con interrogativi ai quali era ormai necessario dare
risposta: quanto e come cambiarono le prospettive europee con
la caduta di Costantinopoli? Il confronto tra sovranità dell’imperatore e sovranità territoriale dei principi era già segnato dal
compromesso di Carlo? Cosa sarebbe stato delle dottrine luterane
senza la stampa? Se il Concilio si fosse aperto prima, si sarebbe
giunti comunque alla pace di Augusta? Queste sono solo alcune
delle domande cui si intende dare risposta, ma che mostrano la
complessità dell’intreccio e della trama degli eventi dei quali Carlo sarebbe stato protagonista.
Investito dalla sua missione, in un mondo dagli orizzonti ancora più vasti e inquietanti, l’imperatore dovette spostarsi moltissimo per ragioni militari e per questioni politiche: fu, infatti, uno
dei monarchi che più ha viaggiato nella storia. Stanco e spossato,
amareggiato e sconfitto, lo ricordò durante la cerimonia di abdicazione nel 1555: era stato nove volte in Germania prima, sei in
Introduzione
3
Spagna, sette in Italia, dieci nelle Fiandre, quattro in Francia, due
in Inghilterra, due in Africa, per un totale di quaranta viaggi a cui
si sarebbero potuti aggiungere gli itinerari minori e le traversate
del Mediterraneo.
Eppure nonostante le potenzialità, uno dei sovrani più grandi
e prestigiosi della storia fallì nei suoi obiettivi e soprattutto le sue
strategie furono fortemente condizionate da aspetti che ne definirono negativamente gli esiti. Brandi incorniciò il fallimento di
Carlo nel suo essere un sovrano medievale in età moderna, nel suo
essere anacronistico, mentre altri studiosi hanno ritenuto che sia
stata la sua fedeltà all’ideale dinastico a comprometterne l’azione. Da ultimo, lo storico Merlin ha giustamente evidenziato come
l’imperatore inconsapevolmente sacrificò le implicazioni universali del proprio potere alla realizzazione dei diritti dinastici, procurando così il suo insuccesso. Tuttavia, bisogna sottolineare la
coerenza delle scelte di Carlo V con la sua formazione e con la
politica del tempo: anche Ferdinando accettò rassegnato le decisioni del fratello per condurre a compimento la strategia familiare.
La tutela della dinastia fu perseguita tenacemente con le alleanze matrimoniali, che spesso giungevano dopo l’intervento della
spada. Nel 1544 l’Asburgo tornò a ipotizzare la rinuncia di Milano o dei Paesi Bassi che avrebbe certamente cambiato le sorti della storia, e lo fece vincolandola ancora all’elemento dinastico, a un
matrimonio, e incontrando comunque le forti resistenze dei suoi
consiglieri. Inoltre, la politica e l’economia del Sacro Romano Impero e della Spagna furono straziate da guerre incessanti e su più
fronti. Uno dei nonni di Carlo, Ferdinando d’Aragona, aveva lucidamente intuito il pericolo di aprire un conflitto con la Francia e
aveva in ogni modo inteso impedire che la guerra esplodesse. Ma
pur consigliato da una parte da Ferdinando e dai suoi consiglieri
e dall’altra da Erasmo da Rotterdam, proprio in ragione dei suoi
domini Carlo non poté rinfoderare la spada contro i suoi nemici
esterni e tardò a impugnarla contro quelli interni, i ribelli principi
tedeschi.
4
Carlo V. L’anello, la croce, la spada
L’Asburgo si mosse seguendo i lacci della coscienza e talvolta ispirato dalla spregiudicatezza politica, chino e provato dalla
missione che voleva portare a termine e provocato da irriguardosi
oltraggi (così a lui sembravano) e ribellioni. Pastore e vindice. Ma
anche in questo ambito, con delle eccezioni: contro Clemente VII,
colpevole di essersi alleato con Francesco I, non esitò a mostrare, anche se indirettamente, la forza non ostacolando il Sacco di
Roma, mentre con Paolo III adottò prudenza anche se sfiancato
dai tentennamenti e dalle continue richieste farnesiane.
La dicotomia e l’ossimoro rappresentano la cifra caratteristica
dell’agire di Carlo V. Ne è un esempio la conquista dell’America
dominata da questa corrente doppia, quella tra gli ideali umanistici e la ragion di Stato, tra la considerazione dei diritti dei popoli
che abitano le terre scoperte e lo sfruttamento delle risorse; ancora una volta una tensione tra due esigenze, e ancora una volta la
risposta fu contraddittoria, un crocevia insuperabile.
Attraverso la vita e il pensiero di Carlo V si entra in contatto con alcuni dei principali protagonisti della storia, da papi del
calibro di Leone X e Clemente VII, entrambi della famiglia Medici, a Paolo III, a conquistatori come Hernán Cortés, avversari
come Solimano e Lutero, ad artisti come Tiziano, a sovrani come
Francesco I ed Enrico VIII; e sono anche la grandezza e straordinarietà dei suoi interlocutori a oscurare il ritratto dell’Asburgo,
a evidenziarne le debolezze e la miopia politica. Un intreccio
indissolubile di economia e politica condizionò l’impero di Carlo
V: alla ricerca di risorse fece crescere alcune dinastie e alcune
realtà economiche a danno di altre, segnando drammaticamente
le condizioni della Spagna che, durante il regno di suo figlio,
avrebbe dichiarato per ben tre volte bancarotta. Improvvida fu
la crescita del debito pubblico basata sulla speranza di un Eldorado di cui presto i banchieri tedeschi e genovesi furono irreparabilmente delusi. L’affannosa ricerca di risorse costrinse Carlo
a significative trattative e a compromessi gravidi di pericolose
conseguenze.
Introduzione
5
Con l’abdicazione, nel 1556, Carlo V usciva di scena, ritirandosi a Yuste, dopo aver deciso di dividere i suoi domini: al fratello
Ferdinando lasciava l’Impero e al figlio Filippo la Spagna. Si sarebbe spento il 21 settembre 1558.
Quale utilità possa avere per il lettore conoscere il mondo di
Carlo V è la domanda che ha guidato la scrittura di questo testo,
nella speranza di sollecitare qualche curiosità e fornire qualche
stimolo alla riflessione critica.
Capitolo 1
Marte o Venere? Un destino
Quando venne alla luce il 24 febbraio 1500, Carlo d’Asburgo
già muoveva verso un destino in gran parte delineato, sebbene
fosse il frutto di circostanze impreviste originate dalla politica
matrimoniale dei suoi avi. Su di lui infatti pesavano sogni, aspettative e timori. Fu nipote da parte materna di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, figlio di Giovanna poi detta la Pazza.
Da parte paterna, era nipote di Massimiliano, imperatore del Sacro Romano Impero, e di Maria di Borgogna, in quanto figlio di
Filippo il Bello. Fu educato dal futuro papa Adriano di Utrecht e
fu destinatario di appelli e opere sin dalla sua infanzia. Idee e tradizioni storiche e culturali diverse confluirono e si fusero in una
persona sola determinandone la sorte.
Carlo ereditò il progetto europeo così come lo vagheggiava
Massimiliano, profondamente influenzato dalla tradizione borgognona, mentre da parte materna assorbì pienamente gli ideali di
conquista e reconquista. Monarchia universale e difesa della fede
furono, dunque, gli obiettivi cui Carlo dedicò la sua vita.
L’età moderna nasce con la conquista da parte ottomana di
Costantinopoli, nel maggio 1453: ne scaturirono conseguenze
politiche, economiche e culturali segnate dal permanere dell’ideale cavalleresco della crociata e dalla spinta all’esplorazione
per individuare nuove rotte, dato l’arrivo degli Ottomani nel Mediterraneo. In quel torno di anni, inoltre, con il perfezionamento
della stampa a caratteri mobili da parte di Johann Gutenberg, nel
1450 a Magonza, nasceva uno degli strumenti più importanti per
la diffusione delle idee in Europa e poi nell’intero mondo. Inoltre,
si andava avviando il processo di formazione degli Stati moder-
8
Carlo V. L’anello, la croce, la spada
ni: il Portogallo aveva lo sguardo rivolto all’esplorazione marittima, gli altri stati iberici erano impegnati in questioni interne,
l’Inghilterra faticava a riprendersi dalla sconfitta della guerra dei
Cento anni, sprofondando così nella guerra civile delle Due rose,
mentre la Francia, tra Angiò e Valois, viveva una stagione felice di espansione e il Sacro Romano Impero affrontava la difesa
dall’avanzata ottomana nei Balcani e la riforma istituzionale interna.
Lo scontro tra Francia e Impero era sempre in atto e la Borgogna fu uno dei teatri di guerra, poiché, nel 1477, dopo la morte
di Carlo il Temerario, si aprì la lotta per la successione. Grazie
soprattutto alle imprese di Filippo il Buono (1419-1467), la Borgogna aveva esteso i suoi domini dall’attuale regione fino ai Paesi
Bassi, l’area più ricca ed economicamente sviluppata in Europa
dopo l’Italia settentrionale; inoltre con Carlo il Temerario erano
state promosse riforme accentratrici con lo scopo di superare la
frammentazione politica. Per rafforzare il sistema di alleanze in
funzione antifrancese, si era stabilito il matrimonio tra l’erede
dell’imperatore Federico III, l’arciduca Massimiliano e la figlia
di Carlo il Temerario, Maria. In questo modo, gran parte dei domini dei Paesi Bassi sarebbero diventati asburgici, ma si inaspriva una già forte rivalità destinata a segnare la storia dell’Europa
dell’età moderna. Con il matrimonio, infatti, Massimiliano si era
impegnato a difendere la Borgogna dall’espansionismo francese,
provocando in qualche misura le resistenze dell’aristocrazia che
aspirava all’annessione con la Francia.
Forte di un’economia commerciale e produttiva, con città e
porti attivi, la Borgogna diede anche i natali a un cerimoniale
di corte insuperato fino alla rivoluzione portata in questo ambito
da Luigi XIV, influendo profondamente sugli Asburgo, prima
su Massimiliano e poi su Carlo in particolare. Nel 1482 con la
morte improvvisa di Maria durante una battuta di caccia, la regione entrava a pieno titolo nei domini asburgici. Nel 1486 Massimiliano fu eletto re dei Romani, primo passo per l’ascesa al
Capitolo 1 - Marte o Venere? Un destino
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trono imperiale, conseguito poi nel 1493. Contemporaneamente
il trattato di Senlis sanciva una spartizione della regione tra Impero e Francia.
Lo scenario politico della penisola iberica
All’inizio dell’età moderna, la penisola iberica era divisa in
cinque stati: Portogallo, Navarra, Castiglia, Aragona e quello
musulmano di Granada. Nel 1469 il matrimonio di Ferdinando
d’Aragona e Isabella di Castiglia non portò alla fusione delle due
corone, sebbene rappresentasse il primo passo per giungere alla
nascita del regno di Spagna. L’unione non fu perseguita attraverso
riforme che portassero all’uniformità amministrativa e politica,
ma proponendo piuttosto una comunanza di idee e valori, come
il falso mito della limpieza de sangre, ovvero della purezza di
sangue senza ‘contaminazioni’ non cristiane. Ostile al progetto di
Ferdinando e Isabella era l’aristocrazia e, contro di questa, i sovrani si appoggiarono alle città, rafforzandone le milizie cittadine
(Santa Hermandad), ostacolo all’anarchia feudale. Altra istituzione fondamentale era quella delle Cortes, dove si riunivano i delegati dei tre ceti (aristocrazia, clero e città) che avevano il compito
di approvare le misure fiscali.
Dal XIV secolo l’Aragona vantava un florido sviluppo commerciale e un assetto istituzionale coeso, basato sul reciproco riconoscimento di limiti e poteri tra sovrano e Cortes. Da un punto di
vista politico, la regione fu animata dallo spirito della reconquista
nelle sue diverse forme di crociata contro l’infedele, spedizioni
militari e migrazione di popolo. E quando l’impresa della reconquista poté dirsi terminata per l’Aragona, dal 1455 essa impegnò
la Castiglia, cui diede caratteri culturali come l’ideale aristocratico. Nel XV secolo le Cortes castigliane, diversamente da quelle
aragonesi, erano soggette alla convocazione da parte del sovrano
e non partecipavano al potere legislativo.
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Carlo V. L’anello, la croce, la spada
Il matrimonio tra Ferdinando e Isabella contribuì a sanare le
gravi ferite inferte a entrambi i regni dalle guerre civili che li
avevano dilaniati. Il dualismo tra le due corone rimase però inalterato, anzi fu accentuato dalle decisioni dei due regnanti: Isabella difese le competenze castigliane fino allo stremo, impedendo
ad esempio che gli aragonesi si unissero all’impresa della colonizzazione, mentre Ferdinando riorganizzò l’assetto istituzionale aragonese-catalano, rinforzandone i caratteri peculiari senza
favorirne l’uniformità amministrativa e giudiziaria. Tuttavia, nel
complesso rapporto di difesa delle competenze e tradizioni specifiche, certamente l’introduzione dell’Inquisizione spagnola nel
1478 rappresentò un primo strumento di unificazione dei due
regni: essa aveva il compito di preservare la purezza della fede,
in particolare di scoprire quegli ebrei che si erano convertiti per
motivi di opportunismo, mantenendo però nel loro intimo la fede
dei padri. Nella penisola iberica da secoli le tre religioni monoteistiche (cristianesimo, ebraismo e islamismo) avevano convissuto
in un clima di tolleranza reciproca, salvo alcuni episodi, finché
i due sovrani cattolici, Isabella e Ferdinando, non decisero di
rompere questa consuetudine, agitando il mito della limpieza de
sangre. La scelta di imporre un regime fiscale diverso per i non
cristiani spinse a conversioni di massa che furono giudicate non
sincere (cripto-giudaismo) e per questo motivo i sovrani chiesero
al papa di riorganizzare il tribunale medievale dell’Inquisizione
su nuove basi, ponendo al suo vertice, però, il potere secolare del
re. L’Inquisizione spagnola, guidando la battaglia contro il cripto-giudaismo, contribuì a cementare l’unione delle diverse popolazioni; con l’uso politico della religione, soprattutto da parte di
Ferdinando, si giunse infine all’estrema conseguenza dell’espulsione degli ebrei, nefasto provvedimento che causò seri problemi
all’economia iberica.
Un altro passo importante verso l’unificazione fu l’avvio nel
1482 dell’azione militare e diplomatica che avrebbe portato a conquistare Granada, dopo dieci anni di battaglie. Inoltre, nel 1486
Capitolo 1 - Marte o Venere? Un destino
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Colombo avanzò la sua prima proposta di finanziamento di viaggio ai sovrani cattolici, inizialmente rifiutata per cautela. La situazione mutò probabilmente quando nel 1491 l’imminente capitolazione di Granada fece sì che i regnanti considerassero sotto una
nuova luce il progetto del navigatore italiano, che si presentava
come una esemplare missione cristiana, la quale avrebbe anche
consentito di intessere nuovi rapporti con i popoli orientali (in
funzione anti-ottomana).
Il 1492 rappresentò dunque un inizio e una fine al contempo,
l’avvio di una stagione imperiale e il tramonto della Reconquista. Con l’impresa di Granada, Isabella riuscì a legittimare la sua
successione − in un primo tempo osteggiata dall’aristocrazia casigliana − e a rendere solido il suo regno con la promessa della
conquista del Nuovo Mondo, che evocava ricchezze inesauribili e
assicurava possibilità impensabili: nuovi cieli e nuovi orizzonti si
schiudevano agli spagnoli. I reconquistadores sarebbero pertanto
divenuti conquistadores.
La Castiglia poteva vantare Granada e le nuove terre scoperte
da Colombo, mentre la politica espansionistica aveva assicurato
all’Aragona la Sardegna, Sicilia e Napoli; pertanto i terminal siriaci delle spezie erano a portata di mano: donde il rifiuto di Ferdinando ad accogliere il progetto della navigazione atlantica.
Il matrimonio produsse anche ricadute nella politica estera castigliana: l’ostilità di Ferdinando nei confronti della Francia portò
Isabella a uscire da quella tradizionale alleanza con i francesi e a
condividere i progetti del marito di unioni dinastiche con il Portogallo, vagheggiando l’unione della penisola iberica sotto un’unica
corona: i due perseguirono questo sogno con tenacia, malgrado
i fallimenti dovuti a morti premature e disgrazie dei loro eredi.
Inoltre, i legami matrimoniali con gli Asburgo furono facilitati dalla decisione francese di scendere in Italia: l’intento era di
recuperare Napoli, donde nel 1441-1442 gli aragonesi avevano
scalzato gli angioini. Nel 1494 la discesa dell’esercito di Carlo
VIII apriva le guerre d’Italia e involontariamente rafforzò l’alle-
12
Carlo V. L’anello, la croce, la spada
anza asburgico-iberica in funzione antifrancese. I figli dei sovrani
cattolici, Giovanni e Giovanna, furono destinati a sposare quindi
degli Asburgo, Margherita e Filippo il Bello, figli dell’imperatore Massimiliano. Nel 1496 il matrimonio tra Filippo il Bello e
Giovanna di Castiglia venne allietato da un sincero sentimento
d’amore reciproco. Tuttavia, la morte improvvisa nel 1497 di Giovanni cambiò radicalmente i progetti dinastici dei sovrani spagnoli, le cui aspirazioni dovettero concentrarsi sul nipote Carlo,
nato il 24 febbraio 1500 da Filippo e Giovanna.
Nel 1501 Filippo e Giovanna giunsero in Spagna e qui ebbe
luogo la prima occasione di scontro tra Ferdinando e il genero
per questioni dinastiche, donde il ritorno di Filippo nelle Fiandre, l’anno seguente. Da perfetto principe borgognone, amante dei
tornei e attento alla simbologia del potere (rinomati erano i suoi
ingressi trionfali nelle città), Filippo il Bello seppe giostrarsi tra
i due partiti presenti all’interno della corte, quello filo-francese e
quello anglofilo.
Nel 1504 Isabella di Castiglia morì lasciando precise disposizioni sulla sua successione: vincolando il potere di Filippo e
ipotizzando l’incapacità di Giovanna, ella aveva posto forti limiti all’ascesa al potere; inoltre, al raggiungimento dei venti anni,
la Castiglia sarebbe andata a Carlo. Per poter collegare i domini
borgognoni con quelli di Castiglia, Filippo decise, in seguito alla
morte di Isabella, di avvicinarsi alla Francia: in quest’ottica propose il matrimonio di Carlo con una principessa francese, nell’intento di recuperare il ducato di Milano perso nel 1499. L’attività
di Filippo spinse Ferdinando a rivedere il suo orientamento antifrancese e così nel 1505, dopo aver avuto l’incarico di amministratore della Castiglia da parte delle Cortes, Ferdinando cambiò
drasticamente fronte e si garantì il possesso di Napoli mediante
un trattato con la Francia di Luigi XII (al contempo, la promessa
di nozze tra Carlo e una principessa francese fu sciolta) e le entrate castigliane in cambio della cessione della reggenza a Filippo,
dopo la dichiarazione di incapacità di Giovanna.
Capitolo 1 - Marte o Venere? Un destino
Massimiliano Asburgo
∞
Maria di Borgogna
Filippo il Bello
∞
13
Ferdinando d’Aragona
∞
Isabella di Castiglia
Giovanna la Pazza
Carlo
Due errori minarono il potere di Filippo in Castiglia: l’ammissione nel Conseil privè di diversi esponenti dell’aristocrazia
fiamminga e la decisione, per far fronte alle necessità finanziarie,
di vendere uffici che furono acquisiti da fiamminghi; si trattò di
due misure che provocarono insofferenza e malumore da parte
dei castigliani.
Di lì a poco tuttavia (1506), l’improvvisa morte di Filippo riportò Ferdinando alla guida della Castiglia. Fu il consiglio di reggenza presieduto dall’arcivescovo di Toledo, Francisco Jiménez
de Cisneros, a invocare l’intervento di Ferdinando, poiché il lutto
fece precipitare le condizioni di salute mentale di Giovanna, donna sensibile e terribilmente gelosa, molto legata al marito e che
visse da quel momento in continuo isolamento. Nell’autunno del
1509 Ferdinando fece portare la figlia Giovanna − che in nove
anni aveva dato alla luce sei figli − presso il castello di Tordesillas, dove rimase rinchiusa fino alla morte, avvenuta nel 1555.
L’immagine della follia di Giovanna è stata tramandata grazie a
una serie di aneddoti drammatici e raccapriccianti, come quello
del corteo funebre di Filippo che attraversò la Spagna nottetempo
con la vedova disperata che, a ogni tappa, voleva accertarsi della
presenza del corpo del marito morto nel feretro. Pur nella sua
particolarità macabra, l’uso di narrazioni di episodi e aneddoti al
fine di legittimare scelte politiche non era certo nuovo. Stando ai
racconti che fiorivano, lo zio di Carlo, Giovanni, sarebbe morto in
seguito alla travolgente e inesauribile passione amorosa per la mo-
14
Carlo V. L’anello, la croce, la spada
glie (quella Margherita che tanta parte ebbe nella politica asburgica); tali eccessi consumarono il giovane che si spense come una
candela. Qualche anno dopo per le medesime ragioni si sarebbe
spento anche Raffaello.
La formazione di Carlo
In seguito alla morte del padre, all’età di sei anni Carlo ereditava la corona dei Paesi Bassi: gli Stati generali del paese furono investiti dalla questione della successione e accolsero favorevolmente la designazione come reggente di Margherita, figlia di
Massimiliano d’Asburgo, che a ventiquattro anni era già vedova per la seconda volta. Margherita trasmise al nipote capacità
diplomatiche e di governo piuttosto che affetto e gli inculcò la
conoscenza e condivisione dei valori borgognoni: donna di grande intelligenza politica − come emerge dalla corrispondenza che
intrattenne con il padre − ferma e lungimirante nelle sue scelte, Margherita fu anche l’artefice dell’alleanza tra i Paesi Bassi e
l’Inghilterra che aveva, tra l’altro, una solida base nella politica
commerciale. La reggente si scontrò a più riprese con le pretese
aristocratiche, ma seppe muoversi abilmente confidando nel sostegno di consiglieri come Mercurino da Gattinara. Tuttavia, la
crescente presenza e influenza a corte di Guillaume de Chièvres,
notoriamente filo-francese, compromise il buon andamento della
politica di Margherita che si trovò spesso vittima di trame ordite
dagli aristocratici e costretta a concessioni verso il fiammingo,
che poteva contare sull’appoggio degli Stati generali. Le continue
guerre e le conseguenti esigenze militari rendevano necessario
infatti ricorrere proprio agli Stati generali, onde ottenere l’approvazione di nuove tasse.
Carlo crebbe senza i genitori, con le sorelle Eleonora, Maria e
Isabella, e subì il prestigio del nonno Massimiliano che rappresentava e incarnava il perfetto cavaliere borgognone: il nipote riprese
Capitolo 1 - Marte o Venere? Un destino
15
l’attitudine dell’imperatore, rivelandosi maggiormente incline agli
esercizi fisici e all’equitazione che non alla meditazione; e questo
nonostante non avesse un fisico particolarmente prestante. Ancora, su Carlo esercitò un sicuro fascino l’ordine del Toson d’oro, del
quale entrò a far parte dall’età di nove anni, per diritto di nascita.
Com’è noto, dopo la conclusione delle crociate erano sorti diversi
ordini cavallereschi: dopo quello di San Giorgio, e quello della
Giarrettiera, nel 1430, forte delle proprie risorse economiche, Filippo il Buono istituì quello del Toson d’oro, con il proposito di
crearne uno più ambito degli altri. La scelta del nome richiamava
gli Argonauti di Giasone e indicava gli ideali ispiratori di onore e
di guerra contro i nemici della Chiesa, in primo luogo gli infedeli.
Inoltre, con l’istituzione dell’Ordine si rispondeva all’esigenza di
legittimazione del potere di Filippo con il richiamo alle origini
troiane. Progressivamente l’Ordine riuscì a conquistare anche il
diritto di intervenire negli affari politici. Vi erano ammessi esclusivamente i principi e i membri dell’alta aristocrazia, ma Carlo
se ne servì successivamente ammettendo anche membri spagnoli:
diventò così uno strumento per garantirne la lealtà, fungendo da
potente mezzo di coesione sociale.
Sin dai primi resoconti diplomatici sulla figura di Carlo fanciullo e adolescente, l’impetuosità, che avrebbe caratterizzato gli
anni successivi, insieme al tratto malinconico e cupo, colpiscono
gli osservatori. Dal punto di vista fisico, gli sguardi si appuntavano sul volto magro, sugli occhi vicini e sulla mascella inferiore sporgente a tal punto da impedire una corretta chiusura della
bocca, difficoltà che aveva conseguenze sull’eloquio che risultava pressoché incomprensibile. Nella descrizione dell’imperatore
(1525), l’ambasciatore veneziano Gasparo Contarini, dopo aver
esaminato i caratteri del fisico di Carlo, non trascurava di mettere
in evidenza il difetto su cui molti indugiarono: «né in lui altra
parte del corpo si può incolpare, eccetto il mento, anzi tutta la
mascella inferiore, la quale è tanto larga, e tanto lunga, che non
pare naturale di quel corpo, ma pare posticcia, onde avviene che