3. Antropos

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3. Antropos
La crisi economica mondiale:
una lettura estetico - cristiana
Diego Furgeri
Economia e Immagine! Diego Furgeri ci spiega che esiste una relazione fra l’affermarsi
della cosiddetta civiltà mediatica dell’apparire e la “finanziarizzazione” dell’economia. Egli
suggerisce una chiave interessante per leggere la crisi economica mondiale. Seguiamo la
riflessione passo passo per comprendere come la relazione tra la cultura dell’apparire e
l’economia abbia orientato quest’ultima verso l’elaborazione di sistemi irreali, mentre,
nell’ambito della comunicazione, l’Immagine sia divenuta idolo mediatico e culturale.
Vogliamo sostenere una tesi provocatoria: l’odierna crisi economica mondiale è stata
causata dal fatto che i principi estetici e illusori della “Civiltà dell’immagine” sono entrati
a far parte anche del mondo dell’Economia, intesa come scienza, fino a contagiarne nel
profondo i meccanismi di funzionamento.
Esiste cioè una relazione fra l’affermarsi della cosiddetta civiltà mediatica dell’apparire e
la “finanziarizzazione” dell’economia.
Partiamo dalle radici antiche del problema per cercare di mostrare come un progressivo
allontanamento dalla concezione greca e cristiana dell’Economia abbia prodotto lo sfacelo
economico attuale. Esso è sorto, come si sostiene da più parti, dal collasso del sistema
finanziario che ha portato dietro di sé anche quello dell’economia reale.
Il termine economia deriva dal greco e significa letteralmente “amministrazione della
casa”. Il mondo domestico era l’ambito di valore dell’economia. Per i greci: fare economia
significava applicarsi per la gestione razionale e pratica delle questioni inerenti il buon
funzionamento della casa.
Su questa base gestionale e amministrativa, la parola Economia ritorna a fare il suo
potente e rinnovato ingresso nella storia della cultura occidentale grazie alla riflessione
teologica dei Padri della Chiesa.
E questo ben oltre un millennio prima rispetto ai pensatori cui tradizionalmente viene
attribuito il merito di avere dato vita alla “scienza economica” come Adam Smith,
Mandeville, Ricardo ed altri.
È stata la teologia cristiana infatti ad aver introdotto il concetto di “economia della
salvezza” e di “economia trinitaria” nella riflessione su Dio e sulla storia dell’uomo. Lo ha
fatto nel momento in cui ha definito l’Incarnazione come il momento più profondo
dell’adattamento di Dio all’uomo (i Padri latini traducevano “economia” con “adaequatio”).
Dio si adegua, si adatta alla limitatezza umana, entra nel mondo e nei suoi meccanismi
di funzionamento fisico e persino giuridico (pensiamo al processo davanti al Sinedrio) e lo
fa sino ad assumere su di sé la morte, la morte di croce. È questa l’economia del mistero
salvifico e la sua forza consiste nell’entrare nel mondo con un realismo assoluto che non
nega nessun aspetto della vita, appunto perché è un adattarsi umano, reale e non
ideologico o intellettuale.
In senso trinitario poi, l’economia spiega come Dio possa esistere in tre persone proprio
perché il principio del suo darsi è un principio di adattamento mobile, tutt’altro che
statico: la sua economia di manifestazione passa attraverso le tre persone del Padre, del
Figlio incarnato e dello Spirito Santo cooperante in una versione estremamente dinamica
del progetto salvifico di Dio nella storia dell’uomo.
Economia non è quindi una scienza ideologica ma è una capacità di gestire,
amministrare, e meglio ancora, servire nella casa che ci è stata affidata dal Padre.
I Padri della Chiesa parlano di economia della passione come del compimento di un
incarico.
L’avverarsi del piano divino sull’uomo passa pertanto attraverso una modalità molto
pratica, viva e reale di funzionamento che trova il momento più alto quando Dio prende
le sembianze umane.
A dispetto e in dimenticanza di queste radici spirituali e teologiche, la scienza economica
occidentale, già dal suo sorgere, nel XVIII secolo, non si è “limitata” ad una descrizione
dei possibili interventi gestionali sulla realtà ma ha cominciato a creare idee (immagini
soggettive della realtà) che sono confluite in teorie economiche a cui si è affidato
progressivamente il compito di piegare la realtà all’idea, come la forma estetica di una
statua è piegata all’idea di bellezza che si ha nella mente.
La tendenza “idealistica” dell’economia verso formule, teorie e dottrine economiche è
proceduta attraverso una serie inesorabile di progressive astrazioni, affidandosi a
“immagini” della realtà.
La più antica astrazione concettuale in materia economica è stata, in fondo, la
transizione dal baratto allo scambio attraverso l’invenzione del denaro.
L’ingresso della cartamoneta, con la quale il denaro non ha più alcun valore materiale
ma diventa solo simbolico, segna il secondo passaggio fondamentale che sfocia
velocemente nel ricorso all’assegno e alla cambiale e cioè a forme di astrazione ideale
ancora più alte. La nascita delle borse e l’ingresso trionfante della dimensione finanziaria
dell’economia hanno dato il via all’epoca contemporanea.
L’ultimo sviluppo parossistico è stato il concetto di “finanza creativa” attraverso la quale
è l’immagine degli sviluppi futuri attesi dei movimenti finanziari a informare le azioni
economiche. Il prodotto finanziario che va sotto il nome di future è, forse, il punto più
profondo della tendenza “immaginifica” (nel senso letterale che si diceva) perché consiste
nell’operare sul mercato attraverso prodotti che non esistono al presente, e non hanno
una reale copertura economica, ma sono il frutto di una proiezione, di una
rappresentazione circa il futuro, concepito e sfruttato attraverso l’immagine che si ha di
esso. L’economia non è più quindi un adattamento e un ingresso nelle regole di
funzionamento e gestione della realtà della vita economica ma è diventata un costante
esercizio di proiezione sulla realtà di immagini create ad arte.
Marx sosteneva che il lavoro e la terra sono una merce. Esiste forse un’astrazione più
idealistica di questa? Rispondiamo con Karl Polanyi: “Il lavoro è soltanto un altro nome
per una attività umana che si accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non è
prodotta per essere venduta ma per ragioni del tutto diverse. La terra è soltanto un altro
nome per la natura che non è prodotta dall’uomo. Nessuno di questi elementi è prodotto per
la vendita. La descrizione, quindi, del lavoro e della terra come merce è interamente
fittizia”.
Concludiamo con il concetto/simbolo universale della tendenza su esposta: la teoria della
“mano invisibile” di Adam Smith, secondo la quale il mercato è una grande macchina che
si autoregola. I singoli individualismi ed egoismi, attraverso la spietata legge della
domanda e dell’offerta, concorrono, si direbbe quasi provvidenzialmente, al bene comune
in forza di un meccanismo invisibile che disegna la realtà degli scambi economici.
Ad uno sguardo libero da ideologie, questa è una teoria la cui plausibilità è tutta da
dimostrare mentre invece risulta molto chiara la sua derivazione “artistico-creativa”. Il
concetto di “mano invisibile” era invocato infatti dall’artista prima di accingersi all’opera:
l’ideale supremo consisteva cioè nella capacità di rendere una creazione talmente perfetta
fino al punto di celare qualsiasi traccia di intervento umano. In senso cristiano le opere
d’arte perfette che rispondono a questi canoni esecutivi sono la Veronica e la Sindone,
definite come “acheropite”, vale a dire “non create da mano d’uomo”. Ma l’immagine di Dio
non creata da mano d’uomo è, in senso ancora più profondo, il Cristo vivente.
Il suo disegno, visibile ed invisibile al tempo stesso, riguardo la storia dell’umanità è
quello della sua Provvidenza “economica”. Nessuna “mano invisibile”, che pretende di
modellare il mondo reale come un’opera d’arte, potrà sostituirsi al disegno “economico”
della salvezza nel perseguire la pienezza di vita. L’economia, che come oscura e occulta
ideologia, pretende di piegare la realtà, non riesce del tutto a nascondere la propria
natura e, distaccandosi dal mondo, non aiuta a renderlo funzionale in modo sano,
piuttosto contribuisce a metterlo in grave crisi.
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