Bellerofonte - Aracne editrice

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Bellerofonte
rivista pedagogica diretta da Giorgio Vuoso
segretaria di redazione
Annette Ruth Berndt
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ISBN
978–88–548–2473–7
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di riproduzione e di adattamento anche parziale,
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Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: marzo 2009
Bellerofonte
Anno X, Numero 1 (2008), 5–18
LE RICERCHE SULL’INDETERMINISMO
Decenni d’impegno, pluralità d’interessi e ricerca rigorosa
di Giorgio Vuoso
Un rapporto scientifico di lunga data
Seguiamo le ricerche di Giorgio Vuoso da circa vent’anni; nel contempo, compivamo percorsi scientifici diversi, lo scrivente prevalentemente
verso la professione di Pedagogista, la Pedagogia Sociale, la Metodologia
della Ricerca e le ricadute sulla Pedagogia Generale provenendo da una
formazione iniziale e da una significativa esperienza nel campo delle
Scienze Naturali; Vuoso partendo da una salda e consistente formazione
filosofica e pedagogica e rivolgendosi alle Scienze Naturali e a quanto di
scientifico potesse esservi nel campo delle scienze della cultura.
Ci eravamo riproposti di seguire percorsi divergenti, quindi, ma fondamentalmente reciproci. Forse in questo va ricercato uno dei motivi di un
dialogo scientifico a distanza che non si è mai interrotto in tanti anni, con
un abbondante carteggio sulle tematiche più diverse ed anche qualche collaborazione sua alla rubrica “Ricerca ed innovazione educativa e didattica” curata dallo scrivente sul quadrimestrale “Qualeducazione”, e qualche
contributo dello scrivente alla presente rivista da Vuoso fondata e diretta,
dapprima tre articoli e un certo numero di recensioni, fino alla pubblicazione nella stessa come numero speciale del nostro saggio sulla professione Un pedagogista nel poliambulatorio — Casi clinici (anno IX, supplemento al n. 1; Aracne, Roma, dicembre 2007).
L’Indeterminismo ha costituito, fin dai primi tempi della nostra conoscenza, uno dei Leit–Motiven delle nostre dispute, e in tutta evidenza uno
dei suoi interessi più cospicui, nei quali si focalizzava problematicamente
il suo accesso dalla Filosofia e dalla Pedagogia alla Scienza “in senso
stretto”, alla ricerca di un nesso originale e forte, nel segno di una continuità con le tradizioni neo–idealistiche italiane che nulla rinnegasse ma
nondimeno recuperasse l’unità della cultura e l’integrazione per lo meno
della Scienza (se non ancora della Tecnica) al suo ruolo pienamente umanistico, con il massimo valore gnoseologico, nella cultura al pari dei settori esaltati volta a volta da Croce o da Gentile.
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Franco Blezza
Ricordiamo molti articoli da lui prodotti proprio sul rapporto tra
Filosofia, Scienze della Cultura e Scienze della Natura incentrati sul tema
dell’indeterminismo, e soprattutto dodici lunghi saggi che sono rimasti a
lungo inediti. Dopo tanti anni il volume Indeterminismo (Saggio filosofico
— pedagogico; Aracne, Roma 2006, pp. 324) ha conferito finalmente la
dovuta diffusione ai risultati di tanto impegno e al loro valore intrinseco.
Una riflessione in materia dal nostro punto di vista, partendo da quello
di Vuoso, pensiamo possa costituire un modo adeguato di rendere onore
ad una figura di studioso di valore, e probabilmente avremmo meritato una
diversa considerazione dalla comunità scientifica dei Pedagogisti.
Gli uomini di scienza e il valore filosofico dei loro contributi
Il contributo offerto dagli scienziati attraverso i loro esercizi della ricerca scientifica in senso stretto è sempre stato considerato rilevante anche
per la ricerca filosofica generale o teoretica, nonché per la pedagogia e per
le altre scienze sociali.
Si potrebbe disputare a lungo in proposito per quel che riguarda la
Grecia classica, e la disputa in fin dei conti si ricondurrebbe all’immagine
della scienza che si vuole far propria. Se si intende attenersi strettamente
al principio di realtà, a ciò che la storia ci riporta, al rigore nelle definizioni e nelle implicazioni, allora è agevole individuare fin dall’antichità, dalle
origini della civiltà occidentale, una ricerca scientifica in senso pieno, proprio e stretto: esattamente come la riconosciamo nell’epoca moderna.
Analogamente, riconosciamo fin nell’antichità anche una adeguata consapevolezza metodologica e una riflessione profonda sulla conoscenza
scientifica dell’universo da parte dell’uomo.
Ovviamente, qualunque considerazione sulla scienza e i suoi prodotti
va storicizzata, il che significa che fanno parte a pieno titolo della Scienza
e della sua storia anche prodotti che si sono rivelati col tempo falsi ed erronei. Anzi, una delle caratteristiche irrinunciabili di un discorso per potersi
dire a rigore scientifico in senso stretto consiste proprio nella sua fallibilità, in particolare per ragioni logiche od “interne” o per ragioni empiriche
od “esterne”. Entrambi questi ordini di considerazioni erano già chiari ad
Aristotele e per certi versi a Platone, nonché ad altri studiosi dell’antichità: tanto basti, non potendo essere questa la sede per una trattazione di
Le ricerche sull’Indeterminismo
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Storia della Filosofia con riguardo al suo irrinunciabile e fondamentale
componente scientifico, una trattazione che sarebbe amplissima. Il fatto
che le varie teorie astronomiche geocentriche, ad esempio, si siano rivelate con il tempo perdenti, e la disputa nel merito era già accesa nell’antichità anche se si è risolta solo in epoca moderna, non toglie nulla alla
piena scientificità di tali teorie, anzi è la testimonianza più evidente che
tali teorie erano scientifiche in senso stretto; erano falsificabili, e difatti
sono state falsificate. Potremmo continuare la disamina parlando di
Meccanica nelle sue varie branche, di Acustica, di Ottica, di Naturalismo,
di Geografia, nonché delle prime scoperte in materia di elettricità e
magnetismo (non a caso entrambi termini sono di chiara origine greca
classica) oppure della eolipila di Erone che è stato il primo motore termico, cioè il primo apparato in grado di trasformare l’energia termica o calore in energia meccanica.
C’è un aspetto che rischia di far velo a quest’ultima come all’elettricità e al magnetismo e alle infinite altre evidenze che si potrebbero portare,
e riguarda il carattere assolutamente cognitivo e non pratico di tutte queste scoperte greco–classiche, peraltro con alcune rilevantissime eccezioni
come ad esempio quelle riconducibili ad Archimede di Siracusa, cioè alla
Magna Graecia. Tuttavia obiezioni di questo genere, di chiara matrice
destro–hegeliana italiana, denunciano l’evidente confusione tra Scienza e
Tecnica: laddove la Tecnica è tale in quanto ha delle ricadute pratiche, utilitaristiche, di fruizione umana per la risoluzione di problemi concreti di
vita quotidiana o di dimensione più ampia ma sempre e comunque di ordine pratico, la Scienza non si è mai proposta né nell’antica Grecia né nell’evo moderno né oggi alcunché di simile. La Scienza è solo conoscenza,
è cultura allo stato puro, ha il solo scopo di evolvere come conoscenza
umana della realtà attraverso la continua posizione di problemi e il continuo tentativo di risolverli mediante un particolare esercizio normato della
creatività umana. Potremmo chiamarla “conoscenza allo stato puro” anche
a prescindere dalla sua eventuale applicabilità. Volendo, si potrebbe fin
impiegarvi l’aggettivo “teoretico”, anche se questo scandalizzerebbe facilmente taluni filosofi.
In questo senso, i Greci classici furono scienziati ragguardevoli ma non
furono per nulla tecnici; furono invece tecnici di grande valore i Romani,
e non scienziati.
Anche a proposito dei rapporti tra la Tecnica e la Scienza ci sarebbero
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Franco Blezza
alcune puntualizzazioni da operare. Troppo spesso si sente ripetere che la
Tecnica sarebbe “scienza applicata”, in qualche modo cercando di far rientrare dalla finestra quella stretta correlazione tra Scienza e Tecnica che non
è comunque un’identificazione od una confusione, ma che lascerebbe pensare ad un rapporto privilegiato dal quale si potrebbero staccare ed evidenziare altre forme di esercizio della creatività umana, e in questo proprio i
destro–hegeliani ci hanno portato gli esempi più evidenti, parlando restrittivamente di “cultura umanistica”, esaltando la Filosofia o la Storia della
Filosofia, la Storia o un modo non scientifico di fare Storiografia, la
Critica Storica e Letteraria del tutto sciolta da qualunque regola della
quale possa richiedere l’osservanza per un discorso scientifico, in senso
stretto ma anche in un senso più lato. Che non possano considerarsi scienze le materie “umanistiche” come le consideravano i Neoidealisti, non
toglie nulla al fatto che sono umanistiche le Scienze Naturali e le Scienze
Sociali, Umane e della Cultura; ed anche la Tecnica.
Il rapporto stretto tra la ricerca scientifica e la ricerca filosofica ha avuto
nei millenni esempi talmente forti e fondamentali, da portarci a sollevare
serie perplessità e vari ordini di dubbi quando ci si trovi di fronte a qualche tentativo di negarlo al giorno d’oggi. Come pensare ad Aristotele
senza i suoi libri di ricerca sulle Scienze Fisiche e Naturali, opera proseguita poi dai suoi allievi? Di più: come pensare alla Metafisica senza la
Fisica, non presupponendo la Fisica? Come pensare a Lucrezio con la sua
originalità letteraria, una delle poche o pochissime che si possono riscontrare nella Letteratura Latina del periodo classico e di tutto l’evo antico?
Ancora: come pensare alla cultura naturalistica greco–classica ed ellenistica senza la Medicina Chirurgia di Ippocrate e di Galeno? E si noti bene
che, mentre alcuni campi di ricerca scientifica naturalistica hanno conosciuto un relativo calo di interesse nel Medio Evo, anche se ad esempio la
Scolastica si è assunta l’oneroso compito di ricomprendere il pensiero
anche di Aristotele nella cultura cristiana medievale, ci sono stati campi
che invece hanno conosciuto dei considerevoli avanzamenti. Proprio nella
Medicina, distinta dalla Chirurgia, che era prima di tutto erboristica e poi
preparazione di farmaci di origine perlopiù vegetale, i frati benedettini e
lo stesso Benedetto da Norcia furono importanti prosecutori di questa
scienza, la quale oltre ad essere conoscenza pura possiede anche importanti valenze pratiche con riguardo all’uomo e a suoi problemi importanti
come lo sono quelli di di salute.
Le ricerche sull’Indeterminismo
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Ma il discorso potrebbe avere esemplificazioni innumerevoli anche più
recenti: come pensare al “sintetico a priori” di Kant senza presupporre la
Meccanica di Newton? Quando il filosofo di Königsberg ne parlava nella
Kritik der reinen Vernunft, aveva di fronte proprio la concretizzazione più
evidente e forte, quella dovuta al fisico e naturalista, o meglio “filosofo
naturale”, di Cambridge.
Le cose poi sono diventate ancora più fortemente integrate nei secoli
più recenti, e in particolare nell’evo breve che ha avvicendato l’evo
moderno nella seconda metà del Settecento, dopo le rivoluzioni borghesi
e dopo la rivoluzione industriale.
Fra l’altro, non sarà male riprendere qui ancora per un breve passaggio
la distinzione di principio tra Scienza e Tecnica, e far notare che la realizzazione tecnica che è stata alla base della rivoluzione industriale, cioè la
macchina a vapore, non aveva nessun presupposto scientifico alla sua
base: i geniali inventori di queste prime macchine termiche, ed anche
quanti le fecero evolvere, nonché i realizzatori del motore a scoppio, erano
degli abili artigiani che non avevano alcuna competenza nel campo della
Fisica; come più avanti Guglielmo Marconi, al quale pure conferirono il
premio Nobel per la Fisica, non era un fisico e non aveva assolutamente le
competenze fisiche minime necessarie allo scopo, non era certo in grado
di leggere non si dice le equazioni di Maxwell, ma i presupposti più basilari per la trasmissione di segnali a distanza attraverso onde elettromagnetiche. Sapeva però molto bene come porodurle ed utilizzarle, da grande
tecnico.
Scritti filosofici di uomini di scienza
Scienziati illustri si occuparono di Filosofia, ed è solo cecità o malinteso patriottismo di branca che impedisce di cogliere l’alto valore filosofico
delle riflessioni, ad esempio, di Einstein, di Bohr, di Born, di Monod, di
Pauling, di Rita Levi Montalcini, e potremmo riempire pagine intere citando scienziati del Novecento ma anche scienziati dell’Ottocento e della fine
del Settecento. Si considerano attentamente le opere di scienziati dichiaratamente etichettate come filosofiche, in particolare epistemologiche, e
così apprezziamo Duhem, Poincaré, Mach, Bridgman, Kuhn, e via elencando; altri elenchi corposi e non meno significativi potremmo costruire
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Franco Blezza
parlando degli scienziati che hanno scritto di Storia della Scienza con una
forti ricadute filosofiche, oppure di Logica, e quest’ultimo sarebbe un
discorso che si meriterebbe una trattazione a parte. Lo diciamo, pur nella
limitatezza di queste nostre sinteticissime osservazioni, non solo perché la
Filosofia della sua evoluzione avrebbe bisogno di un’attenzione maggiore
da parte dei Filosofi nei confronti di quanto scrivono gli Scienziati, ma più
ancora e prima di considerare il tenore di filosoficità di tanti Scienziati e
di tante opere scientifiche, ed anzi l’agire da parte di molti di essi come
Filosofi in senso pieno e di tutto rispetto anche quanto alle acquisizioni, ai
prodotti, alle proposte.
Lo rimarchiamo anche o sopratutto perché una maggiore considerazione da parte dei Filosofi in senso stretto nei confronti della Scienza, dei suoi
prodotti, della sua metodologia costituirebbe un importante fattore di
arricchimento della ricerca filosofica nonché delle sue possibili ricadute
sociali, storiche, culturali, tecniche, umane in genere. Il che significa
rinunciare a qualunque pretesa di primazia o di gerarchia di saperi, fra l’altro di evidente inconsistenza teoretica e di scarsa credibilità in quanto l’assertore di tali gerarchie ne sarebbe anche e simultaneamente il beneficiario.
Irrealtà e inattualità
Troppe volte si sente parlare della Scienza molto alla lontana, con
atteggiamenti di non fruizione del suo contributo e di assoluto convincimento della validità intrinseca di tale non fruizione, di spocchiosa presunta superiorità. Quel che è peggio, si sentono ripetere ancor oggi osservazioni che erano già storicamente obsolete e superate al tempo delle opere
più rilevanti di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile.
Quando, ad esempio, Gentile polemizzava pro domo sua contro
Herbart, concludendo che “c’è la filosofia, e s’impone il concetto che la
pedagogia è la filosofia”, si scagliava contro concettualità superate da
decenni e decenni: la Psicologia scientifica si era fondata e costituita solo
dopo la morte di Herbart, e Gentile stesso sembrava ignorare non solo gli
sviluppi potenti che la Psicologia scientifica aveva avuto nella seconda
metà dell’Ottocento e nei primi del Novecento, ma tutto lo sviluppo che la
Scienza aveva avuto in quello stesso periodo.
Le ricerche sull’Indeterminismo
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Avversari di comodo dei destro–hegeliani italiani erano spesso e volentieri talune astrazioni attribuite al Positivismo: che queste non costituissero altro che delle grottesche caricature che estremizzavano taluni aspetti
tra i meno importanti di alcuni autori positivistici andrebbe considerato
con maggiore attenzione, non dimenticando mai l’avvertenza del
Presidente Luigi Einaudi secondo la quale si polemizza assai più agevolmente con dei “fantocci”, cioè con dei pupazzi costruiti ad hoc, che non
con persone in carne ed ossa e soprattutto dotate di un cervello pensante e
inserite in correnti di pensiero salde e storicamente ben fondate, come
indubbiamente era il Positivismo, unico erede a quel tempo dell’Illuminismo.
Sulla base di queste ed altre riflessioni che potremmo fare in materia,
siamo in grado di considerare ed apprezzare più pienamente l’intendimento dell’autore romano e lo stesso tema sul quale si è impegnato, che è
anche il titolo dell’opera alla nostra attenzione.
Indeterminismo: la ricerca
Indeterminismo è un titolo “secco” e in negativo. Potrebbe bastarci
osservare che l’approccio in negativo ha di per sé un valore notevole nella
ricerca scientifica d’oggi, un valore che probabilmente ha avuto una sua
propagazione anche nel campo filosofico. Ma qui siamo di fronte ad un
Pedagogista con fior di interessi filosofici, il quale si è approfonditamente
applicato a tutta una amplissima e diversificata gamma di discipline scientifiche, rispetto alla quale applicazione proprio l’argomento di cui al titolo gioca egregiamente il ruolo di promozione della ricerca e dell’indagine,
cioè dello spunto problematico il quale può consentire di attingere livelli
di ampiezza e di generalità quali che si vogliano, indipendentemente dalla
maggiore o minore entità del problema stesso di partenza. E in questo caso
il problema di partenza è già di per sé un problema di notevole rilievo
tanto scientifico quanto teoretico, e anche questo ha la sua leggibile importanza nell’opera alla nostra attenzione e più in generale nella produzione
scientifica complessiva dell’autore.
Innanzitutto, perché “indeterminismo”? La risposta va ricercata in
qualche forma di determinismo rispetto al quale non solo si ritenga opportuno assumere una posizione critica, ma si abbiano dei riscontri concreti
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ed empirici, nonché delle riflessioni generali, che mettano di detto determinismo nella luce della fallibilità, anzi potremmo dire di un pesante fallimento.
La scienza propriamente detta “moderna”, come è noto, ha le sue radici in Francesco Bacone e personaggi di rilievo nei vari campi in cui essa
si e articolata come Galilei, Gilbert, Newton, Linneo, Lavoisier, Dalton,
Lind, Jenner e via elencando.
Cominciamo con l’osservare che questa scienza non esclude il determinismo, anche se non l’asserisce: questo non era considerato al tempo un
problema tanto rilevante quanto lo considereremmo oggi o lo si è considerato di altri tempi. Fu solo nella prima metà dell’Ottocento, in particolare con la figura emblematica e altamente rappresentativa di Pierre Simon
de Laplace, che una parte della Scienza classica, la Meccanica Razionale
e poi la Meccanica Analitica, si diedero una veste profondamente deterministica: come se fosse pensabile che una intelligenza in grado di conoscere le condizioni al contorno di tutte le particelle dell’universo potesse
dedurne il passato ed il futuro senza residui. Questo non aveva alcunché a
che fare con altre scienze, ad esempio la Medicina oppure la Geologia, ma
poteva dare l’impressione che dalla Meccanica, prendendo qualche
appoggio logico ad esempio all’Astronomia, si potesse costruire qualcosa
che assomigliasse al determinismo.
La stessa nascita in quel medesimo periodo di una nuova branca della
Fisica, cioè della Termodinamica che tendeva a teorizzare sulle scoperte
dei geniali artigiani ed inventori della macchina a vapore, sembrò a tutta
prima una teoria disgiunta dalla Meccanica classica, e ci volle un lavoro
estremamente impegnativo per dimostrare come le due teorie fossero
compatibili, pur con delle evidenze macroscopiche apparentemente
mal conciliabili, attraverso uno studio statistico e probabilistico.
L’irreversibilità di fenomeni macroscopici è compatibile con la reversibilità di fenomeni microscopici se si considera la trascurabile probabilità
che sul macroscopico si possano ridare spontaneamente le condizioni di
partenza.
Detto in altre parole, è possibile ammettere un determinismo di principio, anche se esso non è riscontrabile all’atto pratico. Il che non toglie che
una certa quale inclinazione ad una visione deterministica possa essere
rimasta soprattutto in alcuni Fisici, mentre per altri scienziati come ad
esempio i Medici poteva essere al massimo una impossibile illusione. Chi
Le ricerche sull’Indeterminismo
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non vorrebbe poter considerare la guarigione dei propri pazienti deterministicamente?
Comunque non commetteremo l’errore di Gentile e Croce, ancor più
grave nei loro epigoni, e nuovamente ancor più grave nei loro epigoni contemporanei, di fermare la nostra considerazione della Scienza e il nostro
modo di relazionarci con essa alla prima metà dell’Ottocento: ciò in quanto la Scienza in generale, ed in particolare proprio la Meccanica che ha
avuto le sue basi in Newton e Galileo, è andata in una profonda crisi già
nella seconda metà di quello stesso secolo XIX, tanto che da questa crisi
tutta la scienza è uscita profondamente evoluta attraverso l’avanzamento
di nuove teorie generali un po’ in tutti i campi dagli ultimi anni
dell’Ottocento e dei primi del Novecento.
Come è noto, due sono i modi di falsificare una teoria scientifica: uno
consiste nell’evidenziare carenze e contraddizioni di ordine logico, formale, “interno”; l’altro consiste nel rilevare contraddizioni di fatto alla luce
della esperienza futura. La Meccanica che potremmo chiamare rigorosamente “classica” è andata in crisi su ambedue i fronti, e in ambedue i casi
senza alcuna possibilità di recupero.
Cominciamo con il secondo fronte, quello empirico: la prima falsificazione venne dall’osservazione secondo la quale il moto dei pianeti non
segue le leggi di Keplero, leggi dalle quali Newton ha dedotto le sue tre
più una leggi universali della Meccanica; da allora la seconda metà
dell’Ottocento è stata tutta un susseguirsi di falsificazioni empiriche della
Meccanica classica, in campo ottico, termologico, nella vana ricerca dell’etere, nelle radiazioni del corpo nero fino alle fondamentali esperienze di
Michelson e Morley, e ancora dopo, pur non essendo più necessario.
Ma la falsificazione più potente la Meccanica classica la incontrò con
l’affermazione di una nuova teoria generale sulla natura, quella elaborata
da Maxwell nelle sue quattro equazioni dell’Elettromagnetismo, la quale
apparve subito inconciliabile e contraddittoria con la teoria di Newton, a
differenza di quanto era avvenuto, sia pure con molte difficoltà, per la teoria termodinamica.
Sulla base di premesse come queste, l’opera e l’intera ricerca di
Giorgio Vuoso riceve una serie di motivi di apprezzamento altamente
positivo: una elaborazione filosofica non chiusa ed autoconsistente ma che
si confronta con la Scienza; che si confronta con una Scienza realistica e
aggiornata; che lo fa con una Scienza nelle sue svariate articolazioni e non
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Franco Blezza
scegliendosi gli aspetti di comodo o più facilmente equivocabili; un rapporto diretto con la Scienza e non mediato attraverso ciò che della Scienza
hanno scritto taluni Filosofi, in particolare coloro che ne hanno scritto
male e non avendone adeguata competenza; al contrario un discorso condotto con evidente applicazione ai vari campi di studio scientifico nei
quali indaga circa il tema del testo; un discorso scientifico e sulla scienza
che accomuna Scienze Naturali con Scienze Sociali e Scienze
dell’Educazione; e da ultimo ma non come ultimo un discorso condotto da
un Pedagogista che, come tale, presenta un’attitudine connaturata alla
mediazione e un rifiuto prima o poi emergente nei confronti dei dualismi,
delle polarizzazioni estreme e delle costrittività a scegliere per una delle
polarità oppure per l’altra.
Indeterminismo: il saggio di sintesi
Il ricco e dettagliato volume di Giorgio Vuoso si articola in 12 capitoli, ciascuno con riferimento ad una particolare scienza.
Il primo, non a caso, viene dedicato alla Pedagogia, considerata scienza sui generis. Si può discutere e si discute a lungo su quale sia il genere
di scienza cui appartiene la Pedagogia, o meglio in che senso essa possa
essere considerata scienza, e questo dipende molto da come si fa Pedagogia, dal fatto che una comunità scientifica di Pedagogisti non esiste e
che tra i Pedagogisti ci sono forti differenze nel vedere anche i dati e le
definizioni più di base della loro disciplina di competenza. Il che non
toglie che essa possa essere considerata come una scienza e per tale trattata: ed è chiaro che partire da qui non è solo un omaggio alla propria
disciplina d’inquadramento accademico da parte dell’autore, ma è una
chiara opzione per la ricerca di una scientificità la quale prescinda dalle
esigenze di un qualche determinismo aprioristico.
Il discorso viene ripreso con riferimento alla Fisica (capitolo V) ma
anche alla Chimica (a quella qualitativa, capitolo IX) ed altrove. Il determinismo della prima metà dell’Ottocento sul quale ci siamo sinteticamente soffermati non esiste più da tempo nella Fisica né tra i Fisici. Non fu
tanto il paradigma relativistico, quanto il paradigma quantistico ad imporre un ripensamento al riguardo: decenni di dibattiti sfociarono nella prevalenza di quella che si è chiamata l’“interpretazione di Copenhagen”,
Le ricerche sull’Indeterminismo
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con riferimento alla sede accademica di Niels Bohr, ed anche alla sede di
tanti importanti congressi nei quali prevalse una visione indeterministica
della Fisica che è quella ancora oggi in vigore. Qui bisogna capirsi perché:
perché se ci troviamo di fronte ad un ostacolo alto più di quella che è la
nostra capacità di saltare, saremmo portati a concludere senz’altro che
quell’ostacolo non lo supereremo mai senza alcun bisogno di scomodare
concetti impegnativi quali “determinismo” od “indeterminismo”. Ebbene,
uno dei primi e semplicissimi esercizi di Meccanica Quantistica consiste
nel calcolare quale probabilità vi sia per una particella che abbia un’energia inferiore rispetto ad una barriera di energia (il che è perfettamente
equivalente a quanto abbiamo appena detto) e di concludere che questa
probabilità è non nulla. Esiste una previsione statistica della possibilità di
superare un ostacolo con energia minore rispetto quella che l’ostacolo rappresenta, il che ovviamente non ha conseguenze apprezzabili quando si sia
di fronte ad eventi singoli, per esempio ad una singola particella, ma
acquista un significato su grandi numeri nei quali vi è un evento la cui probabilità è largamente prevalente, ma questo non dà nessuna certezza: vi
saranno anche alcune particelle con minore energia che supereranno
l’ostacolo. È solo un esempio: c’entrano in qualche cosa il determinismo
o l’indeterminismo? Il fatto che una asserzione sia probabilistica la rende
indeterministica? E la rende indeterministica anche quando la probabilità
sia talmente altra da considerarsi praticamente escludibile l’ipotesi contraria? Come si vede, il tema scelto è ricco di stimoli e di implicazioni al di
là di quanto si potesse a tutta prima prevedere.
Probabilmente rende difficile il necessario discernimento la considerazione attenta del ruolo che l’operazionalità e la matematizzazione giocano
in alcune scienze piuttosto che in altre, e all’interno di alcune scienze in
alcune loro branche più in altre. È ben noto che non è tanto il carattere
quantitativo a rendere profittevole la matematizzazione nell’evoluzione
della conoscenza scientifica, quanto il carattere simbolico, formale della
Matematica. Matematizzare significa avere un altro linguaggio, un linguaggio e una capacità di ragionare e di esprimersi in più, enormemente
potente, trasferibile, rigoroso, come non sarebbe possibile ottenere con
nessuna espressione verbale o iconica o veicolata da qualunque altro
mezzo e di qualunque altra natura. Appare evidente che il problema del
determinismo o dell’indeterminismo risulti a Vuoso possibile a porsi in
termini differenti, anche se con rilevanti sovrapposizioni, a seconda del
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Franco Blezza
tenore di formalizzazione matematica che ciascuna scienza richiede, comporta o quanto meno consente.
I discorsi sulla Geologia (capitolo II) o sulla Biologia (capitolo VII,
considerata teleologica e su questo probabilmente gli stessi biologi avrebbero qualche cosa da ridire) ci sembra esplicativo al riguardo.
Non a caso, la Sociologia e l’Economia (capitoli IV e VIII) sono scienze non della natura ma matematizzabili e operarazionalizzabili, e sensibilmente diverse. Andrebbe tenuto anche presente che si tratta di scienze
nelle quali le variabili in gioco sono numerosissime, e non sono controllabili, a differenza di quanto avviene spesso in Fisica, in Biologia o in
Astronomia. Il problema dell’indeterminismo si pone anche in questo contesto e consente le riflessioni diversificate che Vuoso non manca di compiere, anche se questo porta con sé il problema di quale sia il tipo di determinismo o di indeterminismo con il quale si abbia a che fare. Può essere
un determinismo ingenuo e alquanto grottesco il pensare che in Scienze
Sociali od in Economia esistano delle possibili cause controllabili dalle
quali necessariamente cioè deterministicamente conseguano determinati
effetti analogamente rilevabili, ma si può parlare di determinismo in termini molto meno estremi e molto più realistici, ad esempio chiedendosi
quale probabilità vi sia che una determinata causa possa tradursi in qualche determinata conseguenza rilevabile in termini di effetto, anche se il
rapporto causa–effetto può non essere diretto e spesso, di fatto, non lo è.
Possiamo insomma mettere alla prova l’ipotesi secondo la quale un abbassamento dell’IVA faccia aumentare certi consumi, o la rottamazione delle
automobili ne abbia frenato il calo delle vendite, e fino a che punto; ma
dobbiamo anche vedere a scapito di quali altri consumi il tutto sia andato.
È importante che l’autore inserisca tra le scienze considerate la
Didattica (capitolo VI), una scienza non sui generis ma semmai di una
razionalizzazione, una risposta appropriata e consigliabile ad una esigenza che c’è e che sarebbe peggio che un errore trascurare, una forma di
negligenza, di scarso rispetto per gli allievi, per la scuola, per la società.
È chiaro che molti discorsi sul determinismo e sulla operazionalità
nella scienza diventano, per converso, discorsi sulla scientificità di talune
discipline. È già stato il caso di parte della Chimica, quella quantitativa
(capitolo IX), di alcune Scienze Umane e Sociali, della stessa Pedagogia.
Un discorso tutto particolare lo richiede l’Ecologia (capitolo X), che può
essere una scienza come può anche prestarsi ad un trattamento non scien-
Le ricerche sull’Indeterminismo
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tifico ma che della scienza assume mentite spoglie per millantare quelle
proprietà che non le competono, non avendo il suo procedimento rispettato le regole tipiche della scienza e in particolare i due ordini di coerenza,
quello “interno” e quello “esterno”. Anche su questo discorso Vuoso si
sofferma con attenzione ed approfondimento.
Egli lascia per ultimi i capitoli sulle scienze maggiormente intriganti e
problematiche a tutti questi riguardi, certamente non solo a quello dell’indeterminismo pur se anche indubbiamente ad esso. Non è mai esistito
determinismo in Psicologia (capitolo XII) e in Medicina (capitolo XI) se
non come visione arcaica, come semplificazione nell’applicazione ad altri
viventi che non l’uomo, o come pia illusione. Al contrario, in alcuni rilevanti campi di applicazione alla psiche umana, a cominciare dalle scuole
psicanalitiche classiche, si discute a lungo proprio circa l’effettiva scientificità di questi saperi, non apparendo garantite le proprietà che permettono di demarcare ciò che è scientifico da ciò che scientifico non è.
Comunque la Psicologia ha i settori di scientificità o perlomeno di possibilità di trattazione scientifica in senso stretto e rigoroso; che questo si
possa generalizzare è un altro problema, che sia opportuno generalizzato
ammesso che lo si possa un altro problema ancora, che lo si voglia fare o
che si preferisca non farlo può non essere un problema se si tende a rispondere positivamente a diversi ordini di esigenze umane che non siano quello che potremmo chiamare generalmente della terapia e della salute.
Certo, in Medicina un determinismo del tipo causa–effetto è impossibile, mentre è possibile una ricorrenza e una correlazione di ordine statistico, pur nella enorme variabilità sotto la quale ci si presenta l’uomo e la
sua possibilità di rispondere ad ogni forma di intervento sanitario, sia esso
di ordine medico o di ordine chirurgico ovvero di altro ordine terapeutico.
Non a caso le discussioni qui si spostano direttamente sul piano della
metodologia clinica e della epistemologia delle sperimentazioni sanitarie,
senza che tutto ciò possa andare esente dalla posizione continua di sempre
nuovi problemi. Non si tratta solo di sperimentazioni farmacologiche, le
quali risentono perlopiù di influenze extra scientifiche ed in particolare
economiche, di remunerazione del capitale investito da parte delle case
farmaceutiche; ma si tratta anche ad esempio di interventi chirurgici nei
quali il fattore umano dal punto di vista del Chirurgo gioca un ruolo che
evidentemente non è possibile trascurare o sottacere o sottovalutare.
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Franco Blezza
Il fattore antropologico
Probabilmente potremmo concludere questa disamina condotta attorno
alla pregevole opera di Giorgio Vuoso proprio in termini di fattore antropologico, come comunque ci sarebbe stato necessario fare in una trattazione come questa. La conoscibilità del reale e la possibilità di operare su di
esso, di cui la Medicina e Chirurgia o la Psicologia costituiscono dei casi
particolari per quanto umanamente importantissimi, passa attraverso il fattore antropologico: conoscere la realtà e operare su di essa è possibile perché c’è l’uomo, conoscente ed operante.
Indeterminismo può significare anche questo: che non potrà mai esistere un Computer che formuli una diagnosi medica, o che determini la strategia didattica migliore arrivando alla valutazione degli allievi, o che
riconduca i singoli ed irripetibili casi particolari ad esempio della
Geologia o della Storia Naturale alla teoria generale, senza la necessaria
mediazione dell’uomo, in particolare dello scienziato o del professionista
dotato di perizia ed esperienza particolari e specifiche.
Attraverso il convincimento fondato e razionale della insopprimibilità
del ruolo umano e della mediazione del professionista, del perito, dell’esperto, anche il dualismo determinismo–indeterminismo si pone in termini radicalmente nuovi, con delle possibili soluzioni che certamente
nella prima metà dell’Ottocento non si sarebbero neppure ipotizzate.
Eppure, era ancora il XIX secolo quando Charles S. Peirce, il logico tra
i fondatori del Pragmatismo classico, diede a questo concetto un rigore e
una definizione chiara attraverso la proposta del procedimento di abduzione, procedimento dei clinici medici come dei pedagogisti clinici. Ma, lo
abbiamo già capito, la metà dell’Ottocento costituisce uno spartiacque
possente, ignorare il quale ci porterebbe ad inevitabili errori: Giorgio
Vuoso di questi errori non ne commette certo.
Franco Blezza
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