Hermes
Saggi di Estetica ed Etica
Collana fondata da
Alberto Gessani e Alessia Liguori
1/4
Dico che il buono
è il bello.
Platone, Liside, 216 d
A11
61
Logo di collana ideato da Nicoletta Liguori
Hermes
Saggi di Estetica ed Etica
Hermes è il dio del movimento, del passaggio, dell’inventiva; gioca con le cose, con gli altri, con se stesso, facendo
emergere le potenzialità degli enti, costruendo ciò che prima
non era al mondo.
L’essere è offerta continua e sfida all’intelligenza: esige,
per essere compresa, che si comprendano o si instaurino relazioni tra gli individui e tra i generi. Come dio della relazione
e dell’invenzione, Hermes è guida dell’interprete e del ricercatore che non accetta divisioni di campi e di scopi: rispetta ciò
che è, ma sa che rispetto significa oltrepassamento del dato
puro e semplice.
Questa collana vuole ispirarsi a Hermes proprio in quanto
intende accogliere lavori che istituiscano rapporti o riscoprano l’unità fra temi del sapere diversi, che tentino nuove prospettive di indagine, che offrano al lettore strumenti fondamentali per l’esercizio del sapere e del pensiero.
Gennaro Giuseppe Curcio
AMORE PASSIONE
AMORE DILEZIONE
Un confronto–intreccio tra
san Tommaso d’Aquino
e Dante Alighieri
Prefazione di
Alberto Gessani
ARACNE
Copyright © MMV
ARACNE editrice S.r.l.
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88–548–0140–2
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di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: giugno 2005
Ai miei genitori
Nicola e Carmela
INDICE
Prefazione
Introduzione
9
13
CAPITOLO I
Dibattito contemporaneo sull’etica:
passioni e virtù
1. Il Medioevo e la filosofia medievale: Dante e san Tommaso
1.1 Il Medioevo
1.2 La filosofia medievale
1.2.1 La filosofia medievale e san Tommaso
1.2.2 La filosofia medievale e Dante
17
17
20
23
25
2. Cammino dell’etica oggi
2.1 Verso un’etica delle passioni
2.2 Verso un’etica delle virtù
28
30
33
3. La passione dell’amore
3.1 Percorso storico sull’amore
e suo rapporto con la passione
3.2 Alcune definizioni dell’amore
35
35
37
4. Le virtù umane: la fortezza e la temperanza
4.1 La temperanza
4.2 La fortezza
44
45
46
5. Una nuova forma di etica tra passioni e virtù: l’amore
48
CAPITOLO II
San Tommaso d’Aquino:
l’amore di dilezione e le passioni virtuose
1. Amor amicitiae e amor concupiscentiae
53
2. L’amore di dilezione
59
3. Le passioni e le virtù
3.1 Le passioni
3.2 Le virtù
64
65
70
7
8
Indice
4. Le passioni virtuose portano verso l’amore di dilezione
73
CAPITOLO III
Dante Alighieri: l’amore passione
1. Il “Dolce Stil Novo”
1.1 Guido Guinizzelli
1.2 Guido Cavalcanti
81
83
85
2. L’amore in Dante
2.1 La Vita Nova e l’amore divino
2.2 Il Convivio
2.3 La Divina Commedia, sintesi dell’amore dantesco
89
90
96
102
3. La passione rafforza l’amore
108
CAPITOLO IV
Confronto tra l’Amore–Passione
e l’Amore–Dilezione
1. L’amore–passione tra Dante e san Tommaso
1.1 Come intendere la passione?
1.2 Amore naturale e amore d’animo
1.3 Divergenze tra Dante e san Tommaso
112
113
118
121
2. Amore di dilezione tra san Tommaso e Dante
2.1 L’elezione
2.2 L’amore di dilezione
124
124
128
3. Passione e dilezione: un amore virtuoso
130
4. L’amore di dilezione e l’amore–passione
135
BIBLIOGRAFIA
1. Monografie
2. Articoli
137
141
PREFAZIONE
Questo studio nasce dalla consapevolezza, esplicitata
dall’autore fin dall’inizio, della centralità dell’amore in
ogni aspetto della vita umana. È la consapevolezza che
già aveva Platone, per il quale l’amore corre, lo si dichiari e lo si colga o no, in ogni attività, in ogni cura, in ogni
rapporto: il più umile dei mestieri e la sublime contemplazione filosofica sono accomunati proprio dall’eros, e
sull’eros sostanzialmente si reggono. E l’amore costituisce il centro del Cristianesimo, prima di tutto come amore di Dio per gli uomini e poi come sentimento che può
avvicinare l’uomo stesso, pur finito ed esposto sempre a
tentazioni contrastanti, al divino: Cristo è amore in quanto si è incarnato per amore, sacrificandosi per noi, e in
quanto, come uomo, è tutto percorso dall’amore per gli
uomini.
Ma qui dobbiamo far fronte a una grossa difficoltà.
Anders Nygren, nel suo importante e imponente lavoro
Eros e Agape1, sostiene che dietro la parola “amore” si
nascondono, in effetti, concezioni diverse e addirittura
opposte: quella platonica, appunto, e quella cristiana. Per
Nygren l’eros platonico è egoistico, aristocratico, percorso dall’idea che l’uomo possa elevarsi, con la sola forza
del suo pensiero, fino a Dio; il Cristianesimo, al contrario, sa che l’amore vero può essere soltanto quello di Dio
per l’uomo, perché l’uomo non è in grado di ascendere fino a Dio, e vede l’amore come apertura all’altro da sé,
come sacrificio, come grazia divina di fronte al nostro
peccato e alla nostra angoscia. Seguendo questa convinzione, il teologo svedese opera una disamina severa della
storia del Cristianesimo e cerca di mostrare come la mag–
1
A. Nygren, Eros und Agape. Gestaltwandlungen der christlichen
Liebe, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 1955.
9
10
Prefazione
gior parte dei pensatori cristiani abbia contaminato di platonismo l’agape di Cristo, vista con chiarezza soltanto
nel messaggio paolino e poi da Lutero, che avrebbe dunque restituito all’Occidente il verbo originario non corrotto dalla grecità che inquina, invece, il Cattolicesimo.
Nygren ha avuto il grande merito di enucleare il motivo agapico del Cristianesimo, ma molto ci sarebbe da discutere tanto sulla contrapposizione netta tra eros e agape
(che nasce anche da un Platone frainteso o radicalizzato)
quanto su quella sorta di canone del canone costruito sulla storia del pensiero cristiano. La decisa condanna dell’opera dei Padri della Chiesa e dei filosofi e teologi della
Scolastica è veramente, quando la si consideri serenamente, qualcosa di assurdo, perché pretende di distruggere una tradizione che costituisce, comunque la si giudichi,
la storia del Cristianesimo, e che soltanto per un presupposto luterano si può vedere impura perché legata alla civiltà greco–romana. Proprio qui risiede la ricchezza e la
complessità del percorso fatto dalla cultura occidentale
nella sua lunga storia: nella capacità di molti pensatori
cristiani di riprendere quanto c’era di vivo nella filosofia
antica e di inserirlo in un contesto nuovo; nella consapevolezza che certi valori, al di là delle differenze con cui
sono stati espressi, sono comunque propri dell’essere umano e ritornano, perciò, in ambiti diversi e lontani. Questo fa dire Dante al suo Virgilio nel Purgatorio: anche i
saggi antichi conobbero verità fondamentali indagando
sulla natura dell’uomo, e perciò le perversioni dell’amore
furono condannate da loro come poi dai Cristiani. La storia vista da Nygren è, in definitiva, desolata come la concezione luterana dell’uomo.
Mi sono soffermato su questo punto perché mi sembra
che il libro di Gennaro Giuseppe Curcio costituisca proprio un contributo al superamento della contrapposizione
netta tra la concezione greca e quella cristiana dell’amore. Accostare Dante a san Tommaso è facile (anche se
non pacifico) quando si consideri la dottrina dantesca in
Prefazione
11
generale; meno facile riguardo alla visione dell’amore,
perché Dante sembra più vicino, in tale visione, al platonismo (come puntualmente ha rilevato Nygren). Ma il
platonismo, come si vede bene leggendo questo studio,
non è così lontano da san Tommaso come per molto tempo si è creduto: il carattere ascensivo dell’amore è riconosciuto da san Tommaso, che vede certo i limiti imposti
a tale ascesa dalla nostra debolezza (e anche Platone li
vedeva) ma vede anche la possibilità offerta dall’amore
di avvicinarci a Dio e esaltare l’aspetto più nobile della
nostra natura, che assomiglia, come Nygren non sembra
ricordare, a quella divina. Il lavoro di Curcio, concentrandosi su un punto assolutamente fondamentale per il
pensiero dantesco e per quello tomista, ha dunque anche
il merito di mostrare il fraintendimento profondo della
cultura medievale insito nella vecchia polemica sull’influenza di san Tommaso sulla filosofia dantesca. Quando
Bruno Nardi dichiara che Dante è legato più a
sant’Alberto Magno che a san Tommaso, e che per questo il suo pensiero è, nel profondo e al di là dell’aristotelismo esplicito, platonico, ha ragione per quanto riguarda il platonismo dantesco e sicuramente anche per quanto
riguarda l’influenza di sant’Alberto Magno sul pensiero
di Dante stesso, ma non ha ragione per quanto riguarda
san Tommaso: perché Platone è presente in san Tommaso
e non occorre rifarsi soltanto a sant’Alberto Magno per
spiegare il platonismo dantesco, ma si può vedere tranquillamente l’importanza di entrambi per la concezione
dantesca dell’amore. L’aristotelismo tomista non esclude
il riconoscimento dell’importanza di altre filosofie, specie
quando queste trattano di un tema come l’amore; allo
stesso modo, Dante attinge alle fonti più profonde del
pensiero occidentale per costituire la più grande opera
poetica fondata sull’amore.
Dante sapeva, come san Tommaso e come Platone,
che l’amore può pervertirsi e rovinare la nostra vita e
quella degli altri. L’eros platonico non è egoistico come
12
Prefazione
voleva Nygren; l’egoismo è semmai una malattia di questo eros e dell’intero pensiero occidentale. L’amore esclusivo di sé è un pervertimento di un impulso buono, il
rovesciamento della verità dell’amore: per questo Dante
insiste tanto sulla cupidigia (la lupa “di tutte brame carca”), ben vedendo che la cupidigia è il male perenne di
un mondo che quotidianamente uccide l’aspetto più alto e
nobile della natura umana. La crescita paurosa dell’io e
delle pretese dell’io costituisce la fonte ultima, al tempo
di Dante come nel nostro tempo, della guerra e del male
in genere: l’amore smodato di sé non conosce né vuole
conoscere ostacoli, e non rispetta la vita umana né i diritti
elementari dei popoli. Per questo Abele deve sempre di
nuovo soccombere per mano di Caino, ma per questo anche non dobbiamo stancarci di dichiarare la vittoria profonda di Abele: dell’amore disarmato e povero che ci fa
uomini veri.
Il libro di Curcio costituisce un contributo anche a tutto questo, perché studia proprio l’aspetto nobile e nobilitante dell’amore tanto in Dante quanto in san Tommaso.
Di opere come questa, in ultima analisi, abbiamo bisogno.
Alberto Gessani
INTRODUZIONE
Si potrebbe pensare che il tema dell’amore non sia
squisitamente filosofico, bensì maggiormente collegato
alla speculazione teologica o alla creazione artistica. In
realtà, nella plurisecolare storia del pensiero si può dire
che non vi sia stato filosofo che non abbia manifestato interesse per esso, e alcune pagine dedicate all’amore sono
tra le più alte della letteratura filosofica di ogni tempo, a
dimostrazione della congenialità di questo argomento di
riflessione all’indole stessa del filosofare.
In questo studio cercheremo di comprendere come il
concetto di amore non fa parte solamente di una letteratura filosofica, ma è più che filosofico, anzi, appartiene allo
stesso essere di ogni uomo, divenendo qualcosa di trascendentale sino a innalzarsi verso un vero e proprio “amore ontologico”.
Dante e san Tommaso ci faranno entrare in questa
concezione di amore “ontologico”.
Distingueremo due aspetti dello stesso amore:
“l’amore–passione”, più vicino a Dante e “l’amore di
dilezione”, più vicino a san Tommaso. Si vedrà come
l’uno sia la base per far crescere l’altro, o meglio il vero, l’autentico amore possa essere tale solamente se si
vivono questi due aspetti, uniti, in un unico amore. Il
primo movimento, che riguarda la passione si riversa
nel desiderio, il quale, solo dopo un atto della ragione,
aiutato dalle virtù umane, rientra in una “elezione” particolare dell’individuo che sceglie liberamente (l’atto
della dilezione) l’amore. La dilezione viene ad essere
una vera scelta da parte dell’individuo, il quale, attraverso questo cammino, può giungere a un amore che
non rimane più terreno, ma che s’innalza verso Dio. Qui
ritroviamo l’amore divino che molte volte rimane oscuro e non comprensibile, portandoci verso aspetti che
13
14
Introduzione
vanno oltre ogni sfera umana. Il cammino è dall’amore
umano verso l’amore divino.
Mettere insieme questi due aspetti, passione e dilezione, avendo presenti questi due pensatori Dante e san
Tommaso, diviene una nuova ricerca filosofica sulla concezione dell’amore.
Con questo intento porteremo avanti il nostro lavoro.
Useremo una metodologia, che possa tenere conto anche degli ambienti in cui vissero Dante e san Tommaso,
per poi andare alle loro dottrine e poi, infine, sintetizzare
attraverso un ultimo capitolo la nostra teoria e cioè mettere insieme l’amore–passione di Dante e l’amore di dilezione di san Tommaso, e vedere come questi due aspetti
dell’amore ci possano portare verso un amore molto più
alto che non sempre riusciamo a ritrovare nell’epoca in
cui viviamo.
Nel primo capitolo, dopo una presentazione del periodo in cui vissero Dante e san Tommaso e dopo una piccola introduzione alla loro filosofia, analizzeremo il dibattito contemporaneo sull’etica. Noteremo, attraverso un’analisi attenta di alcuni autori contemporanei come si stia
andando verso un’etica delle passioni, dove ritorna a primeggiare san Tommaso d’Aquino, ormai abbandonato
nell’epoca moderna. Ci soffermeremo sulle passioni, ma
in modo particolare sulla passione dell’amore, che ci riguarderà da vicino, sia in san Tommaso che in Dante.
Accanto a un’etica delle passioni metteremo in risalto anche un’etica delle virtù. Come vedremo durante la lettura
del testo, infatti, in san Tommaso il discorso passioni–
virtù è ben collegato. Concluderemo il capitolo con un intreccio tra passioni e virtù, accertandoci come possano
portarci verso una nuova e vera etica, dove si inserirà un
vero e proprio connubio tra l’amore e la passione.
Nel secondo capitolo cercheremo di analizzare la dottrina tomista sull’amore–passione, soffermandoci sulla
dilezione e su cosa rappresenti per l’autore. Innanzitutto
rifletteremo su una differenza basilare di san Tommaso
Introduzione
15
tra l’amor amicitiae e l’amor concupiscentiae, facendo
rientrare l’analisi sull’amore e sull’amicizia. Su questa
base si fonda poi l’“amore di dilezione” che racchiude la
scelta dell’amore nell’individuo. Le passioni non vengono escluse da questo tipo di amore ma, vissute accanto alle stesse virtù, rendono l’uomo felice e virtuoso. Le stesse
passioni virtuose portano verso l’amore di dilezione, poiché tutto è legato a una concezione razionale della stessa
scelta individuale.
Nel terzo capitolo, invece, l’autore principale sarà
Dante e la sua dottrina sull’“amore–passione”. Dopo
qualche accenno sulla concezione dell’amore del “dolce
stil novo”, di Guido Guinizzelli, di Guido Cavalcanti, che
sono la base su cui poi si è sviluppata la concezione
dell’amore dantesca, ci introdurremo in Dante. Il cammino che faremo riguardo alla sua concezione sull’amore,
sarà graduale: dalla Vita Nova, immersa nella contemplazione e passione della persona amata, passeremo al Convivio, dove l’amore diviene più umano, più vicino a noi.
La “donna gentile” prende il posto di Beatrice. Dalla passione contemplativa si giunge a una passione intellettiva.
Nella Divina Commedia l’amore diviene sintesi tra Vita
Nova e Convivio tra l’amore divino, della teologia, più
contemplativo e l’amore umano, della filosofia, più intellettivo. Nella Commedia, nonostante la cornice ultraterrena del poema, Dante non ha voluto che il carattere terreno e storico dei personaggi, con i quali s’incontra e discute nel corso del suo viaggio, venisse soppresso o anche soltanto indebolito, bensì che esso risplendesse in misura maggiore in quanto sigillato e avallato dal finale e
ormai indiscutibile giudizio di Dio. L’amore umano e
quello divino, la vita umana e quella divina si intrecciano
sino a divenire un unico e solo cammino. Anche in Dante
la passione diviene la base dell’amore e se vissuta con
autenticità non può se non rafforzarlo.
Nel quarto e ultimo capitolo cercheremo di dare il nostro contributo. Naturalmente metteremo accanto i due
16
Introduzione
grandi pensatori, l’uno filosofo–teologo, l’altro poeta–filosofo, accomunati da questo grande tema dell’amore–
passione. Riscopriremo come siano vicini, riguardo al
tema dell’amore, ma anche nel riprendere, sia l’uno sia
l’altro, non solo Aristotele come massimo maestro, ma
anche Platone e Agostino. L’amore–passione di Dante
diviene la base su cui si poggia l’amore di dilezione di
san Tommaso. Quest’ultimo dà razionalità al primo facendolo divenire virtuoso; non può sussistere l’uno senza
l’altro. La scelta, cioè la dilezione, è il fondamento per
vivere l’amore–passione virtuosamente, ma solo se in relazione con l’umanità. Senza di essa, infatti, non si può
parlare nemmeno di scelta, di amore di dilezione. Da
questo comprendiamo come Dante e san Tommaso siano
due punti fermi sulla dottrina dell’amore e come noi tutti,
se veramente vogliamo vivere l’amore autentico, non
possiamo se non passare attraverso le loro teorie.
Quest’analisi, ci metterà in un cammino nuovo per
l’etica dei nostri tempi, dove la passione non è vista solo
come qualcosa di carnale o di negativo, ma come qualcosa che ci possa accompagnare verso una via di giustizia,
ma anche verso quella bellezza nascosta nei nostri cuori
che si fa autentica nel momento in cui la ricerchiamo.
Dunque uno studio che va verso quell’amore incorporato
all’estetica, ma che è sempre un’autentica ricerca della
verità.
L’amore–passione dantesco si abbraccia in modo forte
con l’amore di dilezione tomista, creando un unico vero e
proprio amore, quello virtuoso, che si eleva dall’umano
fino a contemplare il divino.
CAPITOLO I
Dibattito contemporaneo sull’etica:
passioni e virtù
1. Il Medioevo e la filosofia medievale: Dante e san
Tommaso
Prima di inserirci in un dibattito contemporaneo sull’etica, riteniamo opportuno illustrare l’epoca in cui vissero Dante e san Tommaso, per avere una panoramica più
ampia sulle varie teorie che hanno portato avanti e con
cui ci confronteremo. Vedremo come la stessa filosofia di
questi autori sarà influenzata da quest’epoca. Dunque il
primo approccio sarà una riflessione sull’epoca medievale, per poi immetterci in un discorso filosofico in cui potremo inserire perfettamente i nostri autori.
1.1 Il Medioevo
Il Medioevo viene inteso come un tempo di uniformità, di staticità, di involuzione, di poca lucidità in tutti i
campi: del sapere, delle innovazioni, del commercio e di
qualsiasi altra natura. Come in tutti i periodi, non si può
parlare di sole negatività, tralasciando tanti aspetti positivi che questo tempo ha portato con sé; aspetti che hanno
portato una rinascita in tutti i campi. Dunque, siamo dell’avviso che un periodo apparentemente buio possa portare a una grande rinascita1. Haskins vuole dare un’interpretazione del periodo in modo molto positivo, facendo
1
Cfr. Ch. Haskins, La rinascita del XII secolo, tr. di Paola Marziale Bartole, il Mulino, Bologna 1972, pp. 5–33 (tit. orig. The Renaissence of the 12th Century, The World Publishing Company, Cleveland
– New York 1958).
17
18
Capitolo I
rilevare come, i momenti bui dei secoli VII–VIII, X–XI e
XIV–XV, abbiano portato delle vere e proprie rinascite: il
IX, il XII e il XVI secolo 2. Dunque, ogni periodo negativo, secondo Haskins, fa da battistrada a un periodo di
splendore:
Ma il grande rinascimento — e questo punto deve essere ben
chiaro — non fu il fenomeno straordinario e unico che si è voluto credere. Il contrasto di quella cultura con tutta la cultura
precedente non fu affatto così netto come sembrò agli umanisti
e come sembra ai loro seguaci moderni, se si pensa che lo
stesso Medioevo conobbe risvegli intellettuali i cui fermenti
non andranno perduti nei tempi successivi e la cui natura fu
senz’altro molto vicina a quella del più famoso movimento
quattrocentesco3.
La nostra riflessione sul Medioevo, sarà propriamente
di questo stile, cercherà in questo periodo “buio” le positività e come questi anni siano stati una base solida su
cui, poi, ha potuto viaggiare tutta l’epoca moderna.
Detto questo, ora vogliamo situare il nostro Medioevo
in un tempo ben preciso, che va dal V al XV secolo, seguendo uno dei grandi studiosi di quest’epoca: Jacques
Le Goff4. Tutte le altre date di nascita e di fine di questo
periodo, che tanti altri storici danno, le tralasceremo. Come vediamo è un periodo abbastanza lungo e, come dicevamo prima, pieno di momenti drammatici: la peste, le
guerre, le carestie, la fame, ma anche pieno di grandi innovazioni e anche di sintesi culturali. Naturalmente il nostro interesse non comprenderà tutto il periodo, ma in
particolare il XIII secolo. È proprio in questo arco di tempo che collocheremo Dante e san Tommaso.
2
Cfr. ibidem.
Ivi, p. 13.
4
Cfr. J. Le Goff, La civiltà dell’Occidente medievale, tr. di Adriana Menitoni, Einaudi, Torino 1999 (tit. orig. La civilisation de
l’Occident médiéval, B. Arthaud, Paris 1964).
3
Dibattito contemporaneo sull’etica: passioni e virtù
19
Come sappiamo da tanti studiosi di quest’epoca, il
Medioevo possiede una data fatidica, quella dell’anno
mille, la quale porta negli uomini un certo sentimento di
insicurezza materiale, ma anche morale. Questo sentimento di insicurezza e di precarietà è più vivo prima
dell’anno mille, che dopo. Prima del mille, tutto il vivere
era in funzione di una fine universale, di un’apocalisse,
dove tutto sarebbe stato distrutto5. Da questo stato di ansia e precarietà, tutto era vissuto in rapporto a una fine
imminente. Dopo questa data, qualcosa cambia. La precarietà della vita del primo periodo, o come siamo soliti
chiamare “Alto Medioevo”, non si rivede più dopo il Mille, o “Basso Medioevo”. Se nel primo periodo la gente
viveva come se dovesse morire da un momento all’altro,
nel Basso Medioevo si inizia a mettere le basi per una vita più solida e stabile. Questa stabilità si vedrà anche nella costruzione di case più durature, non più di legno, ma
di pietra. Importante sarà la fioritura di moltissime chiese,
come ci racconta un testimone di quel tempo:
Si era già quasi all’anno terzo dopo il mille quando nel mondo
intero, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, si ebbe un rinnovamento delle chiese basilicali: sebbene molte fossero ben
sistemate e non ne avessero bisogno, tuttavia ogni popolo della cristianità faceva a gara con gli altri per averne una più bella. Pareva che la terra stessa, come scrollandosi e liberandosi
della vecchiaia, si rivestisse tutta di un fulgido manto di chiese. In quel tempo i fedeli sostituirono con edifici migliori quasi
tutte le chiese delle sedi episcopali, tutti i monasteri dedicati ai
vari santi e anche i più piccoli oratori di campagna6.
Questa testimonianza di Rodolfo il Glabro spiega perfettamente questo periodo di rinnovamento di strutture in
5
Cfr. B. Smalley, Storici nel Medioevo, tr. di Ileana Pagani, Liguori, Napoli 1995, pp. 37–55 (tit. orig. Historians in the Middle
Ages, Thames and Hedson Ltd, New York 1974).
6
Rodolfo il Glabro, Cronache dell’anno mille, a cura di Guglielmo Cavallo e Giovanni Orlandi, Mondadori, Milano 2001, p. 133.
20
Capitolo I
tutti i campi: giurisprudenza, scienze, astronomia, poesia,
filosofia7.
Anche la cultura, in mano ai monasteri, pian piano si
trasferisce nelle cattedrali, per poi andare sempre più verso la laicità, facendo nascere le università8.
In questo periodo di rinascite, noi ci soffermeremo su
una in particolare e cioè quella filosofica. Cercheremo di
capire quali sono i cambiamenti e quale tipo di filosofia
caratterizzerà il Medioevo, più in particolare gli anni che
si avvicinano ai nostri autori.
1.2 La filosofia medievale
La filosofia medievale viene identificata come una
filosofia scolastica o ancora come una filosofia cristiana,
nonostante ci sia qualcuno che non voglia ammettere una
certa cristianità a questo tipo di filosofia9. Ma cerchiamo
di definire questa filosofia medievale attraverso due appellativi, senza impelagarci in altre problematiche del periodo.
Il termine scolastica è usato come sinonimo di filosofia medievale e un tentativo di definirne i caratteri può ultimamente partire dall’analisi che le venne attribuita nel
Rinascimento. Per gli umanisti il termine aveva un valore
esplicitamente spregiativo e “scolastici” erano considerati
quei filosofi o pseudo–filosofi che si perdevano in sottigliezze dialettiche, in vuoti sofismi estranei al mondo. In
realtà doctores scolastici erano nel Medioevo coloro che,
nelle scuole dei conventi e delle cattedrali, insegnavano
non solo la filosofia e la teologia, ma anche le arti cosiddette liberali del Trivio (grammatica, retorica e dialet7
Cfr. Ch. Haskins, La rinascita…, cit., il Mulino, Bologna 1972.
Cfr. ivi, pp. 307–331.
9
Cfr. R. Imbach, Dante, la filosofia e i laici, tr. di Marisa Ferrarini, Marietti, Genova–Milano 2003, pp. 9–10 (tit. orig. Dante, la philosophie et les laïcs, Éditions Universitaires, Fribourg [CH] 1996).
8
Dibattito contemporaneo sull’etica: passioni e virtù
21
tica) e del Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e
musica). Ma al di là della precisazione storica ed etimologica, nell’attributo di “scolastica” è importante rilevare il
carattere di una filosofia insegnata nelle scuole, secondo
un preciso metodo didattico che garantisse innanzitutto la
trasmissione e l’apprendimento di una tradizione di pensiero. Problema fondamentale dello studioso medievale
sarà la verità, non da ricercare, ma da apprendere, da ascoltare, in quanto è già contenuta nei testi della Rivelazione, dunque anche l’opera del filosofo comincerà dall’ascolto e dall’apprendimento di questi testi.
Di fondamentale importanza sarà il metodo usato dal
filosofo, che sarà costituito da tre punti centrali: lectio,
quaestio e disputatio. Come possiamo notare anche dalle
opere di san Tommaso la procedura è apparentemente
dialogica: davanti al maestro compare un interlocutore
che comincia a porre delle questioni avanzando obiezioni sulle proposizioni dell’autore. In realtà l’interlocutore
ha una funzione meramente strumentale: i suoi argomenti non sfiorano neppure la verità dell’auctoritas 10, che
non è mai messa in discussione; i dubbi che insinua sono
solo un pretesto perché il maestro possa argomentare
dialetticamente le proposizioni, indiscutibilmente vere,
dell’autore. Terminata la lectio, esaurite le questioni, veniva poi per gli studenti il momento di esercitarsi
nell’uso dell’arte dialettica; è la disputa in cui gli apprendisti maestri si confrontano tra loro sotto lo sguardo
benevolo e imparziale del maestro. Qui non si discute
dell’auctoritas, che è al di sopra della disputa, ma di
problemi posti dal maestro: ovvero il terreno su cui un
opponens e un respondens duellano l’uno contro l’altro,
a colpi di sillogismi. Dunque: lectio, quaestio e disputatio diventano i momenti essenziali dello studio che si ef-
10
“Auctoritas” è, nel linguaggio medievale, ciò che per se stesso è
garanzia di verità. Questa autorità può essere sia religiosa sia profana.
22
Capitolo I
fettuava nelle scuole filosofiche del XIII secolo, vera età
d’oro della scolastica11.
Un altro appellativo che diamo a questo tipo di filosofia medievale è “cristiana”. Naturalmente questa etichetta viene rivista nei vari temi che questa stessa filosofia
tratta. Tema fondamentale, che prenderà gran parte degli
studiosi del Medioevo, sarà il rapporto fede–ragione. Un
tema su cui ancora oggi si discute sia tra i laici che tra i
cristiani12. Con la ripresa degli studi si riapriva anche la
vecchia disputa sui rapporti fra cultura filosofica e Rivelazione religiosa: da una parte i cosiddetti dialettici che
rilanciavano il ruolo della dimostrazione razionale applicabile anche ai problemi della teologia cristiana,
dall’altra gli antidialettici che non ammettevano nessun
potere profano che potesse limitare in qualche modo il
primato indiscusso della fede. Per tutti, anche per coloro
che la consideravano un contributo alla ricerca della verità, la filosofia era sinonimo di “sapienza pagana” e verso di essa continuò a manifestarsi la diffidenza di una
parte dei filosofi medievali.
Il pensiero medievale vuole discutere e lo fa nel rapporto tra fede e ragione, tra credere et intelligere. I filosofi medievali, da Agostino ad Anselmo d’Aosta, ne ricavano che: se la fede è il punto di partenza imprescindibile, l’obiettivo finale sarà sempre la comprensione razionale. Intelligo, ut credam; credo, ut intelligam, è la formula con cui Agostino riassume la questione e la consegna al dibattito dei posteri 13. Il dibattito su questo punto
sarà costante tanto da identificarsi con il problema stesso
della filosofia medievale. Una conciliazione tra fede e ragione venne proposta da sant’Anselmo d’Aosta, il quale
11
Cfr. G. Reale, D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini
ad oggi, La Scuola, Brescia 1983, pp. 365–367.
12
Cfr. Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, Lettera enciclica circa i
rapporti tra fede e ragione, San Paolo, Milano 1998.
13
Cfr. G. Reale, D. Antiseri, Il pensiero occidentale…, cit., pp.
330–332.
Dibattito contemporaneo sull’etica: passioni e virtù
23
considerava la ragione come uno strumento utile a sostenere la verità della fede: innanzitutto bisogna credere, ma
ciò non ci impedisce di comprendere intellettualmente ciò
che è oggetto della nostra fede, anzi ci aiuta a farlo: “credo ut intelligam”14.
Inoltre possiamo rivedere ancora in questo periodo
studi molto approfonditi sull’astronomia, sulla medicina e
sulla matematica, grazie al contributo degli arabi. In questo trambusto di scoperte, di novità, ma anche di diverse
interpretazioni, san Tommaso emergerà come filosofo,
ma anche come teologo della sintesi; riuscirà a dare soluzioni a quesiti di grande importanza sia di teologia che di
filosofia. È opportuno far presente che con san Tommaso
inizia la teologia.
1.2.1 La filosofia medievale e san Tommaso d’Aquino
In questo Medioevo aperto a ogni tipo di cultura, di
arte, di architettura, di medicina, di scienza si inserisce
questo grande uomo dell’ordine domenicano: san Tommaso d’Aquino. La sua filosofia sarà quella medievale, di
stampo cristiano. Le sue opere saranno delle vere e proprie summae, infatti racchiuderanno tutto, dalle cose più
elementari e semplici a quelle più complicate e non facili
da comprendere.
La società stava progressivamente laicizzandosi e gli
intellettuali più attenti si rendevano conto del fatto che la
cultura religiosa avrebbe potuto conservare il proprio
prestigio solo se si fosse dimostrata capace di accogliere
e integrare in sé i prodotti della tradizione filosofica. A
questo obiettivo si dedicò san Tommaso, abbandonando
l’impostazione agostiniana, che voleva recuperare al cristianesimo il pensiero platonico e neoplatonico, e rivolgendosi risolutamente ad Aristotele. Con Tommaso la
teologia assume definitivamente il carattere di una scien14
Cfr. ivi, pp. 382–383.
24
Capitolo I
za che ha i suoi fondamenti nella Rivelazione e quindi
nella mente divina. Anche la filosofia ha un suo autonomo statuto scientifico: essa è garantita dalla ragione umana creata da Dio perché possa accedere alla verità.
Così la filosofia aristotelica, massimo prodotto della ragione naturale, se pure non può farci giungere alla conoscenza di Dio, può tuttavia condurci fino alle soglie della
Rivelazione15.
L’interpretazione che Tommaso diede della filosofia
aristotelica, conciliandola con il Cristianesimo, impose
Aristotele come maestro indiscusso in ogni campo del
sapere, garantendo al filosofo greco un’autorità che rimase incontrastata ben al di là della fine del Medioevo.
Tra i tanti aspetti della filosofia tomista, quello più vivo per la nostra ricerca è “l’amore”. Questo tema, che
presenteremo più avanti, ci condurrà a formulare un vero
e proprio studio su ciò che vuole riferirci Tommaso
quando parla di amore. Se vogliamo scendere ancora più
in profondità, tratteremo di uno specifico amore che lo
stesso autore chiamerà di “dilezione”16.
Naturalmente, entrando in questo tema, terremo presente l’antropologia tomista. Interessante sarà vedere non
tanto la parte riguardante l’intelletto, ma l’altra facoltà
che è la volontà o appetito razionale. In questa facoltà si
ritrova la dilezione. La volontà è la capacità operativa,
propria di ciascuno, di agire in vista di quel fine e bene
che è giudicato tale dall’intelletto. La volontà è libera: in
ogni situazione, infatti, l’intelletto offre motivi e ragioni
per fare o non fare una determinata azione e offre diversi
corsi di azioni alternative per conseguire lo stesso fine.
La volontà deve autodeterminarsi a scegliere se agire in
un senso o nell’altro. In quanto essere intellettivo e libero, l’uomo è persona, cioè immagine di Dio, in quanto
15
Cfr. ivi, pp. 422–423.
Cfr. Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, San Paolo,
Milano 1998, I–II, q. 26, a. 4.
16
Dibattito contemporaneo sull’etica: passioni e virtù
25
anch’egli è libero, cioè signore e padrone dei propri atti e
delle proprie decisioni17.
Ma dell’amore di dilezione ne parleremo in modo più
ampio nel secondo capitolo, ora continuiamo la nostra riflessione soffermandoci sull’altro autore del nostro studio, per poi rientrare in un vero e proprio cammino dell’etica contemporanea.
1.2.2 La filosofia medievale e Dante Alighieri
Siamo innanzi al più grande poeta del Medioevo: egli
al contrario di Tommaso che era un chierico, era un laico
che praticava la filosofia. Facciamo questa distinzione
poiché per Dante, almeno da ciò che si rivede nel Convivio, è molto importante.
Se Tommaso è stato un teologo e un filosofo, Dante è
stato un poeta e un filosofo. L’opera in cui, maggiormente, Dante tratterà di filosofia, sarà il Convivio 18, che si distinguerà dalle altre opere.
Il Convivio è un trattato di filosofia scritto in lingua
volgare. Quest’opera racconta come Dante, che non ha
mai seguito un ciclo completo di studi universitari, abbia
scoperto la filosofia e descrive l’itinerario del poeta diventato filosofo. Più che di un racconto autobiografico, si
tratta della storia di un cammino spirituale e intellettuale,
un racconto per certi versi paragonabile alle Confessiones
di Agostino, dal momento che entrambi i testi non vanno
letti come semplici narrazioni storiche19.
Dante racconta che la morte di Beatrice, sopravvenuta
nel 1290, l’aveva gettato in una costernazione tale che u17
Cfr. Idem, Libros ethicorum ad Nicomachum in Aristotelis Stagiritae, in Opera Omnia, Typis Petri Fiaccadori, Parmae, vol. XXI
(1856), liber VI, lectio II.
18
Cfr. Dante Alighieri, Convivio, a cura di Giorgio Inglese, Rizzoli, Milano 1999.
19
Cfr. ivi, pp. 5–29.
26
Capitolo I
scirne gli sembrava del tutto impossibile20. È in quel momento di profonda tristezza e angoscia che egli legge il
De Consolatione di Boezio e il De amicitia di Cicerone.
Capì allora, e lo confessa, di essersi innamorato di colei
che nel Convivio chiama “donna gentile”21: la filosofia.
Ove si vuol sapere che questa donna è la Filosofia; la quale veramente è donna piena di dolcezza, ornata d’onestade, mirabile di savere, gloriosa di libertade, sì come nel terzo trattato,
dove la sua nobiltade si tratterà, fia manifesto 22.
Nel corso del cammino, Dante acquisisce la convinzione che la pratica della filosofia permette all’uomo di
raggiungere il più alto grado di felicità, immergendosi in
una vera e propria filosofia morale. Chi vuole essere felice deve far uso della filosofia, deve guardare questa donna rivestita di luce:
E là dove dice: Chi veder vuole la salute, Faccia che li occhi
d’esta donna miri, li occhi di questa donna sono le dimostrazioni, le quali, dritte ne li occhi de lo ’ntelletto, innamorano
l’anima, liberata (d)e le condizioni23.
Come possiamo notare da questo passo appare incontestabile che la trasformazione del progetto filosofico,
culminante nel primato della ragione pratica, sia direttamente collegato alla funzione che Dante attribuisce alla
filosofia: destinata a un pubblico laico24, deve prima di
tutto aiutare gli uomini a condurre una vita umana degna
di tale nome, una vita conforme alle virtù morali e intellettuali ampiamente descritte da Aristotele e riprese da
Tommaso.
20
Cfr. Idem, Vita Nuova, a cura di Piero Cudini, Garzanti, Milano
2001.
21
Cfr. Idem, Convivio, cit., II, XV, 4.
Ivi, II, XV, 3.
23
Ivi, II, XV, 4.
24
Cfr. ivi, I, I–II.
22
Dibattito contemporaneo sull’etica: passioni e virtù
27
Dunque ciò che si potrà vedere attraverso le opere,
dalla Vita Nova alla Divina Commedia, è il passaggio che
Dante farà rispetto all’amore. La filosofia, asilo e consolazione di Dante, trova ormai compimento nella morale o
filosofia pratica, ossia una riflessione sulla trasformazione
degli uomini e della società, una riflessione che, nella
Commedia, prende gli accenti di una interpellanza
drammatica e narrativa. Una tale concezione della filosofia presuppone che l’uomo si assuma le proprie responsabilità. Anche l’amore verso la filosofia sarà rivisto
in questa responsabilità, o meglio, in un vivere le stesse
passioni amorose in modo virtuoso. Le virtù, come vedremo, saranno la motivazione di un amore scelto e vissuto in modo degno, unendosi a Tommaso e allontanandosi da Cavalcanti. L’amore di cui noi tratteremo sarà
l’“amore–passione”.
Una passione che non è intesa in senso negativo, come
si vuole intendere nel gergo odierno, ma in modo positivo, che ci riporta a un amore vissuto ancora più intensamente, che vuole scendere nei meandri della nostra anima fino a rialzarsi e divenire quasi divino25:
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudari,
benignamente d’umiltà vestita;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare26.
Da queste parole vogliamo prendere spunto per una ricerca che possa riallacciare un connubio perfetto tra
l’amore–passione di Dante e l’amore di dilezione di
Tommaso.
25
26
Cfr. Idem, Vita…, cit., XXVI.
Ivi, XXVI, 1–8.
28
Capitolo I
2. Cammino dell’etica oggi
Perché abbiamo scelto questo tema? La scelta è dovuta soprattutto al grande dibattito che stiamo vivendo in
questi ultimi decenni intorno all’etica, soprattutto intorno
alle virtù, alle passioni e alla felicità.
Se per un certo periodo abbiamo avuto un vuoto dell’etica, oggi abbiamo un grande ritorno, che si immerge
in uno dei maggiori dibattiti contemporanei: varie problematiche di bioetica, di ecologia, di biomedicina, ecc.
Questo dibattito analizza, il più delle volte, i concetti dell’etica, delle virtù, delle passioni, della felicità per poter
ritrovare una soluzione che possa combaciare con una vita buona27.
Il dibattito in corso costituisce un fenomeno del tutto
nuovo nella secolare storia dell’idea di virtù. In esso non
vi è nulla della presentazione convenzionale d’una dottrina tradizionale28.
La storia della teoria etica, sia filosofica che teologica,
non cessa di sorprendere. Gli studi di S. Pinckaers, per
quanto solo in forma di sondaggi, mettono in luce la profonda trasformazione che ha subito la teologia morale,
passando da una concezione centrata sulla felicità e sulla
virtù, tipica di san Tommaso d’Aquino, a una concezione
centrata sulla legge, sulla coscienza, sull’obbligazione, tipica della teologia morale post–tridentina29.
Nell’etica filosofica invece, il libro di A. MacIntyre ha
costituito un evento negli ultimi anni per le tesi ivi soste-
27
Cfr. G. Abbà, Felicità vita buona e virtù, Las, Roma 1995, pp.
13–78.
28
Cfr. M. de la Luz Garcia Alonso, Sobre las virtudes morales, in
«Sapienza», 35, 1980, pp. 455–472. Questo articolo vuole, invece, rifarsi a una convenzione tradizionale.
29
Cfr. S. Pinckaers, Les sources de la morale chrétienne. Sa méthode, son contenu, son histoire, Éditions Universitaires, Fribourg
[CH] 1985, pp. 119–143, 221–279.
Dibattito contemporaneo sull’etica: passioni e virtù
29
nute e per il dibattito suscitato30. Per MacIntyre l’etica filosofica, da quando nell’epoca moderna, ha abbandonato
i concetti aristotelici di telos della vita umana e di virtù, è
andata incontro a un inevitabile naufragio, dal quale non
potrà riprendersi se non rinnovando i concetti aristotelici
di vita buona e di virtù31. Come vediamo, il tentativo di
MacIntyre è rivalutare i concetti di vita buona e di virtù
aristotelici. A questa conclusione converge anche Giuseppe Abbà:
La novità dell’attenzione che nel recente dibattito si dà al concetto di virtù consiste nel fatto che essa muove da una critica
più o meno radicale all’etica moderna e, rifacendosi alla teoria
aristotelica delle virtù, si pone come alternativa alle teorie
moderne. Il termine etica moderna non viene qui usato in senso storico, quasi a coprire tutte le teorie etiche a partire dal secolo XVII; bensì in senso dottrinale: esso sta a significare uno
schema di pensiero soggiacente a gran parte delle riflessioni
etiche prodotte nei secoli moderni e designa qualsiasi teoria etica, d’ispirazione kantiana o utilitarista, che intende il problema etico come problema della determinazione dell’azione
giusta o corretta e delle sue regole o dell’obbligo di compiere
azioni giuste e di seguire le regole32.
Dunque il dibattito, che è presente oggi, è incentrato
su una critica all’etica moderna, non solo in MacIntyre
ma anche in molti altri studiosi33.
Nonostante questi studi e questo dibattito continuo,
non è stata ancora sviluppata e fondata una nuova teoria
della virtù34.
30
Cfr. A. MacIntyre, After Virtue, Edition University of Notre
Dame, Notre Dame 1981, pp. 190–245.
31
Cfr. ivi, pp. 137–153.
32
G. Abbà, Felicità vita…, cit., Las, Roma 1995, p. 80.
33
Cfr. ivi, pp. 82–88. Per una rassegna di studi critici sull’etica
moderna e per una proposta di una teoria sulla virtù, si confronti la
breve rassegna di Giuseppe Abbà.
34
Cfr. ivi, p. 88.
30
Capitolo I
Ma questo dibattito critico che viene fatto intorno alle
virtù nell’epoca moderna, fa rientrare anche la riflessione
sulle passioni, che hanno come centro l’individualismo:
Ora, è indubbio che nel dibattito più recente, la rinascita di interesse per questo tema (le passioni), è legata essenzialmente a
una riflessione critica sulla modernità e sulle sue patologie.
Essenza della civiltà occidentale, epicentro della modernità
della quale l’individualismo incarna, forse nel modo più
efficace, il progetto emancipativo, esso ne racchiude anche, infatti, le intrinseche degenerazioni patologiche, sempre più visibili nella erosione del tessuto relazionale e comunicativo e
nella perdita del legame sociale35.
Le passioni come le virtù, risentono dunque di una
perdita del loro valore nella modernità, ma la strada che
questo dibattito contemporaneo sta percorrendo, sia per
quanto riguarda le virtù che le passioni, è del tutto opposta a quella moderna; questo per poter ritrovare e dare un
significato più maturo di questi due termini.
La nostra proposta dunque, in questo dibattito che oggi è molto forte, vuole essere un ritorno a san Tommaso,
poiché è solo in lui che ritroviamo una solida base etica
su cui fondare sia le virtù che le passioni, in un confronto
contemporaneo sempre aperto36.
2.1 Verso un’etica delle passioni
Quante volte nel linguaggio odierno usiamo il termine
“passione”, senza nemmeno rifletterci. Tanto è vero che
quando pronunciamo questo termine crediamo subito che
sia negativo, il nostro pensiero va subito verso qualcosa
che vogliamo fare perché ci piace e ci appassiona, rivedendo in esso, poi, un significato oscuro. Le passioni, ol35
E. Pulcini, L’individuo senza passioni, Bollati Boringhieri, Torino 2000, p. 9.
36
Questa proposta che abbiamo accettato la riprendiamo da Giuseppe Abbà, Felicità vita…, cit., p. 8.