Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi 73 72 ANNO ANNO periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Perugia e 2.70 09 1 maggio 2014 vade retro vecchiaia! Afghanistan una delicata partita no euro, e poi? governabilità e democrazia green economy l’economia del vicino è sempre più verde inserto è l’ora delle religioni? l’amor sacro e l’amor profano dottrina e prassi nel cammino ecclesiale diario scolastico nei meandri della differenza TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X Rocca sommario 4 6 10 11 13 15 16 19 20 22 25 27 1 maggio 2014 Ci scrivono i lettori Anna Portoghese Primi Piani Attualità Giovanni Sabato Notizie dalla scienza Vignette Il meglio della quindicina Maurizio Salvi Afghanistan Una delicata partita 09 43 48 50 52 Ritanna Armeni Politica italiana Governabilità e democrazia 54 Tonio Dell’Olio Camineiro Di un cattolico marginale 57 Raniero La Valle Riforme Un Senato dei popoli 58 Marco Gallizioli Diario scolastico Nei meandri della differenza 58 Ugo Leone Green economy L’economia del vicino è sempre più verde 59 È l’ora delle religioni? Inserto: 59 Lidia Maggi Se non frequento l’ora di religione Giannino Piana Bisogna avere coraggio Pietro Greco Cambiare nome, contenuti, finalità 40 46 Romolo Menighetti Oltre la cronaca No euro, e poi? Fiorella Farinelli Le contraddizioni dell’Irc 39 44 Oliviero Motta Terre di vetro Peggio della galera Piero Ferrero Psicologia sociale L’adolescente e il computer Enrico Peyretti Fatti e segni Nei panni di Caino 60 60 61 62 63 Claudio Cagnazzo Società Vade retro vecchiaia! Elisabetta Proietti (a cura di) Radio Magica Intervista a Elena Rocco Stefano Cazzato Maestri del nostro tempo Gustave Le Bon La follia della folla Giuseppe Moscati Nuova Antologia Corrado Govoni Fuochi d’artificio in una fresca notte di primavera Carlo Molari Teologia Dottrina e prassi nel cammino ecclesiale Lilia Sebastiani Il concreto dello spirito L’amor sacro e l’amor profano Paolo Vecchi Cinema Due documentari Roberto Carusi Teatro Per soli occhi Renzo Salvi Rf&Tv Gazebo Mariano Apa Arte Concilio di Trento Alberto Pellegrino Fotografia I Mondi dell’Industria Enrico Romani Musica Tecnologia e musica Giovanni Ruggeri Siti Internet Comunicazione d’impresa Libri Carlo Timio Rocca Schede Organizzazioni in primo piano Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) Luigina Morsolin Fraternità Haiti: «primavera caraibica»? INSERTO ora è l’ delle religioni? Lidia Maggi pastora della Chiesa Battista Giannino Piana teologo morale ROCCA 1 MAGGIO 2014 Fiorella Farinelli esperta di politiche scolastiche Pietro Greco scrittore e comunicatore della scienza 27 INSERTO ROCCA 1 MAGGIO 2014 Lidia Maggi 28 S cuola elementare, incontro tra docenti e genitori. Le insegnanti illustrano il programma. Su domanda esplicita di una mamma musulmana, parlano dell’ora di religione, affidata ad una delle due maestre titolari. Questa spiega il percorso sottolineando che non si farà lezione di catechismo e che, dunque, sarebbe opportuno per tutti i bambini partecipare all’attività. Io, come mamma, faccio presente di aver firmato, a suo tempo, chiedendo di «non avvalermi» dell’ora di religione cattolica. L’insegnante commenta che è un mio diritto, ma che questo ridurrà le ore di compresenza necessarie per alcune attività didattiche, oltre al fatto che ritiene diseducativo separare i bambini che non fanno religione dal resto della classe. Provo a mediare e chiedo di poter decidere dopo aver visionato il programma e il libro di testo. O meglio, mi trovo costretta a mediare dopo aver verificato che, nonostante la presenza nella classe di bambini e bambine appartenenti ad altre esperienze religiose, mio figlio è l’unico che non partecipa all’ora di religione. Il giorno dopo l’insegnante mi mostra il libro di religione commentando: «Dia pure un’occhiata, non so quanto ne possa capire, ma faccia pure... si metta però una mano sulla coscienza prima di decidere». Mi stupisce la totale mancanza di curiosità da parte della mia interlocutrice sulle motivazioni che mi hanno spinta a scegliere di non avvalermi dell’ora di religione. il disagio dei genitori Di aneddoti del genere, durante la carriera scolastica dei miei quattro figli, ne ho collezionati tanti. Probabilmente sono stata particolarmente sfortunata. E lo penso davvero, perché nel corso della mia esperienza pastorale ho poi incontrato tanti insegnanti di religione attenti alla diversità. Sono stata invitata diverse volte, come rappresentante del mondo protestante, a parlare ai ragazzi e alle ragazze della mia fede, di Lutero e della Riforma. Ma la mia esperienza di madre mi permette di condividere alcune preoccupazioni, spesso sottovalutate nella discussione e che invece intersecano il vissuto di chi sceglie di non avvalersi. I genitori di bambini e bambine che appartengono a realtà confessionali non cattoliche hanno in genere due atteggiamenti rispetto all’ora di religione. Alcuni sono molto fermi nell’esercitare il diritto di non avvalersi. Lo fanno convinti che in una scuola laica sia inopportuno privilegiare un insegnamento confessionale. Questi genitori sentono che la diversità non è un handicap e non temono di comunicare ai propri figli il valore della loro differenza. Un tale genitore, di fronte alla maestra di religione di mio figlio, non avrebbe esitato a restare fermo nella propria scelta, convinto di offrire il meglio al proprio bambino, sottraendolo ad un sistema di insegnamento moralmente discutibile non solo per i contenuti ma soprattutto per le mo- se non frequento l’ora di religione doppio senso di colpa Ci sono, invece, alcuni genitori che vivono con molta ansia l’idea di vedere i propri figli, a scuola, differenziati dagli altri. Questi, pur non condividendo la fede cattolica o le modalità con cui l’ora di religione è strutturata, scelgono di avvalersi dell’insegnamento per evitare ai figli possibili discriminazioni. «Non voglio che mio figlio si senta diverso». Vivono un doppio senso di colpa: da una parte sentono di tradire le proprie convinzioni, permettendo ai figli di partecipare all’ora di religione cattolica; dall’altra, si sentono responsabili di esporre a possibili disagi i propri figli, se scelgono di non avvalersi. Spesso hanno vissuto con fatica il proprio percorso scolastico sul tema. Una mamma mi racconta: «la lezione iniziava con il segno della croce e un’avemaria. Io rimanevo in piedi, sull’attenti. Non potevo ripetere con gli altri bambini quella preghiera che ormai conoscevo a memoria. Ero esonerata dall’ora di religione e in pagella non c’era il voto di quella materia. Mi sentivo a disagio in classe quando gli altri bambini mi chiedevano perché non pregavo. Avevo paura di non saperlo spiegare bene. Avevo però anche paura a pregare con la classe per timore che i miei venissero a saperlo». La situazione oggi è decisamente diversa. L’ora di religione non si presenta come un percorso di catechismo, non si fanno, in classe, gesti liturgici, ma il senso di disagio che può creare la distinzione tra bambini cattolici e non, per alcuni genitori, rimane forte motivo di preoccupazione. E se dal punto di vista dell’ascolto pastorale, posso aiutare nel discernimento, cercando di cogliere i pro e i contro di una scelta rispetto all’altra, sospendendo il giudizio e mettendo a tacere i sensi di colpa per aiutare la famiglia a prendere una decisione in un contesto lontano dalla situazione ideale, dall’altro vorrei mettere sul piatto della bilancia il possibile e inutile stress a cui vengono sottoposti genitori che vivono esperienze di fede differenti da quella cattolica. Mi piacerebbe al riguardo, sentire storie di famiglie musulmane o di altre appartenenze religiose, spesso stranieri che, per potersi integrare nel contesto italiano, si trovano, di fatto, nella situazione di non potere serenamente sce- ROCCA 1 MAGGIO 2014 dalità con cui viene esercitata la selezione degli insegnanti. Tali genitori hanno sviluppato, in genere, un sentimento di rancore nei confronti dell’insegnamento confessionale. Trovano immorale che, in uno stato laico, ormai multireligioso e multiculturale, la Chiesa Cattolica conservi ancora privilegi concordatari nella scuola a spese dello Stato. Dunque, anche se questo comporta possibili disagi come la difficoltà della scuola a istituire un percorso alternativo, oppure ore vuote passate, al meglio, facendo i compiti, questi genitori non esitano a sottrarre i propri figli all’insegnamento religioso. 29 . INSERTO gliere di avvalersi o non avvalersi. Vuoi perché non ricevono le dovute informazioni nel momento dell’iscrizione a scuola dei figli (per non avvalersi bisogna esplicitamente fare una richiesta!), vuoi perché temono di apparire come anti-cristiani, sono sempre di più, almeno alle materne e alle elementari, i musulmani che frequentano l’ora di religione. il vissuto plurale dell’alunno Quanto esposto sollecita a domandarci: in una società multiculturale e multietnica l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica non risulta essere oggi un vero anacronismo storico e culturale che non tiene in seria considerazione il vissuto plurale dei ragazzi? Quale conseguenza ha, sul piano educativo, separare i ragazzi in base al proprio credo religioso? Il compito della scuola non dovrebbe essere quello di promuovere l’incontro, lo scambio, l’acquisizione di strumenti plurali e condivisi per interpretare il mondo e diventare cittadini capaci di riconoscersi in regole di comportamento condivise? Il problema non è solo quello di un privilegio confessionale; la questione decisiva si pone sul piano formativo: la scuola intende fornire i linguaggi e gli strumenti per interpretare la realtà. Ed è qui che emerge l’esigenza di un altro tipo di insegnamento della religione, perché viviamo in un contesto dove le religioni, sia in positivo che in negativo, sono elementi identitari, proprio come la storia, la filosofia, la letteratura, le scienze e l’arte. Delegare solo alla formazione confessionale o lasciare fuori dalla scuola questo aspetto, significa non offrire ai nostri ragazzi alcune chiavi identitarie per capire la realtà, proprio in un momento storico dove il fattore religioso emerge al centro degli eventi sociali. la grammatica della pluralità ROCCA 1 MAGGIO 2014 Cosa può offrire il mondo della Riforma nel dibattito sull’insegnamento del fenomeno religioso? Le chiese protestanti hanno imparato dalla loro esperienza storica a non demonizzare la pluralità delle interpretazioni, a tenere in tensione le diversità. Mentre nella mentalità cattolica il valore di fondo è l’armonia, avere un unico pensiero (fattore per molti versi positivo), le chiese protestanti sono portatrici di una sapienza che non demonizza la differenza e sa convivere nella pluralità, affrontando il conflitto. Questa pedagogia della diversità, che caratterizza il mondo della Rifor30 ma, può fornire un abecedario per imparare la grammatica della pluralità. Una grammatica che le chiese hanno appreso dalle Scritture, anche attraverso l’interpretazione plurale della Bibbia. Come all’inizio la lettura della Scrittura è stata nelle chiese della Riforma lo stimolo per un processo di alfabetizzazione per persone fino allora analfabete, così ora la lettura della Bibbia, come degli altri testi sacri, si presta ad essere almeno un anticorpo rispetto al rischio di un pensiero unico che demonizzi la diversità. Il Protestantesimo, che ha maturato nella sua storia un pensiero critico sulle mediazioni, rispetto al ripensamento dell’ora di religione pone la domanda: «chi media?». Chi gestisce l’ora di religione? Chi gestisce la formazione degli insegnanti dell’ora di religione? Sottolineando il fatto che la rivisitazione sulla formazione (scientifica e non confessionale) non ha solo a che vedere con la tecnica ma anche con l’ermeneutica. statuto del docente Nel dialogo ecumenico è di rigore la regola dell’autopresentazione (ogni tradizione presenta se stessa); ma tale criterio è inapplicabile in un percorso formativo. Tuttavia, chi ha il compito di insegnare dovrà necessariamente maturare la capacità di saper riferire punti di vista differenti dai propri. Rimangono, dunque, aperte tutte le problematiche sulla competenza dell’insegnante, insieme a quelle legate alla consapevolezza ermeneutica. Nel ripensare l’insegnamento religioso va perciò messo sul piatto non solo lo statuto dell’ora di religione ma anche la postura del docente. Problema che riguarda anche altre discipline, ma che diventa prioritario, visto il peso identitario dell’esperienza religiosa, per affrontare in modo corretto, il più possibile oggettivo e rispettoso, la presentazione di una fede altra dalla propria. Questo significa orientarsi verso un insegnamento laico e plurale. Il che non vuol dire garantire le quote ad ogni realtà religiosa, ma affrontare il fenomeno religioso ascoltando le tanti voci (la pluralità del laos) per sciogliere stereotipi e pregiudizi nei confronti dell’altro, troppo sovente parodizzato da caricature inopportune, frutto di un analfabetismo religioso che costituisce una presenza inquietante nella nostra società. Lidia Maggi l dibattito sul ruolo e sulle modalità dell’insegnamento religioso nella scuola italiana deve fare oggi i conti tanto con l’efficacia del regime attualmente in corso quanto con la capacità che tale regime ha di interpretare correttamente le istanze della odierna situazione socioculturale. Sul primo versante – quello dell’efficacia – forti perplessità emergono dai risultati delle varie indagini condotte negli anni più recenti sulle conoscenze in materia religiosa degli italiani. Il dato che da esse infatti affiora, in termini inequivocabili, è la persistenza di uno stato di ignoran- za, che la riforma concordataria non ha contribuito a sanare. La religione – quella cristiana (o meglio ancora cattolica perché tale è la dizione con cui la religione viene proposta nella scuola) – continua ad essere poco conosciuta nel suo impianto dottrinale ed è, nella maggior parte dei casi, considerata come un fenomeno culturalmente poco rilevante, che va in quanto tale relegato nell’ambito delle narrazioni mitologiche o che si ritiene appartenga al genere delle leggende. Sul secondo versante poi – quello relativo all’interpretazione delle istanze socio31 . ROCCA 1 MAGGIO 2014 Giannino Piana bisogna avere coraggio I INSERTO culturali odierne – la situazione è ancora più grave. L’insegnamento della religione cattolica (Irc), nella sua versione attuale, risulta incapace di fronteggiare la condizione di pluralismo religioso, che caratterizza la società italiana (e più in generale la società occidentale) come conseguenza dell’imponente processo migratorio che si è verificato negli ultimi decenni. Lo scenario culturale ha infatti subìto, nel breve volgere di tempo, profonde (e insospettate) modificazioni, tali da rendere del tutto anacronistico il progetto ideato in un passato anche piuttosto recente e da esigere un suo radicale rinnovamento. La società multiculturale in cui viviamo implica l’acquisizione di nuove conoscenze, ma comporta anche (e soprattutto) un cambio di mentalità, un’educazione al confronto e al dialogo con tradizioni culturali diverse, che non può che riflettersi anche nell’accostamento al fenomeno religioso. le debolezze del regime attuale ROCCA 1 MAGGIO 2014 L’inefficacia dell’insegnamento religioso cui si è accennato va anzitutto ascritta – è doveroso ricordarlo – ad alcuni limiti legati in particolare all’ambiguità delle scelte fatte dalla riforma concordataria, cioè ai contenuti che si è preteso venissero offerti, alle garanzie che si è chiesto fossero assicurate e allo statuto che si è assegnato a tale insegnamento all’interno dell’ordinamento scolastico. L’avere imposto da parte della chiesa l’insegnamento della religione cattolica e l’avere chiesto come garanzia che esso fosse impartito da insegnanti designati dall’ordinario diocesano (che ha peraltro il potere di destituirli nel caso non abbiano più i requisiti di idoneità richiesti), costituisce un fattore di equivocità, che non poteva non pesare anche sulla partecipazione – questo in particolare nell’ambito delle scuole medie superiori – e soprattutto sull’identità dell’insegnamento. È difficile sostenere che si tratti di una disciplina con connotati culturali, quando la si propone in chiave strettamente confessionale e chi la insegna è soggetto alla verifica di ortodossia da parte dell’autorità ecclesiastica. Ancora più equivoco è poi lo statuto che tale insegnamento ha ricevuto nell’ordinamento della scuola. Il fatto che si tratti di materia curriculare (e non strettamente opzionale, pur essendo facoltativa la fruizione) impedisce che si possa ipotiz32 zare un’alternativa secca – la ricerca di una materia diversa non è facile ed è, in ogni caso, più comodo non attivarla –, mentre il ruolo non ben definito a livello istituzionale pone gli insegnanti – molti di loro non esitano a denunciarlo – in una situazione di disagio, costringendoli a conquistarsi a partire soltanto dalla propria autorevolezza il consenso degli alunni. Questo spiega perché molti insegnanti tendano a ripiegare, nel tentativo di favorire il coinvolgimento dei partecipanti, su tematiche esistenziali, di carattere psicologico o etico, che poco hanno a che fare con il discorso religioso, rinunciando di fatto all’esercizio del loro vero compito. la necessità di condizioni diverse La restituzione di credibilità all’insegnamento religioso è dunque anzitutto legata al ricupero di uno statuto dignitoso all’interno della scuola. Questo comporta che la cultura religiosa venga a tutti gli effetti considerata – al pari di quanto avviene in molti altri paesi europei peraltro più secolarizzati del nostro (si pensi soltanto alla Francia) – una disciplina obbligatoria come la letteratura, la filosofia, la storia, ecc. L’importanza del fenomeno religioso come fatto culturale è fuori discussione; e questo soprattutto in un paese come il nostro, in cui le diverse espressioni letterarie ed artistiche hanno risentito, in larga misura (e in parte risentono tuttora), dell’influenza determinante della religione e dove di conseguenza la scarsità di nozioni in materia diviene un grave handicap per la loro piena comprensione. La possibilità che si pervenga ad una svolta esige, ovviamente, che si abbandoni qualsiasi tentazione confessionale e si rinunci a qualsiasi pretesa catechetica; che si accetti, in altre parole, che l’insegnamento religioso abbia un carattere strettamente culturale, adottando appieno una metodologia scientifica e critica, e soprattutto che la sua gestione venga demandata totalmente all’autorità scolastica senza alcuna interferenza esterna. Solo a queste condizioni si può infatti sperare nella percezione della religione come fenomeno culturalmente rilevante, e perciò nel superamento dell’attuale stato di ignoranza che fa dell’Italia uno dei paesi più arretrati nel campo della cultura religiosa. La paura di perdere il controllo sull’insegnamento e su chi direttamente lo impar- quali contenuti trasmettere? Ma, al di là dell’importanza che riveste lo statuto istituzionale, non si può trascurare, anzi merita un’attenzione ancora più grande, la definizione dei contenuti da attribuire all’insegnamento religioso oggi. Non vi è dubbio che il processo di globalizzazione in corso e l’avanzare impetuoso del fenomeno delle migrazioni dal Sud del mondo abbia trasformato anche l’Italia in un paese multiculturale e multireligioso, e che si debba perciò tener conto di una situazione che negli ultimi trenta anni – tanti sono gli anni che ci separano dalla firma del concordato – è profondamente cambiata. L’esigenza di una apertura al mondo delle religioni nel suo complesso è fuori discussione. Questa esigenza deve essere tuttavia coniugata con l’esigenza (altrettanto importante) di non rinunciare a custodire (arricchendola anche mediante il confronto con le altre religioni) l’identità religiosa legata alla propria appartenenza territoriale. La possibilità che si rispetti l’istanza culturale sopra ricordata e che si integrino le due esigenze cui si è accennato comporta anzitutto – è questo il primo indirizzo da perseguire – che si affronti il fenomeno religioso in generale (questo vale soprattutto ma non esclusivamente per le scuole medie superiori) attraverso un approccio interdisciplinare volto ad evidenziarne le dinamiche sottese, lo stretto rapporto cioè con una serie di istanze che affondano le loro radici ai vari livelli della personalità. Su questo piano decisivo è il contributo delle scienze umane – dalla sociologia alla psicologia all’antropologia culturale – ma anche quello della filosofia (si pensi in particolare alla filosofia della religione). L’orizzonte antropologico consente di identificare le strutture fondamentali che stanno alla base del comportamento religioso, andando oltre le differenze esistenti tra le varie tradizioni religiose e cogliendo gli elementi comuni che godono di una buona dose di universalità. Il passaggio successivo ai veri e propri contenuti dottrinali – sta qui il secondo indirizzo – comporta che ci si accosti alle diverse religioni storiche attraverso un percorso graduale, che deve iniziare dalle religioni che hanno in Abramo il loro capostipite per dilatarsi fino a comprendere le grandi tradizioni religiose dell’Oriente. Fondamentale è, a tale riguardo, la conoscenza dei testi: dalla Bibbia, uno dei grandi codici della cultura occidentale da cui traggono origine tanto la tradizione ebraica che quella cristiana, al Corano, alla letteratura buddista e induista, ecc. Tutto questo in un crescendo, che fa correttamente i conti con la diversa rilevanza delle varie tradizioni – ebraismo e cristianesimo non possono che occupare in proposito un posto di primo piano – e che tende ad inserire il discorso religioso nel contesto di una società come l’attuale, caratterizzata da un accentuato pluralismo culturale ed etico. per un quadro globale Le due linee delineate vanno poi tra loro variamente intrecciate a seconda dei livelli dell’ordinamento scolastico, tenendo in seria considerazione le ragioni di carattere pedagogico e rispettando i criteri di ordine didattico. L’obiettivo è, in definitiva, quello di offrire un quadro globale del fenomeno religioso, che sappia metterne a fuoco, da un lato, le basi originarie radicate nel vivo della coscienza e fornire, dall’altro, un bagaglio preciso di cognizioni circa i principi ispiratori delle varie tradizioni religiose in modo di favorire lo sviluppo di personalità capaci di aprirsi a un confronto costruttivo con le diverse espressioni della religiosità contemporanea. ROCCA 1 MAGGIO 2014 te, che ha spinto la chiesa in Italia – contrariamente a quanto è avvenuto in altri paesi – a chiedere la chiusura delle facoltà teologiche all’interno delle università dello stato – posizione peraltro condivisa per opposte ragioni anche dalla cultura laicista del tempo – e a imporre, in occasione della stipulazione del nuovo concordato, i criteri ricordati non hanno certo contribuito a far crescere nelle coscienze la consapevolezza dell’importanza che il fenomeno religioso ha rivestito (e tuttora in qualche misura riveste) come fattore destinato ad influenzare i processi culturali e sociali. L’accettazione di un insegnamento libero da ipoteche confessionali è dunque la sfida che la chiesa italiana deve accettare, se intende concorrere a far crescere la convinzione, anche in ambito laico, del significato positivo che l’esperienza religiosa riveste. Giannino Piana 33 INSERTO ROCCA 1 MAGGIO 2014 Fiorella Farinelli 34 P er te che vieni da un paese straniero» è la lettera con cui gli insegnanti di religione di Milano hanno invitato gli studenti stranieri non cattolici a frequentare l’ora di religione. Dove si impara a conoscere una religione, è questa la tesi, possono incontrarsi e dialogare tutte le altre. Ma è un’impresa possibile dove, come in Italia, l’insegnamento sia di natura confessionale? Sono in molti a dubitarne, ma la pretesa c’è, e il contesto oggi sembra più favorevole di un tempo. Lo si vede anche sfogliando Yalla, il vivacissimo blog delle «seconde generazioni» che sul tema ha ospitato di recente un dibattito a più voci. Ad avviarlo, una studentessa dal nome arabo che racconta di aver capito troppo tardi che la scelta di «non avvalersi» dell’Irc le ha fatto perdere un’occasione di crescita culturale. Perché «per capire il mondo servono le religioni del mondo». Sintesi felicissima, che però non convince del tutto. Se dai tanti commenti di italiani e stranieri non emergono dubbi sostanziali sulla portata culturale delle religioni (semmai sul fatto che sarebbe difficile, in un programma scolastico, non inciampare nelle tante correnti o addirittura fazioni l’una contro l’altra armata che ne caratterizzano alcune), è l’ora di religione così com’è fatta che a molti non sembra lo spazio adatto. Anche se non sono pochi – ma con quali motivazioni? – gli studenti non cattolici che la frequentano. È un fatto, comunque, che la crescente presenza di studenti di altre nazionalità – ormai più di 800.000, quasi 200.000 nella scuola superiore, tanti i cristiani ortodossi, tantissimi i musulmani e anche di religioni non monoteiste – butta nuova benzina sul fuoco mai spento della discussione sull’insegnamento «concordatario». Una benzina più interessante, e più densa di implicazioni, delle discussioni sulla liceità del crocefisso in aula e dell’allestimento dei presepi nelle scuole dell’infanzia. Oggi gli «altri» non sono più solo le «minoranze» valdesi, evangeliche, ebraiche (e quella, quanto grande? dei non credenti e degli agnostici), e neppure solo i sostenitori irriducibili della scuola pubblica come luogo assolutamente laico. A direzionare gli abbaglianti sulle contraddizioni dell’Irc è la trasformazione in senso multiculturale della società italiana e, più in generale, la necessità nel mondo di oggi e di domani di un’educazione più aperta alla mondialità. Anche se il musulmano non è tuo compagno di banco, anche se un confuciano non l’hai ancora incontrato. Se le religioni sono sistemi di valori e codici comportamentali che influiscono potentemente sul passato e sul presente dei popoli, non sarà arrivato finalmente il momento di disseppellire le proposte antiche – e sempre sconfitte – di un insegnamento di «storia delle religioni»? O anche di un insegnamento di tipo antropologico sulla religiosità? Al rilancio della discussione contribuisco- le contraddizioni dell’Irc ignoranza religiosa diffusa Decenni di insegnamento scolastico confessionale pagato dallo Stato non sembrano aver prodotto risultati apprezzabili neppure in termini di conoscenza dei tratti essenziali del pensiero e della storia del cattolicesimo. Da diverse fonti si sa che in Italia l’«analfabetismo religioso» c’è, ed è di massa. Che cosa si fa e non si fa nell’ora di religione lo sanno anche gli insegnanti di filosofia, storia, letteratura, arte che non possono mai dare per scontate nozioni che dovrebbero essere moneta corrente dell’Irc. Né a proposito di Dante e Manzoni, Copernico o Galileo; né per i rapporti tra francescanesimo ed empirismo scientista; e neppure per le guerre di religione in Europa, la breccia di Porta Pia a Roma o il Non expedit di Pio IX nel primo Stato unitario. Quanto al patrimonio artistico, le sue chiese e la sua pittura sacra, anche lì c’è il problema. Cosa potranno mai capire delle Madonne e della Sistina – sbuffa il filosofo agnostico Massimo Cacciari – i ragazzi condotti in visita d’istruzione? Va già bene se sanno qualcosa del Bambin Gesù, insiste, ma è certo che non sanno niente della «parola». Che non hanno mai letto, e se letto capito, i Vangeli e la Bibbia. Massimo Cacciari però di «storia delle religioni» non vuole sentir parlare. Teme il pressapochismo del tutto e del niente di un ambito così vasto e variegato, sa che su questi temi non ci sono insegnanti preparati e che occorrerebbe molto tempo per formarli. Quello che occorre è invece «un insegnamento obbligatorio della nostra tradizione religiosa», e docenti formati ad hoc e selezionati attraverso pubblici concorsi. Tutt’altra cosa, notoriamente, da quanto previsto nell’insegnamento «concordatario». Argomenti trancianti, nello stile del personaggio, ma da considerare attentamente. che cosa non funziona? Ma è solo perché l’Irc è di natura confessionale (e gli insegnanti formati, selezionati, assunti e licenziati da un’autorità diversa da quella pubblica), che gli apprendimenti sono così scarsi? Oggi sono molti gli insegnanti di religione con lauree in teologia o studi specialistici. Cos’è, allora, che non funziona? Non c’è un’interpretazione unica, ma il fatto che salta all’occhio è che molti di loro, soprattutto nella secondaria superiore dove gli studenti che «si avvalgono» diminuiscono progressivamente dalla prima all’ultima classe, impostano la didattica più su temi di natura etica o comportamentale di interesse diretto dei ragazzi (tra cui sessualità e droghe) che sui contenuti dei programmi. O, comunque, accettano, pur di non avere classi semivuote, che l’ora di religione sia più di tregua che di studio. ROCCA 1 MAGGIO 2014 no altri ingredienti. Meno intriganti sul piano politico, ma assai urticanti su altri, spesa pubblica compresa. 35 INSERTO Come altro fare, del resto, senza il deterrente delle interrogazioni, dei voti, degli esami? Non tutti, ancorché colti ed impegnati, sono capaci di appassionare ad uno studio i cui risultati non incidono sulle valutazioni finali. Il disagio professionale di tanti insegnanti di religione è fin troppo evidente, lo dicono anche i numeri delle cause discusse in tribunale per arrivare ad ottenere un ruolo più incisivo nella vita della scuola e nella valutazioni degli studenti. Ma, appunto, è il profilo stesso dell’Irc che ha impedito finora ogni evoluzione: perché è ovvio che non si può dare un voto, magari determinante in sede di scrutinio finale, su qualcosa di così complesso e di valutabilità così problematica come i contenuti «confessionali» di una religione, il suo catechismo. Conoscenze o competenze? ROCCA 1 MAGGIO 2014 esperienze di ora alternativa E però qualcosa si è già mosso, in scuole pubbliche e paritarie. Se non dentro, fuori dell’ora di religione, nell’ora «alternativa», o nel campo dell’opzionalità aggiuntiva per «avvalentisi e non». Si tratta di sperimentazioni – a Varese, Torino, Milano – che tentano di contrastare l’analfabetismo religioso con corsi di «storia delle religioni». Solo in un caso circoscritti alle sole religioni monoteiste, negli altri allargandosi a quelle maggiormente diffuse, dall’Islam alle religioni del mondo orientale; e affrontando problemi di grande interesse come il rapporto, per le diverse religioni, tra organizzazione statuale e appartenenza religiosa, tra uomini e donne, tra uomo e natura. Sono piste di cui analizzare i risultati. Ma anche le contraddizioni che hanno fatto esplodere, per esempio quando il successo dei corsi di nuovo conio ha svuotato l’ora di religione. Il che dice almeno due cose, cioè che la domanda – dei genitori e degli studenti – c’è, e che varrebbe la pena di darle risposte appropriate. E però anche che la questione dell’insegnamento concordatario non è facilmente aggirabile. Perché un insegnamento, collegato alla storia o alla filosofia, di «storia delle religioni», dovrebbe essere non opzionale ma «ordinamentale» e connotato da regole identiche (valutazione inclusa) a quelle delle altre discipline. E inoltre affidato a docenti con le stesse funzioni e condizioni dell’intero corpo professionale. Pretendere di farlo dall’interno di ciò che già esiste – quindi senza una revisione del Concordato – o è una generosa illusione o, viceversa, una strana e inquietante pretesa di autosufficienza. Fiorella Farinelli 36 cambiare no Pietro Greco L ’ora di religione – o meglio, l’Irc (insegnamento della religione cattolica) nella scuola pubblica italiana – ha trent’anni. E li dimostra tutti. Per almeno tre motivi. Il primo è di principio: perché introduce un’asimmetria tra la religione cattolica e tutte le altre religioni o credi o attitudini spirituali. Il secondo è pratico: perché concede agli insegnanti della religione cattolica un percorso di ingresso nella scuola pubblica diverso rispetto a tutti gli altri docenti. Il terzo è di opportunità: l’Irc, è già stato detto, conferisce alla religione cattolica un’aura di privilegio che può esserle più di danno che di vantaggio. Il secondo e il terzo dei motivi che rendono obsoleto l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica italiana discendono dal primo. E possono essere facilmente risolti una volta che viene affrontato e risolto il problema di principio. In questi trent’anni che ci separano dalla firma del nuovo concordato da parte dell’allora Presidente del Consiglio italiano, Bettino Craxi, e dell’allora Segretario di ome contenuti finalità una crescente diversità spirituale Il principale cambiamento riguarda la crescente «diversità spirituale» che caratterizza la società italiana, in seguito sia a un’evoluzione interna (la cosiddetta desacralizzazione della società) sia a fattori esterni (l’immigrazione). Cosicché oggi oltre ai cattolici, troviamo nel nostro paese e nelle nostre scuole protestanti, ebrei, musulmani, seguaci di altre religiosi, agnostici, atei. E anche, semplicemente, indifferenti. Siamo passati da un prevalente carattere di «omogeneità spirituale» a una marcata disomogeneità. Questa marcata «diversità spirituale», che caratterizza ormai l’Italia come l’intero occidente, ha profondi correlati etici. Tanto da spingere il bioeticista (cattolico) Hugo Tristram Engelhardt junior a sostenere che viviamo in una società di «stranieri morali». Tutti portatori di analoghi diritti legittimi. Compreso il diritto all’insegnamento (o al non insegnamento) della propria religione o credo o attitudine spirituale. Se accettiamo (e come potremmo rifiutarlo?) questo banale principio di democrazia, le opzioni teoricamente possibili per una scuola pubblica di uno Stato democratico sono solo tre. tre opzioni La prima è quella che potremmo definire: «a ciascuno il suo credo». Ovvero fornire agli studenti l’insegnamento relativo alla propria specifica religione o attitudine spirituale. Dunque un’ora (o più) diversificata per i cattolici, per i protestanti, per gli ebrei, per i musulmani per gli agnostici, per gli atei e anche (perché no?) per gli indifferenti. A parte ogni considerazione ROCCA 1 MAGGIO 2014 Stato vaticano, cardinale Agostino Casaroli, il 18 febbraio 1984, molte cose sono cambiate (anche questo è stato già detto) nel nostro paese e fuori dal nostro paese. E quasi tutti i cambiamenti più significativi rendono l’asimmetria che privilegia l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica più difficile da giustificare, se mai lo è stato in passato. 37 INSERTO di opportunità – i recinti diventerebbero ghetti, rischiando di trasformarsi in fortezze l’un contro l’altra armate – questa parcellizzazione si scontra con un’impossibilità pratica. Semplicemente non si può fare. E dunque non discutiamola oltre. Una seconda opzione è quella utilizzata in paesi come la Francia: «niente a tutti». Ovvero nessun insegnamento religioso. Questa soluzione ha il pregio della democraticità. Ma lascia aperta una domanda: può la scuola ignorare una dimensione così importante nella vita sociale come la spiritualità, religiosa o meno, che coinvolge, sia pure in maniera diversificata, tutti i cittadini ed è alla base degli orientamenti etici? ROCCA 1 MAGGIO 2014 laboratorio di diversità Sull’argomento Rocca ha avviato il dibattito con gli interventi di Marco Gallizioli, Diario scolastico: L’ora di religione (n. 5/2014) Brunetto Salvarani, Religioni a scuola: Nel mosaico delle religioni (n. 6/2014) Flavio Pajer, Religioni a scuola: Nel tempo del pluralismo (n. 8/2014) 38 A questa domanda rispondono, almeno in parte, gli ordinamenti scolastici di molti altri paesi, in Europa e non, dove l’ora o le ore di religione sono interpretate vuoi come insegnamento della storia delle religioni vuoi come insegnamento dei principi di etica. Potremmo definirlo un «laboratorio per la valorizzazione della diversità». Non abbiamo le conoscenze necessarie per indicare i punti di forza e di debolezza di questo tipo di approccio nei singoli paesi. Non sappiamo se l’educazione spirituale o etica in questi paesi dia o meno luogo a un autentico «laboratorio per la valorizzazione della diversità». Possiamo però dire che, in generale, la presa in carico da parte della scuola della dimensione religiosa e/o spirituale e/o etica presenta dei vantaggi se risponde ad alcuni requisiti di base. Può essere utile se aiuta a discutere intorno a temi di fondo, come il senso della vita o il perché alcuni (ma non tutti) credono nell’esistenza di Dio. Se aiuta a conoscere la storia delle religioni. Se aiuta a rispettare il punto di vista di tutti e di ciascuno, a patto che quel punto di vista non ambisca a prevaricare sugli altri. Potremmo continuare con altre analoghe dichiarazioni di principio. un interessante documento della Gran Bretagna Ma forse è più utile conoscere – anche solo per discutere – quali sono gli obiettivi dell’insegnamento interculturale e interreligioso che indica il rapporto Religious education preparato, dieci anni fa, da un gruppo di esperti per conto del ministero dell’educazione di un paese che ha una forte tradizione di tolleranza e democrazia, la Gran Bretagna. Secondo gli esperti – di diverse religioni e culture – che hanno redatto il documento, l’educazione religiosa deve fondarsi sui valori generali di verità, giustizia e rispetto. E nello specifico deve aiutare gli studenti a valutare se stessi e gli altri. E se stessi in rapporti agli altri, ovvero nella loro dimensione sociale. Deve, inoltre, aiutare gli studenti a valutare il ruolo che hanno la famiglia e la comunità di appartenenza nel determinare la fede religiosa (o lo scetticismo). Deve, infine, aiutare a considerare il valore della diversità religiosa o etica e a comprendere le similarità o le differenze tra le diverse fedi e/o attitudini spirituali. L’educazione religiosa deve, sottolinea significativamente il documento, aiutare gli studenti a riconoscere la necessità dello sviluppo sostenibile del pianeta. Che è tale, aggiungiamo noi, solo se è socialmente ed ecologicamente sostenibile. Ma l’educazione religiosa deve anche aiutare a capire la natura evolutiva delle società umane. Deve insegnare a capire e a valorizzare il cambiamento. Ivi incluso il cambiamento nelle credenze e nelle pratiche religiose. due obiettivi primari Sulla base di tutto questo l’educazione religiosa – ma forse sarebbe meglio dire l’educazione spirituale ed etica – deve perseguire due obiettivi primari. Il primo è di tipo cognitivo: aumentare la conoscenza, l’abilità e la comprensione relative al fenomeno religioso e più in generale spirituale, anche mediante un approccio di tipo scientifico. Affinando lo spirito critico, oltre che la coerenza e la solidità dell’argomentare. Il secondo obiettivo (non sembri un paradosso) è di tipo sociale e riguarda la laicità. Ovvero la capacità degli studenti di coltivare la tolleranza. Di più: la comprensione del valore positivo intrinseco della diversità culturale, etica e religiosa se tesa alla ricerca cooperativa del bene comune. La società italiana – a trent’anni dal nuovo Concordato – ha di fronte a sé una sfida niente affatto banale. Deve evitare che la «diversità spirituale» porti alla frantumazione sociale e alla creazione di steccati tra «stranieri morali». C’è bisogno – c’è urgenza – di luoghi di integrazione. Di laboratori di tolleranza. Nulla vieta che tra questi luoghi e tra questi laboratori ci sia anche «l’ora di religione». L’Irc, l’insegnamento della religione cattolica, trent’anni dopo, dovrebbe cambiare radicalmente contenuti e finalità. E, naturalmente, anche nome. Pietro Greco