La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.

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L a responsabilità dello Stato giudice.
Profili civilistici interni.
Relazione al corso di formazione sul tema
“La responsabilità nelle professioni legali”
organizzato dal
Consiglio Superiore della Magistratura
(Roma, 9 - 11 giugno 2010)
SOMMARIO: 1.1. Considerazioni introduttive. 1.2. L’attività giudiziaria come attività
potenzialmente produttiva di danno. 1.3. Il rapporto tra cittadino, Stato e magistrato.
L’esigenza di un ragionevole contemperamento degli interessi. 1.4. Diversi sistemi di
responsabilità. Cenni. 1.5. La responsabilità civile nell’impianto ordinamentale del r.d. 30
gennaio 1941, n. 12. 1.6. La disciplina del codice di procedura civile del 1942 ed il nuovo
quadro costituzionale di riferimento. 1.7. L’abrogazione referendaria e l’approvazione della l.
13 aprile 1988, n. 117. 2.1. L’ambito di applicazione della l. 13 aprile 1988, n. 117, la
responsabilità diretta per fatto-reato, la tutela indennitaria. L’ipotizzabilità del concorso di
tutele. 2.2. Il magistrato responsabile della condotta illecita. 2.3. La riferibilità delle condotte
alle attribuzioni del magistrato. 2.4. Le condotte commissive e l’elemento soggettivo. 2.5. La
condotta omissiva, o diniego di giustizia. 2.6. I soggetti danneggiati dalla condotta illecita.
2.7. Il nesso di causalità tra condotta illecita e danno. 2.8. I danni risarcibili. 3.1. Il giudizio di
responsabilità contro lo Stato. 3.2. Le condizioni per la proposizione dell’azione. 3.3. I
termini decadenziali per la richiesta risarcitoria. 3.4. L’individuazione del giudice
competente. 3.5. L’introduzione del procedimento. 3.6. L’intervento del magistrato nel
giudizio di responsabilità. 3.7. Il procedimento incidentale di ammissibilità. 3.8. La
trattazione e l’istruttoria. 3.9. La fase conclusiva e la decisione. 4.1. L’azione di rivalsa dello
Stato nei confronti del responsabile. 4.2. Legittimazione attiva all’esercizio della rivalsa. 4.3.
L’individuazione del giudice competente. 4.4. Il procedimento. 4.5. La decisione e i limiti
della condanna del responsabile in sede di rivalsa. 5. Bibliografia.
1.1. Considerazioni introduttive.
Il tema della responsabilità del magistrato è di rilevanza, prima ancora che tecnica,
essenzialmente politica e, per sua stessa sostanza, dipende direttamente, in molti e
differenti profili, dall’assetto costituzionale dello Stato, dalle opzioni di fondo sui modelli
di organizzazione dell’esercizio dei pubblici poteri, dalle modalità e dai limiti che
l’ordinamento fissa in vista del soddisfacimento degli interessi della comunità nel suo
insieme e di coloro che ne fanno parte.
Il
tema,
per
questa
ragione,
anche
nell’ambito
di
un’analisi
di
tipo
fondamentalmente tecnico, deve inevitabilmente essere affrontato in una prospettiva in
La responsabilità nelle professioni legali
qualche modo più ampia ed articolata, ravvisandosi la necessità di considerare di volta in
volta il significato della normativa legale alla luce delle regole costituzionali sovraordinate,
delle specificità ordinamentali in cui l’attività giurisdizionale viene ad essere esercitata e,
naturalmente, del rilievo attribuito all’esigenza di un’adeguata riparazione delle
conseguenze pregiudizievoli che possano derivare dall’attività del magistrato.
Non può sottacersi, tuttavia, come la materia della responsabilità civile del
magistrato sia stata frequentemente oggetto di confronto, di accesa polemica e, talvolta,
persino di conflitto, tanto più in congiunture di disorientamento politico e istituzionale,
arrivando ad essere finanche evocata, in modo del tutto improprio e strumentale, quale
espediente sostanzialmente sanzionatorio che, per capacità di prevenzione, potesse
costituire ostacolo ad un esercizio della giurisdizione denunciato come abnorme.
In questo contesto si possono comprendere meglio, simmetricamente, le
preoccupazioni legate a modifiche legislative, al pari di letture inappropriate della
disciplina, potenzialmente capaci, da un lato, di snaturare i caratteri della tutela risarcitoria
e la sua funzionalità alla riparazione del pregiudizio del danneggiato e, dall’altro, di
rappresentare un serio vulnus al principio di indipendenza del magistrato e, nel sistema, di
condizionare il controllo di legalità assegnato alla giurisdizione, tanto più difficoltose in
relazione ad attività illecite diffuse e ed al ricorrente coinvolgimento in esse
dell’amministrazione della cosa pubblica.
1.2. L’attività giudiziaria come attività potenzialmente produttiva di danno.
Il principio della responsabilità civile del magistrato e dello Stato presuppone la
considerazione dell’attività giudiziaria come attività che, anche nell’ordinario e fis iologico
perseguimento dei suoi fini, oltre che per il possibile esercizio di rilevanti poteri
autoritativi, è capace di comportare ripercussioni importanti, positive o negative, sulla sfera
giuridica dei soggetti dalla stessa di volta in volta coinvolti.
Il riconoscimento del dato essenzialmente fenomenico della possibile relazione tra
l’ordinario esercizio della giurisdizione ed il pericolo di un pregiudizio per le parti o per i
soggetti comunque coinvolti, implica di conseguenza la necessità di delineare con
precisione gli interessi collettivi e le situazioni soggettive che si intendono di volta in volta
salvaguardare.
La disciplina positiva, più specificamente, è chiamata a individuare i casi in cui il
pregiudizio possa essere ritenuto ingiustificato e, successivamente, debba essere riparato
equamente, eventualmente distinguendo l’intervento meramente indennitario da quello
risarcitorio in senso proprio, il quale per sua stessa sostanza è connesso all’accertamento di
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La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
precise violazioni da parte dei soggetti di volta in volta chiamati ad esercitare le funzioni
giurisdizionali.
In questa prospettiva, ma sotto altro profilo, occorre inevitabilmente procedere alla
distinzione tra tali possibili violazioni ed i concorrenti livelli di responsabilità dell’agente,
avuto riguardo più precisamente alla possibile configurabilità nelle stesse violazioni di
illeciti penali o disciplinari, la cui commissione può a sua volta significativamente
condizionare contenuti e modalità di attivazione della tutela risarcitoria.
1.3. Il rapporto tra cittadino, Stato e magistrato. L’esigenza di un ragionevole
contemperamento degli interessi.
L’affermazione progressiva della giurisdizione come funzione dell’organizzazione
sociale, che si sviluppa parallelamente alla graduale sottrazione della protezione degli
interessi alla giustizia privata, è direttamente derivata dalla necessità di garantire una
decisione rispondente a principi ed a regole prefissate, attraverso un giudizio non inciso
dalla possibile disparità dei contendenti ed affidato ad un soggetto necessariamente
estraneo alla res controversa.
L’organizzazione, a sua volta, nel passaggio dai sistemi assolutistici e totalitari agli
stati liberali ed agli ordinamenti democratici moderni, si è gradatamente sviluppata con il
passaggio dalla concentrazione del complesso delle funzioni sovrane -e da un impianto,
quindi, di esercizio delegato delle funzioni medesime- alla conformazione autonoma della
giurisdizione nell’ambito dei diversi poteri statali, in questo modo rendendo finalmente
possibile, sotto l’aspetto sistematico, l’esigenza di un più diffuso e completo controllo di
conformità dell’esercizio della giurisdizione alle regole legali.
La soggezione del giudice alla legge, per il nostro ordinamento affermata dall’art.
101, secondo comma, Cost., rappresenta in definitiva il presupposto giuridico
costituzionale per la possibile affermazione, oltre che dell’autonomia e dell’indipendenza
da ogni altro potere dello Stato (art. 104, primo comma, Cost.), di una responsabilità verso
i terzi di fronte a violazioni che possano essere produttive di un danno.
La responsabilità del magistrato, più coerentemente, viene a delinearsi non tanto per
la violazione delle regole che sovrintendono l’esecuzione di compiti nell’ambito di
un’organizzazione burocratica di tipo gerarchico e, comunque, attraverso la quale si
struttura il potere pubblico nel suo complesso, ma per l’inosservanza degli obblighi legali e
professionali inerenti all'esercizio dell’attività che lo stesso magistrato è chiamato ad
esercitare.
Ed è in questa prospettiva che si deve porre, conseguentemente, l’esigenza di ricerca
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La responsabilità nelle professioni legali
di un adeguato punto di equilibrio e di un ragionevole contemperamento di interessi tra il
riconoscimento dell’istanza di riparazione dei soggetti incisi dall’attività del magistrato e,
da un lato, la dovuta salvaguardia dell’indefettibilità della funzione giurisdizionale e,
dall’altro, l’esigenza di proteggerne l’esercizio da possibili condizionamenti.
1.4. Diversi sistemi di responsabilità. Cenni.
L’esclusione della responsabilità civile del magistrato è fatta derivare comunemente
dalla preoccupazione che l’assoggettamento a tale forma di responsabilità possa privare il
magistrato stesso della necessaria serenità nella formazione del giudizio e, in definitiva, è
ricondotta alla specificità della funzione del giudicare, che dovrebbe essere del tutto scevra
da condizionamenti nell’interpretazione della disciplina legale e, sopratutto, nella
valutazione del fatto.
Verso la prospettiva dell’esclusione della responsabilità civile, fatta eccezione per
l’ipotesi di atti e comportamenti particolarmente gravi, sono orientati in genere i principali
sistemi di common law, in cui come è noto opera una magistratura di estrazione
essenzialmente professionale.
La responsabilità civile è nella sostanza sostituita, quanto meno di fatto, dai rimedi
endoprocessuali e da strumenti sanzionatori di natura pubblicistica o disciplinare, oltre che
in diversi casi dall’impeachment, cioè dalla messa in stato di accusa, con una netta opzione
verso la maggior tutela dell’indipendenza del magistrato ed il riconoscimento di una vera e
propria immunità giudiziaria, non solo ai magistrati delle alte corti ma anche ai giudici
inferiori.
Nell’esperienza continentale, il Code de l'organisation judiciaire afferma in Francia,
innanzi tutto, la responsabilità dello Stato per i danni causati dal difettoso funzionamento
del servizio giustizia, precisando che la responsabilità, salve particolari ipotesi, sorge solo
per colpa grave o per diniego di giustizia (article L141-1: L'Etat est tenu de réparer le
dommage causé par le fonctionnement défectueux du service de la justice. Sauf
dispositions particulières, cette responsabilité n'est engagée que par une faute lourde ou
par un déni de justice).
Per contro, la responsabilità per fatti addebitabili ai giudici è limitata ai casi di dolo,
frode o concussione, colpa grave e diniego di giustizia, stabilendosi ancora la
responsabilità dello Stato, salva l’azione di rivalsa (article L141-3 : Les juges peuvent être
pris à partie dans les cas suivants: 1. S'il y a dol, fraude, concussion ou faute lourde,
commis soit dans le cours de l'instruction, soit lors des jugements; 2. S'il y a déni de
justice. Il y a déni de justice lorsque les juges refusent de répondre aux requêtes ou
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La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
négligent de juger les affaires en état et en tour d'être jugées. L'Etat est civilement
responsable des condamnations en dommages et intérêts qui sont prononcées à raison de
ces faits contre les juges, sauf son recours contre ces derniers).
Nel Code de procédure civile è parallelamente disciplinato l’istituto della prise à
partie, procedura che può essere introdotta contro un magistrato non facente parte del
corps judiciaire, in difetto di leggi speciali (article L141-2 Code de l'organisation
judiciaire), in caso di dolo, frode, concussione o colpa grave, ovvero nell’ipotesi del
diniego di giustizia.1
La Ley Orgánica 6/1985, de 1 de julio, del Poder Judicial, ha invece previsto in
Spagna la responsabilità civile del giudice in caso di danni nell’esercizio delle loro
funzioni per le ipotesi di dolo e di colpa (articulo cuatrocientos once : Los jueces y
magistrados responderan civilmente por los daños y perjuicios que causaren cuando, en el
desempeño de sus funciones, incurrieren en dolo o culpa). 2
1.5. La responsabilità civile nell’impianto ordinamentale del r.d. 30 gennaio 1941, n.
12.
L’approvazione del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) ha
1
Article 366-1 La requête aux fins d'autorisation de la procédure de prise à partie est portée devant le
premier président de la cour d'appel dans le ressort de laquelle siège le juge intéressé.
Article 366-2 La requête est présentée par un avoué. A peine d'irrecevabilité, elle contient l'énoncé des
faits reprochés au juge et est accompagnée des pièces justificatives.
Article 366-3 Le premier président, après avoir recueilli l'avis du procureur général près la cour d'appel,
vérifie que la demande est fondée sur un des cas de prise à partie prévus par la loi.
Article 366-4 La décision du premier président autorisant la procédure de prise à partie fixe le jour où
l'affaire sera examinée par deux chambres réunies de la cour. Le greffe porte par tout moyen la décision à la
connaissance du juge et du président de la juridiction à laquelle il appartient.
Article 366-5 La décision de refus est susceptible d'un recours devant la Cour de cassation dans les
quinze jours de son prononcé. Le recours est formé, instruit et jugé selon la procédure sans représentation
obligatoire.
Article 366-6 Le juge, dès qu'il a connaissance de la décision autorisant la procédure de prise à partie,
s'abstient jusqu'à ce qu'il ait été statué sur la prise à partie.
Article 366-7 Le requérant assigne le juge pour le jour fixé. A peine d'irrecevabilité de la demande, une
copie de la requête, de la décision du premier président et des pièces justificatives sont jointes à l'assignation.
Une copie de l'assignation est adressée au ministère public par lettre recommandée avec demande d'avis de
réception à la diligence de l'huissier de justice.
Article 366-8 A l'audience, la représentation et l'assistance des parties s'exercent dans les conditions
prévues par l'article 931. La cour statue après avis du ministère public. Section II : Dispositions particulières à la
prise à partie fondée sur le déni de justice.
Article 366-9 A peine d'irrecevabilité de la requête visée à l'article 366-1, le requérant qui invoque un
déni de justice doit produire deux sommations de juger délivrées par huissier de justice au greffe de la
juridiction. Le greffier vise l'original et le transmet au juge. La sommation doit être réitérée passé un délai de
huit jours.
2
Articulo cuatrocientos doce: La responsabilidad civil podra exigirse a instancia de la parte perjudicada
o de sus causahabientes, en el juicio que corresponda.
Articulo cuatrocientos trece: 1. La demanda de responsabilidad civil no podra interponerse hasta que
sea firme la resolucion que ponga fin al proceso en que se suponga producido el agravio, ni por quien no haya
reclamado oportunamente en el mismo, pudiendo hacerlo.
2. En ningun caso la sentencia pronunciada en el juicio de responsabilidad civil alterara la resolucion firme
recaida en el proceso..
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La responsabilità nelle professioni legali
rappresentato la declinazione dell’ordine giudiziario come un corpo perfettamente inserito
nello stato apparato, organizzato gerarchicamente e secondo gradi (art. 118), con passaggi
di grado attraverso il sistema delle promozioni (art. 131), in cui nomine, avanzamenti,
tramutamenti, revoche e tutti i provvedimenti riguardanti lo stato giuridico dei magistrati
provenivano comunque dal Re Imperatore, su proposta del Ministro di grazia e giustizia
(artt. 6 s.).
Nel contesto del riconoscimento formale di contenute prerogative, comunque nel
solco delle ristrette previsioni del costituzionalismo liberale del secolo precedente, ma
nell’effettività del regime totalitario fascista, si era istituito un controllo assolutamente
rigido sul magistrato, con la previsione della dispensa dal servizio per inettitudine, qualora
lo stesso non avesse potuto “adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del
proprio ufficio” (art. 224); di una sorveglianza gerarchica dell’esecutivo, riconoscendosi
l’esercizio da parte del Ministro di grazia e giustizia della “alta sorveglianza sulle corti, sui
tribunali e su tutti i giudici dello Stato” (art. 228), sovraordinata rispetto alla sorveglianza
gerarchica dei capi degli uffici; di illeciti disciplinari formulati in termini del tutto sommari
e riferiti alla generica inosservanza di doveri o comportamenti tali da rendere il magistrato
“immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere” ovvero da
compromettere “il prestigio dell'ordine giudiziario” (art. 232); di un giudizio disciplinare
affidato alla Corte disciplinare per la magistratura, presieduta dal primo presidente della
Corte suprema di cassazione e composta da magistrati “scelti” tra primi presidenti di corte
di appello, e magistrati di grado equiparato, e tra i consiglieri di corte di cassazione, e
magistrati di grado equiparato, tutti nominati con decreto reale, su proposta del Ministro di
grazia e giustizia, previa deliberazione del Consiglio dei min istri (art. 236).
L’art. 239 dell’Ordinamento giudiziario disciplinava le possibili interferenze tra il
procedimento disciplinare e “ogni azione civile e penale” che proveniva dal medesimo
fatto, prevedendone l’instaurazione (“è promosso”) anche se il procedimento civile o
penale fosse stato in corso, riferendosi peraltro ad un sistema in cui l’“azione civile contro
le autorità giudiziarie e gli uffiziali del ministero pubblico” era consentita, dall’art. 783
c.p.c. del 1865, qualora i magistrati fossero stati, “nell’esercizio delle loro funzioni,
imputabili per dolo, frode o concussione”, ovvero si fossero rifiutati “di provvedere sulla
domanda delle parti” o avessero tralasciato “di giudicare o concludere sopra affari... in
istato di essere decisi”.
L’esclusione di qualsiasi rilievo della colpa, quand’anche grave ed inescusabile,
dipendeva direttamente dalla chiara tassatività delle fattispecie, le quali per opinione
diffusa non ammettevano a loro volta una responsabilità dello Stato atteso che il
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La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
pregiudizio non era riconducibile all’esercizio delle funzioni ma derivava da una condotta
in
aperta
ed
giurisdizionale.
intenzionale
violazione
delle
regole
che
presiedevano
l’attività
3
1.6. La disciplina del codice di procedura civile del 1942 ed il nuovo quadro
costituzionale di riferimento.
Il legislatore della riforma del codice di procedura civile si era orientato nel senso
della sostanziale conferma dell’indicato assetto della responsabilità del magistrato,
stabilendo che il giudice poteva essere civilmente responsabile “soltanto” qualora,
nell’esercizio delle sue funzioni fosse stato “imputabile di dolo, frode o concussione” (art.
55, primo comma, n. 1, c.p.c.), ovvero quando, senza giusto motivo, avesse rifiutato,
omesso o ritardato di provvedere sulle domande o sulle istanze delle parti e, in generale, di
compiere un atto del suo ministero (art. 55, primo comma, n. 2, c.p.c.), precisando tuttavia
3
Art. 784. Affinché possa avere luogo l'azione civile nel caso del n. 2 dell'art. 783, è necessario che la
parte abbia fatto due istanze all'autorità giudiziaria o all'uffiziale del ministero pubblico nella persona del
rispettivo cancelliere o segretario, per mezzo di usciere.
Dalla prima alla seconda istanza deve esservi l'intervallo di giorni cinque almeno, se trattasi di
conciliatori o di pretori, e di giorni dieci se trattisi di altra autorità giudiziaria o di uffiziali del M.P.
Art. 785. L'azione civile contro i conciliatori o i pretori, contro tribunali civili o di commercio, contro
alcuna delle loro sezioni o alcuno dei giudici, contro il procuratore del re alcuno de’ suoi sostituti, è proposta
davanti la corte di appello.
L'azione civile contro una corte di appello, contro alcuna delle sue sezioni, o alcuno dei consiglieri,
contro una corte di assise, o alcuno dei giudici, contro il procuratore generale o alcuno dei suoi sostituti, e
proposta davanti la corte di cassazione.
L'azione civile contro una delle sezioni della corte di cassazione, o contro alcuno dei consiglieri delle
medesime, è proposta davanti un'altra delle sue sezioni; contro il procuratore generale, o alcuno dei suoi
sostituti, è proposta davanti alla sezione prima.
Art. 786. L'azione civile contro le autorità giudiziarie o gli uffiziali del ministero pubblico deve essere
autorizzata dalla corte cui spetta di giudicarne.
L'autorizzazione è chiesta con ricorso sottoscritto dalla parte o da procuratore legalmente esercente,
munito di mandato speciale per quest'oggetto, da unirsi al ricorso insieme ai documenti sui quali la domanda è
fondata.
Il ricorso indica i fatti e i mezzi di prova.
Quando nel ricorso siano usate espressioni ingiuriose, chi lo ha sottoscritto è punito con multa
estendibile a lire trecento; il procuratore è inoltre punito con la sospensione per un tempo non maggiore di sei
mesi, salvo in tutti i casi l'azione penale.
Art. 787. La corte delibera per l'autorizzazione in camera di consiglio.
Se il ricorso è rigettato, la sentenza ne contiene i motivi, e il ricorrente è condannato in una multa
estendibile a lire centocinquanta.
Art. 788. Quando la corte conceda l'autorizzazione, ordina che copia del ricorso e del decreto sia
notificata, nel termine che sarà stabilito, al conciliatore, al pretore, al giudice, al consigliere o all'uffizia le del
ministero pubblico, e, se trattasi di tribunale, di corte, o di sezione, al capo rispettivo.
Le autorità giudiziarie o gli uffiziali del ministero pubblico contro il quale è proposta l'azione devono,
nel termine stabilito nel decreto, costituire un procuratore e presentare le loro difese.
Art. 789. Dal giorno della notificazione, e sino alla sentenza definitiva, le autorità giudiziarie, o gli
uffiziali del ministero pubblico, contro i quali è promossa l'azione, devono astenersi da qualunque ingerenza
nelle cause della parte ricorrente, dei suoi ascendenti, discendenti o coniuge, sotto pena di nullità degli atti fatti
col loro intervento.
Art. 790. Presentate le difese indicate nell'articolo 788, o decorso il termine stabilito per presentarle, la
causa si spedisce all'udienza che sarà stabilita dal presidente.
Art. 791. Quando la parte ricorrente voglia intervenire all'udienza, deve essere rappresentata da
procuratore legalmente esercente.
Art. 792. Quando la domanda sia rigettato, l'attore è condannato nella multa stabilita nell'art. 787.
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La responsabilità nelle professioni legali
che tali ipotesi si sarebbero potute avverare solo qualora la parte interessata avesse
depositato in cancelleria un’istanza al giudice per ottenere il provvedimento o l'atto, e
fossero decorsi inutilmente dieci giorni dal deposito (art. 55, secondo comma, c.p.c.).
L’azione non avrebbe potuto essere esercitata senza l'autorizzazione del Ministro di
grazia e giustizia (art. 56, primo comma, c.p.c.) e la competenza a conoscere della
controversia doveva essere di volta in volta stabilita dalla Corte di cassazione che, a
richiesta della parte autorizzata, doveva designare, con decreto emesso in camera di
consiglio, il giudice che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla domanda (art. 56, secondo
comma, c.p.c.).
La responsabilità civile del pubblico ministero, a sua volta, era prevista
esclusivamente in caso di dolo, frode o concussione nell'esercizio delle funzioni, con
applicazione delle disposizioni dettate in tema di responsabilità del giudice e di esercizio
dell'azione relativa, ma con riferimento alla sola ipotesi dell’intervento nel processo civile
ed a condotte commissive (art. 74 c.p.c.).
Le disposizioni limitative della responsabilità civile e del diritto di azione del
danneggiato non si applicavano nella sola eventualità della costituzione di parte civile nel
processo penale oppure di azione civile conseguente alla condanna penale del magistrato
(art. 56, terzo comma, c.p.c.).
La disciplina del codice di rito del 1942 veniva fatta oggetto di argomentate critiche
e ne era stata diffusamente contestata la legittimità alla luce dei principi affermati dalla
Costituzione della Repubblica del 1948, avuto riguardo, per un verso, ai significativi limiti
di tutela del danneggiato nei confronti del magistrato la cui condotta illecita aveva causato
il pregiudizio, al regime dell’autorizzazione ministeriale, alla stessa restrizione della
responsabilità dello Stato.
La Corte costituzionale, investita di alcuni di tali profili, aveva peraltro ritenuto non
fondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni limitative della
responsabilità in riferimento all'art. 28 Cost., che aveva nel frattempo stabilito che tutti i
funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici dovessero essere direttamente
responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in
violazione di diritti ed aveva previsto, in tali casi, l’estensione della responsabilità civile
all’amministrazione (Corte cost., 14 marzo 1968, n. 2).
La Corte aveva sottolineato che l’art. 28 Cost. aveva in realtà inteso affermare in
linea di principio la responsabilità personale di tutti i dipendenti pubblici e l’estensione
all’amministrazione dell’accertata responsabilità, rilevando tuttavia che il precetto
costituzionale non arrivava ad impedire al legislatore ordinario di disciplinare la
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La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
responsabilità dei pubblici dipendenti in termini differenziati, per categorie ovvero per
specifiche situazioni.
La singolarità della funzione giurisdizionale, la natura dei provvedimenti giudiziari,
la stessa posizione super partes del magistrato, inoltre, ben potevano suggerire, pur senza
escluderla del tutto o limitarla irragionevolmente ed in violazione del principio di
eguaglianza sostanziale declinato dall’art. 3 Cost., condizioni e limiti alla sua
responsabilità civile, sottolineando peraltro che la responsabilità dello Stato doveva
inderogabilmente accompagnarsi a quella del magistrato, qualora sussistente, dovendosi
considerare contraria a giustizia una legge che avesse negato al cittadino danneggiato dal
giudice qualunque pretesa verso l'ammin istrazione.
Le disposizioni di cui agli artt. 55 e 74 c.p.c., secondo la Corte, non contrastavano
quindi con i precetti costituzionali proprio perché il loro apparente silenzio, malgrado un
diverso indirizzo interpretativo, non significava ineluttabilmente né l’esclusione della
responsabilità dello Stato, alle medesime condizioni ed entro gli stessi limiti della
responsabilità del magistrato -che avrebbe dovuto essere quindi affermata per gli atti e le
omissioni di cui lo stesso rispondeva nell'esercizio del suo ministero, con la precisazione
che l’autorizzazione ministeriale non avrebbe potuto dirsi necessaria per l'esercizio
dell'azione risarcitoria contro lo stesso Stato-, né la limitazione della responsabilità dello
Stato in caso di danni cagionati dal giudice per colpa, anche lieve, e persino senza colpa,
non essendo impedito alla giurisprudenza di riconoscere il diritto al ristoro della vittima da
ulteriori norme e dai principi dell’ordinamento.
1.7. L’abrogazione referendaria e l’approvazione della l. 13 aprile 1988, n. 117.
La significativa estensione dell’area dell’intervento del controllo giurisdizionale di
legalità e, per contro, l’inadeguatezza della disciplina legale -e della sua lettura in sede
applicativa- alle mutate condizioni sociali e ad una proporzionata tutela del cittadino leso,
come anche l’insufficiente funzionamento, da un lato, dei meccanismi di garanzia
processuali e, dall’altro, dell’intervento punitivo disciplinare anche di fronte a manifeste
trasgressioni e inadempienze, hanno portato dapprima a diversi tentativi di riforma della
disciplina e, di seguito, nell’incapacità di una tempestiva risposta politica all’esigenza di
modifica della normativa vigente, alla richiesta di referendum popolare abrogativo degli
artt. 55, 56 e 74 c.p.c.
La Corte Costituzionale, nell’affermare l’ammissibilità della richiesta referendaria,
non si era limitata a rilevare l’omogeneità e l’univocità del quesito, ma aveva sottolineato
che lo stesso riguardava disposizioni legislative non assimilabili a norme costituzionali
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La responsabilità nelle professioni legali
sotto il profilo della resistenza all'abrogazione e, comunque, non aventi "contenuto
costituzionalmente vincolato", cioè tali da dar vita, nel loro nucleo normativo, all'unica
disciplina della materia consentita dalla Costituzione.
Eventuali profili di illegittimità della situazione normativa conseguente all'eventuale
effetto abrogativo del referendum avrebbero comunque potuto essere oggetto, in ipotesi, di
giudizio di legittimità costituzionale, nelle forme, alle condizioni e nei limiti prescritti
(Corte cost., 3 febbraio 1987, n. 26).
In seguito all’esito positivo referendum, con d.P.R. 9 dicembre 1987, n. 497, si è
quindi proceduto alla dichiarazione di abrogazione delle disposizioni ed al contestuale
differimento dell’efficacia abrogativa della consultazione popolare di centoventi giorni
dalla stessa data, in cui si era proceduto alla pubblicazione del decreto nella Gazzetta
ufficiale, ai sensi rispettivamente dell’art. 37 l. 25 maggio 1970, n. 352, e dell’art. 2 delle
legge 7 agosto 1987, n. 332.
Tale differimento è stato disposto nella dichiarata esigenza di evitare che, a seguito
del risultato del referendum popolare, la materia della responsabilità civile dei magistrati
restasse priva di una disciplina specifica e per consentire, considerata la complessità della
materia stessa, l'approvazione di una nuova disciplina sostitutiva della precedente, poi
effettivamente introdotta con la l. 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), pubblicata
nella Gazzetta ufficiale della Repubblica 15 aprile 1988, n. 88.
2.1. L’ambito di applicazione della l. 13 aprile 1988, n. 117, la responsabilità diretta
per fatto-reato, la tutela indennitaria. L’ipotizzabilità del concorso di tutele.
La disciplina speciale apprestata dalla l. 13 aprile 1988, n. 117, ha come oggetto
esclusivo l’azione risarcitoria per il pregiudizio cagionato da un magistrato nell’esercizio
delle funzioni giudiziarie.
In questo senso sono precise le indicazioni contenute negli artt. 2 e 13, da cui si trae
l’affermazione del diritto di agire nei termini e nelle forme ordinarie per chi affermi di aver
subito un danno in conseguenza di un illecito posto in essere dal magistrato al di fuori dallo
svolgimento della sua attività ovvero a causa di un fatto costituente reato commesso dal
magistrato, quand’anche nell'esercizio delle sue funzioni.
Nel caso di attività delittuosa del magistrato nell’esercizio delle sue funzioni,
peraltro, il legislatore ordinario attua il precetto costituzionale di cui all’art. 28 Cost.,
affermando incondizionatamente la responsabilità civile diretta dello Stato, oltre che quella
del magistrato in sede di rivalsa, da ritenersi di natura illimitata e solidale alla stregua dei
10
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
comuni criteri e dei principi in materia di illecito aquiliano.
L’azione civile per il risarcimento del danno ed il suo concreto esercizio, nei
confronti del magistrato e, come responsabile civile, dello Stato, in queste differenti ipotesi
sono regolati dalle norme comuni (art. 13, primo comma), 4 ma l’azione di regresso dello
Stato che sia stato dichiarato tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato viene
assoggettata alle disposizioni relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti (art. 13,
secondo comma).
In caso di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, quindi, la
relativa controversia spetta alla giurisdizione della Corte dei conti, atteso che la
giurisdizione contabile, secondo la previsione dell'art. 52 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214
(Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), e dell'art. 103 Cost., si
estende ad ogni ipotesi di responsabilità per pregiudizi economici arrecati allo Stato o ad
enti pubblici da persone legate da vincoli di impiego o di servizio ed in conseguenza di
violazioni degli obblighi inerenti a detti rapporti. 5
La disciplina speciale, per espressa indicazione legale, non pregiudica minimamente
“il diritto alla riparazione a favore delle vittime di errori giudiziari e di ingiusta
detenzione” (art. 14), in questo modo rendendo possibile il concorso elettivo a favore del
danneggiato di ulteriori diverse tutele apprestate dall’ordinamento in caso di danni
connessi all’esercizio della giurisdizione.
Deve così ritenersi pienamente ammissibile, quand’anche sia stata dedotta e possa
ipotizzarsi la responsabilità del magistrato, il ricorso alla tutela riparatoria per l’eventuale
4
In tema di responsabilità civile del magistrato, l'art. 13 della legge n. 117 del 1988, nel prevedere
l'azione diretta nei confronti del magistrato e dello Stato, quale responsabile civile, in caso di reati commessi dal
magistrato medesimo nell'esercizio delle proprie funzioni, si pone su di un piano diverso da quello delle ipotesi di
responsabilità contemplate dagli art. 2 e seguenti della legge stessa e si riferisce a fattispecie che presentino rispetto all'ipotesi di dolo di cui all'art. 2- un ulteriore connotato, rappresentato dalla costituzione di parte civile
nel processo penale eventualmente instaurato a carico del magistrato, ovvero da una sentenza penale di condanna
del medesimo, passata in giudicato; con la conseguenza che qualora si prospetti, pur in difetto di tali presupposti,
di aver subito un danno ingiusto per compimento di reati da parte di magistrati nell'esercizio delle loro funzioni, la
relativa domanda non si sottrae al giudizio di ammissibilità previsto dall'art. 5 della richiamata legge, in quanto
ove il preteso danneggiato potesse liberamente agire in giudizio civile (in via alternativa o cumulativa nei
confronti del magistrato e dello Stato), semplicemente prospettando ipotesi di reato a carico del magistrato,
risulterebbero completamente vanificati le limitazioni ed il "filtro" imposti dalla legge all'ammissibilità
dell'indicata azione (Cass., Sez. III, 7 maggio 2007, n. 10295; Cass., Sez. III, 16 novembre 2006, n. 24387; Cass.
civ., Sez. I, 19 agosto 1995, n. 8952.
5
In argomento Cass., Sezioni unite, ordinanza 24 marzo2006, n. 6582. Al di fuori da tali ipotesi, si è
rilevato che, a norma dell'art. 103 Cost., l'attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione in materia di
contabilità pubblica non ha carattere cogente ed assoluto, ma solo tendenzialmente generale, sicché la concreta
individuazione delle singole fattispecie necessita della interpositio legislatoris; ne consegue che -pur dovendosi
riconoscere, alla stregua della normativa vigente e di alcune pronunce della Corte costituzionale, che non
sussistono ragioni per escludere la responsabilità amministrativa dei magistrati qualora vi sia un comportamento
riconducibile ad ipotesi di reato- la controversia promossa dal Procuratore regionale della Corte dei conti, nei
confronti di un magistrato ordinario, per il danno colposamente arrecato all'amministrazione a seguito del
ritardato dissequestro di due autoveicoli affidati in custodia giudiziale, è devoluta alla giurisdizione del giudice
ordinario, e non della Corte dei conti, non essendo configurabile alcuna ipotesi di reato e trattandosi di danno
11
La responsabilità nelle professioni legali
ingiusta detenzione (artt. 314 ss. c.p.p.) e, se del caso, a quella dell’errore giudiziario in
favore di chi, prosciolto in sede di revisione, abbia espiato pena o subito internamento, o
abbia comunque avuto conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna (artt.
643 ss. c.p.p.).
Non può essere messa in dubbio, inoltre, la piena applicabilità e la possibile scelta
da parte del danneggiato della più agevole tutela indennitaria di cui alla l. 24 marzo 2001,
n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del
processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), la quale rende
possibile la piena riparazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali per effetto della
violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, ratificata con la l. legge 4 agosto 1955, n. 848, anche quando il mancato
rispetto del termine ragionevole di durata del processo fosse imputabile a condotte del
magistrato (si veda, in particolare, l’art. 2, secondo comma, della stessa legge, che prevede
che, nell'accertare la violazione, il giudice debba anche considerare “il comportamento...
del giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi
o a comunque contribuire alla sua definizione”).
2.2. Il magistrato responsabile della condotta illecita.
L’art. 1, in primo luogo, indica l’applicabilità delle disposizioni a tutti gli
appartenenti alle magistrature, senza distinzione tra magistratura ordinaria e magistrature
speciali (“ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività
giudiziaria”), precisando tuttavia opportunamente l’esclusione di qualsiasi rilievo della
“natura delle funzioni” concretamente svolte dal magistrato, in tal modo evitando che
possa essere ritenuta l’inapplicabilità delle regole nel caso di svolgimento di funzioni
intrinsecamente ammin istrative e non giurisdizionali.
La disposizione, pur facendo riferimento agli “appartenenti alle magistrature”, è di
per sé stessa volta a comprendere, in particolare per la magistratura ordinaria, tutti i
magistrati appartenenti all’ordine giudiziario e, di conseguenza, anche quelli onorari tra
cui, specificamente, i giudici di pace, i giudici onorari di tribunale ed i vice procuratori.
Sono soggetti alla disciplina, infine, anche gli “estranei che partecipano
all'esercizio della funzione giudiziaria”, espressione che, riprendendo la previsione di cui
all’art. 102 Cost., vuole distinguere chi esercita la funzione giurisdizionale in modo
continuativo -senza che rilevi la sussistenza di un rapporto d'impiego pubblico ovvero
causato, alla luce della l. 13 aprile 1988, n. 117, nell'esercizio delle funzioni giudiziarie (Cass. civ., Sezioni unite,
27 maggio 2009, n. 12248).
12
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
l’esercizio onorario e temporaneo delle funzioni giurisdizionali- da coloro che sono
semplicemente
chiamati
a
svolgere
determinate
funzioni
giurisdizionali,
mai
individualmente ma sempre collegialmente insieme ai magistrati, in ragione di precise
comp etenze ed esperienze professionali o di natura tecnica, quali membri di organi
collegiali specializzati, ovvero come cittadini (si pensi, per tutti, oltre ai giudici popolari
delle corti d'assise e delle corti d'assise d'appello, ai componenti dei tribunali e delle
sezioni per i minorenni delle corti d'appello, agli esperti delle sezioni specializzate agrarie
presso i tribunali e le corti d'appello).
L’art. 1, secondo comma, include infine nell’area di operatività della disciplina la
responsabilità dei magistrati “negli organi collegiali”, indipendentemente dal titolo della
partecipazione, fatte salve le disposizioni particolari ulteriormente previste, come per i
magistrati onorari, per gli “estranei”.6
Tra i soggetti "estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria" non
rientra il curatore fallimentare, in quanto esercita solo una funzione pubblica nell'interesse
della giustizia ma non anche una funzione propriamente giudiziaria nell'accezione
individuata nella legge speciale. 7
2.3. La riferibilità delle condotte alle attribuzioni del magistrato.
Il danno che può rilevare ai fini del risarcimento è quello riconducibile, quindi, a
qualsiasi condotta tenuta nello svolgimento delle diverse attività affidate, come si è detto,
indipendentemente dal fatto che si tratti di esercizio della giurisdizione in senso proprio
ovvero di svolgimento di funzioni legate a compiti differenti, anche di natura
amministrativa.
Viene tuttavia senza riserve affermata l’esclusione da ogni possibile responsabilità
in relazione all’attività di interpretazione di norme di diritto e di quella di valutazione del
fatto e delle prove (c.d. clausola di salvaguardia), estesa agli accertamenti in via incidentale
6
L’art. 16, relativamente alla responsabilità dei componenti gli organi giudiziari collegiali, modificando
anche gli artt. 148 c.p.p. e l’art. 131 c.p.c., aveva inizialmente previsto che, per i provvedimenti collegiali,
avrebbe dovuto essere sempre compilato “sommario processo verbale” contenente la menzione dell’unanimità
della decisione o del dissenso, succintamente motivato, che uno o più componenti avessero eventualmente
espresso su ciascuna delle questioni decise, con indicazione nominativa dei dissenzienti.
Il verbale, sottoscritto da tutti i componenti del collegio, avrebbe dovuto poi essere conservato a cura del
presidente in plico sigillato presso la cancelleria.
La Corte costituzionale, con sentenza 9-18 gennaio 1989, n. 18, ha dichiarato l'illegittimità della
disposizione, nella parte in cui prevedeva tale obbligatorietà, anziché l’indicazione “ può, se uno dei componenti
dell'organo collegiale lo richieda, essere compilato sommario processo verbale”.
Si veda il d.m. 16 aprile 1988, per i modelli dei verbali e la determinazione delle modalità di
conservazione dei plichi sigillati e della loro distruzione, decorsi i termini di legge.
Il magistrato componente l'organo giudiziario collegiale risponde, in sede di rivalsa, anche quando il
danno ingiusto che ha dato luogo al risarcimento è derivato dall'inosservanza di obblighi di sua specifica
competenza.
7
Cass., Sez. III, 8 maggio 2008, n. 11229.
13
La responsabilità nelle professioni legali
e senza effetto di giudicato di comportamenti di terzi, ancorché infamanti, qualora
l’accertamento risulti necessario ed occorra pronunciare su fatti o persone estranei
all'oggetto della causa quando i riferimenti siano indispensabili ai fini della decisione.8
L’esclusione esprime convenientemente il principio secondo cui il giudizio del
magistrato non può essere oggetto di sindacato di responsabilità, ritenendosi del tutto
incensurabile l’attività valutativa che presiede all’adozione di un atto o di un
provvedimento, quanto meno nei limiti del suo normale esercizio.
Si è precisato inoltre che, non vigendo nell'ordinamento il principio del precedente
giurisprudenziale vincolante, l’interpretazione della singola norma contenuta in precedenti
decisioni non ha valore giuridico oltre il caso esaminato ed un altro giudice non è mai
obbligato a decidere conformemente all'interpretazione già effettuata precedentemente in
relazione ad un'altra controversia.9
L’indicazione legislativa è stata d’altra parte confermata anche al di fuori della
materia, settorialmente, con l’esclusione di ogni possibile rilievo di merito sull’attività di
interpretazione di norme di diritto e di quella di valutazione del fatto e delle prove nelle
valutazione di professionalità previste per la progressione economica e di funzioni dei
magistrati (art. 11, secondo comma, d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160), oltre che,
fisiologicamente, ai fini della configurabilità di un illecito di natura disciplinare
nell’esercizio delle funzioni (art. 2, secondo comma, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109).
Non può non sottolinearsi, a questo proposito, la precisa consapevolezza del
legislatore della virtuale efficacia sovvertitrice dei principi costituzionali di un controllo
esterno su quanto ineluttabilmente presiede al giudizio, tanto più in sistemi ordinamentali
ed assetti normativi complessi in cui al giudice venga istituzionalmente affidato il compito
di assicurare piena tutela anche agli interessi di nuova emersione, frequentemente di fronte
al mancato intervento del legislatore, attraverso la stessa interpretazione evolutiva e
costituzionalmente orientata.
La l. 13 aprile 1988, n. 117, sotto questo profilo, esprime una matura comprensione
del ruolo costituzionalmente assegnato alla giurisdizione e dell’impossibilità di ridurre i
suoi compiti, come pure si sosteneva in passato e talvolta si tenta riduttivamente di
avvalorare tutt’oggi, a quello della mera attuazione del precetto normativo e, con
riferimento all’opera di interpretazione, di considerare il giudice un semplice strumento di
espressione della volontà della legge. 10
8
Cass., Sez. III, 27 novembre 2006, n. 25123, anche con riferimento alle disposizioni del codice etico
della magistratura.
9
Cass., Sez. III, 31 maggio 2006, n. 13000.
10
La clausola di salvaguardia, in definitiva, non tollererebbe letture riduttive perché giustificata dal
carattere fortemente valutativo dell'attività giudiziaria e, come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza
14
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
2.4. Le condotte commissive e l’elemento soggettivo.
L’art. 2, primo comma, l. 13 aprile 1988, n. 117, rappresenta in termini del tutto
generali le possibili condotte commissive del magistrato come comportamenti, atti e
provvedimenti giudiziari, in modo da ricomprendere almeno all’apparenza qualsiasi
condotta posta in essere dal magistrato che possa considerarsi causalmente all’origine di un
“danno ingiusto”.
La fattispecie sembra riprodurre integralmente, a questo proposito, lo schema della
responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c., avuto riguardo al carattere atipico del fatto
illecito riferibile al magistrato ed alla sua descrizione, effettuata essenzialmente con
riguardo alla sola attitudine a cagionare un danno ingiusto, o non iure, vale a dire in
concreta assenza di una valida ragione giustificativa.
La previsione, per altro verso, dà l'impressione di riferirsi alla lesione di situazioni
soggettive che, pur non individuate in via preventiva ed a prescindere dalla loro
qualificazione formale, siano comunque rilevanti per l'ordinamento, così da consentire
almeno in via di principio una tutela risarcitoria di interessi potenzialmente differenziati,
fatte salve le limitazioni in merito alla risarcibilità dei danni.
Tale conformazione della fattispecie può sicuramente essere affermata nel caso di
dolo, vale a dire nell’eventualità di una condotta cosciente e volontaria caratterizzata dalla
consapevolezza di arrecare il pregiudizio ingiusto attraverso il comportamento, con
l’emanazione dell’atto o del provvedimento ovvero in conseguenza del rifiuto,
dell'omissione o del ritardo nel comp imento dell’atto dovuto.11
E’ richiesta la sussistenza di un dolo soltanto generico, non essendo preteso lo
specifico proposito di cagionare il danno o l’esistenza di altre finalità, essendo invece
necessaria soltanto la mera previsione da parte del magistrato del danno che dalla sua
azione possa derivare.
L’elemento
psicologico
dell’illecito
è
peraltro
compatibile
con
il
dolo
semplicemente eventuale, per il quale non è peraltro sufficiente la prevedibilità astratta
dell'evento, dovendo l'agente rappresentarsi -come conseguenza certa, o anche solo
probabile, della sua condotta- proprio l'evento che si è in concreto verificato ed accettarlo
come conseguenza, quanto meno potenziale, della propria condotta.
Il dolo, come è noto, si caratterizza come un atteggiamento psicologico soggettivo
19 gennaio 1989, n. 18, attuativa della garanzia costituzionale dell'indipendenza del giudice e, con essa, del
giudizio (Cass., Sez. III, 27 novembre 2006, n. 25123).
11
Sulla nozione di dolo nel senso non della semplice volontarietà dell'azione che si assume dannosa,
bensì della diretta consapevolezza di compiere un atto giudiziario formalmente e sostanzialmente illegittimo con
il deliberato proposito di nuocere ingiustamente, tra le altre, Cass., Sez. III, 16 novembre 2006, n. 24370.
15
La responsabilità nelle professioni legali
e, pur dovendo essere provato dal soggetto che lo allega secondo la previsione generale di
cui all’art. 2697, primo comma, c.c., trattandosi di fatto costitutivo della pretesa, può
senz’altro essere accertato, come di regola, mediante il ricorso a presunzioni semplici, il
cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità
in presenza di congrua motivazione. 12
La Suprema Corte, in tema di responsabilità civile per il danno cagionato
nell'esercizio colposo delle funzioni giudiziarie, ha tuttavia evidenziato che la colpa grave
si caratterizza in termini del tutto peculiari rispetto alla sua nozione generale -quale è
quella richiamata dall'art. 2236, secondo comma, c.c. con riferimento alla prestazione del
libero professionista implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà- sia
perché non può dare luogo a responsabilità l'attività del giudice di interpretazione delle
norme di diritto, né quella di valutazione del fatto e delle prove, sia perché la detta
responsabilità incontra un ulteriore limite nella necessità che la colpa grave sia qualificata
da "negligenza inescusabile", per tale intendendosi una negligenza che non possa trovare
non solamente giustificazione, ma neppure spiegazione in particolarità delle vicende
giudiziarie idonee a rendere comprensibile, anche se non giustificato, l'errore del giudice.13
L’illecito gravemente colposo, a dispetto dell’apparente previsione di cui all’art. 2,
primo comma, che non sembrava giustificare in via generale una caratterizzazione così
restrittiva, può quindi configurarsi:
a) in ogni caso di grave violazione di legge, rilevante anche con riguardo
all’apparente attività interpretativa quando nel corso dell'attività giurisdizionale, spesso
caratterizzata da opzioni tra più interpretazioni possibili di una norma di diritto, si sia
concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa
ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di
scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione
assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell'interpretazione
nel diritto libero;14
b) nell'affermazione o nella negazione di un fatto la cui esistenza, rispettivamente, è
incontrastabilmente
esclusa
ovvero
risulta
incontrastabilmente
dagli
atti
del
12
Sull’onere di allegare nello stesso giudizio di ammissibilità della domanda di cui all'art. 5 concreti
elementi idonei a configurare l'atteggiamento doloso, non essendo a tal fine sufficiente la generica affermazione
della mera possibilità di un intento doloso del magistrato, Cass., Sez. III, 8 maggio 2008, n. 11229.
13
Cass. civ., 5 luglio 2007, n. 15227; Cass., Sez. III, 27 novembre 2006, n. 25133 ; Cass. civ., Sez. I, 7
novembre 2003, n. 16696, che richiama anche Cass. civ., Sez. I, 6 novembre 1999, n. 12357; Cass. civ., Sez. I, 10
marzo 1999, n. 2201; Cass. civ., Sez. I, 9 settembre 1995, n. 9511.
14
Cass. civ., Sez. III, 18 marzo 2008, n. 7272.
16
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
procedimento;15
c) nell'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi
consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
La Suprema Corte ha affermato che deve essere cassata senza rinvio, ai sensi
dell'art. 382, terzo comma, ultima parte, c.p.c., la sentenza resa in sede equitativa dal
giudice di pace su un'azione esercitata per far valere la responsabilità civile per colpa lieve
di un magistrato, atteso che il relativo diritto al risarcimento non è previsto
dall'ordinamento e non essendo mai stata configurabile una siffatta responsabilità. 16
2.5. La condotta omissiva, o diniego di giustizia.
L’art. 3 definisce il diniego di giustizia come “il rifiuto, l'omissione o il ritardo del
magistrato nel compimento di atti del suo ufficio”, ricollegando alla stessa condotta la
responsabilità risarcitoria dello Stato.
Ai fini dell’integrazione del diniego di giustizia, peraltro, occorre che si verifichino
le seguenti ulteriori condizioni:
a)
la scadenza del termine di legge per il compimento dell'atto;
b) la presentazione da parte dell’interessato dell’istanza per ottenere il
provvedimento;
c)
l’inutile decorso del termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza in
cancelleria, senza giustificato motivo.
Il termine può essere prorogato dal dirigente dell'ufficio di cui il magistrato fa parte,
prima della sua scadenza e con decreto motivato, sino a tre mesi dalla data di deposito
dell’istanza, ovvero, qualora si tratti di una sentenza la cui redazione sia di particolare
complessità, sino ad ulteriori tre mesi, vale a dire sino a sei mesi dalla data di deposito in
cancelleria dell’istanza per ottenere il provvedimento.
In considerazione del preminente rilievo costituzionale della libertà personale e
della possibile limitazione della stessa “nei soli casi e modi previsti dalla legge” (art. 13
Cost.), quando il rifiuto, l'omissione o il ritardo senza giustificato motivo siano relativi ad
15
La lettera b) del comma 3 dell'art. 2 l. 13 aprile 1988, n. 117, considera il caso in cui il giudice affermi
un fatto incontrastabilmente escluso dagli atti del procedimento, e dunque attribuisce rilevanza, sempre che sia da
ascrivere a negligenza inescusabile, all'errore di tipo "revocatorio", consistente nella supposizione di una
circostanza fattuale la cui inesistenza sia chiaramente posta in luce dalle risultanze acquisite agli atti. Ne consegue
che non è riconducibile alla fattispecie prevista da detta norma il caso in cui il giudice ritenga il verificarsi di una
situazione di fatto senza elementi pertinenti, ovvero sulla scorta di elementi reputati insufficienti nei gradi di
giudizio successivi, i quali, tuttavia abbiano formato oggetto di esame e valutazione da parte sua (Cass. civ., Sez.
I, 6 novembre 1999, n. 12357, con riguardo ad un caso in cui, in sede di applicazione dell'art. 15 l. fall., i giudici
di un tribunale, avendo disposto, nell'ambito di una istruttoria prefallimentare a carico di una società di persone e
dei soci illimitatamente responsabili, la convocazione dei fallendi tramite i carabinieri, avevano reputato che la
stessa era da ritenersi effettuata ad uno dei soci in quanto convivente di altro socio, cui i carabinieri avevano
comunicato la convocazione telefonicamente).
17
La responsabilità nelle professioni legali
atti che “concernono” la libertà personale dell'imputato, il termine è improrogabile ed è
ridotto a cinque giorni a decorrere dal deposito dell'istanza o, in ogni caso, “coincide con il
giorno in cui si è verificata una situazione o è decorso un termine che rendano
incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà personale” (art. 3, terzo
comma).
Nell’ipotesi del diniego di giustizia il mancato rispetto del termine legale rileva di
per sé stesso quale possibile condizione determinativa del processo causale dell'evento
dannoso, trattandosi di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica
specifica.
Il giudizio sul rilievo causale dell'omissione, tuttavia, deve essere tenuto distinto da
quello sull'attribuibilità della condotta omissiva sul piano soggettivo a colui che era tenuto
alla condotta positiva e, quindi, dal giudizio sull'elemento soggettivo dell'illecito, che
postula un comportamento omesso con dolo o colpa grave e, dunque, il relativo concreto
accertamento, che si colloca, pertanto, su un piano successivo a quello dell'accertamento
del nesso di causalità e presuppone quest'ultimo.
Si tratta di un illecito omissivo istantaneo che si realizza per il mancato compimento
dell’atto imposto da una norma giuridica specifica (c.d. omissione specifica), con
riferimento al quale sono necessarie ma anche sufficienti, da un lato, la semplice
consapevolezza del magistrato di tenere una condotta in violazione dei propri doveri e,
dall’altro, l’assenza di cause di giustificazione dell’inerzia.
2.6. I soggetti danneggiati dalla condotta illecita.
L’art. 2 non individua precisamente i possibili soggetti ingiustamente lesi, lasciando
intendere la possibilità di una tutela risarcitoria non soltanto per le parti del procedimento
trattato dal magistrato ma anche per i soggetti in questo coinvolti, per chi fosse comunque
inciso, direttamente o indirettamente, dall’esercizio dell’attività del magistrato e persino
per i terzi.
Si pensi ad esempio, con riguardo alle differenti possibili incidenze dell’illecito, ai
testimoni o ai terzi chiamati a determinate attività in ragione dell’attività istruttoria, al
possibile pregiudizio ai congiunti di una delle parti in giudizio, la cui vita familiare abbia
subito ripercussioni gravi, ai terzi ingiustificatamente pregiudicati dalle espressioni
contenute in provvedimenti redatti dal magistrato.
Il comportamento illecito del magistrato, d’altra parte, può sicuramente configurarsi
come illecito plurioffensivo ed incide sulle posizioni di diversi soggetti i quali,
16
Cass., Sez. III, 6 dicembre 2006, n. 26060.
18
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
autonomamente e senza che sia necessario un intervento di tutti i danneggiati, potrebbero
perciò tutelare la propria posizione di danneggiati ed ottenere la condanna del responsabile
al risarcimento (si veda, in proposito, l’art. 8, terzo comma, relativamente alla misura delle
responsabilità in sede di rivalsa nell’ipotesi di pluralità di danneggiati).
2.7. Il nesso di causalità tra condotta illecita e danno.
Con riguardo al rapporto di causalità, trattandosi di responsabilità extracontrattuale,
soltanto qualora la condotta abbia concorso, pur insieme a circostanze naturali, alla
produzione dell'evento, e ne costituisca un antecedente causale, l'agente deve rispondere
per l'intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato.17
Non può essere affermata, invece, la responsabilità per quei danni che non
dipendano direttamente dalla condotta del magistrato e si sarebbero verificati ugualmente
anche senza di essa, né per quelli preesistenti, salva la possibilità di addebitare all'agente i
maggiori danni o gli aggravamenti che siano sopravvenuti per effetto della condotta, anche
a livello di concausa e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati, con
conseguente responsabilità per l'intero danno differen ziale.
Trattandosi di responsabilità civile, occorre far riferimento a quanto recentemente
affermato dalle Sezioni unite della Suprema Corte, secondo cui, da un lato, i principi
generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli
delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale e, dall’altro, ciò che differenzia
l'accertamento del nesso causale in sede penale ed in sede civile è la regola probatoria,
valendo per il primo il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" mentre, nel secondo,
quello della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", così che la regola
della "certezza probabilistica" non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione
quantitativa-statistica delle frequenze di classe di eventi, cd. probabilità quantitativa, ma va
verificata riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma
disponibili nel caso concreto, c.d. probabilità logica. 18
Nella stessa prospettiva, è chiamato ad operare il principio secondo cui l’evento
dannoso deve essere ascritto esclusivamente alla condotta del danneggiato qualora possa
valutarsi che la sua stessa condotta, anche semplicemente colposa, si sia inserita nel
dinamismo causale ed abbia così interrotto il nesso eziologico tra la condotta illecita del
17
In base ai principi generali dettati dall'art. 2043 c.c. e all'applicazione che di questi fa l'art. 2 l. n. 117
del 1988, l'azione di risarcimento dei danni, derivante da responsabilità per dolo o colpa dei magistrati, è
proponibile solo se è possibile ricollegare il danno al comportamento, all'atto o al provvedimento giudiziario
posto in essere dai magistrati nell'esercizio delle loro funzioni con un nesso di causa ed effetto (Cass. civ., Sez. I,
7 febbraio 1996, n. 991).
18
Cass. civ., Sez. unite, 11 gennaio 2008, n. 581, cui si rinvia per gli ulteriori riferimenti in essa
19
La responsabilità nelle professioni legali
magistrato ed il danno, con conseguente totale esclusione dalla responsabilità dell’agente.
In materia di responsabilità, più in generale, se il fatto colposo del danneggiato ha
concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e
l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, e comunque non è dovuto per i danni che
lo stesso danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (artt. 1227 e 2056
c.c.).
2.8. I danni risarcibili.
L’azione risarcitoria è riconosciuta “per ottenere il risarcimento dei danni
patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà
personale” (art. 2, primo comma, ultima parte).
Si tratta di una previsione, nella parte in cui esclude la risarcibilità dei danni non
patrimoniali al di fuori delle ipotesi di incisione sulla libertà personale, di incerta
legittimità costituzionale, alla luce innanzi tutto dell’a ffermazione ormai consolidata
secondo cui la risarcibilità del danno non patrimoniale va sempre assicurata nel caso della
lesione di interessi di rango costituzionale inerenti la persona, tra cui quelli all’immagine
individuale e sociale, alla salute e alla famiglia, al lavoro.
La risarcibilità deve essere assicurata, infatti, anche in assenza di reato, “sia perché
in tal caso il risarcimento costituisce la forma minima di tutela, ed una tutela minima non
è assoggettabile a limiti specifici, poiché ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi,
sia perché il rinvio ai casi in cui la legge consente il risarcimento del danno non
patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle
previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei
diritti inviolabili inerenti la persona non aventi natura economica implicitamente, ma
necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla
legge, al massimo livello, di risarcimento del danno non patrimoniale”.19
La legittimità della disposizione, sotto altro profilo, sembra criticabile per la
possibile irragionevolezza in relazione all’estensione della tutela indennitaria prevista non
tanto in materia di riparazione per l'ingiusta detenzione (artt. 314 ss. c.p.p.) dell’errore
giudiziario (artt. 643 ss. c.p.p.), data la correlazione con l’ingiustificata limitazione della
libertà personale, quanto in tema di equa riparazione per la violazione del termine
ragionevole di durata del processo, disciplinata dalla l. 24 marzo 2001, n. 89, che come
detto riconosce il diritto al completo ristoro dei danni non patrimoniali.
contenuti.
19
In questi termini Cass., Sezioni unite, 11 novembre 2008, n. 26972, condividendo sul punto
l’orientamento conforme di legittimità già consolidatosi.
20
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
Il danno patrimoniale è risarcibile, a sua volta, nelle due distinte componenti del
danno emergente, vale a dire delle perdite economiche subite dal soggetto leso, e del lucro
cessante, cioè del mancato guadagno, da valutarsi “con equo apprezzamento delle
circostanze del caso”, in quanto possano dirsi conseguenza immediata e diretta della
condotta illecita del magistrato.
Il danno può essere determinato in via equitativa in caso di impossibilità o eccessiva
difficoltà di una dimostrazione nel suo preciso ammontare (artt. 1223, 1226 e 2056 c.c.)
e,vertendosi in ipotesi di illecito di natura extracontrattuale, il risarcimento non è
sicuramente limitato al pregiudizio che poteva prevedersi nel tempo in cui è stata posto in
essere l’illecito.
3.1. Il giudizio di responsabilità contro lo Stato.
L’art. 2, primo comma, prevede che l’azione per il risarcimento del danno provocato
dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni debba essere proposta direttamente ed
esclusivamente nei confronti dello Stato, e non del magistrato, mentre il successivo art. 4,
primo comma, stabilisce che l’azione debba essere esercitata nei confronti del Presidente
del Consiglio dei Ministri.
In tema di legittimazione attiva e passiva nei giudizi in cui siano parti
amministrazioni dello Stato, pur essendo indubbia l'unicità del soggetto al quale si riferisce
l'azione di dette amministrazioni, al suo interno si distinguono i vari settori e sfere di
azione e le rispettive competenze, che danno luogo a distinti centri di interesse, con la
conseguenza che la legittimazione a stare in giudizio spetta agli organi delle
amministrazioni di volta in volta istituzionalmente preposte a svolgere la singola attività di
cui si tratta.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, quindi, è l’autorità amministrativa
esclusivamente legittimata a contraddire rispetto alla domanda risarcitoria, e l'erronea
individuazione dell'autorità competente a stare in giudizio, secondo l'art. 4 della legge 25
marzo 1958, n. 260 (Modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello
Stato), comporta una nullità relativa sanabile, peraltro limitatamente al solo momento
dell’instaurazione del giudizio.
L’erronea individuazione, infatti, deve essere eccepita dall'Avvocatura dello Stato
nella prima udienza, a pena di decadenza, con la contemporanea indicazione dell’autorità e
del soggetto cui l'atto avrebbe dovuto essere notificato.
L’eccezione, dalla cui formulazione discende l’eventuale rimessione in termini della
parte attrice, impone al giudice di fissare un termine entro il quale l'atto introduttivo del
21
La responsabilità nelle professioni legali
giudizio deve essere rinnovato.
3.2. Le condizioni per la proposizione dell’azione.
L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto
quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti
avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili
la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando
sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha
cagionato il danno (art. 4, secondo comma, prima parte).
La disposizione è finalizzata ad evitare che l’azione possa essere promossa senza
adire i rimedi endoprocessuali messi a disposizione dall’ordinamento, lasciando del tutto
aperto il possibile rilievo della mancata attivazione dei rimedi impugnatori e, più in
generale, del colpevole mancato esercizio delle facoltà accordate dalla legge processuale a
tutela della propria posizione.
L'azione può essere esercitata decorsi, in ogni caso, tre anni dalla data del fatto che
ha cagionato il danno se entro lo stesso termine non si è concluso il grado del
procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si è verificato (art. 4, terzo comma).
3.3. I termini decadenziali per la richiesta risarcitoria.
La domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro due anni, termine che
inizia a decorrere dal momento in cui l'azione è esperibile (art. 4, secondo comma), fermo
restando che in nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che, a causa del
segreto istruttorio, non abbia avuto conoscenza del fatto (art. 4, quinto comma).
Il termine di decadenza decorre quindi dal giorno in cui la parte, cessato il segreto
istruttorio, ha avuto conoscenza del fatto e, nel caso si assuma che il danno derivi
dall'esecuzione di una misura cautelare personale, tale momento è individuabile, al più
tardi, nel deposito della richiesta di rinvio a giudizio o, se del caso, nella data dell'udienza
preliminare, a nulla rilevando che nel corso del dibattimento la parte sia venuta a
conoscenza di fatti nuovi, in quanto al termine di decadenza non sono applicabili le cause
di sospensione o di interruzione della prescrizione. 20
20
App. L'Aquila, 21 giugno 2001, in Giur. merito, 2001, 976. Si veda anche Cass., Sez. III, 13 ottobre
2006, n. 22006, che evidenzia come, ai fini del decorso del termine di decadenza biennale, sia irrilevante la data
in cui è divenuta irrevocabile la decisione che ha liquidato il danno da ingiusta detenzione, atteso che tra i due
istituti non vi è alcuna connessione o pregiudizialità, trattandosi di azioni distinte, la prima basata su una
responsabilità del magistrato, a titolo di dolo o colpa grave, ovvero per colpevole diniego di giustizia, l'altra
fondata soltanto sui dati obbiettivi contemplati dalle relative norme, che prescindono dall'accertamento di
eventuali profili colposi nella condotta del magistrato.
22
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
L’azione è considerata esperibile, nell’ipotesi di diniego di giustizia, dalla scadenza
del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza, con la
conseguenza che dalla stessa data decorre il termine biennale di decadenza dall’azione (art.
4, quarto comma).
3.4. L’individuazione del giudice competente.
Competente è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da
determinarsi a norma dell'articolo 11 c.p.p. e dell'articolo 1 norme di attuazione, di
coordinamento e transitorie dello stesso codice, che regolano la competenza per i
procedimenti penali riguardanti i magistrati.
Le controversie che sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario
compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, o
le esercitava al momento del fatto, sono pertanto di competenza del giudice, ugualmente
competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello
individuato dalla tabella A allegata alle stesse norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie.
Se poi il magistrato è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un momento
successivo a quello del fatto nel distretto così determinato, è competente il giudice che ha
sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d'appello determinato secondo le stesse
disposizioni.
La competenza si configura come competenza territoriale di carattere inderogabile,
senza peraltro che il rilievo o l'eccezione di incompetenza possano intervenire in ogni stato
e grado del giudizio, in quanto anche in tale ipotesi trova applicazione la disciplina
generale di cui all'art. 38 c.p.c., con la conseguenza che l'incompetenza territoriale, anche
nei casi previsti dall'art. 28 c.p.c., deve essere eccepita tempestivamente e può essere
rilevata dal giudice non oltre la prima udienza di trattazione.21
La Suprema Corte ha avuto modo di affermare recentemente che trova peraltro
applicazione, in via di interpretazione sistematica, la regola, dettata in materia di foro per le
cause in cui sono parti i magistrati, posta dall'art. 30-bis, secondo comma, c.p.c. derogatoria della disciplina normale sulla cd. perpetuatio della competenza prevista
dall'art. 5 c.p.c. e volta ad assicurare, anche all'apparenza, il massimo grado di imparzialità
della giurisdizione, per cui la potestas iudicandi
dell'ufficio giudiziario adito
originariamente in primo grado, ma anche di quello adito in sede di impugnazione di
21
Cass. civ., Sez. III, 3 novembre 2004, n. 21057, con riferimento alla disciplina generale di cui all’art.
30-bis c.p.c.
23
La responsabilità nelle professioni legali
merito, viene meno se il magistrato, del cui operato si discuta, anche se non intervenuto nel
giudizio, eserciti successivamente le funzioni nel distretto in cui si situa l'ufficio di merito
che in quel momento tratta il processo.
Se il mutamento di fatto si verifichi nel corso del giudizio, sia di primo grado che di
impugnazione di merito, troverà applicazione la regola posta dall'art. 157, secondo comma,
c.p.c., per cui l'anzidetta situazione dovrà essere rilevata d'ufficio oppure eccepita dalla
parte nella prima istanza o difesa successiva alla notizia del trasferimento del magistrato
nel distretto.
Qualora, invece, la medesima sopravvenienza di fatto si verifichi nella pendenza del
termine per l'impugnazione, troverà applicazione l'art. 38 c.p.c., sicché soltanto nel caso di
pertinente e tempestiva eccezione di parte o rilevazione d'ufficio nella prima udienza di
trattazione del giudizio di impugnazione si dovrà disporre la translatio del processo al
diverso giudice individuato in base alle regole dell'art. 11 c.p.p.22
3.5. L’introduzione del procedimento.
L'azione, in mancanza della previsioni di una disciplina speciale, si propone nelle
forme comuni e secondo le regole del processo di cognizione e, quindi, mediante citazione
a comparire a udienza fissa, ai sensi dell’art. 163 c.p.c.
Gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi alla causa sono esenti, senza limite
di valore, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie
e natura, esenzione che riguarda anche gli atti e i documenti relativi all’esecuzione forzata
delle sentenze e delle ordinanze emesse nel giudizio, osservandosi in quanto applicabile
l’articolo unico l. 2 aprile 1958, n. 319 (Esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di
lavoro), in base a quanto previsto dall’art. 15 della legge.
Il patrocinio a spese dello Stato per l'esercizio dell'azione civile in caso di non
abbienza è disciplinato in via generale dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).
La citazione, con riferimento al requisito dell’esposizione dei fatti e degli elementi
di diritto costituenti le ragioni della domanda, deve contenere un’indicazione chiara e
precisa della condotta illecita attribuita al giudice e del pregiudizio ad essa asseritamente
riconducibile, trattandosi di presupposti la cui mancata puntuale allegazione si traduce in
un’incertezza assoluta di un requisito essenziale dell’atto difensivo, secondo la previsione
di cui all’art. 164 c.p.c.
La fase introduttiva del giudizio, a seguito dell’entrata in vigore della riforma del
22
Cass. civ., Sez. III, ord. 30 dicembre 2009, n. 27666
24
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
processo civile, salve le limitate deviazioni previste dalla l. 13 aprile 1988, n. 117, è
disciplinata dalle regole comuni, così che l’amministrazione deve costituirsi nelle forme e
nei termini fissati dall’art. 166 c.p.c., e proporre nella comparsa di risposta “tutte le sue
difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda”, oltre
che a pena di decadenza le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e
di merito che non siano rilevabili d'ufficio (art. 167 c.p.c.).
Sono soggette alla decadenza processuale, in particolare, tutte le eccezioni in senso
stretto, tra cui ad esempio quella di decadenza dall’azione, essendo pienamente applicabile
l’art. 2969 c.c., secondo cui la decadenza non può mai essere rilevata d'ufficio dal giudice,
salvo che, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba
rilevare le cause d'improponibilità dell'azione (si veda, in proposito, l’art. 7, primo e
secondo comma, che confermano la transigibilità della controversia).
E’ egualmente soggetta al termine decadenziale ogni eccezione su questioni di
merito non rilevabili d’ufficio, quali devono essere considerata quella di prescrizione
estintiva e quella disciplinata dall'art. 1227, secondo comma, c.c., che esclude il
risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
Deve infine ritenersi applicabile in materia l’orientamento giurisprudenziale ormai
consolidato in tema di onere di contestazione, secondo cui la parte convenuta è chiamata a
contestare specificamente i fatti affermati dalla controparte, pena l’esenzione di questa
dall’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c., non solo per quanto previsto dall’art. 167
c.p.c., ma sopratutto perché tale onere deriva dal sistema processuale nel suo complesso,
risultante dal carattere dispositivo del processo, dalla sua struttura dialettica a catena, dal
sistema di preclusioni, dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti, che
impongono l’obbligo di collaborare a circoscrivere la materia controversa, dal generale
principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo all’art. 111 Cost. in
tema di giusto processo.
3.6. L’intervento del magistrato nel giudizio di responsabilità.
Il presidente del tribunale, cui è presentato il fascicolo a seguito dell’iscrizione a
ruolo della controversia (art. 168-bis c.p.c.), non è chiamato esclusivamente a designare il
giudice istruttore davanti al quale le parti debbono comparire, o la sezione cui il
procedimento è assegnato -salvo debba procedere egli stesso all'istruzione-, ma è tenuto a
disporre che sia data comunicazione del procedimento al magistrato cui è attribuita la
condotta illecita, almeno quindici giorni prima della data fissata per la prima udienza, per
consentirgli l’intervento in giudizio.
25
La responsabilità nelle professioni legali
L’intervento del magistrato nel giudizio è riconosciuto al solo fine di permettergli
sin dall’inizio la piena esplicazione del diritto di difesa rispetto ad una pretesa che potrebbe
comportare una rivalsa nei suoi confronti da parte dello Stato, ed è configurato come
intervento volontario adesivo dipendente (art. 6, primo comma, che richiama
espressamente l’art. 105, secondo comma, c.p.c.).
Il magistrato, infatti, ha un interesse limitato al sostegno delle ragioni di una delle
parti e la sua legittimazione si fonda su un rapporto giuridico diverso da quello oggetto del
processo ma che potrebbe senz’altro subire effetti sfavorevoli riflessi o indiretti del
giudicato.
Il diritto di intervento nel giudizio di responsabilità contro lo Stato è riconosciuto in
ogni fase e grado del procedimento, e deve segnalarsi l’affermazione ricorrente secondo
cui la preclusione sancita dall'art. 268 c.p.c. -in forza del quale il terzo interveniente che
non comparisca volontariamente per l'integrazione necessaria del contraddittorio non può
compiere atti che al momento dell'intervento non sono più consentiti ad alcuna altra partenon si estende comunque all'attività assertiva, configurandosi solo l'obbligo di accettare,
all’atto della sua costituzione, lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie
già verificatesi per le parti originarie.
La decisione pronunciata nel giudizio di responsabilità promosso dal danneggiato
contro l’amministrazione fa stato nel giudizio di rivalsa solo se il magistrato sia intervenuto
volontariamente, mentre non fa stato, incondizionatamente, nell’eventuale procedimento
disciplinare.
3.7. Il procedimento incidentale di ammissibilità.
Il giudice istruttore, all’udienza di prima comparizione e trattazione di cui all’art.
183 c.p.c., verificata la regolarità del contraddittorio, è tenuto a rimettere le parti dinanzi al
tribunale che, in camera di consiglio, delibera sull'ammissibilità della domanda di
risarcimento del danno (art. 5).
Si tratta di un procedimento incidentale di natura sommaria avente natura delibatoria
che può essere definito, con decreto motivato, con la dichiarazione di inammissibilità della
domanda:
a) “quando non sono rispettati i termini o i presupposti per la sua proposizione”
(artt. 2, 3 e 4);
b) quando la domanda risulta manifestamente infondata.
Al di fuori di queste ipotesi il tribunale dichiara l’ammissibilità della domanda,
disponendo contestualmente per la prosecuzione del processo ed ordinando la trasmissione
26
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
di copia degli atti ai titolari dell'azione disciplinare ovvero, per gli estranei che partecipano
all'esercizio di funzioni giudiziarie, agli organi ai quali compete l'eventuale sospensione o
revoca della loro nomina. 23
La fase preliminare attinente all'ammissibilità dell'azione ha carattere di cognizione
piena e definitiva in ordine alla configurabilità dei fatti contestati, dei requisiti e delle
condizioni cui la legge subordina detta responsabilità, ma consente anche, ove ricorra la
manifesta infondatezza, una valutazione, da condurre esclusivamente ex actis, sul merito
della questione dedotta in giudizio, essendo l'infondatezza ragione di inammissibilità della
domanda quando essa sia manifesta, e cioè emerga dagli atti senza necessità di ulteriori
indagini o accertamenti istruttori. 24
Il decreto che dichiara l’inammissibilità è impugnabile con i modi e le forme di cui
all'articolo 739 c.p.c., davanti alla corte d'appello, la quale pronuncia anch'essa in camera
di consiglio e con decreto motivato.
Il reclamo avverso il decreto di inammissibilità, benché caratterizzato dalla
speditezza e dall'informalità del rito, non può risolversi nella mera riproposizione delle
questioni già affrontate e risolte dal primo giudice, ma deve contenere specifiche critiche al
provvedimento impugnato ed esporre le ragioni per le quali se ne chiede la riforma. 25
Contro il decreto di inammissibilità della corte d'appello può essere proposto ricorso
per cassazione, che deve essere notificato all'altra parte entro trenta giorni dalla
23
Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione
disciplinare negli altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno
dato causa all'azione di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta, entro due mesi dalla comunicazione,
mentre rimane viene confermata la facoltà del Ministro della giustizia di esercitare l’azione, in conformità alla
previsione di cui all’art. 107 Cost. La sussistenza dell’illecito disciplinare non è condizionata, naturalmente,
dall’elemento soggettivo richiesto ai fini dell’affermazione della responsabilità civile (art. 9, terzo comma). A
seguito dell’entrata in vigore della riforma degli illeciti disciplinari dei magistrati di cui al d.lgs. 23 febbraio 2006,
n. 109, le diverse condotte potrebbero essere riportate a diverse delle ipotesi di cui all’art. 2, primo comma, tra cui
in particolare quelle di cui alla lett. a (comportamenti che, in violazione dei doveri, arrecano ingiusto danno ad
una delle parti); d (comportamenti gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o
di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri
magistrati o di collaboratori); g (la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile);
h (il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile); l (l'emissione di provvedimenti privi di
motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza dei presupposti di legge
senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla
legge); m (l'adozione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave e
inescusabile, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali); q (il reiterato, grave e
ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni); u (la divulgazione di atti del
procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere
di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente
diritti altrui); v) pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di
trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando sono
dirette a ledere indebitamente diritti altrui; ff (l'adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero
sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza); gg (l'emissione di un provvedimento
restrittivo della libertà personale fuori dei casi consentiti dalla legge, determinata da negligenza grave ed
inescusabile).
24
Cass., Sez. III, 27 novembre 2006, n. 25133; Cass. civ., Sez. III, 16 novembre 2006, n. 24387; Cass.
civ., Sez. III, 20 ottobre 2006, n. 22539; Cass. civ., Sez. I, 19 giugno 2003, n. 9811.
25
Cass., Sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4719.
27
La responsabilità nelle professioni legali
notificazione del decreto, da effettuarsi “senza indugio” a cura della cancelleria e
comunque non oltre dieci giorni. 26
Il ricorso per cassazione è depositato nella cancelleria della stessa corte d'appello nei
successivi dieci giorni e l'altra parte deve costituirsi nei dieci giorni successivi depositando
memoria e fascicolo presso la cancelleria.
La corte, dopo la costituzione delle parti o dopo la scadenza dei termini per il
deposito, trasmette gli atti senza indugio e comunque non oltre dieci giorni alla Corte di
cassazione che, ove annulli il provvedimento di inammissibilità della corte d'appello,
dichiara ammissibile la domanda.
La corte d'appello o la Corte di cassazione che, in sede di impugnazione, dichiarano
ammissibile la domanda, rimettono per la prosecuzione del processo gli atti ad altra
sezione del tribunale e, ove questa non sia costituita, al tribunale che decide in
composizione intieramente diversa.
Nell'eventuale giudizio di appello proposto contro la sentenza che definisce il
giudizio di merito non possono far parte della corte i magistrati che abbiano fatto parte del
collegio che ha pronunziato l'inammissibilità.
La fase incidentale di ammissibilità deve necessariamente esaurirsi nei termini
brevissimi stabiliti, per il tribunale di quaranta giorni dal provvedimento di rimessione del
giudice istruttore; per la corte d’appello di quaranta giorni dalla proposizione del reclamo;
per la Corte di cassazione di sessanta giorni dal ricevimento degli atti trasmessi dalla corte
d’appello.27
La disciplina sulla responsabilità delle parti per le spese e per i danni processuali,
dettata dagli artt. 91 ss. c.p.c., opera anche con riferimento alla fase di delibazione in
camera di consiglio circa l'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno contro lo
Stato, quando questa si sia conclusa con la pronuncia di inammissibilità, cioè con un
provvedimento definitivo, che chiude il processo dinanzi al giudice adito, e decisorio, in
quanto idoneo ad incidere sul diritto al risarcimento, escludendone l'operatività.
La regola trova applicazione anche a favore del magistrato che intervenga nel
procedimento in via di intervento adesivo dipendente, secondo quanto consente l'art. 6,
poiché anche in tal caso vale il principio secondo cui l'interveniente adesivo dipendente
diventa parte del giudizio, così che l’attore, in caso di soccombenza nella fase di
26
Il decreto è soggetto al regime speciale di impugnazione in cassazione previsto dalla legge speciale
anche quando dichiari l'inammissibilità dell'impugnazione per vizi formali, senza procedere all'esame delle
questioni relative ai termini od ai presupposti dell'azione, oppure dichiararne la manifesta infondatezza (Cass.,
Sez. III, 20 gennaio 2006, n. 1104).
28
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
ammissibilità, può essere condannato alle spese anche a favore dell’interveniente.28
La previsione di un preliminare giudizio di ammissibilità della domanda trova piena
giustificazione e base logica, secondo la Suprema Corte, nella oggettiva peculiarità della
materia e risponde a una precisa scelta di politica legislativa volta a tutelare l'indipendenza
e l'autonomia della funzione giurisdizionale (artt. 101 ss. Cost.), senza con ciò accordare
privilegi al magistrato o ledere il principio di eguaglianza.
Il diritto di difesa -che, come ogni diritto individuale riconosciuto dalla
Costituzione, non può sottrarsi a limitazioni intese ad armonizzarne l'esercizio con i diritti
altrui e le esigenze generali- è infatti compatibile con il rito camerale, mentre il diniego di
azione diretta contro il magistrato non incide sulle posizioni creditorie del danneggiato, per
l'esaustiva tutela rappresentata dalla piena assunzione da parte dello Stato delle
corrispondenti obbligazioni.
La fase "filtrante" non contrasta poi con il contenuto immediatamente precettivo del
novellato art. 111 Cost., consentendo comunque al cittadino, il quale si assuma
danneggiato da un atto commissivo o omissivo di un organo giurisdizionale, di avanzare la
propria pretesa risarcitoria nell'ambito di un processo "giusto", ovverosia rispettoso del
principio del contraddittorio e celebrato davanti a un giudice la cui individuazione sul
territorio è determinata in termini tali da fugare ogni timore di parzialità. 29
3.8. La trattazione e l’istruttoria.
Le fasi della trattazione preparatoria e dell’istruttoria non presentano significativi
scostamenti dalla disciplina generale.
L’articolazione del processo in fasi successive (preparatoria, istruttoria e decisoria) e
le ordinarie preclusioni all'esercizio dei poteri processuali che alle diverse fasi si correlano,
risultano infatti pienamente compatibili con l’azione per il risarcimento dei danni cagionati
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, ed anzi funzionali all’esigenza di una sollecita
definizione del giudizio.
La facoltà delle parti di chiedere nuovi mezzi di prova deve essere esercitata, quindi,
a pena di decadenza nel momento in cui si conclude la fase di trattazione preparatoria e
prima dell’apertura di quella istruttoria, ed in caso di mancato suo esercizio si verifica
l'immediato passaggio alla fase decisoria, ai sensi dell'art. 187 c.p.c.
27
Scaduti i termini, è previsto espressamente che la parte interessata possa presentare al tribunale, alla
corte d'appello ed alla stessa Corte di cassazione l'istanza per ottenere il provvedimento, prodromica alla
formazione del diniego di giustizia ai sensi dell’art. 3 della legge.
28
Cass. civ., Sez. III, 20 gennaio 2006, n. 1105.
29
Cass., Sez. I, 4 maggio 2005, n. 9288, che ha dichiarato manifestamente infondata, con riferimento agli
artt. 3, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità cost ituzionale dell'art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117.
29
La responsabilità nelle professioni legali
Il giudice istruttore, al termine dell’udienza di prima comparizione e trattazione, può
immediatamente invitare le parti alla precisazione delle conclusioni non soltanto in assenza
di precedenti istanze istruttorie, di valutazione della loro inammissibilità o mancando una
richiesta di assegnazione dei termini di cui all'art. 183, sesto comma, c.p.c., ma anche
qualora ritenga la causa matura per la decisione, secondo le previsioni di cui agli artt. 187
c.p.c. e 80 bis disp. att. c.p.c.
Il legislatore ha espressamente escluso la possibilità che il magistrato cui viene
addebitato il provvedimento possa essere assunto come teste nel “giudizio di
ammissibilità” come anche nel giudizio contro lo Stato (art. 6, terzo comma), in tal modo
semplicemente facendo applicazione nella materia del principio generale in tema di
incapacità a testimoniare secondo cui non possono essere assunte come testimoni le
persone aventi nella causa un interesse giuridico, personale, concreto ed attuale che
potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio (art. 246 c.p.c.).
E’ senz’altro possibile, pur in difetto di esplicita previsione legale, l’acquisizione
degli atti del giudizio disciplinare eventualmente svolto nei confronti del magistrato, al pari
di quanto consentito, su istanza di parte o d'ufficio, nel giudizio di rivalsa (art. 9, secondo
comma), attività istruttoria riconducibile all’ipotesi generale della richiesta di informazioni
che consente al giudice, fuori dei casi dell’esibizione, di richiedere d'ufficio alla pubblica
ammin istrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti che ritiene necessario
acquis ire al processo (art. 213 c.p.c.).
3.9. La fase conclusiva e la decisione.
Il tribunale giudica in composizione collegiale, avuto riguardo alla disposizione
contenuta nell’art. 50-bis, primo comma, n. 7, c.p.c., così che il giudice istruttore, al
termine dell'udienza di precisazione delle conclusioni, deve provvedere alla rimessione al
collegio ai sensi dell’art. 189 c.p.c.
La mancata assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e
delle memorie finali di replica ai sensi dell'art. 190 c.p.c. costituisce motivo di nullità della
decisione, in quanto lesiva del diritto di difesa, con conseguente violazione del principio
del contraddittorio.30
L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del
tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del
rinvio operato dall'art. 50-quater c.p.c. al successivo art. 161, primo comma, un’autonoma
30
Cass. civ., Sez. III, 6 marzo 2006, n. 4805, cui si rinvia per gli ulteriori riferimenti alla giurisprudenza
di legittimità.
30
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
causa di nullità della decisione e non una forma di nullità relativa derivante da atti
processuali antecedenti alla sentenza -e, perciò, soggetta al regime di sanatoria implicita-,
con la sua conseguente convertibilità in motivo di impugnazione e senza che la stessa
produca l'effetto della rimessione degli atti al primo giudice se il giudice dell'impugnazione
sia anche giudice del merito. 31
L’applicabilità delle regole processuali ordinarie comporta la possibilità di ordinare
la pubblicità della sentenza, ai sensi dell’art. 120 c.p.c., su istanza del danneggiato, nei casi
in cui la pubblicità della decisione di merito possa contribuire a riparare il danno.
4.1. L’azione di rivalsa dello Stato nei confronti del responsabile.
L‘azione di rivalsa dello Stato, in caso di condanna, è disciplinata dall’art. 8, che
prevede che l’azione debba essere obbligatoriamente promossa, entro un anno “dal
risarcimento” (art. 7, primo comma), 32 dal Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 8,
primo comma), davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello da
determinarsi egualmente a norma dell'articolo 11 c.p.p. e dell'articolo 1 delle norme di
attuazione, di coordinamento e transitorie dello stesso codice.
I giudici di pace33 e i giudici popolari rispondono in sede di rivalsa soltanto in caso
di dolo, mentre “i cittadini estranei alla magistratura che concorrono a formare o formano
organi giudiziari collegiali” rispondono in caso di dolo e nei casi di colpa grave costituiti
dall’affermazione o dalla negazione di un fatto la cui esistenza, rispettivamente, è
incontrastabilmente esclusa o risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento.
Il procedimento non prevede alcuna fase incidentale di ammissibilità ed è retto dalle
disposizioni che regolano il processo di cognizione davanti al tribunale, chiamato anche in
questo caso a giudicare in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 50-bis, primo comma,
n. 7, c.p.c.
Secondo la previsione di cui all’art. 16, quinto comma, il tribunale innanzi al quale è
proposta l'azione di rivalsa, qualora si tratti di responsabilità dei componenti gli organi
giudiziari collegiali, chiede la trasmissione del plico sigillato contenente l’eventuale
verbalizzazione della decisione alla quale si riferisce la dedotta responsabilità e ne ordina
l'acquisizione agli atti del giudizio.
31
Cass. civ., Sezioni unite, 25 novembre 2008, n. 28040.
Il termine decorre, pertanto, dall’effettivo esborso delle somme, avvenuto sulla base di titolo giudiziale
o di titolo stragiudiziale stipulato dopo la dichiarazione di ammissibilità dell’azione risarcitoria, e non dalla
formazione del titolo.
33
Si veda l’art. 39 l. 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), secondo cui in tutte le
disposizioni di legge in cui vengono usate le espressioni “conciliatore”, “giudice conciliatore” e “vice
conciliatore” ovvero “ufficio di conciliazione”, queste debbono intendersi sostituite rispettivamente con le
espressioni “giudice di pace” e “ufficio del giudice di pace”.
32
31
La responsabilità nelle professioni legali
Le disposizioni non indicano peraltro la possibilità di acquisizione degli atti del
giudizio di responsabilità dello Stato, il cui possibile ingresso deve ritenersi quindi retto
dalle regole in tema di produzione documentale, a differenza degli atti del giudizio
disciplinare che, in quanto svoltosi nel contraddittorio con il magistrato, possono essere
acquisiti senza limitazioni, come detto, su istanza di parte o d'ufficio (art. 9, secondo
comma).
Il giudice della rivalsa, secondo le regole generali, può d’altra parte utilizzare, in
mancanza di qualsiasi divieto ed in virtù del principio dell'unità della giurisdizione, anche
le prove raccolte nel giudizio di responsabilità contro lo Stato, come in genere in qualsiasi
diverso giudizio svoltosi tra le stesse o anche altre parti e, pertanto, può fondare il proprio
convincimento anche sugli elementi desunti dalle risultanze del processo in esito al quale
l’amministrazione è stata condannata al risarcimento, concernente i medesimi fatti.
Sarebbe quindi senz’altro possibile, ad esempio, ai fini della prova del danno,
avvalersi di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in quel procedimento, con la
libera utilizzazione ai fini della formazione del giudizio degli accertamenti svolti e delle
valutazioni tecniche operate dal consulente, una volta che la relativa relazione peritale sia
stata ritualmente prodotta dalla parte interessata.
La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato, invece, ha autorità
di cosa giudicata nel giudizio di rivalsa contro il magistrato qualora questo sia intervenuto
volontariamente nel giudizio.
Tale autorità, in applicazione del principio generale fissato dall’art. 2909 c.c.
secondo cui l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni
effetto tra le parti del giudizio, i loro eredi o aventi causa, riguarda non soltanto il giudizio
sull'an ma anche quello sul quantum, con riferimento all’accertamento ed alla liquidazione
del danno risarcibile.
La transazione tra lo Stato ed il danneggiato, viceversa, non è mai “opponibile” al
magistrato nel giudizio di rivalsa, come anche nel giudizio disciplinare (art. 7, secondo
comma).
4.2. La decisione e i limiti della condanna del responsabile in sede di rivalsa.
In caso di condanna del magistrato, la misura della rivalsa non può superare una
somma pari al terzo di un’annualità dello stipendio, al netto delle trattenute fiscali,
percepito dal magistrato al tempo in cui l'azione di risarcimento è stata proposta contro lo
Stato, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte
azioni di responsabilità.
32
La responsabilità dello Stato giudice. Profili civilistici interni.
Riguardo agli “estranei che partecipano all'esercizio delle funzioni giudiziarie”,
invece, la misura della rivalsa è calcolata in rapporto allo stipendio iniziale annuo, al netto
delle trattenute fiscali, che compete al magistrato di tribunale ma, se il responsabile
percepisce uno stipendio annuo netto o un reddito di lavoro autonomo netto inferiore allo
stipendio iniziale del magistrato di tribunale, la misura della rivalsa è calcolata in rapporto
a tale stipendio o reddito al tempo in cui l'azione di risarcimento è proposta.
L'esecuzione della rivalsa, nel caso in cui sia effettuata mediante trattenuta sullo
stipendio, non può comunque comportare complessivamente il pagamento per rate mensili
in misura superiore al quinto dello stipendio netto.
Le limitazioni di responsabilità non operano mai nel caso in cui la condotta illecita
sia stata posta in essere dal magistrato dolosamente.
5. Bibliografia.
In materia di responsabili civile dei magistrati, tra i contributi di carattere generale,
AA.VV., La nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati: I.- PROTO PISANI A.,
Il giudizio nei confronti dello stato; II.- CIPRIANI F., Il giudizio di rivalsa contro il
magistrato, in Foro it., 1988, V, 409; AA.VV., Legge 13 aprile 1988 n. 117: risarcimento
dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei
magistrati, Commenti di CAVALLARI V. (art. 1-2, 9, 16, 19), ZAPPALA’ E. (art. 3-4, 1314), VITALE A., (art. 5), CHIZZINI A. (art. 6), CONSOLO C. (art. 7), LACOGNATA M.
(art. 8), RAMPAZZI GONNET G. (art. 15), MARTINI A. (art. 17), in Legislazione penale,
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aprile 1988, n. 117, in tema di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni
giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), a cura di PICARDI N. e VACCARELLA
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diritto costituzionale, Milano, 2006; CAPPELLETTI M., Giudici irresponsabili? Studio
comparativo sulla responsabilità dei giudici, Milano, 1988; CICALA M., La responsabilità
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CIRILLO G.P., SORRENTINO F., La responsabilità del giudice. Legge 117/1988, Napoli,
1988; GIULIANI A., PICARDI N., La responsabilità del giudice, Milano, 1995; LUISO
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responsabilità dei magistrati, Milano, 1987; PANIZZA S., La responsabilità civile del
magistrato nella giurisprudenza costituzionale, in La responsabilità dei magistrati, Napoli,
2009, 191 ss.; PETTI. G.B., Illecito giudiziario e responsabilità civile dei giudici, Roma,
1988; PLENTEDA R., L’esercizio della funzione giudiziaria: la responsabilità civile dei
magistrati, in VIOLA L. (a cura di), I danni cagionati dallo Stato, dalla pubblica
amministrazione e dal fisco, IV, Matelica, 2008; SCOTTI L., La responsabilità civile dei
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Per le voci di enciclopedia, si segnalano specificamente GOLDONI U., voce
Magistrati e magistratura, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, specificamente p. 8; PINTUS
F., voce Responsabilità del giudice. in Enc. dir. XXXIX, Varese, 1988, 1471 ss.;
33
La responsabilità nelle professioni legali
VARANO V., voce Responsabilità del magistrato, in Digesto civ., XVII, Torino, 1998,
111 ss.; VIGORITI V., voce Responsabilità del giudice. I) Responsabilità del giudice, dei
suoi ausiliari, del P.M., in Enc. giur., Roma, 1991; VIGORITI V., voce Responsabilità del
giudice. II) Diritto comparato e straniero, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991.
Sull’argomento e per contributi su aspetti specifici, inoltre, AMATO C., Ancora un
intervento della Corte costituzionale in materia di responsabilità civile dei magistrati (nota
a Corte costituzionale, 22 ottobre 1990, n. 468), in Resp. civ. e prev., 1990, 1011; AMATO
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modelli dei verbali dei provvedimenti collegiali e determinazione delle modalità di
conservazione e di distruzione dei plichi relativi alle magistrature ordinaria,
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35
La responsabilità nelle professioni legali
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Vincenzo Amato
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