amore – conoscenza e conoscenza

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NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
UMBERTO CURI
AMORE-CONOSCENZA E
CONOSCENZA-DOLORE
2010 - 2011
IL GIOCO DELLA VITA TRA
RAGIONE E PASSIONE
UMBERTO CURI – AMORE-CONOSCENZA E CONOSCENZA-DOLORE
Umberto Curi1 – Università di Padova
Conferenza tenuta martedì 23 novembre 2011
1.1
RELAZIONE
“Meglio non essere nati” è la risposta che il saggio
Sileno 2 avrebbe dato al re Mida che gli chiedeva
quale fosse la cosa più interessante per l’uomo. E’
una domanda ricorrente anche tra di noi. Sileno è
considerato rappresentante simbolico della
sapienza antica. Se chi si pone il problema è già nato, allora c’è da augurarsi di morire al più
presto. Il Curi ha scritto un libro, intitolato appunto Meglio non essere nati, che indaga il rapporto
amore-conoscenza attraverso un percorso di analisi e riflessioni condotto attraverso citazioni di testi
diversi, non necessariamente filosofici.
Comincia con un testo figurativo molto noto, uno dei dipinti rinascimentali più famosi, considerato
manifesto dell’umanesimo.
Disponiamo di notizie sul quadro, ma conserva un alone di
indecifrabilità e di mistero. Il dipinto, che si trova agli Uffizi di Firenze, presenta aspetti non noti
e/o controversi.
Anche il titolo è controverso, non sicuro, ed ora è noto con un titolo
convenzionale. L’opera è nota, il Curi la descriverà progressivamente senza nominarla.
Il quadro ha sviluppo prevalentemente orizzontale e presenta tre gruppi di figure. A sinistra vi è un
primo gruppo di quattro personaggi, Mercurio (identificabile per i calzari ed il Caduceo, e le tre
Grazie, disposte in cerchio, occupate in un gioco di dare e restituire (?). Al centro vi è una figura
femminile, Venere rappresentata in una iconografia analoga a quella della Nascita di Venere del
Botticelli, molto stilizzata. A destra c’è un gruppo di tre figure, Flora 3 , Clori4 , molto avvenente, ed
il vento (Zefiro o Borea), nell’atto di impadronirsi della bella Clori con evidente interesse erotico.
Si tratta della Primavera del Botticelli, considerato uno dei grandi capolavori di tutti i tempi.
Sopra la testa di Venere c’è un’altra figura, elemento enigmatico del quadro, che rompe la
simmetria compositiva. E’ un putto alato con arco e faretra, che pare in procinto di scagliare il
dardo verso coloro che osservano il quadro. Secondo una secolare convenzione figurativa è la
rappresentazione dell’amore, ricorrente nelle opere rinascimentali e barocche. Di strano c’è solo la
collocazione, fuori simmetria e nella posizione di colpire tutti. La convenzione che vede Eros
come un putto alato risale all’arte greco-romana. Qui, però, c’è un elemento innovativo: per la
prima volta il putto è rappresentato con gli occhi bendati. Non può colpire intenzionalmente, ma
tutti possono essere colpiti indipendentemente da età, condizione sociale, stato civile, ecc. In
seguito la figura di Eros bendato (o cieco) diventerà ricorrente.
Nella tradizione culturale
1
Vedi note biografiche.
Sileno, figura mitologica. Si veda al capitolo dei riferimenti.
3
Flora: divinità latina ed italica, dedicata alla fioritura dei cereali e delle piante in genere
4
Clori: personaggio della mitologia Greca, sposa di Zefiro, dea dei fiori, venne successivamente identificata con la
divinità latina Flora. Ovidio ne aveva suggerito l’identificazione. Nel quadro sono rappresentate entrambe, affiancate.
2
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Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
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RAGIONE E PASSIONE
occidentale, a partire dalla Grecia classica, c’è coincidenza di concetti tra vedere e conoscere. A
proposito della conoscenza si usano terminologia, metafore e lessico propri del vedere. Si tratta di
una coincidenza che, nata alle origini della nostra cultura, si verifica ancora oggi: parliamo di
ragionamento evidente (cioè che si vede bene). Parliamo di prospettiva, punto di vista, discorso
brillante, relatore oscuro: tutte metafore di origine ottica che assumono significato nei campi della
conoscenza, comprensione, comunicazione.
In Platone l’oggetto più alto di conoscenza sono le idee. Ma il termine Idea (Eidos5 in Platone)
deriva dal verbo vedere, e significa essenzialmente forma.
Sempre in Platone, nel mito della caverna, si passa dalle tenebre
alla solare contemplazione come metafora dell’acquisizione di
un superiore livello di comprensione.
Dipingere Eros bendato significa affermare che l’amore è cieco,
cioè che l’amore è incompatibile con la conoscenza.
Un
innamorato viene definito fuori di testa, si dice che è accecato
dall’amore, in quanto non riconosce limiti e difetti della persona
amata. La benda del Botticelli implica un concetto filosofico:
l’incompatibilità tra amore e conoscenza, ed in questa ottica
5
Si veda al capitolo dei riferimenti
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Appunti dalle conferenze
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influenzerà la cultura seguente. Chi vuole conoscere, il saggio o aspirante tale, deve liberarsi dalle
passioni (amore in primis, ma, per estensione, anche dolore, ira, e tutte le altre passioni). Il saggio
è libero da passioni.
Il Curi ora si domanda se tale concetto sia universalmente riconosciuto, e passa a coonsiderare
opinioni opposte.
Goethe da giovane scrive “non si impara a conoscere se non ciò che si ama e quanto più profonda e
completa ha da essere la conoscenza, tanto più forte, energico e vivo deve essere l’amore, anzi la
passione”. Solo l’amore ci consente di conoscere a fondo una persona. Già secoli prima Leonardo
scriveva “ogni grande amore è figlio di una grande conoscenza, e Max Scheler parla di reciproca
incrementazione tra amore e conoscenza. Quindi nel pensiero occidentale c’è anche la convinzione
che amore e conoscenza si rafforzino reciprocamente. Nel Simposio e nel Fedone si trovano
descrizioni complete e suggestive dell’amore, e c’è una dimostrazione della indissolubilità tra
amore e conoscenza. L'amore é visto come molla per conoscere, la filosofia è amore per la
conoscenza. Questa posizione ha molti supporti filosofici, tra cui Kierkegaard e l’Hegel giovanile.
A questo punto però il Curi propone di lasciare i testi filosofici per passare ad altri, che definisce
più ricchi, complessi, pregnanti. Si riferisce ai grandi miti d'’more, che sono racconti d'’more
(mythos=racconto).
Il legame amore conoscenza vi è svolto in modo non logico sistematico ma attraverso straordinarie
narrazioni che contengono fondamentali verità filosofiche. In un libro del Curi stesso si esaminano
sette di tali miti, e precisamente:
− Nella classicità:
Il mito fondativo dell’amore, nel Simposio di Platone
Narciso ed Eco
Orfeo ed Euridice
− Nella transizione dal mondo classico a quello medievale:
Amore e Psiche
− Nell’età moderna, miti grandiosi ed inquietanti:
Giulietta e Romeo
Tristano e Isotta (riformulato più volta a partire dal 1200, fino a Wagner
Per non parlare della figura inquietante del Don Giovanni. Il tema, che riemerge continuamente, è
il rapporto indissolubile tra amore e conoscenza, intrecciato ad altri rilevantissimi elementi
filosofici.
ECO E NARCISO: viene dalle remote lontananze della cultura orale, poi a partire dal quarto
secolo a.C. appare in forma scritta, fino a trovare l’espressione più alta nelle Metamorfosi di
Ovidio. Le Metamorfosi sono uno straordinario capolavoro che propone novanta miti in un grande
repertorio della cultura greco-latina. Sono miti filosoficamente ricchi, ed in più sono vivi ed
appassionanti. Quello di Eco e Narciso dischiude prospettive vertiginose. La ninfa Liriope, che
era stata violentata, essendo prossima al parto, chiede a Tiresia di predirle il futuro del bambino.
Tiresia è preveggente in quanto cieco, la mancanza della vista sensibile è condizione per la vista
intellegibile. Tiresia, esprimendosi con l’usuale ambivalenza degli oracoli, predice che il bimbo
vedrà una lunga vecchiaia se non vedrà sé stesso.
Secondo Eraclito il vate “non dice, non
disdice, dà solo segni che vanno interpretati” con ciò rendendo l’altro corresponsabile del responso.
Ritroviamo Narciso sedicenne, bellissimo, col suo aspetto fa innamorare tutti ed a tutti si rifiuta, si
dà alla caccia per prepararsi alla guerra. Una volta che sosta presso una fonte per bere vede la
propria immagine riflessa, sa ne innamora, tende le braccia per afferrarla, ed all’improvviso capisce
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RAGIONE E PASSIONE
(iste ego sum, sensi nec me mea fallit imago 6 ).
In questo modo il suo amore diventa
disperatamente votato all’insoddisfazione. Pian piano muore, e si trasforma nel fiore omonimo.
Parallelamente si sviluppa la storia della bella ninfa Eco. Questa era stata incaricata da Giove di
distrarre Giunone con copiose chiacchiere perché questa non notasse le sue distrazioni erotiche.
Quando Giunone se ne rende conto la punisce con una sorta di contrappasso, rendendola incapace di
parlare autonomamente. Potrà solo ripetere la fine delle frasi degli interlocutori. Eco aveva
incontrato Narciso, se ne era innamorata, ma non aveva potuto parlargli. Anzi, sembrando che gli
facesse il verso per scherno, se lo era inimicato. Anche Eco muore a causa del suo amore
impossibile, e si trasforma in una roccia che rimanda la voce.
Sembra una storiellina, ma è una storia che parla di noi, dei nostri rapporti con i nostri compagni.
Dice che è impossibile l’amore che vede nell’altro solo una proiezione di noi stessi. Chi ama
nell’altro solo la sua immagine riflessa è impotente a riferirsi all’altro nella sua alterità.
La
metafora è rovesciata in Eco, che non ha una propria identità, e può solo ripetere l’altro.
L’incontro tra pura identità e pura alterità porta ad esito tragico. La valenza del mito va oltre la
vicenda d’amore: se vogliamo veramente comunicare con l’altro dobbiamo entrare in contatto con
lui nella sua radicale alterità. Se accetto l’altro solo in quanto mi somiglia genero un rapporto
sterile.
ORFEO ED EURIDICE: anche questo mito è antichissimo, ma è stato più volte riproposto anche in
epoca moderna, a partire dal 600, coi melodrammi di Monteverdi e Gluck, poi Rilke, ed infine
anche trasposizioni cinematografiche. Ci sono quasi tremila anni di riproposizioni.
La vicenda è nota. Euridice muore per il morso di un serpente calpestato mentre tentava di
sfuggire ad uno stupratore, e giovanissima va agli inferi. Orfeo, inventore dell musica e della cetra,
prima cerca di consolarsi con l’arte, ma l’arte non allevia i dolori profondi.
Allora tenta
l’impossibile, andare negli Inferi per richiederne il ritorno. Versi cupi e bellissimi descrivono la
sua discesa all’Ade. Incontra Proserpina, ed ottiene che Euridice possa tornare con lui alla vita
(impresa attribuita solo al Cristo). Proserpina pone una condizione: non dovrà voltarsi a guardarla
prima di essere uscito nella luce. I due percorrono il sentiero (arduus, obscurus, caligine densus
opaca). Orfeo si volta prematuramente, Euridice esala le ultime parole e ripiomba per sempre
nell’Ade. Orfeo esce disperato, comincia una vita disperata, e tra l’altro inventa la pederastia, il
che gli vale l’odio delle donne. Un’orda di Baccanti invasate lo ucciderà facendolo a pezzi e
spargendone ovunque le membra.
La storia è stata più volte rivisitata.
festa dove l’allegria era dovuta.
Gluck la fa finire bene perché doveva essere recitata ad una
La domanda di fondo è: perché Orfeo si volta? Perché dopo aver compiuto l’impossibile fallisce per
una sciocchezza? Sono state proposte più interpretazioni, più o meno plausibili.
Maurice Blanchot 7 suggerisce che Orfeo fosse guidato dal desiderio inconscio di cogliere Euridice
nel momento della morte. La vera dimensione del dramma è notturna. Il Curi ha una sua
interpretazione che non rivela al pubblico 8 .
Nei miti tutti finiscono male. Isotta arriva a dire che il supremo piacere [lust] è morire. Sembra
che l’Occidente non sia riuscito a pensare l’amore felice. La risposta sta nel Simposio di Platone,
nel mito narrato da Aristofane, quello che narra che un tempo gli esseri umani erano doppi, con due
6
quello sono io, ma na sono accorto, e l’immagine non mi inganna.
Maurice Blanchot (1907-2003), scrittore e filosofo francese. Vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Maurice_Blanchot
8
Si veda il capitolo dei riferimenti
7
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teste, quattro braccia, due sessi, e così via. Mossi da arroganza assalirono gli dei che, per punirli,
divisero in due ciascuno di quegli esseri doppi, e mischiarono le metà spargendole per il mondo.
Da allora ogni metà è alla ricerca del proprio complementare, quando crede di averlo trovato se ne
innamora, ma poi generalmente sopravviene la delusione perché, per le leggi del caso, è
praticamente impossibile che due metà originariamente unite si ritrovino, ed ogni metà roprende la
ricerca. In questo modo si spiegano sia gli innamoramenti che le infedeltà e, se l’originale aveva
due sessi uguali, anche i casi di omosessualità sia maschile che femminile. Non è passione, è
nostalgia di completezza, spinta all’integrazione.
Il discorso di presta ad una analisi filosofica a molti livelli.
La ricerca è statisticamente disperata, e le storie d’amore generalmente finiscono male: non
torneremo mai ad essere completi.
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1.2
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DIBATTITO
Intervento 1 – Tutti i miti greci finiscono male, ma anche iniziano male. Non c’è un mito che non
riporti insidie drammatiche. Non c’è l’amore bello di tutti i giorni.
Intervento 2 – Amore e conoscenza questa sera sono stati presentati sia come complementari che
come antagonisti. Quale delle due?
Risposta 2 – Chiariamo degli aspetti ancora oscuri. Se guardiamo Platone, Agostino,
Tommaso, Hegel, Kierkegaard troviamo forte dipendenza reciproca tra amore e conoscenza.
Non è vero che ci sia incompatibilità, o almeno questa è la posizione dominante nella cultura
alta, opposta a quella del Botticelli, condivisa nel parlar comune, che parla di cecità
dell’amore.
Intervento 3 – Forse dovremmo ipotizzare due tipi di amore. Se l’amore non è sensuale non
acceca. Tra amore spirituale ed amore sensuale c’è lo stesso rapporto di decadimento che c’è tra
conoscenza e ideologia.
Risposta 3 – Interessante, ci sono studi al merito. Niklas Luhmann9 distingue tra amorepassione ed amore coniugale. Se però pensiamo a Platone vediamo che la distinzione non
c’è, e che la passione regge tutto. C’è la generazione del corpo e delle idee (o leggi), ma
non vi è contrapposizione, solo gradualità.
Una ulteriore distinzione viene dal
Cristianesimo. Papa Ratzinger parla di Caritas in Fide. Nel Cristianesimo si formula una
diversa accezione di amore, evolvendo da Cupidus (Eros) a caritas (agape). Caritas è il tipo
di amore di cui ci parla il Cristo. Dio è amore in quanto agape, non eros. Anche qui non è
facile sfuggire all’esito tragico. L’agape è una relazione triangolare, scende da Dio, lega la
coppia, e da questa viene reindirizzato a Dio (amatevi in Dio). Se questo reindirizzamento
non avviene il circolo non si chiude e l’amore torna ad essere infelice. Si apre così un
mondo tutto diverso da quello che gravita attorno ad Eros.
Intervento 4 – L’intervenuto non vede la contrapposizione tra amore cieco ed amore per la
conoscenza. L’amore è cieco, in quanto sorge al di fuori dalla mia volontà, ma è motore di ricerca.
Non posso possederlo come non posso possedere la verità, ma mi spinge a cercare ed a credere (nel
mio amore o nella mia verità.
Risposta 4 – Qui il discorso si complica e si amplia.
Sono stati proposti concetti
condivisibili, ma servirebbe ulteriore approfondimento. Il Curi dichiara di sperare che da
questa conversazione ci resti la consapevolezza dello spessore e della complessità di una
cosa apparentemente normale come l'am’re.
Spesso si considera frivolo l'am’re che
riguarda gli altri, ma quando ci riguarda facciamo esperienza di coinvolgimento totale, di
orizzonti che si aprono, di capacità di opere non normali. L’amore che ci fa scendere
all’inferno per recuperare la nostra donna ci fa dare il meglio di noi stessi. Il Curi si occupa
anche di lettura filosofica di opere cinematografiche, che sono una forma moderna di mito.
Non c'é n’èsuna storia in nessun film che non si possa trovare già nei miti dell’antichità. Le
storie sono quasi tutte infelici. Zeus (non è un nome proprio, significa Dio) vuole verificare
come vengano trattati gli stranieri nel mondo greco (di allora).
La morale imponeva
l’accoglienza senza nulla chiedere. Un personaggio dell’Odissea accoglie i naufraghi, li
9
Niklas Luhman (1927-1998), sociologo tedesco. Si veda http://www.filosofico.net/luhmann.htm
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aiuta e ristora e, solo dopo, chiede loro se per caso non siano predoni venuti a derubarlo.
Zeus si traveste da poveraccio, si fa accompagnare da Mercurio, ed insieme vanno a bussare
chiedendo accoglienza. Per i Greci la cattiva accoglienza, simboleggiata da Polifemo, era
sinonimo di bestialità. Per una intera giornata Zeus e Mercurio bussano alle porte di belle
case e ne vengono scacciati.
A sera sono invece accolti da una coppia di vecchietti
poverissimi (Filemone e Bauci) che condividono con loro le miserrime risorse, arrivando a
sacrificare un’oca che costituiva il loro unico bene. A questo punto Zeus si rivela nella sua
potenza, annega tutti quelli che lo avevano respinto, e poi propone ai due di soddisfare un
loro desiderio.
Essi chiedono la grazia di morire assieme, per evitare la pena di
sopravvivere all’amato, e vengono subito accontentati da Zeus che li fa morire e li trasforma
in due alberi intrecciati tra di loro 10 .
10
Veramente avevano chiesto di morire insieme, non di morire subito. Ma per i Greci una morte prematura era spesso
sinonimo di premio, e qui si torna alla frase iniziale della conversazione: meglio non essere nati.
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1.3
1.3.1
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RIFERIMENTI
UMBERTO CURI
Le note che seguono sono prese dal sito:
http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=237
VITA
Umberto Curi, nato a Verona il 4 settembre 1941, è professore ordinario di Storia della filosofia moderna e
contemporanea e professore incaricato di Filosofia della scienza presso la Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di
Padova. E' membro del Comitato direttivo della Biennale internazionale di Venezia e dell'International Society of Art
and Science; fa parte del Comitato di iniziativa delle Giornate delle genti e delle regioni d'Europa, e del Comitato per i
rapporti tra Veneto e Slovenia. Ha tenuto seminari e conferenze presso le Università di Barcellona, Boston , Buenos
Aires, Lima, Rio de Janeiro e corsi di lezioni presso la Scuola di specializzazione in Psicologia dell'Università Statale di
Milano e presso la Scuola di perfezionamento in Metodologia delle scienze dell'Università di Padova. E' membro del
Comitato scientifico delle Venice Conferences on philosophy and cosmology. Giornalista pubblicista, collabora con
numerosi quotidiani e periodici nazionali.
OPERE
Fra le numerose pubblicazioni dedicate prevalentemente ad argomenti di carattere storico-scientifico ed epistemologico,
si segnalano: Il problema dell'unità del sapere nel comportamentismo, Cedam, Padova, 1967; Analisi operazionale e
operazionismo, Cedam, Padova, 1977; La ricerca in America, Marsilio, Venezia, 1978; Katastrophé. Sulle forme del
mutamento scientifico, Marsilio, Venezia, 1982; La linea divisa, De Donato, Bari 1983, 1988; Pensare la guerra,
Dedalo, Bari, 1985; Dimensioni del tempo, Franco Angeli, Milano, 1987; L'opera di Einstein, Corbo, Ferrara, 1988; La
cosmologia oggi tra scienza e filosofia, Corbo, Ferrara, 1988; The antropic principle, Cambridge, 1991; Metamorfosi
del tragico tra classico e moderno, Bari, 1991.
Sul sistema politico italiano, Curi ha pubblicato alcuni volumi particolarmente originali: La politica sommersa, Franco
Angeli, Milano, 1989; Lo scudo di Achille, Franco Angeli, Milano, 1990; La repubblica che non c'è, Franco Angeli,
Milano,1992.
PENSIERO
Umberto Curi ha sviluppato la sua ricerca lungo tre direttrici principali. In primo luogo ha analizzato gli aspetti
fondamentali dell'epistemologia contemporanea e i rapporti tra filosofia e scienza nel pensiero del '900; in secondo
luogo ha delineato una ricostruzione storica del rapporto tra modelli di razionalità e pratiche scientifiche nel pensiero
filosofico-scientifico da Platone ad Einstein; in tempi più recenti, l'interesse dell'Autore si è concentrato su alcune
tematiche fondamentali del pensiero classico quali il rapporto amore-conoscenza, la relazione tra politica e guerra e il
nesso conoscenza-dolore.
1.3.2
SILENO
Sileno è figlio di Pan, il dio silvestre, e di una ninfa. Dall'aspetto di
un anziano corpulento, calvo e peloso, spesso raffigurato con
attributi animaleschi, gli venivano attribuiti doni di saggezza, tra cui
il disprezzo dei beni terreni, e facoltà divinatorie . Re Mida lo
catturò proprio per costringerlo, secondo alcune versioni con
successo, a rivelargli i suoi poteri.
Si narra anche che Sileno fosse l'educatore di Dioniso giovinetto;
dopo aver svolto il suo ruolo nell'accompagnare il giovane dio
durante il cammino della crescita, si sarebbe poi abbandonato
completamente al vizio del bere.
Si credeva partecipasse ai banchetti sacri a Dioniso presentandosi a
cavallo di un'asina e lo si vede spesso far parte del tiaso dionisiaco.
Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Sileno
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1.3.3
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EIDOS - IDEA
Eidos è una parola greca che significa "forma", "aspetto" dalla quale deriva anche il greco "eιd????" (eidolon) poi, in
italiano “idolo” col valore anche di "simulacro", "figura". Il termine divenne significativo nella filosofia greca quando
Platone la usò per fare riferimento alle sue idee o forme ideali nella sua teoria delle idee.
L'eidos è la natura interna della cosa: è il relativo nucleo interno ed invisibile; l'eidos è ciò che causa ad una cosa quel
che è, cosa è, e senza la quale perde significato.
Platone pensava che le essenze fossero etere dei modelli a noi o idee. Queste idee esistono separatamente dal mondo
ragionevole ed hanno caratteristiche molto differenti; queste idee sono eterne, sono specie, queste idee non possono
essere toccate. Le cose del mondo ragionevole, sono le loro imitazioni o copie.
Il senso del pensiero di questo filosofo era idealistico, perché le cose del mondo dipendono dai modelli.
http://it.wikipedia.org/wiki/Eidos
1.3.4
NIKLAS LUHMANN
http://it.wikipedia.org/wiki/Niklas_Luhmann
La creazione intellettuale di Luhmann consiste nell'aver applicato alla società la teoria generale dei sistemi, che bisogna
distinguere dalla teoria dei sistemi sociali di Talcott Parsons, la teoria dell'evoluzione biologica. Luhmann parte dalla
premessa, che gli elementi primari ed unici di un qualsiasi sistema sociale non siano gli agenti principali, ovvero gli
uomini, ma gli effetti della comunicazione, ovvero comunicazioni che producono altra comunicazione. Senza
comunicazione non esiste nessuna forma di sistema sociale, anzi la chiusura operativa del sistema sociale è operata
proprio sul concetto di comunicazione. Tutto ciò che c'è nel sistema sociale è solo ed esclusivamente comunicazione.
Un sistema sociale (sistema chiuso) è in grado di costituirsi, ricostituirsi, ma soprattutto di autogestirsi
(autoreferenzialità ed autopoiesi). Questo è possibile solo mediante una perenne comunicazione. Luhmann precisa che
l'uomo non può essere considerato un sistema di questo tipo, perché in realtà rappresenta un altro tipo di sistema più
complesso; il sistema psicologico (coscienza), che a differenza del primo è in grado di pensare. I sistemi sociali invece
non pensano, ma agiscono, sotto forma di:
• interazione;
• organizzazione;
• società.
Secondo Luhmann l'osservazione sociologica contiene un elemento problematico. Essa compie ciò che viene descritto
in quanto la stessa osservazione è parte dell'oggetto che intende descrivere. In quanto parte della società, l'osservazione
deve contenere una componente autologica (deve descrivere anche se stessa nella forma dell'autosservazione).
1.3.5
CURI – ORFEO ED EURIDICE
http://www.emsf.rai.it/tv_tematica/trasmissioni.asp?d=308
Credo che sia anzitutto necessario ricordare che la figura di Orfeo è collegata a tre distinti, anche se non indipendenti,
filoni di fonti e di documenti a noi pervenuti in forma spesso frammentaria, e tuttavia tale da consentirci di ricostruire
un'immagine di questa personalità, così al confine tra la leggenda e la storia, qual'è appunto la figura di Orfeo. Orfeo
compare anzitutto come iniziatore ed eponimo dei riti che appunto da lui prendono il nome, e della setta, la setta orfica,
di cui abbiamo testimonianze abbastanza certe a partire dal V secolo avanti Cristo. In secondo luogo a Orfeo viene fatto
convenzionalmente risalire quel complesso frammentario di produzioni poetiche, dal contenuto spesso oracolare ed
enigmatico, che va appunto sotto il nome di poesia orfica, in qualche modo in maniera analoga a come l'Iliade e
l'Odissea sono riferiti ad Omero. La poesia orfica è collegata a sua volta, secondo tradizioni e testimonianze pressoché
concordi, ai riti eleusini e quindi è un ulteriore sostegno alla tradizione di un Orfeo collegato con riti di natura misterica
ed iniziatica. Infine Orfeo compare come protagonista di due grandi miti dell'antichità: il mito di Orfeo e di Euridice, e
poi un altro mito in cui Orfeo è presente come comprimario anziché come protagonista, cioè quello degli Argonauti: il
viaggio di Giasone alla ricerca del vello d'oro, questa sorta di impresa di avventura impossibile ai confini del mondo
conosciuto.
2
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Queste tre fonti diverse che ci restituiscono la figura di Orfeo, alle quali appunto è consegnata l'immagine di questa
figura mitica, in qualche misura possono essere anche utilizzate per ricostruire un'immagine di questo personaggio,
valorizzando alcuni aspetti comuni a questi tre distinti filoni di fonti. Infatti è evidente che in tutti e tre la figura di
Orfeo è collegata per così dire con una ricerca e con situazioni che si collocano al limite; sia nelle versioni mitologiche
che prevedono appunto la discesa agli inferi del protagonista o il suo viaggio ai confini del mondo conosciuto, sia nelle
testimonianze relative alle sette e ai riti orfici, sia nella poesia che da lui prende il nome, Orfeo è collegato con questa
esperienza del limite, e più specificamente con una esperienza dell'aldilà, di ciò che si colloca al di là della frontiera del
conosciuto, quasi a testimoniare o a confermare questo carattere di figura di confine, che è anche figura di confine,
appunto, tra leggenda e storia. Vi è poi un secondo aspetto che emerge in qualche misura concordemente da questi tre
distinti filoni di testimonianze: quello che vede in Orfeo la figura di un'artista: un poeta, un musico, colui che appunto
coltiva le Muse. Figura di artista che è decisiva anche per comprendere l'andamento e soprattutto l'epilogo della vicenda
che lo vede protagonista per quanto riguarda il mito di Orfeo e di Euridice; anzi è significativo ricordare che questo dato
è un dato ricorrente in tutte le diverse e tra di loro anche talora disparate tradizioni relative alla figura di Orfeo: Orfeo il
musico, Orfeo il poeta. In questa veste Orfeo è ricordato già nelle antichissime testimonianze che abbiamo sulla sua
figura, o almeno già nelle citazioni più antiche che richiamano il mito.
3
Come si vede, insomma, il mito di Orfeo e Euridice è in qualche modo coestensivo alla storia della cultura occidentale:
ne abbiamo tracce che ricollegano questo mito agli albori della cultura greca arcaica, e ne ritroviamo testimonianze
anche nella cultura contemporanea, sempre in connessione con alcune tematiche particolarmente significative dal punto
di vista filosofico: il problema del limite, il problema del rapporto fra amore e morte, l'inesorabilità del destino, una
interrogazione di stampo escatologico su quale sia la sorte riservata nell'aldilà, nell'oltre tomba. Una molteplicità,
dunque, di questioni che sono particolarmente significative dal punto di vista speculativo. D'altra parte la rilevanza
strettamente filosofica del mito di Orfeo e di Euridice è in qualche modo implicita già nelle prime versioni più complete
e dettagliate del mito, che risalgono rispettivamente a Virgilio, nel IV libro delle "Georgiche", e a Ovidio, nel X libro
delle "Metamorfosi". L'antefatto, per così dire, è noto: Orfeo è riuscito ad ammansire le divinità infernali col suo canto,
è riuscito ad ottenere quindi che esse consentano il ritorno di Euridice alla condizione posta da Plutone e Proserpina che
egli non si volti a guardare la sposa prima di essere uscito dall'Ade. I due intraprendono il cammino di ritorno - un
cammino ripido, oscuro, difficile, aspro -, e proprio quando sono in prossimità della conclusione di questo viaggio
accade l'irreparabile. Sentiamo qual'è la descrizione che ne fa Virgilio: "Quando" - egli dice -"un improvvisa follia" -e,
appunto, il termine latino è 'subita dementia' - "Quando un'improvvisa follia colse l'incauto amante, perdonabile invero
se i Mani sapessero perdonare: si fermò, e proprio sulla soglia della luce..." sottolineatura, questa, che accresce
ulteriormente il pathos della narrazione: proprio nel momento in cui la vicenda sembra avviarsi ad uno scioglimento del
nodo - per usare le categorie aristoteliche della "Poetica", ad una "lysis",ad uno scioglimento, della "desis", del nodo,
dell'intreccio in senso lieto, in senso positivo -, proprio quindi quando ci si attende di essere in prossimità di una
conclusione positiva di questa vicenda, proprio quindi sulla soglia della luce "...ahi immemore, vinto nell'animo, si
volse a guardare la sua diletta Euridice". La trasgressione del patto stipulato con Plutone e Proserpina è dunque un fatto
compiuto, e la prima immediata reazione è della stessa sposa che rivolgendosi a Orfeo - immemore, appunto - esclama:
"Chi ha perduto me, sventurata, e te Orfeo? Quale grande follia?" - e qui il termine virgiliano è 'furor'. Sono questi gli
interrogativi - si badi bene, è opportuno sottolinearlo - con i quali Euridice chiede ragione di ciò che ella stessa ha
definito essere un 'furor', cioè una follia, chiede che vengano spiegati i motivi di quello che Virgilio ha definito una
'subita dementia', e cioè appunto una espressione di irrazionalità, una improvvisa follia di fronte a questa richiesta di
motivi queste ragioni - come dire? - la vicenda senza dare una risposta si conclude.
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Perché Orfeo si volta? Per quale ragione, pur avendo avuto una concessione così straordinaria ed essendo ormai sul
punto di vedere coronato da successo uno sforzo che lo ha condotto ai limiti dell'umano, per quale ragione egli si volta?
Che cosa lo induce a un gesto che può apparire appunto solo un gesto di 'furor', di 'subita dementia', di insania? Le
interpretazioni per lo più hanno cercato di concentrarsi su questo aspetto, tentando di individuare le ragioni di ciò che
non è ragionevole, di ciò che non è riconducibile a razionalità: se è vero che il comportamento di Orfeo è, come la
stessa Euridice afferma, una espressione di 'furor', non si può chiedere ragione di ciò che per definizione alla ragione si
sottrae. Può essere allora - anche sulla scorta del resoconto ovidiano - più utile spostare l'attenzione dalla analisi delle
ragioni irragionevoli del comportamento di Orfeo ad un altro aspetto, che invece gli studiosi e gli interpreti hanno per lo
più trascurato e che può essere invece particolarmente significativo per comprendere anche la valenza filosofica di
questo mito, e cioè spostare l'attenzione all'analisi della natura del patto, e cioè all'analisi delle condizioni poste da
Plutone e Proserpina per il rilascio di Euridice. Apparentemente la condizione posta - che Orfeo non si volti a guardare
Euridice prima di averla ricondotta alla luce - sembra essere tale da potere essere agevolmente soddisfatta. Anzi. Se è
vero che ogni patto, ogni forma di negoziato per lo più prevede una qualche equivalenza delle condizioni, una qualche
simmetria tra ciò che gli attori di questo patto devono concedersi scambievolmente, qui si potrebbe perfino osservare
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Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
UMBERTO CURI
AMORE-CONOSCENZA E
CONOSCENZA-DOLORE
2010 - 2011
IL GIOCO DELLA VITA TRA
RAGIONE E PASSIONE
che esiste una dissimetria, uno squilibrio tutto a favore di Orfeo: egli può ottenere ciò che nessuno essere vivente è mai
riuscito ad ottenere, e cioè il ritorno alla luce di chi già era stato assunto nel regno delle tenebre, e può ottenere qualche
cosa di così incalcolabilmente grande e importante soltanto a condizione di sospendere temporaneamente lo sguardo, di
non guardare per una fase, un periodo assai limitato qual'è quello dell'itinerario di ritorno. Quindi la condizione posta
sembra essere una condizione molto facile da soddisfare, anzi talmente facile da sembrare fin troppo squilibrata in
favore di Orfeo. Ma forse è proprio questo il punto, è questa apparente ovvietà sulla quale occorre esercitare invece il
rigore della problematizzazione filosofica.
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Vi sono delle leggi che governano e organizzano l'Ade di cui Plutone e Proserpina sono i custodi, ma non sono tali da
poter violare queste leggi; essi stessi in una qualche misura sono soggetti alle leggi di cui sono semplicemente garanti e
custodi. Se Orfeo avesse potuto davvero ricondurre fuori dagli inferi Euridice queste leggi sarebbero state violate,
proprio da quell'Orfeo che aveva ottenuto la possibilità di recuperare l'amata proprio sottolineando il rispetto per la
legge, la sua soggezione alla legge. Euridice che ritorna dal mondo delle ombre nel mondo della luce, Euridice che
ritorna alla vita infrange un 'kòsmos', compromette una organizzazione legale alla quale non solo Euridice e Orfeo, ma
le stesse divinità sono sottomesse. Se questo, come io ritengo, è vero, allora è evidente che la condizione posta ad Orfeo
doveva essere tale da non potere essere rispettata; l'unico modo per evitare che venissero violate le leggi che governano
l'Ade e alle quali appunto dei e uomini sono in pari misura sottomessi, era imporre una condizione che non poteva
essere rispettata, che non poteva che essere violata. E che cosa si chiede in effetti ad Orfeo? E' davvero così elementare
la parte del patto che egli deve rispettare? E' davvero così semplice il rispetto di questa condizione? Si chiede a Orfeo di
non guardare Euridice, si chiede ad Orfeo amante di non guardare l'amata, si chiede in altri termini a Orfeo - visto che,
come sappiamo, per tutto il mondo antico esiste una sostanziale equivalenza o identità tra il vedere e il conoscere, per i
quali tra l'altro nel mondo greco si usano anche gli stessi verbi, per cui la 'theorìa' è al tempo stesso la visione, la
contemplazione ed è anche la contemplazione in senso intellettuale - si chiede insomma a Orfeo di amare senza
conoscere. Questa indicazione, questo comando, questa richiesta sono impossibili: non è possibile scindere l'amore
dalla conoscenza. Orfeo amante può essere tale solo a condizioni di conoscere e quindi di guardare Euridice. La
richiesta è impossibile, non è ammesso, non è concesso a Orfeo di rispettare questa condizione. Solo così, dunque,
formulando una richiesta che non poteva che essere trasgredita ,le divinità infernali, custodi di leggi che esse stesse non
possono modificare, hanno la possibilità di tutelare l'immodificabilità di quelle stesse leggi. La scissione di amore e
conoscenza - richiesta implicita nel patto - non è possibile; occorrerebbe che si realizzasse una contraddizione,
occorrerebbe che Orfeo, amante, non amasse, allo scopo di poter portare fuori Euridice. Ma è appunto questo il
paradosso che segna anche l'esito tragico di questo epilogo. La condizione di amante non è un dato acquisito una volta
per tutte, è una condizione che va - come dire - confermata processualmente nel proprio modo di essere e di
comportarsi, e solo un paradosso avrebbe potuto consentire a Orfeo di riportare alla luce Euridice; quell'Orfeo che
spinto dall'amore va fino agli inferi per recuperare la sposa perduta, avrebbe dovuto per poterla portare alla luce non
amarla più, avrebbe dovuto poter scindere amore e conoscenza.
Tratto dall'intervista: "Amore e conoscenza: il mito di Orfeo e Euridice" - Napoli, Vivarium, 25 giugno 1993
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