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Valentina Dalla Rosa 767156
Laura Tavola 766966
POLITECNICO DI MILANO
Facoltà di Architettura e Società
Laurea Magistrale in Architettura degli Interni
Relatore: Professor Arnaldo Arnaldi
Correlatore: Arch. Gianluca Bresciani
Valentina Dalla Rosa - 767156
Laura Tavola - 766966
A.A. 2011 – 2012
“Per essere condiviso e sostenuto il monumento deve essere
riconosciuto come proprio. Deve essere rappresentato in una
forma generata dal proprio repertorio linguistico. Deve
mostrare fiero la sua genesi, ma assumere anche una
dimensione dilatata ipertrofica ciclopica smisurata. Ma
ancora
riconoscibile.
Una
anamorfosi
liberatoria,
immaginifica. Solo allora il monumento genera stupore. Uno
stupore di controriforma. Uno stupore che prepara un nuovo
equilibrio, uno stupore legittimante”
Beniamino Servino
La continuità nel disegno delle facciate lungo le sponde del Naviglio in un
punto si interrompe: è un’interruzione fisica e sociale.
Un’abitazione dimenticata, congelata nel ricordo di un tempo passato,
paralizzata e paralizzante un attraversamento di città. Atrofizzata.
Un volume isolato nel parco, tanto imponente quanto ignorato, è in silenziosa
attesa di una nuova ripartenza.
Una casa di ringhiera dove socialità e condivisione, presupposti della vita di
cento anni prima, acquistano nuovi connotati riferiti all’arte e alla cultura.
Per dare continuità a ciò che è discontinuo, la corte - caratteristica della casa
di ringhiera - si dilata e diventa un passaggio attraverso il parco, in dialogo
con il verde e l’acqua.
Per abitare ciò che è disabitato, gli artisti occupano l’esistente e i nuovi volumi
per vivere, creare e mostrare.
Per valorizzare ciò che è abbandonato, un percorso nell’arte contemporanea
rivive nella dimensione domestica originale.
Per rispondere a una Necessità Monumentale, un progetto di architettura
diviene legante fisico, temporale e culturale.
E fare di più. Incarnare questa necessità monumentale in un artefatto,
un’opera d’arte simbolo di un nuovo slancio verso il moderno e allo stesso
tempo testimone smisurato di una ritrovata memoria storica.
I
Nel mese di maggio del 2012 le attenzioni dei cittadini e delle amministrazioni
milanesi sono state richiamate dai «lavoratori dell’arte»: musicisti, attori,
pittori, artisti in generale che hanno occupato per una decina di giorni la Torre
Galfa, un edificio di trentadue piani abbandonato da anni, a due passi dalla
Stazione Centrale, attivando molteplici progetti di «cultura dal basso» e
ribattezzando il movimento col nome di Macao. Macao ha posto l’accento
sulla questione della carenza di spazi per l’aggregazione socio-culturale di cui
Milano ha tanto bisogno, sollevando di conseguenza il problema degli
immobili sfitti. Ma quanti sono i luoghi abbandonati di Milano, trascurati o in
disuso? Secondo le segnalazioni di Temporiuso1 ammontano a circa tre milioni
e mezzo di metri cubi: capannoni ed ex fabbriche, ex edifici scolastici, spazi
residuali di urbanizzazione, uffici, scali ferroviari, cascine, edifici e grattacieli.
Sulla scia di queste tematiche si è avviata la nostra tesi, nel tentativo di dare
una risposta al problema dei tanti luoghi milanesi abbandonati.
L’occupazione di Macao ha stimolato il desiderio di rigenerare uno dei
numerosi edifici dismessi della città con il tramite dell’arte e della cultura.
1
Temporiuso è un progetto di ricerca avviato nel 2008 dedicato a “utilizzare il patrimonio
edilizio esistente e gli spazi aperti vuoti, in abbandono o sottoutilizzati di proprietà pubblica o
privata” per progetti legati al mondo della cultura e associazionismo.
1
L’obiettivo perseguito è quello di proporre il progetto di uno spazio di
aggregazione culturale, che risponda contemporaneamente alla necessità di
recuperare l’esistente e di dare voce al desiderio di manifestare ed esprimere
la cultura; un luogo in grado di instaurarsi nella città per ricucirne le attuali
cesure fisiche, come quelle provocate dai binari dismessi degli scali ferroviari,
ma anche sociali, attraverso la rigenerazione di spazi potenzialmente fruibili
dalla cittadinanza.
Chiarito l’obiettivo, si è andati per la città alla ricerca di un edificio la cui
riqualificazione e rifunzionalizzazione apportasse valore sia alla città, dando
una risposta al problema dei vuoti urbani, sia alla cittadinanza,
trasformandolo in un polo di cultura e di aggregazione sociale.
La scelta del tema della tesi nasce dal desiderio di legare la città di Milano ai
circuiti internazionali dell’arte contemporanea, affiliando il nuovo edificio tra
gli ospiti del concorso Young Architects Program International. Questa
iniziativa, che nasce nel 1998 al MoMa PS1 di New York, oggi si svolge anche
presso Constructo di Santiago del Chile, al MaXXI di Roma e alla Istanbul
Modern, dove ogni anno un progetto di arredo urbano viene premiato per
originalità e creatività e successivamente realizzato negli spazi esterni dei
quattro musei.
L’elaborato di tesi, dopo una più dettagliata presentazione del tema scelto,
dell’edificio selezionato e dell’analisi del contesto urbano in cui si inserisce,
riporta la descrizione completa del progetto di riqualificazione, accompagnata
dagli elaborati grafici allegati in formato ridotto.
PS1 Contemporary art center, oggi conosciuto come MoMa PS1 (nome che
prende solo a partire dal 2010), per anni ha svolto un ruolo rilevante sulla
scena dell’arte newyorkese. Fondato nel 1971 da Alanna Heiss, per diverso
tempo è stato privo di una sede e le sue mostre venivano organizzate in edifici
dismessi. Alanna Heiss, riconoscendo a New York il ruolo di magnete per gli
artisti contemporanei di tutto il mondo e convinta che i musei tradizionali non
fornissero loro adeguate opportunità espositive, decise di istituire una
organizzazione artistica alternativa. Attraverso l’Institute for Art and Urban
Resources, un’organizzazione tesa alla trasformazione e riconversione di spazi
abbandonati di New York in studi per artisti e spazi espositivi, la Heiss
cominciò a rinnovare molti vecchi edifici abbandonati della città e nel 1971
organizzò la sua prima mostra alternativa, in collaborazione con l’artista
americano Gordon Matta-Clark e coinvolgendo anche Andrè, LeWitt e
Oppenheim, negli spazi inutilizzati sotto il ponte di Brooklyn: con i suoi spazi
improvvisati, l’organizzazione della Heiss voleva contrapporsi ai circuiti
artistici commerciali degli anni settanta e ottanta.
Finalmente, nel 1976, PS1 inaugura la sua sede permanente a Long Island City,
nel Queens. Si tratta di un edificio scolastico dismesso, la Public School 1, nella
5
zona di Hunters Point a Queens. Costruita in mattoni e terracotta nel 1888-89
e ampliata nel 1906, la scuola sorge su un terreno triangolare e presenta una
pianta a U. La facciata principale, orientata a est, fronteggia un severo edificio
postale in stile classico; a sud, le palazzine di appartamenti a tre piani; a ovest
e a nord, un quartiere di fabbriche, negozi e benzinai, tipico della periferia
newyorkese. Nel 2007 è stato affidato a Frederick Fisher l’incarico per la
ristrutturazione dell’edificio. A prima vista l’edificio ristrutturato ha di poco
mutato l’aspetto della scuola. Il cambiamento principale consiste
nell’eliminazione della facciata e nella creazione di un’entrata, con scala
monumentale, nel vecchio cortile. Questa inversione tra fronte e retro, oltre a
rendere il museo più accessibile ai visitatori provenienti dalla metropolitana,
conferisce al PS1 l’aspetto severo di una “officina d’arte”. All’interno, alcune
stanze sono state restaurate per restituirne l’aspetto originario, altre sono
state ridefinite come spazi espositivi (pareti bianche e vernice bianca su muri
di mattoni); altre ancora (la galleria delle sculture al primo piano) sono state
ridotte alla griglia strutturale. All’edificio si accede attraverso una camera a
pressione, ricavata nel muro di cemento che ora delimita il cortile della
scuola. Qui il visitatore si trova in asse con una scala monumentale e,
avvicinandosi, passa sotto la vivace insegna del PS1. Passati per la vecchia
canna fumaria che sovrasta l’entrata, si arriva a una parete vuota e occorre
procedere a sinistra per raggiungere la biglietteria e l’ingresso vero e proprio.
Qui sono esposte permanentemente installazioni di Matta-Clark, Turrel e
Serra ma non mancano spazi per esposizioni temporanee.
1-2
7
Nel corso degli anni PS1 ha ospitato mostre importanti; vi hanno esposto
artisti come Artschwager, Hammons, Ryman, Serra e Turrel ed ha patrocinato
un programma di scambi, grazie al quale sono giunti a New York artisti da
tutto il mondo.
Nel 2000 PS1 Contemporary Art Center diviene un affiliato del Museum of
Modern Art, con l’obiettivo di estendere la portata di entrambe le istituzioni
combinando la missione contemporanea di PS1 con la forza di uno dei più
grandi musei d’arte moderna. Il 2010 è l’anno che segna la completa fusione
delle due istituzioni e celebra per il PS1 l’inizio di un nuovo capitolo.
Oggi MoMA PS1 è una delle più grandi istituzioni statunitensi no - profit d’arte
contemporanea, che dedica le proprie energie e risorse alla trasmissione e al
supporto dell’arte; un catalizzatore di idee e tendenze artistiche innovative
che sostiene attivamente personalità internazionali emergenti nel tentativo di
contribuire all’innovazione nel campo dell’arte contemporanea.
Young Architects Program, il programma annuale di promozione e sostegno
della giovane architettura, è un concorso internazionale frutto dell’annuale
collaborazione tra Museum of Modern Art e MoMA PS1, teso alla promozione
di nuovi talenti e innovative ricerche in campo progettuale. Giunto quest’anno
alla sua quindicesima edizione, il programma YAP è rivolto a giovani
progettisti (neolaureati, architetti, designer e artisti) ai quali offre
3-8
9
l’opportunità di ideare e realizzare uno spazio per eventi live estivi nel grande
cortile del MoMA PS1 a NY.
Il concorso offre ai progettisti la possibilità di elaborare un design creativo di
un’installazione per esterni, temporanea, che offra ai fruitori posti per sedersi
e per ripararsi dal sole. La libera creatività dei progettisti si muove all’interno
di linee guida che guardano alla questione ambientale, ai temi della
sostenibilità, del risparmio energetico e dell’utilizzo di materiali riciclati o
riciclabili.
Il programma prevede che ogni anno uno studio di architettura progetti
un’installazione capace di offrire ai visitatori uno spazio per gli eventi estivi del
museo e un luogo con “ombra, acqua e spazi per il relax”. La selezione dei
partecipanti al concorso avviene nel seguente modo: ogni anno una
commissione di consulenti invita un certo numero di team, che possono
essere composti da studenti, neolaureati o persone già affermate nella
professione, a fornire un portfolio di presentazione, successivamente
visionato e giudicato da una giuria. Quest’ultima è composta da Glenn D.
Lowry, direttore del Museum of Modern Art, Klaus Biesenbach, direttore del
MoMA PS1, e Barry Bergdoll, capo curatore del dipartimento di architettura e
design del MoMA. I giudici selezionano cinque finalisti, invitati ad elaborare
una proposta progettuale preliminare per l’allestimento del cortile del museo:
il vincitore viene annunciato ogni anno nel mese di febbraio.
Dall’inizio a oggi il cortile del MoMA PS1 ha visto susseguirsi quindici
installazioni.
Si è partiti dalle piscine, saune e piattaforme per prendere il sole di
Percutaneous Delights, progettate dal gruppo viennese Gelatin, che ha
trasformato lo spazio in un vero e proprio luogo di ritrovo in cui cercare
refrigerio dall’afa estiva del 1998, per arrivare a Wendy, un’architettura
ecologica, inaugurata nel giugno 2012 e progettata dallo studio HWKN
(HollwichKushner), che ha dimostrato quanto in là possano spingersi i limiti
della sostenibilità ambientale in campo architettonico. Wendy è stata
realizzata, infatti, con un tessuto di nylon trattato con un innovativo spruzzo
di nano particelle di biossido di titanio in grado di neutralizzare sostanze
inquinanti disperse nell’aria. Durante l’estate del 2012 il quantitativo di aria
pulita è stato equivalente a togliere dalla strada 260 macchine. Inoltre, gli
spuntoni di Wendy, in alcuni punti, funzionano come canali conduttori di
musica, aria condizionata, nebbia e acqua, con l’intento di creare dei microspazi sociali all’interno della corte.
A partire dal 2010 YAP non è più un’esclusiva statunitense: il programma
viene adottato da Constructo, un’istituzione di Santiago del Cile diretta da
Jeannette Plaut e Marcelo Sarovic, dedicata alla promozione e diffusione
dell’architettura, del design e delle arti latino americane contemporanee.
11
Il concorso consiste nella realizzazione di una installazione per lo spazio
esterno del museo e guarda alla sostenibilità come un modo per rispondere a
un problema contemporaneo che richiede un uso intelligente e creativo delle
risorse. La prima edizione di Yap-Constructo è stata vinta dall’architetto
Eduardo Castillo con Color Shadows: una struttura di copertura in legno e
tessuto che sembra un rilievo topografico, un paesaggio temporaneo ispirato
alle celebrazione della primavera della Central valley cilena. La vasca d’acqua,
le altalene e gli altri arredi permettono una creativa occupazione dello spazio,
attivando un network di simultanee situazioni di fruizione. Il progetto vincitore
della seconda
Cathedral dei
costituita da
emergono da
alimentata da
e, finora, ultima edizione di YAP Constructo è stato Water
designers Jorge Godoy and Lene Nettelbeck. La struttura è
numerose componenti verticali che pendono dall’alto o
terra, come stalattiti e stalagmiti in una grotta. L’acqua,
un sistema di irrigazione, gocciola dagli elementi pendenti in
quantità e a velocità differenti. Le stalagmiti, inoltre, fungono da elementi
schermanti.
Il 2011 è la volta dell’Italia e il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di
Roma, nonché primo museo nazionale di architettura presente in Italia, è
l’istituzione che si propone di raccogliere la sfida statunitense. Gestito da una
Fondazione costituita nel luglio del 2009 da parte del Ministero per i Beni e le
9-10
13
Attività Culturali, ospita due musei: MAXXI Arte e MAXXI Architettura. La
programmazione di attività, mostre, workshop, conferenze, spettacoli,
proiezioni e progetti educativi rispecchia la vocazione del MAXXI come un
luogo per la conservazione e l’esposizione delle sue collezioni, ma anche, e
soprattutto, come un laboratorio di sperimentazione culturale e di
innovazione per lo studio, la ricerca e la produzione dei contenuti estetici del
nostro tempo. YAP MAXXI, come gli altri, prevede che ogni anno uno studio di
architettura emergente progetti un’installazione capace di offrire ai visitatori
uno spazio per gli eventi estivi del museo e un luogo con “ombra, acqua e
spazi per il relax”. A partire dal 2011 la grande opera architettonica progettata
dall’architetto Zaha Hadid ha fatto da sfondo a due istallazioni e si prepara ad
ospitare il progetto vincitore dell’edizione 2013. La prima edizione italiana
dell’affermato Young Architects Program ha trasformato gli spazi esterni del
museo in un giardino di isole verdi grazie al progetto WHATAMI dello studio
stARTT: su una grande collina artificiale si stagliano grandi fiori rossi che
garantiscono l’ombra durante il giorno e l’illuminazione nelle ore notturne. Il
risultato è un paesaggio onirico fatto di linee geografiche che galleggiano su
un mare solido di cemento bianco e che sostengono i grandi fiori artificiali.
L’allestimento prevede un doppio processo di riciclo: i fiori sono pensati per
essere ricollocati come strutture di arredo fisso in altri luoghi della città che ne
abbiano bisogno, come i parchi limitrofi o delle disagiate periferie romane.
11-12
15
Protagonista del progetto vincitore della seconda edizione del concorso,
Unire/Unite dello studio romano/newyorchese Urban Movement Design, è
invece una lunga panca composta da una sequenza di sezioni di legno che
cambiano costantemente la propria forma, offrendo differenti superfici sulle
quali sedersi o sdraiarsi. Le diverse sezioni sono state studiate in relazione al
corpo umano, dove l’obiettivo non è stato solamente quello di garantire una
comoda seduta, ma di stimolare il visitatore a prendere coscienza del proprio
corpo, ad usarlo spingendolo a compiere esercizi ispirati allo yoga. Ecco
perché lungo la panca sono presenti dei QR code che, attraverso uno
smartphone, permettono di connettersi al sito web del museo, dove è
possibile trovare le istruzioni per svolgere esercizi in quella determinata
porzione della panca.
Nel 2013 un nuovo museo contribuisce ad allargare il circuito del PS1. Si tratta
del Museo d'Arte Moderna di Istanbul, il primo museo privato di arte
moderna e contemporanea della Turchia. Fondato nel 2004, occupa un sito di
8000 mq sulle rive del Bosforo. La scelta di ospitare il concorso YAP rientra
nell’impegno a condividere la creatività artistica della Turchia con un vasto
pubblico e a promuovere la propria identità culturale nel mondo
internazionale dell’arte. Per tutta l’estate del 2013, l’installazione temporanea
progettata dai vincitori della prima edizione del concorso sarà utilizzata dai
visitatori del museo come luogo di relax e di aggregazione e ospiterà diverse
13-15
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attività museali. Sky Spotting Stop, ideata da SO? Architecture and Ideas, è
un’installazione temporanea che galleggia dolcemente sulle acque del
Bosforo. Delle piastre a specchio illuminate garantiscono agli eventi notturni
uno sfondo in continua evoluzione, mentre di giorno, continuando ad oscillare
sull’acqua, ombreggiano in modi sempre diversi il cortile del museo,
trasformandolo in un punto privilegiato della città per la sosta, il riposo,
l’incontro e il divertimento.
Nel mese di giugno del 2013, dunque, tutte le installazioni “YAP” saranno
inaugurate contemporaneamente al MAXXI di Roma, al MoMA PS1 di NY e alla
Istanbul Modern. Il progetto vincitore di YAP MAXXI 2013 è l’installazione He
dello studio torinese bam! bottega di architettura metropolitana,
un’architettura grande e leggera, che fluttuerà in aria sopra la piazza del
MAXXI creando ombra e giochi d’acqua di giorno e luce di notte.
L’installazione
He
sarà
inaugurata
nella piazza del
MAXXI
contemporaneamente ai progetti Party Wall di CODA – vincitore di YAP 2013 a
New York – nel cortile del MoMA/MoMA Ps1 e Sky Spotting Stop dello studio
SO? di Istanbul – vincitore di YAP 2013 in Turchia – nella piazza di Istanbul
Modern. A Santiago del Cile, invece, l’installazione The Garden of Forking
Paths dello studio Beal + Lyons Architects – vincitore dell’edizione cilena di
YAP 2012 – è stata inaugurata il 7 marzo 2013. Come d’uso ogni anno, in
contemporanea nelle sedi delle quattro istituzioni coinvolte viene dedicata
una mostra temporanea a tutti i progetti finalisti non vincitori.
Il punto di partenza della nostra tesi è legato al tema della riqualificazione
dell’esistente, consistente nel riutilizzo di spazi che sono in stato di
abbandono o in disuso e nella progettazione di nuove funzioni legate alle
esigenze del luogo e del tema scelto. Prima di entrare nel merito dell’edificio
selezionato in conclusione, scelto tra una vasta lista di immobili abbandonati
sul territorio milanese, è opportuno soffermarsi brevemente sulla definizione
di recupero e di riutilizzo dell’esistente.
“Il recupero in architettura è quel complesso di interventi nel quale le trasformazioni e la
conservazione delle strutture si integrano il più possibile nel rispetto dell’esistente, sia
degli aspetti materiali e fisici che di quelli immateriali come il significato, la storia ecc.,
tenendo presente le esigenze dei fruitori e delle risorse disponibili. […] Può essere
considerata un’attività che riguarda il miglior uso delle risorse territoriali, siano esse aree
industriali dismesse, infrastrutture di carattere storico-culturale con intervento sulle
strutture esistenti.
Il recupero comprende le operazioni sull’edificato e deve misurarsi con le necessità di
conservazione fisica del complesso edilizio, ma anche dei suoi significati, soprattutto se
si tratta di un edificio storico, in vista del miglioramento delle prestazioni, prevedendone
anche la eventuale rifunzionalizzazione ovvero l’assegnazione al complesso di una
funzione diversa da quella per la quale è stato costruito. Il progetto di recupero non
riguarda solo il patrimonio storico comunemente inteso come tale, ma si rivolge anche a
19
edifici o gruppi di edifici che pur avendo una storia più breve e avendo esaurito la
funzione per la quale erano stati progettati meritano, per la loro posizione territoriale e
per il rapporto con gli abitanti della zona, di essere riqualificati e reinseriti nel contesto
urbano.
Quando si parla di recupero ci si riferisce solitamente all’aspetto funzionale: recupero
all’uso quindi. È importante che questo, se è un nuovo uso, diverso da quello originario,
sia compatibile ovvero non costringa a modifiche eccessive l’edificio originario. È
importante poi tenere conto nel progetto dei caratteri specifici e di unicità dell’edificio
su cui si interviene per non rischiare di perderne l’identità storica. Il progetto dovrebbe
poi tendere a non cancellare ma, al contrario, evidenziare tutte le fasi storiche
significative che l'edificio ha vissuto nel tempo 1.”
Questa definizione ben strutturata risulta utile per capire quali siano i temi da
tenere in considerazione quando si ha a che fare con un progetto di
riqualificazione dell’esistente. È subito evidente come l’approccio nei
confronti della progettazione sia ben diverso se si tratta di un’operazione di
recupero - riqualificazione oppure di intervento ex-novo.
In entrambi i casi risulta determinante il rapporto con il contesto e gli edifici
circostanti alla propria area di intervento. Nel caso di una riqualificazione,
inoltre, bisogna agire anche nel rispetto della storia dell’edificio e della sua
evoluzione nel tempo, effettuando delle scelte progettuali coerenti e mirate a
valorizzarne l’identità.
1
Cfr. Giovanni Manieri Elia, Metodo e tecniche del restauro architettonico, Carocci, Roma
2010, "Criteri progettuali nel recupero", pag. 64-72.
Sussistono dunque delle differenze tra queste due correnti, che portano
inevitabilmente ad approcci diversi nel momento della progettazione. La tesi
punterà su una riqualificazione e rifunzionalizzazione di uno spazio esistente.
A partire da questo punto, è stata svolta una ricerca sugli edifici abbandonati
di Milano e dintorni, che ha portato in luce una grande quantità di edifici in
stato di disuso.
Ognuno di questi edifici era adibito a funzioni differenti e per questo
possedeva un potenziale unico e diverso dagli altri. Dopo una serie di
sopralluoghi presso gli edifici che ci sembravano più interessanti, ci siamo
imbattute in uno stabile situato in zona Porta Genova a Milano, parte di città
conosciuta da molti per la presenza del Naviglio Grande e dei numerosi locali
che su di esso si affacciano. L’edificio selezionato ci è sembrato fin da subito
interessante e con tutti i requisiti per poter affrontare il tema della
riqualificazione dell’esistente.
È situato precisamente in Ripa di Porta Ticinese 83, proprio all’ingresso del
parco Robert Baden Powell, ex Parco Argelati. Collocato non lontano
dal centro storico del Naviglio Grande, il parco si inserisce in un’area che ha
sempre sofferto per la carenza di spazi verdi pubblici; è stato realizzato
nel 2005, liberando una parte di città prima caratterizzata e frammentata
dall’occupazione di baracche, depositi, magazzini e attività spontanee.
21
Due degli elementi caratteristici del luogo che hanno orientato la scelta a
favore di questo edificio sono sicuramente la presenza di un parco pubblico di
dimensioni modeste che si estende a sud fino a raggiungere Romolo e il
Naviglio Grande, da cui lo separa la via carrabile di Ripa di Porta Ticinese.
Da questo breve inquadramento risulta chiaro come il luogo sia uno degli
aspetti più importanti che hanno caratterizzato le scelte progettuali a venire.
Nelle immagini della pagina seguente è riportata la posizione dell’edificio
rispetto alla città di Milano, al Naviglio e alla stazione di Porta Genova poco
distante.
16-17
23
L’edificio mostra una particolare conformazione morfologica: alla parte
centrale con forma a “C” di cinque piani fuori terra si accostano lateralmente
due volumi più bassi e asimmetrici con copertura a una falda, uno dei quali
era utilizzato originariamente come fienile.
Lo stabile è di proprietà comunale e pochi anni fa i residenti sono stati
sfrattati a seguito di una dichiarazione di inagibilità; dopo essere stato
occupato abusivamente da un gruppo di anarchici è stato nuovamente
sgombrato dalle forze dell’ordine e oggi risulta dismesso e in forte stato di
degrado, senza alcuna previsione da parte del Comune riguardo una sua
demolizione piuttosto che una riqualificazione.
La struttura in esame presenta dunque una mole piuttosto significativa, sia
per la sua altezza (cinque piani fuori terra), sia per il suo sviluppo orizzontale
con i due corpi aggiunti asimmetrici. Il suo carattere più importante è
sicuramente la presenza del ballatoio distributivo su ogni piano, che gli
conferisce la denominazione di casa a ballatoio o a ringhiera.
Questo aspetto, insieme alla conformazione degli spazi interni adibiti in
passato a residenza, è stato un importante spunto progettuale, soprattutto
per quanto riguarda le tematiche dello Yap e della residenza per artisti di cui si
parlerà in seguito.
Prima di soffermarsi su questo punto, è necessario però riportare alcune
fotografie esplicative dell’edificio scelto.
18-20
25
Le criticità e le opportunità progettuali emerse dall’analisi del contesto urbano
e da diversi sopralluoghi in loco sono da tenere in considerazione perché si
riferiscono a più aspetti rilevanti. Uno di questi è il tema dell’accessibilità che
risulta sicuramente efficiente, sia per quanto riguarda i trasporti pubblici che
per gli spostamenti in auto; come già accennato la fortuna di questo stabile è
proprio quella di trovarsi in una zona molto frequentata, soprattutto nelle ore
serali, e di grande notorietà.
Da sottolineare come tuttavia l’accessibilità pedonale all’edificio sia un punto
di criticità, poiché vi è un traffico veicolare molto significativo e una scarsa
segnaletica stradale per gli attraversamenti pedonali.
Un ulteriore punto di criticità è la presenza dei binari della stazione di Porta
Genova, che, ormai da qualche anno, sono dismessi e dunque non utilizzati;
questi sono inoltre un elemento di cesura tra le due parti della città, quella
appunto del Naviglio e quella di via Bergognone. Inoltre, fin dai primi
sopralluoghi, si riscontra una scarsa visibilità dell’edificio dalla strada, pur
essendo quest’ultimo molto alto; probabilmente perché, come detto, vi è un
importante traffico veicolare e la posizione dell’edificio è su una strada
secondaria e ribassata di qualche metro rispetto alla strada principale che
costeggia il Naviglio.
Un punto sicuramente a favore dell’area scelta è l’assenza di un tessuto
urbano denso intorno all’edificio che garantisce un’ampia manovra
progettuale, anche verso il parco.
La conformazione dell’edificio, la presenza del corso d’acqua e del parco
circostante possono essere considerati dei punti di forza per l’attuazione del
concorso Yap di cui si è parlato in precedenza. Le funzioni di questo edificio
hanno avuto mutamenti e trasformazioni storiche molto significative, anche
se recenti. È stata una residenza ma, successivamente allo sfratto del 2009 per
dichiarate condizioni di inagibilità dello stabile, l’edificio si è trasformato in un
punto di incontro, non a norma di legge, di gruppi sociali che hanno occupato
abusivamente gli spazi fino al 2010, e ancora oggi non si può dire che sia
totalmente sgomberato. Sono state occupazioni sicuramente non legali, ma
che hanno portato alla luce come la tematica dell’inserimento sociale dei
giovani sia un problema sempre più diffuso, soprattutto a Milano: si veda ad
esempio l’associazione MACAO che, proprio durante la scelta dell’oggetto di
tesi, stava occupando uno spazio dismesso di Milano, la Torre Galfa situata tra
via Galvani e via Fara, area Melchiorre Gioia. Da questi avvenimenti sono
derivate profonde riflessioni sull’importanza di donare a questa città spazi per
la condivisione e socialità e nuovi spazi per i giovani desiderosi di esprimere le
proprie capacità. Il grande spazio del parco in cui è situato l’edificio, ha
portato a considerare l’importante concorso (Young Architects Program) per
giovani architetti che si tiene ogni anno in diverse parti del mondo.
Su queste premesse si fondano diverse scelte progettuali, volte a
riconsiderare l’importanza di questo luogo, come punto di passaggio e
condivisione sociale.
27
29
Le suggestioni evocate dall’edificio e dal suo contesto fin dai primi
sopralluoghi hanno ispirato tutte le successive scelte progettuali.
Il primo approccio alla progettazione si è confrontato con la bellezza e le
potenzialità intrinseche degli elementi naturali, il verde e l’acqua, attualmente
negate dal forte stato di abbandono in cui versa l’edificio.
Da qui, la convinzione che questo potenziale crocevia di città avesse bisogno
di un’azione unificatrice, di un gesto progettuale che facesse dialogare di
nuovo insieme l’architettura dello stabile, le potenzialità del parco e
l’atmosfera del naviglio.
Il primo gesto è sintetizzato da una linea, che ininterrotta attraversa il parco,
passa per l’edificio e termina oltre il corso d’acqua, coinvolgendo anche i
binari dismessi di porta Genova. Questa prima intenzione si è tradotta nella
progettazione di una corte stretta e lunga la quale, come un affluente, si
distacca dal naviglio in direzione quasi perpendicolare e si getta nel parco. Il
piano di calpestio della corte è pari al livello dell’acqua: questa idea è
suggerita dallo spazio riservato al concorso YAP presso il MoMa PS1, una corte
circondata da alti muri che fanno da sfondo alle installazioni. Ma qui, oltre che
sede del concorso, la corte è un vero e proprio passaggio pubblico, un
attraversamento pedonale e un luogo di aggregazione sociale.
33
Per le stesse originarie ragioni si è scelto di eliminare i due volumi accostati
lateralmente al corpo centrale della costruzione e di recuperarne il volume
attraverso la realizzazione di due corpi semi-interrati disposti linearmente
lungo i due lati della nuova corte.
Un secondo approccio alla progettazione ha riguardato il recupero degli spazi
interni e la conseguente definizione delle nuove funzioni e dei percorsi.
La necessità di liberare la disposizione dei piani dal vincolo del vano scala ha
suggerito l’idea di collocare i nuovi collegamenti verticali all’interno di due
blocchi accostati all’esistente che ne proseguono la forma.
Successivamente, la necessità di colmare le differenze di piano del progetto è
confluita nel disegno di un percorso definito: da qui l’idea di una passerella
che in alcuni punti è semplice pavimentazione, in altri è un passaggio sospeso
e in corrispondenza del naviglio diventa un ponte (pensato come mezzo di
comunicazione tra due parti di città oggi separate).
La scelta di coinvolgere il Naviglio fin dai primi disegni di progetto deriva dal
fatto che quest’ultimo è immaginato come ambientazione ideale per possibili
installazioni sull’acqua. Così, insieme alla corte per gli allestimenti del
concorso YAP, va ad ampliare la quantità di spazi che il progetto vuole
dedicare alla promozione dell’arte.
Inoltre questo nuovo polo culturale diventerà una delle tappe visitabili dal
pubblico che, insieme agli altri luoghi artistici, culturali e religiosi collocati
lungo le sponde del Naviglio, costituirà il percorso di un immaginario “battello
culturale”.
1-3
35
È sempre in fase iniziale di progetto che nasce l’idea di tradurre l’intervento
architettonico in opera d’arte. Da qui scaturisce il desiderio non solo di creare
uno spazio di aggregazione e di espressione artistica, ma anche di valorizzarlo
e rafforzarlo attraverso la costruzione di un vero e proprio simbolo (o
“totem”) che renda ben riconoscibile la tipologia di intervento e la sua
portata. È per questa ragione che si è pensato di concludere (o cominciare) il
percorso con una scultura di proporzioni smisurate che richiama, sotto forma
di “scheletro”, la conformazione dell’edificio esistente. L’idea originaria è
quella di posizionarla nel punto della corte più distante dal naviglio, come a
ricreare uno specchio dell’edificio. A tal proposito appare molto significativo
ciò che scrive Beniamino Servino1:
“Per essere condiviso e sostenuto il monumento deve essere riconosciuto come proprio.
Deve essere rappresentato in una forma generata dal proprio repertorio linguistico.
Deve mostrare fiero la sua genesi, ma assumere anche una dimensione dilatata
ipertrofica ciclopica smisurata. Ma ancora riconoscibile. Una anamorfosi liberatoria,
immaginifica. Solo allora il monumento genera stupore. Uno stupore di controriforma.
Uno stupore che prepara un nuovo equilibrio, uno stupore legittimante”
1
Cfr. Beniamino Servino, Monumental Need, Lettera Ventidue, Novembre 2012.
Le potenzialità del luogo scelto e la disponibilità di spazi hanno subito fatto
nascere il desiderio di costruire un luogo dove l’arte non solo venisse esposta,
ma dove venisse anche studiata, pensata, creata. In poche parole, creare un
luogo dove poter vivere d’arte a 360 gradi.
Documentando i circuiti internazionali di residenza per artisti, partendo dalle
origini fino a giungere alle tendenze moderne, si è compreso quali spazi e
quali servizi siano necessari ad un artista perché possa compiere un percorso
creativo interessante per un periodo di tempo determinato in un contesto
sconosciuto. Partendo dall’analisi dalla quotidianità della vita dell’artista sono
andati delineandosi gli spazi del progetto e i loro utilizzi, fino a giungere ad
una definizione tale da permettere agli artisti di vivere, studiare, lavorare,
creare, allestire, mostrare, tutto nel medesimo luogo, godendo della ricchezza
che nasce dal condividere queste semplici azioni con altri artisti.
I programmi di artist-in-residence, infatti, offrono ad artisti, curatori e persone
che esplorano l’arte in ogni sua forma, l’opportunità di vivere per un periodo
di tempo determinato in un luogo geograficamente e culturalmente distante
dalle loro abitudini. I programmi di residenza, essendo integrati nei sistemi
culturali e sociali locali, garantiscono la circolazione delle idee e delle opere
presso una gamma di pubblico vasta ed eterogenea, agevolando allo stesso
tempo il contatto con il mercato dell’arte. La mobilità, inoltre, offre agli artisti
37
la possibilità di confrontare il proprio processo creativo con quello di colleghi
di altri paesi e culture, di produrre e di estendere la propria rete
professionale, di sperimentare nuovi materiali e nuove tecniche, di compiere
nuove esperienze di vita. Durante il soggiorno gli artisti hanno il tempo di
riflettere sul proprio lavoro, documentarsi, produrre ed esporre le proprie
opere. In generale i programmi di residenza per artisti incentivano e
sottolineano l’importanza dello scambio culturale nel mondo dell’arte. I
programmi denominati artist-in-residence (AIR), hanno assunto oggi grande
importanza come parte essenziale dei percorsi artistici e delle carriere
professionali.
I programmi di residenza per artisti vantano una storia che risale più indietro
nel tempo di quanto si creda. A causa della loro attuale popolarità potrebbe
sembrare un nuovo fenomeno che deve la sua esplosiva crescita alla
globalizzazione. In verità hanno fatto parte del sistema internazionale dell’arte
per oltre un secolo.
Nel corso del tempo gli artisti hanno sempre manifestato l’impulso di
viaggiare alla ricerca di modi di vita, di lavoro e di pensiero diversi dai propri,
con l’obiettivo di incrementare la cerchia delle proprie conoscenze e trovare
nuovi protettori e committenti.
I primi programmi di residenza per artisti risalgono all’inizio del 1900. La
nascita delle prime residenze è ricollegabile a due differenti modelli.
Il primo si sviluppa negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove benefattori amanti
dell’arte cominciano ad utilizzare alcuni spazi delle proprie residenze come
studi da offrire a singoli artisti, nello spirito di un nuovo mecenatismo
romantico. È questo il caso di Yaddo, fondato nel 1900 dal finanziere Spencer
Trask e da sua moglie Katrina, artista lei stessa, presso Saratoga Springs a New
York. Per i Trask Yaddo rappresentava un’evasione dalla frenetica vita
cittadina e l’ingresso in un luogo migliore. Dal 1881, anno in cui acquistarono
la proprietà, iniziarono a circondarsi di un gruppo eclettico di artisti, ma fu nel
1900 che i loro intenti presero una nuova forma. La loro lettera di intenti
descrive bene i loro propositi: “al fine di assicurare a Yaddo una grande
influenza nel mondo artistico e affinché questa pratica possa diffondersi nel
mondo con impeto per tutti gli anni a venire, noi desideriamo fondare qui una
Residenza permanente che sia per sempre messa a disposizione di autori,
pittori, scultori, musicisti e altri artisti, sia uomini che donne, pochi nel
numero ma scelti per la loro creatività, con l’intento di rendere le loro opere
utili per il mondo intero. Sono queste le persone che desideriamo ospitare a
Yaddo, coloro i quali abbiano fatto, stiano facendo o semplicemente
promettano di fare un buono e serio lavoro.”
Dopo la morte dei Trask Yaddo venne diretto da Elizabeth Ames, che guidò la
residenza attraverso la prima metà del secolo, di volta in volta adattando ai
tempi correnti la visione dei fondatori.
39
Dal 1900 a oggi circa 5500 artisti hanno vissuto a Yaddo e vi hanno trovato la
pace e l’intimità necessarie per il lavoro artistico.
Nel secondo modello sono gli artisti stessi a fondare e realizzare le proprie
residenze. Sempre agli inizi del 1900 alcuni artisti cominciarono a stabilirsi in
campagna collettivamente creando interi villaggi in cui vivere e praticare l’arte
in tutte le sue forme.
Le radici di questo pensiero sono da ricercare nel movimento “Arts and kraft”
nato in Inghilterra nella seconda metà del IXX secolo come reazione ai rapidi
processi di urbanizzazione e industrializzazione. Due dei più convinti
sostenitori del movimento nonché portavoce sono il critico John Ruskin e
l’artista William Morris. Essi condividevano l’utopia di una fratellanza tra
artisti, convinti che la vita avrebbe avuto maggiore significato se il proprio
lavoro avesse nobilitato quello che le macchine avevano soppiantato, cioè
l’arte della lavorazione a mano.
Nel 1902 Ralph Radcliffe Whitehead, figlio di un ricco proprietario di un
mulino nello Yorkshire, fortemente influenzato dall’idea utopica di Ruskin, con
il quale aveva condiviso gli studi a Oxford e un viaggio in Europa, fondò la sua
“comunità di artisti”, la Byrdcliffe Arts Colony, appena fuori dal paese di
Woodstock (NY). Quando Whitehead insieme a due conoscenti, lo scrittore
Hervey White e l’artista e insegnante Bolton Brown, vagava alla ricerca del
luogo in cui avrebbe fondato la sua colonia artistica trovò le bellezze naturali
delle Catskills Mountains e la prossimità alla città di New York ideali per
insediarvi una scuola d’arte e dei laboratori artigianali.
4-5
41
Byrdcliffe fu presto costruito e divenne operativo nell’estate del 1903. Il
complesso comprendeva un grande studio per Brown, laboratori didattici per
Hervey, laboratori per la lavorazione dei metalli e della ceramica, una bottega
per la lavorazione del legno, appartamenti per gli ospiti, dormitori per gli
studenti, una biblioteca e la casa privata di Whitehead. Gli anni dal 1903 al
1906 furono anni di grande fermento, dove insegnanti e studenti si
dedicarono a svariate attività artistiche, come la realizzazione di mobili e
ceramiche, la tessitura, la pittura e la fotografia. Ancora oggi Byrdcliffe
continua a essere dimora di una comunità di artisti che sperimenta tutte le
discipline dell’arte. Entrambi i modelli diventano tipologie adottate dai molti
programmi di residenza per artisti che sorgono nella prima decade del XX
secolo negli Stati Uniti e in Europa.
Un esempio europeo è la colonia di Worpswede. Oggi abitata da circa 130
artisti e artigiani, Worpswede vanta una lunga tradizione culturale che ha
inizio verso la fine del IXX sec. Fritz Mackensen, un giovane studente d’arte
alla ricerca di un luogo tranquillo e ideale per coltivare la propria vocazione
artistica, nel 1884 si stabilisce nel piccolo villaggio di Worpswede, situato
vicino a Bremen, in Germania. Pochi anni dopo viene raggiunto da alcuni amici
artisti, tra cui i pittori Hans am Ende and Otto Modersohn, gli scrittori e poeti
Gerhard Hauptmann, Thomas Mann, and Rainer Maria Rilke e la scultrice
Clara Westhoff, stanchi della caotica vita di città e affascinati dalla incantevole
atmosfera del paesaggio di campagna. Insieme contribuiscono alla costruzione
del villaggio che presto diviene una vera e propria colonia di artisti.
6-8
43
Nel 1895 Heinrich Voegeler, che era disegnatore, progettista e architetto,
acquistò a Worpswede un cottage che divenne il centro culturale della scena
artistica del villaggio. Nello stesso tempo Martha, la moglie di Heinrich, costruì
una casa in cui svolgeva la sua professione di maestra d’asilo ma che allo
stesso tempo assolveva funzioni culturali. L’edificio, infatti, conteneva un
museo, spazi per la produzione tessile, una pensione per gli ospiti ed era
spesso sede di diversi eventi culturali come mostre e concerti.
La storia di Worpswede prende una svolta nel 1971, quando viene inaugurata
la residenza per artisti Künstlerhäuser Worpswede diretta dal designer Martin
Kausche: in Germania è la prima nel suo genere. Il complesso è concepito
come uno spazio di vita e di lavoro pensato per ospitare artisti internazionali
nel campo della visual art, della letteratura e della musica. L’idea di Kausche
era quella di offrire agli artisti l’opportunità di lavorare indisturbati in un
ambiente tranquillo per un certo periodo di tempo. Worpswede sarebbe stato
un luogo perfetto in cui realizzare una residenza per artisti anche grazie alla
sua tradizione di colonia di artisti. Il gran numero di artisti tra gli abitanti del
paese, infatti, avrebbe permesso agli ospiti di stringere nuove relazioni con gli
artisti locali e instaurare nuove reti di conoscenze e di lavoro.
Nel 2009 il cottage di Heinrich Voegeler è diventato un vero e proprio museo
e l’organizzazione offre un programma di workshop ed eventi a cui
partecipano ogni anno artisti provenienti da tutto il mondo.
Il complesso costruito a Worpwede nel 1971 fa parte di una nuova
generazione di residenza per artisti che prende piede tra gli anni sessanta e
ottanta. Rispetto alle tipologie esaminate precedentemente collocabili agli
inizi del 1900, la nuova tendenza degli anni sessanta vede affermarsi due
modelli di residenza antitetici. I programmi di residenza che si rifanno al primo
modello offrono agli artisti la possibilità di ritirarsi per un certo periodo di
tempo da una società considerata borghese per dedicarsi al proprio lavoro e
all’arte in una sorta di reclusione. È questo il caso della Künstlerhäuser
Worpswede. Il secondo modello, al contrario, è caratterizzato dalla volontà di
cercare un nuovo dialogo tra l’arte e il pubblico mirando ad un impegno
sociale. Questo genere di modello è stato spesso alla base di un cambiamento
sociale all’interno delle città in cui sono state realizzate le nuove residenze.
A partire dagli anni novanta i programmi di residenza per artisti divengono un
fenomeno globale. Con il diffondersi a livello mondiale di un grande numero
di residenze risulta difficile tentare di compiere una tipizzazione. La
caratteristica principale delle nuove residenze è proprio quella di essere
ognuna differente dall’altra sotto molti punti di vista: il contesto geografico, la
durata del periodo di permanenza, le strutture e gli spazi messi a disposizione
degli artisti, la tipologia degli appartamenti, l’organizzazione delle attività, i
rapporti con il pubblico, le procedure di domanda e di selezione dei candidati,
l’archiviazione delle opere realizzate ecc.
Per esempio, esistono residenze che sono entità a sé stanti mentre altre
possono fare parte di complessi più grandi come musei, università, gallerie
d’arte, studi o teatri. Per quanto riguarda i periodi e la durata del soggiorno
degli artisti, esistono casi in cui c’è disponibilità di permanenza tutto l’anno, a
45
cadenze stagionali o in relazione ad eventi particolari; anche la durata di
permanenza è molto variabile e può andare da qualche settimana a qualche
mese e talvolta a oltre un anno. Il contesto geografico in cui si trovano le
diverse residenze può essere urbano, rurale o naturale.
Un altro fattore che può variare da programma a programma è l’introversione
o l’estroversione delle attività degli artisti nei confronti del contesto locale e
del pubblico: talvolta gli artisti si ritirano in una sorta di isolamento,
dedicando molto tempo ad investigare il proprio lavoro; talaltra coinvolgono
la collettività locale attraverso esposizioni, open studio, dibattiti, workshop o
collaborazioni con i cittadini.
Un’altra variabile consiste nel modello finanziario della residenza: può
accadere che gli stessi artisti debbano auto-finanziarsi o ricevere fondi e
sussidi dai propri Stati o da associazioni di loro conoscenza; altre volte è la
residenza che provvede a finanziare completamente o in parte la loro
permanenza.
Ancora, alcune residenze si focalizzano su una particolare disciplina mentre
altre ospitano artisti dediti alle attività creative più disparate come
letteratura, musica, architettura, design, danza, visual art, ecc. Infine,
terminato il periodo di permanenza, le opere realizzate dagli artisti possono
essere ritirate dagli stessi, possono andare ad arricchire l’archivio della
residenza o divenire, per esempio, parte di un’esposizione temporanea o
permanente.
9-11
47
A partire dal 2000 le nuove tendenze in fatto di programmi per artisti si
rifanno spesso ad una nuova tipologia che prende il nome di artists-runresidences. Col termine artists-run si intende collettivi di artisti autoorganizzati o di curatori indipendenti e imprese culturali no profit che
promuovono nuove vie di divulgazione delle tematiche e della ricerca sul
contemporaneo, fuori dai circuiti accreditati e istituzionali.
Un artists-run space è uno spazio espositivo gestito dagli stessi artisti che vi
lavorano all’interno, i quali abbandonano così il bisogno del supporto di
organizzazioni o strutture pubbliche o private. Sono gli artisti stessi, senza
intermediari, a scegliere lo spazio adatto, riqualificarlo, adattarlo alle proprie
esigenze e mettere a punto un programma espositivo. Questo genere di
iniziative da parte degli artisti ha innescato in molte città un processo di
rigenerazione urbana. Solitamente, infatti, gli artisti prendono in affitto spazi
della città abbandonati e in disuso, per trasformarli temporaneamente in
laboratori e gallerie espositive.
Un’esperienza milanese è quella di MARS, Milano Artist Run Space, una realtà
tutta gestita da artisti e rivolta al pubblico con l’obiettivo di fare conoscere più
intimamente i “motori” dell’arte contemporanea. MARS nasce quando una
ventina di giovani artisti italiani, in uno spazio in zona Pasteur, si aggregano su
idea originaria di Lorenza Boisi avviando un calendario di eventi performativi,
espositivi ed artistici sul modello delle più diffuse realtà autogestite europee,
in una prospettiva no profit e libera da coazioni speculative, di concetto e di
mercato.
12
49
MARS è un progetto che decide di non strutturarsi organicamente,
mantenendo un calendario che possa corrispondere progressivamente alle
necessità artistiche dei vari partecipanti. Di fatto, ognuno dei 20 artisti
dispone di una settimana di calendario in cui usufruire dello spazio.
MARS si rivela dunque “come scatola di potenziale, come white cube
esteticamente difettoso ma contenitore di tante proficue diversità che
prospettano una commistione ed una grande carica di energia inventiva.”
Che un programma di residenza duri due settimane oppure otto mesi o un
anno, gli artisti intraprendono un percorso che può essere ricondotto ad
alcune fasi ricorrenti.
La prima fase consiste nella selezione dei candidati. L’artista viene selezionato
principalmente in due modi. Può essere invitato per conoscenza
dall’organizzazione stessa della residenza oppure selezionato tramite un
bando cui l’artista risponde inviando il proprio portfolio e anticipando l’idea di
progetto che ha intenzione di sperimentare e di portare avanti durante il
periodo di permanenza. Per quanto riguarda le residenze, come già detto non
ne esiste una uguale ad un’altra.
In ogni caso, generalmente sono tre gli spazi che ricorrono: uno spazio per
dormire, che si tratti di un appartamento privato, di una casa che possa
ospitare collettivi o l’artista accompagnato dalla propria famiglia oppure di
13-16
51
una stanza da letto all’interno di una casa in cui gli altri spazi sono condivisi da
più persone; uno spazio per il lavoro autonomo, che sia un atelier personale
oppure semplicemente uno spazio-studio per l’artista all’interno del suo
appartamento; uno spazio per il lavoro collettivo e per la condivisione
dell’esperienza artistica.
La residenza per artisti Kunstprojectraum di Berlino, per esempio, è
caratterizzata da una forte vita comunitaria: si fonda sul principio della
condivisione ai fini della creazione di nuovi network tra gli artisti e i loro
progetti. Le stanze per gli artisti si trovano al primo piano di un palazzo storico
della vecchia Berlino Est. Lungo un corridoio a L sono disposte dieci stanze da
letto di grandezze differenti (da 12 a 45 mq); gli altri spazi, due bagni, due
cucine e la zona giorno, sono in condivisione. L’obiettivo di questa scelta è
creare una dinamica piattaforma di scambio, di favorire spontanee
collaborazioni e di costruire nuove relazioni nel mondo dell’arte.
La seconda fase consiste nella parte più consistente del programma, ossia nel
lavoro di studio, sperimentazione e realizzazione delle opere. Se la residenza è
un luogo dedicato alla ricerca piuttosto che alla produzione artistica altri spazi
diventano indispensabili. Nel primo caso, all’artista dovrà essere garantito
l’accesso ad una biblioteca e un archivio per supportare i propri lavori di
ricerca e studio.
Nel secondo caso, occorrono degli spazi adeguati e flessibili per consentire la
realizzazione del prodotto artistico, nonché laboratori o, in alternativa,
assistenza curatoriale per contattare chi nel contesto locale si occupa di
lavorazioni specifiche (lavorazione del legno, dei metalli, della ceramiche, dei
tessili, ecc.). In questo senso molte residenze hanno adottato un indirizzo
specifico e settoriale.
L’Israeli Center for Digital Art, per esempio, nato nel 2001 in una scuola
abbandonata nell’area industriale di Holon (Israele), è un centro di ricerca,
produzione e presentazione dell’arte contemporanea nel campo della digital
art che invita artisti, curatori e critici locali e internazionali a sviluppare un
progetto artistico o un lavoro teorico di ricerca ispirati dal contesto locale. Il
centro dispone di un video-archivio focalizzato sulla video arte di Medio
Oriente, Europa e Balcani. Più che di un archivio, si tratta di un luogo
espositivo aperto al pubblico dedicato alla presentazione di media art, video
art, net art e interactive sound. L’archivio contiene più di 1750 titoli e
comprende i lavori degli artisti che di volta in volta hanno vissuto e lavorato
all’Israeli center. L’archivio, infine, include film e documentazioni di
performances e installazioni avvenute presso il centro oppure realizzate dai
più importanti artisti israeliani nel campo della visual art.
Molti centri, oltre a dedicarsi ai due filoni di ricerca e di produzione artistica,
spesso ne considerano un altro, quello dell’educazione. L’Israeli center, infatti,
dispone di laboratori e aule dedicati a programmi di educazione in
collaborazione con scuole e università, nell’ottica di diffondere la conoscenza
dell’arte contemporanea tra i giovani e al contempo di consolidare i legami
con la comunità locale. Per questo vengono, inoltre, organizzati eventi per il
53
pubblico sotto forma di esposizioni, lectures, dibattiti, eventi sonori e
workshop.
Durante la loro esperienza di permanenza gli artisti si inseriscono all’interno
dei circuiti artistici e curatoriali locali e sono chiamati a partecipare a momenti
di scambio e di dibattito con altri artisti, curatori e con il pubblico. Per questo
motivo alcuni programmi prevedono che gli artisti partecipino a momenti
prefissati di conferenze o open studio, al fine di presentare al pubblico il
proprio lavoro, anche in corso d’opera.
La terza fase di un programma di residenza consiste nella conclusione dei
progetti degli artisti e, dunque, nella loro presentazione o esposizione.
Tuttavia, non sempre è previsto un allestimento finale del lavoro svolto dagli
artisti, anche perché non sempre essi concludono i propri lavori al termine del
periodo di soggiorno. Anzi, spesso accade che questi tornino in un secondo
momento per portare avanti un lavoro rimasto in sospeso. In altri casi, al
contrario, fin dall’inizio gli artisti sono chiamati a realizzare un progetto cui è
riservata una specifica destinazione.
È questo il caso della Bielska Gallery, Bielsko-Biała city, Polonia. Questa
residenza invita artisti nel campo delle arti visive provenienti da tutto il
mondo a ideare e realizzare, nel corso di due mesi, un progetto site-specific,
un intervento pensato per gli spazi pubblici della città, che tragga ispirazione
dal territorio, dal paesaggio e dalla storia del luogo.
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55
Alcuni artisti selezionati hanno, inoltre, la possibilità di partecipare ad un
workshop presso uno storico parco naturale situato 200 km a nord di Varsavia.
Nel corso di due settimane gli artisti sono chiamati a realizzare un’opera
d’arte che di volta in volta va ad arricchire la collezione di sculture del parco.
La quarta e ultima fase consiste nell’archiviazione delle opere. L’arte
contemporanea oggi comprende le discipline più disparate e il prodotto
artistico si presenta sotto svariate forme: opere visive, sculture, coreografie di
danza, video, performances, opere ambientali, testi scritti, lavori di ricerca.
Generalmente, concluso il periodo di residenza, l’artista porta via con sé il
prodotto artistico finale, mentre ne viene archiviato il portfolio insieme alla
documentazione scritta o digitale, immagini e video. Spesso questi archivi
sono aperti al pubblico e utilizzati per l’insegnamento e la didattica. Un
esempio è rappresentato dalla Rijksakademie, residenza per artisti di
Amsterdam. La Rijksakademie possiede una collezione ricca e importante, che
comprende tutto ciò che è stato documentato da tre istituzioni della città a
partire dal diciottesimo secolo ad oggi: libri, periodici, documentazioni,
collezioni d’arte storiche e contemporanee. Antichi libri di testo e stampe,
che in passato venivano utilizzati per l’istruzione degli studenti, sono oggi
accessibili e ancora utilizzati per la didattica. Questo importante archivio è in
continua evoluzione perché viene arricchito di volta in volta con i lavori e la
documentazione degli artisti residenti.
19-24
57
Le residenze per artisti oggi presenti nella città di Milano sono ViaFarini-inresidence, O’ A.I.R, Open Care e FDV Residency Program.
Tutte e quattro le residenze sono inserite nel circuito di art-in-residence
(www.artinresidence.it), un progetto dell’associazione FARE sostenuto dalla
Fondazione Cariplo, dalla NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, e
dal GAI, Giovani Artisti Italiani. Il programma, che al momento sostiene
ventinove residenze, prevede la permanenza di artisti e curatori in più luoghi
di lavoro sul territorio italiano, consentendo loro di inserirsi liberamente in
diverse realtà e stringere vari rapporti di collaborazione.
La prima residenza per artisti di Milano, istituita nel 1996, prende il nome di
ViaFarini-in-residence. VIR invita fino a tre artisti e un curatore a trascorrere
un periodo di tre mesi a Milano, lavorando ad un progetto espositivo presso
un ampio studio in via Farini e vivendo negli attigui appartamenti. Durante il
periodo di permanenza, artisti e curatori stranieri e italiani condividono lo
stesso contesto progettuale e tracciano il perimetro delle loro
sperimentazioni, sia attraverso le studio visit sia nel momento espositivo
finale dell’Open Atelier. È previsto per i residenti l’accesso a diversi servizi, tra
cui il DOCVA Documentation Center for Visual Arts. VIR offre agli artisti un
servizio di assistenza curatoriale, nonché facilitazioni nelle ricerche di
soluzioni ottimali per le esigenze del proprio progetto e allestimento
dell’Open Atelier finale. Gli artisti e i curatori sono, inoltre, invitati a
partecipare a incontri, talk, dibattiti e lecture.
25
59
Il residence è costituito da quattro appartamenti completamente indipendenti
e uno spazio di 240 mq dove gli artisti possono lavorare fianco a fianco.
Ciascun appartamento è costituito da un bilocale di circa 40 mq, composto da
zona pranzo con cucina, zona studio e un soppalco per la zona notte.
La seconda è O’ A.I.R, un organizzazione non profit per la promozione delle
ricerche artistiche. Il complesso si articola in un ampio spazio espositivo ed un
laboratorio esterno, L.A.B. - LaboratorioArtiBovisa, per la produzione legata
alla fotografia e alla stampa. Sviluppa progetti espositivi, programmi di
residenza, incontri, performances, concerti, lectures, pubblicazioni.
Coerentemente al proprio carattere sperimentale, O’ inaugura nella
primavera 2006 il Programma Internazionale di Residenza per Artisti e Teorici,
idealmente un contenitore di esperienze, territorio di relazione e dialogo dove
vengono messi a disposizione spazi e risorse per sostenere tutto il processo
creativo. Organizzato in collaborazione con Hotel Pupik-Austria (dove O’
coordina dal 2001 le partecipazioni italiane) il programma prevede 3
appuntamenti per stagione (ottobre-luglio), ciascuno dei quali ospita da 2 a 4
residenti. Insieme a Die Schachtel, label indipendente di musica
contemporanea, sviluppa dentro e fuori dal programma di residenza una serie
di performances con artisti-compositori attivi nella scena avant-garde e
sperimentale internazionale.
La terza è la residenza per artisti e curatori Open Care; aperta nella primavera
del 2010, ha sede nel complesso dei Frigoriferi Milanesi.
La sua peculiarità risiede nel fatto di essere parte della società di servizi per
l’arte, da cui prende il nome, e quindi di essere inserita in un contesto
produttivo dedicato alla conservazione, alla gestione e alla valorizzazione
dell’arte e del patrimonio artistico. La residenza, gestita dall’associazione
FARE, contribuisce a promuovere la mobilità dei giovani operatori dell’arte
mettendo a disposizione un alloggio, alcuni atelier e un servizio di tutoring.
Il numero massimo di persone che possono essere ospitate
contemporaneamente è sei. Attualmente, la residenza si attiva su richiesta,
ma a breve promuoverà azioni di reciprocità con istituzioni italiane e
straniere.
La quarta ed ultima residenza milanese è FDV Residency Program, un
programma di residenze per creativi nato alla Fabbrica del Vapore di Milano,
dalla collaborazione tra il Settore Cultura del Comune di Milano e FDVLab 2. Il
progetto è a cura di Careof, organizzazione no-profit membro di FDVLab. Il
programma di residenza ha natura interdisciplinare; ospita da un minimo di
sei a un massimo di dieci professionisti provenienti da vari ambiti culturali,
offrendo loro uno studio a Milano per un tempo prolungato (dai 3 ai 6 mesi) e
mettendo loro a disposizione gli strumenti necessari ad un’efficace esperienza
di crescita professionale e personale.
2
FDVLab è un’associazione no-profit che opera da dieci anni nel campo della promozione
della cultura, della creatività e dell’arte. Obiettivo primario dell’associazione è trasformare la
Fabbrica del Vapore in un grande laboratorio di idee ed esperienze creative attraverso
l’attività sperimentale dei laboratori e la partecipazione a importanti manifestazioni
internazionali.
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Compiuta un’analisi sulla residenza per artisti e indagato in modo più
approfondito alcuni tra i migliori casi internazionali, si è tentato di sintetizzare
le tappe compiute da un artista che intraprende un generico percorso di
artist-in-residence, tracciate pensando alla vita quotidiana e alle necessità a
livello umano e professionale, personale e collettivo, privato e pubblico.
Attraverso questo percorso di ricerca e analisi si è giunti a identificare tre
azioni fondamentali che vengono compiute dall’artista: vivere, creare e
mostrare.
Sono questi i tre termini che hanno guidato l’evoluzione del progetto, le linee
guida tramite le quali ogni spazio, ogni forma, ogni materiale e arredo si sono
ispirati per giungere alla definizione di una proposta progettuale coerente e in
linea con le proprie intenzioni.
A seguito di una descrizione generale del progetto nella sua totalità, per
ognuna di queste tre azioni viene dedicato un capitolo, in cui sono descritte in
modo più dettagliato le scelte progettuali.
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Arrivando dal parco, allo snodo delle strade sterrate, si incontra un percorso
rettilineo in pietra grigia che corre in direzione del Naviglio e piega in fondo
seguendo il confine della casa. Percorrendolo per un pezzo, giunti all’angolo
della nuova costruzione, proprio sotto la scultura, si intercetta un nuovo
percorso, una pavimentazione realizzata con la lamiera dipinta da uno dei
tanti writers che negli anni hanno conferito all’edificio il suo carattere,
recuperata dalla demolizione del vecchio granaio.
Prendendo questa strada si percorre un tratto di tunnel in discesa, si sta
attraversando un interno: la sala studio della biblioteca, che occupa
precisamente la porzione semi-interrata di edificio sottostante la scultura.
Sbucando all’esterno si apre la vista della corte che in leggera pendenza
degrada verso l’edificio principale.
Quest’ultimo si mostra nella parte che più di tutte ha subito le modifiche del
progetto. I due volumi laterali asimmetrici non ci sono più e al loro posto le
due braccia del corpo centrale sono state allungate per contenere i vani scala
e ascensore.
Destinare ai collegamenti verticali un volume nuovo e decentrato rispetto alle
stanze dei vari piani ha garantito maggiore libertà nel disegno in pianta, non
più vincolato dalla presenza del vano scala esistente posizionato al centro del
corpo principale.
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I ballatoi, testimonianza della storia e della funzione precedente dell’edificio,
sono ora solo accennati dalla posizione degli irrigidimenti della facciata in uglass che, piegandosi più volte, riveste l’intero fronte.
Proseguendo attraverso la corte si susseguono, a destra e a sinistra, gli spazi
dedicati al “creare”: rispettivamente, gli atelier degli artisti e la bibliotecaarchivio. Riprendendo la passerella in lamiera si sale e si entra nell’edificio.
Al piano terra trovano spazio un bar letterario, gli uffici e la biglietteria del
museo. Dall’interno si comprende come la parete in u-glass consente di
trasformare i ballatoi da spazi esterni a nuovi interni, rigenerandone la
fruizione. Nella parete in u-glass sono sempre ricavate delle aperture in vetro
trasparente, in modo che ad ogni piano non si perda il contatto visivo con la
corte e la scultura.
Le scale dietro la biglietteria (il secondo vano scala è riservato agli artisti
residenti) conducono ai due livelli espositivi: il primo ospita gli allestimenti
temporanei delle opere realizzate dagli artisti nel periodo di residenza; nel
secondo sono in mostra i progetti YAP arrivati in finale nelle selezioni di tutte
le città aderenti al concorso.
I due livelli superiori sono, invece, riservati agli appartamenti degli artisti.
Riprendendo al piano terra il percorso coi murales si torna all’esterno.
Superato un primo tratto sospeso sulla corte, il percorso conduce dall’altro
lato della strada (svoltando a destra, invece, si giunge al parcheggio) e si
allarga a mo’ di ponte sul naviglio, predisponendo un collegamento con via
Bergognone in vista di una plausibile riqualificazione dei binari dismessi che
1
69
oggi fanno da cesura. Il percorso piega a gomito e accompagna il visitatore sul
molo (a cui si accede anche proseguendo fino in fondo lungo la corte
ribassata). Da qui un battello conduce alle altre tappe del percorso culturale
sul Naviglio.
Se il fronte sud ha completamente mutato l’aspetto originario, lo stesso non
può dirsi del fronte sul Naviglio. La facciata principale dell’edificio rimane tale
con le sue cornici e lesene; cambia il colore di facciata insieme ai serramenti
(quelli nuovi sono in ferro) e alle aperture vetrate in corrispondenza
dell’ingresso e del bar al piano terra.
Aggirando nuovamente la casa all’esterno, seguendo il percorso in pietra, si
prende la strada per la scultura risalendo il piano di verde inclinato: il tetto
giardino della biblioteca. I grandi pilastri della scultura trasformano la
conformazione storica dell’edificio, adesso non più immediatamente leggibile,
in gigantesco monumento, mettendo in mostra una chiara antitesi tra sé e il
loro specchio di fronte.
2-3
71
73
La prima azione fondamentale che è stata presa in considerazione per la
definizione della proposta progettuale è quella relativa alla vita degli artisti
all’interno dell’edificio.
Gli appartamenti si trovano al piano terzo e al piano quarto della struttura
principale e la distribuzione è uguale per i due livelli. Sono stati pensati
appartamenti di diverse tipologie e grandezze, che possano ospitare un
numero variabile di artisti, anche a seconda del loro stile di vita. Questo
aspetto è stato preso in considerazione fin dal primo approccio progettuale:
ogni artista infatti ha caratteristiche e, soprattutto, necessità differenti
rispetto ad un altro. Il loro lavoro e la loro passione richiedono spesso di aver
a disposizione spazi grandi, di condivisione e di relazione, spazi in cui possano
esprimere al meglio i loro interessi, che siano dunque flessibili e che
permettano di svolgere funzioni diverse durante l’arco della giornata.
Prima però di soffermarsi sull’aspetto della flessibilità dell’arredo e delle
stanze, è importante chiarire che gli appartamenti sono stati pensati in modo
da poter ospitare, per esempio, artisti singoli, collettivi, o ancora artisti che
hanno la necessità di ospitare la famiglia, magari perché provenienti da posti
lontani. Ognuno dei due piani di residenza presenta tre tipologie differenti di
appartamenti, ognuno dotato di un ampio soggiorno comune con cucina a
77
vista; nelle ore notturne il soggiorno può ospitare anche dei posti letto, poiché
è stato scelto un divano flessibile, che permette di sdraiarsi completamente.
Il primo appartamento, oltre alla stanza comune, possiede due camere da
letto: una con letto matrimoniale, cabina armadio e bagno privato e una
seconda stanza singola con bagno comune sul soggiorno. Il secondo
appartamento, più piccolo, ha a disposizione una camera doppia con bagno
comune. Il terzo e ultimo appartamento è dotato di una camera doppia con
cabina armadio e bagno privato e una seconda camera per due persone con
bagno comune a tutti.
Tutto l’arredo presente negli appartamenti è stato scelto in modo che possa
garantire una certa flessibilità degli spazi e una libertà di utilizzo degli stessi. Il
divano (Moroso), come anticipato, presenta un tipo di “seduta” che si esprime
per sistemi, per moduli separati; inoltre braccioli e schienali hanno due
possibilità compositive che permettono di sedersi o sdraiarsi a seconda delle
necessità, andando a creare una inevitabile modularità.
Sempre nel soggiorno è presente un tavolino versatile (Calligaris), regolabile in
sette diverse altezze tramite la pressione di un tasto sul cassonetto in metallo,
trasformandosi così in pochi secondi in un tavolo da pranzo a otto posti; grazie
all’apertura “a libro”, può raddoppiare la superficie facilmente e in pochi
secondi.
Per dividere l’angolo cottura con il soggiorno è stata inserita una libreria
(Moroso) che, con la sua forma geometrica ripetuta, svolge il ruolo di
interparete o contenitore.
1-4
79
Anche le stanze da letto sono state pensate in maniera totalmente flessibile,
attraverso l’utilizzo di letti a scomparsa, sia singoli che matrimoniali; questo
aspetto permette all’artista di avere, durante le ore diurne, la stanza
completamente libera per poterci lavorare. Proprio per questo le stanze degli
artisti presentano un pavimento in parquet in rovere naturale, come il resto
dell’appartamento, che viene in parte interrotto da una pavimentazione in
cemento; quest’ultima permette all’artista di poter svolgere il proprio lavoro
su una superficie più adatta alle proprie necessità. Oltre al pavimento
differente, all’interno delle stanze è stato progettato un controsoffitto
modulare che scende per alcune parti sulle pareti, questo per permettere
all’artista di poter attaccare a esso un’illuminazione specifica, come i faretti
con luce puntuale e direzionabile. Il controsoffitto che scende sulle pareti
permette invece all’artista di attaccare i propri lavori, o di attaccare mensole o
ripiani di lavoro. Questa scelta progettuale comparirà anche nell’atelier
comune a tutti gli artisti, verrà quindi spiegata nel dettaglio successivamente.
Questa panoramica sugli arredi e sugli spazi ci permette di sottolineare l’alto
grado di flessibilità che viene garantito agli artisti che partecipano al
programma di residenza. Infine è importante sottolineare come il ballatoio
distributivo dei due piani possa diventare un punto focale di condivisione e di
relazione tra gli artisti stessi, in modo che il loro sapere sia in continuo
aumento attraverso una possibile comunicazione e partecipazione.
5-8
81
83
La seconda tematica affrontata per la definizione del progetto è legata al
lavoro degli artisti durante la permanenza nella residenza. In base agli esempi
di residenze per artisti che sono stati analizzati nelle prime fasi progettuali,
sono state tratte delle importanti riflessioni, legate all’uso e alle funzioni che
vanno solitamente a caratterizzare gli spazi. In generale il progetto prevede
degli atelier per gli artisti e una biblioteca-archivio aperta anche al pubblico:
questi due spazi si trovano nella parte semi-interrata lungo i due fronti della
corte ribassata che ospita lo Yap.
Il primo aspetto considerato ha riguardato la progettazione di spazi ad hoc per
gli artisti e per il lavoro che essi svolgono. Stiamo parlando di arte
contemporanea, un’arte dunque che è in continua evoluzione e che abbraccia
sempre più campi artistici, da quello letterario a quello visivo o performativo.
Per questi motivi si è scelto di fornire agli artisti un grande atelier comune a
tutti, dotato di ampi spazi di lavoro e grandi tavoli. Dal corpo principale
dell’edificio è possibile accedere, con un blocco scale privato, al piano
interrato dedicato al lavoro degli artisti; in questa parte si trovano, nella parte
cieca, le sale di registrazione audio-video, una zona di stampa con plotter e
altri strumenti utili e, nella parte che affaccia sulla corte, un’ampia zona per il
lavoro manuale. Quest’ultima è caratterizzata da un’area relax e da postazioni
per il computer, da un blocco servizi contenente i bagni e da grandi tavoli
87
posti in successione, suddivisi da spazi lasciati liberi per il lavoro. Questi spazi
sono caratterizzati da una diversa pavimentazione, proprio come avviene
all’interno delle stanze degli appartamenti; vi è una pavimentazione continua
in parquet e delle parti in cemento. Altra caratteristica significativa di questo
luogo è, come negli appartamenti, la presenza di un controsoffitto grigliato
modulare, che serve in questo caso ad accogliere sia gli impianti di
riscaldamento invernale e di raffrescamento estivo sia l’impianto di
illuminazione. A questo proposito sono previsti differenti tipi di illuminazione:
lampade fisse (inserite all’interno del controsoffitto) per creare una luce
diffusa con un effetto quasi sfuocato, lampade estensibili per un’illuminazione
puntuale e i faretti ideali per gli allestimenti temporanei. Gli ultimi possono
dunque essere spostati a piacimento dagli artisti, lungo tutte le parti del
controsoffitto, a seconda delle esigenze richieste dal lavoro.
Il controsoffitto viene posizionato anche in alcune parti delle pareti verticali,
come negli appartamenti, per poter essere sfruttato come elemento di
aggancio di tele, oggetti e quant’altro. Su questo elemento è possibile per
esempio agganciare gli attrezzi necessari all’artista o anche delle mensole che
fungano da ripiani di appoggio.
Infine, per gli artisti vi è la possibilità di uscire sulla corte centrale, in modo da
poterla sfruttare anch’essa per lavorare all’aperto o per allestire direttamente
i propri lavori. Di seguito vengono riportate alcune immagini significative di ciò
che è stato raccontato finora.
1-4
89
Parallelamente all’atelier e alla corte centrale, si trova la biblioteca che funge
anche da archivio per la documentazione dei progetti svolti nei mesi dagli
artisti. È possibile accedervi sia dalla corte con un accesso riservato ai
dipendenti della biblioteca o agli artisti, sia dall’ingresso principale situato al
piano terra dell’edificio; da qui è infatti possibile accedere al secondo corpo
scala-ascensore che porta fino al piano interrato. La parte cieca di questo
piano è stata pensata per accogliere il locale impianti e il deposito delle opere,
mentre, per quanto riguarda la biblioteca vera e propria, il percorso inizia con
un’ampia zona relax a cui fa seguito il blocco centrale dei servizi, dove si
trovano le macchinette per il ristoro, gli armadietti per custodire gli oggetti
personali e i bagni, compreso il bagno per i disabili. Lungo il fianco di questo
blocco servizi sono posizionati due banconi di reception, l’accoglienza e la
restituzione libri, che si affacciano sulla corte interna. Da qui ha inizio la sala
vera e propria della biblioteca, con la parete cieca completamente attrezzata
con una libreria a vista; i tavoli per lo studio personale e collettivo sono
dunque posti tra la vetrata continua e la libreria, scelta che permette alla luce
naturale diurna di illuminare in maniera diffusa tutta la sala. I tavoli, le
postazioni con i computer per la ricerca dei video che raccontano i progetti
degli artisti o le postazioni per la lettura di riviste e cataloghi, sono intervallati
da elementi in cartongesso sospesi al controsoffitto, che permettono di
isolare dal resto della grande sala alcune funzioni che necessitano, appunto,
una separazione. Questi elementi prendono una forma che ricorda delle
grosse campane e sono totalmente sollevati da terra.
5-8
91
All’interno di essi (quattro in totale) si trovano: le postazioni per la ricerca a
catalogo, la postazione con gli schermi in cui vengono proiettati video
significativi (a rotazione) di alcuni artisti che hanno partecipato al programma
di residenza, un’area relax per la lettura e la conversazione e, infine, la
postazione per la ricerca del portfolio degli artisti.
In fondo a questa lunga sala, proprio sotto alla scultura che si trova sopra al
tetto giardino, si apre un altro grande spazio dedicato interamente allo studio
personale, che sia esso dell’artista o del pubblico. Qui possono svolgersi
diverse attività come incontri con giovani studenti, conferenze, dibattiti,
proiezioni o visite didattiche.
L’interno di questa parte della biblioteca è attraversato da una passerella
sospesa, un vero e proprio tunnel, che collega la parte esterna del parco, al di
sotto della scultura, con la corte interna di cui si è già ampiamente parlato. È
questo un elemento dal forte valore architettonico, perché invade lo spazio in
maniera incisiva, ma al tempo stesso “silenziosa” perché non è possibile
vedere chi la sta attraversando.
Di seguito vengono riportati alcuni degli arredi che sono stati scelti per la
progettazione degli spazi interni e il riferimento progettuale relativo alla scelta
di attrezzare la lunga parete cieca della biblioteca con gli scaffali per i libri.
9-10
93
95
Il primo e secondo piano dell’edificio sono dedicati all’esposizione. Il primo
piano viene allestito con le opere che gli artisti residenti realizzano di volta in
volta; il secondo piano, invece, mette in mostra i progetti del concorso YAP
che sono arrivati tra i cinque finalisti nelle classifiche delle quattro città
aderenti (New York, Santiago del Chile, Roma e Istanbul).
I due piani si sviluppano nel medesimo modo. L’unica differenza consiste nella
presenza dei bagni per il pubblico al secondo piano e di uno spazio di servizio
per gli artisti al primo piano in continuità col vano scala a loro riservato,
pensato come deposito del materiale necessario agli allestimenti.
Approdando all'interno dell’edificio, con le scale, o sul ballatoio, con
l’ascensore, la prima stanza che si incontra presenta il tema del piano con
pannelli espositivi e permette di fare una sosta sedendosi sulle uniche panche
fisse che il progetto prevede. Sempre in questa stanza, infatti, sono messe a
disposizione delle sedute pieghevoli da portare con sé per tutto il percorso
espositivo, perché ognuno possa sedersi davanti alle proprie opere preferite.
In questo modo le stanze, di dimensioni già ridotte, non sono ulteriormente
vincolate dalla presenza di un arredo fisso.
Confrontandosi con lo stato di fatto nelle prime fasi progettuali si è molto
ragionato sulla distribuzione interna di questi due livelli. L’orientamento
scelto è stato quello di mantenere viva e visibile l’originale funzione e
99
fruizione dell’edificio. Per la maggior parte i muri delle stanze e i vani delle
porte sono rimasti nella giacitura originaria. In controtendenza alle moderne
gallerie d’arte contemporanea, grandi contenitori di opere d’arte open space
con soffitti altissimi e pareti bianche dalle ampie superfici, questo esempio
vuole invece dimostrare come è possibile ospitare un allestimento di opere
d’arte contemporanea all’interno di una dimensione domestica, nel vero
senso della parola, essendo state, queste, in precedenza stanze residenziali.
Avere a disposizione delle stanze piccole, ciascuna con la propria fonte di luce,
lascia all’artista la libertà di allestire il proprio spazio in qualsiasi modo, per
esempio oscurando la sala per la proiezione di video o immagini, senza
compromettere l’aspetto visivo e la fruizione delle altre sale.
L’idea è quella che ad ogni artista, ospitato per un periodo di tempo da
definirsi di volta in volta, vengano assegnate una o più stanze, da allestire ad
opera propria con le creazioni realizzate durante il soggiorno, che siano opere
finite oppure ancora in corso d’opera.
Il ballatoio, un tempo mero spazio distributivo, è trasformato e rigenerato in
un vero e proprio spazio interno grazie al tamponamento in u-glass. Anche
questo spazio, lungo e stretto, diviene un’interessante parte del percorso
espositivo, lo conclude e riconduce i visitatori ai collegamenti verticali.
1
101
La pavimentazione è in parquet di rovere naturale, la pareti sono bianche e i
vani delle porte liberati dal serramento. I vani delle finestre non sono stati
modificati rispetto allo stato di fatto, e non sono state aggiunte nuove
aperture in corrispondenza dei vani murati sui due fronti laterali dell’edificio. I
vecchi serramenti esterni vengono sostituiti con nuovi serramenti in ferro. Il
controsoffitto è lo stesso utilizzato nell’atelier e nelle camere da letto degli
artisti. Si tratta di un controsoffitto modulare grigliato in alluminio dipinto
bianco con maglie da 5x5 cm. La motivazione di questa scelta è rendere le
pareti totalmente libere dalle necessità degli allestimenti: l’illuminazione, le
opere d’arte che necessitano di essere appese, i pannelli informativi, ecc. sono
agganciati alla maglia del soffitto.
Per quanto riguarda l’illuminazione, sono due le tipologie utilizzate per i piani
del museo. L’illuminazione puntuale e flessibile è assolta da semplici faretti
spostabili e orientabili; l’illuminazione diffusa è realizzata da lampade
posizionate all’interno del controsoffitto, ma leggermente separate da esso, in
modo da creare un particolare effetto di luce diffusa, che viene filtrata
attraverso la stretta maglia quadrata dei moduli, disegnando sul soffitto delle
rotonde chiazze di luce soffusa.
Oltre ai due livelli appena descritti, vi sono altri due punti del complesso
pensati per divenire luoghi espositivi: la corte ribassata e il corso d’acqua. La
corte, uno spazio stretto e lungo, è caratterizzata da una pavimentazione in
piastrelle di granito sabbiato di dimensioni variabili.
2-4
103
Il famoso cortile del MoMa PS1, primo spazio pensato per ospitare il concorso
YAP per la prima volta nel 1998, ha una forma triangolare ed è
completamente circondato da pareti, che fanno da fondale agli allestimenti.
Così anche in questo progetto si è ritenuto importante dedicare agli
allestimenti YAP uno spazio ben definito, circoscritto e concluso. Da qui l’idea
di ribassare un piano di 4 metri rispetto al livello del parco. Come si può
notare, anche qui le uniche sedute sono state posizionate nella parte
terminale della corte e in cima alla salita erbosa che conduce ai piedi della
scultura monumentale, da cui si gode di una vista completa degli allestimenti.
Queste sedute sono semplici blocchi pieni, parallelepipedi rivestiti dello stesso
materiale della corte. In questo modo si libera completamente il restante
spazio, per non vincolare in alcun modo la disposizione delle sedute
progettate dei vincitori del concorso.
Anche l’acqua può divenire lo sfondo di installazioni artistiche. Proseguendo
lungo la corte in direzione del naviglio, passando al di sotto dell’edificio, si
giunge in prossimità dell’acqua. Questo luogo, oltre che imbarcadero, è anche
una vera e propria vetrina, pensata per vedere da vicino, dal livello dell’acqua,
eventuali opere d’arte, che si possono altrimenti ammirare dal livello
superiore, affacciandosi sul ponte pedonale.
5-7
105
107
Per giungere alla definizione conclusiva del progetto si è passati attraverso un
esame, dal punto di vista delle forme e dei significati, dell’edificio e del suo
intorno: una casa di ringhiera a corte affacciata sul Naviglio Grande.
Percepita fin da subito la necessità monumentale dell’edificio di essere
sottratto all’abbandono e all’abusivismo, si è scelto di riproporlo ai cittadini
sotto un’altra forma e per un nuovo uso, ma ancora testimone della sua
stessa presenza e di un modo di vivere ispirato alla socialità e alla
condivisione, pari a un secolo fa. Ma socialità e condivisione prendono qui
nuovi connotati, riferiti a un modo di vivere l’arte e la cultura.
Necessità monumentale acquista, dunque, un significato letterale e da questa
idea si genera la forma della grande scultura. Quest’opera architettonica dal
valore artistico diventa il simbolo dell’intervento e mostra in termini dilatati la
forma essenziale dell’edificio.
Oltre alla conservazione fisica dell’edificio non si è, quindi, trascurata la
conservazione dei suoi significati, come per esempio nel progetto dei ballatoi
e delle sale espositive. Nonostante inizialmente potesse sembrare inusuale e
complicato realizzare uno spazio per esposizioni all’interno di un edificio
residenziale, il progetto ha cercato di rendere la nuova funzione compatibile
con l’esistente valorizzandone quanto più possibile l’identità storica.
109
1-2. Il cortile del MoMa PS1.........................................................................................................7
Fonte: www.theperceptionalist.com
3. Vincitore MoMa 2003, Light-Wing di EMERGENT Architecture, designer Tom
Wiscombe....................................................................................................................................9
4. Vincitore MoMa 2004, Canopy di nARCHITECTS, designers Mimi Hoang, Eric Bunge.............9
5. Vincitore MoMa 2008, P.F.1 (Public Farm 1) di WORK Architecture Company, designers
Amale Andraos, Dan Wood..........................................................................................................9
6. Vincitore MoMa 2010, Pole Dance di Solid Objectives - Idenburg Liu, designers Florian
Idenburg, Jing Liu.........................................................................................................................9
7. Vincitore MoMa 2011, Holding Pattern di Interboro Partners, designers Tobias Armborst,
Daniel D’Oca, Georgeen Theodore, Rebecca Beyer Winik (project manager).............................9
8. Vincitore MoMa 2012, Wendy di HWKN (HollwichKushner), designers Matthias Hollwich
and Marc Kushner........................................................................................................................9
9. Vincitore Constructo 2010, Color Shadows di Eduardo Castillo, designer E. Castillo…………..10
10. Vincitore Constructo 2011, Water Cathedral Project di GUN VALPARAÍSO, designers Jorge
Godoy and Lene Nettelbeck, Alexis Machado, Francisco Calvo, José Manuel Morales.............10
111
11. Vincitore MaXXI 2011, WHATAMI di stARTT, designers Simone Capra, Claudio Castaldo con
Francesco Colangeli, Andrea Valentini.......................................................................................15
12. Vincitore MaXXI 2012, Unire/Unite di Urban Movement Design........................................15
13. Vincitore MoMa 2013, Party Wall di CODA, designer: Caroline O'Donnell.........................17
14. Vincitore MaXXI 2013, He di bam!, designers Alberto Bottero, Valeria Bruni, Simona Della
Rocca, Fabio Vignolo..................................................................................................................17
15. Vincitore Istanbul 2013, Sky Spotting Stop di SO? Architecture and Ideas, designers
Sevince Bayrak and Oral Göktaş................................................................................................17
Fonte 3-15: www.moma.org
16. Mappa di Milano con inquadramento zona di intervento...................................................23
Fonte: elaborazione personale
17. Vista aerea con identificazione dell’area di progetto..........................................................23
Fonte: www.maps.google.it
18. Fotografia dell’edificio dal parco.........................................................................................25
Fonte: fotografia personale
19. Fotografia dell’edificio dalla strada principale.....................................................................25
Fonte: fotografia personale
20. Fotografia dell’edificio con dettaglio dei murales...............................................................25
Fonte: fotografia personale
1-3. Prime ipotesi progettuali....................................................................................................35
Fonte: elaborazione personale
4. Gruppo di artisti a Yaddo, 1934.............................................................................................41
Fonte: www.yaddo.org
5. La colonia di Byrdcliffe a Woodstock.....................................................................................41
Fonte: www.woodstockguild.org
6-8. La residenza per artisti Künstlerhäuser Worpswede..........................................................43
Fonte: www.kuenstlerhaeuser-worpswede.de
9. MARS/ Milano Artist Run Space.............................................................................................47
10. Allestimento MARS di Lucia Leuci e Lucia Veronesi, giugno 2012.......................................47
11. Allestimento MARS di Pesce Khete, aprile 2010..................................................................47
12. Distribuzione delle residenze per artisti in Europa..............................................................49
Fonte 9-12: www.transartists.org
13-15. Takt Kunstprojektraum: alloggi per gli artisti.................................................................51
Fonte: www.taktberlin.org
16. Workshop presso l’Israeli Center for Digital Art..................................................................51
Fonte: www.digitalartlab.org
17-18. Bielsko-Biała city, Polonia...............................................................................................55
113
Fonte: www.galeriabielska.pl
19-24. Rijksacademie VanBeeldende Kunsten: la biblioteca, gli spazi espositivi e i
laboratori...................................................................................................................................57
Fonte: www.rijksakademie.nl
25. Localizzazione delle quattro residenze per artisti di Milano................................................59
Fonte: Elaborazione personale e www.artinresidence.it
1. Disegni dello stato di fatto: piano terra (in evidenza i volumi eliminati nel progetto di
riqualificazione) e prospetto sud...............................................................................................69
Fonte: Elaborazione personale su disegni forniti dal Comune di Milano
2. Illustrazione dei principali percorsi di progetto: 1- Imbarcadero, 2- Ponte pedonale sul
naviglio, 3- Passerella sospesa, 4- Passaggio interno.................................................................71
Fonte: Elaborazione personale
3. Schema del collegamento pedonale tra parco Argelati e via Bergognone in vista di una
possibile futura riqualificazione dei binari dismessi..................................................................71
Fonte: Elaborazione personale
1-2. Divano “Moroso” modello Highlands di Patricia Urquiola..................................................79
Fonte: www.moroso.it
3-4. Tavolino pieghevole in legno “Calligaris” modello Magic-J wood di Edi e Paolo
Ciani...........................................................................................................................................79
Fonte: www.calligaris.it
5. Libreria “Moroso” di Aziz Sariyer con mono-struttura in pannelli di alluminio alveolare
anodizzati...................................................................................................................................81
Fonte: www.moroso.it
6-8. Letto a scomparsa “Simoni arreda” modello Altea book, singolo o
matrimoniale.............................................................................................................................81
Fonte: www.lettiscomparsa.it
1. Controsoffitto aperto in alluminio “CEIR” modello Deltacei..................................................89
Fonte: www.ceir.com
2. Lampada per illuminazione diffusa “Faropro Barcellona” modello Juna...............................89
Fonte: www.faropro.es
3. Lampada estensibile per illuminazione puntuale “Fabbian” modello Beluga
White.........................................................................................................................................89
Fonte: www.fabbian.it
4. Faretto per allestimenti temporanei “Zumtobel” modello Arcos..........................................89
Fonte: www.zumtobel.com
5. Sedia senza braccioli con seduta in faggio curvato e struttura in acciaio “De Padova”
modello Cirene...........................................................................................................................91
115
Fonte: www.depadova.it
6. Sgabello impilabile con scocca anatomica in legno e struttura in acciaio “De Padova”
modello Olimpia.........................................................................................................................91
Fonte: www.depadova.it
7. Divano o poltrona “Capdell”: seduta in tessuto e struttura in acciaio...................................91
Fonte: www.capdell.com
8. Scaffale per riviste “Caimi brevetti” modello Socrate parete................................................91
Fonte: www.caimi.com
9-10. Biblioteca di Maserada sul Piave (TV), Amaca Architetti Associati...................................93
Fonte: www.europaconcorsi.com
1. Prima stanza del percorso espositivo e particolare dell’arredo mobile...............................101
Fonte: Elaborazione personale e fotografia presso lo Judisches Museum di Berlino
2-4. Riferimento per il controsoffitto grigliato e l’illuminazione diffusa..................................103
Fonte: Fotografie presso le Topographie des terrors di Berlino
5-7. Esempi di allestimento di opere d’arte sull’acqua tratti dalla manifestazione “Arte
sull’acqua” di Mantova: 6- "Gabbie" installazione di Giuliana Natali, 2012, 7- “Tempo misto” di
Lorella Salvagni, 2007, 8 "Arco Celeste" installazione di Lorella Salvagni, 2011......................105
Fonte: www.noncapovolgere.it
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