vade retro vecchiaia! diario scolastico nei meandri della differenza

Rivista
della
Pro Civitate Christiana
Assisi
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72
ANNO
ANNO
periodico quindicinale
Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.
dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Perugia
e 2.70
09
1 maggio 2014
vade retro
vecchiaia!
Afghanistan
una delicata
partita
no euro, e poi?
governabilità
e democrazia
green economy
l’economia
del vicino
è sempre più
verde
inserto
è l’ora delle religioni?
l’amor sacro
e l’amor profano
dottrina e prassi
nel cammino
ecclesiale
diario scolastico
nei meandri
della differenza
TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE
ISSN 0391 – 108X
Rocca
sommario
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19
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1 maggio
2014
Ci scrivono i lettori
Anna Portoghese
Primi Piani Attualità
Giovanni Sabato
Notizie dalla scienza
Vignette
Il meglio della quindicina
Maurizio Salvi
Afghanistan
Una delicata partita
09
43
48
50
52
Ritanna Armeni
Politica italiana
Governabilità e democrazia
54
Tonio Dell’Olio
Camineiro
Di un cattolico marginale
57
Raniero La Valle
Riforme
Un Senato dei popoli
58
Marco Gallizioli
Diario scolastico
Nei meandri della differenza
58
Ugo Leone
Green economy
L’economia del vicino è sempre più verde
59
È l’ora delle religioni?
Inserto:
59
Lidia Maggi
Se non frequento l’ora di religione
Giannino Piana
Bisogna avere coraggio
Pietro Greco
Cambiare nome, contenuti, finalità
40
46
Romolo Menighetti
Oltre la cronaca
No euro, e poi?
Fiorella Farinelli
Le contraddizioni dell’Irc
39
44
Oliviero Motta
Terre di vetro
Peggio della galera
Piero Ferrero
Psicologia sociale
L’adolescente e il computer
Enrico Peyretti
Fatti e segni
Nei panni di Caino
60
60
61
62
63
Claudio Cagnazzo
Società
Vade retro vecchiaia!
Elisabetta Proietti (a cura di)
Radio Magica
Intervista a Elena Rocco
Stefano Cazzato
Maestri del nostro tempo
Gustave Le Bon
La follia della folla
Giuseppe Moscati
Nuova Antologia
Corrado Govoni
Fuochi d’artificio in una fresca notte di primavera
Carlo Molari
Teologia
Dottrina e prassi nel cammino ecclesiale
Lilia Sebastiani
Il concreto dello spirito
L’amor sacro e l’amor profano
Paolo Vecchi
Cinema
Due documentari
Roberto Carusi
Teatro
Per soli occhi
Renzo Salvi
Rf&Tv
Gazebo
Mariano Apa
Arte
Concilio di Trento
Alberto Pellegrino
Fotografia
I Mondi dell’Industria
Enrico Romani
Musica
Tecnologia e musica
Giovanni Ruggeri
Siti Internet
Comunicazione d’impresa
Libri
Carlo Timio
Rocca Schede
Organizzazioni in primo piano
Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione)
Luigina Morsolin
Fraternità
Haiti: «primavera caraibica»?
INSERTO
ora
è l’
delle religioni?
Lidia Maggi
pastora della Chiesa Battista
Giannino Piana
teologo morale
ROCCA 1 MAGGIO 2014
Fiorella Farinelli
esperta di politiche scolastiche
Pietro Greco
scrittore e comunicatore della scienza
27
INSERTO
ROCCA 1 MAGGIO 2014
Lidia
Maggi
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S
cuola elementare, incontro tra docenti e genitori. Le insegnanti illustrano il programma. Su domanda
esplicita di una mamma musulmana, parlano dell’ora di religione,
affidata ad una delle due maestre
titolari. Questa spiega il percorso sottolineando che non si farà lezione di catechismo e che, dunque, sarebbe opportuno per
tutti i bambini partecipare all’attività. Io,
come mamma, faccio presente di aver firmato, a suo tempo, chiedendo di «non avvalermi» dell’ora di religione cattolica. L’insegnante commenta che è un mio diritto,
ma che questo ridurrà le ore di compresenza necessarie per alcune attività didattiche, oltre al fatto che ritiene diseducativo separare i bambini che non fanno religione dal resto della classe. Provo a mediare e chiedo di poter decidere dopo aver
visionato il programma e il libro di testo.
O meglio, mi trovo costretta a mediare
dopo aver verificato che, nonostante la
presenza nella classe di bambini e bambine appartenenti ad altre esperienze religiose, mio figlio è l’unico che non partecipa all’ora di religione. Il giorno dopo l’insegnante mi mostra il libro di religione
commentando: «Dia pure un’occhiata, non
so quanto ne possa capire, ma faccia pure...
si metta però una mano sulla coscienza
prima di decidere». Mi stupisce la totale
mancanza di curiosità da parte della mia
interlocutrice sulle motivazioni che mi
hanno spinta a scegliere di non avvalermi
dell’ora di religione.
il disagio dei genitori
Di aneddoti del genere, durante la carriera scolastica dei miei quattro figli, ne ho
collezionati tanti.
Probabilmente sono stata particolarmente sfortunata. E lo penso davvero, perché
nel corso della mia esperienza pastorale
ho poi incontrato tanti insegnanti di religione attenti alla diversità. Sono stata invitata diverse volte, come rappresentante
del mondo protestante, a parlare ai ragazzi e alle ragazze della mia fede, di Lutero
e della Riforma. Ma la mia esperienza di
madre mi permette di condividere alcune
preoccupazioni, spesso sottovalutate nella discussione e che invece intersecano il
vissuto di chi sceglie di non avvalersi. I
genitori di bambini e bambine che appartengono a realtà confessionali non cattoliche hanno in genere due atteggiamenti
rispetto all’ora di religione. Alcuni sono
molto fermi nell’esercitare il diritto di non
avvalersi. Lo fanno convinti che in una
scuola laica sia inopportuno privilegiare
un insegnamento confessionale. Questi
genitori sentono che la diversità non è un
handicap e non temono di comunicare ai
propri figli il valore della loro differenza.
Un tale genitore, di fronte alla maestra di
religione di mio figlio, non avrebbe esitato a restare fermo nella propria scelta, convinto di offrire il meglio al proprio bambino, sottraendolo ad un sistema di insegnamento moralmente discutibile non solo
per i contenuti ma soprattutto per le mo-
se non frequento
l’ora di religione
doppio senso di colpa
Ci sono, invece, alcuni genitori che vivono con molta ansia l’idea di vedere i propri figli, a scuola, differenziati dagli altri.
Questi, pur non condividendo la fede cattolica o le modalità con cui l’ora di religione è strutturata, scelgono di avvalersi
dell’insegnamento per evitare ai figli possibili discriminazioni. «Non voglio che
mio figlio si senta diverso». Vivono un
doppio senso di colpa: da una parte sentono di tradire le proprie convinzioni, permettendo ai figli di partecipare all’ora di
religione cattolica; dall’altra, si sentono responsabili di esporre a possibili disagi i
propri figli, se scelgono di non avvalersi.
Spesso hanno vissuto con fatica il proprio
percorso scolastico sul tema. Una mamma mi racconta: «la lezione iniziava con
il segno della croce e un’avemaria. Io rimanevo in piedi, sull’attenti. Non potevo
ripetere con gli altri bambini quella preghiera che ormai conoscevo a memoria.
Ero esonerata dall’ora di religione e in
pagella non c’era il voto di quella materia.
Mi sentivo a disagio in classe quando gli
altri bambini mi chiedevano perché non
pregavo. Avevo paura di non saperlo spiegare bene. Avevo però anche paura a pregare con la classe per timore che i miei
venissero a saperlo».
La situazione oggi è decisamente diversa.
L’ora di religione non si presenta come un
percorso di catechismo, non si fanno, in
classe, gesti liturgici, ma il senso di disagio che può creare la distinzione tra bambini cattolici e non, per alcuni genitori,
rimane forte motivo di preoccupazione.
E se dal punto di vista dell’ascolto pastorale, posso aiutare nel discernimento, cercando di cogliere i pro e i contro di una
scelta rispetto all’altra, sospendendo il giudizio e mettendo a tacere i sensi di colpa
per aiutare la famiglia a prendere una decisione in un contesto lontano dalla situazione ideale, dall’altro vorrei mettere sul
piatto della bilancia il possibile e inutile
stress a cui vengono sottoposti genitori che
vivono esperienze di fede differenti da
quella cattolica. Mi piacerebbe al riguardo, sentire storie di famiglie musulmane
o di altre appartenenze religiose, spesso
stranieri che, per potersi integrare nel contesto italiano, si trovano, di fatto, nella situazione di non potere serenamente sce-
ROCCA 1 MAGGIO 2014
dalità con cui viene esercitata la selezione
degli insegnanti. Tali genitori hanno sviluppato, in genere, un sentimento di rancore nei confronti dell’insegnamento confessionale. Trovano immorale che, in uno
stato laico, ormai multireligioso e multiculturale, la Chiesa Cattolica conservi ancora privilegi concordatari nella scuola a
spese dello Stato. Dunque, anche se questo comporta possibili disagi come la difficoltà della scuola a istituire un percorso
alternativo, oppure ore vuote passate, al
meglio, facendo i compiti, questi genitori
non esitano a sottrarre i propri figli all’insegnamento religioso.
29
.
INSERTO
gliere di avvalersi o non avvalersi. Vuoi
perché non ricevono le dovute informazioni nel momento dell’iscrizione a scuola dei
figli (per non avvalersi bisogna esplicitamente fare una richiesta!), vuoi perché temono di apparire come anti-cristiani, sono
sempre di più, almeno alle materne e alle
elementari, i musulmani che frequentano
l’ora di religione.
il vissuto plurale dell’alunno
Quanto esposto sollecita a domandarci: in
una società multiculturale e multietnica
l’insegnamento della religione cattolica
nella scuola pubblica non risulta essere
oggi un vero anacronismo storico e culturale che non tiene in seria considerazione
il vissuto plurale dei ragazzi? Quale conseguenza ha, sul piano educativo, separare i ragazzi in base al proprio credo religioso? Il compito della scuola non dovrebbe essere quello di promuovere l’incontro,
lo scambio, l’acquisizione di strumenti plurali e condivisi per interpretare il mondo
e diventare cittadini capaci di riconoscersi in regole di comportamento condivise?
Il problema non è solo quello di un privilegio confessionale; la questione decisiva
si pone sul piano formativo: la scuola intende fornire i linguaggi e gli strumenti per
interpretare la realtà. Ed è qui che emerge
l’esigenza di un altro tipo di insegnamento della religione, perché viviamo in un
contesto dove le religioni, sia in positivo
che in negativo, sono elementi identitari,
proprio come la storia, la filosofia, la letteratura, le scienze e l’arte. Delegare solo
alla formazione confessionale o lasciare
fuori dalla scuola questo aspetto, significa non offrire ai nostri ragazzi alcune chiavi identitarie per capire la realtà, proprio
in un momento storico dove il fattore religioso emerge al centro degli eventi sociali.
la grammatica della pluralità
ROCCA 1 MAGGIO 2014
Cosa può offrire il mondo della Riforma
nel dibattito sull’insegnamento del fenomeno religioso? Le chiese protestanti hanno imparato dalla loro esperienza storica
a non demonizzare la pluralità delle interpretazioni, a tenere in tensione le diversità. Mentre nella mentalità cattolica il valore di fondo è l’armonia, avere un unico
pensiero (fattore per molti versi positivo),
le chiese protestanti sono portatrici di una
sapienza che non demonizza la differenza
e sa convivere nella pluralità, affrontando
il conflitto. Questa pedagogia della diversità, che caratterizza il mondo della Rifor30
ma, può fornire un abecedario per imparare la grammatica della pluralità. Una
grammatica che le chiese hanno appreso
dalle Scritture, anche attraverso l’interpretazione plurale della Bibbia. Come all’inizio la lettura della Scrittura è stata nelle
chiese della Riforma lo stimolo per un processo di alfabetizzazione per persone fino
allora analfabete, così ora la lettura della
Bibbia, come degli altri testi sacri, si presta ad essere almeno un anticorpo rispetto al rischio di un pensiero unico che demonizzi la diversità.
Il Protestantesimo, che ha maturato nella
sua storia un pensiero critico sulle mediazioni, rispetto al ripensamento dell’ora di
religione pone la domanda: «chi media?».
Chi gestisce l’ora di religione? Chi gestisce la formazione degli insegnanti dell’ora
di religione? Sottolineando il fatto che la
rivisitazione sulla formazione (scientifica
e non confessionale) non ha solo a che vedere con la tecnica ma anche con l’ermeneutica.
statuto del docente
Nel dialogo ecumenico è di rigore la regola dell’autopresentazione (ogni tradizione
presenta se stessa); ma tale criterio è inapplicabile in un percorso formativo. Tuttavia, chi ha il compito di insegnare dovrà
necessariamente maturare la capacità di
saper riferire punti di vista differenti dai
propri. Rimangono, dunque, aperte tutte
le problematiche sulla competenza dell’insegnante, insieme a quelle legate alla consapevolezza ermeneutica.
Nel ripensare l’insegnamento religioso va
perciò messo sul piatto non solo lo statuto dell’ora di religione ma anche la postura del docente. Problema che riguarda anche altre discipline, ma che diventa prioritario, visto il peso identitario dell’esperienza religiosa, per affrontare in modo
corretto, il più possibile oggettivo e rispettoso, la presentazione di una fede altra dalla propria.
Questo significa orientarsi verso un insegnamento laico e plurale. Il che non vuol
dire garantire le quote ad ogni realtà religiosa, ma affrontare il fenomeno religioso
ascoltando le tanti voci (la pluralità del
laos) per sciogliere stereotipi e pregiudizi
nei confronti dell’altro, troppo sovente parodizzato da caricature inopportune, frutto di un analfabetismo religioso che costituisce una presenza inquietante nella nostra società.
Lidia Maggi
l dibattito sul ruolo e sulle modalità
dell’insegnamento religioso nella
scuola italiana deve fare oggi i conti
tanto con l’efficacia del regime attualmente in corso quanto con la capacità che tale regime ha di interpretare
correttamente le istanze della odierna situazione socioculturale.
Sul primo versante – quello dell’efficacia
– forti perplessità emergono dai risultati
delle varie indagini condotte negli anni
più recenti sulle conoscenze in materia
religiosa degli italiani. Il dato che da esse
infatti affiora, in termini inequivocabili,
è la persistenza di uno stato di ignoran-
za, che la riforma concordataria non ha
contribuito a sanare. La religione – quella cristiana (o meglio ancora cattolica
perché tale è la dizione con cui la religione viene proposta nella scuola) – continua ad essere poco conosciuta nel suo
impianto dottrinale ed è, nella maggior
parte dei casi, considerata come un fenomeno culturalmente poco rilevante,
che va in quanto tale relegato nell’ambito delle narrazioni mitologiche o che si
ritiene appartenga al genere delle leggende.
Sul secondo versante poi – quello relativo all’interpretazione delle istanze socio31
.
ROCCA 1 MAGGIO 2014
Giannino
Piana
bisogna
avere coraggio
I
INSERTO
culturali odierne – la situazione è ancora
più grave. L’insegnamento della religione
cattolica (Irc), nella sua versione attuale,
risulta incapace di fronteggiare la condizione di pluralismo religioso, che caratterizza la società italiana (e più in generale la società occidentale) come conseguenza dell’imponente processo migratorio che si è verificato negli ultimi decenni. Lo scenario culturale ha infatti subìto,
nel breve volgere di tempo, profonde (e
insospettate) modificazioni, tali da rendere del tutto anacronistico il progetto
ideato in un passato anche piuttosto recente e da esigere un suo radicale rinnovamento.
La società multiculturale in cui viviamo
implica l’acquisizione di nuove conoscenze, ma comporta anche (e soprattutto) un
cambio di mentalità, un’educazione al
confronto e al dialogo con tradizioni culturali diverse, che non può che riflettersi
anche nell’accostamento al fenomeno religioso.
le debolezze del regime attuale
ROCCA 1 MAGGIO 2014
L’inefficacia dell’insegnamento religioso
cui si è accennato va anzitutto ascritta –
è doveroso ricordarlo – ad alcuni limiti
legati in particolare all’ambiguità delle
scelte fatte dalla riforma concordataria,
cioè ai contenuti che si è preteso venissero offerti, alle garanzie che si è chiesto
fossero assicurate e allo statuto che si è
assegnato a tale insegnamento all’interno dell’ordinamento scolastico. L’avere
imposto da parte della chiesa l’insegnamento della religione cattolica e l’avere
chiesto come garanzia che esso fosse impartito da insegnanti designati dall’ordinario diocesano (che ha peraltro il potere di destituirli nel caso non abbiano più
i requisiti di idoneità richiesti), costituisce un fattore di equivocità, che non poteva non pesare anche sulla partecipazione – questo in particolare nell’ambito delle
scuole medie superiori – e soprattutto
sull’identità dell’insegnamento. È difficile sostenere che si tratti di una disciplina
con connotati culturali, quando la si propone in chiave strettamente confessionale e chi la insegna è soggetto alla verifica
di ortodossia da parte dell’autorità ecclesiastica.
Ancora più equivoco è poi lo statuto che
tale insegnamento ha ricevuto nell’ordinamento della scuola. Il fatto che si tratti
di materia curriculare (e non strettamente opzionale, pur essendo facoltativa la
fruizione) impedisce che si possa ipotiz32
zare un’alternativa secca – la ricerca di
una materia diversa non è facile ed è, in
ogni caso, più comodo non attivarla –,
mentre il ruolo non ben definito a livello
istituzionale pone gli insegnanti – molti
di loro non esitano a denunciarlo – in una
situazione di disagio, costringendoli a
conquistarsi a partire soltanto dalla propria autorevolezza il consenso degli alunni. Questo spiega perché molti insegnanti tendano a ripiegare, nel tentativo di
favorire il coinvolgimento dei partecipanti, su tematiche esistenziali, di carattere
psicologico o etico, che poco hanno a che
fare con il discorso religioso, rinunciando di fatto all’esercizio del loro vero compito.
la necessità di condizioni diverse
La restituzione di credibilità all’insegnamento religioso è dunque anzitutto legata al ricupero di uno statuto dignitoso all’interno della scuola. Questo comporta
che la cultura religiosa venga a tutti gli
effetti considerata – al pari di quanto avviene in molti altri paesi europei peraltro
più secolarizzati del nostro (si pensi soltanto alla Francia) – una disciplina obbligatoria come la letteratura, la filosofia, la storia, ecc. L’importanza del fenomeno religioso come fatto culturale è fuori discussione; e questo soprattutto in un
paese come il nostro, in cui le diverse
espressioni letterarie ed artistiche hanno
risentito, in larga misura (e in parte risentono tuttora), dell’influenza determinante della religione e dove di conseguenza la scarsità di nozioni in materia diviene un grave handicap per la loro piena
comprensione.
La possibilità che si pervenga ad una svolta esige, ovviamente, che si abbandoni
qualsiasi tentazione confessionale e si rinunci a qualsiasi pretesa catechetica; che
si accetti, in altre parole, che l’insegnamento religioso abbia un carattere strettamente culturale, adottando appieno una
metodologia scientifica e critica, e soprattutto che la sua gestione venga demandata totalmente all’autorità scolastica senza alcuna interferenza esterna. Solo a
queste condizioni si può infatti sperare
nella percezione della religione come fenomeno culturalmente rilevante, e perciò
nel superamento dell’attuale stato di ignoranza che fa dell’Italia uno dei paesi più
arretrati nel campo della cultura religiosa.
La paura di perdere il controllo sull’insegnamento e su chi direttamente lo impar-
quali contenuti trasmettere?
Ma, al di là dell’importanza che riveste lo statuto istituzionale, non si può
trascurare, anzi merita un’attenzione
ancora più grande, la definizione dei
contenuti da attribuire all’insegnamento religioso oggi. Non vi è dubbio che
il processo di globalizzazione in corso
e l’avanzare impetuoso del fenomeno
delle migrazioni dal Sud del mondo
abbia trasformato anche l’Italia in un
paese multiculturale e multireligioso,
e che si debba perciò tener conto di una
situazione che negli ultimi trenta anni
– tanti sono gli anni che ci separano
dalla firma del concordato – è profondamente cambiata. L’esigenza di una
apertura al mondo delle religioni nel
suo complesso è fuori discussione.
Questa esigenza deve essere tuttavia
coniugata con l’esigenza (altrettanto
importante) di non rinunciare a custodire (arricchendola anche mediante il
confronto con le altre religioni) l’identità religiosa legata alla propria appartenenza territoriale.
La possibilità che si rispetti l’istanza culturale sopra ricordata e che si integrino
le due esigenze cui si è accennato comporta anzitutto – è questo il primo indirizzo da perseguire – che si affronti il fenomeno religioso in generale (questo vale
soprattutto ma non esclusivamente per le
scuole medie superiori) attraverso un
approccio interdisciplinare volto ad evidenziarne le dinamiche sottese, lo stretto rapporto cioè con una serie di istanze
che affondano le loro radici ai vari livelli
della personalità. Su questo piano decisivo è il contributo delle scienze umane –
dalla sociologia alla psicologia all’antropologia culturale – ma anche quello della
filosofia (si pensi in particolare alla filosofia della religione). L’orizzonte antropologico consente di identificare le strutture fondamentali che stanno alla base del
comportamento religioso, andando oltre
le differenze esistenti tra le varie tradizioni religiose e cogliendo gli elementi
comuni che godono di una buona dose di
universalità.
Il passaggio successivo ai veri e propri
contenuti dottrinali – sta qui il secondo
indirizzo – comporta che ci si accosti alle
diverse religioni storiche attraverso un
percorso graduale, che deve iniziare dalle
religioni che hanno in Abramo il loro capostipite per dilatarsi fino a comprendere le grandi tradizioni religiose dell’Oriente. Fondamentale è, a tale riguardo, la conoscenza dei testi: dalla Bibbia,
uno dei grandi codici della cultura occidentale da cui traggono origine tanto la
tradizione ebraica che quella cristiana,
al Corano, alla letteratura buddista e induista, ecc. Tutto questo in un crescendo, che fa correttamente i conti con la
diversa rilevanza delle varie tradizioni –
ebraismo e cristianesimo non possono
che occupare in proposito un posto di
primo piano – e che tende ad inserire il
discorso religioso nel contesto di una
società come l’attuale, caratterizzata da
un accentuato pluralismo culturale ed
etico.
per un quadro globale
Le due linee delineate vanno poi tra loro
variamente intrecciate a seconda dei livelli
dell’ordinamento scolastico, tenendo in
seria considerazione le ragioni di carattere pedagogico e rispettando i criteri di ordine didattico.
L’obiettivo è, in definitiva, quello di offrire un quadro globale del fenomeno religioso, che sappia metterne a fuoco, da
un lato, le basi originarie radicate nel
vivo della coscienza e fornire, dall’altro,
un bagaglio preciso di cognizioni circa
i principi ispiratori delle varie tradizioni religiose in modo di favorire lo sviluppo di personalità capaci di aprirsi a
un confronto costruttivo con le diverse
espressioni della religiosità contemporanea.
ROCCA 1 MAGGIO 2014
te, che ha spinto la chiesa in Italia – contrariamente a quanto è avvenuto in altri
paesi – a chiedere la chiusura delle facoltà teologiche all’interno delle università
dello stato – posizione peraltro condivisa
per opposte ragioni anche dalla cultura laicista del tempo – e a imporre, in occasione della stipulazione del nuovo concordato, i criteri ricordati non hanno certo contribuito a far crescere nelle coscienze la
consapevolezza dell’importanza che il fenomeno religioso ha rivestito (e tuttora in
qualche misura riveste) come fattore destinato ad influenzare i processi culturali
e sociali.
L’accettazione di un insegnamento libero
da ipoteche confessionali è dunque la sfida che la chiesa italiana deve accettare, se
intende concorrere a far crescere la convinzione, anche in ambito laico, del significato positivo che l’esperienza religiosa
riveste.
Giannino Piana
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INSERTO
ROCCA 1 MAGGIO 2014
Fiorella
Farinelli
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P
er te che vieni da un paese straniero» è la lettera con cui gli insegnanti di religione di Milano hanno invitato gli studenti stranieri non cattolici a frequentare l’ora di religione.
Dove si impara a conoscere una
religione, è questa la tesi, possono incontrarsi e dialogare tutte le altre. Ma è un’impresa possibile dove, come in Italia, l’insegnamento sia di natura confessionale?
Sono in molti a dubitarne, ma la pretesa
c’è, e il contesto oggi sembra più favorevole di un tempo.
Lo si vede anche sfogliando Yalla, il vivacissimo blog delle «seconde generazioni»
che sul tema ha ospitato di recente un dibattito a più voci. Ad avviarlo, una studentessa dal nome arabo che racconta di aver
capito troppo tardi che la scelta di «non
avvalersi» dell’Irc le ha fatto perdere un’occasione di crescita culturale. Perché «per
capire il mondo servono le religioni del
mondo». Sintesi felicissima, che però non
convince del tutto. Se dai tanti commenti
di italiani e stranieri non emergono dubbi
sostanziali sulla portata culturale delle religioni (semmai sul fatto che sarebbe difficile, in un programma scolastico, non inciampare nelle tante correnti o addirittura fazioni l’una contro l’altra armata che
ne caratterizzano alcune), è l’ora di religione così com’è fatta che a molti non sembra lo spazio adatto. Anche se non sono
pochi – ma con quali motivazioni? – gli
studenti non cattolici che la frequentano.
È un fatto, comunque, che la crescente presenza di studenti di altre nazionalità – ormai più di 800.000, quasi 200.000 nella
scuola superiore, tanti i cristiani ortodossi, tantissimi i musulmani e anche di religioni non monoteiste – butta nuova benzina sul fuoco mai spento della discussione
sull’insegnamento «concordatario». Una
benzina più interessante, e più densa di implicazioni, delle discussioni sulla liceità del
crocefisso in aula e dell’allestimento dei
presepi nelle scuole dell’infanzia.
Oggi gli «altri» non sono più solo le «minoranze» valdesi, evangeliche, ebraiche (e
quella, quanto grande? dei non credenti e
degli agnostici), e neppure solo i sostenitori irriducibili della scuola pubblica come
luogo assolutamente laico. A direzionare gli
abbaglianti sulle contraddizioni dell’Irc è
la trasformazione in senso multiculturale
della società italiana e, più in generale, la
necessità nel mondo di oggi e di domani di
un’educazione più aperta alla mondialità.
Anche se il musulmano non è tuo compagno di banco, anche se un confuciano non
l’hai ancora incontrato.
Se le religioni sono sistemi di valori e codici
comportamentali che influiscono potentemente sul passato e sul presente dei popoli,
non sarà arrivato finalmente il momento di
disseppellire le proposte antiche – e sempre
sconfitte – di un insegnamento di «storia
delle religioni»? O anche di un insegnamento di tipo antropologico sulla religiosità?
Al rilancio della discussione contribuisco-
le contraddizioni
dell’Irc
ignoranza religiosa diffusa
Decenni di insegnamento scolastico confessionale pagato dallo Stato non sembrano aver prodotto risultati apprezzabili neppure in termini di conoscenza dei tratti essenziali del pensiero e della storia del cattolicesimo. Da diverse fonti si sa che in Italia l’«analfabetismo religioso» c’è, ed è di
massa. Che cosa si fa e non si fa nell’ora di
religione lo sanno anche gli insegnanti di
filosofia, storia, letteratura, arte che non
possono mai dare per scontate nozioni che
dovrebbero essere moneta corrente dell’Irc.
Né a proposito di Dante e Manzoni, Copernico o Galileo; né per i rapporti tra francescanesimo ed empirismo scientista; e neppure per le guerre di religione in Europa,
la breccia di Porta Pia a Roma o il Non expedit di Pio IX nel primo Stato unitario.
Quanto al patrimonio artistico, le sue chiese
e la sua pittura sacra, anche lì c’è il problema. Cosa potranno mai capire delle Madonne e della Sistina – sbuffa il filosofo
agnostico Massimo Cacciari – i ragazzi condotti in visita d’istruzione? Va già bene se
sanno qualcosa del Bambin Gesù, insiste,
ma è certo che non sanno niente della «parola». Che non hanno mai letto, e se letto
capito, i Vangeli e la Bibbia. Massimo Cacciari però di «storia delle religioni» non
vuole sentir parlare. Teme il pressapochismo del tutto e del niente di un ambito così
vasto e variegato, sa che su questi temi non
ci sono insegnanti preparati e che occorrerebbe molto tempo per formarli. Quello che
occorre è invece «un insegnamento obbligatorio della nostra tradizione religiosa», e
docenti formati ad hoc e selezionati attraverso pubblici concorsi. Tutt’altra cosa, notoriamente, da quanto previsto nell’insegnamento «concordatario». Argomenti trancianti, nello stile del personaggio, ma da
considerare attentamente.
che cosa non funziona?
Ma è solo perché l’Irc è di natura confessionale (e gli insegnanti formati, selezionati, assunti e licenziati da un’autorità diversa da quella pubblica), che gli apprendimenti sono così scarsi? Oggi sono molti gli
insegnanti di religione con lauree in teologia o studi specialistici. Cos’è, allora, che
non funziona? Non c’è un’interpretazione
unica, ma il fatto che salta all’occhio è che
molti di loro, soprattutto nella secondaria
superiore dove gli studenti che «si avvalgono» diminuiscono progressivamente dalla
prima all’ultima classe, impostano la didattica più su temi di natura etica o comportamentale di interesse diretto dei ragazzi (tra
cui sessualità e droghe) che sui contenuti dei
programmi. O, comunque, accettano, pur di
non avere classi semivuote, che l’ora di religione sia più di tregua che di studio.
ROCCA 1 MAGGIO 2014
no altri ingredienti. Meno intriganti sul piano politico, ma assai urticanti su altri, spesa pubblica compresa.
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INSERTO
Come altro fare, del resto, senza il deterrente delle interrogazioni, dei voti, degli
esami? Non tutti, ancorché colti ed impegnati, sono capaci di appassionare ad uno
studio i cui risultati non incidono sulle valutazioni finali. Il disagio professionale di
tanti insegnanti di religione è fin troppo
evidente, lo dicono anche i numeri delle
cause discusse in tribunale per arrivare ad
ottenere un ruolo più incisivo nella vita
della scuola e nella valutazioni degli studenti. Ma, appunto, è il profilo stesso dell’Irc che ha impedito finora ogni evoluzione: perché è ovvio che non si può dare un
voto, magari determinante in sede di scrutinio finale, su qualcosa di così complesso e
di valutabilità così problematica come i contenuti «confessionali» di una religione, il suo
catechismo. Conoscenze o competenze?
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esperienze di ora alternativa
E però qualcosa si è già mosso, in scuole
pubbliche e paritarie. Se non dentro, fuori
dell’ora di religione, nell’ora «alternativa»,
o nel campo dell’opzionalità aggiuntiva per
«avvalentisi e non». Si tratta di sperimentazioni – a Varese, Torino, Milano – che tentano di contrastare l’analfabetismo religioso con corsi di «storia delle religioni». Solo
in un caso circoscritti alle sole religioni
monoteiste, negli altri allargandosi a quelle maggiormente diffuse, dall’Islam alle religioni del mondo orientale; e affrontando
problemi di grande interesse come il rapporto, per le diverse religioni, tra organizzazione statuale e appartenenza religiosa,
tra uomini e donne, tra uomo e natura.
Sono piste di cui analizzare i risultati.
Ma anche le contraddizioni che hanno fatto esplodere, per esempio quando il successo dei corsi di nuovo conio ha svuotato l’ora
di religione. Il che dice almeno due cose,
cioè che la domanda – dei genitori e degli
studenti – c’è, e che varrebbe la pena di darle
risposte appropriate. E però anche che la
questione dell’insegnamento concordatario
non è facilmente aggirabile. Perché un insegnamento, collegato alla storia o alla filosofia, di «storia delle religioni», dovrebbe essere non opzionale ma «ordinamentale» e connotato da regole identiche (valutazione inclusa) a quelle delle altre discipline. E inoltre affidato a docenti con le stesse funzioni e condizioni dell’intero corpo
professionale. Pretendere di farlo dall’interno di ciò che già esiste – quindi senza una
revisione del Concordato – o è una generosa illusione o, viceversa, una strana e inquietante pretesa di autosufficienza.
Fiorella Farinelli
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cambiare no
Pietro
Greco
L
’ora di religione – o meglio, l’Irc
(insegnamento della religione cattolica) nella scuola pubblica italiana – ha trent’anni. E li dimostra tutti. Per almeno tre motivi.
Il primo è di principio: perché introduce un’asimmetria tra la religione cattolica e tutte le altre religioni o credi o attitudini spirituali. Il secondo è pratico:
perché concede agli insegnanti della religione cattolica un percorso di ingresso
nella scuola pubblica diverso rispetto a
tutti gli altri docenti. Il terzo è di opportunità: l’Irc, è già stato detto, conferisce alla
religione cattolica un’aura di privilegio che
può esserle più di danno che di vantaggio.
Il secondo e il terzo dei motivi che rendono obsoleto l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica italiana
discendono dal primo. E possono essere
facilmente risolti una volta che viene affrontato e risolto il problema di principio.
In questi trent’anni che ci separano dalla
firma del nuovo concordato da parte dell’allora Presidente del Consiglio italiano,
Bettino Craxi, e dell’allora Segretario di
ome contenuti finalità
una crescente diversità spirituale
Il principale cambiamento riguarda la crescente «diversità spirituale» che caratterizza la società italiana, in seguito sia a
un’evoluzione interna (la cosiddetta desacralizzazione della società) sia a fattori
esterni (l’immigrazione). Cosicché oggi
oltre ai cattolici, troviamo nel nostro paese e nelle nostre scuole protestanti, ebrei,
musulmani, seguaci di altre religiosi,
agnostici, atei. E anche, semplicemente,
indifferenti. Siamo passati da un prevalente carattere di «omogeneità spirituale»
a una marcata disomogeneità.
Questa marcata «diversità spirituale», che
caratterizza ormai l’Italia come l’intero occidente, ha profondi correlati etici. Tanto
da spingere il bioeticista (cattolico) Hugo
Tristram Engelhardt junior a sostenere che
viviamo in una società di «stranieri morali». Tutti portatori di analoghi diritti legittimi. Compreso il diritto all’insegnamento (o
al non insegnamento) della propria religione o credo o attitudine spirituale.
Se accettiamo (e come potremmo rifiutarlo?) questo banale principio di democrazia, le opzioni teoricamente possibili per
una scuola pubblica di uno Stato democratico sono solo tre.
tre opzioni
La prima è quella che potremmo definire:
«a ciascuno il suo credo». Ovvero fornire
agli studenti l’insegnamento relativo alla
propria specifica religione o attitudine
spirituale. Dunque un’ora (o più) diversificata per i cattolici, per i protestanti, per
gli ebrei, per i musulmani per gli agnostici, per gli atei e anche (perché no?) per gli
indifferenti. A parte ogni considerazione
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Stato vaticano, cardinale Agostino Casaroli, il 18 febbraio 1984, molte cose sono
cambiate (anche questo è stato già detto)
nel nostro paese e fuori dal nostro paese.
E quasi tutti i cambiamenti più significativi rendono l’asimmetria che privilegia
l’insegnamento della religione cattolica
nella scuola pubblica più difficile da giustificare, se mai lo è stato in passato.
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INSERTO
di opportunità – i recinti diventerebbero
ghetti, rischiando di trasformarsi in fortezze l’un contro l’altra armate – questa
parcellizzazione si scontra con un’impossibilità pratica. Semplicemente non si può
fare. E dunque non discutiamola oltre.
Una seconda opzione è quella utilizzata in
paesi come la Francia: «niente a tutti». Ovvero nessun insegnamento religioso. Questa soluzione ha il pregio della democraticità. Ma lascia aperta una domanda: può la
scuola ignorare una dimensione così importante nella vita sociale come la spiritualità, religiosa o meno, che coinvolge, sia
pure in maniera diversificata, tutti i cittadini ed è alla base degli orientamenti etici?
ROCCA 1 MAGGIO 2014
laboratorio di diversità
Sull’argomento
Rocca ha
avviato il dibattito con gli
interventi di
Marco Gallizioli, Diario scolastico: L’ora di
religione
(n. 5/2014)
Brunetto Salvarani, Religioni a
scuola: Nel
mosaico delle
religioni
(n. 6/2014)
Flavio Pajer,
Religioni a
scuola: Nel
tempo del
pluralismo
(n. 8/2014)
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A questa domanda rispondono, almeno in
parte, gli ordinamenti scolastici di molti
altri paesi, in Europa e non, dove l’ora o le
ore di religione sono interpretate vuoi come
insegnamento della storia delle religioni
vuoi come insegnamento dei principi di
etica. Potremmo definirlo un «laboratorio
per la valorizzazione della diversità». Non
abbiamo le conoscenze necessarie per indicare i punti di forza e di debolezza di
questo tipo di approccio nei singoli paesi.
Non sappiamo se l’educazione spirituale o
etica in questi paesi dia o meno luogo a un
autentico «laboratorio per la valorizzazione della diversità». Possiamo però dire che,
in generale, la presa in carico da parte della scuola della dimensione religiosa e/o spirituale e/o etica presenta dei vantaggi se risponde ad alcuni requisiti di base.
Può essere utile se aiuta a discutere intorno a temi di fondo, come il senso della vita
o il perché alcuni (ma non tutti) credono
nell’esistenza di Dio. Se aiuta a conoscere
la storia delle religioni. Se aiuta a rispettare il punto di vista di tutti e di ciascuno,
a patto che quel punto di vista non ambisca a prevaricare sugli altri. Potremmo
continuare con altre analoghe dichiarazioni di principio.
un interessante documento
della Gran Bretagna
Ma forse è più utile conoscere – anche solo
per discutere – quali sono gli obiettivi dell’insegnamento interculturale e interreligioso che indica il rapporto Religious education preparato, dieci anni fa, da un gruppo di esperti per conto del ministero dell’educazione di un paese che ha una forte
tradizione di tolleranza e democrazia, la
Gran Bretagna.
Secondo gli esperti – di diverse religioni e
culture – che hanno redatto il documento,
l’educazione religiosa deve fondarsi sui valori generali di verità, giustizia e rispetto.
E nello specifico deve aiutare gli studenti a
valutare se stessi e gli altri. E se stessi in
rapporti agli altri, ovvero nella loro dimensione sociale. Deve, inoltre, aiutare gli studenti a valutare il ruolo che hanno la famiglia e la comunità di appartenenza nel determinare la fede religiosa (o lo scetticismo). Deve, infine, aiutare a considerare il
valore della diversità religiosa o etica e a
comprendere le similarità o le differenze
tra le diverse fedi e/o attitudini spirituali.
L’educazione religiosa deve, sottolinea significativamente il documento, aiutare gli
studenti a riconoscere la necessità dello
sviluppo sostenibile del pianeta. Che è tale,
aggiungiamo noi, solo se è socialmente ed
ecologicamente sostenibile. Ma l’educazione religiosa deve anche aiutare a capire la
natura evolutiva delle società umane. Deve
insegnare a capire e a valorizzare il cambiamento. Ivi incluso il cambiamento nelle credenze e nelle pratiche religiose.
due obiettivi primari
Sulla base di tutto questo l’educazione religiosa – ma forse sarebbe meglio dire l’educazione spirituale ed etica – deve perseguire due obiettivi primari. Il primo è di tipo
cognitivo: aumentare la conoscenza, l’abilità e la comprensione relative al fenomeno religioso e più in generale spirituale,
anche mediante un approccio di tipo scientifico. Affinando lo spirito critico, oltre che
la coerenza e la solidità dell’argomentare.
Il secondo obiettivo (non sembri un paradosso) è di tipo sociale e riguarda la laicità. Ovvero la capacità degli studenti di
coltivare la tolleranza. Di più: la comprensione del valore positivo intrinseco della
diversità culturale, etica e religiosa se tesa
alla ricerca cooperativa del bene comune.
La società italiana – a trent’anni dal nuovo
Concordato – ha di fronte a sé una sfida
niente affatto banale. Deve evitare che la
«diversità spirituale» porti alla frantumazione sociale e alla creazione di steccati tra
«stranieri morali». C’è bisogno – c’è urgenza – di luoghi di integrazione. Di laboratori
di tolleranza. Nulla vieta che tra questi luoghi e tra questi laboratori ci sia anche «l’ora
di religione». L’Irc, l’insegnamento della
religione cattolica, trent’anni dopo, dovrebbe cambiare radicalmente contenuti e finalità. E, naturalmente, anche nome.
Pietro Greco