,
C'
BOZZA NO~ CORRETTA
La violenza nelle relazioni personali. Stati emotivi o passionali e imputabilità
Maria Grazia Giammarinaro
GIP presso il Tribunale di Roma
1. Gli spazi interpretativi
aperti dalla sentenza S.U. N. 9163 del 25 gennaio 2005
La sentenza colma un ritardo culturale, superando la distinzione tra la nozione di malattia mentale,
psicosi, disturbo della personalità, peraltro contestata al livello delle scienze psichiatriche, che
costituiva una base scientificamente inconsistente per qualsiasi valutazione giuridica relativa alla
imputabilità.
Mi prendo la libertà di non commentare la sentenza, ma piuttosto di assumerla come punto di
partenza per affrontare il tema che mi è stato assegnato.
Mi pare che la sentenza apra un amplissimo spazio interpretativo in relazione alla applicazione
dell' inimputabilità.
Schematizzando, ci troviamo di fronte a tre alternative, che implicano altrettante valutazioni in
concreto sul riconoscimento del vizio totale o parziale di mente:
.Stati
emotivi o passionali, irrilevanti sulla imputabilità ai sensi dell'art. 90 c.p.. Ma, come
vedremo meglio appresso, la giurisprudenza ha individuato dei casi eccezionali e limitati, nei
quali invece lo stato emotivo o passionale può essererilevante.
.Disturbi
della personalità in concreto irrilevanti ai fini della inimputabilità
.Disturbi
della personalità in concreto rilevanti ai fini della inimputabilità totale o parziale
Come si vede, questo schema comporta un notevole allargamento della discrezionalità del giudice
nella valutazione della rilevanza in concreto dei diversi stati psichici.
Come utilizzare questo accresciuto margine di disèrezionalità?
A mio parere, le valutazioni ruguardanti il vizio di mente vanno compiute con grande rigore e
attenzione, tenendo conto del rischio di un uso peyvasivo della "soluzione psichiatrica".
In questa materia è rilevante l'influenza di stereotipi culturali, ed è pure rilevante il rischio di
utilizzare -anche inconsapevolmente -la categoria della "follia" per allontanare dai "normali" la
stessa necessità di interrogarsi sulla "normalità", quando il gesto delittuoso si produce proprio nel
suo ambito.
Questo rischio è particolarmente grave con riferimento ai reati commessi nella sfera relazionale e
familiare, ed è massimo nel caso di delitti commessi da donne, sempre nell'ambito relazionale e
familiare.
2
Cercherò di argomentare che in questa materia occorre fare i conti con una "distanza" tra diritto e
pluralità delle esperienze di vita. La maggior parte dei concetti che danno rilevanza giuridica alla
realtà emotiva della persona sono costruiti senza tenere conto dell' esp~rienza dei soggetti che, per
ragioni esistenziali o contingenti, si trovano in una posizione di vulnerabilità. I L'inimputabilità,
allora, può essere una facile scorciatoia rispetto al difficile compito di tornare a interrogarsi
sull'interpretazione della legge, quella valvola di adattamento del diritto al mutamento sociale, che
deve contribuire a dare rappresentazionesimbolica a tutti i vissuti, a tutte le forme e gli stili di vita.
I
1.1.
Stati emotivi o passionali
Il sapere giuridico mostra di maneggiare poco e male la tematica delle emozioni. Si tratta di un vero
e proprio paradosso, considerato che specialmente il diritto penale ha a che fare con le passioni, i
sentimenti forti, che spessosono associati alla trasgressione.
Uno degli indicatori di questa insufficienza, talvolta giutificata con il rifiuto del c.d. emozionalismo,
è la scarsa elaborazione della nozione di stato emotivo o passionale, così come del resto
dell'attenuante dello stato d'ira previsto dall'art. 62 n. 2) c.p.
Com'è noto, gli stati emotivi o passionali sono esplicitamente previsti dall'art. 90 c.p. come
condizioni psicologiche che non escludono né diminuiscono la capacità di intendere e di volere. 2
L'interpretazione giurisprudenziale in ,Verità non tiene sufficientemente conto del sostrato
psicologico del dettato normativo.
La giurisprudenza più risalente statuiva tralaticiamente che gli stati emotivi o passionali possono in
via eccezionale influire sull'imputabilità sol~ quando, esorbitando dalla sfera puramente
psicologica, degenerino in un vero e proprio squilibrio mentale con disordine e perturbazione nelle
funzioni della mente e della volontà", 3 ovvero "in un vero e proprio squilibrio mentale, anche se
transeunte, tale da obnubilare ed attenuare la coscienza e da paralizzare totalmente o notevolmente i
freni inibitori e con essi la volontà". 4 E' interessantenotare che in entrambe le decisioni si richiede
che lo stato emotivo o passionale "esorbiti dalla sfera puramente psicologica" per degenerare in
"vero e proprio squilibrio mentale". Orbene, non è ben chiaro che cosa tali decisioni intendano
quando affermano che lo stato emotivo eccezionalmente rilevante ai fini della imputabilità deve
esorbitare dalla sfera psicologica, poiché con tutta evidenza si tratta pur sempre di stati -patologici
o no -che attengono alla psicologia del soggetto.
Anche qui, siamo dunque di fronte a un ritardo ea una insufficienza culturale. Tale consapevolezza
affiora nella giurisprudenza recente. "Gli stati emotivi o passionali, per loro stessanatura, sono tali
da incidere, in modo più o meno massiccio, sulla lucidità mentale del soggetto agente senza che ciò,
tuttavia, per espressa disposizion~ di legge, possa escludere o diminuire l'imputabilità". Pur
segnalando una discrasia tra previsione legislativa e realtà emotiva del soggetto, la sentenza
prosegue riproponendo un criterio consolidato, secondo il quale, affinché lo stato emotivo o
I M. Nussbaum, Hiding.from humanity. Disgust, Shame, and the Law, Prinmceton University Press, 2004
2 Diverse decisioni, non recenti ma mai contraddette, hanno inoltre statuito che gli stati emotivi o passionali non
possono neanche essere presi in considerazione ai fini di bscludere l'elemento psicologico del reato. Possono invece
essere posti a base della concessione delle attenuanti generiche, e dunque possono giustificare un trattamento penale
mitigato. V. Cass. Sez. 1 n. 2897 del 15.11.1982, tmp. Langella, CED, Rv. 158296
3Cass. Sez. 1 n. 1347 del 2.12.1990, tmp. Fomaro, CED, Rv. 186300
4 Cass. Sez. 5 n. 8660 del 5.4.1990, tmp. D'Urso, CED, Rv. 184659. Conformi Cass. Sez. 6 n. 2285 del 12.12.1984,
tmp. Martino, CED, Rv. 168224; Cass. Cass. Sez. ..n. 6710 del 9.6.1983, tmp. Lepore, CED, Rv. 159961, che tratta in
particolare della gelosia in un caso di uxoricidio.
;j'
',4:
3
passionale possa escludere l'imputabilità, deve ricorrere un "quidpluris" che, associato allo stato
emotivo o passionale, si traduca in un fattore determinante un vero e proprio stato patologico, sia
pure di natura transeunte e non inquadrabile nell' ambito di una preciso classificazione nosografica.
L'esistenza o meno di detto fattore va accertata sulla base degli apporti della scienza psichiatrica la
quale, tuttavia, nella vigenza dell' attuale quadro normativo e della sua funzione di supporto alla
decisione giudiziaria, non può mai spingersi al punto di attribuire carattere di "infermità" (come tale
rilevante ai sensi degli arti. 88 e 89 c.p., ai fini della esclusio~e o della riduzione della capacità di
intendere e di volere), ad alterazioni transeunti della sfera psico,intellettiva e volitiva che
costituiscano il normale portato degli stati emotivi o passionali di cui si sia riconosciuta
l'esistenza". 5
Si nota, non a caso, un certo affanno nell' argomentazione, poiché da un lato la decisione afferma
che possono essere eccezionalmente rilevanti a~he alterazioni psichiche non inquadrabili in una
precisa classificazione nosografica, così aprendo il ventaglio delle eccezioni potenzialmente
rilevanti. D'altra parte tuttavia si preoccupa di precisare che l'infermità eccezionalmente rilevante
non può essereconsiderata dalla scienza psichiatrica come il "normale" portato degli stati emotivi.
L'intera materia è ora destinata a subire un'evoluzione proprio a seguito della sentenza delle
Sezioni Unite che oggi commentiamo. Infatti, una volta superata la rigida distinzione tra malattia
mentale e disturbo della personalità, e una volta affermato che si tratta di volta in volta di stabilire
in concreto se un disturbo della personalità sia indicativo di una situazione di infermità mentale, si
chiarisce anche il criterio da utilizzare per stabilire quando lo stato emotivo o passionale possa
eccezionalmente rilevare ai fini della esclusione dell'imputabilità.
In altri termini non si tratterà più individuare il discrimine nell'esistenza di una malattia mentale in
senso tradizionale. Né si tratterà di affermare che lo stato emotivo deve trasmodare dalla sfera
puramente psicologica in quella dello squilibrio mentale, laddove è evidente la a-scientificità di tali
concetti. Si tratta invece di valutare se in concreto lo stato emotivo sia da ricollegare a un disturbo
della personalità, anche non altrimenti specificato, e se, sempre in concreto, il disturbo sia stato tale
da incidere sulla capacità di intendere e di volere dell'autore.
Appare dunque ancor più chiaro che ci troviamo ~i fronte a un continuum, rispetto al quale occorre
di volta in volta valutare in concreto se e come la psicologia del soggetto sia stata -o no condizionata dal disturbo della personalità, in relazione alla suaqualità e gravità.
2. I delitti commessi nella sfera relazionale
L'incidenza altissima del ricorso alla inimputabilità nella sfera familiare denuncia un problema
reale, ma anche -come si diceva -l'influenza di uno stereotipo culturale.
Il senso comune descriv~ la famiglia come il luogo degli affetti, delle sicurezze, delle relazioni
fondanti l'identità. Il delitto commesso in famiglia segnala uno scarto sconcertante da questa
immagine. Spesso,la risposta all'inquietudine provocata dallo scarto, è per l'appunto il meccanismo
che relega il gesto delittuoso nella categoria della follia.
La verità è che lo stereotipo corrente lascia fuori una faccia, oscura ma altrettanto vera, della realtà
delle famiglie, e cioè che l'odio, il risentimento profondo, nascono solo nell' ambito di relazioni
5Cass. Sez. 1 n. 967 del 5.12.1997, lmp. Giordano, CED, RIv. 209382
-"
~.
I
4
durature e importanti, perché solo queste hanno la forza di scatenare reazioni distruttive e/o
autodistruttive.
Una delle fattispecie su cui l'elaborazione è scarsa, e che mostra molto bene la difficoltà di
interpretare lo "scarto" dal modello culturale consolidato, è quella dei figli -maschi e femmine che uccidono i genitori, per motivi che possono apparire poco importanti, se non addirittura futili,
rispetto alla distruttività del gesto.
Si tratta di problematiche complesse, che spesso sono intrecciate alla presenza nel soggetto agente
di disturbi della personalità, i quali tuttavia non sempre determinano una incapacità totale o
parziale, come proverò a spiegare facendo ricorso a una panoramica dei delitti più frequentemente
commessi in ambito familiare.
La sentenza delle S.U. apre uno scenario nuovo, perché non obbliga più a quella sorta di
automatismo secondo cui, almeno per una parte della giurisprudenza di legittimità, al ricorrere di
una psicosi c'era inimputabilità, al ricorrere di disturbi della personalità c'era imputabilità, e perciò
apre la possibilità di una valutazione culturalmente più consapevole di questa problematica,
valutazione che correttamente, secondo la senten:i1a,
va compiuta in concreto e non in astratto.
2.1. Maltrattamenti e uxoricidio
Tra i delitti commessi nell'ambito della famiglia, le donne continuano ad essere prevalentemente
vittime. Lo confermano non solo i dati ufficiali nazionali, ma anche tutte le indagini locali. Ciò è
vero soprattutto nel caso dell'uxoricidio. In base a uno studio relativo a tutti gli omicidi commessi
in famiglia in Italia nel 1998, le donne sono per il 21 % autrici, per il 63 % vittime. Se guardiamo al
solo dato relativo all'uxoricidio, le donne ne sono vittime nel 79% dei casi. Nel 90% dei casi di
omicidi commessi in danno di una donna, le donne sono vittimizzate da un membro della famiglia o
da persone da loro conosciute. 6
Per inciso, occorre sottolineare che questi dati dovrebbero esserepresi in maggiore considerazione
quando si esaminano, da parte della polizia giudiziaria, del sostituto procuratore o del giudice, i casi
di donne che denunciano maltrattamenti, e quando si richiede -o non si richiede -si applica -o
non si applica -la misura specifica dell' allontanamento della casa familiare.
Come vanno trattati i casi di uxoricidio commesso dall'uomo in danno della moglie o della
convivente? Talvolta.alla ~ase di. questi del!tti vi ,è ~ .d,isturbo~ella pers.onalitàdi tipo paranoideo,
che frequentemente SImanIfesta In forma dI possessivita e gelosIa osseSSIva.L'elemento scatenante
l'impulso omicidario è spessoil proposito manifestato o attuato dalla donna di separarsi dal marito
o compagno.
Occorre anche tenere conto del fatto che -secondo lo schema del delitto d'onore -eliminato dal
codice ma duro a morire nella sottocultura maschile -esiste una sorta di giustificazione all'idea che
l'oggetto amato (donna) debba appartenere completamente al soggetto amante (uomo). L'impulso
omicidario generalmente scatta quando il soggetto presunto amante non è in grado di sopportare il
rifiuto della moglie, e dunque non è in grado di adattarsi alla conseguentefrustrazione. Ancora una
volta, siamo nel campo del disturbo di personalità, di tipo narcisistico-paranoideo.
6 G. Giqsti E. Paolantonio, L'omicidio in famiglia: Italia 1998, in Rivista Italiana di Medicina legale, XXII, 517 ss.
5
Come affrontare questo problema? Vi sono naturalmente casi in cui la violenza sistematica è
collegata a una grave sofferenza psichiatrica dell'autore. Tuttavia risulta da tutte le indagini in
materia di violenza domestica che il dato subculturale di stampo patriarcale gioca quasi sempre un
ruolo preponderante nei comportamenti dell'aJtore di maltrattamenti, anche in assenza di un
disturbo psichiatrico di particolare gravità.
Ne è una indiretta conferma il fatto che il soggetto autore di violenza tende a considerare il suo
comportamento come legittimato dalle sue responsabilità familiari. Le giustificazioni, a tutti note,
sono la necessità di preservare l'unità della famiglia e di sanzionare comportamenti trasgressivi e
disgregativi della donna.
Tuttavia, nonostante la presenza di un disturbo della personalità, l'autore di violenza domestica
mostra quasi sempre una certa capacità adattiva quando si trova di fronte non già la minaccia
astratta della punizione, ma un atto concreto di matrice istituzionale, munito di autorità ed efficacia
immediata. Non si spiegherebbe altrimenti l'alta percentuale di adempimento spontaneo all'ordine
di allontanamento emessodal giudice penale o all'ordine di protezione emessodal giudice civile. In
altri casi il comportamento conformativo si verifica solo in un momento successivo, ad esempio
quando, a seguito della trasgressione dell' ordine di allontanamento viene disposto l'aggravamento
della misura cautelare e quindi viene emesso un provvedimento di custodia in carcere.
In ogni casQl'esistenza di un certo grado di adattività fa ritenere che, almeno nella maggioranza dei
casi, il disturbo di personalità non sia di entità tale da compromettere o diminuire la capacità di
intendere e di volere. In questi casi dunque la peIfizia psichiatrica a mio parere deve esseredisposta
solo quando ricorrono elementi peculiari, dai quali possa evincersi l'esistenza di un disturbo
particolarmente grave, tale da far sospettareche in concreto il disturbo abbia inciso sulla capacità di
intendere e di volere. Tipicamente, tali elementi possono essere episodi pregressi di malattia
psichiatrica, tentativi suicidari, deliri o altri sintomi di patologia psichiatrica qualificata.
2.2. I delitti commessi dalle donne nella sfera relazionale
Un'altra problematica "sensibile" è quella della donna che commette un delitto nell'ambito della
sfera personale o familiare.
Occorre premettere che le donne costituiscono una percentuale assai modesta del totale delle
persone che commettono reati. Da decenni la percentuale delle donne denunciate è attestatatra il 13
e il 17% dei denunciati. Anche per quanto riguarda la categoria dei delitti di violenza, nel 1999 le
donne costituiscono il 6,3% dei denunciati per omicidio. Scarsa anche la presenza di donne
denunciate per reati di criminalità organizzata (2,5). Le percentuali sono invece elevatissime nei
reati che tipicamente vengono commessi nell'ambito della famiglia: 66,6% per l'infanticidio, 39,3%
per abbandono di persone minori o incapaci, 48,2% per abuso di mezzi di correzione e di disciplina.
I
La letteratura criminologica registra due grandi categorie di gravi delitti commessi da donne nella
sfera familiare o delle relazioni personali fondamentali:
.Delitti
che la donna commette come reazione alla violenza sistematica subita. Si tratta della
tematica della vittima che diventa a sua volta carnefice.
.Delitti
che la donna commette nei confronti di soggetti primari di amore, tipicamente i figli. In
questa categoria rientrano gli omicidi-suicidi: materiali o simbolici, in cui il gesto rivolto contro
il figlio è in realtà un gesto autodistruttivo. Nella stessa categoria, ma con retroterra
completamente diverso, vi sono i maltrattamenti o gli abusi nei confronti dei figli, tra cui
rientrano i maltrattamenti materiali e altre forme più sofisticate di abuso come la sindrome di
6
Munchausen per procura, che si verifica quando il genitore crede di vedere, o addirittura simula,
la malattia del figlio, sollecitando cure o interventi inutili o addirittura dannosi per la salute del
bambino/a.
2.2.1. Criminalità
femminile e imputabilità
In relazione ai delitti commessi da donne, ocForre subito notare che la ricorrenza della non
imputabilità è elevatissima, sia storicamente sia nella realtà attuale.
Occorre in primo luogo chiedersi la ragione di una "lettura" del delitto commesso da una donna in
chiave di devianza psichiatrica, e chiedersi se per caso questo dato non sia esso stesso frutto di una
suggestione culturale.
Non bisogna dimenticare che gli stereotipi hanno storicamente avuto una influenza pesantissima
sull' interpretazione della criminalità femminile. Voglio qui ricordare gli studi di Marina Graziosi,
che ha ricostruito la storia della categoria giuridica di tradizione romanistica denominata fragilitas
sexus,a infirmitas sexuso imbecillitas sexus.7
Tale categoria aveva la ovvia funzione di giustificare le più svariate limitazioni alla capacità di
agire dei soggetti femminili. Fu Prospero Farinaccio, alla fine del 1500, a utilizzarla in campo
penalistico ponendola a fondamento della ridotta imputabilità giuridica delle donne. L'enorme
fortuna che la costruzione ebbe nei secoli successivi indica che la sua funzione sociale e culturale
era centrale, perché connessacon la giustificazione teorica della inferiorità delle donne.
Il dato statistico secondo cui le donne delinquono assai meno degli uomini ha di volta in volta
suscitato reazioni di segno opposto. Talora non si è attribuita ai crimini commessi dalle donne una
particolare pericolosità sociale, e si è dunque riservato a questi comportamenti un trattamento
penale mitigato. In questo senso la rafia dell 'infirmitas sexus sarebbequella di proteggere le donne
e non di sancirne l'inferiorità. Altre volte, al contrario, certi atti sono stati considerati gravissimi
solo se compiuti da donne -emblematico è il caso dell'adulterio -con la conseguenza di un
trattamento penale severissimo, riservato unicamente alle donne.
E' troppo noto che Lombroso accostala prostituta al delinquente nato, annoveradoli entrambi in una
categoria di criminalità congenita, in realtà comparando una categoria giuridica con una categoria
morale (prostituzione).
Impostazioni di tal fatta non hanno più alcun seguito, e tuttavia occorre sottolineare che
l'inquadramento della ridotta tendenza delle donne a delinquere, o per converso il giudizio sui pochi
ma gravi delitti commessi dalle donne nella sfera familiare, ripropone spessosotto mentite spoglie i
vecchi stereotipi della donna non-essererazionale, e dunque, per un verso o per un altro, sottratta ai
normali metri di valutazione della criminologia e del diritto penale.
Per quanto riguarda il comportamento delle donne che commettono delitti nella sfera familiare,
bisogna riconoscere che anche ai nostri giorni il peso delle immagini stereotipiche è talora
soverchiante. Esattamente come una volta, nell'uso della discrezionalità giudiziaria lo stereotipo
può giocare sia nel senso di legittimare una pahicolare severità, sia nel senso di giustificare un
trattamento penale mitigato.
7 Marina Graziosi, lnfirmitas sexus. La donna nell'immaginario
penalistico, in Democrazia e diritto, 2/1993. Della
stessa autrice,"Fragilitas sexus". Alle origini della costruzione giuridica della inferiorità delle donne, in N.M.
Filippini, T.Plebani, A.Scattino, Corpi e storia. Donne e uQmini dal mondo antico all'età contemporanea. Viella.
.oc
hO"'"
7
2.2.2. I delitti commessi dalla vittima di violenza sistematica
Tornando al modello che vi ho proposto, riguardo ai delitti commessi da donne nella sfera familiare,
conviene ora analizzare separatamentele due situazioni di riferimento.
Il primo tipo, quello della vittima di violenza sistematica che commette a sua volta violenza, benchè
ampiamente documentato nella letteratura sociologica e criminologica, raramente trova emersione
giuridica nel nostro ordinamento, poiché non rileva né come fattore di esclusione della imputabilità
o della colpevolezza, né come circostanza attenuante. Per questa ragione quasi sempre sfugge
all'accertamento di fatto nel corso del processo.
I
Eppure, il fenomeno è imponente. Il retroterra può esserequello di maltrattamenti consistenti in atti
ripetuti e sistematici di violenza'tisica, o anche atti altrettanti sistematici di violenza psicologica. La
rilevanza penale di tale ultima fattispecie deve considerarsi ormai acquisita.
Il reato di maltrattamenti si configura quando vengono posti in essere "atti di vessazione continui e
tali da cagionare (..) sofferenze, privazioni, umiliazioni che costituiscono parte di uno stato di
disagio continuo e incompatibile con normali condizioni di esistenza. Ed invero, comportamenti
abituali caratterizzati da una serie indeterminata di atti di molestia, ingiuria, minaccia e
danneggiamento, manifestano l'esistenza di un programma criminoso i cui episodi, da valutare
unitariamente, costituiscono l'espressione ed in cui il dolo si configura come volontà comprendente
il complesso dei fatti e coincidente con il fine di rendere disagevole in sommo grado e per quanto
possibile penosa l'esistenza dei familiari" 8 In questo caso la sentenzacita espressamenteanche atti
di aggressione come molestie, ingiurie e minacce, che non comportano violenza fisica, ma si
caratterizzano comunque per la loro attitudine a offendere, a umiliare, a provocare frustrazione, a
infliggere sofferenza.
Eppure, nella quotidianità dell'esercizio della giurisdizione si avverte ancora una sottovalutazione
che fa ostacolo alla piena comprensione della enorme lesività della violenza sistematica, specie se
commessanell'ambito delle relazioni personali fqndamentali.
La violenza sistematica è spesso conseguenzadi un disturbo della personalità di tipo narcisistico,
che induce l'autore a costruire la relazione mettendo in atto dapprima un meccanismo di seduzione,
cui fa seguito un comportamento di violenza e/o di squalificazione costante dell'altro/a. L'obiettivo
dell' autore è nascondere a se stesso il proprio vuoto interiore, che gli rende impossibile provare
autentici sentimenti di amore o di sofferenza e lo porta a scaricare sull'altro/a i propri sensi di colpa.
Il mezzo è il condizionamento della vittima, ottenuto soprattutto attraverso il rifiuto della
comunicazione e la continua denigrazione. L'impossibilità di comunicare provoca la reazione
dell'altro/a, e innesca perciò un gioco di provocazione/risposta nel quale la vittima resta
intrappolata. La violenza di tipo prevalentemente psicologico si manifesta con battute taglienti,
criticismo eccessivo, destabilizzazione dell'altro/a. Ne sono espressione comportamenti come
mettere in ridicolo le convinzioni e le scelte del/la partner, mettere in dubbio le sue capacità di
giudizio, denigrarlo/a in pubblico, privarlo/a di ogni possibilità di esprimersi. Le conseguenze-sia
della violenza fisica sia della violenza psicologica, specie se protratta nel tempo -sono devastanti in
termini di trauma, di perdita di autostima, di privazione dell'autodeterminazione. Occorre infatti
tenere conto del fatto che, verificandosi lé aggressioni in ambiente familiare, la persona bersagliata
8 Sez. VI, 18 marzo 1999, Valente, cito
I
__a
I
non è mai al sicuro, ma al contrario è continuamente esposta allo scatenamento dell'aggressione
suoi confronti. 9
8
nei
E' evidente che situazioni di violenza sistematIca, anche di tipo psicologico, possono essere alla
base della reazione violenta della vittima. Nei casi più gravi possono essere causa dell'uxoricidio
commesso dalla donna nei confronti del marito o convivente. Talvolta sono alla base di aggressioni
che possono determinare lesioni gravi o gravissime. Quasi sempre questi atti di violenza vengono
posti in essere dalla vittima di violenza sistematica in un momento in cui l'uomo si trova in una
condizione di minore possibilità di reazione. Specie nel caso in cui è sistematicamente vittima di
violenza fisica, la donna approfitta di una situazione nella quale il marito è addormentato o ubriaco.
Agire in un momento di sua piena lucidità sarebbe infatti troppo rischioso.
In altri Paesi come Stati Uniti e Canada, talvolta è stata applicata la scriminante della legittima
difesa. In Italia, in casi consimili, non viene applicata nemmeno l'attenuante dello stato d'ira
provocato dal fatto ingiusto altrui, ai sensi dell'art. 62 n. 2) c.p..
Per la verità la giurisprudenza della Corte di Cassazione continua a manifestare molte incertezze ed
oscillazioni nella interpretazione dell' attenuanteJ Alcune pronunce, anche recenti, definiscono lo
stato d'ira come "incontenibile impulso reattivo-aggressivo"
l°, e fondano su tale definizione la
distinzione -ritenuta necessaria -tra stato d'ira e ciò che viene considerato una "strutturazione e
trasformazione dell'originario impulso emotivo in sentimento di odio, rancore, vendetta o altro. Ed
invero -prosegue la stessa sentenza -pur non essendo richiesta una immediatezza della reazione,
questa deve tuttavia essere collegabile ad un evento più prossimo e idoneo a innescarla, sempre che
non si sia verificata una trasformazione in un diverso sentimento".
L'argomentazione
è erronea, e intrinsecamente contraddittoria. Lo stato d'ira, infatti -come
esattamente statuiscono altre pronunce -non deve essere confuso con l"'impeto d'ira" previsto dal
codice previgente. Dunque può consistere anche in un'alterazione emotiva che si protrae nel tempo,
e può essere riferibile anche a un fatto che non sia in rapporto di immediatezza con la reazione"II.
Questa impostazione fa giustizia di una giurisprudenza un tempo ritenuta granitica, secondo cui la
provocazione si configurerebbe solo in caso di reazione immediata al fatto ingiusto altrui. Corretta è
anche la notazione secondo cui lo stato d'ira può protrarsi nel tempo, e non deve necessariamente
consistere in un atto di impulso. E tuttavia, in ossequio a una interpretazione ripetuta tralaticiamente
senza una vera sorveglianza critica, la stessa sentenza prosegue affermando che la reazione non
deve comunque essersi "tramutata da passione, in sentimento di odio, rancore o altro" 12.
A parte la difficoltà di distinguere uno stato d'irà di lunga durata dal risentimento o dal rancore, è
difficile comprendere perché la reazione immediata e passionale al fatto ingiusto altrui dovrebbe
ricevere un trattamento di favore, mentre non dovrebbe riceverlo la reazione della vittima di
violenza sistematica, che a causa della ripetitività degli atti di aggressione e prevaricazione subiti, e
delle loro conseguenze, dovrebbe essere considerata particolarmente meritevole di un trattamento
mitigato.
Si nota qui la perdurante difficoltà della giurisprudenza ad orientarsi nella materia delle emozioni.
In una decisione, ad esempio, si trova un tentativo di sistematizzazione della citata differenziazione
9M.F. Hirigoyen,Molestie morali, Einaudi, 1998
IOCass.Sez. 1,n. 9695 del 15.4.99,imp. De Rosa,CED,Rv. 214937
--
IICass.Sez.1,n. 11124del 12.11.1997,imp.Insirello,CED, Rv.2 09159
12L'affermazione è ripetuta in termini analoghiin numerosissimesentenze,tra cui si citano, a titolo esemplificativo,
Cass.
1,n.
2064
del2,
18.11.1988,
in Giust.altre
Pen.,
1991,fasc.5, parte 2, p. 264; Cass.
in Riv.Sez.
Pen.,
1989,
fasc.
p. 150,e numerose
precedenti.
. Sez. 1,n. 7893 del 22.02.1988,
,,-
9
é~~
':..~
tra stato d'ira e sentimenti di odio o vendetta: "Lo stato d'ira (..) è uno stato emotivo caratterizzato
da modificazioni relative, dovute alla provocazione o al ricordo del fatto provocante e ad impulsi
aggressivi che mal si conciliano, sul piano psicolbgico con altri sentimenti quali la vendetta, l'odio
(sempre se esistenti), i quali costituiscano nella concreta vicenda gli esclusivi fattori determinanti
del delitto, sì da degradare l'ingiustizia del fatto altrui a mera occasione del comportamento
delittuoso". 13In altri termini l'instaurarsi di un sentimento di odio o di rancore farebbe venire meno
il nesso causaletra fatto ingiusto e reazione.
La sentenzatuttavia, nello sforzo di trovare un fondamento scientifico alla distinzione tra stato d'ira
e odio, si mostra del tutto ignara di un fenomeno che invece è ben noto in psicologia, e che consiste
nello scoppio di ira provocato da un meccanismo di crescita progressiva. Si tratta di un processo di
accumulo, dall'andamento graduale, che ha un periodo di incubazione, seguito da un momento di
..
l .
SCOppIO,
nve azIone o affiIoramento. 14
E' più chiaro, a questo punto, che cosa si intende quando si dice che l'ordinamento giuridico non
riesce a tenere conto dell'esperienza della vittima in posizione di vulnerabilità. L'interpretazione
prevalente dello stato d'ira continua a dare rilevanza allo schemaprovocazione reazione immediata,
tipico di "due ragazzini che stanno litigando in cortile", 15ciascuno dei quali trova naturale reagire a
un pugno o a una minaccia dell'altro. Continua invece a ignorare il sostrato di emotivo della vittima
di violenza sistematica, che ha sperimentato durante molti mesi, talvolta artni, la concreta
pericolosità dei comportamenti intimidatori del partner, nonché l'inutilità e anzi la pericolosità di
qualunque atto di resistenza, se posto in essere inl modo tale da provocare un ulteriore esplosione di
violenza.
De iure condendo, il comportamento della vittima che reagisce alla violenza sistematica dovrebbe
essere oggetto di una attenuante specifica. In via interpretati va, dovrebbe essere valorizzato
quell'indirizzo
giurisprudenziale che manifesta una certa apertura a questa tematica
nell'interpretazione dello stato d'ira.
In una pronuncia si afferma infatti che la provocazione, oltre che istantanea, può essere lenta, e
protrarsi nel tempo senza mai raggiungere quella intensità di stimolazione tale da produrre nel
perseguitato una "conflagrazione reattiva", ma determinando tuttavia in questi una "accumulazione"
di stimoli psichici destinata ad esplodere, all'occasione, nel comportamento violento reattivo
all'altrui fatto ingiusto (Cass. Sez. l n. 6285 del 19.5.99, Imp. PM in proc. Liaci, Rv. 213462, in
Riv. Pen., 1999, 660).
Anche nel comportamento della vittima di violenza sistematica che commette un delitto in stato
d'ira da "accumulo" può esservi un retro stante disturbo della personalità, talora indotto dallo stesso
processo di vittimizzazione. Ciò tuttavia non accade sempre, e comunque non sempre si tratta di un
disturbo della personalità di tale gravità da incidere sulla capacità di intendere e di volere.
Anche in questo caso, dunque l'indagine psichiAtrica andrà disposta solo nei casi in cui esistano
indizi qualificati, come la distanza emotiva dal fatto commesso, episodi pregressi di sofferenza
psichica o tentativi suicidari. termini di inimputabilità totale o parziale. Se il disturbo psichiatrico
non è in concreto rilevante ai fini della inimputabilità, potrà farsi ricorso all' applicazione
dell'attenuante dello stato d'ira, nell'unica accezione che "apre" alla tematica del delitto commesso
dalla vittima di violenza sistematica, allo scopo 'di attenuare il trattamento penale di atti comunque
commessi come risposta a comportamenti certamente ingiusti come i maltrattamenti.
13Cass.. Sez. 1, n. 11874 del 19.1.1987, Imp. Franzè, CED, Rv. 17711I
14Valentina D'Urso, Arrabbiarsi, Bologna, II Mulino, 2001, p. 31
15S. Estrich, Real Rape, Cambridge, Harvard University Press, 1987, pp. 60 S5.
.-"o..".",
,.
I
lO
2.2.3. I delitti di infanticidio e figlicidio
Da molte ricerche risulta che l'inimputabilità
maniera
preponderante,
tipicamente
i figli.
16
ai
crimini
commessi
continua ad essere applicata comparativamente in
dalle
I
donne
contro
oggetti
di
amore
primario,
Si tratta di una fattispecie statisticamente non irrilevante, come i casi di cronaca continuano a
mostrare. Dal punto di vista del retroterra culturale e psicologico l'uccisione del figliola è uno dei
delitti più complessi da comprendere, ed indubbiamente l'influenza di disturbi psichiatrici è qui
particolarmente rilevante.
In base a un' ampia rassegnadella letteratura criminologica italiana e straniera, Isabella Merzagora
Betsos distingue le seguenti tipologie:
1. Atto impulsivo delle madri che sono solite maltrattare i figli
2. Non dissimili sono i casi di infanticidio commesso da madri infastidite dal pianto o da altre
esigenze del bambino
3. Morte del bambino provocata dall' agire omissivo di madri passive e negligenti, incapaci di
affrontare i compiti relativi alle necessitàvitali del figlio
4. Non dissimili sono i casi di c.d. figlicidio per fatalità
5. Madri che uccidono figli non voluti
6. Madri che uccidono figli trasformati in capri espiatori delle loro frustrazioni
7. Madri che uccidono per motivi di convenienza, pressione sociale o d'onore
8. Morte del bambino come conseguenzadel rifiuto "ideologico" di certi tipi di cure
9. Figlicidio commesso da madri che hanno a loro volta subito violenza dalla propria madre
lO. Infanticidio commesso a seguito di psicopatologie puerperali
Il. Madri che desiderano uccidersi e uccidono il figlio (suicidio allargato), madri che uccidono
il figlio perché pensano di salvarlo (suicidio altruistico), madri che uccidono il figlio per non
farlo soffrire (omicidio eutanasico o compassionevole o pseudo-compassionevole quando
motivato dal desiderio di "liberarsi del fardello" di un figlio malato). 17
Alcuni di questi delitti, ad esempio l'assassinio come sviluppo della condotta di maltrattamento,
l'infanticidio brutale del genitore che non sopporta il pianto e le esigenze del bambino, i vari tipi di
suicidio-omicidio, il rifiuto delle cure etc,. non sono tipici delle madri. Ne sono autori anche i padri.
Ma è statisticamente assai più frequente la figura della madre omicida dei figli, specie in alcune
varianti, come quella di omicidio conseguentea sindrome depressiva.
Su molte di queste fattispecie, vi è il rischio di sovrapporre a una valutazione culturalmente rigorosa
del caso, lo stereotipo della "madre snaturata". Qui infatti è massimo lo scarto tra il comportamento
materno socialmente atteso e quello realmente posto in essere. Ed è massimo lo sconcerto che si
prova quando si interrogano seriamente questi comportamenti, confrontandoli non con un ideale di
normalità sociale, ma con le reali condizioni di vita di quella madre, spesso con gli abissi di
disperazione e di solitudine esistenziale che un gesto di quel genere cela.
Occorre allora essere molto avvertiteli del fatto che, soprattutto in questi casi, la fuga nella
psichiatria può nascondere la volontà di relegare nella "follia" ciò che è veramente difficile
comprendere. La follia pone tutte e tutti in una dimensione diversa da quella dell'autrice o
16La letteratura criminologica distingue tra neonaticidio, che ricorre nell'immediatezza della nascita; l'infanticidio,
è l'uccisione del bambino entro l'anno di età, e il figlicidio" quando la vittima ha più di un anno.
]7I. Merzagora Betsos,Demoni del focolare. Mogli e madri che uccidono, Centro Scientifico Editore, Torino, 2003
che
Il
dell'autore, e dunque pone la noffilalità al riparo dalla malattia. Interrogare la disperazione, la
solitudine esistenziale, il sensodi inadeguatezza,è cosa che riguarda la vita di tutte/i noi.
Ovviamente ciò non significa che alla base di questi comportamenti non possa esservi -e anzi
spessoricorre -una sofferenza psichiatrica, talora grave, che naturalmente va individuata e valutata.
Ma con l'avvertenza che l'individuazione di una sindrome depressiva, o di altro genere, è solo il
principio di una valutazione assai più complessa.
3.
Rimproverabilità
del comportamento e finalità di risocializzazione
La stessa sente~~ d.e~leS.U. ri:hi.ama la giurisr.rude~~ in materia di capacità di intendere e di
volere. La capacita dI Intendere SIrIconosce nella IdoneIta del soggetto a rendersi conto del valore e
del significato del proprio comportamento, ovvero di proporsi una corretta rappresentazione del
mondo esterno. La capacità di volere consiste nella idoneità del soggetto ad autodeteffilinarsi, in
relazione ai noffilali impulsi che motivano l'azione, in modo coerente ai valori di cui è portatore,
con l'avvertenza importante che una libertà assoluta di autodeteffilinazione non esiste, dovendo
piuttosto la volontà umana definirsi libera, in una accezione meno pretenziosa e più realistica, nella
misura in cui il soggetto non soccomba agli impulsi psicologici che lo spingono ad agire oin un
deteffilinato modo, ma riesca a esercitare poteri di inibizione e di controllo idonei a consentirgli
scelte consapevoli tra motivi antagonistici.
Questa giurisprudenza consente di affrontare il nostro quesito in modo non astratto o ideologico.
Sempre, sia la percezione del mondo esterno, sia la libertà di autodeteffilinazione subiscono
condizionamenti della più svariata natura. Il comportamento del singolo autore non deve essere
confrontato con un modello ideologico di soggetto agente perfettamente consapevole e libero, ma
piuttosto con ciò che emerge dalla casistica, cioè dall'intreccio -sempre
esistente -tra
rappresentazioni della realtà e retroterta culturale, tra autodeteffilinazione e condizionamenti
psicologici e sociali.
Correttamente, e a mio parere in modo del tutto compatibile con la tesi da me sostenuta,la sentenza
affeffila che il concetto di imputabilità è insieIl1e empirico e noffilativo. E' dato alle scienze prosegue la sentenza -di individuare il compendio dei requisiti bio-psicologici che facciano ritenere
che il soggetto sia in grado di comprendere e recepire il contenuto del messaggio noffilativo, mentre
è compito del legislatore -io aggiungo anche dell'interprete -l'individuazione delle condizioni di
rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali.
Una volta scomparsa dalla scena l'anacronistica e controversa distinzione tra malattia mentale e
disturbo della personalità, il concetto e la funzione di imputabilità vengono ascritti a una
valutazione che, pur non perdendo l'ancoraggio alle risultanze delle scienze psichiatriche, assume
una valenza spiccatamentenoffilativa.
In prima approssimazione, i criteri della della valutazione noffilativa sull'imputabilità vanno a mio
parere individuati
1) nel principio di colpevolezza;
f
2) nella finalità di risocializzazione.
In considerazione della funzione garantista del principio di colpevolezza, un comportamento può
essereascritto a un soggetto solo se rimproverabile, e dunque solo se il soggetto aveva la effettiva
possibilità di comprenderne il contesto fattuale e il significato, e se poteva attivare opzioni diverse.
I
I
12
Con riferimento alle risultanze della perizia psichiatrica, qualora gli elementi di fatto consiglino di
effettuarla, dal punto di vista giuridico la prima valutazione dovrà rispondere all'interrogativo
se a
cagione del disturbo di personalità queste due competenze fossero elise o depotenziate.
La seconda valutazione concerne il fine di risocializzazione,
valorizzato dalla giurisprudenza recente.
che giustamente viene particolarmente
La sentenza delle S.U. richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha adottato una
concezione polifunzionale della pena, attribuendo valore centrale al profilo rieducativo (C. Cost.,
sento N. 313/1990), e ricordando che la stessa Corte aveva già valorizzato il principio rieducativi
addirittura sul piano della struttura del fatto di reato (C. Cost., sentoN. 364/ 1988). 18
Da questo punto di vista, la valutazione, dovrà tenere conto della possibilità, per il soggetto, di
rielaborare il significato del gesto delittuoso. Tale opportunità non dovrebbe essere negata all'autore
o all'autrice del delitto, salvo casi eccezionali di totale perdita di contatto con la realtà. Altrimenti si
negherebbe non soltanto la valenza semantica del gesto, ma anche la sua stessa esistenza storica. In
altri termini il fatto resterebbe in un limbo, una z9na di sospensione tra delirio e realtà, un buco nero
che finirebbe coll'avallare e perfino col giustificare la deriva del soggetto verso la follia.
Occorre inoltre tenere conto del fatto che solo apparentemente, e solo eventualmente,
l'inimputabilità
apre la strada a un trattamento penale mitigato. Se alla diagnosi relativa
all'esistenza del vizio totale di mente si accompagna quella relativa alla pericolosità sociale per
ragioni psichiatriche,
in assenza di servizi territoriali
adeguati che rendano concretamente
percorribile
l'applicazione
di misure non segreganti, recentemente ammessa dalla Corte
costituzionale, la persona sarà avviata verso la strada senza tèmpo -e spesso senza ritorno dell' ospedale psichiatrico giudiziario.
La dichiarazione di imputabilità totale dovrebbe dunque essere l'extrema ratio, da utilizzare con
estrema cautela, e solo laddove si valuti che non esistono possibilità di rielaborazione e di recupero.
In ogni altro caso, qualora la soffer~nza psichiatrica non sia tale da compromettere completamente e
definitivamente ogni possibilità di riabilitazione, la soluzione della inimputabilità parziale appare
suscettibile di contemperare le istanze garantiste, le esigenze di cura e tutela del soggetto, le
esigenze di contenimento e di sicurezza sociale, l'opportunità di un trattamento penale mitigato, la
possibilità di lasciare aperto un percorso di risocializzazione.
I
18Cfr. anche la recenteC. Costo29 novembre2004 n. 367, in Cass. PenoN. 3/2005, pp. 747 ss. che ha dichiarato
l'illegittimità costituzionaledell'art, 206 c.p., nella parte in cui non consentivaal giudice di adottareuna diversamisura
di sicurezzanon detentiva. La sentenzafa seguitoa C. Costo253/2003che ha risolto in sensoanalogola medesima
questione,relativa alla applicabilitàdi misuredi sicurezzanon segregantiin via provvisoria.
'