Etica delle virtù e cultura medica contemporanea Prospettive etico-antropologiche della medicina clinica Nunziata Comoretto* Non si può pensare soltanto con un frammento di verità, bisogna pensare, con tutta la verità. Karol Wojtyła, Fratello del nostro Dio La nascita della bioetica negli ultimi decenni dello scorso secolo ha contributo all’approfondimento della riflessione etico-antropologica in ambito medico, portando soprattutto all’elaborazione di metodologie di analisi morale dei casi clinici.1 Nonostante tali sviluppi, a tutt’oggi persiste un diffuso disorientamento pratico e una sfiducia crescente dinanzi alle capacità della medicina di incontrare realmente i bisogni della persona malata. In realtà, non mancano né le conoscenze scientifiche, né gli strumenti tecnologici e nemmeno le regole etiche; pare invece mancare l’“umanità” della medicina. D’altro canto la particolare vulnerabilità cagionata dalla condizione di malattia fa sì che il paziente si affidi non solo alle possibilità offerte dalla tecnica medica, ma (soprattutto) all’agire buono, o meglio, virtuoso, del medico. Il medico virtuoso è, infatti, colui che * Officiale Aiutante di Studio, Sezione Bioetica, Pontificia Accademia per la Vita (Città del Vaticano) e visiting researcher del Programma di Ricerca “ATLANTES: dignità umana, infermità cronica e cure palliative”, Istituto Cultura e Società, Università di Navarra, Pamplona (Spagna) (recapito per la corrispondenza: [email protected]). Il contributo è stato accettato per la pubblicazione in data: 22.11.2015. 1 Cfr.: BEAUCHAMP TL, CHILDRESS JF. Principi di etica biomedica. Firenze: Le Lettere; 1999; JONSEN AR, SIEGLER M, WINSLADE WJ. Clinical ethics. New York: McGraw-Hill; 1992. Medicina e Morale 2015/5: 805-821 805 N. COMORETTO non solo conosce cosa deve fare nella situazione concreta, ma effettivamente lo fa, con fermezza e costanza, senza venir meno di fronte agli ostacoli. Le virtù morali, infatti, implicano l’eccellenza tanto della ragione quanto del carattere di colui che agisce. Non stupisce allora che l’attenzione alle virtù morali abbia sempre costituito un elemento centrale nell’elaborazione dell’etica medica tradizionale, al punto che l’atteggiamento morale del medico, fin dall’epoca classica, è stato assunto a paradigma delle virtù umane anche in altri ambiti.2 L’etica medica contemporanea, recepita dalla bioetica, si caratterizza invece per lo sviluppo di approcci etici proceduralisti che, in generale, rifiutano di assumere una visione chiara del bene umano e professionale da realizzare. Rispetto a questi ultimi, maggiormente interessati alla “correttezza” dell’azione, l’etica delle virtù si preoccupa di rendere “buona” la persona che agisce. Pertanto, indicare oggi l’etica delle virtù come modello per lo sviluppo dell’etica clinica significa riportare l’attenzione soprattutto sull’essere del medico in quanto fonte del suo agire. Molteplici, ad ogni modo, sono le ragioni che suggeriscono il recupero di un’etica delle virtù nella cultura medica contemporanea. Una prima ragione è di natura antropologica e riguarda la necessità di promuovere una visione unitaria della razionalità umana – unica possibilità per cogliere il bene in tutta la sua profondità – contro i suoi riduzionismi in senso puramente strumentale. La logica strumentale applicata all’elaborazione del giudizio morale in bioetica ha dato forma al principialismo nord-americano, modello etico elaborato da T. Beauchamp e J. Childress3 che ha riscosso un notevole suc2 Ad esempio, il legislatore veniva spesso paragonato al medico dello stato, il filosofo al medico dell’anima, etc. Cfr.: LIDZ JW. Medicine as a metaphor in Plato. The Journal of Medicine and Philosophy 1995; 20 (5): 527-541. 3 Cfr.: BEAUCHAMP, CHILDRESS. Principi di etica…. Il paradigma principialista, sviluppato da T. Beauchamp e J. Childress alla fine degli anni ’70, poggia su quattro principi: non maleficienza, beneficialità, autonomia e giustizia. La caratteristica principale è il valore prima facie dei principi: essi sono validi e vincolanti in linea generale, ma in caso di conflitto non è stabilito quale di essi avrà la priorità; esclusa ogni gerarchia oggettiva di valori, tale priorità dipenderà dalla particolare situazione, che comporterà un diverso bilanciamento dei principi, a seconda soprattutto delle conseguenze connesse con le decisioni che si ispirano ad uno o ad un altro principio. A partire dai primi anni ’90 il modello principialista diviene oggetto di importanti critiche. K.D. Clouser e B. Gert (A critique of principlism. The Journal of Medicine and Philosophy 1990; 15: 219-236) hanno presentato la critica probabilmente più articolata, affermando che il “principialismo” – termine da essi coniato per indicare proprio quel particolare 806 Medicina e Morale 2015/5 ETICA DELLE VIRTÙ E CULTURA MEDICA CONTEMPORANEA cesso. Una seconda ragione che spinge a guardare ad un’etica delle virtù è di tipo culturale: proprio la crisi della razionalità che sta vivendo l’epoca contemporanea ha dato luogo ad una polarità irriducibile tra scientismo e scetticismo, che nell’esistenza concreta di molte persone si traduce di fatto in una crisi di senso oltre che in un disorientamento pratico. Una terza ragione che può motivare un lavoro dedicato all’etica delle virtù ed in particolare alla virtù della prudenza in ambito medico scaturisce dall’esigenza di umanizzazione intrinseca alla medicina stessa la quale, investita dalla logica tecnicistica, reclama con urgenza la necessità di porre il concetto di “bene” al centro del proprio agire. Una ragione antropologica Le impostazioni etiche proceduraliste, oggi ampiamente diffuse nell’ambito dell’etica clinica, nascendo da una visione riduttiva dell’agire, non sono in grado di mettere in luce la complessità della vita approccio basato sui principi elaborato da T. Beauchamp e J. Childress – è in errore per il modo di concepire la natura del ragionamento morale e risulta ingannevole nell’individuare i fondamenti dell’etica. Poiché manca una vera teoria morale a fondamento del principialismo, manca anche la possibilità per i principi di costituire una guida unitaria per l’agire pratico, una guida cioè che sia precisa, chiara, coerente e comprensiva dell’ampiezza dell’intero agire morale. Il principialismo offre, dunque, un modello proceduralista del ragionamento morale poiché si astiene da qualsiasi domanda teorica significativa sulla natura e sulla fondazione del processo del ragionamento e della giustificazione morale, dirigendosi invece direttamente verso l’identificazione di un insieme di principi che si ritengono presenti, e pertanto giustificati, in gran parte delle principali teorie della moralità. Ciò che principalmente emerge dal testo di Beauchamp e Childress è questo rifiuto deliberato di un impegno profondo con gli aspetti teorici fondamentali della teoria etica, trascurando completamente l’analisi metaetica a favore di una analisi delle regole. Tuttavia, se è vero che alcuni aspetti di metaetica possono non essere di rilevanza immediata per l’etica normativa, in una discussione seria delle questioni morali non è possibile ignorare completamente le considerazioni relative alla natura e al processo della giustificazione morale. Quando, ad esempio, i principi sono in conflitto – quando cioè nella situazione concreta non sia possibile realizzare nella stessa misura tutti i beni umani in gioco – è possibile procedere nella discussione normativa solo se al di là di una basilare comprensione del processo del ragionamento morale esiste anche un percorso per stabilire la priorità tra i principi e delle indicazioni su come tale percorso possa essere difeso. L’analisi morale, in altre parole, non può essere confinata ad un processo di identificazione ed applicazione di principi morali, per quanto articolato questo processo possa essere, escludendo o svolgendo in modo insufficiente il lavoro essenziale per derivare le basi, il significato e gli obiettivi di questi principi, in altre parole senza avere un quadro antropologico di riferimento. Medicina e Morale 2015/5 807 N. COMORETTO morale, finendo piuttosto per tradire la specificità di ciò che nell’agire umano è propriamente morale.4 Alla base degli orientamenti etici proceduralisti si osserva, infatti, una ben precisa scelta metaetica: evitare il riferimento ad una teoria etica, cioè, ad una teoria del “bene” per l’uomo. Ciò significa, ancora più alla radice, il rifiuto dell’idea, cruciale per gran parte della filosofia antica e medievale, che la vita umana sia definita da un telos.5 Storicamente la tendenza ad esaltare una logica strumentale/procedurale – e a disprezzare, invece, la ragione pratica e contemplativa – può essere fatta risalire alla prospettiva morale che si è sviluppata a partire dalla modernità. Il declino delle concezioni teleologiche che ha preso avvio in tale epoca, può essere compreso da un lato come conseguenza della scienza e dell’epistemologia moderne, ma dall’altro riflette una nuova comprensione della situazione morale e spirituale dell’uomo.6 La scissione tra “fatto” e “valore” – a cui consegue quella humiana tra ought e is, tanto tenacemente richiamata dai sostenitori del proceduralismo contemporaneo – è anzitutto una tesi teologica, avanzata per difendere la libertà di scelta divina. Nella nuova prospettiva della modernità, – che trasferisce sull’uomo questa assoluta libertà di scelta – i fini forniti dalla natura trovano la loro dignità nel fatto che vengono perseguiti sotto il controllo di una 4 Cfr.: SANGUINETI JJ. Crisi di senso nella tecno-scienza contemporanea in CHALMETA G (a cura di). Crisi di senso e pensiero metafisico. Roma: Armando; 1993: 31-32. 5 Cfr.: TAYLOR C. Etica e umanità. Milano: Vita e Pensiero; 2004: 279. 6 Certamente la “meccanicizzazione” del mondo favorita dallo sviluppo del metodo sperimentale può aver minato le spiegazioni teleologiche della fisica e della biologia aristoteliche; tuttavia, il fatto di non spiegare più il movimento dei pianeti in termini teleologici non implica di per sé che non sia possibile comprendere gli esseri umani e la loro vita morale secondo questa prospettiva, non impedisce cioè una comprensione dell’etica in termini di telos. Pertanto, se da un lato il dissolversi progressivo della ragione pratica e contemplativa può essere stato favorito dalle nuove teorie scientifiche, informate da un principio pragmatico anziché veritativo – successivamente la ragione pragmatica che informa la scienza pretenderà di essere anche ragione veritativa – dall’altro lato è necessario riconoscere una direttrice d’influenza in senso opposto, che porta cioè ad accettare il meccanicismo del Seicento per ragioni teologiche. Il meccanicismo proponeva infatti una visione totalmente neutrale dell’universo, in attesa di ricevere i fini tramite un ordine divino. Ciò si accordava bene con alcune correnti teologiche dell’epoca, come quella proposta da Guglielmo d’Occam, ma anche con le teorie gianseniste e protestanti che, con il loro senso di impotenza della ragione umana decaduta, apriranno di fatto le porte ad una nuova comprensione della relazione tra ragione umana e volontà divina. 808 Medicina e Morale 2015/5 ETICA DELLE VIRTÙ E CULTURA MEDICA CONTEMPORANEA ragione calcolante, che assume il governo del mondo oggettivizzandolo e assoggettandolo attraverso procedure di pensiero, soprattutto procedure che adeguano i mezzi ai fini. Non vi è più un ordine cosmico, non vi sono più fini che la ragione può riconoscere, ma solo una dignità umana che significa sovranità raziocinante. Nella prospettiva della razionalità strumentale, dunque, la realtà è considerata un insieme di forze calcolabili e utilizzabili da parte dell’uomo secondo la sua discrezione, cancellando completamente l’idea di una finalità intrinseca alle realtà esistenti. Questo approccio, che “identifica nella tecnica la formalità fondamentale dei rapporti pratici con il reale”,7 presenta toni di particolare gravità quando applicato all’essere umano, la cui realtà viene ridotta a ciò che è raggiungibile dalle scienze empiriche e dalla logica strumentale. L’elevazione della “ragione metodica” a paradigma del pensare umano – cioè il porre come essenziale conoscitivo un metodo che permetta di avanzare nella conoscenza senza errore – è comune anche all’etica clinica che, nella prospettiva oggi dominante, come si è detto, si riduce per lo più ad un interesse per lo sviluppo di procedure di analisi e valutazione dei casi clinici. A questo punto bisognerà precisare che nell’etica clinica, in quanto scienza pratica, ci si può certamente avvalere anche di una logica strumentale (ad es., comparando l’efficacia di diversi mezzi terapeutici, in relazione ad un fine medico che si intende raggiungere), ma non sarebbe corretto ridurre l’etica a tale logica (il bene, in altre parole, è un concetto più ampio della sola efficacia). È necessario invece aprirsi alla dimensione metafisica dell’intelletto, che consente di “conoscere”8 l’atto che si va a compiere nella sua identità (un mezzo terapeutico potrebbe essere più efficace rispetto ad altri nel controllo di un sintomo, ma potrebbe violare altri beni umani rilevanti; questo, ad esempio, è il nucleo del dibattitto sulla cd sedazione palliativa o terminale). Anche nell’agire clinico diviene dunque sempre più urgente recu7 8 ROMERA L. Introduzione alla domanda metafisica. Roma: Armando; 2003: 26. Proprio tale “conoscenza” consente di collocarsi nella prospettiva etica della “prima persona”, cioè del soggetto agente – prospettiva alla base dell’etica delle virtù – anziché nella prospettiva della “terza persona”, come avviene nel caso in cui si riconducesse (e riducesse) l’etica ad una mera osservanza di procedure. Medicina e Morale 2015/5 809 N. COMORETTO perare una visione unitaria della ragione, ma per conseguire ciò è prioritario ristabilire i dovuti rapporti tra pensiero logico-razionale e pensiero metafisico; solo quest’ultimo, in realtà, consente alla ragione di svilupparsi in tutta la sua profondità. L’intelligenza, infatti, non si limita a raccogliere l’informazione empirica e nemmeno ad elaborare modelli puramente logico-formali a partire da tali informazioni, ma possiede una costitutiva dimensione ermeneutica. Per questo, nella conoscenza pratica rilevano non solo la certezza razionale, ma anche altre modalità di ragione, come ad esempio, il giudizio prudenziale, cuore di un’etica delle virtù, il quale implica di riconoscere il senso che possiede un’azione libera e non solo di indicare una spiegazione sulla base di nessi di causalità. Ciò che manca alle più comuni prospettive etico-cliniche è proprio questa disponibilità a collocare il dato fattuale entro un orizzonte metafisico. Difatti, una prima deviazione a cui va incontro l’elaborazione del giudizio morale, una volta esclusa la prospettiva metafisica dell’azione, è quella genericamente posta sotto il nome di visione “fisicista” della morale, in cui l’ordine naturale per l’uomo è inteso come mero ordine fisico, non come ordine colto dalla ragione. Si dimentica tuttavia che nell’essere umano la ragione è parte della natura (la natura umana è una natura ragionevole) e, a sua volta, il naturale, in senso etico, è ciò che è colto come tale dalla ragione. Sulla scia di una visione fisicista dell’atto umano si collocano tutti gli approcci proporzionalisti (o consequenzialisti) i quali operano una separazione degli elementi dell’atto morale, scindendo l’azione esterna dalla sua dimensione intenzionale, termini inseparabili, correlati e complementari di un atto che nella prospettiva di colui che agisce è in sé unitario. 9 Se si ammette solo l’ordine fisico della 9 Va precisato che l’analisi metafisica di per sé non ci dice se un dato atto, ad esempio un atto medico, è morale o meno; ci dice però che cos’è un atto medico. Ogni atto medico che viene compiuto, tuttavia, è morale o immorale. Non comprendere la struttura metafisica dell’atto medico - la verità dell’atto medico, cioè l’insieme dei beni inseparabili che gli appartengono costitutivamente: la vita o il miglioramento delle condizioni di salute del paziente, il patrimonio di conoscenze e abilità tecniche specifiche, etc. – conduce inevitabilmente anche a valutazioni morali erronee. Agire, infatti, contro uno dei beni costitutivi dell’atto medico, significa percepire quel bene non come tale, ma come un male (poiché la sinderesi ci guida ad evitare il male): nell’eutanasia, la vita del paziente è percepita come un male; nella contraccezione e nell’aborto, l’esistenza del figlio è percepita come un male. Poiché è irragionevole agire contro un bene, coloro che praticano l’eutanasia o la contraccezione agisco- 810 Medicina e Morale 2015/5 ETICA DELLE VIRTÙ E CULTURA MEDICA CONTEMPORANEA realtà, escludendo invece l’ordine metafisico, è naturale giustificare l’eutanasia della persona anziana o malata, dal momento che quell’organismo possiede oramai una scarsa funzionalità, che non giustifica l’impiego di risorse per il suo accudimento. E d’altro canto, dal punto di vista dell’atto morale, permettere ad un paziente di morire e far morire un paziente costituiscono fondamentalmente lo stesso atto poiché il risultato finale, in entrambi i casi, è un paziente morto. Questa è una conseguenza ovvia, di un approccio fisicista, che escluda la dimensione intenzionale (cioè metafisica) dell’atto umano. È chiaro che se ciò che il medico “vuole”, in entrambi i casi, è un paziente morto, allora non c’è alcuna differenza morale. Ancora una volta si vede chiaramente come sia l’intenzionalità a specificare l’oggetto morale (da cui, principalmente, dipenderà la valutazione morale dell’atto). La virtù che evita tale disordinata divisione tra la verità (ordine metafisico) e il bene (ordine pratico) è la virtù della prudenza. La prudenza, infatti, è l’unica virtù ad essere sia intellettuale che morale; più nel dettaglio, essa è la virtù intellettuale che riguarda le azioni morali. È una virtù intellettuale poiché concerne ciò che è vero ed è una virtù morale poiché concerne ciò che è buono nel comportamento umano. È, infatti, la determinata predisposizione e capacità di vedere la realtà per quello che è (e nella totalità del suo essere, non parzialmente), che ci rende capaci di formulare giudizi che guidano le nostre azioni al possesso del bene. Come si è detto, tuttavia, la metafisica, con riferimento all’etica, non deve essere intesa come la premessa di un sillogismo che conclude con un imperium; piuttosto metafisica ed etica sono inestricabilmente unite come forma e materia: entrambe sono aspetti di un’unica realtà, la persona che agisce.10 no contro il bene della vita del paziente o contro il bene procreativo come se questi fossero un male. Si tratta, quindi, in fondo, di una errata lettura della realtà: un equivoco metafisico causa di conseguenze gravi nell’ordine morale (si arriva a considerare un bambino come se fosse un male, un malato come se fosse qualcosa da evitare). 10 Cfr.: HAAS JM. Metafisica, etica e prudenza in ROMERA L (a cura di). Ripensare la metafisica. Roma: Armando; 2005: 31-41. Medicina e Morale 2015/5 811 N. COMORETTO Una ragione culturale Come si è fin qui visto, l’etica occidentale contemporanea costituisce “un nuovo progetto di fondazione filosofica dell’esistenza morale”, che scaturisce dalla frammentazione del sapere, in particolare dal progressivo venir meno di una concezione comune e unitaria degli ideali supremi della vita umana e da “un profondo scardinamento del rapporto intenzionale della coscienza verso la verità dell’essere”.11 Una volta esclusa la metafisica, anche laddove si comprenda il contenuto di una norma morale, spesso non se ne coglie il senso poiché la dimensione personale e interiore dell’agire umano è consapevolmente accantonata. Tale visione antropologica caratterizza fortemente il panorama culturale oggi dominante, che oscilla tra scientismo e scetticismo. È per tutti evidente come il rapporto conoscitivo con noi stessi, con gli altri e con il mondo sia oggi fortemente mediato dalla cultura scientifica. In larga parte dell’opinione pubblica, infatti, le scienze sperimentali costituiscono la vera rappresentazione del mondo e la spiegazione ultima del funzionamento della realtà: scienza e tecnica sapranno risolvere tutti i problemi della società, poiché l’uomo, unico padrone del suo destino, con la razionalità scientifica saprà costruire un mondo sempre più perfetto.12 Tale impostazione culturale, nota con il nome di “scientismo”, è sorta come “degenerazione” dello spirito scientifico della modernità ed è divenuta un modello culturale dominante nel corso del XIX secolo. Lo scientismo si presenta come un’ideologia totalizzante dal momento che il sapere scientifico condiziona gli altri saperi e le radici stesse della cultura. Si rifiuta di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione ogni altra forma di sapere (religioso, etico, estetico, etc.); i valori sono espressione dell’emo- 11 RODRIGUEZ-LUÑO A. La risposta del pensiero metafisico alla crisi di senso dell’etica contemporanea: l’essere come libertà in CHALMETA (a cura di). Crisi di senso…: 77. 12 Cfr.: GISMONDI G. Tecnologia in TANZELLA NITTI G, STRUMIA A (a cura di). Dizionario interdisciplinare di scienza e fede. Roma: Urbaniana University Press; 2002: 1352-1353. 812 Medicina e Morale 2015/5 ETICA DELLE VIRTÙ E CULTURA MEDICA CONTEMPORANEA tività e le domande circa il senso della vita appartengono al dominio dell’irrazionale o dell’immaginazione.13 Benché nel corso del XX secolo il modello culturale scientista sia andato incontro ad una gravissima crisi di senso – soprattutto gli eventi drammatici legati alle due guerre mondiali hanno smentito uno dei presupposti fondamentali dell’ideologia scientista, vale a dire l’idea di una ragione umana capace di assicurare un progresso indefinito, con l’ausilio della scienza e della tecnica, e di eliminare il male dalla storia – lasciando il posto allo scetticismo intellettuale, al nichilismo e al pessimismo esistenziale (delineando così le caratteristiche di un’epoca già ribattezzata con il nome di “postmodernità”), è possibile ancora riconoscere un dominio della “sapienza” tecno-scientifica in ambiti umani come quello governato dalla biomedicina. Anche in questo ambito, tuttavia, nel momento in cui esistenzialmente viene sollevata la domanda sul senso ultimo dell’agire – come accade nell’esperienza della malattia, del morire, etc. – si slatentizza l’assenza di significato, procurando l’esperienza di smarrimento e il disagio psicologico-esistenziale oggi tanto frequentemente avvertito. Dal punto di vista etico, inoltre, lo scetticismo intellettuale si traduce nella convinzione che le differenze morali non possono essere arbitrate dalla ragione. Ne scaturisce un’idea di ragion pratica deviata in senso “emotivista” o “soggettivista”. Proprio emotivismo e proceduralismo costituiscono oggi la combinazione più frequente anche nell’ambito dell’etica clinica. È quanto accade, ad esempio, quando un atto eutanasico si propone come risposta pietosa o come atto di vera compassione nei confronti della sofferenza cagionata dalla malattia (emotivismo); l’atto si ritiene poi legittimato per il fatto che vi è il consenso del paziente o di qualcuno che è giuridicamente autorizzato a prendere questo tipo di decisione (proceduralismo). È così totalmente estromessa dall’etica clinica la logica del bene, un concetto peraltro oggi divenuto quanto mai va- 13 GIOVANNI PAOLO II. Lettera Enciclica “Fides et Ratio” (14 settembre 1998). Aas 91 (1999), pp. 5-88, n. 88. Medicina e Morale 2015/5 813 N. COMORETTO go e in grado di comprendere al suo interno significati tra loro opposti.14 In realtà, l’esperienza del significato è radicata a tal punto nella percezione del mondo da parte dell’uomo che anche lo scienziato, colui cioè che accosta la realtà con lo scopo precipuo di oggettivarla, non può escludere completamente dal suo atteggiamento la dimensione del significato. Lo scienziato che pratica la fecondazione in vitro, ad esempio, non si limita a riprodurre alcuni meccanismi biologici, ma fa questo all’interno di una cornice esistenziale significativa, forse anche implicita, come il ritenere che tali procedure costituiscano un atto appropriato, o persino di particolare valore sul piano etico-sociale e questo perché, probabilmente, ritiene il fatto della procreazione come un aspetto che riguarda solamente il desideriovolontà della coppia o del singolo che la richieda. In ultima analisi, la negazione del significato non è un atteggiamento possibile per l’uomo. Quando si ritenesse di assumere una tale prospettiva, si scivolerebbe piuttosto nell’attribuzione di un significato erroneo e, come conseguenza, si giungerebbe a scelte pratiche non in grado di realizzare i fini costitutivi della realtà. Il recupero della metafisica della persona si pone come irrinunciabile nella cultura contemporanea per giungere ad una lettura adeguata della realtà e, conseguentemente, dell’agire morale e del bene che esso è chiamato a realizzare. Proprio le virtù morali – in quanto espressione della ragionevolezza pratica in tutto il suo spessore (anche metafisico) – possono aiutare la cultura contemporanea (non solo quella medica) a recuperare il ruolo della ragione nella sua integrità. Un approccio recente che si inserisce in questo filone di recupero integrale dell’umanità nella pratica clinica è quello che va sotto il nome di “medicina narrativa”.15 L’apporto specifico della dimensione narrativa all’interno nella relazione di cura è quello di offrire una via privilegiata di accesso alla persona nella sua individualità e uni- 14 Smantellato il tradizionale principio ippocratico della beneficialità – che nel corso dei secoli si era arricchito grazie al contributo dell’etica cristiana fino a divenire reale benevolenza e carità – il bene del paziente è oggi un concetto ancora in cerca di una nuova fondazione. 15 Cfr.: CHARON R. Narrative medicine. A model for empathy, reflection, profession, and trust. Journal of American Medical Association 2001; 286 (15): 1897-1902. 814 Medicina e Morale 2015/5 ETICA DELLE VIRTÙ E CULTURA MEDICA CONTEMPORANEA cità esistenziale, attraverso la ricerca di una relazione empatica con il paziente. Sviluppando un atteggiamento umano appropriato, in particolare un atteggiamento empatico, il medico può arrivare ad acquisire una conoscenza più ampia del paziente ed intervenire così in modo più efficace nel ripristinare il suo stato di salute. La sintonia emotiva che si realizza quando si assume un atteggiamento empatico consente una sorta di conoscenza “connaturale” del paziente, preziosissima per l’agire clinico del medico, proprio perché integra il ragionamento logico-scientifico con quello etico-narrativo, arrivando in questo modo a cogliere il paziente nella sua specificità personale. Anche nella prospettiva morale, il vero significato di un’azione si coglie proprio nella narrazione messa in atto dall’agente, poiché solo la narrazione riesce a rivelare la comprensione che il soggetto ha di una data azione. La narrazione, in altre parole, è il modo migliore per cogliere la prospettiva del soggetto agente. Per questo la narrazione ha una struttura intrinsecamente morale.16 Per fare un esempio: uno dei dilemmi etici più ardui della medicina clinica contemporanea è quello di individuare se la richiesta di sospensione di un trattamento di sostegno vitale da parte del paziente abbia un significato eutanasico oppure quello di rinunciare ad un trattamento divenuto sproporzionato e quindi non più sopportabile per il paziente (situazione che normalmente cade sotto il nome di limitazione dell’accanimento terapeutico).17 Si tratta di un discernimento assolutamente necessario, dal momento che il medico che assecondasse la richiesta di sospensione di un trattamento di sostegno vitale (ad esempio, 16 Cfr.: G AHL R. Human nature, poetic narrative, and moral agency (accesso del 16.9.2015, a: http://maritain.nd.edu/jmc/ti01/gahl.htm). 17 In linea generale possiamo dire che la prima ipotesi si realizza quando la richiesta del paziente fosse espressione del rifiuto della propria vita, perché giudicata di qualità insufficiente, a motivo della malattia presente e delle sue conseguenze. La seconda ipotesi, corrispondente alla sospensione di un trattamento non più proporzionato, si realizza invece quando la richiesta – formulata dal paziente e accolta come tale dal medico – è espressione dell’impossibilità del paziente, date le proprie forze fisiche, psichiche e morali, di sopportare la gravosità del trattamento, e non dalla condizione in sé di malattia, anche se questa, naturalmente, incide nel determinare la gravosità complessiva, indebolendo di fatto il paziente, anche nelle sue motivazioni. Non si tratta, dunque, di ritenere “vincolante” quanto espresso dal paziente, ma di cogliere dalla sua narrazione gli elementi personali che possano integrare i dati fattuali di cui il medico dispone, al fine di elaborare un giudizio prudenziale relativamente allo specifico atto clinico. Medicina e Morale 2015/5 815 N. COMORETTO la ventilazione meccanica) si troverebbe, nella prima ipotesi, a cooperare ad un’azione contraria all’etica e alla deontologia professionale; nella seconda ipotesi, invece, attuerebbe una condotta lecita o persino doverosa sul piano etico-deontologico. È ben chiaro che la prospettiva del solo osservatore esterno non è d’aiuto nella risoluzione di questo dilemma dal momento che ciò che è osservabile dall’esterno è il mero svolgimento fisico dell’azione che, in questo caso, risulta identico in entrambe le ipotesi. Nemmeno la sola richiesta di sospensione, intesa come espressione formale della volontà del paziente, aiuta a chiarire il dilemma. Neppure possiamo attenderci che l’espressione morale del paziente sia sofisticata al punto tale da individuare e comunicarci egli stesso l’oggetto dell’azione (individuazione che per lo più pone difficoltà anche a moralisti esperti data la complessità clinico-esistenziale di queste situazioni). Solo dalla narrazione del paziente, dunque, si può arrivare a cogliere la vera dimensione morale di quella richiesta, dal momento che è l’intenzionalità del soggetto agente (cioè il contenuto intenzionale dell’azione scelta) l’elemento primo della moralità di un’azione. La particolare rilevanza della narrazione nella soluzione dei dilemmi etici sta nel fatto che nella presentazione narrata dei fatti si mostra sempre la riflessione della coscienza. La narrazione comporta, infatti, un processo riflessivo e decisionale. Pertanto è nella narrazione che in modo ideale si trova il significato “personale” dell’azione, e ciò che propriamente il paziente intende quando avanza la richiesta di sospensione di un trattamento di sostegno vitale. Nell’analisi dei dilemmi etico-clinici è fondamentale conoscere tale giudizio di coscienza del paziente, che è molto più che il criterio delle preferenze del paziente o del rispetto dell’autonomia proposti dalle più accreditate metodologie di analisi dei dilemmi etico-clinici oggi esistenti, almeno quando questi criteri vengono intesi – come per lo più accade – in senso puramente formale-procedurale. Nella medicina clinica contemporanea, la competenza narrativa si rivela dunque uno strumento non solo utile, ma persino necessario per la comprensione morale dell’azione umana. Essa integra molto bene le diverse metodologie oggi impiegate dall’etica clinica per l’analisi dei singoli casi clinici che sollevino dei dilemmi etici ed è un elemento irrinunciabile per l’elaborazione di un giudizio prudenziale. 816 Medicina e Morale 2015/5 ETICA DELLE VIRTÙ E CULTURA MEDICA CONTEMPORANEA La speciale natura della medicina Accanto ad una ragione antropologica – la riduzione della razionalità umana a razionalità strumentale/procedurale, con esclusione della sua portata metafisica – e ad una ragione culturale – il prevalere nell’ambito dell’agire umano di orientamenti scientisti o scettici, con conseguente crisi di senso e disorientamento pratico – è la stessa natura della professione medica ad esigere il recupero di un’etica fondata sullo sviluppo delle virtù morali del soggetto agente. Certamente, i profondi mutamenti che hanno investito la medicina clinica – non solo sul piano tecnico-scientifico, ma anche su quello economico-sociale e culturale – hanno introdotto nuovi dilemmi etici che conferiscono particolare complessità all’atto medico. La bioetica fin dalle sue origini recepisce tale problematicità e nasce proprio con un focus sulla decisione clinica. Se una costante dell’etica medica fin dall’antichità è stato il significato del termine “medico” e il tipo di figura che esso delineava – medico era colui che sapeva essere compassionevole, generoso, e sapeva anteporre ai propri interessi quelli della persona assistita, cosicché il medico veniva individuato non solo per il suo sapere e le sue abilità, ma anche (e, forse, soprattutto) per il suo atteggiamento morale18 – a partire dal secolo scorso, come in parte si è già accennato, l’etica medica subisce una trasformazione profondissima, quasi un capovolgimento dei presupposti che avevano guidato l’agire professionale del medico fino a quel momento. Tra le ragioni di un tale cambiamento si dovrà menzionare l’imponente sviluppo tecnologico della medicina a partire soprattutto dagli inizi del 1900, sviluppo che tuttora continua 18 Nel corso dei secoli, la tradizione ippocratica si è progressivamente ampliata e, a partire dall’epoca cristiana, le norme codificate dalla tradizione professionale sono state interpretate anche alla luce della riflessione religiosa, che in generale ne ha determinato un arricchimento di significato e, soprattutto, ha contribuito a rafforzare ulteriormente il legame già esistente tra il carattere virtuoso del medico e il suo agire professionale corretto. Per molti secoli, infatti, le virtù umane e cristiane hanno rappresentato il vero fondamento dell’identità professionale medica e la stessa formazione medica risultava fortemente orientata all’acquisizione del profilo morale del futuro medico: il medico ideale era un buon cristiano, un uomo di buona educazione ed uno studioso attento (cfr. JONSEN AR. A Short history of medical ethics. New York: Oxford University Press; 2000). Medicina e Morale 2015/5 817 N. COMORETTO con passo rapido, e con ovvie ripercussioni sul piano clinico-applicativo, ma anche sul piano antropologico-culturale.19 In secondo luogo, si dovrà tener conto di un diverso orientamento sociale e culturale che inizia a delinearsi a partire da questa epoca: un’atmosfera predominante di liberalismo economico, un crescente relativismo religioso ed etico, la formulazione di nuovi diritti dell’individuo, una sempre più ampia opposizione al concetto di autorità iniziano a fare breccia anche in seno alla professione medica, mettendo fortemente in discussione i fondamenti dell’identità e dell’integrità della professione.20 Una trasformazione che vale la pena richiamare riguarda anche lo sviluppo dell’ospedale come luogo privilegiato per l’erogazione efficiente ed economica di una cura che, a partire da questo momento, risulterà legata in modo crescente allo sviluppo di nuove e sempre più sofisticate tecnologie per la diagnosi e il trattamento delle malattie. Il fatto di concentrare l’assistenza all’interno di strutture ospedaliere produrrà però un’organizzazione “impersonale” della cura che, accanto al profilo scientifico e specialistico che la medicina sempre più va assumendo, darà luogo ad una delle principali accuse ancora oggi rivolte alla medicina clinica, cioè quella di aver perso di vista l’“unità” e la “globalità” del paziente. Il secolo XX inaugurerà, pertanto, una “nuova” medicina che nella sua fisionomia risulta contraddistinta più dal sapere delle scienze biologiche che dalle virtù umane del medico, facendo di quest’ultimo non più una figura “vicina” e “familiare” alla persona malata, ma – come è stato detto – uno “straniero al letto del paziente”.21 In altre parole, si determinerà un importante viraggio dell’etica medica per cui non sarà più la virtù del “prendersi cura”, bensì la conoscenza scientifica, a guidare l’agire del medico e, parallelamente, non saranno più il carattere e l’atteggiamento, ma il sapere del medico ad assicurare il bene del paziente. Questa “alienazione” dalla dimensione etico-umanistica, ad 19 Adriano Pessina in Bioetica. L’uomo sperimentale (Milano: Mondadori; 1999), offre una lettura interessante di come la tecnologia biomedica sia in grado di modificare in profondità la visione che abbiamo dell’uomo, del senso della sua esistenza, del suo destino. 20 Cfr.: JONSEN AR. The birth of bioethics. Hastings Center Report 1993; 23 (6): S1-S4. 21 Cfr.: ROTHMAN DJ. Strangers at the bedside: a history of how law and bioethics transformed medical decision making. New York: Basic; 1991. 818 Medicina e Morale 2015/5 ETICA DELLE VIRTÙ E CULTURA MEDICA CONTEMPORANEA esclusivo favore di quella scientifica, costituisce il punto di partenza di cui si dovrà necessariamente tenere conto quando si voglia offrire una risposta alle sfide etiche che la medicina clinica oggi incontra. Tale risposta non potrà tenere conto solo di una razionalità strumentale, ma dovrà necessariamente radicarsi in un’antropologia che, a sua volta, sia disposta ad accogliere la dimensione metafisica della persona. D’altro canto, le stesse conoscenze biomediche acquisite attraverso le scienze sperimentali, non possono essere propriamente considerate medicina fino a quando non vengono applicate in un particolare contesto clinico – cioè in una concreta relazione umana – per promuovere la salute e il benessere in uno specifico paziente. Il momento tecnico e quello etico, dunque, sono due dimensioni che integrano la prassi medica e il medico che agisce in questo modo non aggiunge qualcosa alla sua professione, semplicemente ne vive il significato vero, il significato pienamente umano.22 È, allora, solo il giudizio della prudenza – intesa come virtù della ragion pratica – che, in quanto in grado di cogliere la vera e totale realtà della situazione, è idonea a costituire la norma diretta dell’agire morale concreto. Il medico virtuoso è proprio colui che agisce guidato dalla ragione eticamente orientata e immerso nella realtà clinica del paziente. Un’etica clinica sviluppata attorno alle virtù del medico ha il vantaggio di valorizzare l’orientamento al bene del singolo medico, sviluppando quindi le qualità della persona che, in modo stabile e sempre più agevole, consentono l’agire moralmente corretto nelle singole situazioni concrete. È in questa prospettiva che possiamo affermare che compito fondamentale dell’etica clinica è quello di educare alla prudenza, che a sua volta significa educare alla valutazione obiettiva della situazione clinica concreta ed alla capacità di trasformare questa conoscenza della realtà in agire pratico. Una volta, dunque, che ci si riappropri dell’orizzonte metafisico della ragion pratica, il passo successivo è quello di esplicitare la connaturalità dell’agire virtuoso con la pratica medica. 22 Cfr.: COMORETTO N. La centralidad de la persona en la praxis médica in BOCHAYEY AG (ed.). Bioética y persona. Escuela de Elio Sgreccia. Buenos Aires: EDUCA; 2008: 80. Medicina e Morale 2015/5 819 N. COMORETTO Parole chiave: etica clinica, etica delle virtù, proceduralismo, narrazione, prudenza, metafisica. Key words: clinical ethics, virtue ethics, proceduralism, narrative, phronesis, metaphysics. RIASSUNTO La riflessione etico-clinica sviluppatasi a partire dagli ultimi decenni dello scorso secolo si è sviluppata seguendo soprattutto approcci proceduralisti, trascurando altre impostazioni attente non solo alla “correttezza” dell’azione, ma anche alle disposizioni buone della persona che agisce, come l’etica delle virtù. L’articolo si propone di analizzare i presupposti che permettono di recuperare un’etica delle virtù – soprattutto della virtù della prudenza – nell’etica clinica contemporanea, a partire dalle ragioni che urgono tale recupero. Una prima ragione è di natura antropologica e riguarda la necessità di promuovere una visione unitaria della razionalità umana contro i suoi restringimenti in senso puramente strumentale. Una seconda ragione è di tipo culturale e riguarda la polarità irriducibile tra scientismo e scetticismo, che nell’esistenza concreta di molte persone si traduce di fatto in una crisi di senso e in un disorientamento pratico. Una terza ragione riguarda l’esigenza di umanizzazione della medicina che, investita dalla logica tecnicistica, reclama in maniera indifferibile la necessità di porre il concetto di “bene” al centro del proprio agire. In ultimo, il lavoro offre una rilettura della tradizione aristotelicotomista delle virtù nel contesto della medicina clinica, richiamando soprattutto i presupposti metafisici irrinunciabili per un’adeguata comprensione dell’agire umano, l’aspetto probabilmente più carente nella cultura e nell’etica contemporanee. SUMMARY Virtue ethics and contemporary medical culture. Ethical-anthropological perspectives in clinical medicine. Clinical-ethics developed in the last decades especially according to procedural models, neglecting other approaches attentive not only to the action, but to the good dispositions of the acting person, as it is virtue ethics. The article aims to analyze the conditions that allow to recover the virtue ethics – especially the virtue of prudence – by the contemporary clinical ethics, starting from the reasons that urge such recovery. The first is an anthropological reason and concerns the need to promote a unified vision of human rationa- 820 Medicina e Morale 2015/5 ETICA DELLE VIRTÙ E CULTURA MEDICA CONTEMPORANEA lity against its reductionism in purely instrumental vision. A second reason is cultural and concerns the irreducible polarity between scientism and skepticism, which in the concrete life of many people translates directly into a crisis of meaning and in a practical disorientation. A third reason is the need for humanization of medicine that, invested by technocratic logic, claims the need to put the concept of “good” at the center of their actions. Finally, the work follows the Aristotelian-Thomistic tradition of the virtues in the context of clinical medicine, especially recalling the metaphysical presuppositions essential for an adequate understanding of human action, probably the most lacking aspect in contemporary culture and ethics. Medicina e Morale 2015/5 821